j L’installazione in Austria Giorgio de Chirico I cieli in ... · za di interessi su Giorgio de...

2
G g ( 9 g g g à g à g g à g g g à g à g g à g g g g g G g g g g g (94 (9 g 9 (9 G g g g g gg g à g g gg g à g g gg ( gg ( 95 a aa a a a a I a a a a a a a a aa a a a 9 9

Transcript of j L’installazione in Austria Giorgio de Chirico I cieli in ... · za di interessi su Giorgio de...

Page 1: j L’installazione in Austria Giorgio de Chirico I cieli in ... · za di interessi su Giorgio de Chirico è la necessità di posizionarci. Cioè la necessità, dettata dalle visioni

ono bruttissimi questi», diceva la fidanzata al fidan-zato nella prima sala della mostra che il Palazzo Reale di Milano

ha dedicato alla carriera del pictor optimus, Giorgio de Chirico (fino al 19 gennaio). E quali erano le tele che trovava “bruttissime”, quella ragazza? I primi autoritratti, di pro-filo, il profilo greco che si porterà appresso dovunque, come sigillo dello spirito che lo animerà nella sua costante metamorfosi. Ogni vol-ta che de Chirico cambia, e il centi-naio di capolavori esposti lo raccon-ta benissimo, c’è un carattere a cui non può rinunziare, ed è la grecità. Ora, se chi entra alla mostra di de Chirico lo identifica con la metafisi-ca e con la post metafisica, con il manichino, certo: resta spiazzato da quel tratto così tenero, affettuo-so, con cui egli ritrae sé e la madre. Lì, su quelle figure in primo piano che tuttavia non guardano ancora verso di noi, lì dentro c’è tutto l’a-more e tutto il rimpianto di chi si prepara al mondo, che è il motivo per cui a una certa età quei ritratti sono magnifici, e forse all’età della ragazza che li spregiava non lo so-no ancora. Ma c’è anche un’altra co-sa che nasce da quella prima sala e arriverà fino alla fine dell’ottava, lì dove termina il percorso espositi-vo: il cielo. Il cielo di de Chirico è tutta la luce su cui si stagliano i sog-getti, oppure è il luogo da cui arriva la luce per le sue ombre. Oppure è una piccola finestra che indica l’i-spirazione alle Muse in una camera chiusa al mondo. Soprattutto è un cielo mediterraneo, è il cielo dei na-viganti che sono salpati dalla ma-dre Grecia e sanno che in ogni mo-mento, anche da Parigi, anche con l’impazzar della guerra, potranno tornarci. Perché è un cielo intimo, interno. E in questo sintagma nomi-nale ossimorico, nell’impressione che suscita, c’è tutta la grandezza di un pittore che riesce a creare questo: un cielo intimo. È verde, è azzurro, è il vero orizzonte lì dove finiscono i portici de L’enigma di una giornata (1914), ed è il vero bina-rio su cui scorre la ferrovia de La surprise (1913), la stazione d’arrivo, il tempo fermo del suo orologio de Les plaisirs du poète del 1912. Senza il cielo, senza la luce, non vi è l’om-bra, senza l’ombra non serve la sta-tua e non c’è Il figliol prodigo (1922) che possa tornare.

Giorgio de Chirico ha disegnato e dipinto tanto, tantissimo, ha avu-to una vita lunga e densa di cui ha conservato e usato tutto: la figura dell’ingegnere, suo padre, morto giovane; il fratello dioscuro Alber-to Savinio; l’ortogonalità ferrarese e quella di Torino, e gli incontri con chi l’ha saputo sostenere e capire e interpretare, e pretendere che fos-se ascritto al novero dei grandissi-

mi. Otto sale e cento opere non so-no né poche né molte per farsi una passeggiata nel mondo di de Chiri-co, e certo tra i meriti del curatore Luca Massimo Barbero c’è l’aver im-maginato un percorso che desse a chi non ne sa nulla la possibilità di venirne fuori con un’idea fatta, e a chi già conosce de Chirico, di ve-der finalmente da vicino alcune opere meno reperibili, come I gla-diatori da New York o da collezioni private. Oppure tutti assieme certi cicli, come quello, magnifico, de Le muse inquietanti, o ancora perce-pirne fino in fondo l’ironia degli au-toritratti in foggia di torero, Nel parco, In costume nero e nudo (fuor-ché per un mutandone aggiunto dopo, imposto perché la tela fosse esposta). Ma anche la noia, a volte, che diventa subito irrequietezza: quando tra la metafisica e la neo metafisica ci si ritrova nel Canal Grande a Venezia (1952). Tutte le

