ITS e Buona Scuola
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ITS e Buona ScuolaGli Istituti Tecnici Superiori al bivio tra innovazione e continuità
scheda tecnica
Indice
Premessa: cosa sono gli Istituti Tecnici Superiori.............................................................4Cosa prevede La Buona Scuola......................................................................................5Alcune questioni cruciali per il futuro del sistema ITS......................................................8
La natura dei percorsi ITS e il nodo del diritto allo studio.............................................8La tutela dei tirocinanti: diritti e qualità......................................................................9La governance interna.............................................................................................10La governance di sistema e il finanziamento premiale................................................11
Conclusioni.................................................................................................................13
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Nel corso della discussione parlamentare della Buona Scuola, la prevista delega al Governo
in materia di riordino degli Istituti Tecnici Superiori è stata stralciata per far posto ad un
articolato, l’art. 6 del disegno di legge approvato in prima lettura alla Camera dei Deputati.
Premessa: cosa sono gli Istituti Tecnici Superiori
Gli ITS sono un canale formativo post-secondario, di fatto parallelo ai percorsi
accademici: si tratta di un settore dedicato alla formazione di tecnici specializzati
rispetto ad alcune aree tecnologiche considerate strategiche per lo sviluppo del
Paese. Tali aree sono: efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della
vita; nuove tecnologie per il made in Italy; tecnologie innovative per i beni e le attività
culturali; tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Gli ITS sono stati codificati a seguito di una riorganizzazione del sistema di Istruzione e
Formazione Tecnica Superiore avvenuta con il dpcm 25/01/2008. Nell’ambito dei Piani
Territoriali triennali stilati dalle Regioni, i singoli Istituti Tecnici e Professionali promuovono
fondazioni di diritto privato senza scopo di lucro che devono includere almeno un
istituto scolastico, una struttura formativa accreditata a livello regionale, un’impresa del
settore produttivo afferente all’ambito dell’ITS, un dipartimento universitario o un’altra
struttura di ricerca scientifica e tecnologica; un Ente Locale.
I corsi durano solitamente 4 semestri per circa 1800/2000 ore erogate (alcuni ITS erogano
corsi di 6 semestri in collaborazione con le Università), di cui almeno il 30% di tirocinio
(anche se di fatto, nella maggior parte dei casi, tale percentuale arriva anche al 50%).
Almeno la metà dei docenti deve provenire dal mondo del lavoro e delle professioni (nei
fatti tale percentuale si attesta attorno al 60%) . Al termine del percorso è rilasciato il
Diploma di Tecnico Superiore.
Attualmente si contano 74 ITS in tutta Italia, per un totale di circa 6.000 iscritti.
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Cosa prevede La Buona Scuola
Nell’articolo 6 sono contenute alcune indicazioni che contribuiscono a definire la direzione
verso la quale si sta muovendo il sistema dell’istruzione tecnica superiore.
comma 1
Questo comma, oltre a confermare per legge i parametri premiali di ripartizione dei fondi
destinati agli ITS in base all'accordo MIUR/Enti Locali del 5/08/14, estende la porzione
di quota di finanziamenti premiali, assegnati alle singole fondazioni, dal 10%
del 2015 al 30% del 2016. I parametri considerati dall’accordo del 2014 sono cinque:
l’attrattività del corso, con peso 25/100; il tasso di occupazione a 6 e 12 mesi, con peso
30/100; la professionalizzazione in impresa, con peso 25/100; la partecipazione attiva, con
peso 15/100; l’interregionalità, con peso 5/100. Quelli citati dal testo di legge sono invece
il numero dei diplomati e il tasso di occupazione a 12 mesi.
Questa quota premiale dovrebbe essere destinata all’apertura di nuovi corsi da parte delle
fondazioni già esistenti, anche se il calo dei finanziamenti all’Istruzione e
Formazione Superiore nei prossimi anni (dai 13,8 mln di € del 2014 ai 13,3 mln
di € del 2016) potrebbe aprire a una strada già vista in altri contesti: l’uso di
risorse per attività complementari al fine di garantire le attività ordinarie.
Un’analisi critica dei criteri per l’attribuzione della quota premiale sarà esposta in seguito.
comma 2
Il secondo comma ridefinisce i criteri d’accesso ai corsi erogati dagli ITS. Accanto
all’accesso tradizionale, successivo al conseguimento del Diploma di Istruzione Secondaria
Superiore, viene previsto l’accesso a seguito dei percorsi quadriennali di Istruzione e
Formazione Professionale, integrati da un anno di Istruzione e Formazione Tecnica
Superiore.
