Juliet Browner, l'ultima musa di Man Ray

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37 DOMENICA 23 AGOSTO 2009 l’immagine Amori celebri Lui aveva avuto le più belle di Parigi davanti al suo obiettivo surrealista. Lei danzava ed era stata modella e compagna di artisti famosi. Il colpo di fulmine avvenne a Hollywood nel 1940 e da allora la bella ballerina divenne il soggetto preferito dell’artista dada. Il risultato sono cinquanta fotografie-opere d’arte che ora vanno in mostra a Lucca P oteva assomigliare ad Ava Gardner ma anche a Rosalind Russell, talvolta ad- dirittura a Carmen Miranda: era mute- vole, plasmabile, poteva essere molto bella o molto strana, molto drammati- ca o molto ironica, era bruna con li- neamenti forti, nere sopracciglia spesse, occhi a mandorla, un bellissimo sorriso, un corpo strana- mente delicato, lungo e sottile, perfetto. La trentenne Juliet Browner, figlia di un emi- grante rumeno, aveva studiato danza con Martha Graham, posava saltuariamente per diversi artisti: era stata modella e compagna di Willem De Koo- ning, lasciato un paio d’anni prima per andare a vi- vere in casa di Nini Diaz, stella del vaudeville, che era stata l’amante contemporanea di entrambi. Con Man Ray fu un colpo di fulmine al primo in- contro, in un ristorante di Hollywood nell’autun- no del 1940. Lui era da poco sbarcato a New York da Lisbona, in mezzo alla folla di chi fuggiva dalla Francia occupata e dall’Europa in guerra. Portava con sé una macchina fotografica e poco altro: i suoi dipinti ed oggetti della passione dada e surrealista li aveva dovuti abbandonare a Parigi, affidandoli alla sua ragazza, Adrienne Fidelin detta Ady, una sottile ballerina che veniva dalla Guadalupa e che aveva scelto di non seguirlo oltreoceano. Americano, figlio di emigranti ebrei russi (il suo nome era Emmanuel Radnitzky), vent’anni prima aveva lasciato gli Stati Uniti per immergersi nel- l’ardente vita artistica parigina, e soprattutto «per di sapere e conoscenza». Tra il 1941 e il 1955 nac- que così la serie fotografica The fifty faces of Juliet, in bianco e nero, scatti spesso ritoccati con pastel- li colorati o stampati con particolari tecniche da lui perfezionate, che gira da sempre il mondo e sarà esposta con altre opere di Man Ray al Centro di Arte Contemporanea di Lucca: Juliet come diva del cinema, come Budda, come fashion model, come ragazzo, a strisce, a macchie, corrosa, sfre- giata, liquefatta, velata, nuda, o in posa sadica mentre impellicciata e con giarrettiere abbraccia e bacchetta la sorella Selma. Nel 1946, l’amico degli anni surrealisti Max Ern- st chiese a Man e Juliet di assistere al suo matri- monio con la pittrice Dorothea Tanning a Beverly Hills: per lei aveva abbandonato la moglie prece- dente, Peggy Guggenheim, per la quale aveva ab- bandonato l’artista Leonore Carrington, che era riuscita a fargli lasciare la prima moglie. Tempi di libertà surreale anche in amore, e anche Juliet e Man decisero di sposarsi nella stessa cerimonia. Nel 1951 la coppia si stabilì definitivamente a Pa- rigi. Si accumularono per lui mostre, riconosci- menti e premi. Per lei la vita nella sua ombra: «Quando non posavo per lui, voleva comunque che gli stessi vicino, in silenzio, sentire la mia pre- senza gli era necessario». Man Ray morì nel novembre del 1976 a ottanta- sei anni e sulla sua tomba nel cimitero di Mont- parnasse volle l’epitaffio «Incurante ma non In- differente». Juliet morì nel 1991 a settantasei anni e fu sepolta accanto a lui sotto la scritta: «Ancora insieme». sottrarmi a una pesante cappa di incomprensione e sfiducia», come scrisse poi nelle sue memorie. Adesso si ritrovava, solo e cinquantenne, in un paese che gli era ormai ignoto e che lo riconosceva come fotografo di celebrità (Picasso e Cocteau, Stravinsky e Buñuel, Leon Bloom e la marchesa Casati, James Joyce e George Braque) ma non an- cora come artista. A Hollywood c’era ormai la massima concen- trazione di transfughi euro- pei, che qualche anno prima avevano lasciato la Germania nazista (Billy Wilder, Douglas Sirk, Fritz Lang, Otto Premin- ger, Robert Siodmak e altri), e Man Ray immaginava, sba- gliando, che nel luogo massi- mo del grande cinema popo- lare mondiale, delle lucenti e meravigliose star, sapessero di quei quattro film “artistici”, purtroppo di pochi minuti, purtroppo surrealisti, girati da lui e dagli amici nella Parigi degli anni Venti. Ma almeno una persona sapeva chi fosse e co- nosceva le sue opere, ed era Juliet: l’artista depres- so cui piaceva ballare e la bella ballerina cui piace- va l’arte andarono insieme in un locale jazz e fu ap- punto subito amore. Pochi giorni dopo andarono a vivere insieme in un residence scelto per il suo nome gentile, Chateau de Fleurs, e da quel mo- mento non si lasciarono più. Man Ray ricominciò a dipingere con rinnovata passione e ad esporre, e intanto la sua compagna diventava l’oggetto e il soggetto preferito delle sue fotografie e delle sue ri- cerche tecniche visive. Era capitato a tutte le sue donne di essere muse ed amanti, ispiratrici e modelle. Negli anni Venti ad Alice Prin, conosciuta come Kiki de Montpar- nasse, nota modella d’artista e cantante che gli ispirò con la sua schiena carnale la più celebre del- le sue foto surrealiste, intito- lata Le violon d’Ingres; negli anni Trenta a Lee Miller, la diafana, giovanissima ameri- cana, fashion model d’epoca, sua allieva e quindi amante ri- belle, diventata poi a sua vol- ta una grande fotografa; e an- che alle donne libere e colte della Parigi intellettuale che offrivano al suo obiettivo i lo- ro corpi nudi e sensuali come oggetti dada: Meret Op- penheim, Nush Eluard, Susy Solidor, la sua assistente Na- tasha. Anni dopo, ormai no- vantenne, l’artista surrealista inglese Leonore Carrington disse in un’intervista: «Non ho mai ca- pito cosa vedessero le donne in Man Ray, non cer- to il fisico». Juliet in lui vide tutto e lui tutto in lei, a comin- ciare dal suo aspetto: «Il suo volto, il suo corpo, i suoi abiti, le sue espressioni e la sua comunicazio- ne posturale sono per me una fonte interminabile Juliet, l’ultima musa di Man Ray GLI ANNI. Le foto pubblicate in questa pagina sono state scattate tra il 1944 e il 1954 (Courtesy Fondazione Marconi) NATALIA ASPESI LA MOSTRA Dal 12 settembre al 22 novembre 2009, Il Lucca Center of Contemporary Art, in collaborazione con la Fondazione Marconi di Milano, propone Man Ray-The Fifty Faces of Juliet 1941-1955. Verranno presentati i cinquanta ritratti che Man Ray scattò alla moglie, Juliet Browner Info: 0583-950499, www.luccamuseum.com FOTO COURTESY FONDAZIONE MARCONI LA TECNICA. Le foto di Man Ray a Juliet Browner sono in bianco e nero, spesso ritoccate a mano con pastelli colorati o stampate con tecniche particolari Repubblica Nazionale