strade vanno esplorate, e lo scavo avviene sempre (sempre in arte, sempre) nella memoria. Il mare de I bagni misteriosi è un parquet forse perché quando Giorgio da ragazzi-no andava ai bagni aveva terrore della parte di palafitta che finiva in acqua, così racconta egli stesso. La memoria il cui trionfo è nella tela commoventissima de L’archeolo-go, in posa da sarcofago etrusco, il cui busto è fatto di capitelli e porti-ci, e mare, e case imbiancate a cal-ce.

Le opere d’arte non hanno mai bi-sogno di accreditarsi come contem-poranee: o lo sono perché ne stia-mo parlando, oppure non se ne par-la più dunque non lo sono. Ciò che non è stato classico non riuscirà a essere contemporaneo, e però ci dev’essere qualcos’altro in contro-luce se Milano, dall’ultima persona-le a lui dedicata, con lui presente, del 1970, decide di raccontare de Chirico, e negli stessi mesi La nave di Teseo gli dedica cinque pubblica-

zioni realizzate sotto la direzione scientifica della Fondazione Gior-gio e Isa de Chirico. L’editrice, Elisa-betta Sgarbi, ferrarese amante di Ferrara, affida due monografie: Im-magini metafisiche e La vita e l’ope-ra alle amorevoli cure di Riccardo Dottori e Fabio Benzi e poi pubbli-ca tre libri di de Chirico: Memorie della mia vita con un apparato ico-nografico inedito e la prefazione di Franco Cordelli, e l’ultimo ( magni-fico) sulla produzione poetica, cu-rato da Andrea Cortellessa La casa del poeta a cui seguirà, a novembre, Ebdomero. Se vi è una possibile in-terpretazione di questa convergen-za di interessi su Giorgio de Chirico è la necessità di posizionarci. Cioè la necessità, dettata dalle visioni di-stopiche di gigantismo, ipertrofia: l’uomo e l’androide e il suo simula-cro, e la possibilità di tenere ciò che siamo e ciò che sappiamo tutto in sincronia: il Tempio in una stan-za (1926).

milano

Giorgio de ChiricoI cieli in una stanza

©RIPRODUZIONE RISERVATA

na foresta brucia in Amazzonia e un’altra ne sorge a Klagenfurt, nel cuore della Carin-zia austriaca. È una coincidenza

che fa diventare il progetto For Fore-st di Klaus Littmann un’azione di re-sistenza e speranza. Prendere uno stadio di calcio e trasformarne il ret-tangolo di prato in una foresta. Una vera foresta, con trecento alberi e sottobosco. Una foresta che nasce da un sogno, quello che Littmann ha inseguito per trent’anni. Dar vita a un disegno di Max Peintner, visto agli inizi degli anni Settanta. Una fol-gorazione per Littmann. E in effetti Peintner in quegli anni realizzava di-segni dalla visionarietà surreale, a ri-guardarli ora in mostra allo Standt-galerie di Klagenfurt. Quello che col-pì Littmann raffigurava uno stadio con una foresta al suo interno. Im-magine meravigliosa, con il pubbli-co in piedi di fronte al prodigio, ep-pure angosciante per quella natura racchiusa in una teca. Una sensazio-ne che si fa potente davanti alla fore-sta che ora realmente sorge.

C’è la bellezza, ma anche disagio per qualcosa che sembra un souve-nir, una rarità da wunderkammer. Qui a Klagenfurt è stato fatto un pro-

fondo lavoro botanico, affidato all’architetto paesaggista Enzo Enea. Trecento piante con un’età media di cinquant’anni, che ripro-ducono la tipica foresta autoctona, con specie ormai rare nella realtà a causa della diffusa pratica della mo-nocultura, provenienti da Germa-nia, Belgio e Italia. Un’impresa rea-lizzare questa foresta, che suscita anche molte polemiche. Non si può negare il rischio che sia un’operazio-ne estetica e costosa, effimera (fino al 27 ottobre), con una monumenta-lità che stona con gli intenti ecologi-ci e di sostenibilità del progetto. Poi, non avrebbe avuto un impatto visi-vo e simbolico maggiore realizzarla in una zona desertica? Tutti comun-que ne parlano, immagine ormai vi-rale. Ha ragione il guardiano della torre campanaria di Klagenfurt, quando dice, citando Antonio Gram-sci, che «questa foresta è bella ed è comunque un’operazione riuscita perché non lascia nessuno indiffe-rente». E infatti per Littmann l’im-portante è che l’immagine della sua For Forest rimanga nella memoria collettiva come un’icona verde. Non ci dimentichiamo delle foreste. An-che quando la sua uscirà dallo sta-dio per entrare a far parte del pae-saggio circostante.

