Italia 2020

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Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno VI - n. 1 - gennaio/febbraio 2011 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso www.farefuturofondazione.it ITALIA 2020

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2009

Nuova serie A

nno VI - N

umero 1 - gennaio/febbraio 2011

ITALIA

2020

Una nuova agendaper il futuro della nazione

EDITORIALEDI GIANFRANCO FINI

Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiet-tivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergereuna nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della glo-balizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, dicultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dellosviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, svilup-pare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello.Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestraitaliano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nelquadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in si-nergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idead’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale vi-sione dell’Occidente.La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113.Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientificae dell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scien-tifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro chene finanziano l’attività con donazioni private.

Presidente

Gianfranco FINI fini@ farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO urso@ farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA [email protected]

Consiglio di fondazioneAlessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI,

Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, Pietro PICCINETTI, Pierluigi

SCIBETTA, Adolfo URSO

Segreteria organizzativa fondazione FarefuturoVia del Seminario 113, 00186 Roma - tel. 06 40044130 - fax 06 40044132

[email protected]

Direttore scientificoAlessandro [email protected]

Direttore relazioni internazionaliFederico [email protected]

DirettoreMario [email protected]

Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno VI - n. 1 - gennaio/febbraio 2011 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer,disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo».Sembra un’affermazione scontata. Ma risulta assai meno ovvia seapplicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempola politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli inter-venti strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfi-duciata continua a essere desolatamente vuota. La lista dei meritiesibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i ri-fiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici. «Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza»? È verosenso di responsabilità verso il paese affermare «accontentiamoci,perché potevamo finire come la Grecia»? Può esserlo nella solaprospettiva del presente. Sicuramente non lo è riguardo al futuro,anche prossimo. Può essere realmente rassicurante (e coinvolgen-te) soltanto un discorso di questo tipo: «Proviamo a fare come laGermania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate al-la ricerca e all’innovazione». Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità: sec’è un paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe au-mentarli anziché diminuirli, questo paese è proprio l’Italia. Riser-

viamo alla ricerca circa la metà delle risor-se mediamente impiegate a tale scopo daipaesi dell’Ocse e siamo decisamente lonta-ni dal livello minimo (3% del Pil) stabilitoda Obiettivo Europa 2020: la percentuale

in Italia è infatti dell’1,13. Questo significa che dovremo triplica-re, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da desti-nare all’innovazione. Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammaticoè che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e dimentalità. Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fattie all’operatività. E deve compiere un simile passo nel più brevetempo possibile perché il futuro è già cominciato nei paesi del-l’area più avanzata del mondo. Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ri-tardo. Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti in-sieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli dicrescita economica. Non può produrre nuova ricchezza un paesedove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove lagiungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani icapitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remuneratoe meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, por-

L’Italia dovrebbe aumentare gli investimenti destinati alle idee

www.farefuturofondazione.i t

I T A L I A

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Una nuova agenda per il futuro della nazioneGIANFRANCO FINI - EDITORIALE

Dieci anni per ricominciare - 4ADOLFO URSO

Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto - 10PIERCAMILLO FALASCA

Non bastano i tagli lineari, si scelga la via delle riforme - 16BENEDETTO DELLA VEDOVA e PIERCAMILLO FALASCA

Una Terza Repubblica per salvare il paese - 24INTERVISTA a ENRICO CISNETTO di Federico Brusadelli

Se la legge non è uguale per tutti, l’Italia non può crescere - 32GUIDO TABELLINI

150 anni dopo, il Sud è ancora al palo - 44ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA

Legalità e sviluppo, binomio indissolubile - 52ROSALINDA CAPPELLO

Italia, ultima chiamata per il treno del futuro - 58GIUSEPPE PENNISI

Ecco come l’Europa spera di cambiare rotta - 70ALESSANDRO MULIERI

Facciamo rinascere la famiglia italiana - 78MARIO CIAMPI

Green economy, una sfida da vincere - 84ENRICO CANCILA

Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa - 90GIOVANNI BOGGERO

Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron - 96SILVIA ANTONIOLI

Parigi riparte. Prima degli altri - 104RODOLFO BASTIANELLI

SOMMARIONUOVA SERIE ANNO VI - NUMERO 1 - GENNAIO/FEBBRAIO 2011

STRUMENTI

Documento Europa 2020 - 112

Piano Italia 2020 - 133

MINUTAViaggio al centro della ‘ndrangheta - 146INTERVISTA a GIANLUIGI NUZZI di Clio Pedone

Il pentito del postmodernismo - 154ADRIANO SCIANCA

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler - 160GIUSEPPE PENNISI

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

Direttore Adolfo Urso [email protected]

Direttore responsabile Pietro [email protected]

Collaboratori:Roberto Alfatti Appetiti, Rodolfo Bastianelli, Federico Brusadelli, Stefano Caliciuri, Rosalinda Cappello, DilettaCherra, Piercamillo Falasca, Silvia Grassi,Giuseppe Mancini, Cecilia Moretti, Ales-sandro Mulieri, Domenico Naso, Clio Pe-done, Giuseppe Pennisi, Paolo Quercia,Giampiero Ricci, Adriano Scianca, LucioScudiero, Angelica Stramazzi, BrunoTiozzo, Michele Trabucco.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/40044130 - Fax 06/40044132 E-mail: [email protected]

Segreteria di [email protected]

Grafica ed impaginazioneGiuseppe Proia

Editrice Charta s.r.l.Abbonamento annuale € 60, sostenitore da €200Versamento su c.c. bancario , Iban IT88X0300205066000400800776intestato a Editrice Charta s.r.l. -C.c. postale n. 73270258Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unicoGianmaria Sparma

Segreteria amministrativaSilvia Rossi

TipografiaTipografica-Artigiana s.r.l. - Roma

Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

www.farefuturofondazione.i t

www.chartaminuta.it

PARIGILe traité de l'Elysée est-il dépassé?Convegno della Konrad AdenauerStiftung in Francia sull’attualità deltrattato di amicizia franco-tedesca 47anni dopo la sua firma. Tra i relatori,l’ex Commissario europeo Jacques Bar-rot.Giovedì 20 gennaio

BERLINOUmweltschutz und Wirtschaftswachs-tumDibattito organizzato dalla KonradAdenauer Stiftung sulla green economyin seguito alla conferenza sul cambia-mento climatico a Cancún. Partecipa ilsottosegretario all’Ambiente, UrsulaHeinen-Esser.Lunedì 24 gennaio

MALM�Helt sjukt!Il deputato moderato JohnnyMunkhammar presenta un libro criticocon il sistema sanitario svedese, basatosulle proprie esperienze dopo che gliera stato diagnosticato un cancro. Or-ganizza il centro studi Timbro. Venerdì 28 gennaio

CITT¸ DEL CAPOThe things that unite usLa FW de Klerk Foundation si interrogasul significato del concetto di unitànazionale in Sud Africa.Mercoledì 2 febbraio

CITT¸ DEL MESSICO10 Años – Alternancia en MéxicoLa Fundación Rafael Preciado Hernán-dez evidenzia in un seminario i pro-gressi fatti dal Messico nei campieconomici, politici e sociali da quando ilcentrodestra per la prima volta con-quistò la presidenza 10 anni fa.Mercoledì 2 febbraio

SIMI VALLEYRonald Reagan’s Centennial BirthdayWeekendLa Ronald Reagan Presidential Founda-tion commemora il centesimo anniver-sario della nascita dell’ex Presidentecon una serie di eventi, tra cui una cenadi gala e la presentazione di un libro diNewt Gingrich. Domenica 6 – Lunedì 7 febbraio

LONDRAHow The West Was LostL’economista Dambisa Moyo presentail suo libro sul declino del modello occi-dentale presso il think-tank Policy Ex-change.Lunedì 7 febbraio

BRUXELLESEuropäische und globale Ord-nungspolitik nach der FinanzmarktkriseConferenza internazionale della KonradAdenauer Stiftung sull’impatto dellacrisi finanziaria sulle istituzioni europeee mondiali.Martedì 8 – Giovedì 10 febbraio

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Una nuova agenda per il futuro della nazioneGIANFRANCO FINI - EDITORIALE

Dieci anni per ricominciare - 4ADOLFO URSO

Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto - 10PIERCAMILLO FALASCA

Non bastano i tagli lineari, si scelga la via delle riforme - 16BENEDETTO DELLA VEDOVA e PIERCAMILLO FALASCA

Una Terza Repubblica per salvare il paese - 24INTERVISTA a ENRICO CISNETTO di Federico Brusadelli

Se la legge non è uguale per tutti, l’Italia non può crescere - 32GUIDO TABELLINI

150 anni dopo, il Sud è ancora al palo - 44ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA

Legalità e sviluppo, binomio indissolubile - 52ROSALINDA CAPPELLO

Italia, ultima chiamata per il treno del futuro - 58GIUSEPPE PENNISI

Ecco come l’Europa spera di cambiare rotta - 70ALESSANDRO MULIERI

Facciamo rinascere la famiglia italiana - 78MARIO CIAMPI

Green economy, una sfida da vincere - 84ENRICO CANCILA

Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa - 90GIOVANNI BOGGERO

Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron - 96SILVIA ANTONIOLI

Parigi riparte. Prima degli altri - 104RODOLFO BASTIANELLI

SOMMARIONUOVA SERIE ANNO VI - NUMERO 1 - GENNAIO/FEBBRAIO 2011

STRUMENTI

Documento Europa 2020 - 112

Piano Italia 2020 - 133

MINUTAViaggio al centro della ‘ndrangheta - 146INTERVISTA a GIANLUIGI NUZZI di Clio Pedone

Il pentito del postmodernismo - 154ADRIANO SCIANCA

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler - 160GIUSEPPE PENNISI

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

Direttore Adolfo Urso [email protected]

Direttore responsabile Pietro [email protected]

Collaboratori:Roberto Alfatti Appetiti, Rodolfo Bastianelli, Federico Brusadelli, Stefano Caliciuri, Rosalinda Cappello, DilettaCherra, Piercamillo Falasca, Silvia Grassi,Giuseppe Mancini, Cecilia Moretti, Ales-sandro Mulieri, Domenico Naso, Clio Pe-done, Giuseppe Pennisi, Paolo Quercia,Giampiero Ricci, Adriano Scianca, LucioScudiero, Angelica Stramazzi, BrunoTiozzo, Michele Trabucco.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/40044130 - Fax 06/40044132 E-mail: [email protected]

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Grafica ed impaginazioneGiuseppe Proia

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Amministratore unicoGianmaria Sparma

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PARIGILe traité de l'Elysée est-il dépassé?Convegno della Konrad AdenauerStiftung in Francia sull’attualità deltrattato di amicizia franco-tedesca 47anni dopo la sua firma. Tra i relatori,l’ex Commissario europeo Jacques Bar-rot.Giovedì 20 gennaio

BERLINOUmweltschutz und Wirtschaftswachs-tumDibattito organizzato dalla KonradAdenauer Stiftung sulla green economyin seguito alla conferenza sul cambia-mento climatico a Cancún. Partecipa ilsottosegretario all’Ambiente, UrsulaHeinen-Esser.Lunedì 24 gennaio

MALM�Helt sjukt!Il deputato moderato JohnnyMunkhammar presenta un libro criticocon il sistema sanitario svedese, basatosulle proprie esperienze dopo che gliera stato diagnosticato un cancro. Or-ganizza il centro studi Timbro. Venerdì 28 gennaio

CITT¸ DEL CAPOThe things that unite usLa FW de Klerk Foundation si interrogasul significato del concetto di unitànazionale in Sud Africa.Mercoledì 2 febbraio

CITT¸ DEL MESSICO10 Años – Alternancia en MéxicoLa Fundación Rafael Preciado Hernán-dez evidenzia in un seminario i pro-gressi fatti dal Messico nei campieconomici, politici e sociali da quando ilcentrodestra per la prima volta con-quistò la presidenza 10 anni fa.Mercoledì 2 febbraio

SIMI VALLEYRonald Reagan’s Centennial BirthdayWeekendLa Ronald Reagan Presidential Founda-tion commemora il centesimo anniver-sario della nascita dell’ex Presidentecon una serie di eventi, tra cui una cenadi gala e la presentazione di un libro diNewt Gingrich. Domenica 6 – Lunedì 7 febbraio

LONDRAHow The West Was LostL’economista Dambisa Moyo presentail suo libro sul declino del modello occi-dentale presso il think-tank Policy Ex-change.Lunedì 7 febbraio

BRUXELLESEuropäische und globale Ord-nungspolitik nach der FinanzmarktkriseConferenza internazionale della KonradAdenauer Stiftung sull’impatto dellacrisi finanziaria sulle istituzioni europeee mondiali.Martedì 8 – Giovedì 10 febbraio

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Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiet-tivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergereuna nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della glo-balizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, dicultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dellosviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, svilup-pare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello.Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestraitaliano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nelquadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in si-nergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idead’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale vi-sione dell’Occidente.La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113.Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientificae dell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scien-tifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro chene finanziano l’attività con donazioni private.

Presidente

Gianfranco FINI fini@ farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO urso@ farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA [email protected]

Consiglio di fondazioneAlessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI,

Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, Pietro PICCINETTI, Pierluigi

SCIBETTA, Adolfo URSO

Segreteria organizzativa fondazione FarefuturoVia del Seminario 113, 00186 Roma - tel. 06 40044130 - fax 06 40044132

[email protected]

Direttore scientificoAlessandro [email protected]

Direttore relazioni internazionaliFederico [email protected]

DirettoreMario [email protected]

Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno VI - n. 1 - gennaio/febbraio 2011 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer,disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo».Sembra un’affermazione scontata. Ma risulta assai meno ovvia seapplicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempola politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli inter-venti strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfi-duciata continua a essere desolatamente vuota. La lista dei meritiesibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i ri-fiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici. «Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza»? È verosenso di responsabilità verso il paese affermare «accontentiamoci,perché potevamo finire come la Grecia»? Può esserlo nella solaprospettiva del presente. Sicuramente non lo è riguardo al futuro,anche prossimo. Può essere realmente rassicurante (e coinvolgen-te) soltanto un discorso di questo tipo: «Proviamo a fare come laGermania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate al-la ricerca e all’innovazione». Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità: sec’è un paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe au-mentarli anziché diminuirli, questo paese è proprio l’Italia. Riser-

viamo alla ricerca circa la metà delle risor-se mediamente impiegate a tale scopo daipaesi dell’Ocse e siamo decisamente lonta-ni dal livello minimo (3% del Pil) stabilitoda Obiettivo Europa 2020: la percentuale

in Italia è infatti dell’1,13. Questo significa che dovremo triplica-re, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da desti-nare all’innovazione. Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammaticoè che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e dimentalità. Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fattie all’operatività. E deve compiere un simile passo nel più brevetempo possibile perché il futuro è già cominciato nei paesi del-l’area più avanzata del mondo. Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ri-tardo. Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti in-sieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli dicrescita economica. Non può produrre nuova ricchezza un paesedove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove lagiungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani icapitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remuneratoe meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, por-

L’Italia dovrebbe aumentare gli investimenti destinati alle idee

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tuali e telematiche) sono insufficienti, dove non sono avvenuteliberalizzazioni (se non nelle telecomunicazioni) ma solo privatiz-zazioni di monopoli pubblici per fare cassa e non per aprire il mer-cato dei servizi alla concorrenza, dove la mobilità sociale è in di-scesa, dove la natalità è tra le più basse d’Europa, dove i livelli dicorruzione di politici e dirigenti pubblici sono preoccupanti, doveprospera una gigantesca economia in nero che non si traduce in

ricchezza sociale, dove la criminalità organiz-zata esercita il suo potere di ricatto su vastearee del sud e inquina l’economia legale.L’elenco sarebbe ancora lungo, ma è bene fer-marsi qui perché quanto detto è sufficiente a

far capire che la ricreazione è finita e che non ci sono più scuse perla politica del giorno per giorno, del circo mediatico, della rissapermanente. Una grande lezione è venuta recentemente dal casoMirafiori, che ha dimostrato quanto le forze dell’economia e dellavoro siano comunque vive nel nostro paese. Però, chiunque pre-tendesse di strumentalizzare politicamente un simile risultatocompirebbe un’operazione arbitraria. Perché la politica ha fattoassai poco per creare le condizioni generali – quindi non solo a To-rino, ma in tante altre parti d’Italia – per rendere convenienti gliinvestimenti di capitale nel nostro territorio. Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti non in nome della or-mai frustra retorica del “fare”, ma sulla base di una grande ideadell’Italia prossima ventura. L’obiettivo deve essere un Progetto diItalia per il 2020, il progetto di realizzare riforme che cambinoprofondamente il volto del nostro paese nel giro di qualche anno,liberando le energie della società e offrendo concrete opportunitàdi affermazione ai giovani, ai lavoratori, agli imprenditori. Poiché non ci saranno prove d’appello, occorre riscrivere subitol’agenda della politica e fissare gli appuntamenti chiave, quelli piùurgenti. Al primo posto dovranno comparire la crescita economicae il futuro dei giovani, insieme con le riforme istituzionali e la ne-

cessità di superare il divario tra nord e sud.Essenziale, per quanto riguarda la crescita, èridurre il carico fiscale su famiglie e impresecominciando a lavorare per una riforma tri-butaria all’insegna della riduzione e della ri-

modulazione delle aliquote. Parallelamente, sarà necessario au-mentare la competitività del sistema attraverso l’aumento dellaproduttività del lavoro e dell’impresa, il sostegno all’internazio-nalizzazione delle aziende e all’innovazione dei processi produtti-vi, il disboscamento della giungla burocratica e la riforma del pro-cesso civile, l’accesso al credito per le piccole e medie imprese,l’incremento delle risorse da destinare alla ricerca, all’università eall’istruzione. Tutto ciò mentre dovranno essere realizzati gliobiettivi, necessariamente a più lunga scadenza, dell’ammoderna-mento infrastrutturale, a partire dalla differenziazione delle fontienergetiche.

Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti, partendo daun’idea forte dell’Italia

È essenziale ridurre il carico fiscale su famiglie e imrese abbassando le aliquote

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Per quanto invece riguarda i giovani, al netto dei benefici che po-tranno arrivare dagli auspicabili maggiori investimenti in istru-zione e ricerca, bisognerà costruire un sistema di flessibilità posi-tiva che combatta la vergogna della precarietà unita ai bassi salarie realizzare un collegamento più stretto tra scuola, università emondo del lavoro. Occorre anche favorire l’intraprendenza deigiovani attraverso un fondo di garanzia pubblico per spingere le

banche a finanziare i ragazzi che vogliano fre-quentare un master all’estero, aprire un’impre-sa, acquistare una casa.Indipendentemente dalle misure che potran-no essere varate nel concreto, il principio da

affermare è che la questione- giovani è una delle questioni stra-tegiche dell’Italia e che tra dieci anni – quando i ragazzi di oggisaranno adulti- dovranno poter vivere in una società che pone re-almente il merito tra i suoi valori centrali. È una rivoluzione eti-ca e culturale molto più profonda e decisiva di quello che comu-nemente si pensa. È bene a questo punto avvertire che sono poche le riforme a costozero. È quindi chiaro che occorrerà spostare risorse da un settore aun altro, tagliare rami di spesa improduttivi, mettere in discus-sione rendite consolidate. È anche chiaro che, quello riformatore,non sarà un processo indolore perché ci sarà chi nell’immediato ciguadagnerà e chi nell’immediato ci perderà. Però deve essere altrettanto chiaro che i sacrifici di un paese non sidecidono sulla base di un criterio meramente ragionieristico maeminentemente politico. Criterio politico vuol dire trovare un ac-cordo ampio e solido tra partiti, forze sociali, imprenditoriali, sin-dacali per stabilire gli obiettivi strategici, e cominciare subito ainserirli nell’agenda di Italia 2020 stabilendo le priorità necessa-rie con equità e giustizia. Rimboccarsi le maniche? Alcuni sicuramente diranno «ma chi celo fa fare?», memori forse dei tempi in cui Andreotti diceva «tan-

to in Italia tutto s’aggiusta» e Craxi affer-mava «la nave va». Mi dispiace per lorsignori, ma quei tempinon torneranno più, nel bene e nel male. In conclusione: qual è il rischio di continua-

re a ripetere «tutto bene madama la marchesa»? È quello di fare lafine della rana nella pentola. Questa metafora, rilanciata in un re-cente pamphlet dallo scrittore Olivier Clerc, s’adatta assai bene al-l’Italia dominata da una politica minimalista e di corto respiro.«Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda moltolentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia ascottare non ha più le forze per saltare fuori».La morale della favola è semplice: non c’è alternativa a una politi-ca ambiziosa e profondamente riformatrice.

Serve una rivoluzioneetica e culturale molto più profonda di quanto si pensi

Fingendo che vada tutto bene, l’Italiarischia di fare la finedella rana nella pentola

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I primi dieci anni di questo seco-lo avrebbero dovuto essere quellidel Grande Cambiamento. Così èstato per la Germania, la Franciae per molti altri paesi europei,che hanno cercato di contendereil campo ai nuovi attori dellascena mondiale. E in parte ci so-no riusciti.L’Italia avrebbe dovuto realizzarequella grande rivoluzione libera-le che da tanto tempo attendevae che era stata a lungo promessa.Berlusconi l’aveva già annunciatanel 1994, all’atto del primo in-sperato successo, e per la veritàallora vi aveva seriamente tenta-to, con la riforma delle pensionisu cui si realizzò il ribaltone del-la Lega. Alla ripresa del potere,nel 2001, aveva certamente lamaggioranza per farlo, e noi conlui, ma le cose non sono andateper il verso giusto, anche per le

conseguenze del terribile attenta-to dell’11 settembre sulla scenaeconomica e non solo su quellamilitare. L’Italia, alle prese conle nuove emergenze, non seppeaffrontare i nodi strutturali cheda troppo tempo si trascinava, acominciare dal debito pubblicoche ora pesa su ogni prospettiva. I primi dieci anni di questo seco-lo sono stati anni sprecati. I diva-ri interni si sono accresciuti e ri-schiano di lacerare il paese, i di-vari esterni anche, e rendono piùdifficile competere su scala glo-bale. La protesta giovanile è lapunta dell’iceberg che evidenziagli uni e gli altri. I giovani sonoinfatti coloro sui quali pesano dipiù le mancate riforme. Protesta-no perché è stato scippato il lorofuturo ma anche perché è statoscippato il futuro al loro paese.I numeri parlano chiaro. In que-

DI ADOLFO URSO

Un’agenda concreta per il rilancio

DIECI ANNI PER RICOMINCIAREDopo la rivoluzione liberale mancata, il decennio che si apre ha una eredità ancora più pesante: sino al 2020 c’è ancora la possibilità di uscire dall’angolo,se si parte subito con un piano coraggioso di riforme.

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sti dieci anni è aumentato il di-vario tra giovani e adulti, sia perquanto riguarda l’occupazione siaper quanto riguarda il reddito, esiamo diventati il penultimopaese al mondo per l’occupazionegiovanile, meglio solo dell’Un-gheria. È aumentato il divariotra chi vive di rendita, cioè dicapitali, e chi produce redditoattraverso il proprio lavoro, e ciògarantisce chi ha (e quindi so-prattutto i più anziani) a scapitodi chi fa (e quindi a scapito an-che dei giovani). Oggi il 45%della ricchezza è nelle mani del10% della popo-lazione, che peral-tro non l’investeper creare nuovaricchezza. L’Italia è un paeseseduto, stanco, incui non si investenel futuro, tutt’alpiù si amministra il presente, co-me dimostrano i dati inquietantisulle scarse risorse destinate a in-novazione e ricerca, scuola eduniversità e sulla scarsa propen-sione a fare impresa nei settoridinamici e competitivi. L’Italianon investe nel futuro, come sefosse ancora nel Novecento, alleprese con le lacerazioni ideologi-che e il linguaggio violento tragli schieramenti sembra mutuatoda allora, anzi addirittura peg-giorato. In queste decennio è aumentatoanche il divario tra nord e sud,con la sistematica sottrazione deifondi destinati alle aree più de-boli, come mai era accaduto pri-ma, mentre nel resto d’Europa si

riducevano i divari tra le aree piùricche e quelle più deboli, comedimostrano i casi della Germa-nia, con il magistrale sforzo perrecuperare l’est, ma anche diSpagna e Gran Bretagna, per nonparlare della Francia, in cui èprevalsa la politica di coesione.In Italia, invece, il 150° anniver-sario dell’Unità coincide con ilmassimo divario storico.Nel contempo, abbiamo persoterreno in ogni classifica di com-petitività: hanno perso terreno lenostre università, fuori da ogniclassifica; hanno perso terreno le

nostre aziende, so-lo Eni, Finmecca-nica e Fiat ancoraresistono; hannoperso terreno ricer-catori, scienziati,inventori e persinoletterati. L’Italiare t rocede ne l la

classifica delle libertà economi-che e anche in quella della coe-sione sociale, retrocede in com-petitività e in produttività, nellaformazione e nell’amministrazio-ne del fisco e della giustizia.In questi dieci anni avrebbe do-vuto dispiegarsi la rivoluzione li-berale e invece nell’anno che si èchiuso siamo saliti al terzo postoal mondo per la pressione fiscalecon il 43,5% (più di noi solo Da-nimarca e Svezia, che però forni-scono in cambio ben altri servizisociali) e solo il 21,5% dei giova-ni ha una occupazione e in molticasi precaria, il 5% delle fami-glie non riesce più a pagare ilmutuo sulla prima casa. Se poiguardiamo alle prospettive futu-

Nell’ultimo anno siamosaliti al terzo posto per la pressione fiscale,dietro solo a Danimarca e Svezia

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re i dati sono ancora più inquie-tanti: il debito pubblico è ormaivicino al 121% del Pil, la natali-tà è ferma alla metà della Franciae solo gli immigrati ci danno unpo’ di respiro, le pensioni dei no-stri figli non supereranno il 30%del loro reddito, il nostro sistemaproduttivo ha rinunciato a com-petere sui settori a più alta tec-nologia e su quelli strategici.Il bilancio del berlusconismo èpurtroppo negativo, dietro glispot nulla o quasi. E la spazzaturadi Napoli che ritorna ad invaderele strade è la parabola di un epo-ca. Certo, è anche colpa nostra, enon possiamo né vogliamo esen-tarci. È responsabilità di tutta laclasse dirigente, che troppo spes-so ha tirato a campare, utilizzan-do a parti inverse l’arma dellademagogia invece di far leva sul-la responsabilità.Il decennio che si è chiuso lasciatroppi problemi irrisolti e nodiancora più stretti. Far finta dinulla significa essere conniventicon la storia. Il decennio che siapre ha quindi una eredità ancorapiù pesante: sino al 2020 c’è an-cora la possibilità di uscirne, se siparte subito e senza più fiction.La politica degli annunci lasciaNapoli maleodorante, quella delsorriso si trasforma in smorfia. Ènecessaria una svolta a partiredalla destra, anche se fosse lace-rante, purché utile al paese. Ènecessaria una destra davvero li-berale e nel contempo solidale,laica e plurale, aperta e inclusiva,nazionale ed europea, riformistae modernizzatrice. È necessarioimporre l’agenda delle riforme,

FOCUS

E i consumi tornanoai livelli del 1999Nel biennio recessivo 2008-2009 inmedia nel nostro paese i consumi procapite sono tornati ai livelli del 1999.Tuttavia le famiglie italiane, nonostanteil perdurare della crisi e la riduzione delreddito disponibile, si sono dimostratevitali e reattive e dopo l’aumentodel’0,9% in termini reali prevista per il2011 il prossimo anno si registrerà la ve-ra ripresa dei consumi (1,6%). Sono glielementi principali che emergono dalRapporto Consumi 2010 realizzatodall’Ufficio Studi Confcommercio. Sot-tolineando le conseguenze della crisi,con un “pauroso salto all’indietro chetaglia il benessere fruito dai cittadini egenera aspettative negative sulle pro-spettive di qualità della vita”, Confcom-mercio evidenzia per le famiglie italianela maggiore attenzione agli sprechi, alrapporto qualità-prezzo e il ricorso an-che a quote di risparmi per contenere almassimo la perdita di benessere patitadurante la crisi. Tra le voci di consumo,nel biennio 2008-2009, in calo la spesaper le vacanze (-3,2%), mobilità e comu-nicazioni (-3,1%), l’abbigliamento (-3,1%); di contro, tengono le spese per lasalute (2,5%), per elettrodomestici e ITdomestico (2,4%) e quelle per beni eservizi per la telefonia (0,4%). Dal rap-porto emerge come “la modesta ripresanon si è trasmessa ancora al mercato dellavoro (anche se i dati nazionali sono ilrisultato di una crescita occupazionale alNord-Centro neutralizzata da una conti-nua emorragia di posti di lavoro nelMezzogiorno)”. E, ricorda Confcommer-cio, “senza una maggiore occupazionedifficilmente si osserverà una curva cre-scente nella spesa reale per consumi. Esenza consumi difficilmente ci sarà unaripresa solida”.

ITALIA 2020Adolfo Urso

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subito e non domani, dieci coseda fare in questo 2011, da consa-crare all’unità del paese, per av-viare una vera politica solidaleche punti a colmare il divario tragiovani e adulti, nord e sud, ca-pitale e lavoro, e nel contempodavvero liberale, fatta di libera-lizzazioni e privatizzazioni, effi-cienza e merito, investimenti inricerca e innovazione, cultura euniversità.Futuro e libertà su questo dovràmisurarsi e questo dovrà prospet-tare al paese: sacrifici, certo, macon il chiaro scopo di costruireun futuro migliore. Dieci rifor-me nel 2011, cento in dieci annisino al 2020. Un’agenda ambi-ziosa ma necessaria fatta di coseconcrete e obiettivi misurabiliper superare le asticelle dellacompetizione internazionale efarlo senza lasciare nessuno in-dietro e soprattutto facendoesprimere i migliori. L’Italia me-rita di più, dieci anni sembranotanti, sono forse pochi per recu-perare quel che non si è fatto ne-gli ultimi cinquanta.L’Italia del 1961 celebrava ilcentenario sulle emozioni delmiracolo economico, l’autostradae la tv avevano unito il paese;l’Italia di questo 2011 è più di-visa che mai, lacerata da chi do-vrebbe unirla. Basta percorrere laSalerno-Reggio Calabria per ren-dersene conto, basta ascoltareMediaset o il Tg1 per capirlo. Civuole tanta forza per ricomincia-re, ci vuole a sinistra, e soprat-tutto a destra. Ci vuole forza ecoraggio e la convinzione di esse-re nel giusto. Noi sappiamo di

esserlo, non sappiamo se ne avre-mo abbastanza. “Un giorno, que-sta terra sarà bellissima”, dissePaolo Borsellino. Un giorno, for-se non il nostro, ma certo anchegrazie a noi.

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adolfo urso

Segretario generale della Fondazione Fare-

futuro, già viceministro allo Sviluppo econo-

mico, è coordinatore nazionale di Futuro e Li-

bertà per l’Italia.

L’Autore

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DI PIERCAMILLO FALASCA

Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto

Disoccupazione, tasse, welfare, conflittogenerazionale, riforme: ecco comel’Italia ha perso terreno dal 2000

ad oggi, tra occasioni mancate, politiche sbagliate e rivoluzioni liberali tradite.

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Un paese stanco e sfiduciato, in-gabbiato da una politica miope espesso autoreferenziale, conun’economia incapace di ritrova-re il cammino dell’innovazione edella crescita. Quanto è diverso il2011, l’anno del centocinquante-simo anniversario dell’unitàdell’Italia, dal centenario del1961! Quell’Italia – che con leOlimpiadi di Roma mostrava almondo di aver ormai sostanzial-mente colmato il gap di sviluppocon l’Europa, con la straordinariaproduzione cinematografica tor-nava alla ribalta culturale delpianeta e con lasua competitivitàindustriale si affer-mava in settori difrontiera – era an-cora una società ar-retrata e frugale,ma offriva ai suoiabitanti un dina-mismo ed una prospettiva futurainvidiabile. Le case si riempivanodi elettrodomestici e le città diautomobili (erano gli anni dellaprima Fiat 500), il tasso di scola-rizzazione aumentava (nel nordl’analfabetismo era ormai resi-duale), la famiglia usciva gra-dualmente dal modello patriarca-le, aprendo le porte del lavoro ex-tra-domestico anche alle donne,le cui gonne da lì a qualche annosi sarebbero accorciate. I figliavevano davanti a sé un orizzontedi reddito e benessere superiore aquello dei padri. Non tutto andòper il verso giusto, ovviamente:proprio in quegli anni si consoli-dava un sistema politico cliente-lare e corrotto, che nei decenni

successivi avrebbe provocatol’esplosione del debito pubblico,mentre si affermava una politicaper il Mezzogiorno ispirata aiprincipi keynesiani del sostegnoesogeno allo sviluppo, che avreb-be finito per rendere il sud Italiadipendente dall’assistenzialismopubblico e illuso dal mito delloStato come “creatore” di ricchez-za; la generosità del sistema pen-sionistico, in attivo grazie ad unademografia molto favorevole (po-chi anziani e molti giovani), po-neva le basi per gli squilibri wel-faristici di oggi. Nonostante tut-

to questo (e non èpoco, in verità),l’Italia del 1961appariva, ed in ef-fetti era, un paeseambizioso, proiet-tato in avanti, do-ve le istanze dimodernizzazione

prevalevano su quelle di retro-guardia.Trent’anni dopo, con la fine deiregimi comunisti dell’est europeoe lo scoppio della “bolla politica”della Prima Repubblica (l’acqui-sto del consenso attraverso la pro-duzione di spesa pubblica, ergodi deficit e debito), si archiviò cer-tamente una fase storica. Dopoun biennio di governi tecnici diemergenza, fu offerta alla classepolitica – nuova, sopravvissuta o“sdoganata” – una chance impor-tante di “ristrutturazione” delpaese. Il primo centrodestra ber-lusconiano del 1994 ebbe vitatroppo breve per rispondere aquella domanda politica di inno-vazione che lo aveva portato al

ITALIA 2020Piercamillo Falasca

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Nell’Italia ambiziosa del 1961, le istanze di modernizzazioneprevalevano su quelledi retroguardia

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potere (gli storici noteranno pro-babilmente un elemento di in-coerenza sistemica in quell’alle-anza asimmetrica tra Forza Italia,Alleanza nazionale e Lega Nord,corollario della eccezionalità delladiscesa in campo di Berlusconi,ma difficilmente potranno sca-gionare Bossi dalla responsabilitàdi aver scelto deliberatamente lafine di quell’esperienza di gover-no). Toccò di nuovo ad un “cetotecnico” e poi al centrosinistra,irrobustito tra l’altro dall’ingres-so nelle sue fila di quegli stessitecnici, traghettare l’Italia fuori,lungo il sentierodelle riforme: pen-sioni, mercato dellavoro, stabilizza-zione dei contipubblici, privatiz-zazioni, ingressonell’unione mone-taria europea. Purtra errori e incoerenze ideologi-che, quel litigioso centrosinistrasi pose e conseguì obiettivi note-voli, primo tra tutti l’adesione al-l’euro, raggiunti i quali esaurì fi-siologicamente la sua esperienzadi governo. Il paese sentiva l’esi-genza di uno scossone liberale edi un’iniezione di dinamismo. Lavittoria della Casa delle Libertàalle elezioni politiche del 2001,apice di un ciclo positivo inaugu-rato già con le elezioni europeedel 1999 e proseguito con la tor-nata regionale del 2000, ponevale basi per una politica economicache avrebbe dovuto orientarsiall’alleggerimento del ruolo e delpeso dello Stato – il “meno tasseper tutti” era una sintesi elettora-

le paradigmatica – e all’aperturadi una stagione di riforme siste-miche nei grandi comparti del-l’azione pubblica, dal welfare aldiritto del lavoro, passando per legrandi opere infrastrutturali.Se il 1994 fu una splendida illu-sione, la primavera del 2001 ap-pare, agli occhi di chi oggi l’ana-lizza, la grande occasione manca-ta. L’esecutivo che Berlusconiguidò dal 2001 al 2006 operòbene in alcuni ambiti, ad esem-pio sulla scena internazionale,con un approccio atlantista mol-to diverso dall’attuale disegno fi-

lo-satrapico e par-t e c i p ando c onmerito e buoni ri-sultati all’impe-gno internaziona-le contro il terro-rismo. Ma nonseppe infonderenella sua politica

economica quello scatto di liber-tà che la maggioranza degli elet-tori italiani aveva chiesto con ilvoto. Non riuscì ad adempierealla promessa “storica” di una ri-forma del fisco orientata al lavo-ro, alla libera intrapresa e alla fa-miglia, rinunciò alla possibilitàdi un sano “conflitto” sociale sul-l’articolo 18 che in qualche mo-do potesse completare il sentierodella legge Biagi, si tenne lonta-no da provvedimenti di liberaliz-zazione nei grandi compartidell’economia e da riforme orga-niche del sistema di giustizia.Last but not least, permise ad unacomponente strisciante della spe-sa pubblica locale – i consumiintermedi della regioni e degli

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Dal 2001 al 2006, Berlusconi non seppeinfondere l’attesoscatto di libertà in politica economica

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enti territoriali – di assorbirecompletamente le molte decinedi miliardi di risparmio di inte-ressi sul debito che l’adesione al-la moneta unica aveva offerto.Rientrato al potere nel 2008, do-po il biennio fallimentare del-l’Unione prodiana, Berlusconi hafatto dell’immobilismo – che dal2001 al 2006 era stato spesso,ma non sempre, l’esito indeside-rato della dinamica politica dellamaggioranza di centrodestra –un vero e proprio modus operandi,sostituendo all’azione politicauna “narrazione politica” diversae a volte contrap-posta alla realtà. Ilritornello “il no-s t r o p a e s e s t auscendo dalla crisimeglio degli al-tri”, con il quale siè cercato negli ul-timi due anni dianestetizzare la discussione sulleriforme necessarie a ritrovare unsentiero di crescita, è diventatoun mantra insopportabile e autoconsolatorio. I dati mostranopurtroppo il contrario: l’Italia èentrata nella crisi con i più bassitassi di crescita d’Europa; ha af-frontato il biennio horribilis conla contrazione del reddito nazio-nale più marcata del continente;ha ripreso a crescere solo dell’1%all’anno, nonostante il resto delVecchio Continente proceda aritmi ormai doppi. Il debitopubblico sfiora di nuovo il 120%del Pil, valore raggiunto, nel Do-poguerra, solo ad inizio anni No-vanta. La pressione fiscale in rap-porto al Pil ha raggiunto la cifra

record del 43,6%, secondo i datiOcse: solo danesi e svedesi paga-no più tasse degli italiani (mahanno un sistema di welfare eduna macchina amministrativaoggettivamente più efficienti,capaci di promuovere e non osta-colare la competitività dell’eco-nomia e la valorizzazione del ca-pitale umano). La disoccupazioneaumenta fino all’8,7% (cifra allaquale, secondo Bankitalia, an-drebbero aggiunti i lavoratori incassa integrazione straordinaria),quella giovanile sfiora pericolo-samente il 30% (a novembre

2010 ha raggiun-to il 28,9%, re-cord dal 2004).Nel 2010 il reddi-to pro capite degliitaliani sarà in ter-mini reali inferio-re a quello del2000, un salto

all’indietro inedito nella storiadell’Italia unita.Più che i dati relativi alla contin-genza, sono le fondamenta del si-stema Italia ad essere marce: unozoppicante sistema d'istruzione eformazione, che forma buone in-dividualità ma che consegna alpaese un capitale umano nonsempre all’altezza delle sfide dellaglobalizzazione; una burocraziapletorica, accompagnata da unaclasse politica locale e nazionalemediamente di scarso livello; unagiustizia lenta e iniqua; una rego-lazione dei servizi professionali distampo corporativo e ottocente-sco; un sistema degli ammortiz-zatori sociali che lascia al poterepolitico intollerabili margini di

Il reddito del 2010 è inferiore a quello del 2000, un salto all’indietro inedito per il nostro paese

ITALIA 2020Piercamillo Falasca

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discrezionalità, con i quali discri-minare tra settore e settore, tragrandi e piccole aziende, tra lavo-ratori più garantiti e lavoratoriprivi di ogni tutela.Un decennio perduto, quello dal2001 al 2011, ultimo atto di uncinquantennio che ha visto il pae-se diventare da povero e ambizio-so a ricco e sfiduciato. Come unvecchio nobile decaduto che permantenere uno stile di vita con-sono al suo lignaggio, vende pez-zo dopo pezzo l’argenteria di fa-miglia, così l’Italia sembra ag-grapparsi alla sua ricchezza accu-mulata – il patrimonio privatodei cittadini – per contrastare labassa crescita del reddito nazio-nale. L’elevato livello di patrimo-nializzazione delle famiglie fungeda welfare privato per le giovanigenerazioni escluse dal mercatodel lavoro o tenute per effetto dilegge in una condizione di pesan-te precarietà. Paradossalmente, ildisagio giovanile non si trasformain “scontro generazionale” perchéla generazione dei garantiti equella degli esclusi sono padre efiglio. Tramontato (e non potevaessere altrimenti) il mito del “po-sto fisso”, che troppi continuanostrumentalmente a evocare, la po-litica non ha saputo offrire allenuove leve ciò che queste chiedo-no: la creazione di opportunità,anche grazie all’abbattimento diquelle inique barriere all’ingressonei grandi mercati del lavoro au-tonomo e dipendente.Non è un caso che, in un decen-nio, il tasso di occupazione dellapopolazione in età da lavoro (15-64) è rimasto pressoché invaria-

to: era il 55,4% nel 2002, è statodel 56,8% nel 2010; la crisi re-cente conta poco: il valore ècambiato di poco nei dieci anni,il “massimo storico” è stato pocosuperiore al valore iniziale e aquello finale, il 58,7 nel 2008.Per un paese che nel 2000 sotto-scrisse la Strategia di Lisbona,impegnandosi a portare il tassodi occupazione al 70% in diecianni, anche questa suona comeuna clamorosa sconfitta. Di que-sto fallimento non c’è cartina altornasole migliore della cosid-detta emigrazione dei talenti(termine abusato, ma in fondoefficace). Quasi 9mila laureati,tra i 25 e i 44 anni, hanno lascia-to l’Italia nel 2008 (erano pocopiù di 3800 nel 2002). Mentre ilflusso complessivo di chi si la-scia l’Italia alle spalle è sostan-zialmente stabile (circa 50milaall’anno dal 2002 in poi), la quo-ta di laureati sul totale è passatadal 9,7 del 2002 al 16,6% del2008. Si tratta del 54% circadell’insieme degli emigranti diquella fascia d’età (il 57% circanel centro-nord, il 47 nel sud). Idati Istat colgono il fenomenosolo parzialmente: non tuttiquelli che lasciano l’Italia s’iscri-vono all’anagrafe per i residentiitaliani all’estero e non tutti la-sciando l’Italia cambiano resi-denza. Altre stime credibili(quella di Confimpresa) diconoche i laureati rappresentano circail 70% degli espatri under 40.Più che l’emigrazione intellet-tuale in sé, il problema è rappre-sentato dall’assenza di una con-testuale immigrazione di talenti.

