Jelena di Luciano Regolo · notizie della secondogenita Mafalda, da diversi mesi non sa più nulla...

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Luciano Regolo Jelena Tutto il racconto della vita della regina Elena di Savoia Premessa di Vittorio Emanuele di Savoia Introduzione di Simeone di Sassonia Coburgo Gotha Simonelli Editore 1

Transcript of Jelena di Luciano Regolo · notizie della secondogenita Mafalda, da diversi mesi non sa più nulla...

Luciano Regolo

J e l e n aTutto il racconto della vita della regina Elena di Savoia

Premessa di Vittorio Emanuele di SavoiaIntroduzione di Simeone di Sassonia Coburgo Gotha

Simonelli Editore

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ISBN 88-86792-41-7

Questa è una prova-assaggio di:

Luciano Regolo«Jelena»

Tutto il racconto della vita di Elena di Savoia

ISBN 88-86792-41-7, pp.800, Euro 25,00

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1.La piccola “Vila” di Casa Petrovich

Missia cara,[ . . . ]i più facinorosi vanno scusati poiché anche loro

hanno avuto delle preoccupazioni per le loro famiglie e per sestessi - poi la fame, poi l’amnesia cerebrale, in una paro l atante cose molto spiacevoli.

Dopo che queste persone sono più calme e rientranonella realtà, ecco arr i v a re subito dichiarazioni di fedeltà versoil loro Re, che come sempre, perdona tutto. E per lui si tratta diitaliani, con le loro testoline calde etc..., ma il cuore è semprebuono, noi lo sappiamo bene.

Noi stessi, noi siamo talmente italiani e siamo pronti aogni sacrificio purché questo caro Paese cessi di soffrire etorni nella Pace, sotto la Monarchia o sotto la Repubblica...1

Nell’estate 1944, da Ravello, dove si trova dopo l’ar-mistizio e il trasferimento del regno al Sud, Elena di Savoia,regina d’Italia, verga questa lettera inedita alla sorella MilitzaPetrovich, rimasta a Roma. La missiva, con altre sei speditesempre nello stesso periodo e alla medesima destinataria, rap-presenta oggi un documento più unico che raro. Uno spaccatodei più intimi pensieri di una donna sul trono da più di un qua-rantennio accanto al marito, che assiste al crollo lento e ineso-rabile della dinastia, di tutto ciò che è stata la sua vita da quan-do, ventitreenne, lasciò l’amato Montenegro per l’Italia.

Non è solo la regina di un Paese messo in ginocchiodalla devastazione della seconda guerra mondiale, che vedeintorno a sé le lacrime e la miseria di intere famiglie. È leistessa una madre in pena, che da quasi un anno non ha piùnotizie della secondogenita Mafalda, da diversi mesi non sapiù nulla della figlia minore Maria e dei suoi, né di Jolanda, lamaggiore, e Maria José, la nuora, colte con i rispettivi bambinidall’8 settembre 1943 in Val d’Aosta. Una donna, che assistealla contrapposizione forzata tra il marito, Vittorio EmanueleIII e il figlio Umberto II: nella corte c’è chi preme perché ilprimo si metta da parte e abdichi in favore del secondo, già

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nominato Luogotenente del Regno, per dare una nuova imma-gine al casato, travolto dalle critiche per l’abbraccio mortalecon il fascismo, l’entrata in guerra e la “fuga da Roma”.

Eppure non v’è traccia di astio o collera negli scritti diElena. Né di rimpianto per la g r a n d e u r perduta. Solo amarezzae malinconia, non esibite ma schiette, che si colgono di primoacchito in un ineluttabile f e e d b a c k emotivo, silenzioso e quieto,come colei che impresse con l’inchiostro nero le frasi rivelatriciin francese, sulle righe di fogli a grosso taglio, di colore azzur-ro, aprendo il suo cuore a Militza, “Missia”, come la chiamava-no in casa, a Cettigne, negli anni lontani e felici dell’infanzia.

Vuole la Pace, la fine di quelle sofferenze che le dila-niano l’anima, Elena. Non le importa che sia sotto laM o n a rchia o sotto la Repubblica. Più della Corona, semmai,le interessa che il marito venga riabilitato agli occhi degli ita-liani, che se ne riconosca l’onestà e la buona fede.

Quanta gente buona e fedele ci circonda! - continuaElena - Ma quanti ignoranti, pur essendo di buon cuore !Quanto si critica una serie di cose senza sapere il perc h é :delle cose sono state fatte e delle altre no. (è la regina ad aversottolineato questa frase nell’originale, n d r.) Ma tutto questopasserà a poco a poco, ne sono persuasa 2.

Il dolore per l’orgoglio ferito, il suo e quello diVittorio, si stempera, quasi si azzera di fronte all’enormitàdella paura per i figli e al contesto, surreale o astratto per lasua tranquillità, del rifugio marino che divide col marito.Qualche giorno dopo, Elena, si rimette allo scrittoio, guardan-do il mare e gli scogli e verga alla sorella un’altra lettera:

C redimi, da quando non so nulla dei figli tutto, tuttomi è diventato uguale. I paesaggi qui e dove noi ci muoviamosono così belli, così riposanti con il mare senza orizzonte: sipuò sognare e pensare, cosa che non si potrebbe fare a Roma,questa grande città così tormentata 3.

Pare quasi di vederla la regina, coi grandi, intensiocchi scuri, persi nei flutti scintillanti di sole della costieraamalfitana, cercare il filo dei suoi ricordi e delle sue riflessioni,come in un unico grande sogno a ritroso. Aveva sempre amatoil mare, da bambina, quando aspettava trepidante le vacanze al

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palazzo di Topolica, una villa circondata dai pini, a un tiro dischioppo dalle spiagge bianche e deserte, dove risuonavano lerisate e gli strilli allegri di lei e dei suoi fratelli. Anche gli scoglidi Ravello la riportavano con la mente al suo Montenegro.

Jelena Petrovich Njegosh, questo il nome con cuiancora la ricordano nella sua terra, era nata in pieno Natale,sesta figlia di Nicola I, “gospodar”, ossia “principe signore” delpiccolo e fiero stato balcanico: la neve, caduta copiosa, quelgiorno cominciò a sciogliersi per via della pioggia, mentre lanumerosa famiglia si preparava con ancora più gioia alla “Festadel Ceppo” e agli altri riti natalizi dopo l’arrivo di una nuovap r i n c i p e s s i n a .

Più di una volta Jelena, bambina, ascoltò come unafavola il racconto di com’era venuta al mondo da sua madreMilena, che, dopo di lei, ebbe altri cinque figli. Era il 27 dicem-bre 1872, secondo il calendario ortodosso, l’8 gennaio 1873, inquello seguito dal cattolicesimo, la fede abbracciata per ragiondi Stato dalla futura regina d’Italia. Come sempre, Milena,durante il parto, si fece assistere dalla madre, Jelena Vo i v o d i c h ,da cui la neonata erediterà il nome, dalla suocera, Anastasia (o“Stana”, in montenegrino) Martinovich e dalla domestica piùanziana, ostetrica e nutrice per lunga esperienza. Tutte chineintorno al suo grande letto, nella camera padronale, della reggiadi Cettigne, sormontato dall’icona di San Giorgio, il protettoredella dinastia dei Petrovich Njegosh, e a cui piedi, Nicola avevavoluto mettere una grande pelle d’orso a mo’di tappeto.

Al pianto della piccola, rivelatore della sua buona salu-te, il gospodar aveva atteso impaziente che le donne lo chia-massero a vedere la nuova erede. Poi era corso in piazza a darel’annuncio ai notabili e a offrire loro da bere. Di lì a poco, insegno di festa, aveva cominciato a riecheggiare, la musica lentae “felpata” dei “gusle”, il tipico strumento del Montenegro, unasorta di violino a una corda, e i cori dei canti di buon augurio,improvvisati dagli allegri crocicchi per strada.

Il battesimo della principessa avvenne sei giorni dopo,appena Milena fu in grado di rimettersi in piedi, solennemente,nell’antico Monastero della Natività della Madre di Dio, luogosimbolo dell’irriducibile resistenza di quest’angolo dei Balcani

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alle continue incursioni turche e dell’autorità storica deiPetrovich Njegosh, che vi abitavano ai tempi dei vladika, ivescovi regnanti, prima che il potere temporale e quello spiri-tuale fossero separati. Nei racconti popolari si tramanda cheanche quel giorno, come in quasi tutte le occasioni importantiper Jelena, piovesse. «Piove quando i santi si muovono», recitaun vecchio proverbio del Montenegro4.

È certo, comunque, che la chiesa del convento rin-chiudesse, in qualche modo, i segni arcani del futuro destinodella bimba, sia perché il suo primo nucleo era stato eretto nel‘400 dai discendenti delle antiche popolazioni dalmate roma-nizzate e mai integratesi agli slavi, sia perché la recinzione delmonastero era costituita da canne di fucile, retaggio di tanticonflitti con gli infedeli ottomani. E la conversione al cattoli-cesimo, nonché due guerre rovinose scandiranno, eff e t t i v a-mente, l’esistenza della regina Elena, secondo quanto lei stessarileverà, «con espressione di infinita tristezza», ricordando lasua infanzia con il conte Dino Olivieri, suo fidato segretariop a r t i c o l a r e5.

Della prima cerimonia di Jelena è rimasto un docu-mento, finora ignorato, negli archivi del Monastero di Cettigne:l’atto di battesimo, tre fogli vergati a mano con bella grafia e incaratteri cirillici, dall’allora vescovo della capitale che lo firmòinsieme con i padrini:

Con gli illustrissimi genitori, l’illustrissimo PrincipeNicola del Montenegro e la sua illustrissima consorte, MilenaVukotich di Cevo, la principessa, nata il 27 dicembre 1872, èstata battezzata e ha ricevuto l’unzione il 2 gennaio 1873 permezzo di me, Metropolita del Montenegro e della Montagna,Ylarion, col nome di Jelena.

Suo padrino è stato Sua Altezza Imperiale, Zar di tuttele Russie, Alexander Nikolaevic, rappresentato dal signorYanin, console russo a Dubrovnik, madrina Sua A l t e z z aImperiale, Zarina di tutte le Russie, Maria A l e x a n d rovna rap -p resentata dalla signora Nadetra Patre v i c h .