Il borsinoLe mostrein Italia

ROBINSON Arte

di Valeria Parrella

Eterno perché classicoContemporaneo

perché le sue figuresono già postumane

Il più greco dei pittori

italiani torna protagonista

con una mostra a Palazzo RealeMentre anche

l’editorialo riscopre

Lo svizzero Klaus Littmann ha piantatotrecento alberi nel campo da calcio

di Klagenfurt. Con un messaggio. Verde

Leonardo mai visto8.984 visitatoriMilano Castello SforzescoFino al 12 gennaio 20202 Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa

9.419 visitatoriVeneziaPeggy Guggenheim CollectionFino al 27 gennaio 20201 May You Live in Interesting Times

30.091 visitatoriVeneziaLa Biennale Arte 2019Fino al 24 novembre 3

L’installazione in Austria

Allo stadio c’èuna foresta

U

gio

rgio

de

chir

ico

by

siae

201

9

gio

rgio

de

chir

ico

by

siae

201

9

jMetafisicoGiorgio de Chirico:I bagni misteriosi (1934); nella paginadi sinistra,Il figliol prodigo (1922)e Autoritrattonudo (1943)Le operesono tutte esposte in mostra al Palazzo Reale di Milano (catalogo MarsilioElecta)

S

Libri d’artistaDi Giorgio de

Chirico, La nave di Teseo pubblica

Memorie della mia vita (foto),

La casa del poeta e, dal 21

novembre, Ebdomero

a cura diSilvia Silvestri

di Olga Gambari

Ger

hard

Mau

rer

i For ForestIl progetto di Klaus Littmann, che ha trasformato il Wörthersee Stadion di Klagenfurt,Austria, in una foresta con 300 piante

gio

rgio

de

chir

ico

by

siae

201

9

©RIPRODUZIONE RISERVATA

pagina 34 Sabato, 19 ottobre 2019.

Page 2: j L’installazione in Austria Giorgio de Chirico I cieli in ... · za di interessi su Giorgio de Chirico è la necessità di posizionarci. Cioè la necessità, dettata dalle visioni

ono bruttissimi questi», diceva la fidanzata al fidan-zato nella prima sala della mostra che il Palazzo Reale di Milano

ha dedicato alla carriera del pictor optimus, Giorgio de Chirico (fino al 19 gennaio). E quali erano le tele che trovava “bruttissime”, quella ragazza? I primi autoritratti, di pro-filo, il profilo greco che si porterà appresso dovunque, come sigillo dello spirito che lo animerà nella sua costante metamorfosi. Ogni vol-ta che de Chirico cambia, e il centi-naio di capolavori esposti lo raccon-ta benissimo, c’è un carattere a cui non può rinunziare, ed è la grecità. Ora, se chi entra alla mostra di de Chirico lo identifica con la metafisi-ca e con la post metafisica, con il manichino, certo: resta spiazzato da quel tratto così tenero, affettuo-so, con cui egli ritrae sé e la madre. Lì, su quelle figure in primo piano che tuttavia non guardano ancora verso di noi, lì dentro c’è tutto l’a-more e tutto il rimpianto di chi si prepara al mondo, che è il motivo per cui a una certa età quei ritratti sono magnifici, e forse all’età della ragazza che li spregiava non lo so-no ancora. Ma c’è anche un’altra co-sa che nasce da quella prima sala e arriverà fino alla fine dell’ottava, lì dove termina il percorso espositi-vo: il cielo. Il cielo di de Chirico è tutta la luce su cui si stagliano i sog-getti, oppure è il luogo da cui arriva la luce per le sue ombre. Oppure è una piccola finestra che indica l’i-spirazione alle Muse in una camera chiusa al mondo. Soprattutto è un cielo mediterraneo, è il cielo dei na-viganti che sono salpati dalla ma-dre Grecia e sanno che in ogni mo-mento, anche da Parigi, anche con l’impazzar della guerra, potranno tornarci. Perché è un cielo intimo, interno. E in questo sintagma nomi-nale ossimorico, nell’impressione che suscita, c’è tutta la grandezza di un pittore che riesce a creare questo: un cielo intimo. È verde, è azzurro, è il vero orizzonte lì dove finiscono i portici de L’enigma di una giornata (1914), ed è il vero bina-rio su cui scorre la ferrovia de La surprise (1913), la stazione d’arrivo, il tempo fermo del suo orologio de Les plaisirs du poète del 1912. Senza il cielo, senza la luce, non vi è l’om-bra, senza l’ombra non serve la sta-tua e non c’è Il figliol prodigo (1922) che possa tornare.