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Che i talenti viaggino per il glo-bo è storia antica, ma una nazio-ne è davvero vitale se riesce acontrobilanciare l’uscita di men-ti brillanti con un’entrata altret-tanto consistente di talentuosistranieri. Un problema italiano,rispetto ai paesi più ricchi delpianeta, è invece la scarsa capaci-tà di attrazione: ogni cento lau-reati nazionali ce ne sono 2,3stranieri, contro una media Ocsedel 10,45%. Al centocinquante-simo anno d’unità, dopo un de-cennio essenzialmente “berlusco-niano”, l’Italia scopre di non es-sere più un luogo interessante estimolante, nè per i suoi talenti,nè per quelli del mondo.Lo Stivale è attraversato da alme-no cinque “fratture”: quella gene-razionale appena citata; quella digenere (le storture di un welfareche paga troppe pensioni e sostie-ne poco la maternità, l’infanzia ela cura di anziani e disabili con-tribuisce a scaricare sulle donne ilpeso della tenuta sociale); la frat-tura “etnica” tra italiani di lungocorso e nuovi cittadini; l’atavicafrattura territoriale; infine, si vaallargando la frattura tra opinio-ne pubblica, corpi intermedi del-la società e classe politica. I malidel paese – è bene precisare – nonsono imputabili a chi ha avuto re-sponsabilità di governo nel recen-te passato, sono il frutto di suc-cessive stratificazioni, mentre leloro radici risalgono fino agli an-ni dorati di cui si parlava in aper-tura di questo contributo. Fattosta che, al centocinquantesimoanno d’unità, l’Italia si trova difronte al declino e chi governa

non pare avere né la forza politi-ca, né l’esprit intellettuale percontrastare la tendenza.Il declino non è mai irreversibi-le, la storia umana ha smentitole teorie deterministiche sui ci-cli delle società e delle nazioni.Ma la storia ha anche mostratoche sfuggono alle sabbie mobilisolo quei paesi le cui classi diri-genti sanno alzare lo sguardo ol-tre le scadenze elettorali, dise-gnando proposte di policy capacidi produrre i loro effetti neltempo. Anche a costo di impor-re sacrifici nel breve periodo. Sirimedia a un decennio perduto(e si onora un secolo e mezzo distoria unitaria) solo se si hal’onestà di riconoscere il declinoe la forza di offrire obiettivi con-creti e visioni coraggiose per ilprossimo decennio.

piercamillo falasca

Vicepresidente di Libertiamo, fellow dell’Istituto

Bruno Leoni. Ha scritto con Carlo Lottieri

Come il federalismo può salvare il Mezzo-

giorno (Rubbettino, 2008). Ha curato Dopo! -

Ricette per il dopocrisi (Ibl Libri, 2009).

L’Autore

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ITALIA 2020Piercamillo Falasca

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DI BENEDETTO DELLA VEDOVA E PIERCAMILLO FALASCA

Mentre in Inghilterra i sacrifici sono stati attenti e mirati, in Italia si è scelto di usare il coltello grande,

senza distinzione alcuna. Ma per uscire dall’impasse non basta il “bilancino” sui conti. Si doveva, e si dovrà, mettere mano a riformeconcrete, se necessario anche dolorose.

Non bastano i tagli lineari,si scelga la via delle riforme

ITALIA 2020Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca

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Lo scorso ottobre il governo bri-tannico guidato da David Ca-meron ha presentato al parla-mento del Regno Unito, chie-dendone ed ottenendone il voto,una manovra di bilancio che haimposto ad ogni ministero untaglio di spesa medio del 19%.Si è trattato della più imponen-te ed intensa correzione di fi-nanza pubblica dal secondo do-poguerra ad oggi – circa 94 mi-liardi di euro – superiore aquelle prodottesi in epoca that-cheriana. Il metodo usato è sta-to peculiare: a tutti i ministeri,con esclusione del ministerodella Salute e quello dello Svi-luppo, il primo ministro hachiesto, in via riservata, di pre-parare due ipotesi di taglio, unopari al 40% ed uno del 25% de-gli stanziamenti a legislazione

vigente. Ciascun dicastero è sta-to quindi coinvolto e responsa-bilizzato rispetto alle razionaliz-zazioni da effettuare, sulle qualiha potuto scegliere in piena au-tonomia. Alla fine, le riduzionidi spesa sono state minori dellosforzo richiesto, ma questo èservito a segnalare per i prossi-mi anni le aree di possibili taglifuturi: in un certo senso, espli-citando cosa avrebbero tagliatose il sacrificio richiesto fossestato maggiore, i ministri si so-no “autodenunciati”. Soprattut-to, a partire dalle ipotesi di ri-duzione presentate dai singoliministeri, il premier e il cancel-liere dello Scacchiere hannocompiuto le loro scelte, “resti-tuendo” parte del sacrificio aiministeri, sulla base delle prio-rità politiche di governo.

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Quanto è diverso questo meto-do da quello dei “tagli lineari”d’italica memoria! Non sonomancati nemmeno nel RegnoUnito i tentativi dei singoli mi-nistri – così consueti nel nostropaese – di sottrarsi pubblica-mente ai provvedimenti draco-niani, sulla base di una suppo-sta eccezionalità del proprioportafoglio e dei principali pro-grammi di spesa che questa fi-nanzia. Ma alla base del modusoperandi britannico, che è poi lachiave del suo successo, c’èqualcosa che in Italia è mancatonegli ultimi anni:un coordinamen-to politico sullescelte di “ragio-neria”.Il ministro del-l’economia Giu-lio Tremonti hasaputo far moltobene ciò che si chiede ad un mi-nistro dell’Economia: far qua-drare i conti, lesinare e contro-bilanciare gli appetiti di spesa.Non ha potuto ciò che nonspetta a lui fare, ma al premier:indicare le priorità. Siccomel’obiettivo, fondamentale e im-prescindibile, era quello dimantenere il deficit di bilancioentro limiti accettabili, evitan-do che l’Italia venisse risucchia-ta in una crisi di finanza pub-blica – che le sue debolezzestrutturali (l’elevato debitopubblico e l’estrema rigidità dialcuni grandi comparti di spesa)rendevano non impossibile –Tremonti ha scelto un metodosalomonico: togliere a tutti in

egual misura, perché nessunopotesse politicamente obiettare.Ma così facendo, col coltellogrande, il titolare di via XXSettembre ha finito troppospesso per tagliare non solo ilgrasso, ma anche l’osso: suscuola, università o ricercascientifica, per fare degli esem-pi, si sarebbero potuti evitare itagli, se il governo avesse avutola tempra politica di abolire leprovince inutili o di prestare lasua attenzione alla bolla di spe-sa che si va producendo a livelloregionale. I tagli possono essere

robusti, ma deb-bono essere selet-tivi. Si può esserediffidenti verso laspesa pubblica nelsuo complesso –in fondo è sanoesserlo, soprattut-to nel paese della

“democrazia acquisitiva” – echiedere che ogni ministeropartecipi pro-quota ai sacrifici,ma non si può negare che nontutte le spese sono uguali. Cisono sprechi e ci sono investi-menti, ci sono funzioni essen-ziali e ci sono attività pleonasti-che: con la logica dei tagli li-neare non si governa la spesa, sidelega all’aritmetica una sceltaeminentemente politica.I sacrifici di bilancio sono ne-cessari per evitare di cadere, manon consentono di risalire lachina: per quella servono rifor-me. Dal 2008 ad oggi, il gover-no Berlusconi ha invece assuntoa propria strategia – e per la ve-rità con il contributo non se-

I tagli possono essererobusti, ma devono essere mirati, perchéc’è differenza tra sprechi e investimenti

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condario di Tremonti – la for-mula dell’immobilismo, accom-pagnato da una narrazione irrea-le degli eventi. Dal mantra “sia-mo messi meglio degli altri” aitanti annunci campati in aria.Contando sulla prevalenza dellaretorica sull’azione, si è cercatauna navigazione al riparo dalleasperità. Il ritornello “il nostropaese è quello uscito megliodalla crisi”, con il quale si è cer-cato negli ultimi due anni dianestetizzare la discussione sul-le riforme necessarie, è diventa-to infine insopportabile. Soprat-tut to perché èparso irresponsa-bilmente autocon-solatorio, laddovei dati dimostranola gravità della si-tuazione italiana.Il debito pubblicosfiora di nuovo il120% del Pil: ripetere che loabbiamo ereditato dagli anniOttanta suona ormai grottesco,avendo il centrodestra governa-to per otto decimi nell’ultimodecennio. Con un debito tantoelevato, l’Italia ha finito per ce-dere la propria sovranità finan-ziaria: anche solo un piccolorialzo dei tassi d’interesse vani-fica gli sforzi di manovre finan-ziarie multimiliardarie. Nelprogramma elettorale del cen-trodestra, proprio per aggredireil debito, c’era un piano straor-dinario di valorizzazione del pa-trimonio pubblico, ma non si éneppure privatizzato una muni-cipalizzata.La pressione fiscale in rapporto

al Pil ha di nuovo raggiunto lacifra record del 43,6%, secondo idati Ocse. Solo danesi e svedesipagano piú tasse degli italiani(ma hanno un sistema di welfareed una macchina amministrativapiù efficienti di quella italiana,capaci di promuovere e non osta-colare la competitività dell’eco-nomia e la valorizzazione del ca-pitale umano). È necessario unpatto fiscale con i contribuenti –regole più semplici e “reinvesti-mento” dei proventi della lottaall’evasione in premi per i con-tribuenti leali – ma è anche op-

portuno rifletteresu una riforma fi-scale che permettaa tutti di pagaremeno. Senza que-st’ultima, con unapressione fiscalecosì elevata, di-venta d i f f i c i l e

spiegare – ad esempio – i tagli aicomuni o alla scuola pubblica.Come rivela il Censis, tra i 15 e i34 anni, circa 2 milioni e200mila persone non studiano,non lavorano e non cercano lavo-ro: si tratta di una bomba demo-grafica e sociale di cui paghere-mo i costi nei prossimi decenni.La disoccupazione è aumentatafino all’8,7%, dato al quale, se-condo Bankitalia, andrebberoaggiunti i lavoratori in cassa in-tegrazione straordinaria: unostrumento buono per l’emergen-za, forse, ma che dovrebbe la-sciare spazio ad una riforma distampo universalistico degli am-mortizzatori sociali, affinché ilwelfare state non discrimini da

Con una pressione fiscale così elevata è difficile spiegare i tagli ai comuni o alla scuola pubblica

ITALIA 2020Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca

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settore a settore, tra grandi epiccole aziende, tra lavoratoripiù garantiti e lavoratori privi diogni tutela. D’altronde, la rifor-ma del sistema di welfare si im-pone per ragioni tanto di equità,quanto di efficienza: per fare unesempio, l’assenza di politicheper la famiglia è ingiusta versole donne, spesso costrette al non-lavoro per far fronte agli onerifamiliari; ma è anche un dannoper il sistema produttivo, chenon può esprimere tutto il suopotenziale se la partecipazionedelle donne al mercato del lavo-ro rimarrà il piùbasso d’Europa.Il cammino delfederalismo fisca-le, che positiva-mente prosegue,va completato te-nendo conto delmutato quadro diintegrazione della finanza pub-blica nell’area euro e al monitoche viene dalla crisi greca: se glisquilibri di bilancio in un pic-colo paese destabilizzano laGermania, è chiaro che il desti-no della Lombardia non può es-sere isolato da quello della Ca-labria.Un vero federalismo fiscale at-tribuisce ad ogni livello di go-verno la responsabilità di tassa-re i cittadini e di usare quellerisorse per l’esercizio delle fun-zioni assegnate, lasciando alloStato centrale il compito fonda-mentale di ridurre le disparitàterritoriali e personali. Questo èil modo di coniugare competi-zione tra territori e disciplina

amministrativa. La riforma inatto, a firma Calderoli, è invecemossa da un principio diverso,antitetico al federalismo: sichiede allo Stato di fare il lavo-ro sporco (imporre le tasse) la-sciando che siano le regioni aspendere. Il risultato rischia diessere l’aumento della spesapubblica al nord e l’aumentodell’imposizione fiscale al sud.Infine, il problema dei proble-mi nell’Italia di oggi: la crescitadel Pil, inchiodata all’1%, men-tre l’Europa unita cresce in me-dia all’1,5% e la locomotiva te-

desca viaggia al-meno al 2%. Ep-pure molte delleriforme necessariesono a costo zero.Le liberalizzazionisono ferme (comela Legge annualesulla concorrenza,

istituita dal Parlamento un an-no fa e non ancora presentatadal governo alle Camere) o ametà del guado (è il caso deiservizi pubblici locali, ma an-che quello dei trasporti aerei eferroviari). Lo Stato è il grandeassente dal tavolo delle riformenel campo delle relazioni indu-striali, dove le parti sociali mo-strano una responsabilità e unafflato innovatore di cui la poli-tica pare priva. Quest’ultima haspeso settimane dividendosi in“Marchionne sì, Marchionneno”. Eppure le vicende di Po-migliano e Mirafiori avrebberodovuto rappresentare un campa-nello d’allarme: non si può con-fidare a lungo sul ruolo di “sup-

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Il federalismo fiscale va completato tentendoconto del monito che arriva dalla crisi che ha colpito la Grecia

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IL LIBRO di Cecilia Moretti

ITALIA 2020Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca

Giampiero MughiniUn disastro chiamato Seconda Repubblica

Mondadori 2005,257 pp . , euro17,00

I l g i u d i z i o , i nestrema sintesi,c’è già nel titolo.In Un disastrochiamato Secon-da Repubbl ica( M o n d a d o r i2005), Giampiero

Mughini racconta, tracciando una impie-tosa galleria di volti e simboli, un trattodella nostra storia. La Seconda Repubbli-ca che nacque da un «parricidio»: sulle ce-neri dell’ormai svuotata Prima Repubbli-ca, ebbe la sua livorosa inaugurazione alleotto di sera del 30 aprile 1993, quandoBettino Craxi uscì dall’hotel romano Ra-phael e fu salutato da sputi e monetine.«Quello che non era riuscito fino in fondoai brigatisti rossi degli anni Settanta, dicolpire lo Stato al cuore e farlo vacillare,stava riuscendo alle inchieste della magi-stratura»: si dissolsero i partiti che aveva-no fatto la storia d’Italia, si celebrarono iprocessi di Mani Pulite come in una sortadi violenta catarsi collettiva, si fecero lar-go protagonisti nuovi. Sul palco Di Pietro,Berlusconi, Bossi. Ancora Andreotti.  Poila televisione, Porta a Porta e le Veline.«A furia di esibire le loro cosce, le dueregine del trash televisivo, le gemelleLecciso, ci sono andate entrambe a pre-sidiare le poltrone di Porta a Porta, il talkshow politico che fa da canovaccio mo-rale della storia della Seconda Repubbli-

L’odio e le rovine di una nazione

ca, e del resto non è che abbiano fattouna cattiva figura rispetto a giornalisti eopinionisti titolati»: passato il frastuonodella mischia furibonda, il tintinnio dellemanette e l’orrore delle cifre della corru-zione squadernate sotto gli occhi di tutti,quando, libero dai turbamenti della con-temporaneità, si stagliarono con più net-tezza i contorni di «un’epoca dominatada personaggi come Bettino Craxi, Enri-co Berlinguer, Ugo La Malfa, o le decinedi cavalli di razza della leadership demo-cristiana», si avvertì inesorabile l’impres-sione di un confronto squilibrato.Il  ritratto di una nazione che sembra so-prattutto permeata dall’odio, slegato dallacognizione di innocenza e colpevolezza.Odio e basta. Un sentimento che rispon-de al bieco istinto di saziare un risenti-mento invidioso e indignato, il giudiziosommario, con annessa condanna, di chiè preoccupato solo di ripulire la propriacoscienza con lo scalpo di qualche poten-te caduto in disgrazia, come una sorta dimacchina dell’odio che si abbatte senzaguardare in faccia nessuno. Perlopiù conla più assoluta  assenza di stile. E con ilmassimo scorno per chi al potere salvificodella rivoluzione in atto, a tratti, ci ha per-sino creduto. Così Mughini, che di questoabbaglio si pente e, quasi a penitenza, luiche la Seconda Repubblica l’ha incarnatada giornalista e personaggio televisivo, nedelinea un profilo dove emergono, impie-tosi, tutti i difetti. Né, d’altronde, pare chead accoglierci ci attenda molto di meglio.Sullo sfondo un Occidente che ha ormaismarrito tutta la sua spavalderia creativa,l’Italia sembra non capire che è arrivato ilmomento di entrare nel terzo millennioanche con la testa. E se questa epoca èdefinitivamente arrivata a capolinea, è pe-rò chiaro che gli effetti delle sue rovine sifaranno sentire ancora a lungo.

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maggio/giugno 2009 - Euro 12

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luglio/agosto 2009 - Euro 12

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settembre/ottobre 2009 - Euro 12

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plenti della politica” delle partisociali, è tempo di imprimereuna spinta modernizzatrice sulmercato del lavoro e sulle rela-zioni industriali.Per il mercato del lavoro, si èlasciato che il dualismo tra ga-rantiti e non garantiti s’incan-crenisse. Prima di “sposare” unlavoratore, e cioè di offrire uncontratto a tempo indetermina-to, le aziende contano fino acento. E spesso poi desistono,preoccupate dell’estrema severi-tà dello statuto dei lavoratori.A queste condizioni, è inevita-bile che le imprese preferiscanoi cocopro o i contratti a tempodeterminato e che – nei mo-menti di crisi – proprio sui pre-cari scarichino i costi delle ri-strutturazioni aziendali.Noi non pensiamo che Berlu-sconi sia la causa – né primaria,né unica – delle difficoltà eco-nomiche del paese. Proprio perquesto, a Bastia Umbra, Gian-franco Fini e Fli provarono, fo-tografando la realtà, ad offrire aSilvio Berlusconi e al Pdl unpiano di uscita dall’empasse: unnuovo governo per ripartire dislancio, un nuovo e sinteticoprogramma di riforme perl’economia. Berlusconi ha dettono, e poi no, scegliendo il mot-to “resistere, resistere, resiste-re”. Futuro e libertà non potevache trarne le conseguenze, sepa-rando il proprio destino politicoda chi non ha voluto riconosce-re i problemi dell’Italia e la suainadeguatezza ad affrontarli co-me sarebbe stato necessario.Di fronte a un centrodestra

dell’immobilismo, Futuro e li-bertà offre agli italiani l’alterna-tiva di un centrodestra riforma-tore e liberale, moderato e tolle-rante. Un centrodestra consape-vole che l’Italia, a un passo daldeclino, ha bisogno di una poli-tica che sappia rischiare sé stessae la propria sopravvivenza sul-l’altare delle riforme concrete edolorose che servono al paese.

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benedetto della vedova

Presidente dell’associazione Libertiamo e vi-

cepresidente vicaro del gruppo Fli alla Ca-

mera.

piercamillo falasca

Vicepresidente di Libertiamo, fellow dell’Istituto

Bruno Leoni. Ha scritto con Carlo Lottieri

Come il federalismo può salvare il Mezzo-

giorno (Rubbettino, 2008). Ha curato Dopo! -

Ricette per il dopocrisi (Ibl Libri, 2009).

L’Autore

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www.farefuturofondazione.i t

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Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 16 - maggio/giugno 2009 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

IRAN,IRAN,

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www.farefuturofondazione.i t

IL FUTUROÈ GIÀ QUIIL FUTUROÈ GIÀ QUI

Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 17 - luglio/agosto 2009 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

Avanti con le riformeBrunetta - Letta - Cazzola - Malgieri

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rivista bimestraledirettada Adolfo Urso

COME ABBONARSI A CHARTA MINUTA

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Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 18 - settembre/ottobre 2009 - Euro 12

Direttore Adolfo Urso

LA RUSSIADOPO IL MURO

Page 28: Italia 2020

Alle spalle non abbiamo diecianni perduti. Ne abbiamo venti.Enrico Cisnetto, editorialista,docente di Finanza alla Luiss diRoma, presidente di SocietàAperta e direttore del quotidianoonline Terza Repubblica, non è te-nero con la classe dirigente diquesto paese. Non è tenero con laPrima Repubblica, che ha lascia-to che il paese fosse travolto dallaglobalizzazione, dai nuovi mo-delli economici, dall’euro e dalmondo post-bipolare senza pre-parare il terreno, senza progetta-re un rinnovamento di sistema. Elo è ancor meno con la Seconda,che dopo aver scaricato tutte lecolpe sulla Prima, si è rinchiusain dibattiti sterili e autoreferen-ziali, continuando a non vedere enon sentire i segnali che impone-vano riforme e preannunciavanola crisi. Adesso, forse siamo alleporte della Terza. Che, se mai ve-drà la luce, si troverà davanti a

un compito da far tremare le ve-ne ai polsi: molto semplicemen-te, salvare il paese. E per farlo –magari con un occhio alla Ger-mania – serve il coraggio diprendere decisioni e di fare rifor-me. Riforme vere, però. Perchécon i “brodini caldi” non si va danessuna parte.

C’è chi dice che i primi dieci anni delnuovo Millennio sono stati “anni perdu-ti”, per il sistema Italia. Un giudiziotroppo severo?No, no. Si potrebbe dire anche dipeggio… E a esser “perduto”non è solo il decennio che ci sia-mo appena lasciati alle spalle.Direi che il fenomeno da analiz-zare, è che alla radice di molti senon tutti i nostri problemi, èquel meccanismo di “inversione”della nostra crescita, che ha cam-biato il trend avviato nel dopo-guerra. E la fase di “inversione”non avviene nel 2000, ma prima.

INTERVISTA A ENRICO CISNETTODI FEDERICO BRUSADELLI

Dopo vent’anni di occasioni sprecate

Una Terza Repubblicaper salvare il paeseDieci anni persi? No, venti. E oggi l’Italia dovrà affrontareuna sfida da far tremare le vene ai polsi. Per vincerla, con un occhio alla Germania, serve il coraggio di prendere decisioni e di fare riforme vere.

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ITALIA 2020intervista a Enrico Cisnetto

Tanto che, come spartiacque, sa-rebbe più utile usare l’inizio de-gli anni Novanta. Insomma, dal1946 fino al 1989-1990, l’Italiaha sostanzialmente vissuto unafase di crescita. E in quei decen-ni, siamo cresciuti come minimoal pari degli Stati Uniti e del-l’Europa, e spesso anche di più.Con l’inizio degli anni Novanta,però, si è inaugurata una fase incui siamo stati costantemente aldi sotto della media europea eamericana. Così, nei quindici an-ni che vanno dal 1992 al 2007(inizio della crisi mondiale cheha cambiato il quadro generale)abbiamo accumulato 15 punti inmeno rispetto all’Europa (unpunto all’anno) e circa 35 punti

in meno nei confronti degli Usa(dunque 2,3 all’anno). Questi so-no dati, sono numeri. E poi certa-mente se ne può dare anche unalettura politica…

Ecco, a proposito di lettura: come spie-gherebbe le radici di questa “inversione”?Anche solo dal punto di vistastrettamente economico, conl’Ottantanove, con la caduta delMuro e con la fine del comuni-smo ha avuto inizio una fase dimutamento della struttura mon-diale che non è esagerato definireepocale. A Berlino è andato inscena un evento geopolitico cheha, di fatto, segnato la fine delmondo disegnato a Yalta. A que-sto si sono sovrapposti lo scoppio

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dirompente della globalizzazio-ne, la rivoluzione tecnologicache ha portato l’economia dal-l’analogico al digitale, la finan-ziarizzazione dell’economia (dacui, poi, tutti quegli eccessi chegonfieranno la bolla esplosa nel2007). E infine, per quanto ri-guarda l’Europa, si è aggiuntoanche il trattato di Maastrichtcon il passaggio all’euro. In unarco di tempo molto breve è sal-tato un tappo. Ed è finito bru-scamente il modello economicosul quale l’Italia aveva basato lasua crescita: è scesa l’importanzadel lavoro ed è salita quella delcapitale, è cresciuta l’importanzadei brevetti e il peso della capa-cità tecnologica. Non a caso, iNovanta sono gli anni della“grande dimensione” capitalisti-ca, sono anni in cui il mercato èdiventato sempre più globale esempre più grande. Ebbene, citroviamo davanti all’esatto con-trario delle caratteristiche delcapitalismo italiano, fatto di pic-cole imprese a basso contenutotecnologico, con scarsa capacitàdi innovazione, non internazio-nalizzate… Insomma, è facilecapire l’impatto che quei primianni Novanta hanno avuto sulnostro sistema economico. E tut-to ciò comportava, necessaria-mente, velocità di decisioni peressere affrontato.

Ed è un caso che quest’impatto abbiacoinciso con la fine, anzi con il crollo,della Prima Repubblica?No, non è affatto un caso. Certo,il fatto “materiale” che ha segna-to il tramonto del sistema è stato

Tangentopoli. Ma la fine dellaPrima Repubblica, a ben vedere,è arrivata per effetto della fragili-tà e della corrosione di un’interaclasse dirigente politica ed eco-nomica, travolta dal cambiamen-to che si stava imponendo nelmondo e che non sapeva comefronteggiare. Avevamo un’econo-mia abituata a gestire la minorecompetitività sistemica aiutan-dosi con la svalutazione della lirae con il debito pubblico: stru-menti che, con i nuovi trattatiUe, non erano più nelle disponi-bilità di chi era al governo.

Ma la Seconda Repubblica ha saputotrovare strumenti migliori?Il vero problema è che la SecondaRepubblica non è nata per darerisposta a quei temi, alle nuovesfide globali. È nata come reazio-ne ad altre questioni, la corruzio-ne in primis, molto sentite daicittadini ma del tutto marginaliper il sistema. Un esempio: Um-berto Bossi, allora leader in ascesacon la sua Lega Nord, usava direche il debito pubblico era lasomma delle tangenti pagate aipartiti. Una sciocchezza di di-mensioni pazzesche! Così, si face-va passare l’idea che il nostroenorme debito fosse figlio dellacorruzione, quando in realtà erala certificazione contabile di untrasferimento di risorse con cui ilpaese aveva scelto di passare dallacassa pubblica ai privati (intesicome pezzi di territorio, corpora-zioni): più dipendenti pubblicidi quanto servisse, più cassa inte-grazione, interessi sui titoli diStato a due cifre. Un trasferi-

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mento di ricchezza che lo Statoregistrava sotto forma di debito eche la società usava per mantene-re un tenore di vita assolutamen-te eccezionale. Gli italiani vive-vano al di sopra delle loro possi-bilità, è vero. Ma tutti, non soloquattro politici “rubagalline”. Eallora, essendo nata su queste ba-si e su queste argomentazioni, laSeconda Repubblica difficilmen-te avrebbe potuto dare risposta aquelle grandi questioni globali eriavviare la crescita del paese.

E infatti non ci è riuscita… È così?Per la verità, non ha dato rispo-ste nemmeno a quei temi su cuiera nata! I costi della politica, lagiustizia, la corruzione: annibuttati anche da questo punto divista. E figuriamoci se si sono ri-solte quelle questioni fondamen-tali. Anzi, la discussione sul mo-dello di sviluppo non è mai stataal centro del dibattito pubblico.Almeno fino agli ultimi anni, vi-sto che con la crisi mondiale nonc’è più stata la possibilità diignorarlo.

Ma cosa avrebbe dovuto fare, la Secon-da Repubblica?La prima cosa da fare era risiste-mare la finanza pubblica. Neglianni Novanta, dal governo Ama-to in poi, abbiamo avviato le pri-vatizzazioni per “fare cassa”. Ora,tralasciando il risultato “strategi-co” dell’operazione, abbiamo in-cassato qualcosa che, attualizzatooggi, vale 14 punti di Pil. Bene,prendiamo la situazione debito-ria italiana e vediamo che dal108% del rapporto debito/Pil di

allora, siamo arrivati al 120%. Equei 14 punti, che fine hannofatto? Ce li siamo mangiati. Misembra un risultato straordina-rio! E allora quando si raccontache abbiamo ereditato il debitodalla Prima Repubblica, si sfiorail ridicolo. Innanzitutto perchésono passati sedici anni, e il gio-chino di dare la colpa ai prede-cessori può durare poco. Ma so-prattutto perché questi numeristanno lì a spiegare che nel corsodella Seconda Repubblica i pro-blemi sono peggiorati.

Addirittura…Noi siamo, tra i maggiori paesiOcse, quelli ad aver avuto il li-vello recessivo più forte in questiultimi anni. Nel 2010, anno diuscita dalla crisi, abbiamo segna-to una crescita dell’uno per cen-to, contro una media Ue dell’1,7e contro il 2,5 degli Usa. Persinoil Giappone si è ripreso significa-tivamente più di noi. E questovuol dire che non solo non abbia-mo recuperato le perdite della re-cessione, ma che stiamo tornandoa non crescere con quel differen-ziale precedente alla crisi. Insom-ma, durante la crisi siamo statitutti sulla stessa barca, e forseabbiamo anche ballato meno, dalpunto di vista finanziario. Mapoi, finita la tempesta, abbiamoripreso lo stesso passo ridotto4rispetto ai nostri competitori.Tanto che, complessivamente, glianni Novanta sono stati megliodei Duemila. Mi pare chiaro chela Seconda Repubblica non hanulla di cui menar vanto rispettoalla Prima. Anzi…

ITALIA 2020intervista a Enrico Cisnetto

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Guardiamo avanti, all’Italia del 2020.Quale ricetta per recuperare questotempo perduto?Il nodo è sempre quello: cambia-re modello di sviluppo. Perchétutti i temi di cui abbiamo parla-to finora, e che la Prima e la Se-conda repubblica non hanno sa-puto affrontare, sono ancora lì,che aspettano di essere risolti.

Copiare non è bello, ma c’è qualchepaese da cui prendere esempio, perriavviare la crescita?La Germania. Lì hanno capitosubito che i tempi stavano cam-biando e che i mutamenti mon-diali non consentivano staticità.E allora, subito dopo la riunifi-cazione, hanno preso le aziendepiù piccole, più marginali, menomoderne, e le hanno delocalizza-te nella loro Asia: l’est. Poi, han-no concentrato tutte le risorsesulle aziende più grandi e poten-zialmente più innovative. L’ini-ziativa, portata avanti efficace-mente da Schroeder e poi prose-guita da Angela Merkel con laGrosse Koalition, ha comportato 5milioni di disoccupati. E ricordoqualche ministro del GovernoBerlusconi che, nel 2005, dicevache quei numeri erano la provache l’Italia stava meglio dellaGermania. Ma in realtà si tratta-va di un prezzo momentaneo,pagato consapevolmente, pertrasformare il capitalismo renanoin qualcosa di diverso e di piùadatto ai tempi nuovi. Oggi,quei 5 milioni di disoccupati so-no stati riassorbiti e la Germaniaè il paese che esce meglio di tut-ti dalla recessione: è il primo

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esportatore e ha una crescita del3,7%. Numeri chiari, che sicommentano da soli. E non ècerto questione di fortuna. Ecco,questo è un esempio che do-vremmo seguire.

Ma davvero non è stato fatto nulla dibuono in questi anni?Il punto è che non è stato fatto alivello sistemico: ci sono statescelte, come dire, individuali.Certamente abbiamo un pezzo dicapitalismo, purtroppo minori-tario, che ha iniziato ad adeguar-si ai nuovi scenari, che si è rin-novato, ha cambiato prodotto eprocesso produttivo, e non a casoè uscito dall’impatto della reces-sione. Ma il resto del capitali-smo italiano, la sua parte mag-gioritaria, continua a rimandarela trasformazione. E ne sta giàpagando le conseguenze. In que-sti anni, quel capitalismo haconcentrato le sue energie sulwelfare di sostegno, senza mette-re in discussione il modello disviluppo: la cassa integrazione,per esempio, è una sorta di flebosomministrata ad aziende prati-camente morte, con l’unico ef-fetto di differire nel tempo il“decesso” (e posticiparne le con-seguenze elettorali…). Ed è evi-dente che non si può pensare dirisolvere tutto con le decisionisingole di qualche imprenditore.No, servono scelte politiche for-ti, che comportino anche capaci-tà di spesa. E tutto ciò non valesolo per le fabbriche: non di-mentichiamoci che la dimensio-ne industriale conta solo per il30% del Pil. Il resto è terziario.

E noi abbiamo un terziario poco“di mercato”, ipergarantito, far-raginoso. Il rinnovamento delnostro modello deve necessaria-mente passare anche da lì.

Ha parlato di capacità di spesa. Maquanta spesa, in concreto?Certamente non stiamo parlandodi 20, 30, 40 miliardi. Qui par-liamo di 300, 400 miliardi dieuro. E sono soldi da spenderesull’infrastruttura materiale eimmateriale del paese, che – co-me vediamo dalle cronache diogni giorno – è drammaticamen-te arretrata. Sono soldi da spen-dere anche per iniziative indu-striali, perché no (sono keynesia-no e non ho difficoltà a dire cheladdove non arrivano i privati cipuò arrivare il pubblico, soprat-tutto in certi tornanti della sto-ria). Ma la questione è: comepossiamo riuscirci, in queste con-dizioni? L’unica possibilità con-creta è fare tre o quattro riformestrutturali che consentano di ri-sanare le finanze pubbliche e re-cuperare risorse da investire. Tra-sformando un pezzo consistentedi spesa pubblica corrente in spe-sa per investimenti.

Proviamo a fare un breve elenco: qualiriforme?Primo: una riforma delle pensio-ni vera, non timida né a spizzichie bocconi, che porti l’età pensio-nabile a 67 anni subito, da do-mani mattina, senza scalini oscaloni. Secondo: la presa d’attoche il trasferimento alle regionidella competenza sanitaria è fal-lito (non è pensabile che si possa

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ITALIA 2020intervista a Enrico Cisnetto

Page 34: Italia 2020

considerare normale avere sei re-gioni commissariate e altre ingrave difficoltà, e non solo alsud) e che la sanità va ricentraliz-zata e riformata. Terzo: ristruttu-razione e semplificazione dell’as-setto istituzionale del paese, ilche significa abolire le province,dimezzare i comuni, accorpare leregioni più piccole ed eliminaresoggetti pletorici di secondo pia-no (comunità montane, enti dibacino). Quarto: un interventouna tantum sul debito pubblico,per ridurlo e per diminuire il pe-so degli oneri finanziari.

Un programma modesto…È complicato, certo. E soprattut-to serve un clima di concordiabipartisan, perché non sono rifor-me che si possono smontare ilgiorno dopo. Ma va fatto. La pro-posta più intelligente per ridurreil debito, secondo me, è quella –già avanzata in passato – di crea-re una “società veicolo” in cui loStato metta tutti i suoi beni mo-bili e immobili, i beni demania-li, quelli centrali e quelli locali,le partecipazioni. E poi, quotarlain borsa a tranche successive,emettendo titoli azionari. Con iricavi si potrà iniziare a ridurre ildebito. Ecco, questo sì che sareb-be un bel colpo di reni. Le altreproposte di cui si sente chiac-chierare ogni tanto, sono brodinicaldi, sono palliativi. Nulla dipiù. Dobbiamo metterci in testache questo paese va riformato perdavvero. Altrimenti ci penserà laspeculazione internazionale, a in-tervenire. E sarebbero dolori,perché poi ci troveremmo co-

stretti a scelte emergenziali. Sì,sarebbe un disastro.

Le potremmo chiamare “ricette per unaTerza Repubblica”?Certamente. Ma la Terza Repub-blica sarà tale solo se rinnoveràl’assetto istituzionale del paese,magari in una sede alta ed evoca-tiva, in una nuova Assemblea co-stituente. Senza bisogno di gran-di stravolgimenti, per carità: sipotrebbe mantenere un sistemaparlamentare rafforzando l’esecu-tivo. Ma senza nemmeno i pa-sticci della Seconda Repubblica.Soprattutto, la Terza Repubblicadovrà avere dei presupposti chia-ri sul suo “progetto paese”, sul-l’obiettivo e su come raggiunger-lo. La Terza Repubblica, insom-ma, non potrà che concentrarsisulla ridefinizione della fisiono-mia economica italiana. Pren-dendo atto, ad esempio, chequelle che abbiamo demagogica-mente continuato ad esaltare co-me la nostra “spina dorsale”, ov-vero le piccole e medie imprese,così come sono oggi non servonopiù a molto. Ma per farlo, servela condizione politica giusta. Ser-ve una condizione politica chepermetta di prendere decisioni.

E questa condizione politica sareb-be…?Un governo di grande coalizione,che abbia davanti a sé un oriz-zonte di almeno due legislature.Solo così sarà possibile “decide-re”. Altrimenti, lo scenario non ècerto roseo. Questo paese si avvi-lupperà su se stesso, in un inelut-tabile declino. Lo farà con una

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certa lentezza, garantita dal “cu-scinetto” del nostro accumulo dipatrimonio privato. Ma lo farà.Ed è pensabile che un paese pos-sa garantirsi un (breve) futuro,solo mangiandosi quel che ha ac-cumulato negli anni, senza pro-durne di nuovo? Ecco, direi chese c’è una domanda su cui co-struire la Terza Repubblica, èproprio questa.

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L’Intervistato

federico brusadelli

Giornalista di Ffwebmagazine. Collabora con

il Secolo d’Italia. è laureato in Lingue e civiltà

orientali.

L’Autore

enrico cisnetto

Editorialista economico, da anni descrive i pro-

cessi di cambiamento del capitalismo italiano e

internazionale, soprattutto in relazione alle dina-

miche politiche. Già direttore di diverse testate

della Rusconi, vicedirettore del quotidiano l’Infor-

mazione e vicedirettore del settimanale Panora-

ma, ora svolge un’intensa attività di editorialista

per Il Messaggero, Il Foglio, Il Gazzettino di Ve-

nezia, La Sicilia di Catania, Liberal e Il Mondo.

Inoltre, ha una rubrica quotidiana nella trasmis-

sione radiofonica Zapping (Rai Radio1). è do-

cente di Finanza alla Scuola di Giornalismo

dell’Università Luiss. è autore del volume Il gio-

co dell’Opa. Nel settembre 2000 è stato insignito

del “Premio Capalbio” per l’economia e nel 2001

del “Premio Saint Vincent” per la divulgazione

economica. è presidente di “Società Aperta”, un

movimento d’opinione che intende avviare una

riflessione sulla crisi strutturale del “sistema Ita-

lia”, per favorire la modernizzazione del nostro

Paese promuovendo una profonda evoluzione

del sistema politico e di quello socio-economico.

ITALIA 2020intervista a Enrico Cisnetto

Page 36: Italia 2020
Page 37: Italia 2020

DI GUIDO TABELLINI

Le regole tipiche di uno Stato di dirittoe il buon funzionamento delle istituzioni sono fondamentali

per lo sviluppo economico. Ecco perché il nostro paese ha perso terreno nei confrontidel resto del mondo occidentale.

Se la LEGGEnon è UGUALE per tutti,l’Italia non può crescere

ITALIA 2020Guido Tabellini

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Parto da una premessa, che riflet-te una mia convinzione personale.Oggi la sfida principale per l’Ita-lia è lo sviluppo economico.Dagli anni Sessanta a oggi, lacrescita italiana è diminuita co-stantemente. La figura 1 illustrala crescita economica cumulatadel reddito pro capite dell’Italianegli ultimi cinque decenni. Ne-gli anni del boom economico, inun decennio il reddito dell’italia-no medio è cresciuto del 55%.Negli anni Ottanta, la crescita siè più che dimezzata, e nell’ulti-mo decennio la crescita cumulataè addirittura negativa (escluden-do la profonda recessione del2009, il Pil pro capite tra il2000 e il 2008 è rimasto pratica-mente stagnante). Il rallenta-

mento dell’economia italiana èavvenuto non solo in assoluto,ma anche nei confronti con altripaesi. Negli anni Settanta e Ot-tanta l’Italia cresceva più diFrancia e Germania.Da metà anni Novanta in avanti,invece, l’Italia cresce meno deinostri due vicini (anche moltomeno, negli anni 2000).I giovani sono coloro che più diogni altro stanno pagando le con-seguenze del declino economico,e la recessione di questi anni peg-giora ulteriormente le cose. Se-condo le stime di Banca d’Italia, idiplomati o laureati entrati nelmercato del lavoro negli ultimi 4-5 anni percepiscono una retribu-zione lorda più o meno uguale, intermini reali, a quella di quando

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Figura 1 - Crescita cumulata del PIL pro capite in ItaliaPer decennio (1960-2009)

Figura 2 - Tasso di attività giovanile: 15-34 anniElaborazione du dati ISTAT

mi sono laureato io, circa tren-t’anni fa. La figura 2 illustra laquota di giovani occupati tra i 15e i 34 anni, sul totale della popo-lazione in quella stessa fascia dietà. Per molti giovani, l’età di in-gresso sul mercato del lavoro si èallontanata avanti negli anni, e larecessione mondiale ha fatto ulte-riormente salire la disoccupazio-ne giovanile.La descrizione dei problemi eco-nomici dell’Italia può facilmente

continuare. La crescita della pro-duttività del lavoro si è pratica-mente arrestata a partire dalla finedegli anni Novanta. Questo è unsintomo delle difficoltà ad alloca-re le risorse in modo efficiente,ma anche di una minor propen-sione agli investimenti rispetto alpassato. La figura 3 illustra l’an-damento dell’accumulazione dicapitale in alcuni paesi europei.Dal 2002 in avanti l’Italia investemeno degli altri grandi paesi del-

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l’area Euro, e la recessione recenteha riportato gli investimenti aivalori di fine anni Novanta. Al tempo stesso, il paese stentaad attrarre risorse dall’estero. Gliinvestimenti diretti dall’esteroverso il nostro paese rimangonosu livelli storicamente molto bas-si (nel 2009 l’Italia ha attratto so-lo circa il 5% degli investimentistranieri nell’Unione europea –dati Unctad). È risaputo che l’Ita-lia non attrae talenti dal resto delmondo. Al contempo, molti deinostri giovani migliori emigranoall’estero: come evidenziato nellafigura 4, che si riferisce alla com-posizione dell’emigrazione versogli Stati Uniti, la quota di laurea-ti tra i nostri emigranti è più altache negli altri paesi europei.È opinione comune che per rilan-ciare lo sviluppo del nostro paeseservano innanzitutto riforme eco-nomiche: investimenti in infra-strutture, liberalizzazioni nei ser-

vizi e nei mercati dei prodotti,una legislazione del lavoro piùmoderna e più attenta alle esi-genze delle imprese che competo-no sui mercati internazionali, unariforma fiscale per ridurre le di-storsioni che oggi gravano suifattori produttivi e soprattuttosul lavoro.Tutto ciò è sicuramente vero. Macredo che oggi i problemi econo-mici dell’Italia riflettano anche unproblema più generale, di tipo cul-turale. E cioè la diffusione di valo-ri, atteggiamenti, credenze, cheostacolano il buon funzionamentodi un’economia di mercato in unoStato di diritto, e il buon funziona-mento delle istituzioni pubblichein una democrazia liberale.Può forse sembrare strano che uneconomista attribuisca alla cultu-ra la causa di problemi economi-ci. In realtà, un numero crescentedi ricerche economiche segueproprio questa strada.

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Figura 3 - Accumulazione lorda di capitale fisso.

