j Antonella Mariani L - scienzaevita.org · nella psicologia del paziente Non solo: di fronte ......

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Z Avvenire www.awenireonline.it\vita Qovedà, 16 aprile 2009 Così il dottore «impara» dalla malattia. la Sabato a Modena le prime riflessioni del network «Medico cura te stesso»: l'esperienza della sofferenza, vissuta in prima persona, spezza il circolo dell'assuefazione al dolore altrui E insegna a entrare in modo diverso nella psicologia del paziente Non solo: di fronte a una propria patologia, si cambia idea su molte cose Compresa l'eutanasia... L Wt esperienza della malattia W vissuta in prima persona, da paziente, per un medico è "pedagogica": insegna a guardare al malato in modo nuovo e spezza il circolo dell'assuefazione al dolore altrui. Paradossi della medicina: il medico nega la propria malattia, la esorcizza, così il primo segnale di un tumore ai polmoni diventa una «bronchitella», finché non si ammette prima di tutto con sé stessi che è meglio farsi visitare da un collega-amico... «Medico cura te stesso» è il titolo del primo Congresso nazionale dell'omonimo network [vedi scheda a parte), creato un anno fa a Modena da un gruppo di dottori che si andavano interrogando da una parte sullo stato di salute degli operatori e dall'altro sugli aspetti etici del rapporto tra medico e malattia. Il promotore del network «Medico cura te stesso» è il professor Beniamino Palmieri, della Clinica chirurgica dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Professor Palmieri, davvero il medico rifiuta il pensiero di ammalarsi lui stesso? «Non per tutti è così, ma la mia esperienza mi porta a dire che il medico fatica a entrare nella consapevolezza di una propria di Enrico Negrotti «Medico cura te stesso» debutta con Mario Melazzini e Sylvie Menard I edico cura te stesso» è il titolo del primo •congresso in programma a Modena sabato 118 aprile, con l'obiettivo, secondo l'organizzatore Beniamino Palmieri, di «ottimizzare il rapporto medico-paziente attraverso il vissuto di esperienza del medico, che cessa di sentirsi invulnerabile e passa nel corso della sua vita a sperimentare su di sé la malattia, la lotta per guarire». Nelle sette sessioni in cui è suddivisa la giornata si alterneranno numerosi relatori, tra i quali Mario Melazzini («Medico ammalato come paradigma della gestione della salute») e Sylvie Menard, autrice del recentissimo, straordinario libro «Si può curare» (Mondadori), che con Claudio Verusio parlerà di «Doctoring Doctors: curare un collega ammalato di cancro». Tra gli argomenti affrontati, le malattie più frequenti dei medici, la sindrome "bum out" per gli stress della professione e le accuse ai medici. Tra le proposte di «Medico cura te stesso» c'è anche l'auto- sperimentazione di determinati metodi diagnostici, oppure di farmaci o protocolli terapeutici, «per recuperare e mantenere al meglio la propria salute». comunque, sono provvidenziali perché fanno rivivere in anamnesi il percorso della malattia e la lotta per guarire, valorizzando la volontà del soggetto. . Sono testimonianze preziose, perché lo sforzo di guarire è contagioso e il paziente-lettore lo ' può interpretare per sé stesso». Curare o prendersi cura, l'Amci ci riflette P untare sull'alleanza Terapeutica e mantenere una continuità del processo dalla terapia al semplice prendersi cura sono i criteri per valutare adeguatamente la gestione dell'idratatone e dell'alimentazione artificiali. È questa la proposta del documento della sezione di Milano dell'Associazione medici cattolici italiani (Amci), presentato ieri dal presidente Giorgio Lambertenghi Deliliers, che sottolinea come lo stato vegetativo - nonostante il clamore della vicenda Englaro - non rappresenti il paradigma interpretativo della questione- alimentazione artificiale. Il documento, ha detto Lambertenghi, è il primo intervento che la rinnovata dirigenza dell'Amci milanese intende proporre alla riflessione sui temi etici che emergeranno via via come i più rilevanti nel dibattito pubblico. «Idratazione e alimentazione artificiali - ha osservato Lambertenghi - possono appartenere sia alla cura che al prendersi cura». Pertanto la valutazione dell'adeguatezza dei trattamenti deve avvenire, secondo il presidente di Amci Milano, «caso per caso». «L'alleanza terapeutica - osserva don Antonio Lattuada, assistente ecclesiastico dei medici cattolici milanesi - esclude sia il paternalismo sia l'autonomia assoluta e arbitraria del paziente». O ccorre recuperare - ha aggiunto Alfredo Anzani, .