Giorgio de Chirico ha disegnato e dipinto tanto, tantissimo, ha avu-to una vita lunga e densa di cui ha conservato e usato tutto: la figura dell’ingegnere, suo padre, morto giovane; il fratello dioscuro Alber-to Savinio; l’ortogonalità ferrarese e quella di Torino, e gli incontri con chi l’ha saputo sostenere e capire e interpretare, e pretendere che fos-se ascritto al novero dei grandissi-

mi. Otto sale e cento opere non so-no né poche né molte per farsi una passeggiata nel mondo di de Chiri-co, e certo tra i meriti del curatore Luca Massimo Barbero c’è l’aver im-maginato un percorso che desse a chi non ne sa nulla la possibilità di venirne fuori con un’idea fatta, e a chi già conosce de Chirico, di ve-der finalmente da vicino alcune opere meno reperibili, come I gla-diatori da New York o da collezioni private. Oppure tutti assieme certi cicli, come quello, magnifico, de Le muse inquietanti, o ancora perce-pirne fino in fondo l’ironia degli au-toritratti in foggia di torero, Nel parco, In costume nero e nudo (fuor-ché per un mutandone aggiunto dopo, imposto perché la tela fosse esposta). Ma anche la noia, a volte, che diventa subito irrequietezza: quando tra la metafisica e la neo metafisica ci si ritrova nel Canal Grande a Venezia (1952). Tutte le

strade vanno esplorate, e lo scavo avviene sempre (sempre in arte, sempre) nella memoria. Il mare de I bagni misteriosi è un parquet forse perché quando Giorgio da ragazzi-no andava ai bagni aveva terrore della parte di palafitta che finiva in acqua, così racconta egli stesso. La memoria il cui trionfo è nella tela commoventissima de L’archeolo-go, in posa da sarcofago etrusco, il cui busto è fatto di capitelli e porti-ci, e mare, e case imbiancate a cal-ce.

Le opere d’arte non hanno mai bi-sogno di accreditarsi come contem-poranee: o lo sono perché ne stia-mo parlando, oppure non se ne par-la più dunque non lo sono. Ciò che non è stato classico non riuscirà a essere contemporaneo, e però ci dev’essere qualcos’altro in contro-luce se Milano, dall’ultima persona-le a lui dedicata, con lui presente, del 1970, decide di raccontare de Chirico, e negli stessi mesi La nave di Teseo gli dedica cinque pubblica-

zioni realizzate sotto la direzione scientifica della Fondazione Gior-gio e Isa de Chirico. L’editrice, Elisa-betta Sgarbi, ferrarese amante di Ferrara, affida due monografie: Im-magini metafisiche e La vita e l’ope-ra alle amorevoli cure di Riccardo Dottori e Fabio Benzi e poi pubbli-ca tre libri di de Chirico: Memorie della mia vita con un apparato ico-nografico inedito e la prefazione di Franco Cordelli, e l’ultimo ( magni-fico) sulla produzione poetica, cu-rato da Andrea Cortellessa La casa del poeta a cui seguirà, a novembre, Ebdomero. Se vi è una possibile in-terpretazione di questa convergen-za di interessi su Giorgio de Chirico è la necessità di posizionarci. Cioè la necessità, dettata dalle visioni di-stopiche di gigantismo, ipertrofia: l’uomo e l’androide e il suo simula-cro, e la possibilità di tenere ciò che siamo e ciò che sappiamo tutto in sincronia: il Tempio in una stan-za (1926).