Fatto a Cettigne il 7 gennaio 1873.6

La scelta dei sovrani russi, Alessandro II e Maria,quali “protettori” della figlia da parte di Nicola del

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Montenegro, riflette in pieno l’alleanza religiosa, militare epersonale che legava i Petrovich Njegosh ai Romanoff, unitinella lotta contro i Turchi. La primogenita del gospodar,Zorka, detta “Ljubitza”, nata nel ‘64 e Militza, “Missia” di dueanni più giovane, dal 1875-‘76, andranno a studiare alloSmolny di Pietroburgo, sotto la diretta tutela e con la sovven-zione della famiglia imperiale russa, come farà più tardi ancheJ e l e n a .

Già nel 1868, Nicola I, era stato accolto calorosamen-te da Alessandro II per il suo primo soggiorno in Russia, daregnante. Nel 1871, invece, il principe Dolgorouki era statoinviato dallo zar a Cettigne, distribuendo generosi lasciti allapopolazione. Il principe del Montenegro, inoltre, sempre dueanni prima della nascita di Jelena, per una curiosa coincidenza,era andato a rendere omaggio, proprio in Italia, alla consorte diAlessandro II, che soggiornava al “Tramontano” di Sorrento,hotel d’é l i t e con vista d’incanto sul golfo di Napoli. Lungoquelle coste rocciose, predilette da Nikita e Milena per il loroclima temperato, il sole e il mare, la loro sestogenita, di cuiMaria Alexandrovna fu madrina, trascorrerà i suoi giorni piùbui di regina d’Italia, ma anche felici momenti nei primi annidi nozze con Vittorio Emanuele III, quando il suo titolo eraquello di Principessa di Napoli.

Tra i buoni interlocutori del gospodar, che per tre anniha vissuto a Trieste, dove ha frequentato le scuole medie infe-riori, c’è un altro imperatore: Francesco Giuseppe d’Asburg o ,cui aveva reso visita nei primi anni del suo regno. Con l’aiutodell’Austria, il Montenegro iniziò nel 1874 la costruzione dellasua nuova strada più importante, da Cettigne a Kotor(Cattaro), più tardi prolungata fino a Rijeka Crnojevica, dovela famiglia principesca si spostava per sfuggire agli invernitroppo rigidi della capitale arroccata sui monti, e ad altre città.

Il sovrano montenegrino, che vuole protezione e pre-stigio per il suo piccolo Stato, con fine ingegno diplomatico, hasaputo stringere relazioni amichevoli con altre potenzed’Europa: nel 1867 aveva incontrato Napoleone III a Parigi,poi era stato anche alla corte di Berlino. La sua strategia consi-steva nel mettere a frutto l’attenzione dei Grandi sul suo domi-

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nio, area nevralgica dei Balcani. Tutti volevano tenere a bada iTurchi, ma anche giocare una propria influenza. Dunque, ilgospodaro agitando lo spauracchio di una intesa troppo strettacon la Russia, riuscì a ottenere anche il sostegno e le sovven-zioni dalla Francia. E lo stesso gioco ebbe successo con A u s t r i ae Germania.

Politica internazionale a parte, comunque, Nicola I,esercitava un suo c h a r m e personale tra i reali d’Europa, tantoda intrattenere con loro fitti carteggi, il più delle volte in france-se, lingua che, ereditato lo stesso “mal di Parigi” di sua ziaDarinka, conosce alla perfezione e vuole sia adoperata anche infamiglia. Si chiude nel suo studio al pian terreno del palazzo,prende carta e penna per scrivere agli amici “coronati” pure ilgiorno della nascita di Elena. Lo prova l’inedita missiva con cuigli risponde di suo pugno, re Giorgio I di Grecia, altro suoalleato nella guerra contro gli Ottomani, su carta da letteraornata dalla sua iniziale con la Corona e gli emblemi degliO l d e n b u rgo, da Atene il 10 gennaio 1873:

Mio caro Principe,è con un vivo interesse che ho appreso la notizia del

felice parto della Signora Principessa Milena che Voi mi aveteannunciato con la vostra lettera, così pure delle prossime cele -brazioni del battesimo della Principessa Elena, per la conser -vazione della quale io faccio voti. Condivido ben vivamente lasoddisfazione che questo evento fa pro v a re a Vostra A l t e z z a .

E Vi prego di accettare, in questa occasione, le miefelicitazioni più sincere e l’espressione di stima e amicizia coiquali sono

Vo s t ro A f f e z i o n a t oG i o rg i o7.Anche a Milan Obrenovich8, giovane principe regnan-

te di Serbia, con cui nel giro di un anno avrebbe stretto unaccordo segreto per attaccare congiuntamente gli Ottomaniappena si fosse presentata l’occasione propizia, Nicola comuni-ca tempestivamente per iscritto la buona notizia. Questa voltain montenegrino, idioma di origine slava, una lingua a sé, con33 lettere contro le 30 del serbo e del croato, da cui diff e r i s c eper altre caratteristiche lessicali e fonetiche9. Nell’anima di que-

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sta lingua, creativa e spontanea, c’è il ricorso a espressioni pro-verbiali, metafore e discorsi figurati ereditati dall’antica tradi-zione orale dei “guslari”. Caratteristiche che sempre ricorreran-no nell’eloquio e negli scritti di Jelena.

Il 27 dicembre mia moglie, la cara Milena - verg òNicola - ha dato alla luce una bambina riempiendo di gioia ilmio cuore . . . Il gospodar prosegue, per un foglio e mezzo, ver-gati con la sua grafia decisa, mettendo al corrente il principeMilan anche del fatto che, al battesimo, lo zar verrà rappresen-tato dal console russo a Dubrovnick.

La risposta arriva immediata e in termini altrettanto“poetici”: Vi prego, Altezza, di porg e re le mie congratulazionianche alla Principessa Milena, per questo lieto evento. A u g u roogni felicità all’ultima nata, principessa Elena, con Voi e conla Vostra famiglia sempre ci sentiremo uniti, come in un sentie -ro di fraternità, ovunque e sempre. Gioisco per questa nascitache ha riempito la vostra casa e spero di avervi presto tuttiospiti nella mia. Con tanto affetto1 0.

Le figure dei genitori lasciarono entrambe un fortesegno nella personalità di Jelena, chiamata in famiglia con ilvezzeggiativo “Jela”. Dal padre, che adorava e in cui vide dapiccola un vero e proprio eroe, ereditò l’amore per la poesia, ilculto per la storia patria e dinastica, la robusta tempra fisica, lapassione per la vita all’aperto, le lunghe passeggiate e la pesca,una certa attenzione quasi sacra verso la natura e le sottili,imperscrutabili leggi che la governano. Dalla madre prese,invece, il carattere schivo, estremamente riservato, lo sguardoeternamente velato da un che di malinconico, il senso profon-do, viscerale della famiglia e della maternità, l’attitudine, “spar-tana” per una principessa, a smaltire da sé qualunque tipo diincombenza domestica, il concetto, tutto montenegrino, delladedizione totale e del rispetto che sempre una brava mogliedoveva nutrire per il marito, lo slancio passionale e istintivo peri sofferenti, infine quella sorta di fatalismo, con cui sarà portataad accettare ogni evento, anche i più dolorosi, con quieta accet-tazione e apparente distacco.

Nato a Njegosh, villaggio montano culla della suadinastia, il 7 ottobre 1841, Nicola, diciassettenne, era stato

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mandato con altri due rampolli delle più influenti famigliemontenegrine, a Parigi, per studiare nel rinomato collegio“Louis le Grand”. Due anni dopo, però, il 12 agosto 1860, neidintorni di Cattaro, un fuoruscito sparò contro il principeregnante, Danilo II11, che morì il giorno seguente. Il giovaneNicola, quindi, fu costretto a rientrare precipitosamente perassumere la responsabilità del trono.

Proprio Danilo II, che nel 1852 aveva abbandonato latunica di vladika per sposarsi, aveva “secolarizzato” la succes-sione dinastica, che fino ad allora aveva visto avvicendarsi sultrono del Montenegro i vari vescovi Petrovich, di zio in nipoteo di cugino in cugino, a partire dal ‘600. Danilo, separandol’autorità vescovile da quella monarchica, stabilì che d’allorain poi la corona sarebbe andata di padre in figlio, seguendo lalegge salica. Lui e la moglie, Darinka Kvéktich, però, non ave-vano eredi maschi: solo una figlia di un anno e mezzo, Olga.

Darinka aveva un’ottima intesa con il giovane nipoteacquisito, Nicola (o Nikita in Montenegrino). Questi, all’epocadegli studi di Trieste, aveva soggiornato nella tenuta deiKvéktich, la famiglia della principessa del Montenegro ed erastato mandato poi al collegio “Louis Le Grand” di Parigi, pro-prio su suggerimento della zia, fervida cultrice della linguafrancese, come lo diventerà anche il giovane PetrovichNjegosh. Così, fu la stessa principessa vedova, assai influentea Cettigne, a premere sui notabili perché sul trono vacantesalisse il nipote prediletto da lei e dal marito che, fra l’altro,aveva indicato questa volontà nel testamento. Nicola era figliodi Mirko1 2, il fratello di Danilo II, “Gran Voivoda”, ossia GranDuca, che presiedeva il Senato, una sorta di consiglio ristrettodella Corona, composto da 12 saggi, esponenti dei più antichie potenti clan montenegrini, nonché strateghi nella lunga guer-ra contro i Turchi.

Il 14 agosto 1860, quindi, Nicola, che non aveva anco-ra compiuto 19 anni, fu proclamato sovrano o “SvetiGospodar” (“Sacro Signore”). Meno di un mese dopo l’incoro-nazione, l’8 settembre, Nicola sposò la tredicenne MilenaVukotich: le aveva promesso amore eterno, davanti ai parentiriuniti, con la rituale e romantica frase di fidanzamento:

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«Dammi uno solo dei tuoi capelli, me ne cucirò gli occhi,per non guardare più nessun’altra donna»1 3.

Il loro matrimonio era stato deciso un decennioprima da Mirko Petrovich e Petar Vukotich, altro influentemembro del Senato, per rinsaldare la vantaggiosa alleanzache da tempo legava le rispettive famiglie. I Vukotich, ori-ginari di Cevo (Katunska nahija in montenegrino), avevanoavuto un ruolo dominante nel Paese fino a tutto il XVI°secolo, quando il potere era andato ai Petrovich Njegosh.

