Javier Bardem. Biutifulactor

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I film e la carriera di un grande interprete del cinema contemporaneo, da Almodovar fino a Hollywood

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FALSOPIANO

Davide Mazzocco

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JAVIERBARDEMbiutifulactor

Che cosa significa, oggi, essere un attore? La risposta sembra darla, semplicemente con

la propria carriera, Javier Bardem. La recitazione è il liquido amniotico in cui ha nuotato sin

dall’infanzia, circondato da una dinastia di uomini e donne di cinema che hanno fatto la

storia della settima arte in terra di Spagna. Eppure, nonostante questo background “gene-

tico”, nonostante i riconoscimenti ottenuti ad ogni latitudine, mai e poi mai sentirete parlare

questo attore di talento. Bardem preferisce associare i propri successi al lavoro e alla de-

dizione. Come i suoi grandi predecessori cresciuti a pane e Lee Strasberg, egli possiede

la duttilità, la coordinazione, il carisma, il senso dello spazio e il coraggio per cedere, al-

ternativamente, il monopolio della propria performance al corpo o all’orizzonte psicologico.

Le cinque ore di trucco quotidiane necessarie per essere Ramón Sampedro e il raggiun-

gimento dell’inquietante monoespressività di Anton Chigurh, i ritmi stakanovistici necessari

per diventare Reinaldo Arenas e il grande lavoro preparatorio per incarnare il David di

“Carne tremula” sono il paradigma della sua capacità di condurre a livelli di eccellenza la

rappresentazione sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista psicologico. Perché

“un attore ha l’obbligo di sentire le cose, non solo di conoscerle” racconta l’attore in un’in-

tervista. In una commedia di Woody Allen o in un dramma senza via d’uscita di Alejandro

González Iñárritu, in un noir di Joel ed Ethan Coen o in un biopic di Alejandro Amenábar il

suo approccio al personaggio viene costantemente regolato da due forze apparentemente

divergenti: la millimetrica meticolosità della preparazione e l’estrema naturalezza dell’inter-

pretazione. Dai primi ruoli nei film di Bigas Luna e Pedro Almodóvar ai recenti successi

hollywoodiani, questo libro racconta vent’anni di cinema nei quali l’attore spagnolo è di-

ventato un punto di riferimento per tutti coloro che lavorano davanti alla macchina da presa.

Molto più che un semplice interprete dei sogni e delle vite altrui, Bardem si scopre, film

dopo film, un teorico dell’arte della recitazione, un inesauribile esploratore dei limiti della

rappresentazione scenica, un uomo instancabilmente innamorato del proprio mestiere.

Davide Mazzocco, 36 anni, è nato e vive a Torino. Giornalista e fotografo è redattore del

sito “Quotidiano Piemontese” nel quale si occupa di cronaca, cultura e spettacoli. Colla-

boratore delle riviste “Alp”, “Slow Food” e “Narcomafie”, ha scritto per i quotidiani “l’Unità”

e “L’Adige”. Scrive per il teatro e colleziona colli alpini in sella alla sua inseparabile bici-

cletta. Folgorato da “Sur un arbre perché” di Serge Korber nell’estate dei suoi cinque anni,

da allora ha visto migliaia di film con una predilezione per il cinema d’autore francese,

quello statunitense degli anni Settanta, la commedia all’italiana e i noir. Javier Bardem.

Biutifulactor è il suo primo libro di cinema.

Davide Mazzocco

JAVIERBARDEMbiutifulactor

Davide Mazzocco

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www.falsopiano.com/bardem.htm€ 19.00

ISBN: 978-8889782767

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Ringraziamenti

A Paula, sol nascido no ocidente.

A Marco Casa, perché l’idea di questo libro è nata in una delle nostre

innumerevoli fertili conversazioni.

A mio padre Pierluigi, Alejandro de la Fuente e Angelo Castrovilli per

il supporto logistico e per la preziosa fornitura di materiale video.

Ai miei amici Giovanni e Dario coi quali ho condiviso la visione di

tanti film dai tredici anni in su.

A Davide e Roberto che sono saliti sulla mia barca quando era anco-

ra una zattera.

In copertina: Javier Bardem in una scena di Non è un paese per vecchi(No Country for Old Men, di Ethan e Joel Coen, 2007)

© Edizioni Falsopiano - 2011via Bobbio, 14/b

15100 - ALESSANDRIAwww.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri e Roberto Dagostini

Prima edizione - Dicembre 2011

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INDICE

Biutifulactor.Il mestiere dell’attore secondo Javier Bardem p. 9

«È un attore drammatico» p. 14

Nel segno dell’eros p. 25

Fuga dai cliché fra noir e commedia p. 41

Le sfide del corpo da Carne tremula a Prima che sia notte p. 65

Le sfide del corpo da Prima che sia notte a Mare dentro p. 101

Alla conquista di Hollywood p. 133

Dall’Oscar a 007, gli anni della fama globale p. 157

Filmografia essenziale p. 181

I premi e le nomination p. 195

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BIUTIFULACTORIl mestiere dell’attore secondo Javier Bardem

Che cosa significa essere un attore nel terzo millen-nio? C’è un professionista che più di tutti gli altri sembrapoter rispondere, con la propria carriera, a questa doman-da. Si chiama Javier Bardem. La recitazione è il liquidoamniotico in cui ha nuotato sin dall’infanzia, circondatoda una dinastia di uomini e donne di cinema che hannofatto la storia della settima arte in terra di Spagna. Eppure,nonostante questo background “genetico”, nonostante iriconoscimenti ottenuti ad ogni latitudine, mai e poi maisentirete parlare questo attore di talento. Bardem preferi-sce associare i propri successi al lavoro e alla dedizione.Come i grandi attori cresciuti a pane e Lee Strasberg(Marlon Brando, Al Pacino ma soprattutto Robert DeNiro) Bardem possiede la duttilità, la coordinazione, ilcarisma, il senso dello spazio e il coraggio per cedere,alternativamente, il monopolio della propria performanceal corpo o all’orizzonte psicologico. Nel primo caso - pre-valente nella sua carriera - il corpo diventa uno strumen-to per esplorare i limiti della recitazione. Quasi vi fossenel percorso delle sue scelte professionali una remine-scenza del passato di sportivo, Bardem sembra affrontareogni nuova sfida professionale come un cartografo chedebba definire i confini di un nuovo territorio. Ciò che èstato fatto da Werner Herzog, esploratore dei limiti “fisi-ci” della regia, viene tentato da Bardem in campo attoria-le. Quali sono i confini che può toccare un attore? Dovesi può spingere il corpo dell’attore? Le cinque ore di truc-co quotidiane necessarie per essere Ramón Sampedro e ilraggiungimento dell’inquietante monoespressività diAnton Chigurh sono i mezzi per “accordare” lo strumen-to-corpo in modo da produrre un risultato unico e irripe-tibile. Questi due ruoli sono il paradigma della capacità diBardem di condurre il binomio corpo-psicologia a livelli