- vicepresidente della Federazione europea dei medici cattolici - la figura del medico ippocratico, che coniuga capacità scientifiche e sensibilità umana. Senza dimenticare che il medico è al servizio dell'uomo e della vita, evitando ogni accanimento, eutanasia e abbandono terapeutico». malattia, soprattutto se essa è grave, come ad esempio un tumore. Il medico evade nei confronti della sua malattia, si prefigura scenari fantasiosi o immaginari per negare a se stesso il tunnel in cui si sta infilando». La malattia sofferta dal medico, insomma, rende "personale" un'esperienza quotidiana sì, ma vissuta con un certo distacco. Vuoi dire che il medico si assuefa alla sofferenza degli altri ma non si prepara alla sua? «Sì, nella sua professione il medico va incontro a una certa assuefazione alla sofferenza altrui. In questi tempi di medicina ultramoderna e specialistica il dottore fatica a entrare nella psicologia del paziente, nelle sue sofferenze, proprio perché la malattia viene frantumata, parcellizzata, vista da decine di angolature diverse ma mai nella sua complessità e unitarietà. Si rischia così di perdere di vista l'unità dell'uomo». Vuoi dire allora che la malattia è "pedagogica" per il medico? «Sì, perché così entra nella consapevolezza piena di quel dinamismo tra cure e volontà che lo porta a recuperare la propria efficienza. È un dinamismo lento e graduale di cui egli percepisce il traguardo, che è il recupero del suo equilibrio personale». Sarà per questo che si moltiplicano i libri scritti da medici che, da malati, hanno capito fino in fondo il senso della propria professione? «Sì, è così. I libri scritti dai medici, il:.'! Un altro aspetto della malattia che colpisce i medici è che fa cadere tante certezze. Ci sono dottori che prima erano favorevoli all'eutanasia e poi, da malati, farebbero di tutto per prolungare la propria vita. Come lo spiega? «Nella malattia tutti i dogmi si infrangono e riemerge, prepotente, l'istinto di sopravvivenza. Questo vale per tutti i malati, medici o no: affiora il desiderio di recuperare spazi di dignità di vita, la voglia di lottare. Il medico non è diverso dagli altri pazienti, ma più degli altri forse sa che la medicina migliora ogni giorno. E confida nella sua capacità di salvare la vita anche nelle frange estreme della malattia». -..•.:•. Quello che lei dice lascia supporre che non ci sarà la corsa dei medici al testamento biologico... «Non credo, la fiducia nella medicina che contraddistingue la nostra professione forse consiglierà alla categoria di attendere prima di mettere per iscritto le proprie volontà...» Torniamo al network da lei >;•- ^i t(! . fondato, «Medico cura te stesso». Cosa si propone? «Di combattere quella malattia che io ho battezzato "sindrome di Babele": il disorientamento cioè che sotto il profilo umano e clinico subisce il cittadino come paziente e lo stesso medico come operatore nel contesto di una ipertecnicismo della medicina che fa perdere di vista l'uomo». Nella pratica? «Vogliamo sensibilizzare il medico sugli aspetti umani della sua professione, per riscattarne i contenuti etici. Le figure troppo specialistiche e schematiche rischiano di perdere di vista l'interiorità del malato e le sue esigenze più profonde». To & il medico: chi derìde sii di me? iùle mani dal [mio fcor- Spo!» gridano gli slogan radicali ostili al disegno di legge sul cosiddetto "fine vita". Nessuno - dicono -, e tanto meno agenzie di pubblici poteri fuori dal controllo democratico, deve poter mettermi le mani addosso e gestire al mio posto la mia corporeità: sappiamo bene che la biopolitica può prendere le forme di questo spossessamento alienante. L a