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Riteniamo che l’accessibilità ai percorsi ITS vada rafforzata prevedendo la necessità di
integrare i percorsi quadriennali di Istruzione e Formazione Professionale non
con un anno di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, bensì con un anno
di scuole superiori che porti al conseguimento del Diploma. Questo ragionamento
dovrebbe essere ricompreso in un riordino complessivo dei cicli scolastici con
l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni.
comma 3
Il terzo comma contiene alcune indicazioni relative al funzionamento ordinario dei
percorsi ITS e alla natura delle fondazioni di diritto privato cui fanno capo gli ITS.
L’articolato rimanda a una successiva decretazione da parte del MIUR che, entro 90 giorni
dall’approvazione della legge, dovrà fissare le linee guida per raggiungere i seguenti
obiettivi: semplificare le procedure di certificazione finale; fissare l’ammontare del
contributo per il sostegno della prova finale; prevedere che la partecipazione dei soggetti
pubblici alle fondazioni possa avvenire senza ulteriori oneri per le stesse; fissare la quota
minima del capitale della fondazione in 100.000 € e comunque una cifra non inferiore a
quella necessaria per portare a termine un ciclo di corsi; uniformare a livello nazionale il
regime contabile e lo schema di bilancio delle fondazioni.
Queste indicazioni, volte a semplificare e riordinare alcuni aspetti burocratici legati
all’attività degli ITS e delle loro Fondazioni, non modificano sostanzialmente la
struttura della governance interna di questi percorsi, come invece sarebbe necessario
fare nella direzione di una maggiore collegialità e dell’innalzamento della qualità della
formazione.
commi 4-5-6-8
Il quarto comma consente l’equiparazione della prova finale dei percorsi ITS relativi agli
ambiti “Mobilità delle persone e delle merci – conduzione del mezzo navale” e “Mobilità
delle persone e delle merci – gestione degli apparati e impianti di bordo” con l’esame di
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abilitazione per ufficiale di marina mercantile, di coperta e di macchina.
Il quinto comma consente a chi consegue il titolo di tecnico superiore nel settore
dell’efficienza energetica di operare come tecnico abilitato alla certificazione energetica
degli edifici. Il sesto comma riguarda sempre chi consegue il titolo nel settore
dell’efficienza energetica, e abilita all’installazione di impianti negli edifici.
L’ottavo comma, infine, consente l’accesso all’Esame di Stato per agrotecnico, geometra,
perito agrario e perito industriale con il titolo rilasciato dagli ITS.
Questi commi sono sostanzialmente orientati al rafforzamento della riconoscibilità
professionale dei corsi ITS e quindi, in linea teorica, ad un aumento della loro
attrattività, che tuttavia non dipende esclusivamente da questi aspetti, ma anche dalle
questioni legate al diritto allo studio, alla mobilità studentesca, alla qualità dei percorsi
formativi.
comma 7
Anche settimo comma demanda a un decreto del MIUR, da emanare entro 90 giorni
dall’approvazione della legge, i criteri per il riconoscimento dei crediti conseguiti nei
percorsi di ITS ai fini di un loro trasferimento nei percorsi universitari
assimilabili. La norma fissa in 100 CFU la quantità minima di crediti riconosciuti per i
percorsi di quattro semestri e in 150 CFU quelli per i percorsi di sei semestri.
L’allineamento del percorso ITS ai percorsi universitari apre alcune questioni relative al
diritto allo studio e alla qualità dei percorsi formativi che saranno affrontati
successivamente.
In generale, è possibile affermare che La Buona Scuola sceglie esplicitamente di
operare alcune modifiche marginali al fine di gestire la situazione attuale, tanto
rispetto all’assetto della governance interna quanto a quella di sistema. L’aumento vistoso
della quota premiale, accompagnato con la diminuzione dei fondi stanziati per questo
settore formativo, determinerà un aumento del già esistente divario tra i diversi territori.
Nulla è previsto in materia di diritto allo studio sebbene l’unico intervento di rilievo e in
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discontinuità sia quello della transizione dai percorsi ITS a quelli universitari. In sintesi, si
tratta di un articolato che non affronta affatto i problemi strutturali dei percorsi
di specializzazione tecnica, dal riconoscimento dei frequentanti come studenti a tutti
gli effetti, dalla qualità e dai diritti connessi ai tirocini alla collegialità, dagli spazi della
contrattazione sociale nella determinazione delle strategie nazionalie e territoriali alla
rimodulazione radicale del sistema di premialità. La Buona Scuola, lungi dal rilanciare
questo settore attribuendogli un’importanza strategica, rischia di segnare
l’impossibilità di costituire, tramite i percorsi ITS, degli spazi di orientamento
del sistema produttivo a partire dall’innovazione.