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di perfezione raramente raggiungibili. La commozionepriva di ricatti morali suscitata dal primo e la paura scate-nata dalla fredda e amorale missione omicida del secondogiocano su un registro di sottrazione che sembrerebbeestraneo al titanismo del ruolo. È proprio su questi pre-supposti che si fonda la maturità di attore di Bardem. InNon è un paese per vecchi (No country for old men,2007), Chigurh fa paura ma è una paura diversa da quel-la che suscitava il Jack Torrance di Shining. Laddove JackNicholson eccedeva, Bardem trattiene. E il resto lo fannole scelte registiche dei fratelli Coen con la loro genialeintuizione di far avvenire gli omicidi di Llewelyn e CarlaJean Moss (Josh Brolin e Kelly McDonald) fuori scenaquasi a voler avvicinare il loro capolavoro postmodernoalla tragedia greca, con tanto di Ed Tom Bell (Tommy LeJones) nel ruolo di coro. Pur dando il meglio in film chelo vedono giocare sul suo straordinario trasformismo esulla sua esuberante fisicità, Bardem sa, altrove, costruireraffinate psicologie, in piccoli film a basso costo chediventano casi cinematografici grazie alla sua capacità difar brillare di luce riflessa anche chi gli sta attorno.Raccontare la sua storia di attore richiede un eserciziopiuttosto inconsueto nella pubblicistica cinematografica,molto spesso concentrata sui registi più che sugli inter-preti: quello di esaminare come il suo stile di recitazionesia cambiato dalle prime prove sotto la regia di BigasLuna ai successi hollywoodiani. Perché se si possonoenucleare fasi della carriera per gli autori, il medesimoapproccio può semplificare lo scandaglio di un percorsoattoriale. Il Bardem che debutta in ruoli molto fisici e sen-suali, si misura successivamente con il noir e la comme-dia, per poi intraprendere una fase di estenuante speri-mentazione sui limiti del corpo dell’attore che inizia conCarne tremula (1997) di Pedro Almodóvar e si concludecon Mare dentro (Mar adentro, 2004) di AlejandroAmenábar. La quarta fase vede l’attore confrontarsi con lamacchina hollywoodiana pur mantenendo una propria

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autonomia stilistica. La quinta è in corso d’opera: dopol’Oscar del 2008 Bardem diventa uno degli attori piùrichiesti a livello globale: questo gli permette di operarescelte molto eterogenee che vanno da film che si calano inprofondità nella realtà contemporanea come Biutiful(2010) di Alejandro González Iñárritu a megaproduzioniseriali come il ventitreesimo capitolo della saga di JamesBond che lo vedrà interpretare il ruolo del villain.

La sua capacità di mettersi in gioco con umiltà, di ridi-scutere le coordinate del proprio mestiere in ogni avven-tura professionale e di relazionarsi in maniera paritetica eaperta coi colleghi semplificano non solo lo sforzo deiregisti ma anche quello degli spettatori. Come? La recita-zione di Bardem non è cerebrale. Nella maggior parte deicasi la sua bravura si sente prima nella pancia che nellatesta. Quando ci si documenta sugli sforzi che ha com-piuto per entrare nella parte, quando si prende atto deisacrifici fatti per sostenere un ruolo, la convinzione di tro-varsi di fronte a un grande attore è già data per scontata.Al massimo si rafforza. Al momento del ritiro del premiodi miglior attore al Festival di Cannes 2010, ElioGermano ha scherzosamente chiesto se sulla sua statuettaci fosse scritto che la vittoria era stata ottenuta ex aequocon Javier Bardem. Per quanto leggero e scanzonato, l’a-neddoto ben evidenzia come l’attore spagnolo sia attual-mente la pietra di paragone per chiunque intenda fare del-l’arte della recitazione la propria professione. Quello cheDe Niro è stato per la generazione degli anni Settanta eOttanta, Bardem lo è stato per gli anni Zero. Con il suoviscerale mimetismo frutto di una meticolosità e di unaprecisione maniacali, l’attore spagnolo opera sempre inquel range ristretto occupato dai grandissimi che sta fra ilcamaleontismo e l’overacting. A stupire è, inoltre, la pun-tualità con la quale si assume il rischio di ruoli estremisenza ricorrere all’ipergestualità o a qualsiasi tipo di scor-ciatoia atta ad accattivarsi i favori del pubblico. Esistonoattori che danno il meglio di loro stessi quando vengono

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diretti da grandi registi (si pensi ai “due” Tom Cruise,quello diretto da Stanley Kubrick, da Oliver Stone e daPaul Thomas Anderson e a quello più commerciale egigioneggiante sotto la guida di registi minori) e altri chesanno adattarsi alla mano e alla visione del regista for-nendo regolarmente prove magistrali indipendentementedal registro richiesto dal loro ruolo (il truce Daniel DayLewis di Gangs of New York è efficace quanto il repressoDaniel Day Lewis de L’età dell’innocenza). Inutile direcome Bardem appartenga a questa seconda schiera.