verità è che sulla mia "carne" nessuno può mettere legittimamente le mani: a meno che non sia io ad autorizzarlo. Ma né la sua iniziativa né la mia autorizzazione sono fondanti: come non ha senso che, in caso d'incidente con pericolo mortale, io venga condotto dal salumiere o in uno studio di architettura per intemi anziché al pronto soccorso, così non è sufficiente che io indichi a un professionista della salute ciò che deve fare se vuole occuparsi di me, pretendendo che la legge conferisca forza cogente alle mie disposizioni. Rispetto elementare per la mia dignità personale esige che a prendersi cura di me in caso di emergenza sanitaria sia personale competente; ed elementare rispetto per la dignità personale e professionale dell'alno esige anche che a effettuare le migliori scelte in dialogo con me paziente sia un professionista Lo slogan «Giù le mani dal mio corpo» col quale i radicali contestano il disegno di legge Calabrò esprìme l'idea (sbagliata) che nelle scelte di fine vita ci sia un braccio di ferro tra «poteri» contrapposti libero, autonomo: autonomo perché competente, autonomo perché dotato di una matura scienza e coscienza professionali, autonomo perché chiamato a rispondere delle proprie decisioni davanti a me, ai miei congiunti, ai colleghi, all'intera società civile. " on è il mio "potere" a fondare, giustificare, legittimare il "potere" medico. Anzitutto perché non si tratta solo, né essenzialmente, di poteri: la volontà personale che si manifesta nel celebre consenso informato è assenso a una proposta e non esercizio né cessione di poteri; né la competenza che si manifesta nella prestazione specialistica è a sua volta potere, giacché rimanda a studio ed esercizio, non a volontà arbitrarie - che invece sembrano sottese alla critica (condivisibilissima) verso lo "strapotere" medico: in un'epoca in cui, dopo aver celebrato i fasti delle magnifiche sorti e progressive di una medicina salvifica, il pensiero dominante si accinge chissà perché a cambiar bandiera e a condannare questa professione presentandola quasi come regola abusiva, violenta, iniqua, dedita a chissà quali intenti agli antipodi degli interessi e del vero bene del paziente. N on è il mio "potere" a fondare, giustificare, legittimare il potere medico: non solo perché non è la categoria del potere a essere in gioco nella relazione terapeutica, ma anche per un altro motivo, imprescindibile se si ha a cuore il ragionamento, e non la sloganistica ideologica. La constatazione di partenza è quasi banale: quando mi rivolgo a un medico vado da un professionista della salute. La divisione sociale del lavora ha prodotto la professionalizzazione: con tutti i suoi limiti, ma anche con le apprezzabili garanzie che essa ci offre quanto alla preparazione teorica e pratica dei professionisti a cui volta per volta, in bast a ciò che occorre, ci rivolgiamo. P aradossalmente, ma non troppo, la difesa strenua del principio professionale va esattamente nella stessa direzione della difesa dell'autonomia individuale: sia per l'cwia considerazione che tra gli individui di cui occorre difendere l'autonomia, c'è senz'altro anche il professionista, sia perché ciascun singolo si sentirà tanto più tutelato e scuro nel perseguimento dei propri iiteressi quanto più regna l'ordine sDdale, che rimarrebbe sconvolto da ina situazione in cui al professionista fosse lecito imporre qualunque tipo di rondotta in base a volontà arbitrarie e aon sindacabili. A tale sindacato obiettivo è preposta l'auto- organizzazione delle professioni e la disciplina deontologica che esse si danno: perché non ritenerle degne di fiducia? Perché non invocare anche per esse, nel pieno interesse dei destinatati delle prestazioni professionali, un profondo e ragionevole rispetto? C hi afferma che uno Stato che legifera sulle dichiarazioni . anticipate di trattamento - come , sta facendo il nostro - stabilendo dei limiti ai contenuti leciti di tali disposizioni e prevedendone un'efficacia orientativa e non coattiva per il medico, è uno Stato che "mette le mani sul mio corpo" o mi toglie almeno parte della mia libertà: ebbene, chi questo afferma, sta riesumando vecchi slogan confidando che il loro successo in altri tempi e su altri problemi sia di buon auspicio per il momento presente, oppure confonde più o meno : intenzionalmente libertà e arbitrio, autonomia e arroganza, professionalità e passiva esecuzione di comandi. Tutto sommato, e fatti salvi i profili di perfettibilità della normativa allo studio (che in ogni caso occorre studiare a fondo, piuttosto che criticare con motti ridicoli o grotteschi), preferiamo tenerci l'alleanza terapeutica e continuare, con un'ostinazione forse ingenua ma certamente più costruttiva, a sperare nel binomio affidabilità/fiducia come premessa dei rapporti sociali. j Antonella Mariani •1° sbranali Nel pncreas un'alta fonte per leidulte V taminali o- vunque, po- tremmo dire. Un nuovo stu- Idio appena pubblicato sulrivista Proceedings ofthe National /-.ademy of Science ha annunciato probabile pre- senza di cellule stninali anche nel tessuto pancreat), rilevate attra- verso una tecnica jrticolare. La sco- perta è stata realista presso l'Isti- tuto di Genetica edica dell'Uni- versità Cattolica dioma diretto da Giovanni Neri, e 1 visto la colla- borazione del prero Nobel per la medicina 2007 Mai Capecchi. Ne parliamo con uno .gli autori, un giovane medico rie ra to in Italia dopo 7 anni diricercnegliStati U- niti, Eugenio Sangioj. Può descrivere m<jjo questa scoperta? «Dopo un lavoro svol circa 4 an- ni fa sull'intestino di to>, che aveva permesso di rilevare a ?ello epite- liale cellule con carattistiche sta- minali, con nostra grare sorpresa le abbiamo scovate ano nel pan- creas murino, nel tessu non de- putato alla produzione insulina ma in quello che fabbrili enzi- mi digestivi. Owiamentéccorrerà valutare per un periodo r>lto lun- go le caratteristiche che pantano queste cellule». Come avete ottetto le staminali? : «Abbiamo inserito nel géima di topo, in un tratto già conoscito per la sua funzione nelle starnali e- matopoietiche, una sorta diinter- ruttore molecolare" capaceli re- golare l'attivazione dello steo ge- ne chiamato Bmi 1. In pratic sot- to somministrazione di un frna- co esterno - il tamoxifene - hter- ruttore si accende o si spengoor- tando alla produzione o mei) di una proteinafluorescenterile^bi- le nel tessuto. A distanza di urm- no sono state rinvenute cellule'u- minose", ossia esprimenti quita fluorescenza: e dato che solo le s- minali si mantengono nel tempc non muoiono viste le loro carati- ristiche innate (una cellula norm- le è destinata a morire prima o pò abbiamo ipotizzato la loro natur staminale». Di che tipo di staminali si tratterebbe dunque? «Nel campo delle staminali occor- re avere la maggior flessibilità men- tale possibile. Per il pancreas, come nel caso di tanti altri tessuti, fino a pochi anni fa si dubitava persino che fossero presenti. Invece sembra che non sia così e per giunta, se que- sto risultato sarà confermato negli studi che verranno, si tratterebbe di cellule non solo capaci di generare nuovo tessuto ma anche aventi un compito specifico, cioè quello di fabbricare enzimi digestivi. Verreb- be dunque allargato il concetto di staminalità, consentendo di stu- diare meglio i loro reali compiti e il meccanismo di proliferazione». Come proseguirete le ricerche? «Intanto confermeremo la scoper- ta monitorando se la cellula lumi- nosa rimane viva oppure no e, dun- que, se è una staminale o una cel- lula derivata dalla divisione di una staminale. La prospettiva imme- diata rimane pertanto quella di ap- profondire le conoscenze sulle cel- lule che abbiamo scoperto, ma un'implicazione importante è an- che quella di capire meglio il loro possibile ruolo nell'insorgenza e so- pravvivenza dei tumori. Il legame tra staminali e cancro, infatti, è sot- to indagine da tempo. Avere a di- sposizione uno strumento efficace per isolarle in qualsiasi organo è di grande utilità per questo scopo. Vo- glio ricordare che l'intero lavoro è stato svolto presso il laboratorio di Mario Capecchi presso l'Università dello Utah, durante la mia lunga permanenza negli Stati Uniti». Alessandro Turchetti