Indice (1999 Q1=100)Escluso il settore costruzioni, valori a prezzi costanti, destagionalizzati

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Istituzioni e sviluppo economicoIl punto di partenza è l’osserva-zione, ricordata anche in un re-cente convegno presso la nostrauniversità, che le regole tipichedi uno Stato di diritto e il buonfunzionamento delle istituzionisono fondamentali per lo svilup-po economico. La tutela dei dirit-ti di proprietà, l’eguaglianza deicittadini di fronte alla legge, laprotezione dall’abuso da parte deigoverni, spiegano la differenza trai paesi ricchi e quelli poveri piùdi qualunque altra variabile eco-nomica, sociale, o geografica. Èquesta una delle conclusioni cen-trali cui è giunta la letteratura re-cente sullo sviluppo economicocomparato.Le istituzioni sono rilevanti nonsolo per raggiungere e mantenereelevati livelli di sviluppo econo-mico. Sono anche una variabilecentrale per spiegare la specializ-zazione produttiva dei paesi e iflussi di commercio internaziona-le. L’evidenza empirica e i con-

fronti internazionali hanno evi-denziato che il buon funziona-mento delle istituzioni è una fon-te importante di vantaggi com-parati, quantitativamente piùimportante del capitale umano edel capitale fisico messi insieme.I paesi dove le istituzioni tipichedi uno Stato di diritto, e in parti-colare la giustizia, funzionanomeglio, tendono a specializzarsiin settori produttivi più sofistica-ti, dove i rapporti contrattualisottostanti l’attività produttivasono più complessi, e dove quindic’è una maggiore esigenza dibuone istituzioni che sostenganoe regolino gli scambi economici.I risultati di queste ricerche nonhanno solo un interesse accade-mico, ma sono centrali per com-prendere e affrontare i problemieconomici dell’Italia. Il buonfunzionamento della pubblicaamministrazione e l’efficaciadell’azione di governo non sonocerto un vantaggio comparato delnostro paese. La figura 5 illustra

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Figura 4 - Quota di laureati fra gli emigranti negli USA,

in rapporto alla quota di laureati nella popolazione del Paese

di origine, anno 2007 Fonte: ACS

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le percezioni circa l’efficacianell’azione di governo di varipaesi, intesa come qualità e indi-pendenza del servizio pubblico ecivile, qualità dell’implementa-zione delle politiche pubbliche,credibilità del governo nell’im-plementazione.L’Italia è sistematicamente moltoindietro nelle classifiche interna-zionali, vicina a paesi con un li-vello di sviluppo economico mol-to inferiore al nostro, come il Su-dafrica, e peggio di paesi africanicome il Botswana. Se teniamoconto delle differenze di redditopro capite tra paesi, per renderepiù confrontabili questi indicato-ri, l’Italia si situa al centoquindi-cesimo posto al mondo, vicino apaesi come Zambia e Arabia Sau-dita. Le carenze del nostro paesesono particolarmente pronunciatenel settore della giustizia. I tempimedi della giustizia civile (defi-niti come giorni necessari a farvalere un contratto) sono quattrovolte più lunghi rispetto agli Sta-

ti Uniti, e più o meno allineaticon quelli di paesi come Trinità eTobago (fonte Banca Mondiale2010). In base all’evidenza empi-rica sopra riportata, queste carat-teristiche del nostro paese contri-buiscono a spiegare la specializza-zione produttiva dell’Italia in set-tori tecnologicamente poco avan-zati e particolarmente esposti allaconcorrenza dei paesi emergenti.

Il capitale socialeMa il buon funzionamento delleistituzioni riflette anche gli at-teggiamenti culturali dei cittadi-ni, e non solo le istituzioni forma-li o le condizioni politiche.Un’abbondante letteratura empi-rica e storica sottolinea il ruolodel capitale sociale, inteso comediffusione di valori e atteggia-menti culturali quali la fiduciageneralizzata, il senso civico, ilrispetto per le istituzioni, la mo-ralità generalizzata (in contrap-posizione con la lealtà nei con-fronti di un clan o di una cerchia

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Figura 5 - Efficacia dell’azione di governo, indice KKZ 2009Indice (-2.5, -2.5). Fonte: WB World Governance Indicators

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ristretta di amici e parenti). Il ca-pitale sociale inteso in questosenso facilita la convivenza socia-le, agevola le transazioni inun’economia di mercato o all’in-terno di organizzazioni comples-se, e induce una partecipazionepolitica attiva e indirizzata al be-nessere collettivo anziché agli in-teressi di parte.Nei confronti internazionali, vi èampia evidenza empirica che lapubblica amministrazione e leistituzioni pubbliche funzionanomeglio nei paesi in cui vi è più fi-ducia generalizzata, più senso ci-vico e più rispetto per il prossimo.Questi studi tendono anche aescludere la causalità inversa, al-meno nella sua forma più sempli-ce (dal buon funzionamento delleistituzioni al capitale sociale).Gli atteggiamenti culturali infat-ti riflettono condizioni storichepre-esistenti, quali il livello diistruzione delle generazioni pre-cedenti, la fede religiosa, o le ca-ratteristiche delle istituzioni poli-tiche prevalenti alcuni secoli pri-ma. I confronti internazionali so-no spesso difficili da interpretare:le differenze tra paesi sono cosìampie che può esservi il sospettoche la correlazione tra cultura efunzionamento delle istituzionisia dovuta a variabili omesse. Tut-tavia, gli stessi risultati si otten-gono nel confrontare aree tra loroomogenee, come gli Stati all’in-terno degli Stati Uniti o le regio-ni europee. Negli Stati americanidove vi è più capitale sociale (tipi-camente quelli dove è più diffusala religione protestante), gli indi-catori di buon governo riferiti

all’amministrazione statale sonopiù elevati. E all’interno dei paesieuropei, lo sviluppo economico ela crescita sono più elevati nelleregioni con una più lunga tradi-zione di governo democratico, eche oggi hanno più capitale socia-le. Infine, il capitale sociale con-tribuisce a spiegare la specializza-zione produttiva e i flussi di com-mercio internazionale, confer-mando che anche gli atteggia-menti culturali, e non solo le isti-tuzioni, sono fonte di vantaggicomparati. In particolare, il capi-tale sociale induce i paesi a specia-lizzarsi nei settori produttivi piùsofisticati, esattamente come ilbuon funzionamento della giusti-zia. Inoltre l’effetto del capitalesociale sulla specializzazione pro-duttiva è più forte proprio neipaesi dove la giustizia è più debo-le, e quindi dove c’è più bisognodi fiducia reciproca, suggerendoche le istituzioni informali si so-stituiscono a quelle formali nel fa-cilitare le transazioni economiche.Anche da questo punto di vista,l’Italia non è messa bene. Alcuneregioni italiane sono particolar-mente ricche di capitale sociale,grazie ad una tradizione di parte-cipazione alla vita cittadina cherisale ai tempi dell’Italia dei co-muni. Tuttavia, la fiducia e il ri-spetto nei confronti delle istitu-zioni tipiche dello Sstato di dirit-to sono assai meno diffusi rispettoad altri paesi che hanno raggiuntoun livello comparabile di benesse-re economico. La figura 6 illustrala fiducia nelle regole della socie-tà, con particolare riferimento alrispetto dei contratti e dei diritti

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di proprietà, alla qualità della po-lizia e della magistratura, allaprobabilità di crimine e violenza.Anche su questa dimensione l’Ita-lia è allineata con i valori tipici diStati africani, e ben al di sotto de-gli altri paesi europei. Queste ca-renze nel funzionamento delleistituzioni pubbliche e la scarsa fi-ducia nello Stato alimentano fe-nomeni di illegalità diffusa.L’economia sommersa in Italia èstimata intorno a un quarto delProdotto interno lordo, quasi iltriplo rispetto a paesi come laSvizzera e gli Stati Uniti.Si stima che nel 2007 l’evasionefiscale abbia sottratto al fisco oltre100 miliardi di euro, pari circa il60% dell’intero gettito dell’Irpef.La cultura e il capitale sociale siriflettono anche nell’organizza-zione delle imprese. Alcune re-

centi ricerche hanno confrontatole pratiche manageriali in un am-pio campione di imprese localiz-zate in paesi diversi. È emersoche, nelle aree in cui vi è evidenzadi una maggiore diffusione di ca-pitale sociale, le imprese adottanouna struttura organizzativa piùdecentrata e meno gerarchica.Ciò ha conseguenze economicherilevanti, perché il decentramen-to è spesso condizione necessariaper consentire la crescita dimen-sionale delle imprese. E la cresci-ta delle imprese più efficienti, asua volta, è uno dei principali ca-nali attraverso cui può crescere laproduttività aggregata, man ma-no che le risorse si spostano dalleimprese meno efficienti a quellepiù produttive. In altre parole, ilcapitale sociale abbassa i costi or-ganizzativi alla crescita dimen-

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Figura 6 - Fiducia nello stato di diritto, indice KKZ 2009Indice (-2.5, -2.5). Fonte: WB World Governance Indicators

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sionale delle imprese, e per que-sta ragione può favorire lo svilup-po economico. Inoltre, vi è evi-denza empirica che il decentra-mento organizzativo è comple-mentare alle nuove tecnologie in-formatiche: dove vi è più decen-tramento, è più facile sfruttarepienamente i vantaggi delle nuo-ve tecnologie. Ciò può contribui-re a spiegare i risultati aggregatisopra menzionati, che evidenzia-no come il capitale sociale sia unvantaggio comparato che porta aspecializzarsi in settori più avan-zati (dove tipicamente è maggio-re l’utilizzo delle nuove tecnolo-gie informatiche).Anche questi risultati della ricer-ca empirica sono rilevanti perl’Italia, dove prevalgono le im-prese di piccole e medie dimen-sioni. La figura 7 illustra le di-mensioni medie delle imprese dialcuni paesi europei. Le piccoledimensioni delle imprese italianenon sono dovute solo ai settori dispecializzazione. Anche all’inter-no di settori omogenei, le impre-se italiane sono tendenzialmentepiù piccole che nel resto d’Euro-pa. Vi sono molti fattori che pos-sono ostacolare la crescita delleimprese italiane, e quindi la rial-locazione di risorse verso le im-prese più efficienti. Tra questi èprobabile che vi siano anche ivantaggi organizzativi di un’im-presa più piccola, in un contestoculturale, sociale e istituzionaleche scoraggia il decentramento diresponsabilità e rende più diffici-li le relazioni industriali.Infine, il capitale sociale, intesocome rispetto e fiducia per il pros-

simo e per le istituzioni, ha effettirilevanti sul funzionamento delleistituzioni democratiche. Un pro-blema fondamentale, in tutte ledemocrazie, è come indurre i rap-presentanti politici a perseguirel’interesse generale, anziché inte-ressi di parte o personali. In ulti-ma istanza, ciò dipende soprattut-to dal comportamento degli elet-tori. È ben documentato come,dove vi è più capitale sociale, glielettori sono più attenti e infor-mati, e più disposti a mobilitarsiper punire gli abusi. Ciò è confer-mato anche dall’evidenza empiri-ca del nostro paese: nei distrettielettorali in cui è più diffusa la so-lidarietà verso il prossimo (misu-rata ad esempio dalle donazioni disangue), gli elettori sono più pro-pensi a punire gli episodi di cor-ruzione politica o di azzardo mo-rale da parte dei loro rappresen-tanti politici. È probabile che unatteggiamento elettorale tolleran-te nei confronti della corruzione,insieme all’operare lento dellagiustizia, contribuisca a spiegareperché la corruzione sia così diffu-sa nel nostro paese. La figura 8 il-lustra l’andamento temporale deirankings dell’Italia nei confrontiinternazionali, con riferimento al-le percezioni circa la diffusione difenomeni di corruzione. Negli ul-timi anni i rankings sono ulterior-mente peggiorati, e collocanol’Italia al sessantasettesimo posto,dietro Cuba e Turchia.Non è un caso se, in un ambientedi illegalità diffusa, scarsa fiducianelle istituzioni e cattivo funzio-namento della giustizia, il crimi-ne organizzato riesce a controllare

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il territorio nelle aree più debolidel paese e magari espande la suaattività economica anche nelle re-gioni più ricche, nonostante igrandi sforzi anche recenti percontrastarlo (secondo le stime diConfesercenti, il volume di atti-vità economica riconducibile alcrimine organizzato nel nostropaese è circa il 7% del Pil). Oltrea essere un fenomeno macroscopi-co di sostituzione delle norme le-gali con altri codici di comporta-mento, le organizzazioni crimina-li approfittano della diffusa infra-zione delle norme: ad esempio ilriciclaggio dei proventi da attivi-tà criminali è più facile se unaanaloga domanda di riciclaggioemerge anche da altre forme di il-lecito meno estreme, come l’eva-sione fiscale o la corruzione. Aquesta vasta domanda di riciclag-gio fa fronte lo sviluppo di nume-rosi strumenti per ripulire i red-diti illeciti. Inoltre, le organizza-zioni criminali offrono alle im-

prese servizi in sostituzione diquelli legali, come lo smaltimen-to illegale di rifiuti industriali, ola contraffazione.Infine, ricerche recenti mostranocome l’estorsione e il pizzo sonopiù facili da imporre se l’esercen-te o l’impresa, evadendo tasse enorme sul lavoro, preferisce nonrivolgersi alla magistratura pertimore di ispezioni e controlli.Tutti questi fenomeni si rinforza-no vicendevolmente. Usando ilgergo degli economisti potrem-mo dire che ci troviamo in un“equilibrio inefficiente”, cioè inuna situazione in cui gli incentiviindividuali e le aspettative circa icomportamenti altrui sono alli-neati e spingono i singoli ad agirein modo controproducente per lacollettività. L’illegalità diffusa ri-duce l’efficacia della giustizia e laprobabilità di essere sanzionati,alimentando la convenienza dicondotte illecite; l’evasione fisca-le è un cuscinetto che permette di

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Figura 7 - Numero medio di addetti per impresa, per settore

di appartenenza Elaborazione su dati Eurostat

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mantenere situazioni di ineffi-cienza e eccessiva frammentazio-ne della struttura produttiva, ri-ducendo la competitività suimercati aperti; la prevalenza dellafedeltà rispetto al merito fa fug-gire le persone di talento.Questa situazione non è l’unicapossibile, tuttavia. Vi è anche unequilibrio migliore, in cui al sin-golo conviene rispettare le regoleperché tutti gli altri lo fanno. Perpassare dall’equilibrio cattivo aquello buono, deve esservi una tra-sformazione collettiva, che inducaun numero sufficientemente am-pio di individui a cambiare il lorocomportamento. Tipicamentequesta trasformazione si accompa-gna a mutamenti negli atteggia-menti culturali, nelle norme socia-li, a lungo andare anche nei valori.Vi sono esempi storici di questetrasformazioni sociali. All’iniziodel secolo scorso, gli Stati Unitierano un paese estremamente cor-rotto, dove i governi locali stra-pagavano per l’acquisto di beni e

servizi in cambio di bustarelle,gli scandali economici dei robberbarons erano all’ordine del giorno,la criminalità organizzata si erasostanzialmente impadronita dialcune città. Eppure, anche graziea un rilevante sforzo giudiziario elegislativo e all’attenzione deimedia, gradualmente le cosecambiarono e oggi gli Stati Unitisono spesso presi a modello inquanto a senso civico e rispettoper le istituzioni.Estratto dal discorso di inaugurazionedell’Anno accademico 2010/2011

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guido tabellini

Laureato in Economia presso l'Università di

Torino. Ha conseguito il PhD in Economics al-

la Ucla. è professore di economia presso

l’Università Bocconi dal 1994. Prima di rien-

trare in Europa, ha insegnato a Stanford e al-

la Ucla. è Rettore dell’Università dal novem-

bre 2008.

L’Autore

Figura 8 - Corruption perception index, ranking dell’ItaliaFonte: Trasparency International

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Il complesso scenario economicoitaliano, aggravato dalle conse-guenze della crisi finanziaria, po-ne ancora una volta in primo pia-no la questione di un paese anco-rato a due differenti velocità disviluppo come se il divario tra unMezzogiorno in difficoltà e uncentro-nord in linea con l’Europafosse ineluttabile. Fin dall’unitàd’Italia, sul piano istituzionale, siè cercato di porre rimedio a talesituazione attraverso ingentistanziamenti di risorse pubbli-che. Misure che sono risultate de-ludenti come evidenziano l’ina-sprimento dei divari tra le regio-ni settentrionali e quelle meri-dionali ed anche le diseguaglian-ze interne alle stesse aree delMezzogiorno.Dall’analisi delle difficoltà strut-turali che opprimono il sud ita-

liano, sia in termini di strutturaproduttiva che di elementi di“fragilità”, devono identificarsiquegli elementi di discontinuitàindispensabili per attuare nuove epiù efficaci linee di azione. Lapriorità è permettere al Mezzo-giorno di intraprendere un auto-nomo e responsabile percorso disviluppo e, quindi, valorizzare itanti elementi positivi comunquepresenti in questi territori.

Nascita e consolidamento della “questione meridionale”Nel Mezzogiorno si è sempreconcentrata una densità demo-grafica superiore al suo contribu-to alla formazione della ricchezzanazionale. Attualmente nell’areavive oltre il 30% della popolazio-ne italiana, ma vi si realizza menodi un quarto del prodotto interno

DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA

150 anni dopo, il Sud è ancora al paloAnni di politiche sbagliate e di assistenzialismo deleterio non sono riusciti a far recuperare il terrenoperduto al Meridione. Anzi, le regioni del sud hannovisto crescere ulteriormente il divario che le separa dal nord. Urge un cambiamento di marcia deciso che renda l’Italia meridionale più moderna e attrattivanei confronti dei capitali stranieri.

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ITALIA 2020Roberto Pasca Di Magliano e Daniele Terriarca

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lordo e i livelli di Pil pro capiteoscillano tra il 55 e il 60% diquelli medi delle altre regioni (D.Franco, 2010). Questo spiegaquanto sia difficile attuare politi-che pragmatiche, mirate alla cor-rezione delle mancanze struttura-li e comportamentali, senza inci-dere negativamente sulla ricercadi consenso politico. Situazioneche ha agevolato la patologicaabitudine all’assistenzialismo.A seguito dell’unità d’Italia, ledifferenze tra il Regno delle dueSicilie e il resto del territorio ap-parvero evidenti in termini diqualità della vita,di organizzazionecivile e di dotazio-ne di capitale fissosociale. A livellodi Pil pro capite,però, non esisteva-no grossi divari:gli elementi piùrilevanti riguardavano le ampiesperequazioni della ricchezza nel-le singole regioni meridionali ri-spetto a quelle del centro-nord.Alcuni studi1 mostrano come lanascita dei differenziali economi-ci può essere storicamente scom-posta in 4 fasi: la prima va dal1881 al 1914 (il Pil pro capitemeridionale scende all’80% ri-spetto a quello nazionale), la se-conda si osserva durante il regimefascista, la terza tra il 1951 e iprimi anni Settanta (dove la for-chetta tra le due aree raggiunge ilivelli massimi), mentre l’ultimasi concentra dagli shock petroliferialla metà del 2000.Per decenni lo Stato, attraverso lesue articolazioni istituzionali ed

economiche, ha cercato di limarei livelli di sviluppo tra le regionima i risultati sono stati deludentipoiché tale politica ha consolida-to una mentalità assistenziale, di-pendente dall’intervento pubbli-co e poco interessata a trarre van-taggio dalla crescita del mercato. La problematica territoriale appa-re ancora più rilevante se inqua-drata nella sfavorevole congiun-tura internazionale dove la nostranazione si è trovata ad affrontarenumerose difficoltà ereditate da-gli squilibri macroeconomici e fi-nanziari tra il 2008 e il 2009. Lo

scorso anno l’atti-vità produttiva ita-liana ha segnatouna battuta d’arre-sto di cui il mag-giore contributo èdovuto alle regionisettentrionali, conuna voc a z i one

prettamente “industriale”, men-tre al centro una lieve contrazionedei servizi si è tradotta in una mi-nore flessione del prodotto inter-no lordo. L’andamento meno ne-gativo del Pil meridionale puòessere spiegato da una serie dimotivi quali il maggiore contri-buto delle amministrazioni pub-bliche al valore aggiunto regiona-le, il basso grado di internaziona-lizzazione e la presenza di un“sommerso” superiore rispetto al-la media italiana2.

I “mali” del MezzogiornoCrescita economica, capitaleumano e legalità sono gli ingre-dienti che hanno ovunque se-gnato il successo di un paese o

I livelli di Pil pro capiteal sud oscillano tra il 55 e il 60% di quelli medi delle altreregioni italiane

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di una regione nella sua ambi-zione verso lo sviluppo, questoperché il mancato progresso de-riva da insufficienti investimen-ti in capitale umano e sociale.Esistono quindi dei “mali” nelMeridione che impedisconol’avvio di un processo virtuoso eduraturo nel tempo.

Criminalità ed economia sommersaLe difficoltà di fare impresa alSud sono spesso aggravate dallapresenza della criminalità orga-nizzata che, oltre ad alterare laconcorrenza, accresce i costi perle aziende e i citta-dini favorendo an-che l’erogazione il-legale del credito(a danno delle fa-sce più deboli). Lamalavita, che hafatto la storia dimoltissime regionimeridionali, si estende su moltisettori alimentando dinamichedi corruzione sia tra i privati chetra le amministrazioni pubbli-che, ripercuotendosi sugli oneridella collettività e sulla crescitaeconomica.Tra i problemi che limitano lepossibilità del Mezzogiorno vaanche evidenziata la vertiginosaeconomia sommersa, fonte a suavolta di illegalità. Le stime effet-tuate dall’Istat mostrano comenel 2008 il valore aggiunto gene-rato dalla componente irregolaredelle attività economiche è com-preso in una forbice tra i 255 e i275 miliardi di euro ed ha un pe-so sul Pil nazionale, depurato daicontributi della pubblica ammi-

nistrazione e delle banche, di ol-tre il 20%3. Una buona parte diquesta componente nascosta èspiegata dal lavoro non regolarela cui incidenza sul totale dellaforza lavoro raggiunge quasi lasoglia del 20% nel Meridionecontro l’8,9% del nord e il10,2% del centro.

Le difficoltà della crescita economicae i ritardi a livello europeoLo scenario nella prima metà del2010 e le previsioni di medio pe-riodo confermano il manteni-mento dei divari territoriali. Se-

condo alcune sti-me, per il prossi-mo biennio saran-no le regioni cen-tro-settentrionaliad agganciarsi pri-ma alla ripresa in-ternazionale men-tre quelle meri-

dionali pagheranno ancora unavolta quei ritardi strutturali cheda sempre ne condizionano lo svi-luppo economico.Deve essere anche consideratoche, accanto ai divari “verticali”,nelle stesse aree meridionali èpossibile osservare differenti li-velli di crescita. Se da un lato cisono regioni che traggono bene-fici dal turismo e da alcune for-me di industrializzazione, dal-l’altro permangono carenze in-frastrutturali o di diffusa crimi-nalità che, congiuntamente adaltre criticità, rendono ancor piùdifficile un percorso univoco disviluppo4.Oltre a questo divario nazionale,appare ancor più rilevante evi-

Il nord si aggancerà allaripresa internazionale.Il sud continuerà a pagare lo scotto dei ritardi strutturali

ITALIA 2020Roberto Pasca Di Magliano e Daniele Terriarca

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denziare che se alcune delle re-gioni europee in ritardo di svi-luppo (con struttura economicasimile a quella italiana) si sonocollocate su un percorso di cre-scita verso i valori medi comuni-tari, quelle meridionali hannoperso ulteriormente terreno ne-gli ultimi anni. I dati Eurostat5mostrano, infatti, come il Pilpro capite del sud non solo sicolloca su livelli più bassi rispet-to alla media ma anche che l’evo-luzione di questa variabile, tra il2000 ed il 2007, ha presentatoun tasso di crescita inferiore ri-spetto alle altrearee “periferiche”della Ue.Sul l a t emat icadella riduzione deidivari territorialiappare opportunocitare l’esperienzadi politica econo-mica tedesca a seguito della cadu-ta del muro di Berlino. Il trattocomune delle due strategie go-vernative è l’utilizzo massicciodi risorse pubbliche6 ma i risul-tati appaiono completamentedifferenti. Dal 1989 al 2009, leregioni tedesche in “ritardo disviluppo” hanno fatto registrareuna crescita del Pil pari al163%, di quattro volte maggio-re rispetto a quella dei Länderdell’ovest, contribuendo a circail 20% della ricchezza nazionale.

L’insufficiente attrattività internazionaleLe debolezze territoriali tendonoa riflettersi anche sulla competi-tività internazionale, peggioran-

do la già scarsa attrattività delnostro paese nei confronti dei ca-pitali stranieri. Se negli annil’Unione europea è divenutal’area in cui si sono concentratemaggiormente le attività delleimprese multinazionali (Imn),l’Italia gioca ancora un ruolo se-condario in questo processo. Un recente studio sui flussi dicapitale mostra che le regioniitaliane “soffrono di un duplicesvantaggio: hanno caratteristi-che che le rendono poco attraen-ti per gli investitori stranieri eattraggono meno Ide (investi-

mento diretto al-l’estero) rispettoalle altre regionieuropee con carat-teristiche simili”7(vedi Spagna). A livello nazionale,è ormai noto chel’esistenza di una

burocrazia farraginosa produceuna crescita dei costi per le im-prese aumentando di conseguen-za anche il grado di incertezza; al-lo stesso modo un’elevata tassa-zione va ad incidere sui marginioperativi scoraggiando la sceltadi localizzazione delle impresemultinazionali. Su scala territo-riale, invece, i driver positivi perl’attrazione sono principalmentele infrastrutture e le attività di ri-cerca e sviluppo (R&S). La presenza di fattori di natura“territoriale” tende ovviamente atracciare una differente polariz-zazione delle Imn nei confini na-zionali. Circa il 51,9% delle im-prese a partecipazione estera siconcentra in Lombardia, un altro

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L’elevata tassazioneincide sui margini operativi e scoraggia la localizzazione delle imprese multinazionali

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IL FILM

I veri valoridel meridione

lberto, responsabile dell’ufficio po-stale di una cittadina della Brianza,sotto pressione della moglie Silvia,è disposto a tutto pur di ottenere iltrasferimento a Milano. Anche fin-gersi invalido per salire in graduato-ria. Ma il trucchetto non funziona eper punizione viene trasferito in unpaesino della Campania, il che perun abitante del nord equivale a unvero e proprio incubo. Rivestito dipregiudizi, Alberto parte da solo al-la volta di quella che ritiene la terradella camorra, dei rifiuti per le stra-de e dei “terroni” scansafatiche.Con sua immensa sorpresa, Albertoscoprirà invece un luogo affasci-nante, dei colleghi affettuosi, unapopolazione ospitale e un nuovo egrande amico, il postino Mattia, alquale darà una mano per riconqui-stare il cuore della bella Maria. Ilproblema ora però è un altro: comedirlo a Silvia? Già, perché da quan-do è partito, non solo il loro rappor-to sembra rifiorito, ma agli occhi deivecchi amici del nord Alberto è di-venuto un vero e proprio eroe.

31,6% in Emilia Romagna, La-zio e Veneto mentre le regionimeridionali raggiungono com-plessivamente un modesto 4,4%(Mariotti & Mutinelli, 2010). Diparticolare importanza anche ilfatto che nelle regioni meridio-nali, salvo alcune eccezioni, si os-serva una maggiore incidenzadelle partecipazioni nei settorilabour intensive e quindi più espo-sti alla concorrenza dei paesi invia di sviluppo.

Il capitale umanoLe nuove teorie della crescitafanno del capitale fisso sociale(infrastrutture fisiche e capitaleumano) il motore dello sviluppo.La presenza di grandi opere eservizi in una determinata areageografica tende a valorizzare lapresenza delle risorse naturaliaccrescendo la dimensione delmercato e facilita l’insediamentodelle imprese attratte dalla di-sponibilità di capitale umanoqualificato (F. Forte, 2010). Inassenza di tali elementi, non siinnescheranno circoli virtuosi dicrescita e, di conseguenza, reste-ranno immutati i divari di natu-ra economica e sociale.Ponendo particolare attenzione alcapitale umano, lo strumento mi-gliore per promuoverne una rapi-da diffusione, e un continuo ac-crescimento, è senza dubbiol’istruzione. Gli effetti diretti so-no evidenti, persone maggior-mente istruite raggiungono unaposizione lavorativa migliore e,in media, salari più elevati rispet-to agli individui con una forma-zione di base.

ITALIA 2020Roberto Pasca Di Magliano e Daniele Terriarca

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Sin dagli inizi del nuovo millen-nio, le regioni meridionali han-no registrato un notevole incre-mento del tasso di scolarizzazio-ne, accompagnato però da un pa-rallelo aumento del tasso di ab-bandono dovuto alle condizionidi degrado sociale e familiare(Svimez, 2010). Evidenti gli im-patti anche sul livello di disoc-cupazione il cui valore mostraun andamento tendenziale supe-riore a quello registrato nelle zo-ne centro-settentrionali. Tale fe-nomeno va a ingrandire quellaparte della disoccupazione defi-nita come “gri-gia”8, nella qualeconfluiscono colo-ro che non cerca-no lavoro, disoc-cupati impliciti elavoratori poten-ziali, serbatoionaturale per i fe-nomeni di occupazione illegale.

Discontinuità, nuove politiche eregole virtuoseA distanza di anni, le politicheeconomiche adottate per il sudsembrano non aver condotto a ri-sultati soddisfacenti, a nulla sonoserviti gli ingenti interventi sta-tali generati attraverso la canaliz-zazione di risorse pubbliche.Manca, infatti, una valida cabinadi regia tra Stato e regioni in gra-do di coordinare le differenti atti-vità con l’obiettivo di stimolare iltessuto produttivo locale e l’occu-pazione. Lo sviluppo non si crea dall’altodistribuendo aiuti a pioggia, nonfinalizzati e senza pretendere dai

beneficiari dei risultati concreti.Purtroppo la politica cade soven-te in questa trappola perché at-tratta dal consenso che si presu-me insito nelle politiche di aiuto.Se, nonostante il fiume di finan-ziamenti (nazionali ed europei) idivari con il centro-nord non so-no migliorati, vuol dire che le po-litiche di sviluppo non hannocolto nel segno e questo perchénon sono state capaci di mobilita-re la società civile. Occorre una netta discontinuitàrispetto al passato. Gli investitoriprivati sono distorti nelle loro

scelte dalla ricercadi contributi pub-blici e non riesconoa realizzare proget-ti economicamentevalidi e duraturinel tempo. Gli im-pieghi finanziari inopere pubbliche

sono carenti, mal gestiti e lentinella loro realizzazione. Allo Stato e alle regioni deve es-sere demandata solo la defini-zione delle priorità d’interventoe la destinazione di risorse pub-bliche ai singoli progetti a tito-lo d’incentivazione mentre la se-lezione e valutazione dei proget-ti di sviluppo, che ambisconoagli aiuti pubblici, dovrebbe es-sere gestita da un’agenzia tecni-ca, dotata di elevata e indiscussaprofessionalità, così da attrarrecapitali privati in co-finanzia-mento con i fondi pubblici de-stinati allo sviluppo. L’afflussodi capitali esteri potrebbe ancheessere favorito dalla creazione dizone franche a “burocrazia zero”,

Manca una valida cabina di regia tra Statoe regioni che stimoli il tessuto locale e l’occupazione

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detassando i nuovi investimentie semplificando le procedureamministrative.Le nuove politiche di sviluppoper le aree svantaggiate dovrannoessere governate da un mix di aiu-ti (tra incentivi economici e age-volazioni fiscali) mirati all’attra-zione di investimenti produttivi,accompagnati da una fonte di fi-nanziamento di nuovi progettid’impresa e dalla realizzazione diinfrastrutture funzionali allo svi-luppo locale. Lo sviluppo però non si costrui-sce a tavolino e non si imponesulla testa delle popolazioni marichiede una condivisione e ma-turazione nelle scelte individua-li, deve percorrere strade adottatein autonomia senza preconcettidisegni di organismi superiori.Per realizzare questi obiettivi oc-corre che le istituzioni siano re-sponsabilizzate nelle loro scelteal fine di stimolare l’impegno al-la crescita del capitale umano,impedendo una lievitazione in-controllata della spesa pubblicaattraverso misure inefficaci. È suqueste basi che si può sperare cheil senso civico e le responsabilitàindividuali estirpino gradual-mente i poteri malavitosi e che siformi un ambiente favorevole al-lo sviluppo, alla valorizzazionedelle risorse che pur si celanonelle realtà depresse.

Note

1 V. Daniele e P. Malanima, Il prodottodelle regioni e il divario Nord-Sud in Ita-lia (1861-2004), Rivista di PoliticaEconomica (Marzo-Aprile, 2007).2 M. Bella e L. Patrignani (2010), Ag-giornamento delle analisi e delle previsionidel Pil nelle regioni italiane, Confcom-mercio.3 Confindustria (2010), Le sfide dellapolitica economica per rafforzare la crescitaitaliana.4 V. Valli (2005), Politica Economica,Carocci.5 Eurostat, Regional Yearbook, (2010).6 La Cassa del Mezzogiorno dal 1951al 1992 ha impiegato circa 140 mi-liardi di euro. Solamente negli ulti-mi 5 anni la somma stanziata è statapari a 70 miliardi di euro (sotto for-ma di investimenti agevolati).7 R. Basile, L. Benfratello e D. Ca-stellani (2009), Le determinanti dellalocalizzazione delle imprese multinazio-nali: l’attrattività dell’Italia nel conte-sto europeo.8 “Rapporto Svimez 2010 sull’eco-nomia del Mezzogiorno”.

roberto pasca di magliano

Professore ordinario di Economia politica ed

Economia della crescita – La Sapienza, Uni-

versità di Roma.

daniele terriarca

Dottorando in Sviluppo economico, finanza e

cooperazione internazionale – La Sapienza,

Università di Roma.

L’Autore

ITALIA 2020Roberto Pasca Di Magliano e Daniele Terriarca

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DI ROSALINDA CAPPELLO

Con l’avvento di Ivan Lo Belloalla presidenza di Confindustria Sicilia,le imprese dell’isola hanno intrapreso

un difficile percorso di trasparenzache potrebbe finalmente rilanciarel’economia siciliana e liberarladalle spire mortali della criminalità.

Legalità e sviluppo,binomio indissolubile

ITALIA 2020Rosalinda Cappello

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È difficile pensare allo sviluppo ealla crescita prescindendo dallalegalità. Non c’è sviluppo laddo-ve la criminalità organizzata con-trolla saldamente territorio e atti-vità economiche, perché la leggedella mafia strozza in una morsainesorabile il futuro della comu-nità in cui è radicata. Proprio apartire da quest’assunto è iniziatala sfida di Ivan Lo Bello, a capo diConfindustria Sicilia dal 2006, al-le infiltrazioni mafiose nel siste-ma imprenditoriale isolano.Neopresidente di Unicredit Lea-sing e presidente della Camera dicommercio di Siracusa, l’impren-ditore siciliano è fortemente con-vinto che trasparenza e svilupposiano un binomio indissolubile eche la connivenza impaurita ocomplice per interesse fa il maledel territorio in cui la mafia simuove indisturbata. Il perpetuar-

si di un sistema di acquiescenza esudditanza verso le dinamichemafiose non fa che l’interesseesclusivo di questa struttura cri-minale parassitaria che succhialinfa vitale al corpo sociale. I nu-meri raccontano che le aziendeassorbite nell’orbita di Cosa no-stra hanno una vita più breve. Se-condo uno studio, l’azienda chefa affari con la mafia sopravviveal massimo dieci anni. Quest’ul-tima – sono le parole di Antonel-lo Montante, delegato per i Rap-porti con le Istituzioni preposteal controllo del territorio, vicinoa Lo Bello e recentemente ogget-to di minacce – prima entra nelsuo capitale, poi le impone i suoifornitori, quindi ne diventa socioe, quando l’impresa va in crisi, laacquista. Se all’imprenditore vabene, lo Stato gliela confisca, segli va male ci rimette la vita. Se

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la mafia cerca di coinvolgerti,l’unica via di salvezza è collabo-rare subito con le istituzioni.E così, da oltre quattro anni, LoBello ha messo in atto una rivo-luzione copernicana all’internodell’associazione degli imprendi-tori siciliani, introducendo uncodice etico che impone agli im-prenditori aderenti all’organizza-zione da lui guidata di denuncia-re gli estorsori se non voglionoessere espulsi per connivenza.Non solo, ma le realtà imprendi-toriali siciliane sono tenute a co-stituirsi parte civile contro leaziende processateper mafia. Questal’unica strada persalvaguardare lalegalità e garanti-re lo sviluppo:scardinare il siste-ma di connivenze,di omertà e dipaura su cui può contare il gran-de fratello mafioso, lavorando sulconsolidamento della culturadella legalità.Ma perché questa battaglia siavittoriosa occorre che anche lapolitica si doti di un codice etico.Per Lo Bello alla politica, sia a li-vello centrale sia – soprattutto –a livello locale, servirebbe una ri-voluzione culturale in grado diportare a un salto di qualità. Dalmomento che oggi la forza delleorganizzazioni criminali è la poli-tica, occorre che essa si doti di uncodice di autoregolamentazione eche dia un segnale forte della vo-lontà di emarginare tutti i sog-getti che continuano a colludere.Ma com’è possibile spezzare quel-

la miscela di clientelismo, assi-stenzialismo, parassitismo e cor-ruzione che, condizionando il li-bero mercato, penalizza l’efficien-za, l’innovazione e la qualità eblocca di fatto lo sviluppo econo-mico dell’isola? Per Lo Bello lasoluzione è tutt’altro che sempli-ce perché figlia di una situazionecomplessa. L’importante, però, èavviare un percorso che sciolga inodi di alcune questioni struttu-rali strategiche. Sul nostro terri-torio, a causa di politiche sbaglia-te, sostanzialmente redistributivee assistenziali con una forte con-

notazione cliente-lare, infatti, si èconsolidata unacultura che ha tra-smesso alla societàsiciliana il messag-gio per cui l’unicaprospettiva di cre-scita sociale ed eco-

nomica passasse attraverso la ca-pacità di inserirsi in queste retiassistenziali e clientelari.E questo ha reso molto debole lacultura del mercato, del merito,la capacità di competere con re-gole certe e chiare. Tutto questoha avuto effetti economici rile-vanti in quanto ha generato unadimensione pubblica ipertrofica.Basti pensare che le amministra-zioni pubbliche siciliane nel lorocomplesso pesano sul Pil regio-nale per il 35%, mentre in Lom-bardia e in Veneto per il 12%.Quindi, c’è una società e un pez-zo del mondo dell’impresa intri-so di quella cultura parassitaria,che dipende in maniera moltoforte dal pubblico e non è in gra-

Le imprese possonofare molto, ma è necessario che anchela politica si doti di un codice etico

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ITALIA 2020Rosalinda Cappello

IL LIBRO di Cecilia Moretti

Francesco DelzioLa scossaRubbettino 2010, 90 pp., 10 euro

«Rassegnazione et-nica». Questo è l’at-teggiamento chepericolosamentetroppo spesso ser-peggia verso unSud tristemente inagonia. Un Meridio-ne d’Italia che va in-dietro anziché

avanti e registra ci-fre da fare impallidire anche i più ottimi-sti. Ma non tutto è perduto, perché le ri-sorse del Mezzogiorno e il suo straordina-rio patrimonio di bellezza possono ancoraessere salvati. Francesco Delzio, «meri-dionale di nascita e “sudista” per passio-ne», spiega qual è la sua soluzione: unoshock, una terapia d’urto da applicarecon la massima urgenza.Nel suo agile ed efficace pamphlet Lascossa, Delzio lancia sei proposte d’im-patto, che come una sorta di brusca sca-rica elettrica potrebbero riuscire a riani-mare il Sud sempre più intorpidito. «Lefertili terre si desertificano, le industriesvaniscono, la giostra della vita rallenta ilritmo fin quasi a fermarsi. Fuggono uomi-ni, capitali, speranze. Si materializza l’eu-tanasia di un intero popolo che decide diabbandonare il futuro e la speranza dellosviluppo, che sceglie di uscire dalla storiae dalla sua rincorsa alle “magnifiche sortie progressive” per ripiegare sul passato.Convinto che il meglio sia decisamente al-le spalle». Di fronte a questo tetro spetta-colo la cosa più pericolosa da fare è resta-

Una “scossa” per rianimare il sud

re immobili. Serve, invece, uno scattod’orgoglio. Bisogna che le genti meridio-nali ritrovino il coraggio di immaginare ilproprio futuro libero dall’assistenzialismoe dai vincoli pubblici, e la capacità di pen-sare una strategia-paese che liberi leenergie del Mezzogiorno con un correttouso dei fondi pubblici, ma senza prescin-dere dai privati.Sei proposte disarmanti nella loro con-cretezza: fare del sud una No Tax area,ovvero una zona dove non si danno piùincentivi alle imprese, ma non sovracca-ricata di tasse; azzerare la burocraziaasfissiante; detassare le facoltà scientifi-che per favorirne la frequentazione; in-centivare la flessibilità, superando legabbie salariali a favore di contratti in-novativi; intentare una «guerra totale»contro l’irresponsabilità degli ammini-stratori locali.Mettendo in pratica questi dettami il sudpotrà, allora, finalmente diventare un luo-go attivo d’Europa, un territorio conve-niente e dunque attrattivo per le imprese.Altrimenti, con una crescita pari a circaun sesto della media italiana, un Pil percittadino meridionale che è poco più chela metà di quello di un settentrionale e unnumero di giovani che se ne vanno in cer-ca di fortuna al Nord in costante crescita,il sud corre fatalmente il rischio dell’“in-cubo di Petra”, «la metafora di una socie-tà involuta fino alla desertificazione, laproiezione di una clamorosa sconfittanella storia dello sviluppo occidentale».Ma le ricette per la cura ci sono. Bastatrovare la forza di volontà per metterlesubito in pratica, lasciandosi una buonavolta alle spalle ogni sterile vittimismo etutto il dannoso spirito di rassegnazione.Il sud non è una “palla al piede”, ma unmotore dalle potenzialità incredibili. Ba-sta solo crederci. E farlo funzionare.