Anche per i suoi figli, Nicola I cercherà di intesse-re, secondo la ferrea tradizione dinastica, alleanze nuziali diprestigio, ma in più “grande scala” rispetto al passato, cer-cando cioè di imparentarsi con le famiglie reali d’Europa,per coltivare il suo sogno di un’unica Nazione Serba sottol’egida del Montenegro.

L’unione tra Nicola e la sua sposa “bambina” fuassai prolifica: ebbero, tra il 1864 e il 1889, ben 12 eredi: 9femmine e 3 maschi1 4. Ma, nella famiglia, si è tramandato ilricordo di almeno altre 4 o 5 gravidanze, che si interruppe-ro spontaneamente o si conclusero con la nascita di bimbigià privi di vita, lasciando per sempre un acuto dolore inM i l e n a .

Una volta sul trono, Nicola I dovette subito fron-teggiare la minaccia dei Turchi, irriducibili nemici storicidella sua gente. Il 22 maggio 1862, l’impero ottomanosferrò infatti un’offensiva che mirava a distruggere militar-mente il Montenegro, reo di aver sostenuto i ribellidell’Herzegovina. Si trattava di un attacco che seguiva lamedesima strategia di accerchiamento che, nove anniprima, aveva ridotto in ginocchio l’intero Paese. Nicola esuo padre Mirko chiesero aiuto alla Serbia, il cui governo,però, rispose che avrebbe dato sì il proprio sostegno, manon in quel momento. Perciò, dovettero rimboccarsi lemaniche e provvedere da soli. Nicola e i suoi vinsero unprimo durissimo scontro vicino a Novo Selo, ma poi i tur-chi penetrarono ugualmente in Montenegro, fino a minac-ciare Cettigne. Fu in quei drammatici momenti che ilgospodar rivelò tutto il suo carisma, spingendo le sue trup-

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pe, dalle risorse nettamente inferiori, a una eroica resisten-z a .

Per mesi le battaglie si susseguirono con esitoincerto, ma alla fine i montenegrini contarono circa 3500 cadu-ti, le truppe turche più di 8 mila. In seguito all’intervento dellaFrancia e della Russia, comunque, nel settembre 1862 il gene-rale Omar Pascià fu costretto a proporre al gospodar la cessa-zione delle ostilità e lui accettò. Ma già nel 1863, Nicola si pre-parava a riprendere la guerra. E tre anni dopo strinse un impor-tante accordo di mutua assistenza in caso di attacchi turchi conil governo serbo, guidato dal principe Milan Obrenovich, men-tre continuava ad appoggiare in Herzegovina e a Boka, le rivol-te contro i Turchi e l’Austria.

Come un leone, Nicola, incoraggiato dal padre, volevaa ffermare il principio che niente e nessuno avrebbe potuto pie-gare la sovranità del Montenegro. Facendo leva sull’org o g l i oserbo, pretese una guerra offensiva, piuttosto che difensiva e laribattezzò “Guerra di liberazione”. E in questa sua tenace ideatrovò un valido alleato anche nel suocero, Petar Vukotich, cheassunse il ruolo di coordinatore per le azioni militari di disturbonelle province turche, confinanti con il territorio montenegrino.

Le ostilità con gli Ottomani ripresero e continuaronoper più di un decennio, fino al loro culmine tra il 1876 e il1878, quando l’esercito montenegrino, guidato da Nikita, che siguadagnò così la fama di “Bismarck dei Balcani” vinse unaserie di battaglie decisive. Con quelle di Vucji Do e nella valledi Bjelopavlici, sulle rive del fiume Zeta, Nicola si assicurò lasovranità su città strategiche come Podgorica, Niksic e Bar(Antivari). Il territorio del Montenegro ne risultò pressoché rad-doppiato e soprattutto con un prezioso accesso al mare: il sognocullato invano da ogni sovrano montenegrino, per tre secoli,finalmente si realizzava grazie a Nikita. Le parole che pronun-ciò il principe regnante al suo esercito il 10 novembre 1877,davanti al porto di Bar, ancora occupato dalle ultime truppeottomane furono: «Seguitemi, Montenegrini, a Bar, la nostraBar serba, sul mare serbo!...»1 5.

Il nuovo assetto del Montenegro e il suo pieno s t a t u sdi nazione indipendente vennero riconosciuti nell’estate del

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1878 dalle potenze europee, riunitesi nel Congresso di Berlinoper l’esame della situazione balcanica dopo la vittoria russasulla Tu r c h i a .

Milena, spesso anche incinta, seguiva il marito nel suoperegrinare bellico, di fronte in fronte, dalle vette alle valli, fer-mandosi poi a ridosso del punto dello scontro, con le altredonne che provvedevano al cibo, agli accampamenti e agli altribisogni dei soldati. Il principe pensava alle armi, la principessasoprattutto a medicare e soccorrere i feriti.

Conferma il granduca Nicola Romanoff, brillantecustode di molti episodi inediti della vita in casa PetrovichNjegosh, appresi dall’adorata nonna paterna, Militza delMontenegro: «È vero, la bisnonna Milena, da giovane, accom-pagnava il marito in guerra. Si portava dietro anche le due pri-mogenite: Ljubitza e nonna Missia, piccolissime, tra i 3 e i 4anni. Partiva per le imprendibili montagne montenegrine acavallo, mettendo le due bimbe in due specie di bigonce. Dietrodi lei, Nicola a guardarle le spalle»1 6.

Il gospodaro ebbe sempre fama di gran seduttore e tut-tora si favoleggia, nei dintorni di Cettigne, delle sue avventureamorose notturne e dei tanti figli illegittimi, si dice più di 50,che avrebbe “sparso” nelle campagne montenegrine. A l l amoglie, però, tributava plateali gesti di amore e rispetto. Laprendeva in braccio, anche avanti negli anni, se c’era da guada-re un fiume o se si trattava di salire su una imbarcazione. Lacelebrava con versi romantici e odi improvvisate lì per lì,durante i banchetti.

Della considerazione in cui teneva Milena, comunqueNicola diede anche segni più concreti, affidandole la reggenza,ogni volta che partiva per un lungo viaggio, a cominciare dal29 dicembre 1868, quando soggiornò per due mesi, traP i e t r o b u rgo, Berlino e Vienna, tornandosene poi a Cettigne conimportanti sussidi per il suo Paese.

Sulle ginocchia del possente papà, dall’eloquio facile edalla voce suadente, la piccola Jela ascoltò rapita racconti, mitie leggende impressi da secoli nella memoria del suo popolo.Una, cara agli zingari, vuole che Dio, creato il mondo, si siaaccorto di essere rimasto con un bel po’di rocce che non aveva

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usato. Perciò scelse un piccolo paese per deposito, ilMontenegro, lasciandovi cadere sopra tutte le pietre, grosse epiccine, sopravanzate1 7. E le vette che Jela vedeva intorno aCettigne, con il calcare rotto e irregolare, ammassato in collinee montagne, più simili a cataste di scogli che non ai classicirilievi montuosi d’Europa, sembravano ai suoi occhi di bambi-na la prova più evidente della veridicità del racconto.

La principessina crebbe affascinata anche dalle vicendedegli antichi eroi del «Nido dei Falchi», come ribattezzarono ilsuo Paese i poeti, che sempre trassero ispirazione dalle guerre,costanti fin dal IX secolo contro gli Ottomani. Il nome, quellovero, lo aveva preso invece dalla sua prima dinastia regnante, iCrnojevich. “Crni” significa nero, di qui l’espressione “Crna -Gora”, “Montagna nera”. Ivan Crnojevich, che regnò per 24anni e prese parte a 63 battaglie, fondò nel 1489 il monastero ela città di Cettigne. Agli albori del ‘500, l’ultimo suo discenden-te, Giorgio V, si trasferisce a Venezia per amore e la comunitàpatriarcale montenegrina, organizzata in “pleme”, ossia tribù,comandate dai voivoda, che riconoscono l’autorità spirituale delvladika di nomina elettiva, avverte il vuoto di un grande l e a d e r.

I Katuni le tribù più fiere, arroccate nei loro villaggimontani, inespugnabili fortezze naturali, nutrendosi anche solodi radici o cortecce, e sopportando ogni genere di privazione,guidano la resistenza ai Turchi. Fra queste vi era la tribù deiNjegosh, al cui capo vi erano i Petrovich, da Yerak, il quattro-centesco capostipite. Danilo I1 8 Petrovich, eletto vladika nel1696 da tutti i capi-clan, grazie ai suoi successi militari eall’aiuto di Russia e Venezia, sue alleate, riuscì a trasformarel’autorità di vescovo in un privilegio esclusivo ed ereditariodella sua famiglia. Perciò è considerato il vero e proprio fonda-tore della dinastia reale.

Più di una volta Nikita mostrò a Jela l’antica torreTablja, sopra il monastero, dimora degli avi vladika, davantialla quale venivano esposte impalate le teste dei musulmanitagliate in battaglia, raccontandole le gesta dei guerrieri esanti Petrovich Njegosh vissuti secoli addietro.

Danilo I, salito al trono ad appena 22 anni e detto il“Fulgido Sole”, nella notte del Natale 1702, si macchiò di uno

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dei più efferati massacri che la storia ricordi, ordinando l’ec-cidio di tutti i montenegrini convertitisi all’Islam o spie degliOttomani. Dieci anni più tardi il suo esercito provocò 30 milavittime in quello turco, depredato di vessilli e bagagli, nellacelebre battaglia di Karevlatz. Ma senza questo cinismo forsela resistenza della sua gente e di tutta una identità nazionale ereligiosa, favorita anche dall’asperità del terreno, non sarebbestata possibile.

Le più vecchie canzoni popolari, ritmate dai guslari,esaltano l’eroismo dei Petrovich e di tutte le tribù Kutuni diallora. Il ritornello di una tra le più note recita: «Ogni uomonon è nato che per morire una volta sola. Ma l’onore e l’ontasi perpetuano nell’eternità. Perciò si deve disprezzare e umi-liare la morte».

Quanto l’eroismo militare fosse tenuto nella massimaconsiderazione in casa Petrovich Njegosh lo si evince anchedai ricordi di Nicola Romanoff :

«Nonna Militza mi raccontava sempre con toni epicidella grande battaglia di Kosovo del 1389, dopo la quale ilMontenegro era diventato la roccaforte della resistenza controi Turchi. E ogni volta diceva orgogliosa: “Tutto il nostro eser-cito fu distrutto, però il tuo avo Petrovich morì per primo e lasua testa fu messa dai nemici in cima alla piramide”...».