Alcune questioni cruciali per il futuro del sistema ITS
La natura dei percorsi ITS e il nodo del diritto allo studioIl fatto di considerare i percorsi ITS come un canale post-secondario al pari dell’Università
- indicazione evidente alla luce di quanto contenuto nel comma 7 - non può che portare ad
una diretta conseguenza: sotto il profilo della tutela del diritto allo studio, coloro i
quali frequentano tali corsi devono essere considerati studenti a tutti gli effetti,
anche se in buona parte dei casi si tratta di persone che sono già inserite nel mercato del
lavoro. In tal senso dalla Circolare n. 17/E del 24/4/15 dell’Agenzia delle Entrate emergono
alcune indicazioni contraddittorie: da un lato l’Agenzia, recependo il parere del Miur che
colloca gli ITS al V livello nel quadro europeo di qualifica dei percorsi di istruzione (EQF),
quindi tra il IV livello (diploma) e il VI livello (laurea), considera tali percorsi alla stregua
della formazione secondaria e terziaria, legittimando dunque la detraibilità al 19% delle
spese di istruzione; dall’altro lato, la stessa Agenzia delle Entrate considera non
assimilabile ai percorsi universitari i percorsi di ITS, non consentendo dunque
l’applicazione della detrazione per i contratti di locazione stipulati dagli iscritti.
In sostanza, l’attuale interpretazione del MIUR colloca tali percorsi in un limbo,
una formazione post-secondaria che però non è considerabile pienamente
terziaria, anche se la convertibilità di tali percorsi in CFU è viceversa un segnale
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evidente del tentativo di allineamento e affiancamento tra i percorsi di ITS e
quelli universitari. Un ulteriore elemento in tal senso deriva dal fatto che gli iscritti ai
corsi ITS sono tenuti, secondo il Decreto Interministeriale 7/02/2013, a versare la
stessa tassa regionale per il diritto allo studio prevista per gli studenti
universitari.
E’ dunque necessario includere pienamente coloro i quali frequentano i corsi ITS
nel sistema del diritto allo studio previsto per i soggetti in formazione,
rafforzandolo in un’ottica universale e declinata secondo le esigenze delle diverse categorie
di soggetti in formazione, prevedendo delle specifiche integrazioni per chi frequenta un
corso di ITS mentre continua ad essere occupato, per chi viene espulso dal mercato del
lavoro o per chi è in cassa integrazione, in una prospettiva complessiva di reinserimento
nei percorsi formativi ai fini di innalzare il livello generale delle conoscenze e delle
competenze nel mondo del lavoro. L’attrattività di tali percorsi deriva anche da questo
aspetto che finora è evidentemente mancato.
La tutela dei tirocinanti: diritti e qualitàUn altro tema caldo è quello relativo alla qualità e alla tutela dei percorsi di tirocinio, che
costituiscono una quota cospicua (30%) dell’intero percorso di ITS. Da questo punto di
vista sono necessari tre strumenti: uno statuto che tuteli i diritti di coloro i quali sono
impiegati in percorsi di tirocinio; una carta nazionale che preveda regole stringenti per
le aziende che intendono promuovere percorsi di tirocinio, nel campo della qualità del
lavoro, della quantità di formazione erogata ai lavoratori, nella sostenibilità ambientale e
nell’anticorruzione; la previsione di uno spazio di codeterminazione delle condizioni
di svolgimento dei tirocini partecipato tanto dalle parti contraenti (gli ITS e le aziende
o gli enti erogatori) quanto da studenti e docenti.
Inoltre è necessario rafforzare la prospettiva della mobilità degli iscritti, tanto sul
territorio nazionale quanto sul piano europeo, prospettiva che necessita di un’erogazione
di risorse specifica, orientata in particolare rispetto ai quei contesti territoriali nei quali il
tessuto produttivo esistente non è caratterizzato da un adeguato potenziale formativo.