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do di sfruttare le risorse per inve-stimenti o per delineare strate-gie. Ciò ha spinto le aziende aposizionarsi su mercati regola-mentati dalla pubblica ammini-strazione, protetti, poco apertialla concorrenza e quindi ha resodeboli le imprese che stavano sulmercato, con effetti distorsivi sulmercato del lavoro.Uno scenario non certo incorag-giante, ma una via d’uscita c’è edè quella di smantellare questa di-mensione pubblica ipertrofica edi mettere al bando le politicheredistributive assistenziali chenegli ultimi anni,nonostante minoririsorse pubbliche,hanno continuatosulla stessa stradaindebitando leamministrazionilocali. Per Lo Bel-lo la sfida per ilSud è rappresentata dal mercato edalle regole. Sono gli unici ele-menti su cui il Meridione può co-struire un percorso di superamen-to della mentalità e della culturaclientelare, che passa attraverso ildisboscamento dei mercati pro-tetti e irregolari che si sono costi-tuiti nel tempo. Un percorso chepuò generare anche un potentissi-mo antidoto alle organizzazionimafiose che si basano anche suconvenienze quotidiane. Quindi,l’exit strategy qui è l’agevolazionedel mercato, in modo tale da ri-durre il peso del settore pubblicoe introdurre regole ferree e serieda far rispettare.La lotta alla mafia impone unosforzo integrato su più fronti

tanto è radicata e mimetizzatanel territorio in cui opera. Comeha ricordato recentemente LoBello, le mafie tendono a camuf-farsi nell’economia legale e a cer-care un punto d’incontro conquella parte del mondo impren-ditoriale, specialmente nei setto-ri dei mercati protetti, cioè fuoridalla concorrenza, che spera ditrovare in Cosa Nostra un appog-gio che lo renda più competitivo.Una forza destinata a durare po-co, visto che le aziende poggiatesu queste basi fragili e artefattesono deboli e falliscono in tempi

rapidi. Oggi, lanuova frontiera èin un nuovo rap-porto tra mafia edeconomia, con lamafia che tende afarsi garante di al-cuni processi eco-nomici regolatori

del mercato o addirittura essastessa impresa. La mafia, conti-nua ancora il presidente di Con-findustria Sicilia, tende a lasciarealle cosche minori, spesso esternea Cosa Nostra, la pratica dei vec-chi affari illeciti per dedicarsi adattività in apparenza pulite. «Imafiosi di rango e consolidatatradizione non sparano più – di-chiara Lo Bello – e non chiedononemmeno il pizzo ma sono im-prenditori che hanno monopoliz-zato una fetta di settori come itrasporti, il calcestruzzo, il movi-mento terra e alcuni servizi alleimprese».Una forza di penetrazione che, ol-tre l’azione della politica, richie-de uno sforzo anche sul fronte

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Mercato e regole sonogli unici elementi con i quali il Meridionepuò superare le logiche clientelari

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della responsabilità individualedi ciascuno, cittadino o impren-ditore che sia, utile a innescare econsolidare una prospettiva nuo-va. C’è però bisogno, sostiene LoBello, di choc sistemici. Infatti,attualmente una parte significati-va, anche se non più maggiorita-ria, del mondo imprenditoriale simuove dentro quella cultura assi-stenziale e clientelare, non pensache il luogo in cui si produce ric-chezza sia il mercato, ma credeche la ricchezza si produca attra-verso rapporti politici o collusio-ni con la mafia. Un segnale positivo è che glioperatori attivi sul mercato co-minciano a rendersi conto che icolleghi che colludono con la ma-fia o trafficano con la pubblicaamministrazione danneggianol’intera categoria economica. Si èraggiunta la consapevolezza, nelsegmento di aziende che si misu-rano con il mercato e si interna-zionalizzano, che l’imprenditoreviene valutato per la sua capacitàdi fare buoni prodotti, di vender-li a consumatori sparsi per ilmondo. Queste aziende compren-dono che il sistema attuale non lifa competere ad armi pari con iconcorrenti di altri paesi o di al-tre regioni italiane a causa del pe-so della cattiva politica, della cat-tiva amministrazione e di unacultura mafiosa che sul territorioè un condizionamento forte.Ma ancora non è abbastanza, se-condo il numero uno di Confin-dustria Sicilia. Per agevolare lacultura della legalità occorre farcapire ai cittadini e agli impren-ditori che quel sistema in cui so-

no stati immersi finora non è piùconveniente. E a chi lo criticaperché parla di convenienze enon di convinzioni etico-morali,risponde che pur avendo una for-tissima carica morale e una pas-sione civile, sa benissimo come siconvince la gente. La si convincefacendole capire che il sistema incui la redistribuzione avvenivacon risorse pubbliche ha creatoun debito pubblico enorme chesta portando il Mezzogiorno a undisastro finanziario, con conse-guenze nefaste per i cittadini eper le imprese. Lo sforzo deve es-sere dunque quello di far capireai cittadini che supportare quelsistema creerà un’ipoteca sullaloro vita e su quella dei loro fi-gli. Maturando questa consape-volezza, la gente troverà più co-struttivo aderire a una culturafatta di nuovi valori.Senza tralasciare il fatto che –più della sanzione giudiziaria –la gogna sociale, il rischio diespulsione da Confindustria, fun-ziona da valido deterrente sequesta procedura viene applicatacon rigore e continuità.

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ITALIA 2020Rosalinda Cappello

rosalinda cappello

Giornalista, è redattore di Ffwebmagazine, il

periodico online della Fondazione Farefutu-

ro. Collabora con il Secolo d’Italia.

L’Autore

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Oscar Wilde amava dire che glieconomisti sanno fare previsionibuone rispetto al passato ma han-no difficoltà a farne per l’avveni-re. In un certo senso, l’esteta bri-tannico aveva ragione: la “tristescienza” è stata concepita per ana-lizzare e spiegare fenomeni, nonpuò essere utilizzata come unasfera di cristallo per scrutare il fu-turo. Sotto il profilo tecnologico,i modelli econometrici macroeco-nomico di norma sono a 24-36mesi; i modelli intersettoriali so-no di solito statici o al massimodi statica comparata (ossia raf-frontano due situazioni analoghein momenti differenti); gli stessistrumenti basati su cicli lunghi(Kondratev, Minsky) sono mereestrapolazioni di tendenze rileva-te nel passato. Quindi, tentare didescrivere quale sarà l’Italia nel2020, e quale il percoso per arri-varvi, è una missione impossibile.È fattibile, però, delineare, inmodo qualitativo piuttosto chequantitativo, alcune linee da se-

guire per uscire dalla stagnazioneche ha caratterizzato gli ultimi15 anni e andare verso un proces-so di crescita inclusiva che diapriorità alla coesione sociale. Al-cune proposte vengono lanciatein questo articolo che intende es-sere spunto per una riflessione edun dibattito collegiale.

Lo scenario internazionale Il contesto in cui possono muo-versi Europa ed Italia è delineatochiaramente nel Global Outlook, lostudio annuale sull’economia in-ternazionale prodotto dall’Istitu-to affari internazionali (Iai), pub-blicato a fine 2010. Un grafico èparticolarmente eloquente: quelloin cui alcuni istogrammi illustra-no la prevista evoluzione dei con-sumi mondiali tra due gruppi dipaesi dal 2007 al 2025. Il primocomprende Stati Uniti, Giappo-ne, Francia, Italia. Il secondo Ci-na, India, Russia, Brasile, Messi-co, Corea del Sud. La Russia –aquila a due facce – appartiene ad

DI GIUSEPPE PENNISI

Tra difficoltà interne e vincoli europei

Italia, ultima chiamataper il treno del futuroLa politica economica italiana non ha alternativa al muoversi nel solco segnato da un lato da Europa 2020 e dall’altro dal nuovo Patto di crescita e di stabilità.

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ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

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ambedue in quanto sia “sviluppa-ta” sia ancora “emergente”. Nel2007, il primo gruppo rappresen-tava il 43% dei consumi mondia-li ed il secondo il 24%. Nel 2025– in base alle previsioni economi-che Iai (che tengono conto, a lorovolta, di quelle di una ventina dimodelli) – il secondo gruppo as-sorbirà il 40% dei consumi mon-diali, il secondo il 37%. Nella lo-ro cruda semplicità, queste duecifre fanno toccare con mano ilprocesso di trasformazione econo-mica in atto. Mentre, come ci ri-cordava Angus Maddison primadi morire solo po-chi mesi fa, dal-l’inizio dell’Otto-cento (quandol’economia di sus-sistenza imperver-sava in tutto ilmondo e la som-ma del Pil di In-dia e Cina era pari al 45% circadi quello mondiale), le innovazio-ni tecnologiche (meccanica, elet-tricità, telefonia) sono state perdue secoli monopolio di un ri-stretto gruppo di paesi del norddel mondo (Europa e Stati Uniti),oggi la nuova ondata di innova-zioni legate alla tecnologia del-l’informazione e comunicazioneha quasi abbattuto le distanze ditempo e di spazio, spezzando ilmonopolio della creatività, edell’innovazione.Il percorso del riequilibrio è resopiù difficile, specialmente perUsa ed Ue, dall’esplosione del de-bito pubblico innescata o aggra-vata dalla crisi finanziaria iniziatanel 2007 – una pesante ipoteca

sulle politiche di crescita diffe-renti da quelle basate su unamassiccia liberalizzazione nei ser-vizi (di ardua attuazione a ragio-ne delle ricadute occupazionali,almeno di breve periodo).

Il contesto europeo Il contesto europeo è caratterizza-to da due elementi in apparenzacontrastanti: a) il documento Eu-ropa 2020, varato dal ConsiglioEuropeo la primavera scorsa persostituire la Strategia di Lisbonadel marzo 2000; b) la revisionedel Patto di crescita e di stabilità.

Su ambedue si sta-glia lo spettro dellacrisi dell’unionemonetaria europeadi cui negli ultimimesi si sono avutisegnali eloquentiche hanno compor-tato il salvataggio

dal rischio di insolvenza del debi-to sovrano di Stati come la Greciae l’Irlanda, ed il timore che ilcontagio della crisi finanziariaeuropea si estenda ad altri Statidell’area dell’euro.La crisi economica internazionale– afferma Europa 2020 – ha mes-so a nudo le gravi carenze diun’economia già resa fragile dallaglobalizzazione, dal depaupera-mento delle risorse e dall’invec-chiamento demografico. La Com-missione europea dichiara chequesti ostacoli possono essere su-perati, se l’Europa decide di opta-re per un mercato “più verde einnovativo”. La strategia indivi-dua le seguenti priorità: sostenerele industrie a bassa emissione di

La crisi ha messo a nudo le gravi carenze di un’economia già resa fragile dalla globalizzazione

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CO2, investire nello sviluppo dinuovi prodotti, promuoverel’economia digitale e modernizza-re l’istruzione e la formazione.Europa 2020 propone cinqueobiettivi quantitativi, compresol’innalzamento del tasso di occu-pazione ad almeno il 75% dellapopolazione in età da lavorodall’attuale 69% e l’aumento del-la spesa per ricerca e sviluppo al3% del Prodotto interno lordo.Attualmente quest’ultima rap-presenta soltanto il 2% del Pil,un livello di gran lunga inferiorea quello di Usa e Giappone. Lanuova strategiapropone di ridurreil tasso di povertàdel 25% per aiuta-re circa 20 milionidi persone ad usci-re dall’indigenza.Nel campo del-l’istruzione, Euro-pa 2020 vuole portare il tasso diabbandono scolastico al di sottodel 10% (dall’attuale 15%) e ac-crescere in maniera significativa(dal 31% al 40%) la percentualedei giovani trentenni conun’istruzione universitaria. Il documento propone che i go-verni concordino obiettivi nazio-nali che tengano conto delle con-dizioni di ciascun paese, aiutandonel contempo l’Ue nel suo insie-me a raggiungere i suoi traguar-di. La Commissione controllerà iprogressi compiuti e, in caso di“risposta inadeguata”, formuleràun monito. Europa 2020 indivi-dua sette iniziative prioritarie perstimolare la crescita e l’occupa-zione. Tra queste figurano i pro-

grammi per migliorare le condi-zioni e l’accesso ai finanziamentinel settore della R&S, l’introdu-zione in tempi rapidi dell’Inter-net ad alta velocità e il maggiorericorso alle energie rinnovabili. È utile confrontare il documentoEuropa 2020 con i Protocolli diLisbona di dieci anni prima eporre l’accento sul ruolo che haavuto l’Italia nella loro formula-zione (a fine gennaio 2010 il mi-nistro per le Politiche comunita-rie ha inviato una nota dettaglia-ta a Bruxelles: l’enfasi su istruzio-ne, formazione, ed equità erano

punti centrali deldocumento italia-no). Gli obiettivisono meno ambi-ziosi: l’esperienzaha insegnato a nonvolare troppo inalto se si hanno ilcorpo e le ali di un

calabrone. Già nel 2005, il Rap-porto Kok aveva messo a nudo ilvero e proprio “incubo burocrati-co” che era diventato la Strategiadi Lisbona con oltre 40 parametri(e decine di indicatori da monito-rare); da allora, la procedura erastata semplificata anche seguendoil Pico (Programma per l’innova-zione, la competitività e l’occupa-zione) presentato dall’Italia nel-l’autunno 2005. Europa 2020 sipone più come uno metodo perindividuare strumenti che perlanciare obiettivi. Tuttavia, il do-cumento non sembra tenere ade-guatamente conto di una caratte-ristica e dell’Italia e di molti altriStati dell’Ue, specialmente deineocomunitari: una struttura di

La spesa per ricerca e sviluppo in Europa è di gran lunga inferiorerispetto a quella di Usa e Giappone

ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

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produzione basata su piccole emedie imprese. La revisione del Patto di crescitae stabilità e le misure ad esso col-legate – quali la creazione di treAgenzia europee per la regolazio-ne e la vigilanza dei mercati fi-nanziari ed assicurativi e, soprat-tutto, l’istituzione di un fondoeuropeo “di stabilità”, essenzial-mente per il salvataggio di Statia rischio d’insolvenza sul propriodebito sovrano – paiono andarein una direzione differente daquella di Europa 2020. Mentre ildocumento sulla crescita e l’in-novazione è essen-zialmente espan-sionista, il nuovoPatto (all’esamedei capi di Stato edi governo del-l’Ue a metà di-cembre) contem-pla misure e san-zioni più severe in materia dicontenimento dei disavanzi dibilancio e di rapporto tra stock didebito pubblico e Pil, ambeduecresciuti a dismisura dal 2007(quando è scoppiata la crisi fi-nanziaria che dagli Usa ha colpi-to specialmente l’Ue). In effetti,tuttavia, si tratta di strategiecomplementari: è arduo, infatti,concepire ed attuare strategie dicrescita al di fuori di un quadrodi stabilità finanziaria, senza lastabilità finanziaria, infatti, au-menterebbe l’avversione al ri-schio di consumatori, rispar-miatori e investitori, le stessepolitiche pubbliche farebberocilecca per mancanza di unabussola.

I dilemmi per la politica economica italiana La politica economica italiananon ha alternativa al muoversinel solco segnato da un lato daEuropa 2020 e dall’altro dal nuo-vo Patto di crescita e di stabilitàe strumenti collegati. All’iniziodel 2011, dopo circa tre lustri distagnazione, secondo l’ultimoAnnuario Istat e la più recentedocumentazione del ministerodell’Economia e delle finanze,l’Italia si mostra come un paeseche, a ragione della propria strut-tura produttiva e delle caratteri-

stiche del propriosistema di servizifinanziari, è riusci-to a scansare le im-plicazioni peggioridella crisi finanzia-ria (fallimenti a ca-tena di banche esocietà di assicura-

zioni) ma con un reddito pro-ca-pite immobile, un aumento deldivario tra “chi ha e chi non ha”(su base principalmente territo-riale), un tasso di disoccupazioneancora inferiore alla media Ue mache tende verso il 10% di coloroche vogliono e possono lavorare,un indebitamento netto dellepubbliche amministrazioni attor-no al 5% del Pil ed uno stock didebito pubblico che minacciosa-mente avanza verso il 120% delPil. L’alveo è stretto in quantoper restare in linea con gli obiet-tivi europei (e per non essere per-cepiti come “soggetti a rischio”dai mercati finanziari), non sola-mente il deficit annuale di bilan-cio dovrà essere azzerato ma il

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Il nuovo patto contempla sanzioni più severe per chi nonrispetta il contenimentodei disavanzi di bilancio

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Il Patto di stabilità e crescita è unquadro di norme per il coordinamen-to delle politiche di bilancio nazionalinell’ambito dell’Unione economica emonetaria (Uem). È stato creato atutela della solidità delle finanzepubbliche, importante requisito per ilcorretto funzionamento dell’Uem. IlPatto si articola in una parte preven-tiva e in un parte dissuasiva.

La parte preventivaSecondo le disposizioni di carattere preventivo, gli Stati membri devono presentare pro-grammi annuali di stabilità (o di convergenza) indicanti come intendono conseguire o salva-guardare posizioni di bilancio sane a medio termine, tenendo conto dell’incidenza finanzia-ria dell’invecchiamento demografico. La Commissione valuta questi programmi e il Consi-glio esprime un parere in proposito. La parte preventiva del patto prevede due strumentiche possono essere utilizzati per evitare la formazione di disavanzi “eccessivi”.Il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può attivare la procedura di allarmepreventivo rivolgendo un formale avvertimento (early warning) allo Stato membro nel qua-le rischia di determinarsi un disavanzo eccessivo. La Commissione può richiamare uno Sta-to membro al rispetto degli obblighi del Patto di stabilità e crescita formulando appositeraccomandazioni di politica economica (early policy advice).

La parte dissuasivaGli elementi dissuasivi del patto sono quelli previsti dalla procedura per i disavanzi eccessi-vi, che scatta quando il disavanzo supera la soglia del 3% del Pil prevista dal trattato. Se ri-tiene che vi sia un disavanzo eccessivo ai sensi del trattato, il Consiglio formula delle racco-mandazioni agli Stati membri interessati affinché adottino delle misure correttive, indican-do un termine entro cui riassorbire il deficit. L’inosservanza delle raccomandazioni fa scat-tare le ulteriori fasi della procedura, che può giungere, per gli Stati membri dell’area dell’eu-ro, fino alla comminazione di sanzioni.

Sostenibilità a lungo termine delle finanze pubblicheA causa dell’invecchiamento della popolazione, dovuto al fatto che le persone vivono più alungo e hanno un minor numero di figli, gli Stati membri dell’Ue si trovano di fronte al pro-blema di garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, in considerazio-ne dell’incidenza che tale fenomeno ha sui bilanci. Per affrontare questa sfida e tenendoconto della centralità del tema della sostenibilità a lungo termine nella riforma del Patto distabilità e crescita operata nel 2005, vengono elaborate proiezioni di bilancio comuni a lun-go termine a livello di Ue, e la situazione relativa ai singoli Stati membri viene sottoposta acontrolli e valutazioni. Un’analisi esaustiva è contenuta nella relazione sulla sostenibilità. Lasostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche viene presa in considerazione anchenella valutazione dei programmi di stabilità e convergenza.

FOCUS

Il Patto di stabilità e crescita dell’Ue

ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

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rapporto tra stock di debito pub-blico e Pil dovrà velocemente an-dare verso il 60%. Ciò implica unsaldo primario attivo di bilancio(ossia risultato di esercizio al net-to del servizio del debito) almenodel 5% del Pil l’anno per i prossi-mi dieci anni. Dato che taleobiettivo non può essere raggiun-to tramite un aumento della pres-sione tributaria e contributiva(nell’insieme dell’Ocse, l’Italia hala seconda più alta dopo quelladella Francia) si dovrà perseguireuna strategia rigorosa della ridu-zione della spesa pubblica. Comefarlo senza mettereulteriormente inpericolo la coesio-ne sociale è il pro-blema centrale diquesti anni.In primo luogo,non è solamente laelevata pressionetributaria e contributiva a rende-re impraticabile un suo ulterioreaumento (frenerebbe la già bassacrescita economica) ed aggrave-rebbe le difficoltà di coesione so-ciale in quanto graverebbe prin-cipalmente sul lavoro dipenden-te), ma le riduzioni della spesa –lo quantizza un recente lavoroempirico del servizio studi dellaBanca centrale europea – hanno,se ben modulate, un buon effettomoltiplicativo su consumi, inve-stimenti ed occupazione, un ef-fetto maggiore del deficit financingdi stampo keynesiano. Occorretenere presente che la strutturaproduttiva del paese, costituitada piccole e medie imprese spe-cialmente nel manifatturiero, da

elemento di forza (come sottoli-neato dalla Fondazione Edison)durante la crisi potrà verosimil-mente diventare elemento di de-bolezza nell’uscita dalla crisi e nelfuturo dell’economia mondiale.La Germania mostra di essere riu-scita ad aumentare il grado d’in-ternazionalizzazione (ora il dop-pio di quello dell’Italia mentreera pari al nostro nel 1995-1999)tramite un processo di concentra-zioni aziendali in cui servizi emanifatturiero sono stati integra-ti nelle stesse imprese al fine diaumentare la competitività tra-

mite una più effi-cace catena del va-lore. Gli anni No-vanta – ricordia-molo – sono statiquelli della con-centrazione del si-stema bancario ita-liano (composto al-

l’inizio del periodo da circa 600istituti) attorno a cinque-sei poli.La politica pubblica dovrebbeadesso favorirne uno analogo nelmanifatturiero e nei servizi. Lasemplificazione normativa e le li-beralizzazioni sono gli strumentiprincipe per farlo: oggi il grovi-glio di norme e regolamenti è ta-le che piccole e medie impreseitaliane si trasferiscono non soloin Stati neocomunitari dell’Euro-pa dell’est ma nello stesso CantonTicino e nel francese departementRhones-Alpes quasi ai confinicon il Piemonte. Appare urgenteuna sunset legislation (normativadel tramonto) che, dopo un certonumero di anni, imponga il deca-dimento di leggi e regolamenti se

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Il metodo dei tagli lineari per la spesa pubblica ha il fiatocorto e mina crescitaeconomica e coesione

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non approvati di nuovo dall’auto-rità politica (Parlamento, Consi-glio regionale, o provinciale o co-munale). In secondo luogo, il metodo delle“riduzioni lineari” per la spesapubblica (ridurre ciascun eserci-zio finanziario della medesimapercentuale le spese di ciascunministero, regione, provincia, co-mune) ha il fiato corto e, parados-salmente, mina sia la crescita eco-nomica sia la coesione sociale inquanto non attacca che molto in-direttamente le sacche di ineffi-cienza e di privilegio. Occorreadottare un meto-do selettivo. Si ètentato, di mutua-re, non con grandiesiti, le Spending re-views britannichema si è posta pocaattenzione al Pro-gramme de rationali-zation des choix budgettaires grazieal quale la Francia degli anni Ot-tanta è passata da una situazionedi deficit crescenti e svalutazioniperiodiche al Patto del Louvre del1987 con il quale veniva stabilito(a conti risanati) il cambio fissotra franco francese e marco tede-sco. Caratteristiche del Programmeerano la selettività e la trasparen-za poiché gli studi e le analisi cheportavano a tagli selettivi veniva-no pubblicati in un periodicoedito da La Documentation Fran-çaise e diventavano oggetto di di-battito specializzato (in seminaritecnici) e pubblico (sulla stampa).Quale che sia la strada scelta –Spending reviews o Programme derationalization des choix budgettaires

– sarà essenziale rivalorizzare ilservizio studi della Ragioneriagenerale dello Stato (che è statocreato alcuni anni fa apposita-mente a questo scopo) ed i servizistudi dei due rami del Parlamen-to.

La selettività della spesa Una selettività delle politiche dispesa non deve restare declamato-ria o non può limitarsi all’indivi-duazione delle sacche di ineffi-cienza e di privilegio. Deve ancheessere positiva. Si possono pro-porre due obiettivi, in linea con

quelli europei:crescita ed innova-zione, da un can-to, coesione socia-le, dall’altro.Una linea interes-sante emerge dalleanalisi relative ai“miracoli econo-

mici” del secondo dopoguerra. Amio avviso, sono specialmente si-gnificativi i lavori di CharlesKindleberger, economista cosìnoto da non richiedere presenta-zione, e di Ferenc Jánossy, generodi Lukacs e di formazione mate-matico-ingegneristica prima cheeconomica. Scritti a pochi anni didistanza l’uno dell’altro, ma senzache i due autori avessero cono-scenza l’uno dei lavori dell’altro, ilibri di Kindleberger e Jánossyindividuano nella qualità dellaforza lavoro – e quindi dell’istru-zione e della formazione (ma an-che delle politiche sanitarie, pre-videnziali e del mercato del lavo-ro) – la determinante principaledei “miracoli economici”. Kin-

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ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

Gli anni Novanta viderola concentrazione del sistema bancarioitaliano attorno a cinque-sei poli

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dleberger guarda esclusivamenteall’Europa occidentale, e con at-tenzione particolare all’Italia. Já-nossy che lavorava in Ungheria escriveva in magiaro guarda pureall’esperienza del “miracolo” (po-co noto in Occidente) del propriopaese centroeuropeo. MentreKindleberger costruisce un mo-dello esplicativo per comprenderecome si sia stato innescato il “mi-racolo economico”, le analisi diJánossy (per quanto basate su sta-tistiche rudimentali, rispetto alladotazione di cui disponeva Kin-dleberger) riguardano non solocome e perché i“miracoli econo-mici” si sono av-viati ma anche co-me e perché si so-no affievoliti espenti. Individuala ragione nelladiscrasia tra capi-tale umano (da considerarsi comecambiamento strutturale delleconoscenze provocato dalla divi-sione del lavoro , non di una cre-scita generale derivante dallasommatoria delle conoscenze in-dividuali), da un lato, e strutturaproduttiva ed occupazionale,dall’altro; in altri termini quandoil capitale umano non è più in li-nea con le trasformazioni dellastruttura della produzione e delmercato del lavoro, la spinta cheha dato vita al “miracolo” si esau-risce e si torna su una tendenza dilungo periodo fatta di adatta-menti continui, per tentativi, er-rori e correzioni. Quindi, l’indi-cazione di una politica economicabasata su una politica attiva della

formazione del capitale umano,nonché su quella del funziona-mento del mercato del lavoro,della politica della salute e del si-stema previdenziale. La differenzatra l’analisi di Kindleberger equella di Jánossy deriva princi-palmente dal fatto che i due eco-nomisti operavano in contesticoncettuali e socio-politici (oltreche economici) differenti. PerKindleberger, che lavorava inun’economia di mercato, il mer-cato, con i suoi segnali, avrebbeagevolato i ri-aggiustamenti traformazione e capitale umano, da

un lato, e strutturaproduttiva ed oc-cupazionale (le re-gole e le prassi perla sua utilizzazio-ne). Per Jánossy,che lavorava inun’economia “a so-cialismo reale”, in-

vece, tale ri-aggiustamenti sareb-bero dovuti essere il risultato del-la programmazione, dunquedell’azione politica.L’interessante intuizione di Já-nossy ha suscitato un certo dibat-tito tra economisti europei nellaprima parte degli anni Settanta,ma è stata presto coperta da unafitta coltre di oblio. Un’ipotesianaloga a quella di Jánossy è stataformulata di recente, pur senzafare riferimento agli ormai rite-nuti vecchi lavori dell’economistaungherese, dal premio Nobel Ja-mes Heckman della Università diChicago e da Bas Jacobs dellaUniversità di Tilburg – due cen-tri di ricerca strettamente incar-dinati nel pensiero economico

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Per Kindleberger, il mercato agevola i riaggiustamenti tra capitale umano e formazione

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neo-classico di economia di mer-cato: la loro analisi individua ilrallentamento di lungo periododell’Ue nella carenze delle politi-che della formazione e di utilizza-zione di capitale umano, politi-che che dovrebbero essere “re-in-ventate” anche a ragione dell’in-vecchiamento della popolazione.“Occorre riconoscere la comple-mentarità dinamica della forma-zione di competenze”, “è necessa-rio espandere l’investimento neipiù giovani, dove si hanno mag-giori rendimenti in termini sia diefficienza sia di distribuzione delreddito, rispetto aquello per la riqua-lificazione dei la-voratori anziani”,“tentare di rime-diare più tardi nelciclo vitale a caren-ze di competenze èspesso inefficace”.Heckman e Jacobs sottolineano(con toni analoghi a quelli di Já-nossy) come la formazione di ca-pitale umano venga frustrata se ilresto delle politiche economicheha l’effetto di abbassare i rendi-menti dell’istruzione e della for-mazione: ad esempio, alti tassimarginali d’imposizione tributa-ria e ammortizzatori occupazio-nali e sociali molto generosi ridu-cono i tassi di partecipazione allaforza lavoro e le ore effettivamen-te lavorate con la conseguenza diuna utilizzazione del capitaleumano più bassa dell’ottimale. Laregolamentazione del mercato dellavoro può avere, in ceri casi, ef-fetti negativi analoghi. Osserva-zioni analoghe possono essere fat-

te per sistemi o regimi previden-ziali che incentivano a lasciare lavita produttiva in età relativa-mente giovane. Da queste analisisi può partire per giungere a in-dicazioni più specifiche sia inmateria di riduzioni di bilanciosia, infine, di politiche attive perl’inclusione sociale: va in questadirezione, pur senza fare riferi-mento al sostrato analitico, il Pia-no d’azione per l’occupabilità deigiovani presentato di recente daiministeri del Lavoro e dell’Istru-zione ed intitolato Italia 2020.

Le politiche attivedell’inclusione Per individuarecosa fare in mate-ria di politiche at-tive, è particolar-mente utile un la-voro d i DavidCard (Università

della California a Berkeley), Jo-chen Kluve (Iza, ossia Istituto fe-derale tedesco per lo studio dellavoro) e Andrea Weber (Univer-sità di Mannhein) pubblicato sulnumero di novembre di The Eco-nomic Journal. Il lavoro copre unperiodo lungo – dal 1995 (massi-ma diffusione delle politiche ”at-tive”) al 2007 (lo scoppio dellacrisi) – ed esamina l’impatto di199 programmi sulla base di 97studi empirici al fine di trarneimplicazioni di politica legislati-va e di allocazione di risorse. Co-pre, quindi, un arco di tempomolto più ampio ed un campionedi “casi di studio” molto più va-sto di quelli di solito utilizzati inanalisi di centri di ricerca nazio-

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ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

Italia 2020 è un piano d’azione per l’occupabilità dei giovani presentato da Lavoro e Istruzione

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nali o negli stessi studi comparatidi organizzazioni internazionalicome l’annuale Employment Outlo-ok dell’Ocse. Inoltre, nel lavoroviene impiegata una metodologiastatistica piuttosto elaborata perricavare una tassonomia (ossiauna casistica di politiche) tramitela quale categorizzare i 1999 pro-grammi e giungere a stime quan-titative omogenee di impatti. Laconclusione è che le politiche “at-tive” meno efficaci sono quelleimperniate su programmi d’occu-pazione nel settore pubblico (perintenderci, i lavori socialmenteutili o di pubblica utilità). Abba-stanza efficaci, invece, le misuredi assistenza alla ricerca di un im-piego. Mentre, nel breve periodo,la formazione e la riqualificazionesembrano avere impatti modesti,dopo due-tre anni paiono avererisultati significativi.Ciò ha implicazioni significativepure per l’Italia. Nonostante ilLibro Bianco sul futuro modellodel modello sociale del paese (elavori che ne hanno costruito ilsostato, quali i saggi La SocietàAttiva di Maurizio Sacconi, PaoloReboani e Michele Tiraboschi eFlessibilità e sicurezze curato daSalvatore Pirrone per l’Arel) mo-strino una convergenza su strate-gie quali quelle riassunte (ancheda parte di culture politiche dif-ferenti), in pratica gran parte del-la spesa pubblica per ammortiz-zatori occupazionali è per politi-che passive di sostegno del reddi-to, nel cui ambito hanno assuntoun ruolo sempre maggiore quellein deroga (ossia per categorie tra-dizionalmente al di fuori dal

comparto degli ammortizzatori).Siamo, però, riusciti a smaltireuna percentuale molto significa-tiva dei programmi d’occupazio-ne del settore pubblico: ItaliaLa-voro Spa, la principale agenzia inquesto campo, ha ri-tarato la pro-pria attività da gestore di lavora-tori socialmente utili e di pubbli-ca utilità (tramite società miste) asupporto tecnico dei centri perl’impiego, la cui efficacia vieneriportata in graduale ma progres-sivo miglioramento. Non fannodifetto le risorse per la formazio-ne e la riqualificazione; tuttavia,dati recenti indicano che le regio-ni dove le esigenze sono maggiori(quelle del sud e delle isole) sonoin grande ritardo nell’utilizzazio-ne di fondi europei (che rischianodi essere convogliati verso altriStati dell’Ue). Inoltre, qualità, ri-levanza ed efficacia spesso lascia-no a desiderare, come suggeritotra l’altro da un serie di saggi neln. 46 della Rassegna italiana divalutazione (il periodico dell’Asso-ciazione italiana di valutazione,Aiv) in uscita in queste settima-ne. Nel silenzio dell’Isfol (da anniibernato con 600 dipendenti –istituto che meriterebbe attenzio-ne nell’ambito di un Programme derationalization des choix budgettai-res) si può contare sul pregevolelavoro dell’Invalsi e di iniziativecome quelle dell’Aiv.

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ITALIA 2020Giuseppe Pennisi

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giuseppe pennisi

Componente del Consiglio Nazionale del-

l’Economia e del Lavoro, insegna all’Univer-

sità Europea di Roma ed all’Università di

Malta a Roma.

L’Autore

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L’Italia, il vero malato d’Europa,titolava una famosa edizionedell’Economist di qualche anno fadedicata ai problemi strutturalidel nostro paese. A qualche annodi distanza, purtroppo, la diagno-si dell’importante settimanalebritannico conserva la sua attuali-tà. Il Belpaese è paralizzato. Noncresce da ben 10 anni e fatica atrovare la strada della ripresa. Poi c’è l’Europa. Il Vecchio Con-tinente è stato investito dalla cri-si e l’Unione europea non sembraproprio in uno dei suoi momentipiù rosei. Eppure, perfino il piùsevero degli euroscettici è ormaicostretto ad ammetterlo: il rap-porto tra quello che si decide aBruxelles e nelle altre grandi ca-pitali europee è ormai strettissi-

mo. E non c’è crisi greca o irlan-dese che tenga. In alcuni settori,a dettare l’agenda sono ormai ifamosi eurocrati che affollano igrigi enormi edifici della zonaest della capitale belga. In altri,l’influenza di Bruxelles fatica an-cora ad affermarsi ma sembrainesorabilmente destinata a cre-scere. Comunque la si vogliamettere, spiegava l’Economist loscorso 7 dicembre, tornare indie-tro sarebbe ormai follia e com-porterebbe più danni e costi diquelli che ci sono nella situazio-ne attuale. Ergo, non converrebbea nessuno. Questo, più di ognialtro argomento, rende l’Unioneeuropea molto più centrale diquanto sia disposto ad ammette-re qualsiasi governo nazionale,

DI ALESSANDRO MULIERI

Le strategie dell’Ue per il 2020

Ecco come l’Europaspera di cambiare rotta

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Dopo il sostanziale fallimento della Strategia di Lisbona, l’Unione europea rilancia le proprie ambizioni

con Europa 2020. Consapevole che potrebbeessere l’ultimo treno per lo sviluppo.

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con buona pace di Angela Mer-kel. E rende i settori in cui l’Eu-ropa sembra avere meno voce inbase ai trattati, i veri ambiti incui si giocherà la sfida dei prossi-mi anni. La strategia di Lisbona è uno diquei casi. È un simbolo di ciòche in Europa si vorrebbe ma an-cora non si riesce ad ottenere. Edè un caso in cui i nomi racconta-no un trend. Inaugurato nel 2000durante un summit nella capitaleportoghese, l’accordo era destina-to a fare del Vecchio Continentela più dinamica e competitivae conomia de lmondo, capace dicrescita sostenibi-le e maggiore coe-sione sociale. Trale altre cose, i lea-der europei fissa-vano come obiet-tivi per il 2010un aumento del tasso di occupa-zione al 70%, una percentuale diinvestimenti in ricerca e svilup-po del 3% del Pil europeo e au-spicavano sostenibilità ambienta-le e riduzione della povertà. Un passo più lungo della gam-ba, dichiarava il report Cox nel2005. «Un fallimento malgradoqualche successo sparso», sen-tenziava il primo ministro sve-dese Fredrik Reinfeldt nel2009, rivolgendosi ai giornalistiche lo intervistavano sulla pros-sima presidenza di turno svedesedell’Unione. A dieci anni da quel summit,l’agenda di Lisbona è diventataquella di Bruxelles e la Commis-sione è entrata a gamba tesa nel

progetto, rilanciando la nuovastrategia Europa 2020. Che cosaprevede questa nuova agenda so-cio-economica e quali sono i suoiobiettivi? Innanzitutto, il nuovopatto per far crescere l’Europa siridimensiona nella formulazionedei propri intenti. Scopo princi-pale è ora quello di raggiungereuna crescita “intelligente, soste-nuta e inclusiva” attraverso unmaggiore coordinamento dellepolitiche nazionali ed europee.Tra le altre cose, è prevista unacrescita di 6 punti (dal 69 al75%) del tasso di occupazione

tra le persone com-prese tra 20 e 64anni e il raggiun-gimento del targetdel 3% di investi-menti in ricerca esviluppo (stessoobiettivo, non rag-giunto, di Lisbo-

na). E non finisce qua. Il pattoprevede una riduzione del 20%delle emissioni CO2 rispetto al1990, un utilizzo delle rinnova-bili pari al 20% del consumo to-tale di energia e un 20% di cre-scita dell’efficienza energetica. Cisono infine due nuove priorità: lariduzione dal 15 al 10% del tas-so di abbandono scolastico tra igiovani e una diminuzione del25% del numero di persone sottola soglia minima di povertà.Europa 2020 è essenzialmenteuna proposta che è stata avanzatae resa possibile dalla Commissio-ne europea e, infine, accettata da-gli Stati. E ovviamente c’è giàchi vocifera che sarà un fallimen-to come è stata Lisbona. Tutta-

La strategia di Lisbonaera destinata a fare dell’Europa la più dinamica e competitiva economia del mondo

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via, il nuovo progetto dellaCommissione è anche un’occasio-ne d’oro per il rilancio dell’eco-nomia europea dopo una crisi de-vastante da cui il Vecchio Conti-nente sta appena cominciando aduscire. Soprattutto, è una grandeoccasione per quegli Stati mem-bri che si trovano in situazionieconomiche più fragili e faticanoa mettere in moto la ripresa. Ita-lia docet. Il Belpaese ha fatto pocoper rispettare i parametri fonda-mentali della strategia di Lisbo-na e ha molto da fare per rag-giungere quelli di Europa 2020.Oggi, è tra gli ul-timi in almeno 3dei 5 obiettivi pre-visti dall’accordo,ma presenta debo-lezze anche neglialtri due. Tutta-via, in questa fasedi grande cambia-mento politico in Italia, Europa2020 è una grande opportunità.E allora, vediamo punto per pun-to che cosa è stato fatto nel no-stro paese per stare al passo conla strategia di Lisbona nel decen-nio 2000-2010 e che cosa si do-vrebbe fare per raggiungere gliobiettivi di Europa 2020. La strategia Europa 2020 preve-de di portare il tasso di occupa-zione in Europa dal 69 al 75%.L’Isfol (Istituto per lo sviluppodella formazione professionaledei lavoratori) ha recentementepresentato un dossier in cui spiegache in Italia l’occupazione hacontinuato ad aumentare nei pri-mi dieci anni del 2000, raggiun-gendo nel 2008 il picco di 23

milioni 222 mila occupati, mas-simo storico dal 2002. Questo èstato possibile grazie a riformecome il pacchetto Treu e la leggeBiagi, varate tra la fine degli an-ni Novanta e l’inizio del 2000allo scopo di flessibilizzare ilmercato del lavoro. Tuttavia,stando ai dati dell’Istat, l’attualetasso di occupazione in Italia èfermo al 57,5%, ben 7 punti sot-to l’attuale media Ue e ben 17punti al di sotto di quello che sa-rebbe richiesto dalla strategiaEuropa 2020 fra 10 anni. Soprattutto, poco è stato fatto

per accompagnarela flessibilizzazio-ne del mercato dellavoro con riformestrutturali e am-mortizzatori so-ciali a tutela dellefasce più debolinel mercato del

lavoro (ad esempio i giovani). Èdifficile pretendere un mercatodel lavoro più flessibile, se il si-stema è ingessato da ordini, cor-porazioni e clientelismi, gli sti-pendi sono bassissimi e total-mente sproporzionati rispetto alcosto della vita in continuo au-mento ed è assente una politicacomplessiva degli ammortizzato-ri sociali. In un sistema bloccatocome quello italiano, una delleprime parole d’ordine dovrebbeessere “liberalizzazione”. L’obiet-tivo principe dovrebbe esserequello di mirare a una crescitadella produttività attraverso ri-forme strutturali come la dimi-nuzione del costo del lavoro, unamassiccia dose di liberalizzazioni

Nei prossimi dieci anni,l’Unione europea prevede di portare il tasso di occupazionedal 69 al 75%

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in settori che vanno dai trasportialle poste, innalzamento dellacompetizione (ad esempio nel si-stema bancario) e nuove misureper gli ammortizzatori sociali.Infine la politica dovrebbe occu-parsi del dato mostruoso delladisoccupazione giovanile. Secon-do un rapporto Istat del luglio2010, quasi il 30% dei giovanitra i 19 e i 24 anni in Italia èsenza lavoro. Il problema dell’aumento del-l’occupazione è legato a doppiofilo all’aumento degli investi-menti in ricerca e sviluppo. Co-me evidenziato dall’Oecd nel2010, il nostro paese è agli ulti-mi posti per investimenti in ri-cerca e innovazione. In questisettori spendiamo appena l’1,1%del Pil (corrispondente alla metàdella media dei paesi del G7),con una crescita talmente bassache nell’arco di un decennio nonha superato mezzo punto percen-tuale. Nella prima decade del2000 è stato fatto molto poco.Malgrado la retorica puntual-mente rispolverata da tutti glischieramenti soprattutto in pe-riodi pre-elettorali, la spesa inquesti settori non è mai cresciutae, al di là di qualche misura spar-sa volta ad incentivare investi-menti in ricerca e innovazionenel privato, è mancato un pianosistematico di incentivi fiscali oamministrativi alle aziende delBelpaese che rischiano in questosettore. Le imprese italiane, sem-pre secondo l’Ocse, contribuisco-no a uno scarso 43% degli inve-stimenti in ricerca e innovazione.Senza contare la situazione dram-

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FOCUS

Secondo i dati del novembre 2010, iltasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salito al 28,9%, il livello piùelevato dal gennaio del 2004, ovverodall'inizio delle serie storiche mensili.Lo ha comunicato l'Istat in base a datidestagionalizzati e a stime provvisorie.Il tasso di disoccupazione giovanile haquindi segnato un aumento di 0,9punti percentuali rispetto al mese pre-cedente e di 2,4 punti percentuali ri-spetto a novembre 2009.Il tasso di disoccupazione a novembrerimane sostanzialmente stabi leall'8,7%, lo stesso livello registrato aottobre, anche se fuori dagli arroton-damenti si nota un lievissimo calo(dall'8,729% all'8,678%). Anche inquesto caso si tratta del dato più altodal gennaio del 2004. In confronto anovembre 2009 il tasso di disoccupa-zione registra un aumento di 0,4 pun-ti percentuali. Più in particolare, il nu-mero delle persone in cerca di occu-pazione risulta in diminuzione dello0,4% (-9 mila unità) rispetto ad otto-bre e in aumento del 5,3% rispetto anovembre 2009 (+110 mila unità).Inoltre la disoccupazione maschile ri-sulta in diminuzione del 2,1% rispettoal mese precedente e in aumento del5,5% rispetto allo stesso mese del-l'anno precedente. Il numero di don-ne disoccupate aumenta dell'1,5% ri-spetto a ottobre e del 5% rispetto anovembre 2009.