Canti e poemi, retaggio di una cultura assai coesa,celebrano il coraggio e l’abilità in battaglia come massimevirtù, le uniche che possono provocare ammirazione. Poi ilsenso di umanità, o “cojstvo”, che spingeva per esempio aprivilegiare sempre le vedove o i più poveri nella spartizionedei bottini. E ancora l’ospitalità, sacra, da non violare in alcu-na circostanza. Per trasmettere questo valore ai bambini siraccontava loro una storiella di un uomo che, in fuga, bussòsenza saperlo proprio alla porta di una famiglia imparentatacoi suoi nemici. Fu accolto, sfamato e trattato con onore pergiorni. Quando capì dove si trovava, però, decise di andar via,nottetempo ma fu ucciso, appena varcato l’uscio da uno dellafamiglia rivale che lo attendeva in strada1 9.

Il giusto, nell’ottica montenegrina, conosce dettaglia-tamente i propri doveri in ogni circostanza, perché trascuran-

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doli sa che verrà considerato un “nikogovic”, un «uomo danulla». Così come fa fede alla parola data e misura ogniparola per non essere giudicato uno “Sprdacine”, ovvero«un chiacchierone insensato». Stessa energia, volontà e passione animano la donna degnadi rispetto. Le madri e le spose montenegrine dovevano pre-ferire la morte dei loro figli e mariti a una vita macchiataanche dalla più tenue taccia morale. L’ideale femminileesaltato nei secoli parte dal mito pagano delle Vile, etereeninfe di eterna giovinezza che, secondo la leggenda, dallevette si tuffavano nei laghi e si nascondevano nei villaggiper soccorrere i combattenti in difficoltà o le loro famiglie.

«Le Vile amano gli eroi... Proteggono, consolano,vaticinano... Scendono fra gli uomini a insegnar loro lescienze e le arti belle, si occupano di canti, di suoni, didanze, di medicina... Offrono gioie dello spirito che sonoper i guerrieri delizie squisite. Si dice che le Vile si fecerocristiane, quando il loro popolo si battezzò», scrivevaAlberto Lumbroso, biografo della Regina Elena negli anni‘30, spiegando che il termine ancora restava in voga nelMontenegro, per definire «una fanciulla nobile, bella e digrandi virtù»20.

Nel suo libro, col tono apologetico tipico del tempo,Lumbroso argomenta con tanto di esempi concreti, cheElena poteva definirsi a buon diritto una «Vila»: era statainfermiera della Croce Rossa, trasformando, durante laPrima Guerra Mondiale, la sala da ballo del Quirinale in unvasto ospedale, aveva sempre amato la musica e la danza,suonando lei stessa il violino, era venuta in Italia per sposareil «Re Soldato», Vittorio Emanuele III e per amor suo si eraconvertita al cattolicesimo, infine aveva offerto «delizie aglieroi», invitando i reduci «a eletti concerti» e colmando imutilati di guerra di doni e premure. Fuori dalla retorica, ècerto comunque che Jelena si porterà sempre dietro la cultu-ra e i valori in cui era cresciuta. La poesia del suoMontenegro che pervadeva i poemi scritti, le leggende oralie persino le nuove leggi del codice voluto dal padre. I valoristrenuamente perpetrati di generazione in generazione.

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Solo avvicinandosi alla storia e alle tradizioni delPaese in cui nacque, può cogliersi fino in fondo lo spirito diElena di Savoia. Quella sua fervida, instancabile abnegazionenegli aiuti umanitari, con cui inseguì il modello della madre edella nonna che la condussero con loro, piccolissima, mentre siprodigavano tra le brande dei feriti, durante le guerre contro iTurchi, o che accoglievano nel Palazzo, chiunque avesse un’e-m e rgenza in casa. E ancora quella forza fiera che, nonostantel’amore per Umberto, l’unico figlio maschio, quando luiscampò di un soffio a un attentato a Bruxelles, il 24 ottobre1929, giorno del suo fidanzamento con Maria José del Belgio,porterà la regina a soffocare ogni emozione, commentandosemplicemente: «Dio ha voluto salvarmelo!».

O, infine, quel suo indelebile disappunto che le fecealzare la voce col marito una sola volta, perché il re non dovevaprestarsi al piano di arrestare Benito Mussolini, in casa propria,a Villa Savoia, dove era stato invitato per un colloquio dopo lanotte dell’ultimo Gran Consiglio del fascismo, violando cosìdue valori in cui lei credette sempre ciecamente: l’ospitalità e lal e a l t à .

Non gli aspetti più cruenti colpirono Jela nei raccontiepici che ascoltò dal padre, con la famiglia tutta riunita intornoal grande tavolo, a sera, dopo cena, quanto piuttosto il coraggioe l’indole cavalleresca degli avi protagonisti di quelle storie.Come il vladika Basilio III, che aveva ricevuto nel 1756 una let-tera ricattatoria dal Pascià di Bosnia: «Monaco Nero, inviami iltributo della montagna: dodici giovanette fra le più belle, tutte dietà fra i dodici e i quindici anni, altrimenti ti giuro sul Dio unicodi distruggere il tuo Paese e ridurre tutti i maschi, giovani e vec-chi in schiavitù». Basilio informò i capi tribù e disse che se loroavessero ceduto, lui se ne sarebbe andato via, lontano dalla sua«gente senza onore». Tutti, però, votarono unanimi: piuttostoche cedere al ricatto si sarebbero fatti tagliare la testa. Basilioallora vergò una risposta fiera e audace: «Come puoi tu, rinne-gato, mangiatore di susine erzegovesi, comandarci il tributo? Timanderemo una delle nostre pietre, ed in luogo delle dodici ver-gini riceverai dodici code di porco... perché tu sappia che alMontenegro le giovinette non crescono per i Turchi [...] Se vuoi

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assalirci, vieni!»21. Il Pascià mandò 45 mila uomini guidatidal suo Luogotenente, che dovette battere ritirata, ferito esconfitto.

Un’altra figura, tra gli avi, fu cara a Jelena, quella diSan Pietro I vladika, che curiosamente ebbe come segretarioparticolare un prete italiano e cattolico, don Franco Dolci.Guerriero anche lui, che inflisse al Pascià di Albania unasonora sconfitta nel 1777, costringendolo a cessare le suerivendicazioni sul Montenegro, ma anche uomo incline almisticismo e alla preghiera, tanto che la Chiesa Ortodossa locanonizzò nel 1834. E proprio questo lato più colpiva la gio-vane principessa figlia di Nikita, che conosceva a memoriale parole pronunciate dal santo, ottantatreenne, sul letto dimorte, il 18 ottobre 1830, giorno in cui oggi è commemora-to: «Vi raccomando di vivere in armonia, cari cavalieri eonesti eroi. E voi, libere montagne, vivete eternamente: unagloria immortale fiorisce sulle vostre cime, essa sopravvivràagli uomini e al mondo. Che Dio diffonda le sue benedizionisu voi e su tutto il popolo serbo»22.

Jelena, fin da piccola, aveva sostato in preghieradavanti ai resti dell’antenato santo, sepolto nella Chiesa delMonastero, dov’è tuttora venerato, ne studiò e ne lesse avi-damente gli scritti, che non dimenticò mai, neppure dopo lasua abiura alla fede ortodossa e il trasferimento in Italia. Enon è certo un caso se suo figlio, Umberto II, nell’esilio diCascais, ricopiò in calce alle sue ultime volontà, di suopugno, proprio un passo del testamento di San Pietro I vla-dika del Montenegro: «Io mi avanzo pieno di speranza allesoglie del Tuo Divino Santuario, la cui luce ravvisai sul sen-tiero misurato dai miei passi mortali. Alla tua chiamatavengo tranquillo...»23.

Suo nipote, Rado To m o r, salendo al trono prese ilnome di Pietro II e anche lui lascerà una traccia nella storiae nella letteratura del Montenegro, nonché nella fervidaimmaginazione di Jelena: sarà proprio lei, poco prima dilasciare la sua terra per andare incontro al suo destino italia-no a disegnare il nuovo monumento funebre del vladikacapostipite Danilo I, nel Mausoleo fatto erigere in sua

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memoria da Pietro II per farsi seppellire lì a sua volta, sullavetta più alta del monte Lovcen, sopra Cettigne, «perchéogni serbo possa vederlo»24.

Pietro II, di bell’aspetto, «un palmo più alto dei piùgrandi montenegrini», come lo descrissero i suoi contempora-nei, fu in un certo senso la incarnazione del tipico eroe ottocen-tesco della Montagna Nera: un po’guerriero rude, un po’ p o e t adelicato. Da una parte proseguì la strenua lotta con i musulma-ni, dall’altra scrisse una serie di opere che fece pubblicare dauna stamperia aperta da lui nella capitale.

Fu Pietro II che cantò: «Morirò fra poco: scavatemi unafossa ampia e alta, così che io possa starvi ritto per combattere...Figlio mio, fa che possa udire nella fossa la voce del moschettoche ti ho lasciato». Ma poi narrò, sempre in strofa, il perché aNapoli si rifiutò di vergare dei versi su un ritratto che donò a uninglese: «I miei versi sono tutti tristi, e più non ne scrivo. Iovedo dinanzi agli occhi la mia tomba con sopra scritto: “Quigiace il principe del Montenegro, morto senza aver veduto laredenzione della sua Patria” - e lo dobbiamo soprattutto alvostro Paese, che sorregge con la propria mano quella delTurco, la quale, ancorché morta, ci stringe alla gola [...] Quandomostrerete questo ritratto a Londra ai vostri amici dite loro: que-sto è il sovrano martire di una nazione martire della libertà2 5» .

Pietro II si recò spesso in Italia, in cerca di un climapiù favorevole alla sua salute malferma. E in questi suoi viaggi,anni dopo, a Jelena pareva di cogliere i segni di una sorta dipresagio dinastico. Fra l’altro il vladika era stato anche a Roma,da papa Gregorio XVI e dedicò a questa visita un altro canto:Dall’alto di San Pietro2 6.