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Z Avvenire

www.awenireonline.it\vita

Qovedà, 16 aprile 2009

Così il dottore «impara» dalla malattia. laSabato a Modenale prime riflessionidel network «Medicocura te stesso»:l'esperienza dellasofferenza, vissutain prima persona,spezza il circolodell'assuefazioneal dolore altruiE insegna a entrarein modo diversonella psicologiadel pazienteNon solo: di frontea una propriapatologia, si cambiaidea su molte coseCompresal'eutanasia...

LWt esperienza della malattiaW vissuta in prima persona, da

paziente, per un medico è"pedagogica": insegna aguardare al malato in modonuovo e spezza il circolo

dell'assuefazione al dolore altrui.Paradossi della medicina: il mediconega la propria malattia, la esorcizza,così il primo segnale di un tumore aipolmoni diventa una «bronchitella»,finché non si ammette prima di tuttocon sé stessi che è meglio farsi visitareda un collega-amico... «Medico cura testesso» è il titolo del primo Congressonazionale dell'omonimo network[vedi scheda a parte), creato un anno faa Modena da un gruppo di dottori chesi andavano interrogando da unaparte sullo stato di salute deglioperatori e dall'altro sugli aspetti eticidel rapporto tra medico e malattia.Il promotore del network «Medicocura te stesso» è il professorBeniamino Palmieri, della Clinicachirurgica dell'Università di Modena eReggio Emilia.

Professor Palmieri, davvero ilmedico rifiuta il pensiero diammalarsi lui stesso?«Non per tutti è così, ma la miaesperienza mi porta a dire che ilmedico fatica a entrare nellaconsapevolezza di una propria

di Enrico Negrotti

«Medico cura te stesso» debuttacon Mario Melazzini e Sylvie Menard

I edico cura te stesso» è il titolo del primo•congresso in programma a Modena sabato118 aprile, con l'obiettivo, secondo

l'organizzatore Beniamino Palmieri, di «ottimizzareil rapporto medico-paziente attraverso il vissuto diesperienza del medico, che cessa di sentirsiinvulnerabile e passa nel corso della sua vita asperimentare su di sé la malattia, la lotta per guarire».Nelle sette sessioni in cui è suddivisa la giornata sialterneranno numerosi relatori, tra i quali MarioMelazzini («Medico ammalato come paradigmadella gestione della salute») e Sylvie Menard, autricedel recentissimo, straordinario libro «Si può curare»(Mondadori), che con Claudio Verusio parlerà di«Doctoring Doctors: curare un collega ammalato dicancro». Tra gli argomenti affrontati, le malattie piùfrequenti dei medici, la sindrome "bum out" per glistress della professione e le accuse ai medici. Tra leproposte di «Medico cura te stesso» c'è anche l'auto-sperimentazione di determinati metodi diagnostici,oppure di farmaci o protocolli terapeutici, «perrecuperare e mantenere al meglio la propria salute».

comunque, sonoprovvidenziali perchéfanno rivivere inanamnesi il percorsodella malattia e lalotta per guarire,valorizzando lavolontà del soggetto. .Sono testimonianzepreziose, perché losforzo di guarire ècontagioso e ilpaziente-lettore lo 'può interpretare persé stesso».

Curare o prendersi cura, l'Amci ci riflette

Puntare sull'alleanzaTerapeutica e mantenere unacontinuità del processo dallaterapia al semplice prendersicura sono i criteri per valutareadeguatamente la gestione

dell'idratatone e dell'alimentazioneartificiali. È questa la proposta deldocumento della sezione di Milanodell'Associazione medici cattoliciitaliani (Amci), presentato ieri dalpresidente Giorgio LambertenghiDeliliers, che sottolinea come lo statovegetativo - nonostante il clamoredella vicenda Englaro - nonrappresenti il paradigmainterpretativo della questione-alimentazione artificiale. Ildocumento, ha detto Lambertenghi, èil primo intervento che la rinnovatadirigenza dell'Amci milanese intendeproporre alla riflessione sui temi eticiche emergeranno via via come i piùrilevanti nel dibattito pubblico.«Idratazione e alimentazione

artificiali - ha osservatoLambertenghi - possono apparteneresia alla cura che al prendersi cura».Pertanto la valutazionedell'adeguatezza dei trattamenti deveavvenire, secondo il presidente diAmci Milano, «caso per caso».«L'alleanza terapeutica - osserva donAntonio Lattuada, assistenteecclesiastico dei medici cattolicimilanesi - esclude sia il paternalismosia l'autonomia assoluta e arbitrariadel paziente».