Dato record per igiovani disoccupati

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matica in cui versa il compartopubblico della ricerca. Serve allo-ra innanzitutto una politica diincentivi alle imprese che inve-stono in ricerca. Inoltre, è neces-sario sfrondare l’università e laricerca pubblica italiana da logi-che baronali, clientelistiche e as-sistenzialistiche che sono le prin-cipali cause di sprechi e mancan-za di efficienza. La riforma Gel-mini tenta di fare qualcosa inquesto senso. Ma non è abbastan-za. E il fatto che l’unica universi-tà italiana a figurare tra le primeduecento università mondiali siauna privata, e cioèla Bocconi, devefar riflettere. An-che in questo casobisogna essere co-raggiosi. Innanzi-tutto, è giusto au-mentare i fondipubblici alla ricer-ca e stoppare i cosiddetti finan-ziamenti a pioggia. Le universitàdevono essere finanziate in base acriteri rigidi di giudizio sullapropria attività di ricerca (questiultimi due aspetti sono nella ri-forma Gelmini, ma bisogna ve-dere se e come verranno messi inpratica). Inoltre, bisogna avere ilcoraggio di avanzare proposteestreme. Una di queste, potrebbeessere l’innalzamento delle tasseuniversitarie, accompagnandolocon un sistema di prestiti statalisimile a quello che c’è in Inghil-terra. Secondo questo modello,gli studenti accedono a prestitiagevolati da parte dello Stato perpagarsi gli studi e cominciano aripagare questi prestiti a tassi su-

per-agevolati soltanto nel mo-mento in cui cominciano a lavo-rare guadagnando una cifra sta-bilita. Ovviamente gli aumentida soli non bastano e devono es-sere accompagnati da più spesanella ricerca e maggiore qualitàdell’insegnamento universitario. La politica ambientale italiana vameglio di altri settori, ma il fa-moso obiettivo 20/20/20 da rea-lizzare entro il 2020, (-20% diemissioni di gas effetto serra,+20% di risparmio energetico e+20% di consumo di fonti rin-novabili sul totale dell’energia

consumata), è an-co r a l on t ano .Stando ai dati del-l’Enea, il consumodi energia da rin-novabili è cresciu-to nel 2009 del16% arrivando acoprire un quinto

del consumo lordo complessivodi energia. Tuttavia, bisogna fareattenzione a mantenere il trendpositivo promuovendo politichedi incentivi alle aziende che in-vestono in rinnovabili. Semprestando all’Enea, passi avanti sonostati fatti nella riduzione diemissioni CO2 e nell’efficienzaenergetica. Le prime sono dimi-nuite del 6,9% tra il 2008 e il2009 soprattutto per effetto del-la crisi economica. Tuttavia, sononecessari interventi strutturalidel sistema energetico per man-tenere costante questa riduzione.In campo di efficienza energetica,qualcosa è stato fatto. Ad esem-pio, il governo ha realizzato unamisura che garantisce detrazioni

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Per ridurre le emissionidi CO2 e incentivarel’efficienza energeticasono necessari interventi strutturali

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del 55% per imprese e soggettiprivati che attuino interventi diriqualificazione energetica degliedifici (tra l’altro la norma è stataprorogata al 31 dicembre 2011).Misura sacrosanta cui dovrebberoseguirne altre nello stesso senso. Per realizzare l’obiettivo del20/20/20 serve moltissimo lavo-ro e, anziché puntare ad assurderichieste di ridimensionamentodegli obiettivi europei, come hafatto il governo italiano nel2008, bisogna rimboccarsi lemaniche. Recentemente, unostudio dedicato alla green econo-my e al risparmioenergetico realiz-zato da Confindu-stria in collabora-zione con l’univer-sità Bicocca diMilano ha spiega-to come gli obiet-tivi 20/20/20 po-trebbero diventare una grandeoccasione di stimolo per il Siste-ma-paese. Lo sviluppo di una gre-en economy potrebbe portare postidi lavoro e aumento della pro-duttività a costo zero. Per quanto riguarda il tasso diabbandono scolastico, secondouno studio di Bankitalia il nostropaese ha un’incidenza dell’abban-dono scolastico precoce tra le piùelevate d’Europa. Una cifra cheriguarda il 20% dei giovani tra i18 e i 24 anni e che pone il no-stro Paese ben 5 punti al di sopradella media Ue e 10 punti al disopra dell’obiettivo del 10% en-tro il 2020. I dati diventano an-cora più preoccupanti se, fuoridalla media nazionale, si fa riferi-

mento solo al sud Italia: in Cam-pania, Sicilia, Calabria e Pugliala percentuale sale al 25%, vale adire che un ragazzo su quattroabbandona la scuola dopo la li-cenza di terza media. Incentivarela scolarizzazione e fermare il fe-nomeno dell’abbandono scolasti-co devono essere obiettivi priori-tari di una nuova azione politicain cui cultura e istruzione gioca-no un ruolo determinante. Unesempio per tutti. È fondamenta-le avvicinare di più il mondodell’istruzione e dell’università aquello del lavoro. Una delle stra-

tegie per contra-stare l’abbandonoscolastico è far ca-pire a chi viene darealtà sociali piùfragili che studiares e rv e anco r a aqualcosa nel nostropaese e che si stu-

dia anche perché si acquisisconodelle capacità che poi verrannosfruttate e valorizzate nel mondodel lavoro. Insomma, più profes-sionalizzazione della formazionescolastica e universitaria. E di-plomi e lauree che tornino a esse-re effettive qualifiche per il mon-do del lavoro, e non semplicipezzi di carta.Il problema della povertà è lega-to a molti dei temi che sono giàstati affrontati. Affrontare e ri-solvere gran parte dei nodi chefanno parte della strategia di Eu-ropa 2020 dovrebbe automatica-mente incidere sui livelli di po-vertà nel nostro paese. Come sot-tolineato dai dati Istat su povertàassoluta e relativa e dal rapporto

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L’Italia ha bisogno di una rivoluzione liberale per raggiungere gli obiettivi comunitari del prossimo decennio

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Caritas-Zancan sulla povertà, inItalia ci sono più di 8 milioni diindividui che vivono sotto la so-glia della povertà un dato che ècresciuto nel tempo e che è pro-babilmente destinato a crescereanche in futuro. L’attuale situa-zione economica nel nostro paesee la crisi globale hanno contri-buito ad aumentare i fenomenidi povertà relativa di molte fami-glie che prima appartenevano alceto medio e adesso scivolano pe-ricolosamente verso condizionieconomiche e sociali particolar-mente disagiate. Insomma, quello che serve al-l’Italia è una rivoluzione liberaleall’insegna delle proposte di Eu-ropa 2020. Una rivoluzione cheparta dalle liberalizzazioni, passiattraverso un aumento degli in-vestimenti in ricerca e innovazio-ne (sia del settore privato chepubblico) e guardi all’ambiente ealla formazione come obiettiviprimari. Serve insomma un paesepiù dinamico che chiuda i conticon certi provincialismi ideologi-ci e anacronismi strutturali e siproietti verso l’Europa. Basta ba-roni, corporazioni, sindacati, ca-pipopolo dell’ultima ora che di-cono no a tutto o sì solo a quelloche li interessa personalmente.Basta lamentazioni su quantopotremmo essere bravi e quantonon riusciamo a esserlo. Occorrepassare all’azione e risollevarequesto paese rendendolo più eu-ropeo. Poche settimane fa, in unconvegno tenutosi all’Universitàlibera di Bruxelles sul tema elo-quente “La transizione italianaverso il quadro europeo”, uno

studioso tedesco commentava co-si la situazione italiana: «L’osses-sione di molti Italiani che ci siaun “anomalia italiana” rischia didiventare un alibi per l’immobi-lismo della Penisola». I mantra,si sa, sono formule che si ripeto-no molte volte allo scopo di otte-nere un effetto desiderato. Tutta-via, quando si ottiene ciò che sidesidera, cessano di avere senso.Approssimandosi la fine della Se-conda Repubblica, non sarà forseil caso di abolirli?

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ITALIA 2020Alessandro Mulieri

ALEssAndro MuLiEri

Ha conseguito un master in Studi europei e

politica comparata alla London School of

Economics. Sta lavorando come assistente

di ricerca e dottorando all’Università di Lova-

nio nell’ambito di un progetto di ricerca multi.

Ha lavorato per 4 anni a Roma come giorna-

lista presso l’agenzia di stampa Dire. Si oc-

cupa di affari europei per i l portale

www.glieuros.eu.

L’Autore

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DI MARIO CIAMPI

Nonostante le innegabili difficoltà, il nucleo familiare è un soggetto forte e non va salvaguardato come una specie

in via di estinzione. Bisogna superare l’approccio assistenazialista e rilanciare il ruolo sociale del luogo principe del patto tra generazioni.

Facciamo rinascere la famiglia italiana

ITALIA 2020Mario Ciampi

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La famiglia, in tutte le societàumane, ha la finalità di andareoltre il presente. È un ponte trapassato e futuro, è il luogo prin-cipe del patto tra generazioni.Per giunta, in Italia ancora oggila famiglia ha un ruolo centralenell’identità, nel costume e nel-la cultura popolare. Eppure, aldi là della retorica dei riconosci-menti formali, alla famiglia ilnostro paese non ha mai dedica-to una strategia mirata e defini-tiva. Quello che si è fatto, sem-mai, è promuovere una politicasociale, di solidarietà momenta-nea e puntuale, e non una poli-tica familiare. La famiglia per-tanto è stata sempre vista comeun soggetto debole, bisognosa

di aiuti e sovvenzioni. Ne è con-seguito che gli interventi a fa-vore della famiglia nel nostropaese si sono sempre caratteriz-zati per un approccio assisten-zialista. Inevitabilmente, si èdelineata un’immagine della fa-miglia quale specie in via diestinzione, meritevole di esseresalvaguardata.Ma la famiglia non è un sogget-to debole, casomai è un sogget-to indebolito da un sistema chenon la agevola e che la penaliz-za, soprattutto sul piano fiscale.Essa rappresenta una risorsa perla società e per lo Stato. Nonsempre produce una “ricchezza”direttamente in termini mone-tari, anche se non si può esclu-

Tra società ed economia

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dere l’impatto che ha sui consu-mi, l’impiego di forza-lavoro alsuo interno, l’attività di assi-stenza spesso svolta in via sussi-diaria. È innegabile che la fami-glia quale corpo intermedio traindividuo e società assorbe inprima battuta tutti i problemieconomici e sociali dei membriche la compongono, svolgendoun ruolo sussidiario rispetto al-lo Stato e sgravando la colletti-vità di molti oneri assistenziali. La si può considerare una socie-tà naturalmente predisposta alservizio della persona umana: inquesto senso, de-ve essere conside-rata un soggettonon solo socialema pure econo-m i c o , a v e ndotratti distintividel tutto analo-ghi a quelli diun’impresa. Certo, si tratta diun’impresa sui generis perché,oltre ad operare nel settore deiservizi alla persona in generale,è mossa da un intento di reci-procità e gratuità e non di cor-rispettività1. La famiglia, comel’azienda, produce un capitale,che è innanzitutto un capitalesociale. È nella famiglia, infatti,in questo luogo di socializzazio-ne primaria, che le persone ac-quisiscono e praticano quellerelazioni sociali incentrate sullafiducia reciproca e sulla coope-razione. È qui che il singoloscopre le ragioni dell’interdi-pendenza tra persone, è qui checomprende indirettamente leragioni del vivere comune, della

comunità di destino. Le relazio-ni che nascono nella famiglia, sevi sono condizioni minime difunzionamento, si ripercuotonopositivamente sulla società civi-le determinando ottimismo e fi-ducia. La famiglia pertanto nonsolo consuma, ma investe natu-ralmente in beni relazionali ov-vero in rapporti che abituano lepersone a relazionarsi agli altriin un atteggiamento di collabo-razione.Tuttavia, queste evidenze non sitraducono in una legislazione,anche fiscale, che riconosca alla

famiglia una pro-pria soggettivitàtributaria, al paridi tutte le altreformazioni sociali,che siano profit ono profit. Il siste-ma di tassazioneinfatti guarda ai

singoli individui quali soggettid’imposta: l’appartenenza a unnucleo familiare è fiscalmenterilevante soltanto in modo indi-retto, attraverso deduzioni e de-trazioni che non tengono contodei reali bisogni di una fami-glia. Talvolta si arriva al puntodi scegliere la convivenza moreuxorio o perfino di simulare laseparazione per ottenere alcunivantaggi economici immediati:si pensi ai criteri di formazionedi alcune graduatorie pubblicheche di fatto sembrano quasi pri-vilegiare i nuclei monogenito-riali. È paradossale pensarloquando in America si stannoponendo il problema inverso.Lo chiamano marriage gap: si

La famiglia non è soloun soggetto sociale ma economico, avendotratti distintivi analoghia quelli di un’impresa

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tratta della disuguaglianza cre-scente tra sposati e non sposatia vantaggio dei primi sui secon-di. Il matrimonio, al di làdell’Atlantico, sarebbe uno deiprincipali fattori di benesseresociale ed economico2. In Italiaspesso è visto, al contrario, co-me una scelta difficile e comun-que da dilazionare nel tempo.Oltre alle ragioni economiche emateriali finora analizzate, esi-stono delle ragioni culturali chehanno determinato una “disaffe-zione” verso la famiglia e unageneralizzata paura di procrearedovuta soprattutto alla carenzadi speranza nel futuro. È la crisidi un paese in deficit di futuroche si va cronicizzando a causadi una carenza patologica di vi-sione di lungo termine nelleclassi dirigenti del paese. Come si evince dall'ultimoRapporto Cisf sulla famiglia, inItalia il 53,4% delle famiglienon ha figli. Ne consegue unforte invecchiamento della po-polazione tale da compromette-re il cosiddetto “rimpiazzo ge-nerazionale”: è quello che Du-mont, parlando dell’Europa, hadefinito l’“inverno demografi-co”. Le ripercussioni di questodeclino demografico, al mo-mento poco evidenti, si hannosul piano sociale e sul pianoprevidenziale. Sul piano socialeper il fatto che sarà sempre piùscarsa la rete di solidarietà in-tergenerazionale costituita dal-la famiglia, con una ricadutasullo Stato delle necessità dicura e di assistenza degli anzia-ni e dei disabili, oggi per la

ITALIA 2020Mario Ciampi

IL LIBRO

Lessico familiare

Vita affettiva in famigliaBruna Grasselli, Patrizia CiccaniCittadella Editoreeuro 12,00

Questo volume si propone di rap-presentare le relazioni affettive nelcontesto familiare per avvicinarealla comprensione di questo domi-nio complesso e generativo diesperienza emotiva e sociale, con ilcontributo del linguaggio narrativo,di storie, di reti simboliche. Conspecifico riferimento alla ricerca eagli studi di Ferdinando Montuschisullo sviluppo della competenza af-fettiva vengono proposti i diversiluoghi e modi di interazione, di co-municazione, di sviluppo di benes-sere, di creatività generativa, di in-timità. L'intento delle autrici è dia-logare con i genitori e gli educatorisull'intreccio di sentimenti per indi-viduare altre variabili di riflessionesui desideri, gli affetti, i conflitti, lerisorse che il vivere insieme genera,sollecita, possiede.

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maggior parte a carico delle fa-miglie. Sul piano previdenziale,invece, sarà sempre più difficilee oneroso un trattamento pen-sionistico ai giovani lavoratoridi oggi e di domani, in man-canza di un significativo cam-bio generazionale.Il dato che più di tutti dovreb-be far riflettere la politica è cheancora oggi il numero dei figligenerati è inferiore a quello deifigli desiderati3. Le ragioni diquesto sono sicuramente molte-plici e meritano una riflessioneattenta. Spesso i figli sono visticome un costo ed è innegabileche allevare un figlio e garanti-re il suo sviluppo come personacomporti dei sacrifici, anche dinatura economica. Tuttavia, ifigli non sono una merce e an-cor meno un bene di consumo.Costituiscono sicuramente unbene, in quanto esprimono ildesiderio di una nuova vita earricchiscono la famiglia di beniimmateriali che si riversano an-che sulla comunità. Per questomotivo, come sottolinea l’eco-nomista Campiglio, i figli ap-portano un beneficio sociale,anzi sono essi stessi un bene co-mune, della coppia che li gene-ra e della collettività che li ac-coglie. Tuttavia, se è vero che ladecisione di avere dei figli rien-tra nella sfera più intima di unacoppia, lo stesso non si può diredella natalità. Questo aspettonon può essere riportato e circo-scritto alla dimensione privataperché ha una rilevanza pubbli-ca. Per questo motivo, è semprepiù necessario un welfare che

guardi alla famiglia come sog-getto unico e che garantisca lerelazioni familiari in quanto be-ne di interesse generale. Un altro aspetto problematicoè la carenza di servizi alla fa-miglia. Anche qui l’intentodovrebbe essere quello di con-sentire alla famiglia di essereveramente un soggetto forte edi rappresentare una risorsa perla società, perseguendo piùagevolmente i suoi obiettivisenza snaturarsi. Non è soltan-to un problema di quantità deiservizi, comunque non suffi-ciente, ma anche di qualità eprovenienza. Si tratta di ripen-sare una rete di “servizi perso-nalizzati”, aperta ai privati e alterzo settore, e caratterizzatada professionalità e competen-ze: è impensabile che si sia co-stretti ad affidare i figli e glianziani a personale il più dellevolte privo della professionalitàadeguata. Altra grande questione che an-drebbe seriamente consideratariguarda le misure di concilia-zione lavoro-famiglia. La per-centuale di donne italiane occu-pate è bassa, le retribuzioni so-no minori rispetto a quelle de-gli uomini e molto spesso han-no lavori precari o comunqueposizioni vulnerabili. Ma il da-to veramente preoccupante è illivello di inattività delle donne(che include anche quelle chehanno rinunciato a cercare lavo-ro) che è del 63,7%. Oltretutto,il tema dell’occupazione femmi-nile è strettamente legato aquello della natalità: dove la

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donna dispone di un lavoro e diuno stipendio proprio, si rap-porta alla maternità in manierapiù serena, responsabile e gene-rosa. Una conferma ci arrivadall’esperienza francese dove su10 donne 6 sono occupate e iltasso di fecondità è di due figliper donna. Anche in Italia urgequindi un sistema di interventiche incentivi quello che Mauri-zio Ferrera ha definito il “veromotore” dell’economia mondia-le: l’occupazione femminile4. Laprospettiva deve essere quella diun nuovo sistema che preveda,oltre agli sgravi per chi assumeuna donna, la riduzione dei co-sti della maternità per le azien-de. Anche su questo aspetto bi-sogna avere il coraggio di intra-prendere una prospettiva nuova,ricollegata a quel sistema rela-zionale che è la famiglia. Sitratterà di pensare a delle solu-zioni per la “madre che lavora”e non più per la “lavoratricemadre”: una maggiore flessibi-lità nell’orario di lavoro, conuna gestione autonoma deitempi di lavoro; un sensibileaumento dei servizi alla primainfanzia; la costruzione di nuoviasili nido; l’ampliamento delladiffusione del part-time. In definitiva, l’Italia ha bisognodi una vera politica per la fami-glia, che non si riduce a provve-dimenti di tipo fiscale, peraltroannunciati e poi sistematica-mente rinviati. Il suo futuro di-pende molto da questo, da quiripartirà la sua speranza e il suorilancio.

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ITALIA 2020Mario Ciampi

Mario CiaMpi

Direttore della fondazione Farefuturo e presi-

dente di Farefuturo editore. è docente di Sto-

ria delle istituzioni politiche all’Università “G.

Marconi” di Roma. Ha ricoperto l’incarico di

coordinatore della Scuola di formazione poli-

tica di Alleanza Nazionale.

L’Autore

Note

1 Cfr. Bruni – Zamagni, Economia civi-le, Bologna 2004.

2 Cfr. Marco Faraci, ‘Marriage gap’.Una nuova divisione “di classe”?, inwww.libertiamo.it, 5 ottobre 2010.

3 Questo dato è stato confermatodall’ultimo rapporto Cisf sulla fami-glia, ma nel 2003 era stato già evi-denziato da un’indagine Cnel-Istat.

4 Il Fattore “D”. Perché il lavoro delledonne farà crescere l’Italia, Milano2008.

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DI ENRICO CANCILA

La crisi economica deve essere un momento per ripensare i rapportifra capitalismo e società e per giungere

ad una sostenibilità dello sviluppo. Francia e Gran Bretagna lo hanno capito, l’Italia nonancora. Ma c’è ancora tempo per rimediare e sfruttare appieno le nostre potenzialità.

GREEN ECONOMY, UNA SFIDA DA VINCERE

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L’Italia che guarda al futuro è unpaese che, imparando dagli erroriche la storia le ha insegnato, vuo-le concedersi una seconda possi-bilità di ragionare sullo sviluppodel proprio territorio e sul suoruolo nei nuovi equilibri geopoli-tici che la globalizzazione sta im-ponendo. Seconda possibilità che significapensare a un modello di svilupporadicalmente nuovo che dialoghicon l’ambiente valorizzando lepeculiarità del nostro paese insitesia nella bellezza del nostro terri-torio che nelle tipicità ed unicitàdel made in Italy. Potenzialità ri-conosciute, peraltro, da tutti eche il mondo ci ammira. Salva-guardia e sicurezza del territorio,efficienza nell’utilizzo delle risor-se, prodotti e servizi maggior-mente ecosostenibili, fonti ener-

getiche rinnovabili sono alcunedelle principali sfide che si devo-no incrociare con il percorso dicrescita economica del nostropaese per porre le basi per unasostenibilità dello sviluppo. So-stenibilità dello sviluppo che,nella nostra visione, deve rinun-ciare all’ideologica utopia am-bientalista che ha creato vincoli,ma che porti ad un patto perl’ambiente che crei opportunità.Per giungere ad un risultato cosìambizioso non si può però pre-scindere dalla condivisone dellescelte, come ben illustra JeremyRifkin nelle pagine finali del suolibro La civiltà dell’empatia: “A uncerto punto ci renderemo contoche condividiamo lo stesso piane-ta, che siamo tutti coinvolti e chele sofferenze dei nostri vicini nonsono diverse dalle nostre. Allora

ITALIA 2020Enrico Cancila

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recriminazioni e rivendicazioninon serviranno a risolvere l’enor-mità della crisi (energetica edambientale ndr). Solo un’azioneconcertata che stabilisca un sensocollettivo di affiliazione con l’in-tera biosfera potrà assicurarci unfuturo. Ma per questo ci serviràuna coscienza biosferica”. Traducendo questa visione in unaguida “passo dopo passo” è evi-dente il significato di cercare unpercorso partecipato e condivisi-bile di scelte che responsabilizzi-no e rendano consapevoli le per-sone ed i territori. Per raggiun-gere un alto gradodi sostenibilità ènecessaria, dun-que, una chiarastrategia, una pia-nificazione pun-tuale di area vastaed un processo at-tento di partecipa-zione e consapevolezza. Azioniintraprese senza essere incornicia-te in una regia accurata non pos-sono, inevitabilmente, crearequell’empatia, per utilizzare untermine di Rifkin, necessaria acreare un moltiplicatore, un ef-fetto sistema, verso il comuneobiettivo della sostenibilità dellosviluppo. Una seconda possibilità per l’Ita-lia significa, quindi, la ricerca diun clima di dialogo e di una rin-novata capacità di programma-zione sistemica. Significa dotarel’Italia di soluzioni applicabilichiare e condivise che riescano adare risposte concrete e quantifi-cabili che possano identificare leidee che portino il migliore ri-

sultato ambientale di prospettivacomparato al nostro sistema pro-duttivo ed al nostro territorio.D’altro canto la crisi economicaglobale deve essere un momentoper ripensare i rapporti fra capi-talismo e società e per giungeread una sostenibilità dello svilup-po. A livello europeo quandoSarkozy parla di “andare oltre ilPil” e quando Cameron parla di“economia della felicità”, pongo-no l’accento su un ragionamentodi questo tipo ponendo le basiper una revisione dei rapporti fraeconomia, ambiente ed equità

sociale. In questocontesto l’ambien-te non può che es-sere considerato untassello fondamen-tale per ristabilireun corretto rappor-to fra uomo e na-tura e per giungere

ad un livello elevato di benesseresociale, di qualità della vita.Questo corretto rapporto è anchela via delineata dalla civiltà del-l’empatia, via che deve coprireessenzialmente due sfere di in-fluenza: il nostro rapporto con ilterritorio, la nostra capacità di“fare” green economy.

Ambiente e territorio Italia è sinonimo di turismo e diprodotti tipici locali, ma, non sipuò certo dire che la relazionecon il nostro territorio sia statauna perfetta simbiosi. Da un latouna gestione dell’ambiente, co-me nel caso della produzione deirifiuti, non sempre esemplare econ il, sempre presente, rischio

Nonostante turismo e prodotti tipici locali, la relazione con il territorio non è statauna perfetta simbiosi

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FOCUS

Quando la mafiainquina l’ambiente

Il fenomeno delle “ecomafie” costi-tuisce un paradigma della strategiadella moderna criminalità organizza-ta e la presenza delle organizzazionicriminali non si manifesta più unica-mente attraverso il compimento didelitti di sangue: i delitti “strutturali”di queste organizzazioni sono oggiquelli, silenziosi, della penetrazionenell’economia e nel mercato. La ma-fia si inserisce in qualsiasi traffico, le-cito o illecito, purché sia redditizio econsenta di investire il danaro gua-dagnato illegalmente. Quest’opera diinserimento nel mercato ha trovatoin alcuni settori economici di rilevan-te ricaduta ambientale, come il ciclodei rifiuti e l’attività edilizia, un terre-no fertile. Le mafie hanno saputo ap-profittare della carenza nel nostroordinamento di norme incriminatrici,della eccessiva mitezza di alcune del-le sanzioni penali in materia di tuteladell’ambiente, e delle difficoltà dicontrollo da parte di regioni ed entilocali. Come per il delitto d’associa-zione per delinquere, anche inquest’ambito ci troviamo di frontead una situazione di legalità variabi-le, che consente lo spostamento del-le sostanze inquinanti e delle conse-guenti attività criminali verso i paesiprivi di disciplina sanzionatoria omuniti di una disciplina più permissi-va rispetto a quella d’altri paesi.

ITALIA 2020Enrico Cancila

di “ecomafia”, dall’altro, un ter-ritorio fragile, contraddistinto daun elevato rischio idrogeologicoe da una conseguente, e triste-mente nota, franosità che, annodopo anno, si manifesta puntual-mente con eventi drammatici. In questo senso la nostra “storia”merita una lettura attenta perchéla ricetta dell’ Italia del futurodeve radicalmente cambiare alcu-ni meccanismi, sia economici chepolitici, che palesemente nonfunzionano. Per esempio, nessuno ha mai fat-to i calcoli delle perdite econo-miche, in termini di minor turi-smo, o minore vendita di prodot-ti tipici, quando si manifesta unproblema ambientale serio comenel napoletano. Sicuramentel’impatto economico risulta didimensioni rilevanti. L’ambienteha, dunque, un valore economicofondamentale che può essere rile-vato, purtroppo con maggior evi-denza solo quando si manifestauna situazione di reale emergen-za. Allora, mettere in sicurezza ilterritorio, preservare la biodiver-sità, è un “costo” oppure è un“costo evitato”?Se questo costo potesse essere pa-gato attraverso i fondi prove-nienti dalla lotta alle ecomafiepiuttosto che da imposte atte al-lo scopo (come per esempio latassa per entrare con il propriomezzo in alcune città europee,Milano inclusa) si creerebbe unottimo legame con il doverosoprincipio “chi inquina paga”, di-mostrando che l’ambiente non èun costo ma semplicemente uninvestimento.

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Se l’aspetto legato all’economia èda rivedere anche quello politiconecessita un ripensamento. Rifor-mare lo Stato per costruire catenedi governo dell’ambiente più cor-te (eliminando le provincie peresempio) vorrebbe dire, infatti,maggior controllo sulla catenadelle responsabilità e minori vin-coli burocratici. Questi dueaspetti sono elementi di elevatacriticità nel governo dell’ambien-te e non possono essere risolti consemplicità e senza doverose rifles-sioni proprio nel momento in cuisi parla di riforma federale dellostato italiano. Entrambe le ri-flessioni sono soloesempi da cavalca-re per una “secon-da vita” del nostropaese che riduca icasi di mala ge-stione del territo-rio, anche creando opportunità disviluppo mirate. Opportunitàche possono essere viste solamen-te se ragioniamo proiettandociverso il futuro e non rimanendoalla politica della gestione delpresente. Salvaguardia della bio-diversità, riqualificazione indu-striale, sostenibilità dei centri ur-bani, tutela e valorizzazione dellearee rurali sono tutti temi chepossono creare occupazione eprogettualità se non vengono vi-sti come “costi” ma come inve-stimenti. Investimenti che sono fondamen-tali per costruire una visione delfuturo che porti i nostri figli agodere di un’Italia migliore diquella che viviamo noi oggi.

Ambiente fra mercato e territorioIl mondo produttivo si sta muo-vendo a grandi passi verso mer-cato sempre più eco efficienti e ladomanda di prodotti, servizi etecnologie “verdi” sta aumentan-do con ritmi mai visti sino adora. È chiaro che la capacità didare risposte a queste nuove nic-chie di mercato passa da ragiona-menti che includono l’intero si-stema economico: dalla fase di ri-cerca ed innovazione sino alla fa-se di proposta, di vendita ed in-gresso nel mercato di riferimen-to. L’economia verde pervade

tutti i settori pro-duttivi: dalla pro-duzione di tecno-logie più verdi allavendita di prodottiecocompatibili si-no alla corretta ge-stione di determi-nati aspetti del-

l’ambiente come i rifiuti e l’ener-gia. In un contesto così ampioabbiamo la fortuna di avere giàrisorse ed aziende all’avanguardiache dobbiamo incentivare mad’altronde abbiamo anche l’esi-genza di creare un sistema: interefiliere che possano affrontare lasfida, sia nel mercato interno, siaesportando i nostri prodotti diavanguardia ambientale all’este-ro. Pensiamo quindi ad azioni dimiglioramento complessivodell’economia ambientale. Riu-nire in un’unica visione strategi-ca l’efficacia delle leggi ambien-tali, i temi dell’eco innovazione edella ricerca, dell’ecodesign, del-la fiscalità e premialità verde,dell’efficienza dei mercati dei ri-

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Tutela delle aree rurali,sostenibilità dei centriurbani, biodiversità:ecco come creare occupazione e sviluppo

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fiuti, della qualificazione am-bientale dei prodotti italiani, delrisparmio energetico è la sfidache dobbiamo cogliere. L’Econo-mia verde ci pone davanti ad unbivio: o procediamo e operiamodelle scelte credibili, trasparentie condivise che portino sia l’inte-resse economico che quello del-l’ambiente oppure rimaniamonell’Italia della burocrazia, del-l’incertezza dell’interpretazionenormativa e del risultato presun-to. Una visione strategica di si-stema nuova sulla green econo-my può voler dire sostenere nuo-vi settori e nuove filiere produt-tive anziché fondarsi esclusiva-mente sui tradizionali settoritrainanti come anche altri paesieuropei hanno fatto (basti pensa-re agli investimenti della Germa-nia nella filiera del fotovoltaico).Dobbiamo con coraggio coglierela sfida senza preclusioni ragio-nando collegialmente con le tan-te forze e risorse che già nel paeseoperano portando innovazione edidee importanti. L’importante èche scelta una strategia questavenga portata avanti con convin-zione e con continuità. Convin-zione e continuità che sono, fral’altro, elementi fondamentaliper attirare l’interesse di impren-ditori e di capitali stranieri.

Brevi riflessioni Da queste brevi riflessioni emergeuna visione in cui l’ambiente èimprescindibilmente collegato adun sistema di riforme importantiche, di fatto, sono da più parti au-spicate su molti versanti: dalla fi-scalità alla giustizia. Giungere ad

un’Italia del futuro richiede il co-raggio del cambiamento nel siste-ma del governo del territorio, nel-la definizione di fondi importantianche derivanti dal principio “chiinquina paga”, nell’incentivare ri-cerca ed innovazione industrialeper prodotti basati sull’ecodesignin un paese caratterizzato da pic-cole e medie imprese, nell’investi-re in filiere nuove in particolarenel campo dell’energia e del ri-sparmio energetico.Tanti sono gli elementi sui qualiindicare una via attrattiva e coesaal paese che possa essere anche unviatico per ricomporre ed attrarrei giovani e le forze vive a ragiona-re insieme sul nostro futuro, an-che perché l’ambiente non è cheil futuro dei nostri giovani.Inoltre se non ci fermiamo alpresentismo e ad un ancoramen-to totale al paradigma economi-co nato nel dopoguerra ma scru-tiamo l’orizzonte potremmo in-travedere in questi cambiamentianche interessanti risvolti eco-nomici e di posizionamento delnostro paese in un equilibriogeopolitico in continuo muta-mento.

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ITALIA 2020Enrico Cancila

enrico cancila

Responsabile delle politiche ambientali della

fondazione Farefuturo. Economista esperto

di gestione dell’ambiente, coordina progetti di

rilevanza nazionale ed europea sui temi con-

nessi allo sviluppo sostenibile.

L’Autore

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DI GIOVANNI BOGGERO

Ancora una volta la Germania ha dimostrato di saper reagire alla crisi globale meglio degli altri

paesi occidentali. Merito di un’economia solida e di un’azione di governo che, nonostante alcune perplessità, si è mostrataall’altezza della sfida da affrontare.

Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa

ITALIA 2020Giovanni Boggero

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Non c’è pace per Angela Merkel.Prima le turbolenze scatenate dal-la crisi finanziaria e le stampelleper il sistema bancario tedesco;poi il lento ed inesorabile tracollodei bilanci pubblici con l’indige-sto bailout degli Stati periferici.L’era-Merkel passerà alla storiaper la gestione delle emergenze,una gestione non sempre impec-cabile, costellata da dubbi ed in-certezze, che nell’ultimo anno emezzo hanno avvolto la Repub-blica federale in un turbinio dicritiche da parte dei vicini più so-spettosi, sempre pronti ad agitarelo spettro del Lebensraum (lo “spa-zio vitale”, di memoria nazional-socialista), ogniqualvolta la Ger-mania abbia osato chiarire di non

voler metter mano al portafoglioper errori commessi da altri paesi.Diffidenza e rancore si mescolanoinsomma come ai tempi della riu-nificazione, quando ai leader euro-pei, da Andreotti alla Thatcher, siparò innanzi l’incubo di una nuo-va espansione tedesca.Eppure, lontano dai corridoi diBruxelles, dove la signora Merkelè nota con il soprannome di Ma-dame Non, il cancelliere tedesconon è poi molto più popolare. ABerlino molti esponenti dellanuova coalizione democristiano-liberale le rimproverano esatta-mente l’opposto. Di aver cedutoalle sirene francesi, che fin dal-l’inizio della trattativa sul nuovoPatto di stabilità spingevano per

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una clausola di salvataggio ampiae generosa. In particolar modo,l’Fdp del ministro degli EsteriWesterwelle ha avanzato nume-rose critiche al modus operandi delcancelliere. Segno che l’ostentatoattendismo della signora Merkel,mascherato da misurata pondera-zione dei fatti comincia ad infa-stidire anche coloro i quali avreb-bero dovuto esserne gli alleati piùstretti. I liberali hanno spinto fi-no all’ultimo per l’inserimentonei Trattati di un meccanismo diristrutturazione del debito ingrado di coinvolgere parzialmen-te anche gli obbli-gazionisti privati,banche in testa. Ilrischio non puòessere eliminatoope legis, spiegava-no alcuni parla-mentari dell’Fdp,illustrando la pro-posta elaborata dal celebre econo-mista Hans-Werner Sinn perl’Istituto di ricerca economica diMonaco (Ifo). Chi investe i propriquattrini in titoli di Stato devesapere che potrà perderli, in par-ticolar modo se sceglie bond grecio irlandesi. La concorrenza tra ti-toli di Stato non può essere svilitané da un fondo comune elefantia-co, che garantisca a tutti i costi lasolvibilità degli Stati membri, néda eurobond che annullino gli spre-ad favorevoli alla Germania, néinfine da una monetizzazione deldebito da parte della Bce, cheavrebbe l’effetto di aumentare irischi di inflazione. D’altro canto,al vertice di metà dicembre ilconsenso per il fondo si è trovato

ed ora, da strumento temporaneo,diverrà permanente dal 2013. Ladizione della nuova norma saràstringente e restrittiva, ha pro-messo il cancelliere, in vista diun’approvazione in sede parla-mentare che si preannuncia nonpriva di ostacoli.In realtà, ancora una volta la si-gnora Merkel è dovuta scendere apiù miti consigli dopo le pressio-ni dell’Eliseo e del primo mini-stro lussemburghese Juncker.Dopo l’accantonamento dellesanzioni automatiche, anche ilprogetto di ristrutturazione del

debito con “clauso-le di azione collet-tiva” sarà destinatoad un’applicazionemeramente even-tuale, stando allanuova lettera delTrattato. Tutto si èinsomma svolto

non molto diversamente da quan-to accadde due anni fa, quando inpiena crisi finanziaria il cancellie-re scandì: «Il benessere ha biso-gno di crescita e la crescita di li-bertà, all’uopo anche quella difallire». Ricordiamo tutti comeandò a finire. Di concerto conl’allora ministro delle Finanze so-cialdemocratico Peer Steinbrücke sotto dettatura del Ceo di Deut-sche Bank Joseph Ackermann, ilcancelliere varò il più grande pa-racadute finanziario che fosse maistato lanciato in sessant’anni divita della Repubblica federale.Non molto diverso per le taschedel contribuente tedesco è statol’esito della crisi greca. Dopo unlungo tergiversare che aveva reso

I liberali dell’Fdp hannoavanzato numerose critiche al modus operandi del cancellieresui temi economici

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l’aria tra Berlino e Atene insop-portabilmente pesante, la signoraMerkel diede l’abbrivio ad unpacchetto di aiuti e garanzie, sul-la cui costituzionalità la Corte co-stituzionale di Karlsruhe deveancora pronunciarsi in manieradefinitiva. E si badi, quello tedesco non è so-lo orgoglio nazionalista per unmodello economico che, pur pie-no di difetti e storture, mostra difunzionare, ma è vera e propriacultura del pareggio di bilanciodi stampo minghettiano, per ri-manere agli illustri epigoni di ca-sa nostra. Nono-stante la Germaniaabbia una spesapubblica strabor-dante e un alto de-bito pubblico intermini assoluti, ilpaese macina svi-luppo. E nel 2010l’ha fatto a ritmi da record: conuna crescita economica al 3,6%,per buona parte trainata dall’ex-port, è il miglior dato dal 1990. Non per questo, però, l’esecutivoha giudicato opportuno lasciareche il deficit lievitasse. E ciò ancheper ottemperare alla nuova normacostituzionale che impone un bi-lancio federale in pari entro il2016. Quest’anno i nuovi debititoccheranno la vetta dei 50 mi-liardi di euro; un dato positivo seraffrontato alle previsioni estivedel ministero delle Finanze, ne-gativo se si considera che si trattadi uno dei livelli di indebitamen-to più elevati dai tempi della riu-nificazione. Di qui l’approvazio-ne, nel novembre scorso, di una

nutrita serie di misure volte astringere i cordoni della borsa e aprodurre nuovo gettito da qui fi-no al 2014. Al di là delle nuoveimposte sulle compagnie aeree,sulle società energetiche e all’au-mento della tassa sul tabacco,quasi quattro milioni di eurol’anno verranno risparmiati eli-minando il sussidio parentale perchi guadagna più di 250.000 eu-ro se single o 500.000 euro se co-niugato. Sussidio parentale cheverrà meno anche per i percettoridi Hartz IV, prestazione frutto diun accorpamento ideato dall’ex

gabinetto di Ger-hard Schröder ederogata ai disoccu-pati di lungo pe-riodo, nonché ailavoratori con en-trate molto basse.Marginale invecel’intervento sulla

sterminata pletora di sovvenzionie di incentivi, che molti econo-misti intravedevano come stradamaestra per eliminare sprechi edinefficienze. Il parziale ingressoin borsa di Deutsche Bahn è statoancora una volta rinviato. La lieve correzione verso l’alto delcontributo riservato ai figli delmedesimo sussidio è invece stataclamorosamente cassata a metàdicembre dal Bundesrat, la Ca-mera degli esecutivi dei Länder,dove il governo federale non hapiù la maggioranza dopo la scon-fitta subita in Nordrhein-Westfa-len nelle elezioni del maggioscorso. Troppo esiguo l’aumento,ha accusato l’opposizione, che in-sieme con i sindacati ha sfilato

Nel 2010 il paese è cresciuto a ritmi da record (3,6%), grazie soprattutto alle esportazioni

ITALIA 2020Giovanni Boggero

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per le strade di Berlino contro itagli del governo.A differenza di quanto possa pen-sare un lettore italiano impregna-to di bicameralismo perfetto, ladistonia tra maggioranza al Bun-destag e maggioranza al Bunde-srat non è in realtà nulla di pato-logico in Germania, ma al contra-rio una costante della politica te-desca dal 1949 ad oggi. La neces-sità di raggiungere compromessicon le opposizioni al governo indiversi Länder rende il lavoro delcancelliere indubbiamente piùimpervio, ma svolge una impre-scindibile funzione di tutela delprincipio federale e delle mino-ranze. Il rischio di compromette-re l’azione di governo definita nelpatto con gli elettori però resta.Ed è proprio questo che sta acca-dendo in questi mesi, in partico-lar modo su un fronte caldo comequello del rinvio del phase-out nu-cleare. Socialdemocratici, ecolo-gisti ed estrema sinistra sosten-gono che sia costituzionalmentenecessario l’assenso del Bunde-srat, mentre la maggioranza gial-lo-nera crede di poter procedereanche senza l’avallo degli esecuti-vi regionali. Uno scontro istitu-zionale, destinato prevedibilmen-te a giungere sul tavolo della Cor-te Costituzionale.Ma la partita vera si gioca tuttaall’interno della coalizione. Dopopoco più di un anno di governo,il nuovo gabinetto della signoraMerkel può vantare ben pochipunti messi a segno. La litigiositàdel suo esecutivo ha infatti resoimpossibile prendere le decisioniche la maggior parte degli eletto-

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FOCUS

Brevi di economia europea

Il Pil reale dell'area Ocse nel terzo tri-mestre del 2010 è cresciuto dello0,6% con una flessione dello 0,9% sultrimestre precedente. In particolare,rivela la nota dell'Organizzazione perla cooperazione e lo sviluppo econo-mico, gli investimenti lordi hannocontribuito per lo 0,2% alla crescitacomplessiva del Pil ma hanno mostra-to una flessione di mezzo punto suldato del secondo trimestre. I consumiprivati sono stati ancora la compo-nente principale della crescita delprodotto con un contributo dello0,4% mentre la variazione delle scor-te ha contribuito per lo 0,3 per cento.Per il terzo trimestre consecutivo leesportazioni nette hanno compressola crescita del Pil (-0,3% nel terzo tri-mestre del 2010).

* * * * *

L'economia tedesca nel 2010 e' cre-sciuta al livello record del 3,6%. Lo ri-velano le stime dell'ufficio nazionaledi statistica. Nel 2009 il Pil aveva su-bito una contrazione del 4,7%. "Sia-mo cresciuti il doppio ripsetto allamedia europea" commenta il ministrodell'Economia, Rainer Bruederle, ag-giungendo che nel 2010 il numero dioccupati e' salito al livello record di40,5 milioni di unita'. Nel frattempo ildeficit pubblico e' cresciuto al 3,5%del Pil a 88,57 miliardi di euro, sullascia delle misure di stimolo decise nelcorso della recessione.

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ri moderati si attendeva. In parti-colar modo è l’alleggerimento fi-scale il grande assente del primoanno di legislatura. La tantosbandierata rivoluzione tributariasi fa attendere. Il ministro delleFinanze Wolfgang Schäuble vuo-le privilegiare il risanamento deiconti e teme che una sforbiciataalle aliquote possa compromette-re l’andamento delle entrate. Ec-co perché, al momento, l’esecuti-vo è passato ad accarezzare l’ipo-tesi di una mera semplificazionefiscale. Anche su di essa però nonc’è ancora un accordo di massimatra le forze politiche, che hannoquindi posticipato la decisione. Il continuo procrastinare si riflet-te negativamente anche nei son-daggi, che dipingono un quadrodemoscopico davvero desolanteper l’attuale governo. L’Unionedi Cdu e Csu, pur confermandosiprimo partito, è data intorno al31-32% dei consensi, mentre glialleati dell’Fdp hanno polverizza-to il proprio consenso, finendopericolosamente a ridosso dellasoglia di sbarramento del 5%. Ilmalumore dell’elettorato liberalesi deve per buona parte all’ombragettata dalla signora Merkel, riu-scita finora nell’impresa di argi-narne l’esprit liberista; ma anchealla leadership poco gradita diGuido Westerwelle, richiesto giàpiù volte di dimettersi da presi-dente del partito. I socialdemo-cratici, stabili al 27%, devono fa-re i conti con la mancanza di unleader e perdono terreno a favoredegli ecologisti, galoppati in do-dici mesi fino ad oltre il 20%.Anche senza l’appoggio del-

l’estrema sinistra, ferma al 10%,l’alleanza rosso-verde avrebbe og-gi i numeri per governare il pae-se. Il primo vero banco di provaper dimostrare di esserne in gra-do saranno le elezioni in setteLänder tra marzo e settembre. Perla signora Merkel potrebbe essereuna Caporetto.