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Un articolo di Natalia Aspesi - su La Domenica di Repubblica del 23 agosto 2009, dedicato a Man Ray e alla sua compagna e musa Juliet Browner

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 23 AGOSTO 2009

l’immagineAmori celebri

Lui aveva avuto le più belle di Parigi davanti al suo obiettivosurrealista. Lei danzava ed era stata modella e compagnadi artisti famosi. Il colpo di fulmine avvenne a Hollywoodnel 1940 e da allora la bella ballerina divenne il soggettopreferito dell’artista dada. Il risultato sono cinquantafotografie-opere d’arte che ora vanno in mostra a Lucca

Potevaassomigliare ad Ava Gardner maanche a Rosalind Russell, talvolta ad-dirittura a Carmen Miranda: era mute-vole, plasmabile, poteva essere moltobella o molto strana, molto drammati-ca o molto ironica, era bruna con li-

neamenti forti, nere sopracciglia spesse, occhi amandorla, un bellissimo sorriso, un corpo strana-mente delicato, lungo e sottile, perfetto.

La trentenne Juliet Browner, figlia di un emi-grante rumeno, aveva studiato danza con MarthaGraham, posava saltuariamente per diversi artisti:era stata modella e compagna di Willem De Koo-ning, lasciato un paio d’anni prima per andare a vi-vere in casa di Nini Diaz, stella del vaudeville, cheera stata l’amante contemporanea di entrambi.

Con Man Ray fu un colpo di fulmine al primo in-contro, in un ristorante di Hollywood nell’autun-no del 1940. Lui era da poco sbarcato a New Yorkda Lisbona, in mezzo alla folla di chi fuggiva dallaFrancia occupata e dall’Europa in guerra. Portavacon sé una macchina fotografica e poco altro: i suoidipinti ed oggetti della passione dada e surrealistali aveva dovuti abbandonare a Parigi, affidandolialla sua ragazza, Adrienne Fidelin detta Ady, unasottile ballerina che veniva dalla Guadalupa e cheaveva scelto di non seguirlo oltreoceano.

Americano, figlio di emigranti ebrei russi (il suonome era Emmanuel Radnitzky), vent’anni primaaveva lasciato gli Stati Uniti per immergersi nel-l’ardente vita artistica parigina, e soprattutto «per

di sapere e conoscenza». Tra il 1941 e il 1955 nac-que così la serie fotografica The fifty faces of Juliet,in bianco e nero, scatti spesso ritoccati con pastel-li colorati o stampati con particolari tecniche dalui perfezionate, che gira da sempre il mondo esarà esposta con altre opere di Man Ray al Centrodi Arte Contemporanea di Lucca: Juliet come divadel cinema, come Budda, come fashion model,come ragazzo, a strisce, a macchie, corrosa, sfre-giata, liquefatta, velata, nuda, o in posa sadicamentre impellicciata e con giarrettiere abbracciae bacchetta la sorella Selma.