Il suo poema più famoso fu però Gorski Vi j e n a c, ovve-ro “Il serto della montagna”, considerato come l’Iliade deglislavi meridionali e tradotto in varie lingue. Questo testo fu scel-to da Nicola I per gli esercizi di lettura in serbo dei suoi figli intenera età. Narra nella forma di un drammatico dialogo lo ster-minio dei Montenegrini apostati e dei Musulmani, avvenuto,secondo la leggenda, tra la fine del XVII° secolo e il principiodel XVIII°. Tutte queste figure avite, dunque, scandirono l’in-fanzia di Jelena, il cui padre continuava la tradizione letteraria

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di famiglia. La sua poesia Onamo ’Namo (“Là, laggiù”) scrittanel 1867, musicata a dovere, diventerà poi l’inno nazionalemontenegrino e un brano caro a tutti gli slavi del sud. L’ u l t i m a ,appassionata quartina recita: «Là, laggiù... dietro quelle colline/Quante bugie laggiù, loro dicono: la tomba di Milos!/ Laggiù lamia anima avrà eterna pace/ solo quando il popolo serbo nonsarà più schiavo»2 7.

Nikita compose fra l’altro Canti dei monti e del mare,svariate poesie, il romanzo La fidanzata di A l i b e y, ambientatoin Erzegovina, terra dei primi Petrovich, e il dramma lirico L aZarina dei Balcani, che riuscirà a far rappresentare a Parigi e inaltre capitali europee con un certo successo, nonché a tradurrein italiano, dopo le nozze della figlia con Vittorio Emanuele diSavoia. Ma nei titoli della sua copiosa produzione letterariarientrano anche: Il principe A rv a n i t, H a i d a n a, il Poeta e la fan -c i u l l a, La Macchina Nuova. Nicola I scrisse, poi, piccoli poemiper i familiari, ma anche per i suoi battaglioni, che battezzòognuno con il nome di un eroe del Montenegro.

Cresciuta con questo modello, era quasi scontato cheanche Jelena, adolescente, si cimentasse nella poesia, ma neisuoi versi tutti “pacifici”, pervasi di romanticismo e spirito reli-gioso, trasparirà anche l’influenza della madre Milena e dellesue istitutrici.

La moglie del gospodar è tuttora ricordata per la bel-lezza, il portamento fiero, le mani perfette, gli sfarzosi e colora-ti costumi di broccato, il carattere forte, unito a una profondavena sentimentale. Ma anche per l’amore incrollabile verso ifigli e per la particolare devozione con cui si dedicava alla pre-ghiera e, ogni mattina, iniziava la giornata con una visita allachiesetta dei Petrovich Njegosh, poco distante dalla reggia,dove oggi riposano le sue spoglie accanto a quelle del marito.Le figlie la ricorderanno sempre china su di loro a consolarle,consigliarle, pettinarne pazientemente le chiome corvine intrecce d’altri tempi, insegnar loro le orazioni.

«Milena», osserva Nicola Romanoff, «era il vero pernodella famiglia, come sempre accade alle madri nei Paesi con unaforte influenza orientale-turca. Nessun ruolo pubblico o parteci-pazione alla politica era prevista per le donne montenegrine, ma

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proprio per questo avevano un potere e un ascendente assolutotra le pareti domestiche. Insomma, comandavano, ma di nasco-sto, senza darlo a vedere. Milena aveva avuto la prima figlia a16 anni, giovanissima. Eppure sviluppò un forte senso dellamaternità. La sua figura rimase un modello vivissimo per tuttele figlie: mia nonna Militza me ne parlò molto. Verso il marito,Milena ebbe sempre una immensa devozione, mai alzò la vocecon Nicola o ne contestò le scelte. L’educazione delle figlie fem-mine fu totalmente gestita da lei, mentre quella dei tre maschi,usciti di casa già a 8 anni, fu curata da precettori militari. E biso-gna riconoscere che le sorelle Petrovich Njegosh, crescendo, sidimostrarono molto più intelligenti e mature dei fratelli. Il che èun altro punto di merito per Milena, loro abile guida, diretta-mente negli anni della prima infanzia e “a distanza” quandoandarono a studiare a Pietroburg o » .

Le corse sfrenate nel verde dei monti intorno aCettigne, il c a c h e - c a c h e, o nascondino, nelle pietrose stradedella città con i bimbi di ogni rango, furono i primi giochi diJelena. La sua famiglia viveva nella reggia, oggi museo delladinastia, dal 18672 8, anno in cui terminarono i lavori, iniziati nel1863 a opera di un’é q u i p e austriaca, probabilmente, la stessache lavorava alla strada tra Cattaro e Cettigne, nonché allacostruzione del Collegio femminile, inaugurato nel 1869.

Era stata disegnata nel cuore dei prati della capitale,per Darinka, la vedova del principe Danilo II, che poi però sitrasferì a Venezia, lasciando quindi la dimora ancora incompiu-ta a Nicola I e Milena. Fino a quel momento la coppia regnanteaveva occupato il “palazzo vecchio” eretto nel 1838: tra l’uni-co Grand Hotel, fatto costruire dallo stesso Nicola, e la nuovaresidenza, che fu chiamata “Knezev dvor”, “Reggia del princi-pe”. L’antico e turrito “konak” (palazzo), eretto nel 1838 nellostile di un maniero medievale e adibito dal gospodar Nikita au ffici ministeriali, è tuttora detto “La Biliarda”, in ricordo delpadiglione che accolse il biliardo acquistato da Danilo: arrivòdall’Europa via mare e ben 50 uomini avevano dovuto trasci-narlo lungo le irte spirali che dalla costa portano a Cettigne2 9.

C’è chi ha voluto vedere il trasloco dalla Biliardacome il frutto della superstizione del gospodar, che nella

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nuova dimora ebbe finalmente un erede maschio, Danilo, nel1871, dopo ben quattro femmine: Ljubitza, Missia, Stana eMaria. Insomma, secondo questa suggestiva teoria, abbraccia-ta anche da Renato Barneschi, biografo della regina Elena,Nicola I volle sfuggire alla mala sorte del suo predecessore,“inquilino” della Biliarda, ucciso senza aver garantito la conti-nuità della dinastia3 0.

Le date, però, non coincidono perché Stana e Marianacquero già nella nuova reggia, rispettivamente nel 1868 enel 1869. E quando venne alla luce il principino, i Petrovichavevano cambiato casa oramai da un quadriennio. Ma poi eradavvero così attento alle sospette iatture, o addirittura aff a s c i-nato dall’occultismo, come sostiene qualcuno, il padre dellaregina Elena?

Risponde il granduca Nicola Romanoff: «No, noncorrisponde al vero che il gospodar fosse superstizioso o cre-desse nei poteri medianici. Fu educato al collegio “Louis LeGrand”, tra i cui insegnanti dominavano il più totale razionali-smo e l’asciutto approccio scientifico, quasi deterministico.Piuttosto, non escluderei che Nicola I, proprio ai tempi dellasua formazione, abbia aderito alla massoneria. E questo forsepuò spiegare il perché fu abbandonato dagli Alleati dopo lafine della Grande Guerra, quando il Montenegro fu cancellatoquale stato indipendente e annesso alla Serbia. Forse Nicola Iaveva violato un qualche patto segreto».

La reggia montenegrina, comunque, agli occhi deiviaggiatori occidentali appariva piuttosto modesta, simile allavilla di un signorotto di campagna. Inizialmente si presentavacome un edificio rettangolare a due piani, ciascuno con unadecina di finestre e una scala esterna, a una sola rampa, checonduceva al pianterreno rialzato, con le sale più grandi di rap-presentanza. Dopo la nascita di Danilo e Jelena, fu necessarioampliare il palazzo: un ingegnere austriaco Parker, pagato pro-fumatamente, circa 6 mila fiorini, lo ricostruì quasi del tutto,ma sempre in uno stile assai semplice. A Nicola I non manca-vano né le sovvenzioni, né l’esperienza diretta dello sfarzodelle corti europee, perciò lo stile “dimesso” della reggia, fuprobabilmente una sua scelta per non eccitare le critiche dei

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sudditi o comunque non elevarsi ostentatamente da loro, conuna dimora troppo lussuosa.

Il Principe, all’epoca, oltre alla lista civile, riceveva unsussidio annuo di ottomila ducati dalla Russia, e di cinquemilafranchi dalla Francia. E grazie al suo s a v o i r- f a i re, il bilancioera in pari: 40 mila fiorini austriaci le entrate, altrettanto leuscite annue3 1. Quindi, la famiglia principesca del Montenegronon era affatto così “stracciona”, com’è stata descritta in moltilibri dedicati alla regina Elena.

Scrisse Bernhard Schwarz che soggiornò a Cettignenel 1883: «Da un punto di vista architettonico, si potrebbeobiettare che vive in un palazzo troppo dimesso un sovrano, dacui dipende la pace in Europa e che è, nonostante il suo regnosia piuttosto piccolo, uno dei pochi monarchi assoluti nelnostro continente. D’altro canto, lo si può ammirare per nonaver chiesto la comprensione della sua gente, che è assai pove-ra e per lo più abita in tuguri»3 2.

Da altri viaggiatori d’epoca, sappiamo che, nel 1882,quando Jelena aveva 9 anni, alle pareti delle sale private, spic-cavano i ritratti dei vladika Pietro I e Pietro II, ma anche quellidi Darinka e Danilo e del nonno Mirko, scomparso nel 1867,cui Nicola dedicò versi struggenti, intrisi di venerazione filia-le: «Fu lui che per primo mi insegnò a distinguere la “a” dalla“b”/ Tutto ciò che io so e tutto ciò che io ho/ è opera sua/ Luimi conferì il sacro compito/ di restare incorrotto/ di sacrificaretutto per la mia nobilità/ di non conoscere mai la paura/ “Sii uneroe e gli eroi saranno/ sempre e ovunque dalla tua parte”/“ L’onore, la virtù e il lavoro duro/ rendono il mondo miglioreper noi”/ O carissimo spirito benedetto/ [...] Sarò sempre imbe-vuto dai tuoi voleri e dai tuoi accesi desideri»3 3.

Nel salone delle udienze, invece, risaltavano le granditele con l’effigie dello zar Alessandro II, Francesco Giusepped ’ A s b u rgo, Napoleone III e delle rispettive consorti, altra testi-monianza tangibile delle trame diplomatico-strategiche tessutedal gospodar. Il britannico Caton Woodvile, nello stesso perio-do, descrisse lo scenico cerimoniale delle udienze mattutine diNicola I che affascinò la piccola Jela: «Eravamo introdotti allapresenza di Sua Altezza da un aiutante di campo, che interpreta-

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va la parte di ciambellano con grande eleganza. Nel percorsoverso la sala delle udienze, al primo piano, passavamo in rasse-gna, come in una sorta di rivista militare, una moltitudine divigorose guardie del corpo del Principe, disposte una per ognigradino della scala, con la sciabola sguainata in pugno»3 4.