Occorre recuperare - haaggiunto Alfredo Anzani,

.- vicepresidente dellaFederazione europea dei medicicattolici - la figura del medicoippocratico, che coniuga capacitàscientifiche e sensibilità umana.Senza dimenticare che il medico è alservizio dell'uomo e della vita,evitando ogni accanimento,eutanasia e abbandono terapeutico».

malattia, soprattutto se essa è grave,come ad esempio un tumore. Ilmedico evade nei confronti della suamalattia, si prefigura scenari fantasiosio immaginari per negare a se stesso iltunnel in cui si sta infilando».

La malattia sofferta dal medico,insomma, rende "personale"un'esperienza quotidiana sì, mavissuta con un certo distacco.Vuoi dire che il medico si assuefaalla sofferenza degli altri ma nonsi prepara alla sua?«Sì, nella sua professione il medico vaincontro a una certa assuefazione allasofferenza altrui. In questi tempi dimedicina ultramoderna e specialisticail dottore fatica a entrare nellapsicologia del paziente, nelle suesofferenze, proprio perché la malattiaviene frantumata, parcellizzata, vistada decine di angolature diverse mamai nella sua complessità e unitarietà.Si rischia così di perdere di vistal'unità dell'uomo».

Vuoi dire allora che la malattia è"pedagogica" per il medico?«Sì, perché così entra nellaconsapevolezza piena di queldinamismo tra cure e volontà che loporta a recuperare la propriaefficienza. È un dinamismo lento egraduale di cui egli percepisce iltraguardo, che è il recupero del suoequilibrio personale».

Sarà per questo che simoltiplicano i libri scritti damedici che, da malati, hannocapito fino in fondo il senso dellapropria professione?«Sì, è così. I libri scritti dai medici,

il:.'!

Un altro aspettodella malattia checolpisce i medici èche fa cadere tantecertezze. Ci sonodottori che primaerano favorevoliall'eutanasia e poi,da malati,farebbero di tuttoper prolungare lapropria vita. Comelo spiega?

«Nella malattia tutti i dogmi siinfrangono e riemerge, prepotente,l'istinto di sopravvivenza. Questo valeper tutti i malati, medici o no: affiorail desiderio di recuperare spazi didignità di vita, la voglia di lottare. Ilmedico non è diverso dagli altri •pazienti, ma più degli altri forse sache la medicina migliora ogni giorno.E confida nella sua capacità di salvarela vita anche nelle frange estremedella malattia». - . . • . : • .

Quello che lei dice lasciasupporre che non ci sarà la corsadei medici al testamentobiologico...«Non credo, la fiducia nella medicinache contraddistingue la nostraprofessione forse consiglierà allacategoria di attendere prima dimettere per iscritto le proprievolontà...»

Torniamo al network da lei >;•- ̂ i t(!.fondato, «Medico cura te stesso». •Cosa si propone?«Di combattere quella malattia che ioho battezzato "sindrome di Babele": ildisorientamento cioè che sotto ilprofilo umano e clinico subisce ilcittadino come paziente e lo stessomedico come operatore nel contestodi una ipertecnicismo della medicinache fa perdere di vista l'uomo».

Nella pratica?«Vogliamo sensibilizzare il medicosugli aspetti umani della suaprofessione, per riscattarne i contenutietici. Le figure troppo specialistiche eschematiche rischiano di perdere divista l'interiorità del malato e le sueesigenze più profonde».

To & il medico: chi derìde sii di me?iùlemanidal

[miofcor-Spo!»

gridano gli sloganradicali ostili al disegno di legge sulcosiddetto "fine vita". Nessuno -dicono -, e tanto meno agenzie dipubblici poteri fuori dal controllodemocratico, deve poter mettermi lemani addosso e gestire al mio posto lamia corporeità: sappiamo bene che labiopolitica può prendere le forme diquesto spossessamento alienante.