milano

Giorgio de ChiricoI cieli in una stanza

©RIPRODUZIONE RISERVATA

na foresta brucia in Amazzonia e un’altra ne sorge a Klagenfurt, nel cuore della Carin-zia austriaca. È una coincidenza

che fa diventare il progetto For Fore-st di Klaus Littmann un’azione di re-sistenza e speranza. Prendere uno stadio di calcio e trasformarne il ret-tangolo di prato in una foresta. Una vera foresta, con trecento alberi e sottobosco. Una foresta che nasce da un sogno, quello che Littmann ha inseguito per trent’anni. Dar vita a un disegno di Max Peintner, visto agli inizi degli anni Settanta. Una fol-gorazione per Littmann. E in effetti Peintner in quegli anni realizzava di-segni dalla visionarietà surreale, a ri-guardarli ora in mostra allo Standt-galerie di Klagenfurt. Quello che col-pì Littmann raffigurava uno stadio con una foresta al suo interno. Im-magine meravigliosa, con il pubbli-co in piedi di fronte al prodigio, ep-pure angosciante per quella natura racchiusa in una teca. Una sensazio-ne che si fa potente davanti alla fore-sta che ora realmente sorge.

C’è la bellezza, ma anche disagio per qualcosa che sembra un souve-nir, una rarità da wunderkammer. Qui a Klagenfurt è stato fatto un pro-

fondo lavoro botanico, affidato all’architetto paesaggista Enzo Enea. Trecento piante con un’età media di cinquant’anni, che ripro-ducono la tipica foresta autoctona, con specie ormai rare nella realtà a causa della diffusa pratica della mo-nocultura, provenienti da Germa-nia, Belgio e Italia. Un’impresa rea-lizzare questa foresta, che suscita anche molte polemiche. Non si può negare il rischio che sia un’operazio-ne estetica e costosa, effimera (fino al 27 ottobre), con una monumenta-lità che stona con gli intenti ecologi-ci e di sostenibilità del progetto. Poi, non avrebbe avuto un impatto visi-vo e simbolico maggiore realizzarla in una zona desertica? Tutti comun-que ne parlano, immagine ormai vi-rale. Ha ragione il guardiano della torre campanaria di Klagenfurt, quando dice, citando Antonio Gram-sci, che «questa foresta è bella ed è comunque un’operazione riuscita perché non lascia nessuno indiffe-rente». E infatti per Littmann l’im-portante è che l’immagine della sua For Forest rimanga nella memoria collettiva come un’icona verde. Non ci dimentichiamo delle foreste. An-che quando la sua uscirà dallo sta-dio per entrare a far parte del pae-saggio circostante.

Il borsinoLe mostrein Italia

ROBINSON Arte

di Valeria Parrella

Eterno perché classicoContemporaneo

perché le sue figuresono già postumane

Il più greco dei pittori

italiani torna protagonista

con una mostra a Palazzo RealeMentre anche

l’editorialo riscopre

Lo svizzero Klaus Littmann ha piantatotrecento alberi nel campo da calcio

di Klagenfurt. Con un messaggio. Verde

Leonardo mai visto8.984 visitatoriMilano Castello SforzescoFino al 12 gennaio 20202 Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa

9.419 visitatoriVeneziaPeggy Guggenheim CollectionFino al 27 gennaio 20201 May You Live in Interesting Times

30.091 visitatoriVeneziaLa Biennale Arte 2019Fino al 24 novembre 3

L’installazione in Austria

Allo stadio c’èuna foresta

Ug

iorg

io d

e ch

iric

o b

y si

ae 2

019

gio

rgio

de

chir

ico

by

siae

201

9

jMetafisicoGiorgio de Chirico:I bagni misteriosi (1934); nella paginadi sinistra,Il figliol prodigo (1922)e Autoritrattonudo (1943)Le operesono tutte esposte in mostra al Palazzo Reale di Milano (catalogo MarsilioElecta)

S

Libri d’artistaDi Giorgio de

Chirico, La nave di Teseo pubblica

Memorie della mia vita (foto),

La casa del poeta e, dal 21

novembre, Ebdomero

a cura diSilvia Silvestri

di Olga Gambari

Ger

hard

Mau

rer

i For ForestIl progetto di Klaus Littmann, che ha trasformato il Wörthersee Stadion di Klagenfurt,Austria, in una foresta con 300 piante

gio

rgio

de

chir

ico

by

siae

201

9

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Sabato, 19 ottobre 2019 pagina35.