Prima che il palazzo fosse risistemato in forma eleganteper via delle più frequenti visite di ospiti stranieri, nella saladelle udienze, il Principe non esitava a far stazionare, appenanascosti dai tendaggi, grossi sacchi di miglio e farina, che veni-vano poi depositati in cantina. Lo ricorderà negli anni a venireElena ridendo con sua nuora Maria José del Belgio, raccontan-dole di quando, da bambina, con le sorelle, saliva su quelleprovviste per vedere meglio dalla finestra il passaggio della«guardia municipale»3 5.

Le principessine subivano il fascino dei colorati e sfar-zosi costumi di militari e notabili di corte: pantaloni larghi tur-chini, panciotto rosso ricamato in oro, dalmatica di grossopanno bianco o verdolino, stretti sui fianchi da una larga fasciacolorata, calze di lana grezza bianca e il berretto, nero sugli orlie rosso in cima, con l’iniziale di Nicola ricamata in oro.

D’estate Milena amava portare i figli al mare, anche perirrobustirne i bronchi, messi a dura prova dai rigori invernali.Nei dintorni della residenza reale di Topolica, oggi diventata unconfortevole albergo, la sua spiaggia preferita, nei dintorni diCanj, verso nord, una deliziosa, piccola conca sabbiosa protettadagli scogli e affacciata su uno specchio di acqua cristallina,raggiungibile soltanto dal mare, è tuttora chiamata “La spiaggiadella regina”. Nuotate di gruppo, giocosi spruzzi, discorsi emerende su quelle rive, scandirono i soggiorni marini dei piccoliPetrovich Njegosh.

L’atmosfera totalmente serena in cui Jelena cresceva futurbata nel 1876, sia dal riesplodere della guerra contro gliOttomani, sia da una tragedia di famiglia: la scomparsa dellasorellina Sofia, che morì il 14 giugno, appena un mese e 12giorni dopo la sua nascita. Era l’ottava figlia dei sovrani che,due anni prima, avevano messo al mondo un’altra principessina,Anna (Ana), compagna di giochi prediletta della futura reginad’Italia. Il dolore per questa perdita fu comunque profondo:

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Milena, ancora debilitata dall’ennesimo parto cadde in una cupadepressione e cominciò anche ad accusare forti dolori ai reni ealtri malesseri.

«La morte della piccola Sofia», conferma NicolaR o m a n o ff, «fu un trauma per tutta la famiglia. Credo che labambina fu stroncata da una infezione, tifo, polmonite o qualco-sa del genere. A testimonianza di quanto rimase sempre vivo ilricordo di quel dolore, c’è il fatto che mia nonna Militza nel1898 ebbe due gemelle, di cui una, nata morta, volle chiamarlaSofia, come la sorellina perduta».

Fu per distrarre la moglie e favorire il miglioramentodelle sue condizioni di salute che il gospodar, quell’estate 1876,decise di portare Milena e i figli più piccoli ancora una volta sul-l’amata costa napoletana, in una villa affacciata sul golfo diPosillipo. Ljubitza e Missia restarono in Russia, dove studiavanogià da un anno, affidate per le vacanze alla signora To m i l o v a ,direttrice dello Smolny. Lì era stata mandata anche Stana, cheinizierà a frequentare il collegio nell’autunno successivo.Partirono, dunque, con i sovrani del Montenegro, Maria, Danilo,detto “Dano”, Jela e Ana. Jela aveva appena 3 anni e mezzo,eppure, a distanza di quasi un quarantennio, trovandosi con i figlia Villa Sanna, in Posillipo, mostrerà loro una casa vicino, ricor-dando che era proprio quella in cui aveva alloggiato da bambinacon la sua famiglia e raccontando di un suo incontro singolare,avvenuto durante il lontano soggiorno partenopeo: il secondore n d e z - v o u s quasi “profetico” in Campania, dopo la visita diNicola I a Maria Alexandrovna, in quel di Sorrento, nel 1 8 7 1 .

Re Vittorio Emanuele II, nonno del suo futuro marito,che all’epoca non aveva neppure compiuto i 7 anni, trovandosia Napoli, dal figlio Umberto I e dalla nuora Margherita diSavoia, venne a sapere della presenza dei principi montenegrinie volle andare a conoscerli. Il baffuto e robusto “ReGalantuomo” si imbattè così in Milena attorniata da tre bambi-ni, più una quarta, Jelena che in quel momento teneva in brac-cio. A tutti i piccoli Petrovich Njegosh, Vittorio Emanuele IIdedicò una vispa e giocosa attenzione, ma solo alla principessache un giorno sarebbe entrata a far parte della sua dinastia,prese la manina e vi posò sopra, delicatamente le labbra. Si può

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solo supporre che Jelena, intimorita dai grandi baffi e dallatotale estraneità del personaggio, abbia pianto e che forseproprio per questo “turbamento” l’episodio le sia rimastoimpresso nella memoria a dispetto della tenera età. Quel cheè certo è che per una curiosa coincidenza storica ricevette ilsuo primo baciamano da un Savoia36.

Concluso l’intermezzo partenopeo, i Petrovich, inMontenegro, si ritrovano in piena guerra con gli Ottomani:il conflitto divampa dopo l’insurrezione degli erzegovesi edegli albanesi agli sgoccioli del 1876 e, con varie pause,prosegue fino al 31 gennaio 1878. Con un esercito netta-mente inferiore, ma con una notevole capacità strategica eun “contagioso” impeto, Nicola I esce vittorioso da unaprova durissima. Garibaldi da Caprera, l’1 marzo di quel-l’anno scrive: «Il Montenegro primeggia incontestabilmentetra questi e non so se sia maggiore il genio guerriero delPrincipe o l’eroismo impareggiabile del suo popolo. A m b isono di grandissimo merito certamente»37.

Lo scontro con le truppe turche provocò migliaia divittime e feriti. Proprio di fronte la reggia, sul prato diCettigne, era stato montato un tendone circolare attrezzato aospedale militare, con tre ordini di corsie e una grande infer-meria. Mentre Nikita era al fronte, Milena si occupava conogni energia dei soldati che arrivavano in fin di vita o orren-damente mutilati. Aiutata dalla madre Jelena e da Maria, lafiglia maggiore, tra quelle che allora si trovavano con lei, sidedicò con ogni energia all’attività di infermiera, senzarisparmiarsi neppure dalle mansioni più umili, ma anche adelargire parole di conforto e gesti di affetto ai feriti che ave-vano le famiglie lontane. Alle sue bambine più piccole,Jelena e Ana, badavano la nurse e la nonna paterna, Stana.Ma Jelena non voleva saperne di restare a Palazzo. Insistevaperché la madre la portasse con sé: voleva fare qualcosaanche lei per i soldati montenegrini.

Così, le fu permesso di seguirla e di appostarsi, disera, in fondo a una delle corsie, col compito di chiamaresubito gli assistenti, al centro del tendone, se qualcuno deiferiti si fosse lamentato o avesse chiesto qualcosa.

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La piccola principessa, seduta su una cassa, atteseinvano di sentirsi utile: attorno a lei c’era il silenzio più totale.Per vincere il sonno, batteva ritmicamente i piedini sul legno.Finalmente, da un letto udì una debole voce: «Chi fa questorumore?». Jelena corse e si sentì dire: «Ho sete». Org o g l i o s a ,andò subito a riferire di quella richiesta alla madre, nel centrod e l l ’ o s p e d a l e .

Una sera, la nonna andò a cercarla nella sua “postazio-ne” e la trovò, scossa dai brividi di freddo e mezza addormenta-ta. Più e più volte l’anziana principessa Stana tentò di prenderlain braccio e portarla con sé a Palazzo, ma la bambina non vole-va abbandonare la missione di cui andava così fiera. Allora lamadre del gospodar ordinò che fossero portati lì una coperta eun materasso, e organizzò un lettuccio di fortuna per la nipoti-na, che, senza accorgersene si addormentò profondamente,serena perché non aveva lasciato da soli i feriti.

Quando riaprì gli occhi era ormai mattina e trovò chinasu di lei la sua governante tedesca, Lilian Crown, che le avevaportato una tazza di latte fumante e dei panini imburrati. A n c h equesti lontani ricordi di guerra resteranno scolpiti nel cuore diJelena, che ne parlerà ai suoi figli, bambini, durante la PrimaGuerra Mondiale, occupandosi al Quirinale dei feriti della suanuova Patria, fedele all’esempio e agli insegnamenti dellamadre Milena.

Il vittorioso armistizio del 1878 riportò casa PetrovichNjegosh in un’atmosfera di piena serenità. Leggenda vuole cheNicola I strinse addirittura amicizia con il generale turco,Osman Pascià, che aveva fatto prigioniero durante il conflitto.Il serbo Moma Kapor racconta in un suo libro delle partite apoker e a biliardo tra il principe cristiano e il condottieromusulmano, che si sarebbero scambiati donne, nonché bottigliedi champagne e tocai, al Grand Hotel di Cettigne, prigionedorata di Osman Pascià3 8.

Intanto, in quel periodo, per Elena cominciano gli studiveri e propri. Anche di francese, con una giovane insegnante dimadre lingua, Eugénie Frejainger, che poi ritroverà negli annidell’esilio a Montpellier. Le giornate della principessina eranoscandite dalle lezioni, dagli sport e dalla ginnastica, all’aperto,

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guardando le rocce carsiche, dal colore cangiante a secondadella luce. Per Nicola I, a sua volta educato fin da piccoloalle prove atletiche e marziali, la cura del fisico, garantiva lasalute e temprava lo spirito. Spesso, inerpicandosi per levette montenegrine, Jelena sbirciava le abitudini dei pastori,i loro canti, le loro premure per il gregge: tutto ciò che ave-vano. Imparò presto, poi, ad andare a cavallo, spesso contutta la famiglia, sempre in quei paesaggi maestosi e solitari,che ricercherà anche in Italia, privilegiando i rifugi sabaudirupestri o immersi nella natura selvaggia, allo sfarzo e allecomodità dei palazzi più aulici.