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La governance internaLa natura privata delle fondazioni promotrici degli ITS mal si è conciliata, finora, con la
previsione di uno spazio vero di autogoverno collegiale di questi istituti, partecipato
dunque non solo dai ‘soci promotori’ delle fondazioni, ma soprattutto da studenti e
docenti. Ritornando all’ottica sopracitata, se riconosciamo negli ITS un percorso formativo
a tutti gli effetti, è necessario prevedere gli adeguati strumenti di partecipazione alla
vita di tali istituti da parte dei componenti della comunità didattica, nonché delle
forme più forti di coinvolgimento e messa in rete delle scuole e degli altri enti formativi e
di ricerca, anche in termini di condivisione degli spazi e delle strutture per svolgere le
attività formative.
Gli ambiti decisionali sui quali è necessario prevedere uno spazio di codecisione tra
studenti e docenti dovrebbero riguardare tanto gli aspetti di bilancio e di amministrazione,
quanto quelli legati alla programmazione didattica. Affrontare adeguatamente il nodo
della didattica è imprescindibile soprattutto a fronte della progressiva
equiparazione degli ITS ai percorsi universitari, con la conseguente previsione dei
‘ponti’ di passaggio tra un percorso e l’altro, al fine di evitare una ‘concorrenza’ ai percorsi
universitari dequalificata dal punto di vista formativo. Da questo punto di vista, risulta
cruciale definire regole e standard chiari per l’abilitazione, il reclutamento e la
formazione dei docenti e dei tutor, in un ambito di contrattazione con le parti sociali.
Infine, è necessario prevedere una maggiore elasticità nella definizione dei requisiti minimi
per la realizzazione delle fondazioni promotrici degli ITS: alcuni percorsi formativi sono - o
potrebbero essere - proiettati in una direzione caratterizzata dalla presenza del pubblico:
facendo due esempi, la messa in sicurezza del territorio o la gestione dei beni culturali. Da
questo punto di vista le indicazioni contenute nel dpcm 25/01/2008, segnatamente la
previsione di obbligatorietà di partecipazione di almeno “un’impresa del settore produttivo
dell’ambito cui afferisce l’ITS”, è troppo stringente. E’ necessario viceversa immaginare
anche l’eventualità della costituzione di fondazioni che coinvolgano, sul fronte
‘datoriale’, le stesse istituzioni pubbliche. Sempre in quest’ottica, è necessario
prevedere processi di aggregazione tra corsi già esistenti e con i corsi che
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saranno attivati in futuro, e quindi di accorpamento delle fondazioni di
riferimento, al fine di ridurre le fondazioni ‘monotematiche’ e di concentrare il governo
dei percorsi ITS in luoghi dove sugli interessi privati e particolari prevalga il ruolo
generalista del soggetto o dei soggetti pubblici promotori.
La governance di sistema e il finanziamento premialeIl nodo della governance di sistema non può essere affrontato senza sciogliere una
questione più complessiva, quella relativa al ruolo degli ITS nella relazione tra formazione,
lavoro e sviluppo socio-economico. E’ possibile immaginare in tal senso due strade
percorribili: una ‘via bassa’ e una ‘via alta’. Seguendo la ‘via bassa’ i percorsi di ITS
rispondono ad esigenze collocate nel breve periodo e riconducibili agli interessi
particolari delle singole imprese o delle singole filiere produttive, che compongono un
tessuto produttivo spesso frammentato e (anche) per questo incapace di incorporare la
formazione necessaria per la riproduzione del proprio modello di produzione. Seguendo
invece la ‘via alta’ i percorsi di ITS si orientano verso le esigenze di medio-lungo
periodo, con l’ambizione di trasformare l’attuale modello produttivo, di
incrementare la capacità di innovazione del sistema e di fungere da supporto
strategico per la realizzazione fattiva dei piani industriali. Riteniamo che sia
necessario percorrere la seconda strada: questo per tre ragioni.
Innanzitutto è necessario sottolineare il ritardo strutturale dell’Italia nel campo della
formazione continua: secondo il XV Rapporto sulla Formazione Continua realizzato
dall’ISFOL, nel 2013 solo il 6,2% della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni era coinvolta
in un percorso di formazione. La media UE era del 10,2%, con picchi del 31,4% in
Danimarca, del 28,9% in Svezia, del 17,7% in Francia, l’obiettivo previsto dalla strategia
Europa2020 è fissato al 15%. Il dato più allarmante è che, per quanto riguarda il nostro
Paese, il trend non è affatto in crescita: assistiamo infatti a un calo dal 6,6% del 2012 al
6,2% del 2013.