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giovanni boggero

Si è occupato di questioni legate alla Germa-

nia per la Fondazione Magna-Carta, Il Rifor-

mista ed Il Foglio. è stato intern presso la

Hannoversche Allgemeine Zeitung. Collabora

con l’Aspen Institute Italia, l’Istituto Bruno

Leoni e Formiche. .

L’Autore

ITALIA 2020Giovanni Boggero

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DI SILVIA ANTONIOLI

Mentre gli studenti protestanoper l’aumento delle tasse universitarie, il governo liberal-conservatore

continua il difficile cammino delle riformeper uscire dalla crisi. Nonostante i tagliin altri settori, però, Londra continua a puntarecon convinzione su sanità, ricerca e ambiente.

Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron

ITALIA 2020Silvia Antonioli

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Il 10 novembre, a Londra, ungruppo di studenti e docenti sisono fatti strada, con la forza,dentro il quartier generale delpartito conservatore inglese,nella torre Milbank sulla rivanord del Tamigi, nel cuore dellacittà. Questo gruppo si era di-staccato pochi minuti prima daun corpo di circa 50mila stu-denti e professori coinvolti inuna marcia di protesta contro lacoalizione formata dai Conserva-tori e dal Partito liberaldemo-cratico (Lib-Dem), alle redinidel potere in Inghilterra dallascorsa primavera. La marcia erastata intesa come una protestapacifica, eppure è sfociata inimprevista violenza con tanto diatti di vandalismo e feriti.Simili proteste si sono ripetutein diverse città del Regno Unitonei mesi di novembre e dicembre.

Il 10 dicembre, l’ennesima prote-sta nel centro di Londra ha tocca-to un nuovo apice, con 200milapartecipanti, circa 50 feriti e piùdi 30 arresti. La macchina checonduceva Carlo d’Inghilterra ela consorte Camilla verso il Lon-don Palladium è stata attaccatadagli studenti a Regent Street.Il finestrino della macchina è sta-to frantumato e la duchessa è sta-ta fisicamente aggredita con unbastone, secondo alcuni.La poverina deve aver pensatoche l’episodio si sarebbe potutotrasformare in un vero e propriolinciaggio. Fortunatamente nonèstato cosí. La rabbia ha però as-ssunto livelli a volte davvero spa-ventosi. Ma a cosa sono dovute questeproteste? Da dove provengonoquest’ira e questa violenza? Il 9 dicembre il Parlamento in-

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glese ha votato a favore dell’au-mento delle tasse universitarie da3.290 sterline a 6.000 sterline,in alcuni casi particolari fino a9.000 sterline all’anno a partiredal 2012. La mozione sarà poivotata nella camera dei Lord. Questa è solo una delle numeroseriforme che il governo Cameroncercherá di implementare in mo-do da tagliare l’esorbitante debi-to pubblico accumulato nel corsodegli ultimi anni e terribilmenteaggravato dalla crisi finanziariadel 2008-2009.«Non è giustio far pagare allaprossima genera-zione gli errori dialtri», ha detto lasegretaria di unsindacato deglistudenti arringan-do la folla in pro-testa.Gli studenti si so-no dimostrati indignati soprat-tutto dalla decisione dei parla-mentari del partito Lib-Dem divotare a favore di questa misura.Nick Clegg, il carismatico leaderdel partito, aveva promesso incampagna elettorale che si sareb-be opposto ad ogni misura relati-va all’aumento delle tasse univer-sitarie. Eppure il 9 dicembre havotato a favore di questo provve-dimento. Anche Vince Cable, il Lib-Demministro dell’Industria del gover-no Cameron, aveva promesso divotare contro ogni aumento. Madopo aver dichiarato qualchegiorno prima del voto che forsesi sarebbe astenuto, il 9 dicem-bre ha votato a favore. Cable si è

poi detto orgoglioso di una rifor-ma progressiva che permetterà dimantenere un’istruzione superio-re di alta qualità nel lungo ter-mine.Il malumore degli studenti ha lesue giustificazioni. La violenza no.Questa riforma permetterà a pocomeno del 25% degli studenti,quelli tra loro con un reddito fa-miliare inferiore alle 25mila ster-line all’anno, di pagare tasse uni-versitarie leggermente inferiori aquanto facevano in precedenza.Studenti con un reddito familiarefino a 42mila sterline l’anno po-

tranno accedere aborse di studio.Quindi, effettiva-mente, la riformasegue un criterio diprogressività.Il resto degli stu-denti sarà sì co-stretto a pagare co-

sti maggiori, ma le condizioniper rimborsare il prestito univer-sitario concesso dallo Stato unavolta entrati nel mondo del lavo-ro sarà, anche in questo caso, piùprogressivo che in precedenza. Ilaureati cominceranno a ripagareil debito solo una volta raggiuntouno stipendio annuale superiorealle 21mila sterline all’anno. Ildebito rimarrà senza interessi fi-no a che, e se, lo studente riceveràuno stipendio pari o superiore al-le 40mila sterline all’anno, casoin cui il debito maturerà un inte-resse del 3% annuo. Ogni rima-nenza del debito sarà estinta dopo30 anni dalla laurea.Votare questa mozione, andandocontro una promessa elettorale, è

L’azione di governo di David Cameronpunta a ridurre il debitopubblico, aggravatodalla crisi economica

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stato fino ad ora il più alto prez-zo politico da pagare per i Lib-Dem. La loro astensione dal votoavrebbe causato la prima seriaparalisi di un governo di coali-zione su cui molti sono ancorascettici.E solo con un governo di coalizio-ne unito sarà possibile implemen-tare una serie di imponenti misu-re economiche che permettano alRegno Unito di riemergere dallacrisi degli ultimi anni. Il governoCameron è entrato in carica inuno dei momenti più difficili del-l’ultimo decennio per l’Inghilter-ra, con le cassepubbliche quasivuote, il debito aimassimi storici eduna ripresa econo-mica fragile.George Osborne, ilneoeletto ministrodelle Finanze delgoverno Cameron, aveva annuncia-to sin da giugno scorso un pianoambizioso: ridurre la spesa pubbli-ca di 81 miliardi di sterline per ta-gliare il debito pubblico pari al10,1% del Pil quest’anno, al 2,1%del Pil nell’anno fiscale 2014-2015, ovvero a fine legislatura.Osborne aveva reso noto che lariduzione del bilancio avrebbepesato per due terzi sui tagli allaspesa e solo per un terzo sull’au-mento di tasse. La reazione al suo annuncio digiugno era stata piuttosto positi-va, inaspettatamente mite, consi-derando i sacrifici che comporta-va. Eppure sembrava che la mag-gior parte della popolazioneavesse in qualche modo accettato

i tagli necessari per il risanamen-to dei conti ed il rilancio del-l’economia inglese. Il 20 ottobre il ministro delle Fi-nanze, durante la revisione delbudget, ha fornito maggiori detta-gli sulle riforme che il suo gover-no si appresta a proporre. «Oggiè il giorno in cui il Regno Unitofa marcia indietro dal baratro»,ha dichiarato il ministro.Di tagli ce ne sono davvero pertutti: dalle università al welfare,dalle pensioni dei parlamentarialla regina stessa. Ogni dipartimento ministeriale

dovrà mirare a ta-gli della spesa parial 19% in media,secondo i calcolidel ministro. Tra le riforme piùimportanti e piùcontestate, ci sonoquelle del welfare

e della pubblica amministrazio-ne, in aggiunta alla riforma del-l’istruzione superiore.I fondi per la sanità, gli aiuti in-ternazionali, la ricerca e i fondiper l’ecologia, invece, sono rima-sti immuni dalle decurtazioni oaddirittura rimpinguati.Per il welfare, che rappresentaquasi un terzo della spesa pubbli-ca del governo del Regno Unito,Osborne ha proposto un taglio di18 miliardi di sterline, da rag-giungere entro il 2014-2015.Questo sarà implementato trami-te una riduzione di contributi divario tipo, tra i quali un limitedi un anno per le indennitá dimalattia e limiti ai contributiper gli alloggi.

Tagli per 81 miliardi:ecco la ricetta shockper rimettere l’economia inglese in carreggiata

ITALIA 2020Silvia Antonioli

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Sarà anche introdotto un limitesui contributi ai nuclei familiariper fare in modo che nessuna fa-miglia possa ricevere somme su-periori a quanto la stessa guade-gnarebbe se i suoi membri lavo-rassero. Osborne ha sottolineatoche le nuove riforme daranno unincentivo al lavoro.Il sistema ha fino ad ora fallito,intrappolando milioni di personee spingendole a dipendere dacontributi per tutta la vita sem-plicemente perché lavorare pagadi meno.I tagli sul welfare hanno fatto di-chiarare ad alcunimembri dell’op-posizione che lariforma del budgetpeserà più grave-mente sui menoabbienti. Ma ilgoverno ha rispo-sto che cercheràper lo più di limitare gli sprechi.Del resto, questo settore assorbegran parte della spesa pubblicaed evitare o minimizzare tagli diquesto tipo avrebbe voluto direche tutti gli altri dipartimentiavrebbero dovuto subire detra-zioni molto superiori a quellepreviste.La Pubblica Amministrazionesubirà una decurtazione di 6 mi-liardi di sterline nel corso dellalegislatura. Quasi mezzo millio-ne di posti pubblici saranno eli-minati nei prossimi 4 anni, inuna delle misure definite piùdrastiche dal ministro stesso, ilquale ha spiegato che la maggiorparte dei tagli avverrà tramite ilnaturale turnover ma ha chiarito

che ci saranno anche dei licenzia-menti. Alcuni dei quango, orga-nismi semi-indipendenti finan-ziati dal governo, saranno aboli-ti. Degli asset del governo saran-no venduti ed altri integrati. Ifondi dei comuni subiranno fortiriduzioni. L’età pensionabile saràelevata prima del previsto: a 66anni entro il 2020. I contributidegli impiegati statali aumente-ranno del 3%.Il ministero degli Interni e il mi-nistero della Giustizia vedrannocalare i fondi a loro disposizionedel 23% in 4 anni. Il budget delle

forze dell’ordinediminuira del 4%all’anno ed il fi-nanziamento delleforze anti-terrori-smo scenderà inmisura leggermen-te inferiore. I sussidi per i tra-

sporti pubblici scenderanno ed iviaggiatori potrebbero vedere au-mentate le tariffe di circa il 10%nei prossimi 4 anni.Fortunatamente non ci sono solotagli nel budget 2010.I Tories hanno tenuto fede ad unapromessa elettorale: quella diproteggere la sanità. Una mossa,questa, che alcuni hanno critica-to dato che sotto il governo labu-rista questo settore ha subito am-pli incrementi. Evitare tagli qui,vuol dire colpire più duramentealtrove. Il governo ha deciso di proteggerle scuole, incrementando i fondidi 4 miliardi di sterline mentreil budget per le università dimi-nuirà.

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Nei prossimi quattroanni verranno tagliati500mila posti pubblicianche con l’aumentodell’età pensionabile

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Downing Street ha anche decisodi continuare ad investire innuove infrastrutture: 30 miliardifinanzieranno nuovi progetti nelmondo dei trasporti. Uno traquesti è il Crossrail a Londra, lacostruzione di vitali reti ferrovia-re per snellire il traffico della ca-pitale inglese.Osborne ha anche previsto au-menti per gli aiuti internazionaliper tenere fede agli impegni pre-cedentemente presi che prevede-vano fondi pari allo 0,7% del Pil.L’esecutivo immetterà inoltre ca-pitali per progetti per l’ambientee l’energia. Un miliardo di sterli-ne sarà investito per un progettosperimentale per una centraleelettrica alimentata da carboneverde, la quale permetterà di ri-durre le emissioni di gas serra.Altri fondi saranno dedicati al-l’istituzione di una banca perl’investimento ambientale (GreenInvestment Bank), per lo sviluppodi energia eolica off-shore e perincentivi all’utilizzo di energiaalternativa.Riforme e tagli notevoli eppurenon sufficienti a colmare il debi-to pubblico e così il governo si ètrovato costretto a proporre au-menti di alcune tasse, cercandoallo stesso tempo di non depri-mere l’economia.Osborne ha annunciato un au-mento dell’Iva dal 17,5% al20% a partire da gennaio 2011.Ha implementato un incrementodell’imposta sulle plusvalenzedal 18% al 25% per i redditi piùalti, lasciando l’imposta invariataper coloro che hanno redditi me-di e bassi. Ha previsto una nuova

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FOCUS

Un documento firmato dai big del-l’Unione europea indirizzato al presi-dente della Commissione europea, Jo-sé Manuel Barroso, per chiedere ilcongelamento del budget Ue. La lette-ra è firmata dal primo ministro ingle-se, David Cameron, dal cancelliere te-desco, Angela Merkel, e dal presidentefrancese Nicolas Sarkozy, insieme alprimo ministro olandese Mark Rutte edal premier finlandese Mari Kiviniemi.Tra i firmatari del documento non c’èl’Italia. Il nostro paese, infatti, purcondividendo l’esigenza di rigore per ilbilancio comunitario, avrebbe espres-so perplessità dovute principalmenteal rischio di un mancato rispetto delleprerogative della Commissione, che ilprossimo giugno formulerà le sue pro-poste sul bilancio.Nella lettera inviata a Barroso, Came-ron, Merkel e Sarkozy chiedono che laspesa per il budget comunitario dal2014 al 2020 sia più contenuta: inparticolare, l’aumento annuale del bi-lancio Ue dovrà essere inferiore al tas-so dell'inflazione. I paesi membri,spiegano i firmatari del documento,non possono infatti permettersi unaumento delle tasse in questo mo-mento di grave crisi economica nelquale i cittadini sono già costretti aenormi sacrifici.Gran Bretagna, Germania e Franciasottolineano infatti che il budget co-munitario 2014-2020 arriva in un mo-mento in cui i 27 paesi membri stannofacendo degli sforzi straordinari permantenere debito e deficit su un livel-lo sostenibile. Le finanze europee“non possono non tenere conto” diquesti sforzi.

ITALIA 2020Silvia Antonioli

I big europei chiedonopiù rigore nel bilancio

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tassa sulle banche tramite la qua-le si aspetta di riscuotere 8,3 mi-liardi di sterline in 4 anni.Il Partito laburista ha fatto pres-sioni sul governo per aumentaretale imposta ma il ministro delleFinanze sta cercando di norma-lizzare il rapporto tra governo ebanche. «Vogliamo che le banche contri-buiscano giustamente ma allostesso modo non vogliamo chevadano all’estero», ha spiegato ilministro delle Finanze, puntua-lizzando che centinaia di mi-gliaia di posti di lavoro nel Re-gno Unito dipendono dallacompetitività del paese nel set-tore finanziario. Per evitare un esodo delle im-prese verso paesi con regimi fi-scali più vantaggiosi, ha reso no-to che metterà in atto una so-stanziale alleggerimento del re-gime fiscale societario. L’impo-sta sulle imprese scenderà dal28% attuale, al 24% entro il2014. Questa misura, valutatapositivamente da esperti in ma-teria fiscale e dalle imprese, per-metterà di porre fine, o per lomeno rallentare, l’esodo. Ma sarà abbastanza per supporta-re la fragile ripresa?Il compito del governo è chiaro:risanare il debito, supportarel’economia e soddisfare l’elettora-to. Più facile a dirsi che a farsi.Applicare tagli e stimolare l’eco-nomia allo tempo stesso è unamissione quasi impossibile. È un sottile gioco di equilibri edogni mossa sbagliata potrebbeprovocare rivolte e risentimenti.Il problema è che anche le mosse

giuste potrebbero causare disor-dini. Il pubblico inglese sembraora molto più suscettibile rispet-to all’estate scorsa.Le proteste continueranno permolti mesi, non c’è dubbio. Nuove elezioni però sono lontanee il nuovo governo può permet-tersi ora di mettere in atto le mi-sure piu dolorose nel breve ter-mine, convinto com’è che porte-ranno beneficio nel medio-lungotermine. Il successo di Cameron & co. simisurerà in ultima istanza sul-l’unità della coalizione e sulla ca-pacità di implentare con successoqueste riforme .

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silvia antonioli

Corrispondente per l’agenzia di stampa Reu-

ters. Esperta di politica e cultura dell’America

Latina, lavora come commodities’ markets

reporter per la casa editrice Euromoney.

L’Autore

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In questi mesi si è molto discussosu quali soluzioni si dovesseroadottare per fronteggiare la gravecrisi finanziaria che sta mettendoa rischio la stabilità e lo stesso fu-turo dell’economia europea. Letensioni causate prima dall’eleva-to disavanzo pubblico greco chehanno portato Atene sull’orlo deldefault, poi dalla situazione debi-toria delle banche irlandesi risol-tasi con la concessione di un pre-stito di oltre 85 miliardi di euroa Dublino ed infine dalla possibi-le espansione anche al Portogalloed alla Spagna, hanno fatto discu-tere se la via da seguire fosseesclusivamente quella del rigorenei conti pubblici, oppure sequesta si potesse perseguire senzarinunciare all’introduzione diprovvedimenti che siano in gradodi favorire la crescita. Un esem-pio di come si può unire il varo

di una severa politica di stabilitàall’applicazione di misure di sti-molo all’economia viene dallaFrancia, dove Sarkozy due anni faha introdotto un pacchetto di di-sposizioni per favorire la ripresa.

Il quadro economico francese e lemisure di rilancio varate dal go-vernoA differenza di quanto accadutoaltrove, l’economia della Franciaha retto l’impatto della recessio-ne e della crisi finanziaria che hacolpito il sistema internazionalenegli ultimi tre anni. Questo èstato dovuto sia alla sostanzialetenuta dei consumi che alla poli-tica di stimoli attuata dal gover-no che ha mitigato gli effettidella contrazione economica glo-bale. Inoltre, le banche francesi,pur se esposte verso quei paesiconsiderati a rischio, si sono co-

DI RODOLFO BASTIANELLI

La risposta francese alla crisi

Parigi riparte. Prima degli altriIl sistema sociale ed economico francese ha resistito agli effetti della recessione meglio di altri paesi, grazie alla tenuta dei consumi e agli stimoli del governo. E iniziano a farsi sentire anche gli effettibenefici del piano di investimenti varato da Sarkozy.

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ITALIA 2020Rodolfo Bastianelli

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munque confermate solide da-vanti alle turbolenze dei mercati,come confermato dal superamen-to degli stress test da parte deiquattro principali istituti di cre-dito del paese. Il rallentamentoha pesato soprattutto sulla disoc-cupazione, passata dal 7,4% del2008 a quasi il 10% di quest’an-no, la quale ha colpito principal-mente le fasce più giovani dellapopolazione e questo in un paesedove già in precedenza i livelli dioccupazione giovanile restavanosensibilmente inferiori a quellidegli altri membri dell’Ocse.Non va però di-menticato comein Francia i siste-mi di protezionesociale siano co-munque riusciti acontrollare le con-seguenze negativedella congiuntura,tanto che nel paese, secondo lestime, il livello di persone espo-ste al rischio della povertà a cau-sa della crisi resta decisamenteinferiore rispetto alle altre econo-mie sviluppate. Tuttavia, come sottolineano glianalisti, il sistema degli aiuti ga-rantiti dal welfare francese, se daun lato funziona come validoammortizzatore in momenti difrenata dell’economia, dall’altro,proprio per la sua generosità,presenta il difetto di aver creatouna fascia di “assistiti” dallo Sta-to per i quali risulta più vantag-gioso ricevere gli aiuti che inse-rirsi sul mercato del lavoro. Inquesto contesto e con un quadroeconomico che stava già contra-

endosi, Sarkozy nel dicembre didue anni fa ha varato un piano dirilancio per il biennio 2009-2010 da 26 miliardi di euro in-centrato sugli investimenti. Da-vanti alla prospettiva di una re-cessione globale i cui effetti siannunciavano pesanti, Parigi hapensato che la soluzione migliorefosse quella di stimolare l’econo-mia nazionale favorendo la rea-lizzazione di una serie di progettie questo anche a costo di gravaresul deficit pubblico. Ed alle criti-che avanzate da alcuni economistiper cui il piano presentato avreb-

be comportato unaumento del rap-porto deficit/Pil, ilgoverno franceseha risposto soste-nendo che il mag-gior tasso di cresci-ta realizzato graziealle misure conte-

nute nel provvedimento avrebbeagevolato il rientro entro i para-metri fissati dall’Unione europea,sottolineando inoltre come in unquadro di stagnazione il varo dimisure restrittive poteva avere ef-fetti negativi sull’economia e fa-vorire una spirale deflazionista edepressiva. I punti salienti delpiano illustrato da Sarkozy inclu-dono misure per la realizzazionedi diverse infrastrutture – tantoche le aziende pubbliche francesivedranno incrementato il lorobudget di circa il 35% rispetto al2008 – piani per la costruzionedi alloggi unitamente a misuretese a favorire l’occupazione ed asostenere la ricerca e l’istruzione.Riguardo al primo punto è pre-

I sistemi di protezionesociale sono riusciti a controllare le conseguenze negative della crisi

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visto che l’azienda elettrica Edf siimpegni non solo nel migliora-mento della rete di distribuzioneal fine di rispondere meglio allerichieste degli utenti, ma anchenella produzione di energie rin-novabili, mentre allo stesso mo-do il gruppo Gaz de France (Gdf)avvierà un programma di ammo-dernamento dei suoi sistemi, in-vestendo nella realizzazione unacifra pari a 200 milioni di euro.Ma sono soprattutto le ferrovie arivestire un posto di primo pianonei programmi di rilancio del-l’economia espressi dall’Eliseo,dato che, stando a quanto previ-sto nel piano, ai fondi già stan-ziati per la Sncf si aggiungerannoaltri 300 milioni di euro perconsentire la costruzione di nuo-ve stazioni e migliorare i sistemidi informazione. Un’analoga at-tenzione è stata poi rivolta allegrandi opere pubbliche che do-vrebbero portare alla realizzazio-ne di quattro nuove linee ferro-viarie ad alta velocità, alla co-struzione del canale Seine Nordper agevolare i traffici commer-ciali tra Francia, Belgio, Olandae Germania ed alla modernizza-zione delle arterie stradali.

E proprio per consentire a questiprogetti di prendere il via, il go-verno, davanti ad un quadro incui l’accesso al credito per le im-prese stava diventando proble-matico, ha deciso di attingere alfondo di risparmio della Casse deDepôts et Consignations, la qua-le può concedere dei finanzia-menti alle società interessate apresentare un progetto ed aglienti locali che intendono soste-nerne la realizzazione, nonché fa-cilitare alle aziende il rimborsodei crediti d’imposta ed accelera-re il pagamento delle commesseda parte dell’amministrazionestatale per quelle piccole e medieimprese che hanno contratti diappalto militari. Anche l’edilizia e l’industria au-tomobilistica, particolarmenteesposte agli effetti negativi inquesta difficile fase congiuntura-le, sono tra i settori verso i qualisi è concentrato il piano dell’Eli-seo. Per ridare slancio alle impre-se del comparto immobiliare, ilgoverno ha prima stanziato oltre600 milioni di euro per agevola-re la ristrutturazione ed il rinno-vamo degli edifici urbani, poiun’ulteriore somma di 200 mi-

Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Economist Intelligence Unit, Standard & Poor’s

ITALIA 2020Rodolfo Bastianelli

L’economia francese negli ultimi quattro anni

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lioni per la costruzione di edificipopolari, mentre per agevolarel’acquisto di nuove abitazioni ilpiano prevede la possibilità diottenere dei prestiti a tasso zeroper coprire fino ad un terzo delprezzo dell’immobile. Riguardoinvece alle aziende automobili-stiche, il cui peso riveste un’im-portanza fondamentale nell’eco-nomia nazionale, le misure intro-dotte vanno dai contributi allarottamazione per l’acquisto dinuove vetture ecologiche unita-mente al sostegno per le banchefinanziatrici dei due maggiorigruppi industrialiRenaul t e PsaPeugeot Citroën.Nelle intenzionidi Sarkozy le mi-sure a sostegnodel mondo im-prenditoriale do-vrebbero portarepoi anche ad una ripresa dell’oc-cupazione, per favorire la quale ilpacchetto ha introdotto la totaleesenzione dalle imposte aziendaliper le imprese con meno di diecidipendenti che procederanno adelle assunzioni, subordinandoperò la concessione degli incenti-vi all’impegno da parte degli im-prenditori a non delocalizzare iloro impianti in quei paesi doveil costo del lavoro risulta inferio-re a quello francese. Infine, nel documento dell’Eliseonon manca l’attenzione alle pro-blematiche sociali, un tema que-sto che assume una particolare ri-levanza nelle fasi di stagnazioneeconomica. Secondo quanto fissa-to dal piano, saranno incremen-

tate le pensioni minime per glianziani che si trovano in condi-zioni svantaggiate mentre la per-centuale dell’assegno per quelledi reversibilità dovrebbe aumen-tare dal 54% al 60% entro il2010. Il varo di questo pacchettodi stimolo per l’economia tutta-via non significa che la Francianon abbia prestato attenzioneall’equilibrio dei conti pubblici.Le tensioni sui mercati causatedalle crisi finanziarie di alcunipaesi europei hanno infatti spin-to il governo francese a presenta-re un piano di austerity del valore

di oltre 100 mi-liardi di euro perridurre il rapportodeficit/Pil dall’8%al 3% nei prossimitre anni. Le misurepreviste per conte-nere il disavanzoincludono il con-

gelamento delle spese statali edil taglio di centomila dipendentipubblici nel prossimo trienniounitamente all’eliminazione dialcune esenzioni fiscali preceden-temente concesse, anche se il pre-mier Fillon ha escluso che si pro-cederà ad un rialzo delle impostein quanto questo potrebbe avreb-be effetti negativi sulla ripresa,mentre un ulteriore effetto posi-tivo sui conti dovrebbe arrivaredalla riforma delle pensioni re-centemente approvata dal Parla-mento. Ma per la realizzazionedegli obiettivi del piano di risa-namento, sarà fondamentale rag-giungere un tasso di crescita su-periore al 2% annuo, una stimaritenuta però da diversi economi-

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Il governo francese ha presentato un pianoda 100 miliardi per ridurre il rapportodeficit/Pil al 3%

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sti quantomai ottimistica, vistoil probabile rallentamento dellaripresa. In questi anni si è spessoparlato della Francia sia per leproposte politiche che per le so-luzioni economiche avanzate Ol-tralpe, anche se non sono manca-ti i critici che hanno parlato di“declino” del modello francese.In realtà, ad una più attenta ana-lisi, la situazione si presenta in-vece assai più complessa. Perchése da un lato è vero che il quadrofrancese presenta alcuni elementinegativi tra cui uno dei più bassilivelli di occupazione nell’Unio-ne europea ed uno dei più cortiorari di lavoro tra i paesi indu-strializzati uniti alla presenza diun regime fiscale non certo van-taggioso per gli investimentiesteri, dall’altro è però innegabi-le che la Francia già dagli anniSettanta sia stata all’avanguardianella realizzazione di grandi ope-re pubbliche ed importanti infra-strutture, ricavi l’80% del suofabbisogno energetico dall’ener-gia nucleare ed abbia aziende diprimo piano nei settori delle co-municazioni e della tecnologia.Non va poi dimenticato come laFrancia abbia sempre posto unaparticolare attenzione alla cultu-ra utilizzandola anche come stru-mento della sua politica estera,come dimostra la decisione presasu iniziativa di Parigi nel 1970di istituire l’Organizzazione in-ternazionale della francofonia, unorganismo che raggruppa oltrecinquanta Stati e che si proponedi valorizzare l’identità e la lin-gua francese nel mondo. Gli annidella grandeur appartengono forse

al passato. Ma la Francia restatuttora la quinta potenza econo-mia mondiale ed uno degli attoriprincipali della scena politica in-ternazionale.

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rodolfo bastianelli

Esperto di questioni internazionali, collabora

con la rivista dello Stato Maggiore della Dife-

sa Informazioni della difesa. Collabora inoltre

con Liberal, Affari esteri, Rivista marittima ed

il periodico dello Iai Affari internazionali. Ha

collaborato anche con Ideazione e la rivista

Acque&Gerre.

L’Autore

ITALIA 2020Rodolfo Bastianelli

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2011-2020, è il decennio della svolta necessaria. L’Italia e l’Eu-

ropa non possono più perdere tempo. Dopo i primi dieci anni

del secolo, persi tra crisi economiche e tensioni internazionali,

terrorismo e bolle finanziarie, il Vecchio continente non può

più permettersi di sbagliare.

Ecco, allora, che Roma e Bruxelles lanciano piani di azione de-

cennali, attraverso i quali raggiungere obiettivi socioeconomici

non più procrastinabili. Europa 2020, che subentra alla fallita

Strategia di Lisbona, è un piano organico e variegato, con

obiettivi a lungo termine molto ambiziosi. Italia 2020, invece,

è un provvedimento elaborato di concerto dai ministeri del

Lavoro e dell’Istruzione, indirizzato esclusivamente ai giovani,

per garantire loro un più facile accesso nel mondo del lavoro.

Due strategie ambiziose e difficili da portare a termine ma che,

a quanto pare, non ammettono fallimenti.

gli strumenti di

Page 115: Italia 2020

STRUMENTI

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EUROPA 2020Una strategia per una crescita intelligente,sostenibile e inclusiva

1. UNA FASE DI TRASFORMAZIONELa crisi ha vanificato i nostri recenti pro-gressiLa recente crisi economica è un fenomenosenza precedenti per la nostra generazio-ne. I progressi costanti dell’ultimo decen-nio in termini di crescita economica ecreazione di posti di lavoro sono staticompletamente annullati: il nostro Pil èsceso del 4% nel 2009, la nostra produ-zione industriale è tornata ai livelli deglianni ‘90 e 23 milioni di persone, pari al10% della nostra popolazione attiva, sonoattualmente disoccupate. Oltre a costitui-re uno shock enorme per milioni di citta-dini, la crisi ha evidenziato alcune carenzefondamentali della nostra economia e hareso molto meno incoraggianti le prospet-tive di una crescita economica futura. Lasituazione ancora fragile del nostro siste-ma finanziario ostacola la ripresa, viste ledifficoltà incontrate da famiglie e impreseper ottenere prestiti, spendere e investire.Le finanze pubbliche hanno subito un for-te deterioramento, con deficit medi pari al7% del Pil e livelli di debito superioriall’80% del Pil: due anni di crisi hannocancellato un ventennio di risanamento dibilancio. Durante la crisi il nostro poten-ziale di crescita si è dimezzato. Un grannumero di piani d’investimento, talenti eidee rischia di andare perso per le incer-tezze, la stasi della domanda e la mancan-za di finanziamenti.

Le carenze strutturali dell’Europa sonostate messe in evidenzaUscire dalla crisi è certamente la prioritàimmediata, ma è ancora più importantenon cercare di tornare alla situazione pre-cedente alla crisi. Anche prima della crisi,c’erano molti settori in cui l’Europa nonprogrediva con sufficiente rapidità rispet-to al resto del mondo:il tasso medio di crescita dell’Europa erastrutturalmente inferiore a quello dei no-stri principali partner economici, in granparte a causa del divario di produttivitàche si è andato accentuando nell’ultimodecennio. Il fenomeno è largamente do-vuto alle differenze tra le imprese, a cui siaggiungono investimenti di minore entitànella R&S e nell’innovazione, un uso in-sufficiente delle tecnologie dell’informa-zione e della comunicazione, la riluttanzaall’innovazione di alcuni settori delle no-stre società, ostacoli all’accesso al merca-to e un ambiente imprenditoriale menodinamico;nonostante i progressi registrati, i tassi dioccupazione in Europa – 69% in mediaper le persone di età compresa tra 20 e 64anni – sono ancora nettamente inferioririspetto ad altre parti del mondo. Solo il63% delle donne lavora contro il 76% de-gli uomini. Solo il 46% dei lavoratori piùanziani (55-64 anni) è ancora in attività,contro più del 62% negli Stati Uniti e inGiappone. Inoltre, le ore lavorative degliEuropei sono inferiori del 10%, in media, aquelle dei loro omologhi statunitensi ogiapponesi;l’invecchiamento della popolazione si staaccelerando. Con l’ondata di pensiona-menti dei figli del baby boom, la popola-

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zione attiva dell’Ue inizierà a diminuiredal 2013/2014. Attualmente il numero diultrasessantenni aumenta a una velocitàdoppia rispetto a prima del 2007 (circadue milioni in più ogni anno contro un mi-lione in precedenza). La diminuzione dellapopolazione attiva e l’aumento del nume-ro di pensionati eserciteranno una pres-sione supplementare sui nostri sistemi as-sistenziali.

Le sfide globali si accentuanoL’Europa deve cercare di ovviare alle pro-prie carenze strutturali in un mondo in ra-pida evoluzione, che per la fine del prossi-mo decennio avrà subito una trasforma-zione radicale. Le nostre economie sonosempre più interdipendenti. L’Europacontinuerà a trarre vantaggio dal fatto chela sua economia è una delle più aperte delmondo, ma dovrà far fronte alla concor-renza in aumento delle economie svilup-pate e emergenti. Paesi come la Cina ol’India stanno investendo massicciamentenella ricerca e nella tecnologia per far sali-re le loro industrie nella catena del valoree “irrompere” (prepotentemente) nel-l’economia mondiale. Questo mette a du-ra prova la competitività di certi settoridella nostra economia, ma ogni minacciarappresenta al tempo stesso un’opportu-nità. A mano a mano che questi paesi sisviluppano, si apriranno nuovi mercati permolte imprese europee. Le finanze mon-diali hanno ancora bisogno di misure cor-rettive. La disponibilità di “credito facile”,la tendenza a pensare a breve termine el’assunzione di rischi eccessivi sui mercatifinanziari di tutto il mondo hanno inco-raggiato un comportamento speculativo,

dando luogo a una crescita alimentata dabolle speculative e a notevoli squilibri.L’Europa sta cercando soluzioni globalida cui scaturisca un sistema finanziarioefficiente e sostenibile. Le sfide relative alclima e alle risorse richiedono misure dra-stiche. La forte dipendenza dai combusti-bili fossili, come il petrolio, e l’uso ineffi-ciente delle materie prime espongono inostri consumatori e le nostre imprese adannosi e costosi shock dei prezzi, minac-ciando la nostra sicurezza economica econtribuendo al cambiamento climatico.L’espansione della popolazione mondialeda 6 a 9 milioni di persone accentuerà laconcorrenza mondiale per le risorse natu-rali ed eserciterà pressioni sull’ambiente.L’Ue deve intensificare i contatti con altreparti del mondo per cercare una soluzio-ne globale ai problemi connessi al cam-biamento climatico attuando al tempostesso la strategia per il clima e l’energiain tutto il suo territorio.

L’Europa deve agire per evitare il declinoPossiamo trarre diversi insegnamenti dal-la crisi: le 27 economie dell’Ue sono estre-mamente interdipendenti: la crisi ha evi-denziato gli stretti collegamenti e le rica-dute tra le nostre economie nazionali,specialmente nell’area dell’euro. Le rifor-me (o la mancanza di riforme) in un paesehanno ripercussioni sulla situazione ditutti gli altri, come dimostrano i recentiavvenimenti; a causa della crisi e dei note-voli vincoli a livello di spesa pubblica,inoltre, è ora più difficile per gli Statimembri erogare finanziamenti sufficientiper le infrastrutture di base di cui hannobisogno in settori come i trasporti e

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STRUMENTI

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l’energia, non solo per sviluppare le pro-prie economie, ma anche per aiutarle apartecipare pienamente al mercato inter-no. Il coordinamento nell’Ue funziona: larisposta alla crisi è la prova che un’azioneconcertata a livello dell’Unione risultanettamente più efficace, come abbiamodimostrato mediante l’azione comunevolta a stabilizzare il sistema bancario el’adozione di un piano europeo di ripresaeconomica. In un mondo globale, nessunpaese può affrontare efficacemente le sfi-de se agisce da solo. L’Ue conferisce unvalore aggiunto sulla scena mondiale.L’Ue influirà sulle decisioni politichemondiali solo se agirà all’unisono. Il po-tenziamento della nostra rappresentanzaesterna dovrà andare di pari passo con unmaggiore coordinamento interno.La crisi non è stata solo un episodio isola-to, tale da consentirci un ritorno alla pre-cedente normalità. Le sfide a cui si trovadi fronte l’Unione sono più temibili rispet-to al periodo che ha preceduto la reces-sione, mentre il nostro margine di mano-vra è limitato. Per di più, il resto del mon-do non rimane certo fermo a guardare. Ilruolo rafforzato del G20 ha dimostrato ilsempre maggior potere economico e poli-tico delle economie emergenti.L’Europa si trova di fronte a scelte chiarema difficili. Possiamo affrontare insiemela sfida immediata della ripresa e le sfide alungo termine (globalizzazione, pressionesulle risorse, invecchiamento della popo-lazione) in modo da compensare le recen-ti perdite, riacquistare competitività eporre le basi per una curva crescente diprosperità nell’Ue (“ripresa sostenibile”).L’altra possibilità è proseguire le riforme a

un ritmo lento e scarsamente coordinato,nel qual caso rischiamo, a termine, unaperdita permanente di ricchezza, un de-bole tasso di crescita (“ripresa fiacca”), li-velli di disoccupazione elevati accompa-gnati da disagio sociale e da un relativodeclino sulla scena mondiale (“un decen-nio andato in fumo”).

L’Europa ce la può fareL’Europa vanta molti punti di forza: pos-siamo contare sul talento e sulla creativitàdei nostri cittadini, su una solida base in-dustriale, su un terziario dinamico, su unsettore agricolo prospero e di alta qualità,su una forte tradizione marittima, sul no-stro mercato unico e sulla moneta comu-ne, così come sulla nostra posizione comeprimo blocco commerciale del mondo eprincipale destinataria degli investimentiesteri diretti. Ma possiamo contare anche,ad esempio, sui nostri forti valori e sullenostre solide istituzioni democratiche,sulla nostra considerazione per la coesio-ne e la solidarietà economica, sociale eterritoriale, sul nostro rispetto dell’am-biente, sulla nostra diversità culturale esul rispetto della parità fra i sessi. Moltidei nostri Stati membri figurano tra leeconomie più innovative e sviluppate delmondo, ma per ottenere i migliori risultatil’Europa deve agire in modo collettivo, inquanto Unione.L’Ue e i suoi Stati membri hanno sempreraccolto le sfide poste in passato dagli av-venimenti di maggiore rilievo. Negli anni‘90 l’Europa ha lanciato il mercato unicopiù vasto del mondo, sostenuto da unamoneta comune. Solo pochi anni fa,l’adesione di nuovi Stati membri ha mes-

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so fine alla divisione dell’Europa, mentrealtri paesi iniziavano il percorso versol’adesione o verso relazioni più strettecon l’Unione. Negli ultimi due anni, le mi-sure comuni adottate al culmine della cri-si mediante il piano europeo di ripresahanno contribuito a scongiurare il tracolloeconomico, mentre i nostri sistemi assi-stenziali hanno attenuato in parte le con-seguenze negative per i cittadini.L’Europa è capace di agire in tempo di cri-si e di adeguare le sue economie e società.Oggi gli Europei si accingono ancora unavolta a vivere una fase di trasformazioneper far fronte all’impatto della crisi, allecarenze strutturali del nostro continente eall’accentuarsi delle sfide globali.In tale contesto, la nostra uscita dalla crisideve segnare il nostro ingresso in unanuova economia. Per garantire alla nostragenerazione e a quelle future una vita insalute e di ottima qualità, sostenuta daimodelli sociali unici dell’Europa, dobbia-mo agire. Abbiamo bisogno di una strate-gia che trasformi l’Ue in un’economia in-telligente, sostenibile e inclusiva caratte-rizzata da alti livelli di occupazione, pro-duttività e coesione sociale. La strategiaEuropa 2020 risponde a questa esigenza.Questo programma, destinato a tutti gliStati membri, tiene conto delle diverseesigenze, dei diversi punti di partenza edelle diverse specificità nazionali, al finedi promuovere la crescita per tutti.

2. UNA CRESCITA INTELLIGENTE, SO-STENIBILE E INCLUSIVAChe Europa vogliamo nel 2020?Europa 2020 deve essere incentrata sutre priorità1: crescita intelligente – svilup-

pare un’economia basata sulla conoscen-za e sull’innovazione; crescita sostenibile– promuovere un’economia più efficientesotto il profilo delle risorse, più verde epiù competitiva; crescita inclusiva – pro-muovere un’economia con un alto tassodi occupazione, che favorisca la coesioneeconomica, sociale e territoriale.Queste tre priorità, che si rafforzano a vi-cenda, delineano un quadro dell’econo-mia di mercato sociale europea per il XXIsecolo.È opinione diffusa che l’Ue debba concor-dare un numero limitato di obiettivi prin-cipali per il 2020 onde guidare i nostrisforzi e i nostri progressi. Questi obiettividevono rispecchiare il tema di una cresci-ta intelligente, sostenibile e inclusiva. De-vono essere misurabili, riflettere la diver-sità delle situazioni degli Stati membri ebasarsi su dati sufficientemente attendi-bili da consentire un confronto. Su questebasi sono stati selezionati i seguenti tra-guardi, la cui realizzazione sarà fonda-mentale per il nostro successo da qui al2020: il tasso di occupazione delle perso-ne di età compresa tra 20 e 64 anni do-vrebbe passare dall’attuale 69% ad alme-no il 75%, anche mediante una maggiorpartecipazione delle donne e dei lavora-tori più anziani e una migliore integrazio-ne dei migranti nella popolazione attiva;l’obiettivo attuale dell’Ue per gli investi-menti in R&S, pari al 3% del Pil, è riuscitoa richiamare l’attenzione sulla necessitàdi investimenti pubblici e privati, ma piùche sul risultato si basa sui mezzi utilizza-ti per raggiungerlo. È chiara l’esigenza dimigliorare le condizioni per la R&S privatanell’Ue, cosa che molte delle misure pro-

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poste nella presente strategia faranno. Èaltrettanto evidente che mettendo insie-me R&S e innovazione amplieremmo laportata della spesa, che diventerebbe piùmirata verso le operazioni commerciali e ifattori di produttività. La Commissionepropone di mantenere l’obiettivo al 3%definendo al tempo stesso un indicatoretale da riflettere l’intensità in termini diR&S e innovazione; ridurre le emissioni digas a effetto serra almeno del 20% rispet-to ai livelli del 1990 o del 30%, se sussi-stono le necessarie condizioni2; portare al20% la quota delle fonti di energia rinno-vabile nel nostro consumo finale di ener-gia e migliorare del 20% l’efficienza ener-getica; un obiettivo in termini di livellod’istruzione che affronti il problema del-l’abbandono scolastico riducendone iltasso dall’attuale 15% al 10% e aumentan-do la quota della popolazione di età com-presa tra 30 e 34 anni che ha completatogli studi superiori dal 31% ad almeno il40% nel 2020; il numero di Europei chevivono al di sotto delle soglie di povertànazionali dovrebbe essere ridotto del25%, facendo uscire dalla povertà più di20 milioni di persone3.Questi traguardi sono connessi tra di loro.Livelli d’istruzione più elevati, ad esempio,favoriscono l’occupazione e i progressicompiuti nell’aumentare il tasso di occu-pazione contribuiscono a ridurre la pover-tà. Una maggior capacità di ricerca e svi-luppo e di innovazione in tutti i settoridell’economia, associata ad un uso più ef-ficiente delle risorse, migliorerà la compe-titività e favorirà la creazione di posti di la-voro. Investendo in tecnologie più pulite abasse emissioni di carbonio si proteggerà

l’ambiente, si contribuirà a combattere ilcambiamento climatico e si creerannonuovi sbocchi per le imprese e nuovi postidi lavoro. La nostra attenzione collettivadeve concentrarsi sul raggiungimento diquesti traguardi. Occorreranno una lea-dership forte, un impegno adeguato e unmeccanismo di realizzazione efficace permodificare atteggiamenti e prassi nell’Ueonde ottenere i risultati sintetizzati inquesti obiettivi.Questi obiettivi sono rappresentativi, nonlimitativi, e danno un’idea generale dellamisura in cui, secondo la Commissione,l’Ue dovrebbe essersi conformata ai para-metri principali da qui al 2020. Questiobiettivi non rappresentano un approcciounico, “valido per tutti”. Ciascuno Statomembro è diverso e l’Ue a 27 è menoomogenea di quanto non fosse dieci annifa. Nonostante le disparità in termini di li-velli di sviluppo e tenore di vita, la Com-missione ritiene che i traguardi proposti siadattino a tutti gli Stati membri, vecchi enuovi. Gli investimenti in ricerca e svilup-po, innovazione, istruzione e tecnologieefficienti sotto il profilo delle risorse com-porteranno vantaggi per i settori tradizio-nali, per le zone rurali e per le economie diservizi altamente specialistici, rafforzandola coesione economica, sociale e territo-riale. Per garantire che ciascuno Statomembri adatti la strategia Europa 2020alla sua situazione specifica, la Commis-sione propone che questi traguardi del-l’Ue siano tradotti in obiettivi e percorsinazionali onde rispecchiare la situazioneattuale di ciascuno Stato membro e il li-vello di ambizione che è in grado di rag-giungere nell’ambito di uno sforzo globale

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su scala Ue per conseguire questi traguar-di. In aggiunta alle iniziative degli Statimembri, la Commissione proporràun’ambiziosa serie di azioni a livello di Uevolte a porre nuove basi, più sostenibili,per la crescita. Le misure a livello di Ue equelle nazionali dovrebbero rafforzarsi avicenda.