È doverosa una premessa. La maturazione di Bardemcome attore avviene nella Spagna del boom economicodegli anni Novanta. E l’esplosione dell’economia ibericasi accompagna a un boom del cinema che ne registra l’e-voluzione da grigia dittatura a multiforme potenza globa-le. In questa temperie culturale i registi Pedro Almodóvar,Juan José Bigas Luna, Alejandro Amenábar e Álex de laIglesia riescono a conquistare spazi importanti portando ilcinema spagnolo fuori dai confini nazionali. Se fra glianni Trenta e Settanta gli unici spagnoli ad avere un’am-pia distribuzione internazionale erano stati Luis Buñuel,Luis García Berlanga e Juan Antonio Bardem, a partiredagli anni Novanta le pellicole iberiche ottengono grandesuccesso anche in Europa e persino negli Stati Uniticreando un movimento e vere e proprie star. La carriera diBardem decolla nel 1993 con l’interpretazione di Huevosde oro. In quella stagione cinematografica gli spettatoricomplessivi nelle sale spagnole sono 92,6 milioni ma diquesti soltanto il 9,07% sceglie pellicole della produzionenazionale. Sei anni dopo - nella stagione di Tutto su miamadre (Todo sobre mi madre, 1999) - gli spettatori totalisono 131,3 milioni ma la percentuale degli spettatori delmercato interno è del 16%. Il biennio 2000-2001 segna unpunto di svolta per il cinema spagnolo: Pedro Almodóvarvince l’Oscar per il miglior film straniero con Tutto sumia madre, Bardem ottiene la Coppa Volpi a Venezia conun film di produzione statunitense, Prima che sia notte

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(Before night falls, 2000) di Julian Schnabel, AlejandroAmenábar gira The Others (2001) con Nicole Kidman,Penelope Cruz gira tre pellicole a Hollywood al fianco diJohnny Depp, Matt Damon e Tom Cruise. Il cinema spa-gnolo entra di prepotenza a Hollywood dove AntonioBanderas si è già insidiato da qualche stagione diventan-do addirittura regista per Pazzi in Alabama (Crazy inAlabama, 1999). La sensuale Maribel Verdù recita nelsottovalutato Y tu mama tambien (2001) del talentuosomessicano Alfonso Cuaròn. L’osmosi con Hollywoodproduce un effetto benefico sul box office: il 2001 è lastagione dei record con 146,8 milioni di spettatori di cui26,2 scelgono pellicole spagnole (contro gli 8,6 del 1993).Il bilancio del mercato interno (17,9%) è trainato dallaperformance di The Others che porta al cinema ben 6,4milioni spettatori (ovverosia il 23,8% di coloro che vannoa vedere un film spagnolo). Comincia da quel momentoun lento e progressivo abbandono delle sale che culminanei 104,4 milioni complessivi del 2009. Nel 2005 JavierBardem, ormai richiestissimo da Hollywood, e AlejandroAmenábar danno vita a Mare dentro, opera che metted’accordo critica e pubblico facendo razzia di premi (adAmenábar vanno il Leone d’argento a Venezia, l’Oscar dimiglior film straniero e una messe di riconoscimenti dellacritica iberica fra cui il Goya come miglior film, aBardem la Coppa Volpi, il Fotogramas de Plata e il Goyacome miglior attore) e portando al cinema 4 milioni dispagnoli (con un’incidenza del 20,7% di spettatori sultotale delle produzioni spagnole). Nel 2004 gli spettatorisono 143,9 milioni, cifra che segna la sommità di unaparabola da quel momento in costante discesa.

A quel punto Javier Bardem decide di spendere le suedue candidature ai Golden Globe per dedicarsi full time aHollywood. Mentre la Spagna fa i conti con i primi scric-chiolii della crisi economica lui conquista il premio Oscarcon Non è un paese per vecchi. Ora può scegliere secon-do la vecchia regola cerchiobottista “un film per me, un

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film per loro” cara a King Vidor, ovverosia un film di cas-setta e un film d’arte. Ecco allora alternarsi le prove lightdi Vicky Cristina Barcelona e di Mangia, prega, ama(Eat, pray, love, 2010) con quelle di Biutiful e del prossi-mo The Burial di Terrence Malick.

«È un attore drammatico»

Quando Javier Ángel Encinas Bardem nasce a GranCanaria il 1° marzo 1969, il ramo materno della sua fami-glia è già una delle dinastie più floride del cinema spa-gnolo. Il nonno Rafael debutta sul grande schermo nel1940 con Mauricio o Una vitima del vicio; nonostante unavvio tardivo (all’epoca ha 51 anni) il capostipite deiBardem diventa uno dei caratteristi più richiesti della suagenerazione, basti pensare che fra il 1947 e il 1949 il suonome compare in ben 19 produzioni spagnole, fra le qualispiccano Eroi senza gloria (La Mies es mucha, 1948) eRomanzo d’una donna perduta (Una mujer cualquiera,1949). È il regista Rafael Gil a impiegarlo nei ruoli piùdiversi come nel Padre Manuel de Il segreto di Fatima(La señora de Fatima, 1951), nel direttore di banca de Ilsegreto di una stella (Ser intrépida, 1952), nell’uomo cheprepara la cena de Il bacio di Giuda (El beso de Judas,1957). Gli anni Cinquanta sono intensissimi per il patriar-ca della dinastia che partecipa a oltre 60 pellicole, quasisempre con ruoli di secondo piano. Anche sua moglieMatilde Muñoz Sampedro è attrice di cinema e teatro edha due sorelle che si dividono fra teatro e cinema,Guadalupe e Mercedes.

Nel 1953 il loro figlio Juan Antonio (nato a Madrid nel1922) debutta alla regia con Esa pareja feliz e chiamaentrambi i suoi genitori a recitare. Juan Antonio si affer-ma immediatamente come uno degli autori più talentuosidella sua generazione e non manca di coinvolgere il padrein altri film come Felices pascuas (1954), Ho giurato di

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ucciderti (La venganza, 1958) e L’avventuriero dei duemondi (Sonatas, 1959) e la madre in altre pellicole, quasia voler alternare le due figure genitoriali nei suoi lavori.Nel 1957 Rafael Bardem interpreta il ruolo di Elia Vagoniin Totò, Vittorio e la dottoressa per la regia di CamilloMastrocinque. Il finale di carriera è all’insegna dei film digenere di produzione italiana: eccolo ne Il vendicatore diKansas City (1965) e in Sette pistole per i McGregor(1966) e in un paio di brutte copie dei film di James Bondche proliferano in quegli anni, Da 077: intrigo a Lisbona(1965) e Agente x 1-7 operazione Oceano (1966). Muorenel 1972 a Madrid, all’età di 83 anni, con ben 112 filmall’attivo in appena trent’anni di carriera. La “nonna”,invece, continua a lavorare incessantemente fino allamorte - avvenuta nel 1969, quando Javier ha appena seisettimane - interpretando spesso il ruolo di donne energi-che e volitive.