La verità è che sulla mia "carne"nessuno può metterelegittimamente le mani: a meno

che non sia io ad autorizzarlo. Ma néla sua iniziativa né la miaautorizzazione sono fondanti: comenon ha senso che, in caso d'incidentecon pericolo mortale, io vengacondotto dal salumiere o in unostudio di architettura per intemianziché al pronto soccorso, così non èsufficiente che io indichi a unprofessionista della salute ciò che devefare se vuole occuparsi di me,pretendendo che la legge conferiscaforza cogente alle mie disposizioni.Rispetto elementare per la mia dignitàpersonale esige che a prendersi cura dime in caso di emergenza sanitaria siapersonale competente; ed elementarerispetto per la dignità personale eprofessionale dell'alno esige anche chea effettuare le migliori scelte in dialogocon me paziente sia un professionista

Lo slogan «Giù le mani dalmio corpo» col quale i radicalicontestano il disegno di leggeCalabrò esprìme l'idea(sbagliata) che nelle sceltedi fine vita ci sia un braccio diferro tra «poteri» contrappostilibero, autonomo: autonomo perchécompetente, autonomo perché dotatodi una matura scienza e coscienzaprofessionali, autonomo perchéchiamato a rispondere delle propriedecisioni davanti a me, ai mieicongiunti, ai colleghi, all'intera societàcivile.

" on è il mio "potere" a fondare,giustificare, legittimare il "potere"medico. Anzitutto perché non si

tratta solo, né essenzialmente, dipoteri: la volontà personale che simanifesta nel celebre consensoinformato è assenso a una proposta enon esercizio né cessione di poteri; néla competenza che si manifesta nellaprestazione specialistica è a sua voltapotere, giacché rimanda a studio edesercizio, non a volontà arbitrarie -che invece sembrano sottese alla critica(condivisibilissima) verso lo"strapotere" medico: in un'epoca incui, dopo aver celebrato i fasti dellemagnifiche sorti e progressive di unamedicina salvifica, il pensierodominante si accinge chissà perché acambiar bandiera e a condannarequesta professione presentandolaquasi come regola abusiva, violenta,

iniqua, dedita a chissà quali intentiagli antipodi degli interessi e del verobene del paziente.

Non è il mio "potere" a fondare,giustificare, legittimare il poteremedico: non solo perché non è la

categoria del potere a essere in gioconella relazione terapeutica, ma ancheper un altro motivo, imprescindibile sesi ha a cuore il ragionamento, e non lasloganistica ideologica. Laconstatazione di partenza è quasibanale: quando mi rivolgo a unmedico vado da un professionistadella salute. La divisione sociale dellavora ha prodotto laprofessionalizzazione: con tutti i suoilimiti, ma anche con le apprezzabiligaranzie che essa ci offre quanto allapreparazione teorica e pratica deiprofessionisti a cui volta per volta, inbast a ciò che occorre, ci rivolgiamo.

Paradossalmente, ma non troppo, ladifesa strenua del principioprofessionale va esattamente nella

stessa direzione della difesadell'autonomia individuale: sia perl'cwia considerazione che tra gliindividui di cui occorre difenderel'autonomia, c'è senz'altro anche ilprofessionista, sia perché ciascunsingolo si sentirà tanto più tutelato escuro nel perseguimento dei propriiiteressi quanto più regna l'ordinesDdale, che rimarrebbe sconvolto daina situazione in cui al professionistafosse lecito imporre qualunque tipo dirondotta in base a volontà arbitrarie eaon sindacabili. A tale sindacato

obiettivo è preposta l'auto-organizzazione delle professioni e ladisciplina deontologica che esse sidanno: perché non ritenerle degne difiducia? Perché non invocare anche peresse, nel pieno interesse dei destinatatidelle prestazioni professionali, unprofondo e ragionevole rispetto?