Un altro ritardo evidente è costituito dall’incapacità del sistema produttivo italiano di
garantire un’impiegabilità di qualità, corrispondente ai profili formativi dei soggetti in
formazione che escono dai percorsi formativi ed entrano nel mondo del lavoro. I dati sui
laureati, da questo punto di vista, parlano chiaro: nonostante l’esiguo numero di laureati
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rispetto alla media europea, essi sono in media meno occupati e meno remunerati.
L'ultimo ritardo è quello relativo alla capacità di innovazione di processo e di
prodotto: da questo punto di vista è necessario legare in maniera stretta la redazione dei
piani territoriali con la previsione di nuovi piani industriali di orientamento degli
investimenti pubblici privati in settori strategici per lo sviluppo del Paese. La
programmazione dell’offerta formativa degli ITS non può prescindere da una correlazione
stretta con le strategie di sviluppo del Paese e con il contributo, fondamentale e non
limitabile solo allo spazio della governance delle singole fondazioni, del sistema di ricerca
delle Università e dei centri di ricerca.
Analizzando assieme questi tre ordini di problemi (formazione, occupabilità e
innovazione), sarebbe ragionevole immaginare un livello doppio di
programmazione, concependo lo spazio nazionale come quello di definizione
delle direttrici strategiche di sviluppo, e quello regionale/locale come campo di
definizione dei percorsi di specializzazione anche in ragione delle differenti
esigenze socio-territoriali. Nella definizione dei livelli di programmazione nazionale e
regionale/locale è altresì necessario individuare spazi e processi chiari di
contrattazione con le parti sociali, includendo anche le rappresentanze degli
studenti.
La definizione di tali direttrici potrebbe essere anche l’occasione per operare una
revisione costante dei settori strategici di riferimento per l’attivazione di corsi
ITS, senza affidare tale articolazione a termini di legge rigidi, e anche per individuare gli
ambiti di intreccio delle filiere strategiche - ad esempio tra made in Italy ed efficienza
energetica, o tra tecnologie dell’informazione e mobilità sostenibile - che garantiscano da
un lato l’aumento delle possibilità di specializzazione e dall’altro una formazione
maggiormente trasversale che possa permettere di far fronte alle trasformazioni delle
filiere produttive e alle innovazioni di prodotto e di processo.
Infine, la questione della governance di sistema intercetta anche il problema della
premialità. In premessa, è necessario ribadire che la distribuzione premiale dei fondi
non può a nostro parere coinvolgere i fondi necessari per il funzionamento
ordinario degli ITS, mentre può essere destinata alla realizzazione dei nuovi percorsi e
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all’implementazione di quelli già esistenti. Questo però deve avvenire a partire da una
valutazione eseguita da un ente indipendente e sulla base di criteri diversi da quelli
attuali, che prendano in considerazione, per esempio, la qualità e la durabilità dell’impiego
trovato dagli studenti al termine del percorso ITS, o l’eventuale aumento di qualifica
rispondente alla maggiore specializzazione del lavoratore. È necessario in ogni caso
correggere e calibrare tali parametri tanto rispetto al contesto socio-economico
di riferimento dei singoli ITS, al fine di non generare evidenti sperequazioni territoriali
tra le aree più e meno sviluppate, quanto rispetto al settore tecnologico di
riferimento dei singoli corsi, al fine di promuovere anche quei percorsi che, pur
rischiando di non avere un’immediata spendibilità nell’attuale contesto produttivo, possono
essere funzionali a produrre, nel medio-lungo periodo, una trasformazione dei settori e
delle filiere esistenti.
Conclusioni
Analizzare la contorta e frammentaria vicenda dell’evoluzione dei percorsi di formazione
tecnica e professionale in Italia significa anche rintracciare i ritardi e le difficoltà strutturali
del sistema economico e produttivo del nostro Paese. Stabilire quale prospettiva di
sviluppo dare ai percorsi di ITS significa porsi davanti a un bivio: da un lato, la
formazione come variabile dipendente dei processi produttivi, come appendice
tecnica neutra degli interessi di profitto delle imprese; dall’altro, la formazione come
strumento vivo di trasformazione della realtà e come bene collettivo e riproducibile
necessario per l’emancipazione individuale e collettiva. E’ lo stesso bivio di fronte al quale
ci si trova quando si affrontano le conseguenze della riforma del mercato del lavoro e di
quella della scuola. E’ necessario prendere la direzione giusta, ripartendo dalla conoscenza
e dalla sua riproducibilità come leva per spostare un sistema produttivo obsoleto e sempre
più lontano dalla giustizia sociale e ambientale.
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