Ma è soprattutto Juan Antonio a portare alla celebritàla famiglia dei Bardem. Formatosi insieme al regista LuisGarcía Berlanga nelle file dell’opposizione antifranchista,debutta nel 1951 dirigendo con il collega Esa pareja feliz,storia di una coppia di operai madrileni che risente del-l’influsso del neorealismo italiano e che segna la rinasci-ta del cinema spagnolo. La sua carriera prosegue conCómicos, Felices pascuas, Gli egoisti (Muerte de un cicli-sta, 1955) che si aggiudica il premio di miglior film alFestival di Cannes e Calle Mayor (1956) che ottiene ilpremio della critica alla Mostra del Cinema di Venezia.Nel 1958 il suo Ho giurato di ucciderti diventa il primofilm spagnolo a ottenere la candidatura all’Oscar comemiglior film straniero. Ma, al momento della consegnadei premi, la storia di faide familiari interpretata da RafVallone, Fernando Rey, Arnoldo Foà e Carmen Sevillasoccombe a Mio zio (Mon oncle) di Jacques Tati. Ci vor-ranno altri 24 anni prima che un film spagnolo vincal’ambita statuetta - José Luis Garci con Ricominciare(Volver a empezar, 1982) - e 50 anni esatti perché suo

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nipote Javier conquisti quella di miglior attore. Grandeammiratore del cinema italiano Juan Antonio Bardemviene frequentemente distribuito nel nostro paese forman-do con Buñuel e Berlanga un trittico di autori da esporta-zione. L’avventuriero dei due mondi (Sonatas, 1959),Sulla sabbia è passata la morte (Los inocentes, 1963),Amori di una calda estate (Los pianos mécaniques, 1965)lo consacrano a livello internazionale. In quest’ultimapellicola il regista madrileno può vantare un cast inter-nazionale con la greca Melina Mercouri, l’ingleseJames Mason e il tedesco Hardy Kruger. Nel 1972 èdietro la macchina da presa in una produzione italianache ha come protagonista Omar Sharif: L’isola miste-riosa e il capitano Nemo. A metà degli anni Settanta lasua attività si biforca fra la produzione televisiva e piùsporadiche regie cinematografiche come L’altra casa aimargini del bosco (La corruption de Chris Miller,1973) e El poder del deseo (1975). Divenuto una sortadi monumento nazionale, negli ultimi anni di carrieraJuan Antonio Bardem si dedica a due biopic televisivisui più grandi artisti spagnoli del XX secolo: fra il 1987e il 1988 gira i sei episodi di Lorca, morte di un poetae nel 1993 le quattro puntate di El joven Picasso. Nel1998 avviene l’addio al cinema con Resultado final.Muore il 30 ottobre 2002 all’età di 80 anni.

La terza figura della famiglia Bardem è Pilar, figlia diRafael e sorella di Juan Antonio. Nata a Siviglia nel 1939debutta nel 1965 con El mundo sigue. Dopo la nascita diJavier torna al cinema con Aberrazioni sessuali in unpenitenziario femminile (Las melancolicas, 1971) filmche i distributori italiani titolano in maniera ingannevolein modo da attirare la morbosità del pubblico del sexploi-tation ma che in realtà è ben altra cosa dal genere carce-rario, svolgendosi in realtà in un manicomio. Come suopadre Rafael e suo fratello Juan Antonio anche Pilar par-tecipa a produzioni italiane come Dirai: “Ho ucciso perlegittima difesa” (1974). Proprio nel 1974 Pilar interpre-

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ta il ruolo di Cariharta nella serie televisiva El picaroscritta, diretta e interpretata da Fernando Fernán Gómez,uno degli attori spagnoli più famosi dell’epoca. Lo sce-neggiato segue le vicende del picaro Lucas Trapaza neisuoi pellegrinaggi fra Spagna, Italia e Baviera. Nelmondo del cinema è tradizione coinvolgere nel ruolo dibambini figli o parenti degli attori. Ed ecco che il 13novembre del 1974 il piccolo Javier si trova per la primavolta davanti alla macchina da presa. Uno sdentato bifol-co tenta in tutti i modi di farlo ridere, così come richiedeil copione, ma non c’è nulla da fare. Quando, poi, arriva-no i due briganti con la pistola esplode in un pianto adirotto. Il regista e attore Fernán Gómez ironizza sullaperformance del piccolo attore con una battuta che ha ilgusto della predestinazione: «Rinunciamo, è un attoredrammatico».

Bardem, però, in un’intervista al sito internet del NewYork Times 1 fa riferimento a un altro episodio per descri-vere la sua epifania di attore: «C’è un momento in cui hodeciso di fare l’attore. È successo quando avevo cinqueanni: ero con mio padre ed ero vestito come un cacciato-re pronto per il safari con un piccolo coltellino. Non face-vo nulla di particolare ma credo che in quel momento ioabbia capito di essere un personaggio». Il primo ricordocinematografico è All that jazz (1979) su cui Bardem iro-nizza: «C’erano molte donne nude e volevo assolutamen-te rivederlo!» Anche La febbre del sabato sera (Saturdaynight fever, 1977) lo suggestiona e il piccolo Bardem sidiverte a imitare John Travolta intrattenendo la madre e lesue colleghe attrici nelle pause delle prove a teatro. È pro-prio la madre Pilar a nutrire in Javier la passione per larecitazione portandolo con sé sul set e nei retropalchi:«Sono stato abituato ad avere molto rispetto per questaprofessione. Ho visto mia madre tremare nel camerino edopo salire sul palcoscenico e dare tutto. E da lei ho impa-rato che se avessi dovuto fare qualcosa avrei dovuto farlobene. Ricordo di aver trascorso notti e notti intere ripas-

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sando con lei i copioni. Mi incantava farlo. Lei faceva ilsuo personaggio, io le altre parti e quando non si ricorda-va il copione lo ripeteva, lo ripeteva fino a impararlo amemoria. Lo facevamo per cinque o sei volte e la settima,quando già dominava il copione e la tecnica, la vedevovolare. In quelle notti imparavo che cos’era il sacrificio,l’ordine e il lavoro» 2.