Crescita intelligente – un’economia basa-ta sulla conoscenza e sull’innovazioneUna crescita intelligente è quella che pro-muove la conoscenza e l’innovazione co-me motori della nostra futura crescita. Ciòsignifica migliorare la qualità dell’istruzio-ne, potenziare la ricerca in Europa, pro-muovere l’innovazione e il trasferimentodelle conoscenze in tutta l’Unione, utiliz-zare in modo ottimale le tecnologie del-l’informazione e della comunicazione efare in modo che le idee innovative si tra-sformino in nuovi prodotti e servizi tali dastimolare la crescita, creare posti di lavorodi qualità e contribuire ad affrontare lesfide proprie della società europea emondiale. Per raggiungere lo scopo, tutta-via, la nostra azione deve essere associataa imprenditoria, finanziamenti e un’atten-zione particolare per le esigenze degliutenti e le opportunità di mercato.L’Europa deve agire sui seguenti fronti:innovazione: la spesa europea per l’R&S èinferiore al 2%, contro il 2,6% negli StatiUniti e il 3,4% in Giappone, soprattutto acausa dei livelli più bassi di investimentiprivati. Non contano soltanto gli importiassoluti spesi in R&S: l’Europa deve con-centrarsi sull’impatto e sulla composizio-ne della spesa per la ricerca e migliorare lecondizioni per l’R&S del settore privato

nell’Unione. La nostra quota meno eleva-ta di imprese ad alta tecnologia giustificaper metà il divario fra noi e gli Stati Uniti;istruzione, formazione e formazione con-tinua: un quarto degli studenti ha scarsecapacità di lettura, mentre un giovane susette abbandona troppo presto la scuolae la formazione. Circa il 50% raggiunge unlivello di qualificazione medio, che peròspesso non corrisponde alle esigenze delmercato del lavoro. Meno di una personasu tre di età compresa tra 25 e 34 anni hauna laurea, contro il 40% negli Stati Unitie oltre il 50% in Giappone. Secondo l’in-dice di Shangai, solo due università euro-pee figurano tra le prime 20 del mondo;società digitale: la domanda globale ditecnologie dell’informazione e della co-municazione rappresenta un mercato di 8000 miliardi di euro, di cui però solo unquarto proviene da imprese europee.L’Europa accusa inoltre un ritardo perquanto riguarda l’internet ad alta velocità,che si ripercuote negativamente sulla suacapacità di innovare, anche nelle zone ru-rali, sulla diffusione delle conoscenze on-line e sulla distribuzione online di beni eservizi.Le misure adottate nell’ambito di questapriorità permetteranno di esprimere lecapacità innovative dell’Europa, miglio-rando i risultati nel settore dell’istruzionee il rendimento degli istituti di insegna-mento e sfruttando i vantaggi che una so-cietà digitale comporta per l’economia ela società. Queste politiche devono essereattuate a livello regionale, nazionale e del-l’Ue.

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Crescita sostenibile – promuovereun’economia più efficiente sotto il profilodelle risorse, più verde e più competitivaCrescita sostenibile significa costruireun’economia efficiente sotto il profilodelle risorse, sostenibile e competitiva,sfruttare il ruolo guida dell’Europa persviluppare nuovi processi e tecnologie,comprese le tecnologie verdi, accelerarela diffusione delle reti intelligenti che uti-lizzano le TIC, sfruttare le reti su scala eu-ropea e aumentare i vantaggi competitividelle nostre imprese, specie per quantoriguarda l’industria manifatturiera e lePMI, e fornire assistenza ai consumatoriper valutare l’efficienza sotto il profilodelle risorse. In tal modo si favorirà laprosperità dell’Ue in un mondo a basseemissioni di carbonio e con risorse vinco-late, evitando al tempo stesso il degradoambientale, la perdita di biodiversità el’uso non sostenibile delle risorse e raf-forzando la coesione economica, socialee territoriale.L’Europa deve agire sui seguenti fronti:competitività: l’Ue è diventata prosperagrazie al commercio, esportando in tuttoil mondo e importando tanto fattori diproduzione quanto prodotti finiti. Le fortipressioni sui mercati di esportazione ciimpongono di migliorare la nostra compe-titività nei confronti dei nostri principalipartner commerciali mediante una pro-duttività più elevata. Dovremo affrontareil problema della competitività relativanell’area dell’euro e nell’intera Ue. L’Ueha aperto la strada per quanto riguarda lesoluzioni verdi, ma la sua posizione di lea-der è minacciata dai suoi principali con-correnti, in particolare la Cina e l’America

settentrionale. L’Ue deve conservare lasua posizione di leader sul mercato delletecnologie verdi per garantire l’uso effi-ciente delle risorse nell’intera economia,eliminando al tempo stesso le strozzaturenelle principali infrastrutture di rete e ri-lanciando quindi la nostra competitivitàindustriale; lotta al cambiamento climati-co: per conseguire i nostri obiettivi dob-biamo ridurre le emissioni molto più rapi-damente nel prossimo decennio rispettoa quello passato e sfruttare appieno il po-tenziale delle nuove tecnologie, come lepossibilità di cattura e sequestro del car-bonio. Un uso più efficiente delle risorsecontribuirebbe in misura considerevole aridurre le emissioni, a far risparmiare de-naro e a rilanciare la crescita economica.Questo riguarda tutti i comparti dell’eco-nomia, non solo quelli ad alta intensità diemissioni. Dobbiamo inoltre aumentarela resistenza delle nostre economie ai ri-schi climatici, così come la nostra capacitàdi prevenzione delle catastrofi e di rispo-sta alle catastrofi; energia pulita ed effi-ciente: se conseguiamo i nostri obiettivi inmateria di energia, risparmieremo 60 mi-liardi di euro di importazioni petrolifere edi gas da qui al 2020. Non si tratta solo diun risparmio in termini finanziari, ma diun aspetto essenziale per la nostra sicu-rezza energetica. Facendo ulteriori pro-gressi nell’integrazione del mercato euro-peo dell’energia si potrebbe aggiungereuno 0,6% supplementare all’0,8% del Pil.La sola realizzazione dell’obiettivo Ue del20% di fonti rinnovabili di energia potreb-be creare oltre 600 000 posti di lavoronell’Unione che passano a oltre 1 milionese si aggiunge l’obiettivo del 20% per

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quanto riguarda l’efficienza energetica.Agire nell’ambito di questa priorità signi-fica rispettare i nostri impegni di riduzio-ne delle emissioni in modo da massimiz-zare i benefici e ridurre al minimo i costi,anche mediante la diffusione di soluzionitecnologiche innovative. Dobbiamo inol-tre cercare di scindere la crescita dall’usodell’energia e di diventare un’economiapiù efficiente sotto il profilo delle risorse,il che conferisce all’Europa un vantaggiocompetitivo riducendone al tempo stessola dipendenza dalle fonti estere di materieprime e prodotti di base.Crescita inclusiva – un’economia con unalto tasso di occupazione che favorisca lacoesione economica, sociale e territorialeCrescita inclusiva significa rafforzare lapartecipazione delle persone mediante li-velli di occupazione elevati, investire nellecompetenze, combattere la povertà e mo-dernizzare i mercati del lavoro, i metodi diformazione e i sistemi di protezione so-ciale per aiutare i cittadini a prepararsi aicambiamenti e a gestirli e costruire unasocietà coesa. È altrettanto fondamentaleche i benefici della crescita economica siestendano a tutte le parti dell’Unione,comprese le regioni ultraperiferiche, inmodo da rafforzare la coesione territoria-le. L’obiettivo è garantire a tutti accesso eopportunità durante l’intera esistenza.L’Europa deve sfruttare appieno le po-tenzialità della sua forza lavoro per farfronte all’invecchiamento della popola-zione e all’aumento della concorrenzaglobale. Occorreranno politiche in favoredella parità fra i sessi per aumentare lapartecipazione al mercato del lavoro inmodo da favorire la crescita e la coesione

sociale. L’Europa deve agire sui seguentifronti: occupazione: il cambiamento de-mografico provocherà prossimamenteuna diminuzione della forza lavoro. At-tualmente solo due terzi della popolazio-ne in età lavorativa hanno un posto di la-voro, rispetto a oltre il 70% negli Usa e inGiappone Il tasso di occupazione delledonne e dei lavoratori più anziani è parti-colarmente basso. I giovani sono stati du-ramente colpiti dalla crisi (tasso di disoc-cupazione di oltre il 21%). Si rischia seria-mente che le persone escluse dal mondolavorativo o non fortemente legate ad es-so vedano peggiorare la loro situazioneoccupazionale.Competenze: circa 80 milioni di personehanno scarse competenze o solo compe-tenze di base, ma l’apprendimento lungotutto l’arco della vita avvantaggia soprat-tutto le persone più istruite. Da qui al2020 saranno creati 16 milioni di posti al-tamente qualificati, mentre i posti scarsa-mente qualificati scenderanno di 12 milio-ni. L’allungamento della vita lavorativapresuppone anche la possibilità di acqui-sire e sviluppare nuove competenze du-rante tutto l’arco della vita.Lotta alla povertà: prima della crisi eranoa rischio di povertà 80 milioni di persone,tra cui 19 milioni di bambini. L’8% dellapopolazione attiva non guadagna abba-stanza e vive al di sotto della soglia di po-vertà. I disoccupati sono particolarmentea rischio.Le misure adottate nell’ambito di questapriorità consisteranno nel modernizzare epotenziare le nostre politiche in materiadi occupazione, istruzione e formazione ei nostri sistemi di protezione sociale au-

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mentando la partecipazione al mercatodel lavoro e riducendo la disoccupazionestrutturale, nonché rafforzando la re-sponsabilità sociale delle imprese. L’ac-cesso alle strutture per l’infanzia e alle cu-re per le altre persone a carico sarà impor-tante al riguardo. In tale contesto saràfondamentale applicare i principi dellaflessicurezza e consentire alle persone diacquisire nuove competenze per adeguar-si alle mutate condizioni e all’eventualeriorientamento professionale. Occorreràun impegno considerevole per lottarecontro la povertà e l’esclusione sociale eridurre le disuguaglianze in termini di sa-lute per far sì che la crescita risulti vantag-giosa per tutti. Sarà altrettanto importan-te per noi essere in grado di favorire un in-vecchiamento attivo e in buona salute on-de garantire una coesione sociale e unaproduttività più elevata.

3. ANELLI MANCANTI E STROZZATUREPer realizzare gli obiettivi della strategiaoccorre mobilitare tutte le politiche, glistrumenti, gli atti legislativi e gli strumentifinanziari dell’Ue. La Commissione inten-de potenziare le politiche e gli strumentiprincipali, come il mercato unico, il bilan-cio e l’agenda economica esterna dell’Ue,per concentrarsi sulla realizzazione degliobiettivi di Europa 2020. Le proposteoperative volte a garantire il loro pienocontributo alla strategia sono parte inte-grante di Europa 2020.

3.1. Un mercato unico per il XXI secoloUn mercato unico più forte, approfonditoed esteso è fondamentale per la crescita ela creazione di posti di lavoro. Le tenden-

ze attuali, tuttavia, denotano un rallenta-mento dell’integrazione e una certa disil-lusione nei confronti del mercato unico.La crisi ha inoltre suscitato tentazioni dinazionalismo economico. La vigilanza del-la Commissione e un comune senso di re-sponsabilità degli Stati membri hanno im-pedito che si scivolasse verso la disinte-grazione. Occorre però un nuovo slancio,un reale impegno politico, per rilanciare ilmercato unico mediante la rapida adozio-ne delle iniziative di cui sopra. Questo im-pegno politico richiederà una serie di mi-sure per ovviare alle carenze del mercatounico.Le imprese e i cittadini si scontrano quo-tidianamente con le strozzature cheostacolano tuttora le attività transfron-taliere nonostante l’esistenza giuridicadel mercato unico e si rendono conto chel’interconnessione delle reti è insuffi-ciente e che l’applicazione delle regoledel mercato unicorimane disomogenea. Spesso le imprese ei cittadini hanno ancora a che fare con 27sistemi giuridici diversi per la stessa tran-sazione. Mentre le nostre imprese devonoancora far fronte a una realtà quotidianadi frammentazione e regole divergenti, iloro concorrenti cinesi, statunitensi ogiapponesi si avvalgono pienamente deivantaggi conferiti dai loro vasti mercatinazionali.Il mercato unico è stato pensato primadell’avvento di internet, prima che le tec-nologie dell’informazione e della comuni-cazione diventassero il principale motoredi crescita e prima che i servizi acquisisse-ro una tale predominanza nell’economiaeuropea. La comparsa di nuovi servizi

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Commissione farà in modo che il mercatounico rimanga un mercato aperto, assicu-rando anche in futuro pari opportunità al-le imprese e lottando contro il protezioni-smo nazionale. Ma la politica di concor-renza darà un ulteriore contributo al con-seguimento degli obiettivi di Europa2020. La politica di concorrenza garanti-sce che i mercati creino condizioni favore-voli all’innovazione, impedendo ad esem-pio le violazioni dei diritti di brevetto e diproprietà. Impedire gli abusi di mercato egli accordi anticoncorrenziali tra impresesignifica fornire le garanzie necessarie perincentivare l’innovazione. Anche la politi-ca sugli aiuti di Stato può dare un contri-buto attivo e costruttivo agli obiettivi diEuropa 2020 stimolando e sostenendo leiniziative riguardanti tecnologie più inno-vative, più efficienti e più verdi e agevo-lando parallelamente l’accesso al soste-gno pubblico per gli investimenti, al capi-tale di rischio e ai finanziamenti per la ri-cerca e lo sviluppo.Per eliminare le strozzature esistenti nelmercato unico, la Commissione proporràmisure volte a: rafforzare le strutture af-finché le misure del mercato unico, tra cuila regolamentazione delle reti, la direttivasui servizi e il pacchetto sulla regolamen-tazione e la vigilanza dei mercati finanzia-ri, siano attuate in modo tempestivo ecorretto, garantirne un’applicazione effi-cace e risolvere rapidamente gli eventualiproblemi; accelerare l’attuazione del pro-gramma “Regolamentazione intelligente”,anche valutando la possibilità di un piùampio uso dei regolamenti anziché delledirettive, avviando una valutazione ex-post della normativa vigente, proseguen-

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(contenuti e media, sanità, misurazioneintelligente del consumo di energia, ecc.)racchiude un potenziale enorme, che tut-tavia potrà essere sfruttato solo se l’Euro-pa ovvierà alla frammentazione che at-tualmente blocca il flusso di contenuti on-line e l’accesso da parte di consumatori eimprese.Per orientare il mercato unico verso il rag-giungimento degli obiettivi di Europa2020, l’Unione dovrà garantire il correttofunzionamento e collegamento dei mer-cati, in modo da trasformare la concorren-za e l’accesso da parte dei consumatori infattori di stimolo per la crescita e l’innova-zione. Occorre creare un mercato unicoaperto per i servizi in base alla direttivasui servizi, garantendo al tempo stesso laqualità dei servizi forniti ai consumatori.La piena attuazione della direttiva sui ser-vizi potrebbe aumentare gli scambi di ser-vizi commerciali del 45% e gli investimen-ti esteri diretti del 25%, con un conse-guente incremento del Pil compreso tra lo0,5% e l’1,5%.Occorre migliorare l’accesso delle Pmi almercato unico e promuovere l’imprendi-toria mediante iniziative politiche concre-te, tra cui la semplificazione del diritto so-cietario (procedure fallimentari, statutodella società privata, ecc.), e iniziative checonsentano agli imprenditori falliti di rico-minciare un’attività. Il coinvolgimento deicittadini è necessario ai fini della loro pie-na partecipazione al mercato unico. In talsenso, occorre offrire loro maggiori possi-bilità e dare loro maggiori garanzie perquanto riguarda l’acquisto di beni e servi-zi oltrefrontiera, soprattutto online,Attuando la politica di concorrenza, la

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do il monitoraggio del mercato, riducendogli oneri amministrativi, rimuovendo gliostacoli fiscali, migliorando il clima im-prenditoriale, in particolare per le Pmi, esostenendo l’imprenditoria; adeguare lalegislazione europea e nazionale all’eradigitale per favorire la circolazione deicontenuti con un alto grado di affidabilitàper consumatori e imprese. A tal fine oc-corre aggiornare le norme su responsabi-lità, garanzie, fornitura e risoluzione dellecontroversie;agevolare e rendere meno onerosa perimprese e consumatori la conclusione dicontratti con partner di altri paesi dell’Ue,segnatamente offrendo soluzioni armo-nizzate per i contratti stipulati con i con-sumatori, introducendo clausole contrat-tuali tipo a livello di Ue e facendo pro-gressi verso una legge europea facoltativain materia di contratti;agevolare e rendere meno onerosa l’appli-cazione dei contratti per imprese e consu-matori e riconoscere le sentenze e i docu-menti emessi da giudici di altri paesi dell’Ue.

3.2. Investire nella crescita: politica dicoesione, mobilitare il bilancio dell’Ue e ifinanziamenti privatiLa coesione economica, sociale e territo-riale rimarrà al centro della strategia Eu-ropa 2020 per garantire che tutte le ener-gie e tutte le capacità vengano mobilitatee orientate verso la realizzazione dellepriorità della strategia. La politica di coe-sione e i fondi strutturali, già importanti diper sé, sono meccanismi fondamentaliper realizzare le priorità di una crescita in-telligente, sostenibile e inclusiva negliStati membri e nelle regioni.

La crisi finanziaria ha inciso in misuraconsiderevole sulla capacità delle im-prese e dei governi europei di finanziareinvestimenti e progetti innovativi. Larealizzazione degli obiettivi di Europa2020 presuppone un contesto normati-vo che renda i mercati finanziari effi-cienti e sicuri. L’Europa deve fare tutto ilpossibile per utilizzare i suoi mezzi fi-nanziari ed esplorare nuove piste com-binando finanziamenti privati e pubblicie creando strumenti innovativi per fi-nanziare gli investimenti necessari, co-me ad esempio i partenariati pubblico-privato (PPP). La Banca europea per gliinvestimenti e il Fondo europeo per gliinvestimenti possono contribuire a so-stenere un “circolo virtuoso” in cui l’in-novazione e l’imprenditoria siano util-mente finanziate dagli investimenti ini-ziali fino alla quotazione sui mercatiazionari, in partenariato con le numero-se iniziative e programmi pubblici già incorso a livello nazionale.Il quadro finanziario pluriennale dell’Uedovrà rispecchiare anche le priorità dicrescita a lungo termine. Una volta con-cordate le priorità, la Commissione in-tende integrarle nelle sue proposte per ilprossimo quadro finanziario pluriennaleprevisto l’anno prossimo. La discussionenon dovrebbe riguardare soltanto i livellidi finanziamento, ma anche il modo in cuii vari strumenti di finanziamento come ifondi strutturali, i fondi di sviluppo ruralee agricolo, il programma quadro di ricercae il programma quadro per la competiti-vità e l’innovazione (Cip) devono esserestrutturati per la realizzazione degliobiettivi di Europa 2020 in modo da

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massimizzare l’impatto e garantire l’effi-cienza e il valore aggiunto dell’Ue. Saràimportante trovare il modo di aumentarel’impatto del bilancio Ue che, seppur li-mitato, può avere un notevole effetto ca-talizzatore a condizione di essere oppor-tunamente mirato.La Commissione proporrà misure volte asviluppare soluzioni di finanziamento in-novative per sostenere gli obiettivi di Eu-ropa 2020 sfruttando appieno la possibi-lità di migliorare l’efficacia e l’efficienzadell’attuale bilancio dell’Ue mediante unadefinizione più mirata delle priorità e unmigliore allineamento della spesa dell’Uecon gli obiettivi di Europa 2020, onde ov-viare all’attuale frammentazione deglistrumenti di finanziamento dell’Unione(ad esempio, R&S e innovazione, investi-menti infrastrutturali chiave nelle retitransfrontaliere dell’energia e dei traspor-ti e tecnologia a basse emissioni di carbo-nio). Occorre inoltre cogliere l’occasioneofferta dalla revisione del regolamento fi-nanziario per sviluppare le potenzialitàdegli strumenti finanziari innovativi, ga-rantendo al tempo stesso una sana ge-stione finanziaria; creando nuovi stru-menti di finanziamento, in particolare incooperazione con la Bei, il Fei e il settoreprivato, per rispondere alle esigenze nonancora soddisfatte delle imprese. Nel-l’ambito del prossimo piano per la ricercae l’innovazione, la Commissione coordi-nerà un’iniziativa con la Bei e il Fei ondereperire capitali supplementari per finan-ziare le imprese innovative e in espansio-ne; dotando l’Europa di un mercato delventure capital veramente efficiente, inmodo da facilitare considerevolmente

l’accesso diretto delle imprese ai mercatidei capitali e cercando incentivi per i fondidel settore privato tali da rendere dispo-nibili finanziamenti per le imprese start-up e per le Pmi innovative.

3.3 Utilizzare i nostri strumenti di politicaesteraLa crescita globale offrirà nuove opportu-nità agli esportatori europei e un accessocompetitivo alle importazioni vitali. Tuttigli strumenti della politica economicaesterna devono essere utilizzati per sti-molare la crescita europea mediante lanostra partecipazione a mercati aperti edequi di tutto il mondo. Ciò vale per gliaspetti esterni delle nostre politiche inter-ne (energia, trasporti, agricoltura, R&S,ecc.), e in particolare per il commercio e ilcoordinamento delle politiche macroeco-nomiche internazionali. Un’Europa aper-ta, che funzioni in un contesto internazio-nale basato su regole, è il modo migliorareper sfruttare i benefici della globalizzazio-ne onde rilanciare la crescita e l’occupa-zione. Al tempo stesso, l’Ue deve affer-marsi maggiormente sulla scena mondia-le, svolgendo un ruolo guida nel forgiare ilfuturo ordinamento economico mondialein sede di G20, e tutelare gli interessi eu-ropei utilizzando attivamente tutti glistrumenti di cui dispone.La crescita che l’Europa deve generare nelprossimo decennio dovrà provenire inparte dalle economie emergenti, le cuiclassi medie sviluppano e importano benie servizi per i quali l’Unione europea godedi un vantaggio comparativo. In quantoprimo blocco commerciale del mondo,per prosperare l’Ue deve essere aperta al-

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l’esterno e prestare la massima attenzio-ne a ciò che le altre economie sviluppate oemergenti fanno per prevedere le tenden-ze future o adeguarvisi.Dobbiamo prefiggerci in via prioritaria diagire in sede di Omc e a livello bilateraleonde migliorare l’accesso al mercato perle imprese dell’Ue, comprese le PMI, e ga-rantire loro condizioni di parità rispetto ainostri concorrenti esterni. Dobbiamoinoltre rendere più mirati e razionali i no-stri dialoghi normativi, in particolare insettori nuovi come il clima e la crescitaverde, ampliando per quanto possibile lanostra influenza a livello mondiale me-diante la promozione di equivalenza, rico-noscimento reciproco e convergenza sulleprincipali questioni normative, nonchél’adozione delle nostre norme e dei nostristandard. La strategia Europa 2020 non siapplica solo all’interno dell’Ue, ma puòracchiudere notevoli potenzialità per ipaesi candidati e per i nostri vicini e aiu-tarli ad ancorare maggiormente i loro pro-cessi di riforma. Ampliando il territorio incui vengono applicate le norme Ue si of-friranno nuove opportunità all’Ue e aipaesi limitrofi. Uno degli obiettivi più im-portanti dei prossimi anni consisterà inol-tre nell’allacciare relazioni strategiche conle economie emergenti per discutere degliaspetti di comune interesse, promuoverela cooperazione normativa e di altro tipo erisolvere le questioni bilaterali. Le struttu-re alla base di queste relazioni dovrannoessere flessibili e improntate a principi piùpolitici che tecnici.Nel 2010 la Commissione elaborerà unastrategia commerciale per l’Europa 2020che comprenderà: un forte accento sulla

conclusione dei negoziati commercialimultilaterali e bilaterali in corso, in parti-colare quelli con il maggior potenzialeeconomico, e una migliore applicazionedegli accordi esistenti, con particolare at-tenzione alle barriere non tariffarie agliscambi; iniziative di apertura commercialeper i settori del futuro, come prodotti etecnologie “verdi” e prodotti e servizi adalta tecnologia, così come per la standar-dizzazione internazionale, specialmentenei settori di crescita; proposte di dialoghistrategici ad alto livello con i partner prin-cipali per discutere di questioni strategi-che come l’accesso al mercato, il quadronormativo, gli squilibri globali, l’energia eil cambiamento climatico, l’accesso allematerie prime, la povertà nel mondo,l’istruzione e lo sviluppo. La Commissionepunterà inoltre a potenziare il Consiglioeconomico transatlantico con gli StatiUniti e il dialogo economico ad alto livellocon la Cina e ad approfondire le sue rela-zioni con il Giappone e la Russia; una re-lazione sugli ostacoli al commercio e agliinvestimenti, presentata per la prima vol-ta nel 2011 e poi ogni anno prima del Con-siglio europeo di primavera, sui modi permigliorare l’accesso al mercato e il conte-sto normativo per le imprese dell’Ue.L’Ue opera a livello globale e prende mol-to sul serio le sue responsabilità interna-zionali. L’Unione ha dato vita ad un vero eproprio partenariato con i paesi in via disviluppo per eliminare la povertà, pro-muovere la crescita e conseguire gli obiet-tivi di sviluppo del millennio (Osm). In fu-turo dovremo adoperarci con maggioreimpegno per approfondire le strette rela-zioni di partenariato che ci legano all’Afri-

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ca. Ciò si inserirà in uno sforzo più ampiovolto ad incrementare gli aiuti allo svilup-po e a migliorare l’efficacia dei nostri pro-grammi di assistenza, in particolare me-diante una divisione razionale dei compiticon gli Stati membri e una migliore inte-grazione degli obiettivi di sviluppo in altrepolitiche dell’Unione europea.

4. USCITA DALLA CRISI: PRIMI PASSIVERSO IL 2020Per combattere la crisi, si è fatto ampia-mente e risolutamente ricorso a strumen-ti politici. La politica di bilancio ha avuto,ove possibile, un ruolo espansivo e con-trociclico; i tassi di interesse sono stati ri-dotti ai minimi storici, mentre al settorefinanziario è stata fornita liquidità comemai in precedenza. I governi hanno datoun consistente appoggio alle banche, me-diante garanzie o ricorrendo alla ricapita-lizzazione oppure attraverso la rimozionedai bilanci degli attivi deteriorati. Altri set-tori dell’economia sono stati sostenutimediante il quadro di riferimento tempo-raneo, ed eccezionale, per le misure diaiuto di Stato. Tutte queste azioni sonostate, e ancora sono, giustificate, ma nonpossono essere mantenute per sempre.Non è possibile sostenere elevati livelli didebito pubblico a tempo indeterminato. Ilperseguimento degli obiettivi proposti per“Europa 2020” deve basarsi su una stra-tegia di uscita credibile che riguardi tantola politica di bilancio e monetaria quantoil sostegno diretto fornito dai governi aisettori economici, in particolare al settorefinanziario. È importante che, nel quadrodi questa strategia di uscita, le diverse po-litiche e i diversi strumenti di aiuto venga-

no abbandonati seguendo un certo ordi-ne. Un coordinamento rafforzatodelle politiche economiche, in particolareall’interno dell’area dell’euro, dovrebbeportare al successo di una strategia diuscita globale.

4.1. Definizione di una strategia di uscitacredibilePoiché le incertezze sulle prospettive eco-nomiche e le fragilità del settore finanzia-rio non sono del tutto fugate, le misure disostegno possono essere abbandonatesolo quando la ripresa economica avràuna propria autonomia e quando saràstata ripristinata la stabilità finanziaria4. Ilritiro delle misure temporanee inerenti al-la crisi dovrebbe essere coordinato e te-nere conto delle possibili ricadute negati-ve tanto nei vari Stati membri quanto re-lativamente all’interazione tra i diversistrumenti politici. Occorre che siano riap-plicate le consuete norme in materia diaiuti di Stato, innanzitutto ponendo ter-mine al quadro di riferimento tempora-neo per le misure di aiuto di Stato. Un ta-le approccio coordinato dovrebbe basarsisui seguenti principi: il ritiro dello stimolodi bilancio dovrebbe iniziare non appenala ripresa si mostra stabile. Tuttavia, il ca-lendario potrebbe differire da un paeseall’altro ed è quindi necessario che vi siaun forte coordinamento a livello europeo;il sostegno di disoccupazione a breve ter-mine dovrebbe cominciare ad essere gra-dualmente eliminato solo quando si saràappurato che vi è stata una duratura svol-ta nella crescita del Pil e che di conse-guenza, entro tempi fisiologici, anchel’occupazione avrà cominciato a crescere;

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la graduale eliminazione dei regimi di so-stegno settoriale dovrebbe iniziare intempi brevi. Questo perché tali regimi im-plicano notevoli costi di bilancio, perchési ritiene che essi abbiano globalmenterealizzato i loro obiettivi, nonché in consi-derazione dei loro possibili effetti di di-storsione sul mercato unico; il sostegno afavore dell’accesso ai finanziamenti do-vrebbe essere mantenuto fintanto chenon si vedano chiari segni del fatto che lecondizioni di finanziamento a favore delleimprese sono tornate globalmente allanormalità; il ritiro del sostegno al settorefinanziario, a partire dai regimi statali digaranzia, dipenderà dallo stato dell’eco-nomia in generale e dalla stabilità del si-stema finanziario in particolare.

4.2. Riforma del sistema finanziarioUna priorità fondamentale nel breve ter-mine sarà quella di ripristinare un settorefinanziario solido, stabile e sano, capacedi finanziare l’economia reale. Questo ri-chiederà la piena attuazione degli impegnidel G20 nei tempi stabiliti. Sarà necessa-rio, in particolare, realizzare cinque obiet-tivi: attuare le riforme concordate in ma-teria di vigilanza del settore finanziario;colmare le lacune normative e promuove-re così la trasparenza, la stabilità e la re-sponsabilità, in particolare per quanto ri-guarda i derivati e l’infrastruttura del mer-cato; completare il rafforzamento dellenorme prudenziali, contabili e in materiadella tutela dei consumatori sotto formadi un’unica normativa europea che si oc-cupi adeguatamente di tutti i soggetti e imercati finanziari; rafforzare la governan-ce delle istituzioni finanziarie, al fine di

trovare una soluzione ai punti deboli indi-viduati nel corso della crisi finanziaria nel-l’ambito dell’individuazione e della ge-stione del rischio; mettere in moto unapolitica ambiziosa che ci consenta in futu-ro di prevenire più efficacemente e, se ne-cessario, gestire meglio le eventuali crisifinanziarie e che valuti la possibilità - inconsiderazione della specifica responsa-bilità del settore finanziario nell’attualecrisi – che dal settore finanziario giunga-no adeguati contributi.

4.3. Mirare ad un intelligente risanamentodel bilancio per una crescita a lungo ter-mineAffinché sia possibile ripristinare le con-dizioni per una crescita e un’occupazionesostenibili è indispensabile che le finanzepubbliche siano sane ed è quindi neces-sario che vi sia una strategia di uscita glo-bale. Una tale strategia implicherà il pro-gressivo ritiro del sostegno anti-crisi abreve termine e l’introduzione di riformea medio e lungo termine volte a promuo-vere la sostenibilità delle finanze pubbli-che e a incentivare la crescita potenziale.Il patto di stabilità e crescita offre il giustocontesto per attuare strategie di uscita alivello di bilancio e gli Stati membri stan-no definendo strategie di questo tipo nelquadro dei loro programmi di stabilità econvergenza. Per la maggior parte deipaesi, il 2011 dovrebbe, di norma, segnarel’inizio del risanamento di bilancio, men-tre, in linea di massima, il processo volto aportare i disavanzi al di sotto del 3% delPil dovrebbe essere completato entro il2013. Tuttavia, è possibile che in diversipaesi la fase di risanamento debba avere

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inizio prima del 2011 con la conseguenzache in questi casi il ritiro del sostegnotemporaneo anti-crisi e il risanamento dibilancio debbano avere luogo contempo-raneamente.Al fine di incentivare il potenziale di cre-scita economica dell’Ue e promuovere lasostenibilità dei nostri modelli sociali, il ri-sanamento delle finanze pubbliche perse-guito nell’ambito del patto di stabilità ecrescita impone che siano definite prioritàe che vengano operate scelte difficili: ilcoordinamento a livello di Ue può aiutaregli Stati membri in questo compito e con-tribuire a far fronte alle ricadute negative.Inoltre, la composizione e la qualità dellaspesa pubblica svolgono un ruolo impor-tante: i programmi di risanamento del bi-lancio devono privilegiare fattori di cresci-ta come l’istruzione e lo sviluppo di com-petenze, la R&S e l’innovazione nonchégli investimenti nelle reti, ad esempio nel-l’internet ad alta velocità e nelle intercon-nessioni energetiche e di trasporto, chesono i settori tematici principali dellastrategia Europa 2020. Anche le entratedi bilancio hanno il loro peso e bisogne-rebbe dedicare un’attenzione particolareanche alla qualità del sistema delle entra-te/dei tributi. Nei casi in cui sia necessa-rio aumentare le tasse, questo dovrà es-sere fatto, ove possibile, rendendo altempo stesso il sistema tributario più fa-vorevole alla crescita. Ad esempio, biso-gnerebbe evitare di aumentare la pressio-ne fiscale sul lavoro, come invece è statofatto in passato con gravi conseguenzesull’occupazione. Gli Stati membri do-vrebbero piuttosto cercare di spostare ilcarico dalle tasse sul lavoro alle tasse

energetiche e ambientali, nell’ambito diun sistema fiscale più “verde”. Il risana-mento di bilancio e la sostenibilità finan-ziaria a lungo termine non possono pre-scindere da importanti riforme strutturali,in particolare in materia di pensioni, di sa-nità, di protezione sociale e di sistemi diistruzione. L’amministrazione pubblicadovrebbe cogliere questa occasione perpotenziare l’efficienza e la qualità del ser-vizio. La politica in materia di appalti pub-blici deve garantire l’uso più efficace deifondi pubblici e i mercati degli appaltipubblici devono essere mantenuti apertia livello di Ue.

4.4 Coordinamento all’interno dell’Unio-ne economica e monetariaPer gli Stati membri che hanno adottatol’euro, la moneta comune ha rappresenta-to una valida protezione contro le turbo-lenze dei tassi di cambio. Ma la crisi ha an-che rivelato l’entità dell’interdipendenzatra le economie dell’area del’euro, in par-ticolare in campo finanziario, con il con-seguente aumento delle probabilità di ef-fetti di ricaduta. Modelli di crescita diversiportano talvolta all’accumulo di debitipubblici insostenibili e di conseguenza auna pressione sulla moneta unica. La crisiha dunque amplificato alcune delle sfidecui l’area dell’euro deve far fronte, adesempio la sostenibilità delle finanzepubbliche e della crescita potenziale, maanche il ruolo destabilizzante degli squili-bri e dei divari in materia di competitività.Vincere queste sfide nell’area dell’euro èimportantissimo ed urgente affinché siassicuri la stabilità e una crescita sosteni-bile che produca occupazione. Per far

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fronte a tali sfide è necessario un piùstretto coordinamento delle politiche, chepreveda: la definizione di un contesto fi-nalizzato ad esercitare una vigilanza piùapprofondita e più ampia sui paesi del-l’area dell’euro: oltre al rafforzamentodella disciplina di bilancio, la vigilanzaeconomica deve essere rivolta anche aglisquilibri macroeconomici e agli sviluppidella competitività, in particolare al fine diagevolare una stabilizzazione indotta me-diante scelte politiche; la definizione di uncontesto finalizzato a rispondere alle mi-nacce imminenti che incombono sulla sta-bilità finanziaria dell’area dell’euro nelsuo insieme; un’adeguata rappresentanzaesterna dell’area dell’euro che permettadi affrontare con determinazione le sfideglobali di carattere economico e finanzia-rio. La Commissione formulerà proposteper tradurre in pratica questi spunti.

5. RISULTATI: UNA GOVERNANCE PIÙFORTEPer giungere al cambiamento trasforma-zionale, la strategia Europa 2020 dovràessere maggiormente concentrata, fissarsiobiettivi chiari e disporre di dati compara-tivi trasparenti per la valutazione dei pro-gressi. Ciò richiederà un solido quadro digovernance che consenta di utilizzare glistrumenti a disposizione in modo da ga-rantire una realizzazione efficace entrotermini prestabiliti.

5.1. Proposta di strutturazione della stra-tegia Europa 2020La strategia dovrebbe essere incentrata suun approccio tematico e su una vigilanza alivello di singoli paesi più mirata. Ci si gio-

verà a tal fine dei punti di forza di stru-menti di coordinamento già esistenti. Piùspecificamente: Un approccio tematicodovrebbe far sì che l’attenzione si concen-tri sui temi individuati alla sezione 2, inparticolare sul raggiungimento dei 5obiettivi principali. Lo strumento princi-pale dovrebbe essere rappresentato dalprogramma della strategia Europa 2020 edalle sue iniziative faro, che richiedonoun’azione a livello tanto dell’Ue quantodegli Stati membri (cfr. sezione 2 e allegati1 e 2). L’approccio tematico riflette la di-mensione Ue, mostra chiaramente l’inter-dipendenza delle economie degli Statimembri e consente una maggiore seletti-vità a favore di iniziative concrete che fan-no avanzare la strategia e contribuisconoalla realizzazione degli obiettivi principalia livello Ue e a livello nazionale. Relazionisui singoli paesi dovrebbero fornire uncontributo alla realizzazione degli obietti-vi della strategia Europa 2020 poiché aiu-terebbero gli Stati membri a definire e at-tuare strategie di uscita, a ripristinare lastabilità macroeconomica, ad individuarele strozzature a livello nazionale e a ripor-tare le economie alla sostenibilità in ma-teria di crescita e di finanze pubbliche. Lerelazioni sui paesi non prenderebbero inconsiderazione solo la politica di bilancio,ma anche questioni macroeconomichefondamentali relative alla crescita e allacompetitività (cioè gli squilibri macroeco-nomici). Ci si dovrebbe così accertare chevi sia un approccio integrato alla definizio-ne e all’attuazione delle politiche, approc-cio fondamentale per sostenere le scelteche gli Stati membri dovranno operare, vi-ste le limitazioni alle loro finanze pubbli-

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che. Un’attenzione particolare verrà rivol-ta al funzionamento dell’area dell’euro eall’interdipendenza tra Stati membri.A tal fine, le relazioni e le valutazioni con-cernenti la strategia Europa 2020 e quellerelative al patto di stabilità e crescita (Psc)verranno elaborate simultaneamente inmodo da unificare mezzi e obiettivi, purmantenendo separati gli strumenti e leprocedure separati e conservando l’inte-grità del Psc. Ciò significa proporre allostesso tempo i programmi annuali di sta-bilità o di convergenza e i programmi di ri-forma razionalizzati, che ciascuno Statomembro dovrà stilare per definire le mi-sure da adottare al fine di riferire sui pro-gressi compiuti verso il conseguimentodegli obiettivi così come nell’attuazionedelle principali riforme strutturali volte adeliminare le strozzature che ostacolano lacrescita. Entrambi questi programmi, chedovrebbero contenere i necessari riferi-menti incrociati, dovrebbero essere sotto-posti alla Commissione e agli altri Statimembri nell’ultimo trimestre dell’anno. IlConsiglio europeo per il rischio sistemico(Esrb) dovrebbe presentare a scadenzeregolari relazioni sui rischi macrofinanzia-ri: tali relazioni saranno un contributo im-portante alla valutazione globale. LaCommissione valuterà i programmi e rife-rirà circa i progressi registrati nella loro at-tuazione. Un’attenzione particolare verràrivolta alle sfide cui deve far fronte l’Unio-ne economica e monetaria.In questo modo il Consiglio europeo di-sporrebbe di tutti gli elementi necessariper adottare decisioni. In effetti, il Consi-glio disporrebbe di un’analisi della situa-zione economica e di quella occupaziona-

le, di un quadro globale dei bilanci, non-ché di una panoramica delle condizionimacrofinanziarie e dei progressi compiutinei programmi tematici per ciascuno Sta-to membro e potrebbe inoltre passare inrassegna lo stato complessivo dell’econo-mia dell’Ue.

Orientamenti integratiLa strategia Europa 2020 assumerà uffi-cialmente la forma di un ristretto numerodi orientamenti “Europa 2020” integrati(che integrano gli orientamenti in materiadi occupazione e gli indirizzi di massimaper le politiche economiche), che andran-no a sostituire i 24 orientamenti esistenti.Questi nuovi orientamenti rispecchieran-no le decisioni del Consiglio europeo e in-tegreranno gli obiettivi concordati. Facen-do seguito, come previsto dal trattato, alparere del Parlamento europeo sugliorientamenti in materia di occupazione,gli orientamenti dovrebbero essere ap-provati a livello politico dal Consiglio eu-ropeo di giugno prima di essere adottatidal Consiglio. Una volta adottati, gliorientamenti dovrebbero rimanere preva-lentemente immutati fino al 2014, affin-ché l’attenzione resti concentrata sulla lo-ro attuazione.