Chi afferma che uno Stato chelegifera sulle dichiarazioni .

anticipate di trattamento - come ,sta facendo il nostro - stabilendo deilimiti ai contenuti leciti di talidisposizioni e prevedendoneun'efficacia orientativa e non coattivaper il medico, è uno Stato che "mettele mani sul mio corpo" o mi togliealmeno parte della mia libertà:ebbene, chi questo afferma, stariesumando vecchi slogan confidandoche il loro successo in altri tempi e sualtri problemi sia di buon auspicio peril momento presente, oppureconfonde più o meno :intenzionalmente libertà e arbitrio,autonomia e arroganza, professionalitàe passiva esecuzione di comandi. Tuttosommato, e fatti salvi i profili diperfettibilità della normativa allostudio (che in ogni caso occorrestudiare a fondo, piuttosto che criticarecon motti ridicoli o grotteschi),preferiamo tenerci l'alleanzaterapeutica e continuare, conun'ostinazione forse ingenua macertamente più costruttiva, a sperarenel binomio affidabilità/fiducia comepremessa dei rapporti sociali.

j Antonella Mariani

•1°

sbranaliNel pncreasun'alta fonteper leidulte

V taminali o-vunque, po-tremmo dire.Un nuovo stu-Idio appenapubblicato

sulrivista Proceedingsofthe National /-.ademy of Scienceha annunciato probabile pre-senza di cellule stninali anche neltessuto pancreat), rilevate attra-verso una tecnica jrticolare. La sco-perta è stata realista presso l'Isti-tuto di Genetica edica dell'Uni-versità Cattolica dioma diretto daGiovanni Neri, e 1 visto la colla-borazione del prero Nobel per lamedicina 2007 Mai Capecchi. Neparliamo con uno .gli autori, ungiovane medico rierato in Italiadopo 7 anni di ricercnegli Stati U-niti, Eugenio Sangioj.

Può descrivere m<jjo questascoperta?«Dopo un lavoro svol circa 4 an-ni fa sull'intestino di to>, che avevapermesso di rilevare a ?ello epite-liale cellule con carattistiche sta-minali, con nostra grare sorpresale abbiamo scovate ano nel pan-creas murino, nel tessu non de-putato alla produzione insulinama in quello che fabbrili enzi-mi digestivi. Owiamentéccorreràvalutare per un periodo r>lto lun-go le caratteristiche che pantanoqueste cellule».Come ave te o t t e t t o lestaminali? :

«Abbiamo inserito nel géima ditopo, in un tratto già conoscito perla sua funzione nelle starnali e-matopoietiche, una sorta diinter-ruttore molecolare" capaceli re-golare l'attivazione dello steo ge-ne chiamato Bmi 1. In pratic sot-to somministrazione di un frna-co esterno - il tamoxifene - hter-ruttore si accende o si spengoor-tando alla produzione o mei) diuna proteina fluorescente rile^bi-le nel tessuto. A distanza di urm-no sono state rinvenute cellule'u-minose", ossia esprimenti quitafluorescenza: e dato che solo le s-minali si mantengono nel tempcnon muoiono viste le loro carati-ristiche innate (una cellula norm-le è destinata a morire prima o pòabbiamo ipotizzato la loro naturstaminale».Di che tipo di staminali sitratterebbe dunque?«Nel campo delle staminali occor-re avere la maggior flessibilità men-tale possibile. Per il pancreas, comenel caso di tanti altri tessuti, fino apochi anni fa si dubitava persinoche fossero presenti. Invece sembrache non sia così e per giunta, se que-sto risultato sarà confermato neglistudi che verranno, si tratterebbe dicellule non solo capaci di generarenuovo tessuto ma anche aventi uncompito specifico, cioè quello difabbricare enzimi digestivi. Verreb-be dunque allargato il concetto distaminalità, consentendo di stu-diare meglio i loro reali compiti eil meccanismo di proliferazione».Come proseguirete lericerche?«Intanto confermeremo la scoper-ta monitorando se la cellula lumi-nosa rimane viva oppure no e, dun-que, se è una staminale o una cel-lula derivata dalla divisione di unastaminale. La prospettiva imme-diata rimane pertanto quella di ap-profondire le conoscenze sulle cel-lule che abbiamo scoperto, maun'implicazione importante è an-che quella di capire meglio il loropossibile ruolo nell'insorgenza e so-pravvivenza dei tumori. Il legametra staminali e cancro, infatti, è sot-to indagine da tempo. Avere a di-sposizione uno strumento efficaceper isolarle in qualsiasi organo è digrande utilità per questo scopo. Vo-glio ricordare che l'intero lavoro èstato svolto presso il laboratorio diMario Capecchi presso l'Universitàdello Utah, durante la mia lungapermanenza negli Stati Uniti».

Alessandro Turchetti