La figura materna è fondamentale nella formazionedel giovane Javier che a dieci anni compare in un’altrapellicola interpretata dalla madre El poderoso influjo dela luna (1980). Negli anni Novanta la sua consacrazionecome attrice coincide con il debutto di Javier. Le loro stra-de si incrociano in Le età di Lulù (Las edades de Lulù,1990) dove madre e figlio svolgono la stessa attività lavo-rativa: si prostituiscono. Nel 1998, partecipano entrambia Carne tremula di Pedro Almodóvar: Pilar è la maitressedi un bordello che aiuta una delle sue “ospiti” a partoriresu di un autobus. Si tratta del prologo del film che si svol-ge nel gennaio del 1970 e che ha un divertente risvoltometafilmico: la partoriente è Penelope Cruz che diventerànel luglio 2010 moglie di Javier e nel gennaio 2011 madredel suo primo figlio Leo! Ma il divertissement fra realtà efinzione non finisce qui: la futura vera moglie del veroBardem dà alla luce il finto figlio che, una volta cresciu-to, soffierà la finta moglie Francesca Neri al finto Davidinterpretato da Bardem. Quando si dice il destino… Unaltro aneddoto gustoso è quello riguardante i Premi Goyache la sera del 27 gennaio 1996 vedono imporsi Pilarcome miglior attrice non protagonista per Nessuno par-lerà di noi (Nadie hablará de nosotros cuando hayamosmuerto, 1995), Javier come miglior attore per Boca aboca e Miguel - figlio di Juan Antonio - per La madre, ilmiglior cortometraggio dell’anno con Pilar e Javier final-mente nel ruolo di madre e figlio. Pilar, fra l’altro è pre-sente con una comparsata anche in Boca a boca.Insomma, una serie infinita di incroci familiari. Pilar eJavier partecipano con due camei anche a Nessuna notizia

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da Dio (Sin noticia de dios, 2001) ed è a lei e a tutto ilramo materno della sua famiglia che, nel marzo 2008,Javier dedica il suo Oscar: «Mamma questo è per te, per ituoi nonni, per i tuoi genitori, questo è per gli attori diSpagna che hanno portato come te dignità e orgoglio allanostra professione».

Decisamente più enigmatica è la figura di José CarlosEncinas Doussinague, il padre che abita una zona d’om-bra nella biografia dell’attore canariano. Non è un casoche lui e i suoi fratelli Carlos e Monica abbiano scelto diconservare il cognome materno come nome d’arte.L’unica dedica pubblica al padre è stata fatta nel gennaio1996 in occasione della sua seconda vittoria ai premiGoya: già malato di leucemia, José Encinas si spegnequalche settimana dopo in un ospedale madrileno.

José Carlos Encinas Doussinague, studente diEconomia, conosce una giovanissima Pilar Bardem e frai due si stabilisce quasi subito un’intensa relazione.Subito dopo il matrimonio, però, Pilar si accorge di averecommesso uno sbaglio: l’uomo virile, colto, intelligente ericco di senso dell’umorismo rivela una personalità enig-matica. Josè cambia circa dieci impieghi: prima lavoraper la Piuma d’oro, una marca di impermeabili, poi peruna ditta di foraggi composti, dopo per un’azienda diimport-export e, verso la fine degli anni Sessanta, perun’agenzia immobiliare canariana diretta da un poliziotto.È proprio nei cinque anni di soggiorno alle Canarie chenasce Javier. Non sono le difficoltà economiche a metterein crisi il matrimonio, quanto la personalità dispotica,autoritaria e imprevedibile del capofamiglia che - a sepa-razione già decisa ma non ancora firmata - esplodeaddirittura alcuni colpi di pistola nel tentativo di aprire laporta che Pilar tiene chiusa per impedirgli di portare i figlicon sé. Come in un melodramma di Almodóvar, in un’al-tra occasione è Pilar a impugnare un’arma da fuoco. Dopoaver atteso invano il ritorno dei figli dalla SettimanaSanta trascorsa col padre a Bagdad (dove il genitore lavo-

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Un giovane Javier Bardem (nel tondo) con la divisa della Nazionalegiovanile di rugby (courtesy Federación Española de Rugby)

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rava per un’azienda di costruzioni), Pilar si reca nella casamadrilena del marito e lo minaccia con una pistola: «Mihai detto che non avevo le palle per venire e spararti, eccotieni» dice premendo il grilletto. «Gli sparai due volte -racconta nella sua autobiografia Pilar -, premetti il grillet-to due volte. Non era caricata. Altrimenti sarebbe statoimpossibile sbagliare da quella distanza, lo avrei ucciso».Vinto da una lunga malattia, José Encinas viene accom-pagnato dai figli sino alla fine: «I miei figli si precipi-tarono al suo cappezzale - ricorda Pilar nelle sue memo-rie - Non avevo mai visto il maggiore piangere in questomodo. Diedi a Carlos un bacio sulla fronte gelata e glidissi che lo perdonavo per tutto il male che mi avevafatto, che andasse tranquillo e me ne andai a lavorare ateatro. Iniziai il 1996 come una vedova».

Anche Carlos e Monica hanno scelto la carriera diattori, anche se con esiti molto lontani da quelli del cele-bre fratello e di alcuni loro predecessori. Carlos è il fratel-lo maggiore. Nato a Madrid nel 1963 debutta piuttostotardi, passati i trent’anni partecipando con i suoi duefratelli a Más que amor, frenesí (1996). I tratti somatici daindio ne orientano la carriera verso le produzionid’Oltreoceano dove interpreta spesso il ruolo dell’ispano-americano. In Perdita Durango, il primo ruolo anglofonodi suo fratello, Carlos interpreta il cugino traditore cheuccide Romeo Dolorosa. Le loro carriere si lambisconoanche in altre occasioni: nella commedia Torrente, elbrazo tonto de la ley (1998) o ancora in L’ultimo inquisi-tore (Goya’s Ghost, 2006), dove Carlos ha una piccolaparte in cui impersona un ufficiale francese. Nelle ultimestagioni la carriera di Carlos è evoluta verso ruoli piùstrutturati, staccandosi dalla subordinarietà che lo legavaal suo fratello minore: prove ne sono il ruolo di Gerardoin La zona (2007) di Rodrigo Plá, di Moises Guevara inChe-Guerrilla (2008) di Steven Soderbergh e di Apachein Cella 211 (Celda 211, 2009) di Daniel Monzon.Decisamente più episodica è la carriera di attrice cine-

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matografica di Monica Bardem, più giovane di Carlos diappena un anno. Il debutto avviene nel 1993 con il ruolodi Lola Ruiz Picasso in una fiction televisiva sul grandepittore iberico. Nello stesso anno Monica lavora conAlmodóvar in Kika - Un corpo in prestito (Kika, 1994) edue anni dopo fa parte del cast di Boca a boca (1995). Lesue apparizioni terminano alla fine degli anni Novanta.