Cristiano Nicovich, conte di Antivari, biografo dellaregina Elena, sua parente, ne ha così descritto il cliché quo-tidiano ai tempi dell’infanzia: «Per quanto la vita di Cortefosse semplice e austera, Elena doveva osservare le regoledella famiglia montenegrina: andava a letto presto e si alza-va alle ore 6 del mattino, preparava da sé la camera da lettoe lo studio; eseguita la pulizia personale scendeva nelSalone per la colazione; dopo aver assistito alla primamessa, ossequiava il padre e la madre e riprendeva gli studi.Non trascurava mai, però, gli esercizi ginnici. Ultimate lelezioni, si recava nuovamente dal padre, il quale oltre a ren-dersi edotto degli studi, amava spesso, data la particolarevocazione della bimba, farle recitare canti popolari e suecomposizioni poetiche. Nelle ore pomeridiane si fermava ilmaggior tempo possibile con la madre, Principessa Milena,che integrava i suoi studi, con gli insegnamenti dei lavoridomestici, secondo il principio che imperò sempre nellacorte montenegrina: “Solo se si è donna completa, si puòaspirare a essere una principessa e regina perfetta”»39.

Fu Milena a trasmettere a Elena i segreti dell’artedel ricamo, ma anche quelli della cucina, che la figlia colti-verà sempre scrivendo di suo pugno le più amate ricettemontenegrine per poi distribuirle ai familiari. Le insegnò,inoltre, a cucire e a filare la lana. Al disegno e alla pittura,altre passioni sviluppate fin dall’infanzia dalla futura reginad’Italia, invece, contribuiranno entrambi i genitori e altripersonaggi ammessi nell’intimità della reggia. Primo fra

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tutti il segretario particolare di Nikita, poeta e artista dilet-tante, Sundesich.

Per quanto prezioso e onnipresente sia stato ilmodello materno, è indubbio che il particolare fascino delpadre, trattato dai suoi sudditi come eroe e leggenda vivente,fece breccia anche nel cuore di Elena, che nutrì sempre undebole per lui.

Ricorda Maria Ludovica Calvi di Berg o l o4 0, la mag-giore delle nipoti della regina, figlia della sua primogenita,Jolanda di Savoia: «La nonna mi parlava tanto di quando erabambina. Provava nostalgia per la sua gente, ma anche per iposti meravigliosi in cui era cresciuta, che descriveva con untrasporto evidente. Nei suoi discorsi ricorreva soprattutto lafigura di Nicola I, a Milena accennava appena. Fu il padre ilsuo grande amore da bambina. Era stato lui a darle il vezzeg-giativo Jela che alla nonna piaceva moltissimo: le sembrava“più dolce e affettuoso”. Il suo nome, in italiano, Elena, invece,la lasciò sempre piuttosto perplessa. Consapevole di questi sen-timenti della nonna, cui ero tanto legata, chiamai la mia primafiglia Jela. Peccato che la nonna non l’abbia mai saputo, perchémorì poco prima che nascesse la mia bambina»4 1.

Oltre all’equitazione e al nuoto, la piccola Jela praticavaanche il tennis, uno sport arrivato a Cettigne, grazie al gospodar,che volle un campo nella capitale per non deludere i diplomaticieuropei venuti in Montenegro. I primi erano stati, un console diFrancia, Monsieur Heckuard, che risiedeva a Scutari d’Albania,e uno di Russia, Petcovitsch, a Ragusa, tra il 1861 e il 1863.Sempre per favorire le “buone relazioni”, specialmente con irappresentanti britannici, Nikita vorrà anche un campo di golf,disciplina in cui, tra i giovani Petrovich, eccelleranno soprattut-to Danilo e Jelena. Altri dettagli preziosi sulla formazione diElena si ricavano dalla testimonianza di Nicola Romanoff :

« A prendersi cura dei piccoli Petrovich era stata chia-mata a corte dapprima una bambinaia tedesca, la signorinaLilian Crown. Poi, a lei, si affiancò, nel ruolo di insegnante eistitutrice, la svizzera Mademoiselle Louise Neukomm. Lafamiglia cresceva rapidamente, facendosi sempre più numero-sa. Il momento più atteso per la nidiata erano le colazioni o i

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pranzi, sempre tutti insieme attorno al grande tavolo con ilpadre, che amava moltissimo fare scherzi, provocando la gene-rale ilarità dei figli. Nicola aveva un buffo contenzioso conMademoiselle Neukomm, di convinzioni spiccatamente antimi-litariste, agli antipodi del sovrano montenegrino. MademoiselleNeukomm riteneva del tutto diseducativo per le bambine vede-re il papà sempre con un vistoso pugnale alla cintura. Fu cosìche il gospodar si “vendicò” ordendo una burla contro di lei.Una sera fu servito un p o t a g e, ma quando la Neukomm sollevòil coperchio dal suo piatto si trovò davanti uno strano brodo, incui galleggiavano proiettili di pistola lessati. I passatempi prefe-riti della regina Elena e delle sorelle, da piccole, erano le pas-seggiate, camminavano e correvano moltissimo per la campa-gna montenegrina, poi andavano a pescare con tutta la famigliasulle rive del lago di Scutari. Infine, si dedicavano al tennis».

A sei anni, la sestogenita del gospodar è una bambinaalta e slanciata, che disegna con garbo e prova già a scrivere informa poetica. Oltre al serbo parla il francese, lingua dei dialo-ghi privati con i genitori e i fratelli, ma sta apprendendo ancheil russo e un po’di tedesco, con il papà come maestro.

Intorno a sé c’è il mondo semplice di una città di nep-pure duemila anime, dalle case basse, a un solo piano, dipintein azzurro, celeste o rosa e con le pareti seminascoste dai tralcidi vite. Nicola I è il patriarca non solo della sua famiglia, ma diuna intera comunità.

Intanto, Milena ha messo al mondo altri due figli:Mirko, nel 1879, e Xenia, nel 1881, di cui Jelena ama prender-si cura, iniziando così a sviluppare il suo forte senso materno.Da casa, invece, era partito Danilo per i suoi studi viennesi. Lafamiglia principesca seguiva con l’orgoglio patrio e il fortesenso di appartenenza ispirato da Nikita le antiche tradizionipopolari montenegrine. Specie quelle legate al Natale, la piùgrande festa per i Serbi. Tutti, per esempio, andavano sullemontagne e tornavano a Cettigne, con tanti ceppi (badnjak)quanti erano i maschi di famiglia, da collocare davanti all’u-scio di casa.

Anche da anziana, Jelena non scorderà la particolaregioia domestica del nevoso dicembre 1879, quando il padre, il

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fratello Danilo, tornato per le vacanze e gli zii erano tornaticon un ceppo in più, che salutava la presenza di un nuovoprincipino nella loro casa: Mirko nato il 17 aprile di quell’an-no. Alla sera i badnjak furono portati dentro casa, e la princi-pessa Milena, come ogni donna montenegrina, vi gettò sopramanciate di grano, ripetendo a ciascuno ingresso la formula:“Benvenuto, o ceppo!”. Poi il legno veniva asperso con il vinoe messo sul focolare ad ardere tutta la notte per buon auspicio.Di prima mattina, alle 4 in punto, si sentiva bussare alla portadel Palazzo: erano gli abitanti di Cettigne che venivano a faregli auguri per il Natale: «Mir bozi, Hristos se rodi», «Pace daDio, Cristo è nato»4 2.

Un’altra usanza natalizia molto cara a Elena che l’im-porterà anche tra i Savoia, era quella di dipingere pigne e ramisecchi per ornare la casa, occupazione cui la regina d’Italiafarà dedicare le proprie figlie, come avevano fatto lei e lesorelle da piccole, aspettando la grande festa.

Il culto della casa e dalla famiglia era fortissimo e sen-tito tra i Petrovich Njegosh. Il gospodar, in occasione dellenozze della primogenita, le dedicò questi versi assai significa-tivi: «Tutto ciò che luce non è oro, ricordatene figlia mia/ esappi che principalmente sui troni la felicità non è abituata asedere/ Sotto la corona aurea sta ben nascosta la corona dispine/ Ed anche nelle leggende tu non troverai né pure un re/che sia stato veramente felice/ No, la vera, pura felicità la tro-verai soltanto nell’angolo della tua casa/ Nel lavoro serio,camminando umanamente per la via che t’è mostrata da Dio»4 3.

Elena, dall’animo sensibile, li ricopiò e li tenne semprebene in mente, ripetendoli poi a se stessa, nei giorni più bui delsuo esilio. Un altro aspetto decisivo nella sua infanzia fu l’avervisto il padre sempre confondersi volentieri tra la sua gente,sempre attorniato dal suo popolo. Che fosse per un bicchierinodi rachia nelle piccole “kafane” (osterie) o invece per i concilia-boli ufficiali, che, durante la bella stagione, si svolgevano sem-pre all’aperto. Nicola era il capo supremo dell’esercito, la mas-sima autorità esecutiva, legislativa e giudiziaria. La figlia ser-berà sempre nitida l’immagine “salomonica” del gospodarseduto sotto l’olmo alla sinistra del palazzo, a esaminare le

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varie controversie davanti a un folto pubblico riunito in cer-chio, che ascoltava attentamente, prima le arringhe dei postu-lanti, poi la decisione finale del sovrano.

Nel 1888, Nicola I, con l’aiuto del famoso giurista,Baltazar Bosicich riscrisse il codice civile (“Legge generale delPaese”) che aveva lasciato Danilo II, introducendo fra l’altro ildiritto di proprietà, quelli di credito, le regole per il commercioe le compravendite, nonché un collegio di giudici chiamato“Suprema corte”. Ma fino al 1902, anno della riforma giudizia-ria vera e propria, il principe regnante continuò a emettere sen-tenze d’appello, spettandogli sempre l’ultima parola. E la prati-ca andò avanti fino alla fine del regno, sebbene Nicola dovessechiedere il parere dell’Alta Corte prima di arrivare al verdettor i s o l u t i v o .

Chiunque poteva ricorrere al gospodar anche per que-stioni di minimo conto. E veniva anzi incoraggiato a farlo. «Setu credi», disse una volta il principe, «che ti sia stata fatta unaingiustizia anche per dieci soldi, e non vieni da me, tu non valipiù quei dieci soldi».