Nel 1946, l’amico degli anni surrealisti Max Ern-st chiese a Man e Juliet di assistere al suo matri-monio con la pittrice Dorothea Tanning a BeverlyHills: per lei aveva abbandonato la moglie prece-dente, Peggy Guggenheim, per la quale aveva ab-bandonato l’artista Leonore Carrington, che erariuscita a fargli lasciare la prima moglie. Tempi dilibertà surreale anche in amore, e anche Juliet eMan decisero di sposarsi nella stessa cerimonia.Nel 1951 la coppia si stabilì definitivamente a Pa-rigi. Si accumularono per lui mostre, riconosci-menti e premi. Per lei la vita nella sua ombra:«Quando non posavo per lui, voleva comunqueche gli stessi vicino, in silenzio, sentire la mia pre-senza gli era necessario».

Man Ray morì nel novembre del 1976 a ottanta-sei anni e sulla sua tomba nel cimitero di Mont-parnasse volle l’epitaffio «Incurante ma non In-differente». Juliet morì nel 1991 a settantasei annie fu sepolta accanto a lui sotto la scritta: «Ancorainsieme».

sottrarmi a una pesante cappa di incomprensionee sfiducia», come scrisse poi nelle sue memorie.Adesso si ritrovava, solo e cinquantenne, in unpaese che gli era ormai ignoto e che lo riconoscevacome fotografo di celebrità (Picasso e Cocteau,Stravinsky e Buñuel, Leon Bloom e la marchesaCasati, James Joyce e George Braque) ma non an-cora come artista.

A Hollywood c’era ormai la massima concen-trazione di transfughi euro-pei, che qualche anno primaavevano lasciato la Germanianazista (Billy Wilder, DouglasSirk, Fritz Lang, Otto Premin-ger, Robert Siodmak e altri), eMan Ray immaginava, sba-gliando, che nel luogo massi-mo del grande cinema popo-lare mondiale, delle lucenti emeravigliose star, sapesserodi quei quattro film “artistici”,purtroppo di pochi minuti,purtroppo surrealisti, girati dalui e dagli amici nella Parigidegli anni Venti.

Ma almeno una persona sapeva chi fosse e co-nosceva le sue opere, ed era Juliet: l’artista depres-so cui piaceva ballare e la bella ballerina cui piace-va l’arte andarono insieme in un locale jazz e fu ap-punto subito amore. Pochi giorni dopo andaronoa vivere insieme in un residence scelto per il suonome gentile, Chateau de Fleurs, e da quel mo-mento non si lasciarono più. Man Ray ricominciò

a dipingere con rinnovata passione e ad esporre, eintanto la sua compagna diventava l’oggetto e ilsoggetto preferito delle sue fotografie e delle sue ri-cerche tecniche visive.

Era capitato a tutte le sue donne di essere museed amanti, ispiratrici e modelle. Negli anni Ventiad Alice Prin, conosciuta come Kiki de Montpar-nasse, nota modella d’artista e cantante che gliispirò con la sua schiena carnale la più celebre del-

le sue foto surrealiste, intito-lata Le violon d’Ingres; neglianni Trenta a Lee Miller, ladiafana, giovanissima ameri-cana, fashion model d’epoca,sua allieva e quindi amante ri-belle, diventata poi a sua vol-ta una grande fotografa; e an-che alle donne libere e coltedella Parigi intellettuale cheoffrivano al suo obiettivo i lo-ro corpi nudi e sensuali comeoggetti dada: Meret Op-penheim, Nush Eluard, SusySolidor, la sua assistente Na-tasha. Anni dopo, ormai no-

vantenne, l’artista surrealista inglese LeonoreCarrington disse in un’intervista: «Non ho mai ca-pito cosa vedessero le donne in Man Ray, non cer-to il fisico».

Juliet in lui vide tutto e lui tutto in lei, a comin-ciare dal suo aspetto: «Il suo volto, il suo corpo, isuoi abiti, le sue espressioni e la sua comunicazio-ne posturale sono per me una fonte interminabile

Juliet, l’ultima musa di Man Ray

GLI ANNI. Le foto pubblicate in questa pagina sono state scattate tra il 1944 e il 1954 (Courtesy Fondazione Marconi)

NATALIA ASPESI

LA MOSTRA

Dal 12 settembre

al 22 novembre 2009, Il Lucca

Center of Contemporary Art,

in collaborazione con la Fondazione

Marconi di Milano, propone

Man Ray-The Fifty Faces of Juliet1941-1955.Verranno presentati

i cinquanta ritratti che Man Ray

scattò alla moglie, Juliet Browner

Info: 0583-950499,

www.luccamuseum.com

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LA TECNICA. Le foto di Man Ray a Juliet Browner sono in bianco e nero, spesso ritoccate a mano con pastelli colorati o stampate con tecniche particolari

Repubblica Nazionale