Tanto per non smentire la tradizione famigliare, Javiersi lega sentimentalmente alla donna più desiderata diSpagna, tale Penelope Cruz che nel primo ruolo impor-tante della carriera ha interpretato la sua ragazza. È il1992, l’anno di Prosciutto, prosciutto (Jamon, jamon).Javier ha 23 anni e Penelope 18. I due partecipano ad altridue film senza mai occupare la stessa scena: in Carnetremula Penelope partecipa al prologo di un film che haJavier protagonista e in Nessuna notizia di Dio Javiercompare con un cameo di 5” sui titoli di coda nien-tepopodimeno che come incarnazione trascendente emascolina di Penelope che è la protagonista “terrena”della pellicola. Per riaverli contemporaneamente sullascena bisogna dunque attendere il 2008, quando i dueattori spagnoli compongono con la maliziosa ScarlettJohansson e l’innocente Rebecca Hall il teatraedroamoroso di Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen. Lapellicola è galeotta. L’amicizia maturata sedici anni primasi trasforma in una relazione che Javier manifesta pubbli-camente solamente al momento della premiazione comemiglior attore protagonista al Festival di Cannes del 2010:“Mi amiga, mi compañera, mi amor... Penelope!” è ladedica dello spagnolo ritirando il premio di miglior attore.Poco più di un mese dopo i due si sposano in gran segre-to alle Bahamas. Il 22 gennaio 2011 nasce Leo EncinasCruz. Sarà lui a inaugurare la quarta generazione diattori? Di certo i geni non gli mancano...

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Carlos Bardem

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Note

1 Lynn Hirschberg, T Screen Test Films. Lynn Hirschberg talks withJavier Bardem, (http://www.youtube.com/watch?v=KP7e9bk6_ok), 4settembre 2008.

2 Elsa Fernadez Santos, No soy un genio, “El Pais”, 21 novembre2010.

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Nel segno dell’eros

Nel 1989 Bardem è un Superman in calzamaglia -«Non è un uccello, non è un aereo... è Superman!» dice ilpresentatore - alquanto goffo nel programma El día pordelante della televisione spagnola. Il giovane Javier fa da“sparring partner” alla madre attrice ripetendo con lei icopioni, si fa le ossa a teatro, lavora come attrezzista, fala comparsa al cinema e recita in televisione (nella serieSegunda Enseñanza) per pagarsi gli studi all’Accademiadelle Belle Arti dove coltiva la passione per la pittura egioca a rugby arrivando addirittura nella nazionale giova-nile spagnola. Il rugby oltre a forgiarne il fisico, gli rega-la un’impostazione mentale che Bardem ama ricordare innumerose interviste: «Ho praticato numerosi sport ma ilmio preferito è stato sicuramente il rugby. Mi sono rottole ossa e il naso ma in quindici stagioni di pratica ho impa-rato l’importanza di far parte di una squadra, l’importanzadi conoscere la mia posizione e di poter supportare in unmovimento comune quelli che stanno al mio fianco.Quando giro un film mi ricordo di quanto ho imparato nelrugby» 3. Gli ex compagni di squadra sono a tutt’oggi isuoi migliori amici: «I miei vecchi compagni della squa-dra di rugby nella quale giocai dai 9 ai 25 anni sono il miosegreto e sono importanti quanto una famiglia. La famigliati pone in situazioni più estreme perché non la scegli, magli amici li eleggi tu. Sono i miei punti di riferimento, lamia ossessione. Mi hanno aiutato a non perdermi. Primadella serata del mio Oscar dissi al mio agente che avreiportato alla cerimonia circa 17 persone, loro con le loromogli. Ed egli dovette accettare perché tutto quello che miè capitato di bello è anche merito loro» 4.

Pur non abbandonando il rugby, compiuti vent’anniBardem decide di tentare la carta del cinema. In Le età diLulù (Las edades de Lulù, 1990) Bigas Luna sfrutta la suafisicità per il ruolo di un gigolò che si prostituisce conaltri compari per solleticare le fantasie della protagonista

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Pilar Bardem

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Francesca Neri. Come abbiamo già accennato in prece-denza anche la madre di Javier interpreta il ruolo di unaprostituta. Bardem è il “regista” degli accoppiamentiorgiastici con Lulù e attore di rapporti sodomitici cheBigas Luna riprende in maniera abbastanza esplicita. Leprime importanti apparizioni cinematografiche di Bardemsono tutte all’insegna dell’eros. Almodóvar gli offre unruolo secondario in Tacchi a spillo (Tacones lejanos,1991). Ricopre il ruolo di Antonio in Amo tu cama rica(1991) di Emilio Martinez Lazaro, partecipa con piccoliruoli alle serie televisive Brigada central (1990), Tango(1992) e Cronicás del mal (1992) ma fa il definitivo saltodi qualità con Prosciutto prosciutto di Bigas Luna. A soli22 anni Javier ottiene il primo ruolo da protagonista alfianco dell’allora diciottenne Penelope Cruz. Il cast èinternazionale, oltre alle due giovani promesse del cinemaspagnolo ci sono le italiane Stefania Sandrelli e AnnaGaliena e il connazionale Jordi Mollà. La fisicità prorom-pente di Bardem viene sfruttata al massimo da BigasLuna che non gli risparmia accoppiamenti acrobatici conla Cruz e effusioni più ordinarie con la Sandrelli, nonchéprimi piani piuttosto espliciti sugli slip che indossa comemodello di intimo. Classico melodramma iberico,Prosciutto, prosciutto ha come protagonista la giovaneSilvia (Penelope Cruz), figlia dell’ex prostituta Carmen(Anna Galiena) e fidanzata di José Luis (Jordi Mollà).Quando Silvia rimane incinta e i due giovani decidono disposarsi, Conchita (Stefania Sandrelli), madre di JosèLuis e moglie di Manuel (Juan Diego), decide di assolda-re Raul (Bardem) perché seduca Silvia e mandi a monte ilmatrimonio. Ma il piano sfugge di mano alla sua stessaburattinaia: oltre a Silvia è la stessa Conchita a rimanerevittima del fascino di Raul e a offrigli qualsiasi cosa incambio di un rapporto sessuale. Raul si “accontenta” diuna Yamaha Fzr600 e inizia dei veri e propri straordinaritour de force amatori dividendosi fra il legame genuinoper la bella Silvia e quello mercenario per la perfida