All’aperto, Nicola non esercitava solo la giustizia.Sotto l’olmo o nei magnifici boschi interni come quello diSpala, partecipava agli affollati banchetti, detti “Narodna vece-ra”, tenuti in occasione di cacce (specie al capriolo, al cinghialee all’orso), o per una qualche ricorrenza nazionale. Si trattavadi “mense da campo” che avevano un qualcosa di rituale, quasidi religioso, perché richiamavano la stretta solidarietà dei mon-tenegrini prima di ogni scontro contro i Musulmani, quandocapi e subordinati diventavano un tutt’uno. Interminabili tavo-late di legno venivano montate poco fuori la capitale, o spessonella piazza del mercato. Il menu era molto semplice, ma robu-sto: castrati, prosciutti, pane e vino a volontà. Poi ovviamentela castradina, carne di capra salata secondo l’usanza nata aNjegosh, il villaggio culla dei Petrovich.

Il primo e più grosso castrato da arrostire veniva porta-to, ancora vivo, ai piedi del principe che, con gesto teatrale, netagliava la testa estraendo dalla cintura il suo yagatan. Dopo diche, in un allegro chiacchiericcio, iniziava il banchetto, termi-nato il quale, tutti si alzavano e, intrecciati, l’uno con le braccia

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sulle spalle dell’altro, davano corpo a una grande ghirlandadanzante, scandendo ogni passo con i cori ritmati del kolo, anti-chissimo ballo popolare.

Il gospodar rimaneva fermo al centro del cerchio, poisi univa alla “catena”. Infine, al momento dei saluti, congedavatutti, dicendo: «Grazie miei cari!». Anche quando passava inrassegna l’esercito aveva lo stesso atteggiamento familiare.Chiamava tutti per nome e amava rivangare con i veterani gliepisodi delle vecchie battaglie. Una volta, al cospetto di unagiovane recluta, le fece togliere la baionetta dal fodero: era luc-cicante, senza neppure un graffio. Così, Nicola esclamò: «Hocapito, tu non hai tagliato che la lattuga nell’orto»4 4.

I racconti delle sorelle maggiori, Ljubitza, Missia,Stana e Maria, iscritta pure lei dal 1880 allo Smolny, durante levacanze, accesero altre curiosità nei pensieri infantili di Jelena.Lei e Ana, d’estate le ascoltavano avidamente parlare deglisplendori di Pietroburgo e delle giornate allo Smolny, dove nondi rado passava in visita la zarina Maria Alexandrovna, miticamadrina del collegio, che fra l’altro invitava spesso le princi-pessine del Montenegro a balli e ricevimenti di corte.

I gioielli, gli abiti sfarzosi, il portamento dell’impera-trice e delle dame del suo seguito vennero descritti così minu-ziosamente a Jelena, che le parve già di conoscere la sua madri-na di battesimo. Non potrà mai vederla, contrariamente a quan-to sostenuto da molti suoi biografi che, incorrendo in una gros-sa svista, ne descrivono addirittura l’incontro nella sala da ballodello Smolny, nonché gli apprezzamenti lusinghieri che la«zarina madre» avrebbe rivolto alla figlioccia, debuttante nel1888, in cui avrebbe visto una possibile moglie per il nipote,futuro zar Nicola II: tutto ciò non può essersi verificato perchéMaria Alexandrovna, nata principessa d’Assia, morì cinquanta-seienne, il 3 giugno 1880, due anni prima che Jelena arrivasse aP i e t r o b u rgo per i suoi studi!4 5

Quel che sicuramente omisero Missia e Stana, discor-rendo con le sorelle, poiché era argomento disdicevole per delleeducande, fu invece lo scandalo di cui soffrì fino all’ultimoMaria Alexandrovna, già di salute malferma e debilitata da benotto gravidanze: la convivenza m o re uxorio del marito, con la

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principessa Ekaterina Dolgorouki. Lo zar la sposò morg a n a t i-camente in seconde nozze, il 18 luglio 1880, dopo appena unmese e mezzo di vedovanza, quando già lei gli aveva dato quat-tro figli, tra il 1872 e il 1878. Del padrino Alessandro II, Jelasentì solo parlare con trasporto, di come i russi l’avessero ribat-tezzato “Il liberatore” per aver finalmente abolito la servitùdella gleba. D’altre parte lo zar era amico personale e alleatostretto del gospodar a un punto tale che era solito ripetere: «Oh,la Russia è ben popolosa! Ha trecentomila montenegrini e cen-toventi milioni di moscoviti»4 6.

Nel 1881, anche il padrino di Jelena scomparve, ucci-so da un attentato. La tragedia sconvolse le principesse dellaMontagna Nera già iscritte al collegio russo, che, tornate, acasa ne diedero un concitato resoconto. Illuminante, da questopunto di vista, la testimonianza del granduca NicolaR o m a n o ff :

«Mia nonna ricordava benissimo, il giorno in cuiarrivò allo Smolny la notizia dell’assassinio di Alessandro II.Le insegnanti, cinicamente, avevano detto a tutte le allieve:“È solo colpa vostra!”, provocando così grandi pianti tra leragazze che restarono a lungo sotto shock»4 7.

I fasti e la vita aristocratica di Pietroburgo, però, attrae-vano in minima parte Jelena, forse la più attaccata al suoMontenegro tra i ragazzi Petrovich. Il padre intuiva dal suovolto la struggente malinconia che la prendeva al pensiero che,presto, anche lei avrebbe dovuto raggiungere le sorelle inRussia, per assicurarsi una buona istruzione. E probabilmente,proprio per compensare questo dolore, che Jelena cercava dis o ffocare per non dispiacere i genitori, il gospodar le fece unagraditissima sorpresa, portandola con sé, sul finire dell’estate1882, a Vienna, a bordo del treno speciale, che sempre gli invia-va la corte russa per i suoi viaggi più lunghi. Il soggiornoaustriaco non era il primo per Nikita che era stato accolto giàaltre volte da Francesco Giuseppe e dal suo e n t o u r a g e. Per lafiglia, la cui destinazione finale sarebbe stata lo Smolny diP i e t r o b u rgo, la tappa viennese, accanto all’adorato papà, fuinvece una elettrizzante novità, in grado di fugare ogni tristezza.

Fra l’altro, nella capitale asburgica, il gospodar portò

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la figlia a conoscere la vecchia imperatrice, la quasi ottanten-ne Maria A n n a4 8, vedova di Ferdinando I, un’altra Savoia,figlia di Vittorio Emanuele I, che, morto senza eredi maschi,come poi suo fratello Carlo Felice, aveva propiziato l’ascesaal trono del ramo dinastico dei Carignano, quello del futuromarito di Jelena. L’ex imperatrice, rimasta sabauda nell’ani-mo, non aveva mai imparato il tedesco e parlò con il gospodare la principessina in francese. Più delle nozze sterili e infelici,aveva segnato il suo cuore la perdita delle tre sorelle, special-mente di Maria Cristina, regina delle Due Sicilie, morta infama di santità, non ancora ventiquattrenne nel 1836, dopoaver dato alla luce il suo unico figlio, Francesco II. In una let-tera scritta a Maria Anna poco prima del parto, Maria Cristinaaveva previsto la tragica fine cui andava incontro. E questaera una delle tante “prove” fornite al processo di canonizza-zione della regina di Napoli, già dichiarata venerabile nel1859 da Pio IX, dalla vedova di Ferdinando I d’Asburgo, cheviveva con l’ultima speranza di veder riconosciuta alla sorellala gloria degli altari.

Di tutto questo Maria Anna parlò alla fanciulla mon-tenegrina, che seppure di altra confessione, fu rapita dai suoiracconti sulla bontà e sull’instancabile slancio caritatevole diMaria Cristina, che aveva visto nella sua posizione di sovranasoprattutto l’opportunità di alleviare le sofferenze altrui. Nonè un caso, se a circa mezzo secolo di distanza da quell’incon-tro, di cui conservò un ricordo indelebile, Elena, ne riferì alfiglio Umberto II, incline come lei al misticismo e più sensi-bile alle tematiche religiose del padre. Insieme fecero tutto ilpossibile perché fosse accelerato l’i t e r della beatificazionedell’ava sabauda, che verrà dichiarata “di virtù eroiche” nel1937, da Pio XI, lo stesso pontefice che concesse quell’annola “Rosa d’oro” della cristianità alla regina d’Italia, definen-dola «regina della carità»4 9.

Alla sequela di curiose coincidenze storiche chericorrono nella vita di Jelena se ne aggiunge un’altra, semprerisalente a quel periodo. Nel 1882, anno in cui lei intrapresegli studi russi, tornato in patria, Nicola I decise di mandare 14giovani di buona famiglia in Italia, presso alcune tra le più

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prestigiose accademie militari. Fino a quel momento il tiroci-nio degli ufficiali era stato “dirottato” dal Principe, che inten-deva modernizzare l’organizzazione, la tattica e le strategiedel suo esercito, esclusivamente verso la Russia. Nikita nonpoteva ancora immaginare quale esiti il richiamo italiano checominciava ad avvertire avrebbe avuto nel futuro della figliaprediletta e di tutti i Petrovich Njegosh.

Continua in Luciano Regolo

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INDICE

P remessa di Vittorio Emanuele di Savoia pag 7I n t roduzione di Simeone di Sassonia Coburgo GothaPresidente del Consiglio dei Ministri di Bulgaria pag. 91 . La piccola “Vila” di Casa Petrovich pag. 132 . “Occhi di cerbiatta ferita”

allo Smolny di Pietroburg o pag. 463 . La zarina mancata pag. 674 . Tra amori e ragion di Stato pag. 895 . «Sposerò Elena o nessun’altra» pag. 1226 . «Egli è venuto dal mare» pag. 1517 . Il giallo dell’abiura pag. 1908 . Diario di un matrimonio reale pag. 2339. «Un raggio di sole in Casa Savoia» pag. 271

1 0 . Sul trono tra lacrime e promesse pag. 32111 . Finalmente madre pag. 3611 2 . L’Angelo dello Stretto pag. 4071 3 . La Regina e la Grande Guerra pag. 4531 4 . Gli anni felici di “Bonsinini” pag. 50115. Piccoli principi crescono pag. 5491 6 . Il destino si compie pag. 5981 7 . Lettere segrete alla vigilia dell’esilio pag. 6471 8 . Jelena per sempre pag. 685

N o t e pag. 745Indice dei principali nomi citati pag. 777

Fotografie e illustrazioni si trovano nelle pagine:6 - 8 - 12 - 13 - 31 - 113 - 147 - 170 - 234 -276 -

346 - 370 - 410 - 438 - 454 - 506 - 672 - 684 -737 -738 - 744 - 776 - 794

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