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Prosciutto, prosciutto (1992) di Bigas Luna

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Conchita. La situazione precipita e i due contendenti si sfi-dano brandendo due prosciutti come fossero spade: JoséLuis morirà e Raul resterà gravemente ferito. La coreogra-fia del duello finale riprende l’iconografia del dipintoDuello rusticano di Francisco Goya, un nome che torneràripetutamente nella carriera di Bardem alcuni anni dopo.

Il film viene presentato al Festival del cinema diVenezia del 1992 e suscita pareri contrastanti. La giuriadecide di assegnargli il Leone d’argento a pari merito conHotel de Luxe di Dan Pita e con Un cuore in inverno (Uncoeur en hiver) di Claude Sautet. Il personaggio eccessi-vo, smargiasso e guascone di Bardem lo istrada su ruolida mascalzone, ruffiano ed erotomane che mettono inluce la presenza scenica e l’impronta estremamente fisicae sensuale della sua recitazione. Bigas Luna, d’altronde,non potrebbe essere più esplicito: nella prima scenaBardem si allena per una toreada con il pene eretto, nellaseconda è inquadrato nella selezione per i modelli dellapubblicità di intimo della ditta diretta dai famigliari diquello che sarà il suo futuro rivale in amore. La sensualitàdei protagonisti viene spesso associata al cibo. Il pro-sciutto del titolo viene evocato più volte da Raul che lavo-ra, appunto, come distributore dei prosciutti Los conqui-stadores. Entrambi gli amanti di Silvia sono attratti daiseni di Silvia per il loro sapore di tortilla. Conchita primadi sedurre Raul mangia dell’aglio. Tragicommedia daisapori forti, Prosciutto, prosciutto propone una girandoladi passioni in cui tutti intrattengono o hanno intrattenutorelazioni con i protagonisti del piccolo microcosmo cheruota intorno alla coppia dei due giovani fidanzati: Silviaama prima Luis poi Raul, Luis ha avuto una relazione conCarmen e ora ama Silvia, Raul si divide fra Conchita eSilvia, Carmen ha avuto una storia sia con Luis che consuo padre e così via con uno schema binario che nonrisparmia neanche i genitori di Luis. L’abbraccio finaleche evoca la pietà michelangiolesca è insieme tragico eironico: Manuel abbraccia Silvia, Conchita Raul e

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Carmen José Luis. I giovani vengono abbracciati dagliadulti, ma non sono i genitori ad abbracciare i figli ma gliamanti adulti che abbracciano gli amanti giovani. Già per-ché nel frattempo, mentre la situazione precipita, ancheManuel, padre di Josè Luis, viene sedotto dall’acerba bel-lezza di Silvia. Bigas Luna crede, dunque, in una preva-lenza dei legami nati dalla passione rispetto a quelli datidalla consanguineità. Ma non tutte le passioni sono since-re. Il personaggio più ambiguo è proprio il Raul interpre-tato da Bardem il quale pur dicendo di amare alla folliaSilvia si fa ripetutamente comprare da Conchita, primacon una moto, poi con il miraggio di una Mercedes.L’ambizione di Raul contiene il germe di BenitoGonzález, personaggio che Bardem incarnerà un annodopo, sempre al servizio di Bigas Luna. Il film esce nel1992, una stagione capitale nella quale la Spagna approdain Europa e organizza le Olimpiadi di Barcellona avviandoun processo di modernizzazione che la porterà a quindicianni di vorticoso sviluppo economico e sociale. Il perso-naggio di Bardem sembra incarnare più di tutti gli altri letensioni opposte che brulicano nella penisola iberica: dauna parte il richiamo atavico della tradizione (sesso, cibo etoreada), dall’altro quello del progresso (ricchezza e statussymbol). E come non vedere una metafora della Spagnaprossima ventura in Bardem e Penelope Cruz che si accop-piano sotto una di quelle silouhette taurine di cui fu disse-minata la penisola iberica per pubblicizzare un noto mar-chio di cognac? È da questo film che nasce un cinema ibe-rico che vent’anni dopo porterà, proprio quei due attori, aivertici di Hollywood. Con Prosciutto, prosciutto arrivanoanche i primi riconoscimenti da parte della critica: il pre-mio San Jordi come miglior attore spagnolo e le nomina-tion al Fotogramas de Plata e ai premi Goya. «Fu un’asce-sa molto potente - racconta Bardem in un’intervista a “ElPais” datata 8 marzo 2007 a firma Rocio García -, come uncolpo di pistola. Il successo fu grande sia per il film che pernoi tutti ma fu lì che cominciai a rallentare il passo. Mi

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chiesi: “Posso arrivare a meta così facilmente?”. Grazieall’esperienza della mia famiglia sapevo che questa è unacarriera che richiede costanza e per questo incominciai arallentare il ritmo. Mi dissi che se volevo invecchiare benenel cinema mi restavano molti errori da fare e molte coseda apprendere. Lo ricordo come un momento ansioso.Avevo 21 anni. “Dove sto sto andando? Dove sto andan-do?” mi domandavo. Fu in quel momento che fissai gli assifondamentali della mia carriera, di quello che credevopotesse essere il mio futuro».

Negli anni Novanta il cinema spagnolo sembra faresplodere la sessualità e la vitalità troppo a lungo repres-se negli anni del franchismo. La maggior parte dei filmche vengono distribuiti in Italia in quegli anni sono con-traddistinti da un alto tasso di erotismo, dalla frequentepresenza di attrici italiane e da quella del giovane Bardemche dimostra di non avere pregiudizi per ruoli che metto-no in primo piano la sua fisicità. Succede lo stesso perL’amante bilingue (El amante bilingue, 1993) di VicenteAranda. Norma (Ornella Muti) è una ricca donna spagno-la che parla sia il castigliano che il catalano. Sposata conl’umile Juan (Imanol Arias) lo tradisce ripetutamente conamanti occasionali che seduce per strada e nei bassifondi.Gli ipotetici amanti prima dell’accoppiamento devonosuperare un esame: mantenere sul loro pene eretto unascarpa senza farla cadere. Naturalmente anche Bardem -che in questo film interpreta un lustrascarpe - supera l’e-same calzaturiero. Si tratta di un ruolo secondario che fada trait d’union fra le due pellicole di Bigas Luna cherivelano il talento attoriale di Bardem. La seconda è Uovad’oro (Huevos de oro, 1993) film del quale Bardem èassoluto mattatore. Benito González è miltare carpentierea Melilla, nel Marocco spagnolo, insieme all’amicoMiguel (un giovanissimo Alessandro Gassman). La suafidanzata Rita (Elisa Touati) lo tradisce con il commilito-ne e Benito, una volta lasciato dalla ragazza, torna inpatria e fonda un’impresa edile a Benidorm. Desideroso

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di edificare la Torre González, l’edificio più alto diBenidorm, Benito, pur avendo una relazione con la sen-suale Claudia (Maribel Verdù), sposa Marta (Maria deMedeiros), la figlia del ricco finanziere Gil. Marta sco-perta la relazione del marito con Claudia accetta di farparte di un rapporto a tre che si conclude tragicamente conun incidente d’auto in cui Claudia perde la vita e Benitorimane gravemente menomato. Dopo una lenta riabilitazio-ne e ormai sommerso dai debiti, Raul conosce in un clubnotturno Ana e va a vivere con lei a Miami. La donna lo tra-disce con un giardiniere (Benicio Del Toro) costringendoloal contrappasso di un ménage à trois che si conclude con unpianto finale, carico di amarezza.

La critica di Bigas Luna alla Spagna dei primi anniNovanta è feroce. In questo film rieccheggia lo stesso spi-rito caustico delle commedie italiane degli anni Sessantacon le quali Monicelli e Risi descrivevano il nostro boomeconomico. La pantagruelica fame di Benito González simanifesta con la stessa voracità a tavola, in camera daletto e negli affari. Sin dal titolo - le uova d’oro che allu-dono ai testicoli - il tema della duplicità accompagna ilprotagonista nella sua parabola dall’inferno al paradiso eritorno. Il personaggio bigger than life di Bardem mangiacon voracità animalesca, seduce le donne piegandole allasua volontà con la forza persuasiva della sua esuberantesessualità ma, soprattutto, si muove con aggressività earrivismo nel mondo degli affari, passando come un rullocompressore su sentimenti e legami. Due catenine, duerolex d’oro, due cani, due donne, Benito vuole due ditutto. Afferma che il sesso è arte e fantasia ma non appe-na la situazione di dominio e di regia gli sfugge (si vedal’attrazione lesbica di sua moglie per Claudia) eccolodiventare capriccioso come un bambino. Canta a squar-ciagola Por el amor de una mujer di Julio Iglesias matutto sembra avere tranne la capacità di amare veramenteuna donna. Insieme a Bardem il regista Luna architetta unfilm nel quale il simbolismo è sempre dietro l’angolo.

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L’inscindibile legame fra sesso e potere si manifesta inmaniera esplicita nel desiderio di costruire la torre più altadella città. Proiezione fallica nello skyline cittadino, laTorre González è anche il luogo in cui il protagonistaincontra nuovamente Rita, la ragazza che lo ha tradito eche ora va da lui per ottenere, dopo esserglisi concessa, unlavoro da carpentiere per Miguel, suo fidanzato ed excommilitone di Benito. Assolutamente incapace di essereelegante, Benito possiede un guardaroba criminale nelqule improbabili camicie a righe vengono alternate acasacche leopardate. Lui non se ne cura: «Meglio unrozzo arricchito che un povero raffinato» dice. Emblemadel parvenu, González descrive la sfortunata parabola dichi vuole ascendere socialmente in un mondo che nonaccetta così facilmente i nuovi arrivati nelle stanze deibottoni. La megalomania, l’esuberanza e la sfrontatezzache lo condurranno alla rovina lo rendono, allo stessotempo, insopportabile e umano, irritante e verosimile. Ilfinale ha il sapore del contrappasso, della pena che invo-lotariamente si autoinfligge chi vuole troppo e finisce,invece, per rimanere con un pugno di mosche. Il fatto cheBardem pianga mentre scorrono le note di Por el amor deuna mujer vuol forse dire che Benito ha puntato tutto sultavolo sbagliato, quello del benessere economico.

Evoluzione del Raul di Prosciutto, prosciutto, Benitone possiede la stessa vitalità ma la convoglia - più del suo“progenitore” - nell’ambito dell’affermazione economica.Laddove Raul di fatto si prostituisce per una moto o per ilmiraggio di una Mercedes, Benito usa il sesso come unaleva di comando per esercitare il proprio potere su donneche sono il mezzo per arrivare al suo fine: la costruzionedella Torre. Si veda, per esempio, il modo in cui la suarapida ascesa viene descritta nei due ambiti in cui Benitoesercita il suo potere: i locali (per la sfera pubblica) e lacamera da letto (per la sfera privata). Dagli infimi localiin cui porta Rita a Melilla, Benito passa al ristorante sullaspiaggia in cui conosce Claudia, quindi, al ristorante di

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Roberto LasagnaWalt Disney. Una storia del cinema

Nicola BoariWakamatsu Koji. Il piacere della distruzione

Meris NicolettoValerio Zurlini. Il rifiuto del compromesso

Ignazio SenatoreRoberto Faenza. Uno scomodo regista

Nicolò Barretta - Andrea Chimento - Paolo ParachiniAlla ricerca della (in)felicità. Il cinema di Todd Solondz

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