Raccomandazioni politicheAgli Stati membri verranno rivolte racco-mandazioni politiche tanto nel contestodell’elaborazione di relazioni per paesequanto nel contesto dell’approccio tema-tico della strategia Europa 2020. Nel qua-dro della vigilanza a livello di singoli paesi,le raccomandazioni saranno formulatesotto forma di pareri sui programmi di

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stabilità/convergenza ai sensi del regola-mento (Ce) n. 1466/97 del Consiglio e sa-ranno accompagnate da raccomandazioniformulate nell’ambito degli indirizzi dimassima per le politiche economiche(arti-colo 121, par. 2). La parte tematica dovreb-be includere raccomandazioni in materiadi occupazione (art. 148) e raccomanda-zioni per paese relative ad altre questionitematiche selezionate (es.: sul clima im-prenditoriale, l’innovazione, il funziona-mento del mercato unico, l’energia/cam-biamento climatico ecc.). Entrambi i tipi diraccomandazioni, avendo implicazionimacroeconomiche, potrebbero egual-mente essere formulate come raccoman-dazioni nell’ambito degli indirizzi di mas-sima per le politiche economiche di cuisopra. Questa impostazione predispostaper le raccomandazioni contribuirà anchea garantire la coerenza tra il quadro ma-croeconomico/di bilancio e i programmitematici. Le raccomandazioni formulatenel quadro della vigilanza a livello di sin-goli paesi dovrebbero riguardare questio-ni con notevoli implicazioni macroecono-miche e di finanza pubblica, mentre le rac-comandazioni formulate nel quadro del-l’approccio tematico dovrebbero forniresuggerimenti specifici su questioni mi-croeconomiche e occupazionali. Tali rac-comandazioni dovrebbero essere abba-stanza precise e indicare, di norma, unlasso di tempo entro il quale si ritiene chelo Stato membro interessato debba agire(es.: due anni). Lo Stato membro dovreb-be allora indicare le azioni che intende in-traprendere per attuare la raccomanda-zione. Laddove uno Stato membro, al ter-mine del lasso di tempo indicato, non ab-

bia adeguatamente reagito ad una racco-mandazione politica del Consiglio o abbiacondotto politiche contrarie al suggeri-mento ricevuto, la Commissione può for-mulare un avvertimento politico (art. 121,par. 4).

5.2. Ruoli dei vari soggetti interessatiÈ essenziale che vi sia una collaborazionevolta al raggiungimento di questi obiettivi.Nelle nostre economie interconnesse, lacrescita e l’occupazione conoscerannouna ripresa solo se tutti gli Stati membri simuoveranno in questa direzione, tenendoconto delle loro circostanze specifiche.Abbiamo bisogno di una maggiore titola-rità. Il Consiglio europeo dovrebbe orien-tare globalmente la strategia, basandosisulle proposte della Commissione che ob-bediscono ad un unico principio fonda-mentale: il chiaro valore aggiunto dell’Ue.Il ruolo del Parlamento europeo è partico-larmente importante a tale riguardo. An-che il contributo delle parti interessate alivello nazionale e regionale e delle partisociali deve assumere un’importanzamaggiore. L’allegato 3 riporta una panora-mica dell’iter politico e del calendario del-la strategia Europa 2020.

Piena titolarità da parte del Consiglio eu-ropeoIl Consiglio europeo, che attualmente rap-presenta l’ultimo elemento del processodecisionale della strategia, dovrebbe inve-ce avere un ruolo guida in tale strategia,poiché è l’organismo che garantisce l’inte-grazione delle politiche e che gestisce l’in-terdipendenza tra gli Stati membri e l’Ue.

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Sempre mantenendo uno sguardo sul-l’attuazione del programma Europa2020, nel corso delle sue future riunioniil Consiglio europeo potrebbe concen-trarsi su temi specifici (es.: ricerca e in-novazione, sviluppo di competenze)dando indicazioni di massima e fornen-do i necessari impulsi.

Consiglio dei ministriLe pertinenti formazioni del Consiglio do-vrebbero occuparsi dell’attuazione delprogramma Europa 2020 e del raggiungi-mento degli obiettivi nei settori di cui so-no responsabili. Nel quadro delle iniziati-ve faro, gli Stati membri saranno invitati,nell’ambito delle varie formazioni delConsiglio, ad intensificare gli scambi di in-formazioni sulle buone pratiche a livellodi politiche.

Commissione europeaLa Commissione effettuerà annualmenteil monitoraggio della situazione sulla basedi un gruppo di indicatori relativi ai pro-gressi compiuti verso l’obiettivo diun’economia intelligente, verde e inclusi-va che porti ad alti livelli di occupazione,di produttività e di coesione sociale.La Commissione presenterà una relazioneannuale sui risultati ottenuti nell’ambitodella strategia Europa 2020 concentran-dosi sui progressi compiuti verso i tra-guardi principali e valuterà le relazioni perpaese e i programmi di stabilità e conver-genza. Nel quadro di questo processo, laCommissione presenterà raccomandazio-ni o avvertimenti politici, formulerà pro-poste politiche per il raggiungimento degliobiettivi della strategia e presenterà una

valutazione specifica dei progressi com-piuti all’interno dell’area dell’euro.Parlamento europeoIl Parlamento europeo dovrebbe svolgereun ruolo importante nella strategia, nonsolo in qualità di colegislatore, ma anchein quanto forza trainante per la mobilita-zione dei cittadini e dei loro parlamentinazionali. Il Parlamento potrebbe adesempio, sfruttare la prossima riunionecon i parlamenti nazionali per discuteredel suo contributo alla strategia Europa2020 e comunicare congiuntamente opi-nioni al Consiglio europeo di primavera.

Autorità nazionali, regionali e localiTutte le autorità nazionali, regionali e lo-cali dovrebbero attuare il partenariatocoinvolgendo strettamente i parlamenti,ma anche le parti sociali e i rappresentan-ti della società civile tanto nell’elaborazio-ne dei programmi nazionali di riformaquanto nella loro attuazione. L’instaura-zione di un dialogo permanente tra vari li-velli di governo porterebbe le priorità del-l’Unione più vicino ai cittadini, rafforzan-do così la titolarità necessaria per il suc-cesso della strategia Europa 2020.

Parti interessate e società civileInoltre, anche il Comitato economico esociale e il Comitato delle Regioni do-vrebbero essere maggiormente coinvolti.Lo scambio di buone pratiche, l’analisicomparativa (benchmarking) e la creazio-ne di reti - che diversi Stati membri hannopromosso – si sono rivelati anch’essi utilistrumenti per la creazione della titolaritàe per stimolare il dinamismo attorno al-l’esigenza di riforme. Il successo della

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nuova strategia dipenderà quindi forte-mente dalla capacità delle istituzionidell’Unione europea, degli Stati membri edelle regioni di spiegare chiaramente per-ché le riforme sono necessarie (e inevita-bili per mantenere la nostra qualità di vitae garantire i nostri modelli sociali), a qualitraguardi vogliono giungere l’Europa e isuoi Stati membri entro il 2020 e qualecontributo essi si aspettano dai cittadini,dalle imprese e dalle loro organizzazionirappresentative. Riconoscendo l’esigenzadi tenere conto delle circostanze e delletradizioni nazionali, la Commissione pro-porrà un’opportuna serie comune di stru-menti di comunicazione.

6. DECISIONIPERILCONSIGLIO EURO-PEOLa Commissione propone che il Consiglioeuropeo, nella sua riunione di primavera2010: concordi sulle priorità tematichedella strategia Europa 2020; fissi i cinqueobiettivi principali proposti nella sezione2 del presente documento relativi agli in-vestimenti in R&S, all’istruzione, all’ener-gia/cambiamento climatico, al tasso dioccupazione e alla riduzione della pover-tà, definendo i traguardi che l’Europa in-tende raggiungere entro il 2020; inviti gliStati membri ad un dialogo con la Com-missione europea al fine di tradurre que-sti obiettivi Ue in obiettivi nazionali chesiano oggetto di decisioni al Consiglio eu-ropeo di giugno, tenendo conto delle cir-costanze nazionali e dei diversi punti dipartenza; inviti la Commissione a presen-tare proposte per le iniziative faro e chie-da al Consiglio (e alle sue formazioni) diadottare, su queste basi, le decisioni ne-

cessarie per l’attuazione di tali iniziative;concordi di rafforzare il coordinamentodella politica economica per promuoverele ricadute positive e per rispondere piùefficacemente alle sfide dell’Unione; che atal fine esso approvi la combinazione del-le valutazioni tematica e per paese, comeproposto nella presente comunicazione,pur mantenendo strettamente l’integritàdel patto; e che esso dedichi un’attenzio-ne particolare al rafforzamento dell’UeM;esorti tutte le parti interessate (es.: parla-menti nazionali/regionali, autorità regio-nali e/o locali, parti sociali e società civile,senza dimenticare i cittadini europei) afornire un contributo all’attuazione dellastrategia, lavorando in partenariato eadottando iniziative nei settori di cui sonoresponsabili; chieda alla Commissione dimonitorare i progressi e di riferire annual-mente al Consiglio europeo di primaverariguardo ai progressi compiuti verso il rag-giungimento degli obiettivi, includendoun’analisi comparativa internazionale e lostato di avanzamento dell’attuazione del-le iniziative faro. La Commissione propo-ne inoltre che, nelle sue riunioni successi-ve, il Consiglio europeo: previo parere delParlamento europeo, approvi gli orienta-menti integrati proposti, che costituisco-no il supporto istituzionale della strategiaEuropa 2020; convalidi gli obiettivi nazio-nali dopo reciproche verifiche che ne ga-rantiscano la coerenza; affronti temi spe-cifici valutando la situazione dell’Europa ele possibilità di accelerazione dei progres-si. Una prima discussione sul tema dellaricerca e innovazione potrebbe avere luo-go nella riunione di ottobre sulla base diun contributo della Commissione.

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ITALIA 2020Piano di azione per l’occupabilità dei gio-vani attraverso l’integrazione tra appren-dimento e lavoro.Presentato dai ministeri del Lavoro e del-l'Istruzione

Le nostre priorità per la piena occupabili-tà dei giovaniPer la piena occupabilità dei nostri giovaniabbiamo individuato sei aree di interven-to, che riteniamo prioritarie e che ci pro-poniamo di implementare rapidamente,secondo una visione integrata e con ilconcorso di tutti gli attori coinvolti, affi-dando il compito di impulso, coordina-mento e monitoraggio a una “cabina di pi-lotaggio” condivisa.Siamo convinti che questa visione inte-grata e il metodo della collaborazione isti-tuzionale costituiscano strumenti impre-scindibili per innalzare le competenzechiave di cittadinanza di ogni persona efavorirne la crescita umana, culturale esociale per tutto il corso della vita.

Facilitare la transizione dalla scuola al la-voroLa difficile transizione dal mondo del-l’istruzione e della formazione a quellodel lavoro è una delle principali criticitàdel nostro Paese evidenziata in tutti i ben-chmark internazionali.Esiste, innanzitutto, una questione di“tempi” della transizione che sono ecces-sivamente lunghi e che alimentano preoc-cupanti fenomeni di disoccupazione, an-che intellettuale, di lunga durata. Allar-manti sono gli esiti della transizione: lapercentuale di lavoratori con diploma o

laurea che è utilizzata in maniera non coe-rente con i propri titoli di studio è la piùalta d’Europa. Ancora troppi sono i giova-ni che, senza orientamento e sostegno daparte delle scuole e delle istituzioni, con-centrano le loro scelte su percorsi forma-tivi deboli che non potranno dare sbocchisul mercato del lavoro.Una seconda questione attiene ai “modi”della transizione. La ricerca del lavoro av-viene prevalentemente attraverso retiamicali e informali che, non di rado, ope-rano ai limiti della legalità. Ancora bassa èla percentuale di lavoratori intermediatadai centri pubblici per l’impiego e dalleagenzie private abilitate a operare nelmercato del lavoro in funzione di precisiregimi autorizzatori o di accreditamento.Poco e male presidiata è anche la transi-zione tra i vari gradi e ordini dei percorsieducativi di istruzione e di formazione chegenera rilevanti fenomeni di abbandono edispersione, anche per l’incapacità diorientare i giovani alla scelta di percorsicoerenti con le proprie attitudini e poten-zialità.La riduzione dei tempi di transizione ge-nerazionale dalla scuola alla vita profes-sionale e il contenimento dei fenomeni dijob mismatch richiedono un insieme di in-terventi integrati e strutturati di politicheattive del lavoro che rendano più fluidi etrasparenti i meccanismi che regolanol’incontro tra domanda e offerta di lavoroe che anticipino il contatto tra lo studentee l’impresa lungo tutto il percorso scola-stico e formativo e quello universitario.È importante potenziare la rete degli ope-ratori, autorizzati o accreditati, presentisul mercato del lavoro, contrastare i cana-

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li informali che operano al di fuori del si-stema, rilanciare la borsa continua nazio-nale del lavoro. Ancor più decisivo è cheattività di orientamento al lavoro e di veroe proprio career service si sviluppino di-rettamente all’interno degli istituti scola-stici e delle università come previsto dallaLegge Biagi, sfruttando a dovere la posi-zione privilegiata degli istituti di istruzionee formazione nell’indicare alle aziende igiovani in possesso del curriculum scola-stico e universitario più adatto al profiloricercato. Nello stesso tempo, questa atti-vità può rappresentare per le scuole e leuniversità uno straordinario sensore dellaqualità e coerenza della loro offerta for-mativa rispetto alle richieste del tessutoproduttivo circostante e degli studenti.Il potenziamento di questo insieme di at-tività contribuisce a ridurre preventiva-mente il rischio della inoccupazione e del-la disoccupazione giovanile di lunga dura-ta e a limitare il rischio che le competenzeacquisite non siano coerenti con la do-manda del mercato.La sfida deve tuttavia essere più ambizio-sa e strutturale. Non basta creare struttu-re di placement nelle scuole e nelle uni-versità per garantire un solido futuro oc-cupazionale ai nostri giovani. Sono lescuole e le sedi universitarie a dover svol-gere a livello istituzionale, e con il coinvol-gimento attivo di tutti i docenti e delle fa-miglie, un ruolo insostituibile di “interme-diazione” tra i giovani e la società forman-doli e preparandoli adeguatamente all’in-serimento nel mondo del lavoro.Allo stesso tempo è necessario diffondereefficienti servizi di orientamento rivolti al-le famiglie e ai giovani che si accingono a

compiere le scelte relative agli studi sindai primi cicli del sistema educativo. Allostudente che si appresta a iscriversi a uncorso universitario è importante che siafornito un quadro completo dell’inseri-mento lavorativo del laureato e della ri-chiesta del mercato del lavoro di personecon le competenze fornite dalla facoltàscelta, perché non si alimentino speranzeed equivoci che si scoprono tali solo allaconclusione degli studi, generando unadiffusa frustrazione e una inevitabile in-soddisfazione professionale e personale.Per essere effettivamente strumentaliall’obiettivo della lotta alla disoccupazio-ne e di uno stabile inserimento nel merca-to del lavoro, i processi formativi e diorientamento devono porsi al di là dellatrasmissione tradizionale del sapere (ecioè del sapere inteso come complesso diconoscenze culturali e tecniche per losvolgimento di una determinata attivitàlavorativa). Essi dovranno sempre più in-cidere sia sulla concreta applicazione delsapere in un dato contesto organizzativosia sulle modalità di inserimento ambien-tale nei processi di produzione di beni oservizi.Moderne leve di placement possono esse-re, in questa prospettiva, i percorsi educa-tivi di istruzione e formativi in alternanzascuola lavoro e, in questo contesto, parti-colarmente, in apprendistato che consen-tono, con esperienza pratica e in un asset-to produttivo autentico, il conseguimentodi un titolo di studio. Come nel caso del-l’apprendistato per l’esercizio del dirittodovere di istruzione e formazione, checonsente l’acquisizione di una qualificadel secondo ciclo. E ancor di più come nel

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caso dell’apprendistato di alta formazio-ne che è indirizzato sia ai percorsi tecnicoprofessionali sia alla acquisizione di un ti-tolo universitario e persino di un dottora-to di ricerca. In questa prospettiva, pareutile recuperare all’interno delle istituzio-ni scolastiche e delle università figure do-centi specificamente deputate al tutorag-gio personalizzato, al counselling eall’holding dei giovani coinvolti nei per-corsi formativi in alternanza. Figure do-centi tali che assicurino anche un costanterapporto di co- progettazione formativacon i tutor aziendali dei ragazzi.Alla base dei veri percorsi di educazione eformazione in assetto lavorativo esistel’opportunità di trasferire al giovane leprime basi della cultura del diritto e deldovere, della responsabilità, dell’etica,della organizzazione, compresi i rapportirelazionali e il rispetto degli altri.Una promozione della cultura del lavoro edell’organizzazione aziendale, sin dallepiù giovani età, potrà generare altresì unsistema di formazione continua davveroefficace, aumentandone i benefici per i la-voratori e per le imprese.Il sistema educativo di istruzione e di for-mazione potrà svolgere al meglio questoruolo fondamentale di intermediazione sesaprà spostare l’attenzione dalle proce-dure ai risultati e, prima ancora, al desti-natario.Piuttosto che concentrarsi unicamentesui fattori formali e burocratici dei percor-si formativi (durata, procedure, sedi fisi-che), l’attenzione deve essere diretta alleconoscenze, abilità e competenze che lapersona ha acquisito ed è in grado di di-mostrare.

I sistemi educativi di istruzione e forma-zione devono adattarsi ai bisogni indivi-duali predisponendo piani di studio per-sonalizzati, rafforzare l’integrazione con ilmercato del lavoro, rendere trasparenti emobili le qualifiche, migliorare il ricono-scimento dell’apprendimento non–for-male e anche di quello informale, consen-tire l’acquisizione di professionalità real-mente spendibili, educare i giovani ad af-frontare con senso critico la realtà che licirconda.In futuro sarà importante superare il tra-dizionale percorso formativo rigido estandardizzato, a favore di percorsi di stu-dio flessibili e personalizzati, anche du-rante l’istruzione secondaria.Per ricomporre le esperienze formative –in aula, in assetto lavorativo, in apprendi-stato, negli ambienti di lavoro – uno stru-mento chiave è il Libretto formativo delcittadino. Introdotto dalla Legge Biagi, ilsuo utilizzo è ancora oggi limitato a unasperimentazione in poche Regioni italia-ne. Il libretto formativo è uno strumentoper la certificazione delle competenze chemette in trasparenza le qualifiche, facili-tando il dialogo tra sistemi formativi emercato del lavoro, e ponendo al centro lapersona.La compilazione del libretto formativorappresenta una opportunità per dare unsenso ai percorsi e alle esperienze di for-mazione, non sempre apparentementecoerenti e spendibili. Lo stesso librettoformativo dovrà contenere anche la storiascolastica, i traguardi formativi e le com-petenze acquisite anche al di fuori del si-stema educativo, senza soluzione di con-tinuità tra percorso scolastico e percorsi

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di professionalizzazione, in modo da avvi-cinare nel concreto studio e lavoro, scuolae impresa, servizio educativo alla personae servizio sociale e professionale, tutorscolastici e tutor aziendali e professionali.Da ultimo si avverte l’esigenza di punti diriferimento esterni al sistema scolastico,che, superando la tradizionale autorefe-renzialità della nostra formazione, aiutinoa capire le differenze presenti sul territo-rio nazionale e individuino le criticità dacurare. A questo proposito è cruciale co-gliere l’occasione per sostenere la sfida diun sistema educativo di istruzione e diformazione di qualità e della prevenzionecontro gli abbandoni scolastici con riferi-mento alle peculiari realtà delle regionimeridionali. In questo senso, l’istituzionedi un sistema di valutazione nazionaleche, in continuo feed back con le istituzio-ni scolastiche e i docenti, compia rileva-zioni e monitoraggi costanti attraversoadeguate strumentazioni docimologicheaiuterebbe nella conoscenza della realtàdella formazione in Italia e, soprattutto,porrebbe le condizioni per interventi fi-nanziari, culturali e didattici di sostegno,recupero e sviluppo che non sarebbero,per lo più come ora, uniformi e a pioggia,ma legati alle effettività dei contesti emolto mirati ai problemi da risolvere.Una capillare indagine a livello nazionaleper la rilevazione dei fabbisogni profes-sionali delle imprese, anche attraverso lavalorizzazione delle periodiche rilevazioniExcelsior, potrebbe infine rappresentareuno strumento utile per progettare con ilconcorso delle parti sociali e del sistemadelle imprese i percorsi educativi e forma-tivi in modo più efficace, anche razionaliz-

zando l’utilizzo dei fondi pubblici e privatidestinati a tale scopo.Allo stesso tempo, confidiamo nell’impe-gno e nella capacità di scuole e universitàdi utilizzare al meglio gli strumenti che giàoggi sono individuati dalla normativa sco-lastica e universitaria vigente per la con-sultazione, a livello locale, delle esigenzesentite dal mondo produttivo.

Rilanciare l’istruzione tecnico-professio-naleUn altro grave limite del nostro Paese nel-la competizione internazionale è rappre-sentato dalla mancanza di profili tecnici eprofessionali intermedi e superiori.Il deficit di tecnici intermedi è stimato in180mila unità. Si assiste così al paradossodi imprese che non trovano la forza lavoroqualificata di cui hanno bisogno per com-petere sui mercati internazionali e di gio-vani in condizioni di disoccupazione osotto-occupazione perché dotati di com-petenze che non servono al mercato dellavoro o che, comunque, risultano spen-dibili unicamente in settori e ambiti a bas-sa crescita occupazionale.L’istruzione tecnica rappresenta una op-portunità per i giovani e per le imprese,ma soprattutto una necessità per il Paese.La ripresa economica non potrà prescin-dere dalla rinascita del settore manifattu-riero e del made in Italy che sono storica-mente collegati agli istituti tecnici.Questa grave anomalia impone, per unverso, il potenziamento delle azioni diorientamento e, per l’altro verso, la rior-ganizzazione, il rilancio e la riqualificazio-ne della istruzione tecnica, che va svilup-pata sino a livello terziario con la costitu-

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zione degli istituti tecnici superiori nellearee tecnologiche più strategiche per l’in-novazione e la competitività, soprattuttodelle piccole e medie imprese, anche me-diante il ricorso all’apprendistato di altaformazione e, soprattutto, la costruzionedi percorsi formativi e di istruzione tecni-ca e professionale nei luoghi di lavoro e inassetto lavorativo. Queste scelte contri-buiranno a ridurre significativamente, daun lato, l’astrattezza della cultura scola-stica e, dall’altro, il mismatch tra doman-da e offerta di lavoro, migliorando l’occu-pabilità dei giovani e la permanenza nelmercato del lavoro degli adulti.L’istruzione tecnica richiede adattamentoe miglioramento, ma è essenziale che ilsuo impianto e la sua identità siano rico-noscibilmente distinte sia da quelle tipi-che del filone liceale (liceo tecnologicocompreso) sia da quelle che qualificano ipercorsi graduali e continui dell’istruzionee formazione professionale. Questo natu-ralmente non esclude, ma anzi esige, allostesso tempo, insieme alla loro massimanon sovrapposizione, la più ampia inte-grazione possibile tra i sistemi. La preoc-cupazione deve essere mantenuta parti-colarmente alta e viva soprattutto nei rap-porti che devono intercorrere tra percorsidi istruzione tecnica quinquennale, diistruzione professionale statale altrettan-to quinquennale e di istruzione e forma-zione professionale regionale previsti or-mai, in alcune Regioni, e distribuiti in unadurata tra i tre e i sette anni.Senza questa accorta integrazione/di-stinzione dei percorsi della istruzionetecnica e della istruzione e formazioneprofessionale, d’altra parte, la scommes-

sa di una formazione professionale nonuniversitaria post secondaria risultereb-be del tutto pregiudicata e un settore for-mativo che esiste in tutti i paesi del mon-do non potrebbe mai vedere la luce e ir-robustirsi come merita al servizio dei ra-gazzi e del Paese.La riqualificazione degli studi tecnici eprofessionali passa, necessariamente, at-traverso la riqualificazione della classedocente.È opportuno sviluppare un piano nazio-nale per lo sviluppo della cultura tecnicache rafforzi l’orientamento, migliori lagovernance, sviluppi i percorsi di aggior-namento innovativi per gli insegnanti,adegui i programmi alle innovazioniscientifiche e tecnologiche, modernizzi ilaboratori in stretto collegamento con ladomanda del settore produttivo, rafforzil’esperienza stage – tirocinio – alternan-za e il raccordo scuola – impresa attra-verso l’istituzione dei nuovi comitati tec-nico scientifici.In questa direzione si dovranno consoli-dare le innovazioni introdotte con la rifor-ma della istruzione tecnica, che prevedel’istituzione di comitati tecnico-scientifici,finalizzati a rafforzare il raccordo sinergi-co tra gli obiettivi educativi della scuola, leesigenze del territorio e i fabbisogni pro-fessionali espressi dal mondo produttivo.I comitati tecnico-scientifici prevedonouna composizione paritetica di docenti edesperti del mondo del lavoro, delle pro-fessioni e della ricerca scientifica e tecno-logica, con funzioni consultive e di propo-sta per la organizzazione delle aree di in-dirizzo e l’utilizzazione degli spazi di auto-nomia e flessibilità nella organizzazione

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della offerta didattica. Questi comitatitecnico-scientifici dovranno formulare icriteri per l’individuazione di esperti delmondo del lavoro e delle professioni, dicui gli istituti tecnici potranno avvalersi,attraverso la stipula di contratti d’opera,per arricchire l’offerta formativa con spe-cifiche attività didattiche che richiedonocompetenze specialistiche.In questo modo, si possono coinvolgerenell’insegnamento un commercialista, unimprenditore, un avvocato, un contabile,anche non abilitati.

Rilanciare il contratto di apprendistatoI rapporti di monitoraggio indicano chesolo 20 apprendisti su 100 ricevono unaqualche forma di formazione. Davverotroppo poco per un contratto dalle enor-mi potenzialità in termini di sostegno del-la qualità e produttività del lavoro.Lungi dall’essere un “semplice” contrattodi lavoro, l’apprendistato rappresenta ineffetti un innovativo strumento di place-ment, fondato sulla integrazione tra siste-ma educativo e formativo e mercato dellavoro, che supera la vecchia, quanto arti-ficiosa distinzione tra formazione “inter-na” e formazione “esterna” all’impresa econsente ai giovani un rapido e stabile in-gresso nel mondo del lavoro.Eppure, delle tre tipologie introdotte dal-la legge Biagi risulta operativo – pur conmarcate differenziazioni a livello regiona-le e settoriale – solo l’apprendistato pro-fessionalizzante, volto cioè al consegui-mento di una qualificazione contrattualeattraverso una formazione sul lavoro e laacquisizione di competenze di base, tra-sversali e tecnico-professionali.

Del tutto virtuale, in assenza delle neces-sarie intese tra Stato e Regioni, è l’ap-prendistato per l'espletamento del dirit-to-dovere di istruzione e formazione. Unoschema che pure, se messo a regime, po-trebbe consentire l’acquisizione di unaqualifica professionale – e cioè di un tito-lo di studio – ai molti giovani che sono as-sunti in apprendistato con al massimo lalicenzia media (ben il 54, 5%, a cui va ag-giunto un 3% senza alcun titolo) e con-sentire altresì di contrastare efficacemen-te la dispersione scolastica.Lo stesso può dirsi per l’apprendistato diterzo livello, finalizzato al conseguimentodi un diploma o di un titolo di alta forma-zione, compresi i dottorati di ricerca. Unaopportunità unica, specie per le nostrepiccole e medie imprese, per investire concosti ragionevoli nella ricerca e nella inno-vazione, ma utilizzata, di fatto, solo nel-l’ambito di un progetto sperimentale datempo concluso e che ha visto il coinvolgi-mento di non più di mille apprendisti.Il contratto di apprendistato continua cosìa rimanere, nella stragrande maggioranzadei casi, un semplice contratto di lavorotemporaneo senza alcuna valorizzazionedella componente formativa pure astrat-tamente prevista e, anzi, indicata dallalegge come elemento caratterizzante delmodello contrattuale in questione.È quindi nostra intenzione sostenere epremiare le iniziative che le universitàvorranno intraprendere per sviluppareprogetti di innovazione didattica che sap-piano cogliere questa grande opportunità.Decisivo, per il sostegno al sistema pro-duttivo e il rafforzamento delle compe-tenze dei nostri giovani, è dunque il rilan-

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cio del contratto di apprendistato che nonpotrà non passare da una maggiore valo-rizzazione della componente della forma-zione aziendale e dal maggiore coinvolgi-mento delle parti sociali e della bilaterali-tà. Gli sforzi delle regioni dovrebberoconcentrarsi, per contro, sul rilancio del-l’apprendistato per il diritto – dovere eper l’acquisizione di un diploma o di un ti-tolo di studio universitario.

Ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi,promuovere le esperienze di lavoro nelcorso degli studi, educare alla sicurezzasul lavoro, costruire sin dalla scuola e dal-la università la tutela pensionisticaI tirocini formativi e di orientamento han-no svolto un ruolo fondamentale per avvi-cinare, anche in una ottica di placement,le sedi della istruzione e della formazioneal mercato del lavoro. Per lungo tempohanno rappresentato – assieme ai con-tratti di formazione e lavoro e all’appren-distato – uno dei pochi canali di inseri-mento dei giovani nel mercato del lavoro.Accanto a buone prassi si registrano, tut-tavia, fenomeni di preoccupante degene-razione dei tirocini formativi e di orienta-mento che, non di rado, sono utilizzati co-me canale di reclutamento di forza lavoroa basso costo senza alcuna valenza for-mativa o anche solo di vero e proprioorientamento.Il loro utilizzo, pertanto, può e deve esse-re ripensato e rivalutato soprattutto allaluce della più recente evoluzione del qua-dro legale che ha previsto molteplici mo-dalità di inserimento agevolato dei giova-ni nel mercato del lavoro.L’introduzione dei contratti di inserimen-

to al lavoro e del nuovo apprendistato, inuno con la messa a disposizione del mon-do delle imprese di contratti a orario ri-dotto, modulato e flessibile (part-time, la-voro a coppia, lavoro intermittente), nonpuò che spingere verso un recupero dellacomponente formativa e di orientamentodei tirocini soprattutto nell’ambito deipercorsi educativi e formativi.La funzione dei tirocini formativi e diorientamento va rilanciata slegandoladalle eccessive restrizioni imposte daipercorsi universitari che, prevedendotroppo spesso un numero di ore eccessi-vamente ridotto, degli obblighi burocrati-camente gravosi e una formazione lonta-na dalle esigenze reali, allontanano leaziende dall’utilizzo di uno strumento as-sai utile anche per loro, oltre che per i ra-gazzi, per conoscere dei possibili futuricandidati a un posto di lavoro. Gli stagevanno perciò resi flessibili e modellabilinei contenuti come nella durata. Resta inogni caso imprescindibile la responsabili-tà delle università, quali soggetti promo-tori, nel vigilare sul buon andamento deiprogetti formativi avviati dagli studenti al-l’interno delle aziende.Altrettanto importanti sono ulteriori ini-ziative che consentano ai giovani studentidi svolgere precocemente esperienze dilavoro, anche occasionali, durante i per-corsi scolastici e universitari. Il lavoro oc-casionale di tipo accessorio, previsto dallariforma Biagi e notevolmente ampliatocon le successive modifiche legislative, of-fre oggi agli studenti la possibilità di svol-gere lavori in tutti i settori economici du-rante le vacanze, nei periodi festivi e nelfine settimana.

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Crediamo molto nello strumento dei“buoni lavoro”, il lavoro occasionale di ti-po accessorio regolato dalla legge Biagi.Per gli studenti si tratta non solo di unaoccasione di reddito, ma anche di unapossibilità in più di avvicinamento consa-pevole e informato al mondo del lavoroimparandone le regole, i contesti, le pos-sibilità di inserimento e crescita occupa-zionale.Il collegamento stabile tra la scuola e ilmondo del lavoro, anche attraverso tiro-cini ed esperienze di lavoro, assume unruolo decisivo per promuovere e soste-nere lo sviluppo e la diffusione della cul-tura della prevenzione negli ambienti divita, studio e lavoro. In questa prospetti-va l’educazione alla tutela della salute esicurezza sul lavoro può infatti assume-re, nel complesso della programmazionedidattica delle scuole dell'autonomia,una valenza concreta tale da consentirela sperimentazione di nuove metodolo-gie a sostegno della sicurezza dei lavora-tori al fine di garantirne una occupazionedi qualità.Un contatto anticipato con il mondo dellavoro aiuta infine i giovani a comprende-re in tempo utile l’importanza di costruireil proprio futuro pensionistico che nonpotrà non essere condizionato dal montecontributivo versato. Fondamentale è ilconcorso di forme di previdenza comple-mentari e anche il riscatto degli anni distudio universitario equiparandoli a pe-riodi lavorativi utili ai fini pensionistici chesi possono sommare alle prime esperien-ze di lavoro (a partire dai buoni lavoro peri giovani studenti al di sotto dei 25 anni) inun conto previdenziale unitario.

Ripensare il ruolo della formazione uni-versitariaLa riqualificazione degli studi tecnici eprofessionali secondari e superiori deveprocedere di pari passo con un comples-sivo ripensamento della qualità e dellafunzione degli studi universitari.L’iscrizione di massa dei nostri diplomatialla università non risponde alle reali esi-genze del mondo del lavoro e neppure al-le prospettive di crescita degli stessi stu-denti che, in numero rilevante, abbando-nano l’università già dopo il primo annocomplicando con ciò i percorsi di transi-zione al mondo del lavoro. A rischio, tut-tavia, è la stessa identità delle istituzioniuniversitarie che, per supplire alla man-canza di un forte sistema nazionale del-l’istruzione tecnica e professionale supe-riore, hanno perso parte del loro prestigioe della loro autorevolezza.Sempre meno sono così i laureati che tro-vano una occupazione attinente alla for-mazione ricevuta. Più della metà dei lau-reati svolge un lavoro dove è richiesta ge-nericamente una laurea o è sottooccupa-to in mansioni e compiti che non richiedo-no neppure la laurea. Più di una riflessio-ne merita poi il fatto che la maggior partedi coloro che ottengono la laurea di primolivello sceglie di proseguire gli studi nelbiennio specialistico.Le istituzioni comunitarie hanno da tem-po dichiarato di voler fare dell’Europal’economia basata sulla conoscenza piùcompetitiva e dinamica del mondo. Cen-trale, in questa prospettiva, oltre che lacostituzione di un sistema della alta for-mazione professionale successivo e colle-gato all’istruzione tecnico-professionale,

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è il ruolo della ricerca scientifica e del si-stema universitario in generale.Per fronteggiare questa sfida, oggi più chemai decisiva per competere sui mercatiglobali e coniugare gli obiettivi di innova-zione e crescita con quelli del pieno e pro-ficuo sviluppo della persona, l’universitàitaliana deve colmare i gravi ritardi sin quiaccumulati, come evidenziano inesorabil-mente i benchmarking internazionali.Tutte le componenti del sistema universi-tario, a partire da chi ha le responsabilitàdi direzione e indirizzo politico, devonosaper cogliere con coraggio e senza pre-giudiziali ideologiche la richiesta di rinno-vamento, rendersi trasparenti nella con-dotta e nei risultati, dimostrare con la for-za dei fatti di saper progettare assieme ilfuturo del nostro Paese.Per prima cosa, si tratta di portare a com-pimento un percorso, già avviato, di sem-plificazione e riduzione del numero deicorsi di laurea triennale. La loro finalitànon è infatti quella di incanalare i giovaniin percorsi precocemente specializzati eforzatamente professionalizzanti, ma difornire basi ampie, solide, approfonditesulle quali ciascuno potrà innestare lapropria vocazione particolare secondo lescelte di vita personali. Il titolo triennaledeve garantire salde conoscenze di meto-do e di contenuto, presupposto impre-scindibile sia per chi decide di impegnarsisubito nel mondo del lavoro sia per chiprosegue negli studi.Il processo di revisione dei corsi di studiosta dando i primi frutti e va ulteriormenteaccelerato, prestando attenzione alla pro-gettazione di una offerta formativa atten-ta ai risultati di apprendimento e ai fabbi-

sogni occupazionali del territorio. Ciaspettiamo che alla logica tutta accade-mica e autoreferenziale della proliferazio-ne dei corsi si sostituisca in tempi rapidiuna reale valutazione delle esigenze deglistudenti e del mondo del lavoro, conl’abolizione di corsi di studio incapaci dirispondere agli elevati standard formativiche sono oggi indispensabili.Dobbiamo abbandonare la vecchia con-cezione del titolo di studio universitariocome punto di arrivo unico e finale nellacarriera e nella vita degli studenti e incen-tivare piuttosto le università a prevedereuna offerta formativa coerente con l’ideadi apprendimento lungo l’intero ciclo divita con percorsi formativi e di approfon-dimento anche per chi è già entrato nelmondo del lavoro, in modo da valorizzare(anche in termini di investimento recipro-co) il legame di appartenenza con la pro-pria università.È necessario superare una volta per tuttela sterile contrapposizione tra studi uni-versitari professionalizzanti e non. In unquadro di grande evoluzione dei profiliprofessionali, che richiede spesso la com-binazione di conoscenze e abilità diversetra loro, la laurea triennale va considerata,appunto, come parte di un percorso for-mativo destinato a durare tutta una vita.A tutti va garantita la possibilità di acqui-sire competenze ulteriori e diverse rispet-to a quelle previste dal corso di laurea, siadando impulso, come si diceva, alla for-mazione permanente sia approntandocorsi brevi su argomenti specifici che pos-sono essere seguiti anche durante gli annidi studio universitario.Si vuole così incoraggiare la formazione

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interdisciplinare durante, e non solo do-po, i tradizionali anni universitari, permet-tendo anche la frequenza di corsi e laureeparallele, anche tra loro molto diverse.Va quindi strutturata una offerta formati-va versatile e destrutturata, che ribalti latradizionale formazione “monocorso” eche associ alla storica e necessaria forma-zione del senso critico naturalmente uni-versitaria, la conquista di competenzetecniche concrete e immediatamentespendibili in situazioni di lavoro.È in questa chiave di lettura che vanno in-tese le direttive per la riorganizzazione deicorsi di studio e le linee di indirizzo per laprogrammazione delle università nelprossimo triennio 2010-2012.Aprire i dottorati di ricerca al sistema pro-duttivo e al mercato del lavoroLe aziende italiane non conoscono e nonutilizzano i dottorati di ricerca. Nei Paesiche primeggiano nella competizione in-ternazionale le aziende utilizzano – e fi-nanziano generosamente – i dottorati diricerca quale straordinaria opportunitàper innovare e crescere; per reclutare imigliori talenti e investire sulle competen-ze di eccellenza richieste dai nuovi merca-ti del lavoro. In Italia, per contro, il destinodel dottore di ricerca è, nella migliore del-le ipotesi, la carriera accademica.Formati per il “mercato” autoreferenzia-le della università i non pochi dottori diricerca che non accedono alla carrieraaccademica rimangono disoccupati esono costretti, dopo una lunga attesa, alavori modesti, perché dotati di attitudi-ni e skill non particolarmente apprezzatidal mondo del lavoro, e, conseguente-mente, con livelli retributivi e di produt-

tività che non si differenziano da quellidei semplici laureati.Occorre superare questa grave anomalia,che genera un vero e proprio circolo vizio-so e priva il Paese di un rilevante bacinoper sostenere la ricerca nel settore priva-to, per formare figure professionali stra-tegiche per le imprese e le professioni, perdotare il Paese di una nuova classe diri-gente.Nel contesto di una rinnovata concezionedella alta formazione universitaria e dellaricerca, anche a sostegno della innovazio-ne e della crescita del sistema produttivoe non solo nell’ottica limitata della carrie-ra universitaria, assume una importanzastrategica un ripensamento del dottoratodi ricerca e del post-dottorato che devonodrasticamente aprirsi verso il mercato dellavoro e quello delle professioni.È importante che il valore scientifico deldottorato sia alto e internazionalmente ri-conosciuto come tale, oltre che spendibi-le, ove serva, sul mercato del lavoro. Ildottorato costituisce infatti il grado più al-to di specializzazione offerto dalla univer-sità, sia per chi intende dedicarsi alla ri-cerca sia per chi desidera entrare nelmondo produttivo dotato di competenzee capacità progettuali e di ricerca di parti-colare peso.La situazione attuale presenta alcune evi-denti criticità.I corsi di dottorato sono oltre 2.200, conuna media di appena 5,6 iscritti per corso:si tratta di una frammentazione davveroeccessiva, che non consente di crearequella comunità di giovani studiosi impe-gnati in uno specifico ambito di ricercache costituisce la vera forza dei dottorati.

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Sono già in corso attività finalizzate ad al-locare i fondi per il dottorato, d’ora in poi,solo per corsi attivati da sedi in possessodi competenze qualitativamente e quanti-tativamente adeguate, di strutture di ri-cerca all’altezza del compito e di una or-ganizzazione dei corsi che eviti la fram-mentazione e la dispersione. I finanzia-menti pubblici dovranno altresì premiare,in una logica di co- finanziamento e molti-plicazione delle (poche) risorse, quei dot-torati che sapranno reperire finanziamen-ti privati, quale sicuro indice, tra gli altri,della qualità del percorso di formazione ericerca offerto.Nella loro ventennale esperienza, i dotto-rati di ricerca italiani si sono caratterizzati,spesso in negativo, come mere scuole au-toreferenziali di formazione e cooptazio-ne di futuri professori, più che come cen-tri di ricerca e avanzamento delle cono-scenze del sistema produttivo del Paese.Non sorprende, proprio per questo moti-vo, la circostanza che i dottorati di ricercaitaliani siano stati, salvo alcune limitateeccezioni, sostanzialmente incapaci di at-trarre e convogliare non solo significativifinanziamenti privati, ma anche robustecollaborazioni con il tessuto produttivolocale e nazionale.A livello internazionale, solo pochi Paesimantengono oggi la qualificazione dellaattività del dottorando di ricerca in termi-ni di semplice studio. Tra i trentasettemembri del c.d. “processo di Bologna” so-lo dieci Paesi (tra cui, oltre all’Italia, laRussia, il Regno Unito, l’Irlanda e la Re-pubblica Ceca) mantengono ancora per ildottorando la qualifica di “studente”, làdove in ben ventidue Stati (tra cui Austria,

Belgio, Germania, Spagna, Svezia, Svizze-ra) lo status di dottorando indica un mixtra studio e lavoro. In tre Stati (Danimar-ca, Olanda e Bosnia-Herzegovina) il dot-torando assume invece la qualifica di la-voratore dipendente, al pari di quantoprevisto oggi dalla Legge Biagi, per i dot-torati in apprendistato.Il dottorato deve inoltre acquisire una di-mensione sempre più internazionale e fa-vorire la mobilità dei giovani. Oggi menodel 5% dei dottorandi attivi in Italia pro-viene dall’estero. È necessario interveniresu questo fronte, anche semplificando leprocedure di ingresso e di selezione, e re-cepire prontamente le indicazioni che ciprovengono dall’Europa in vista dellacreazione di una European Research Areavolta a facilitare la libera circolazione deglistudiosi.La dimensione internazionale dei dottora-ti va incentivata anche “in uscita”. È cioènecessario che il maggior numero possibi-le di dottorandi italiani, indipendente-mente dalla specializzazione, segua unaparte del proprio percorso formativo al-l’estero, avendo a che fare con prassi, me-todi e teorie spesso sconosciute alla no-stra accademia, ma che amplierebberol’orizzonte e il network della futura classedirigente italiana.

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MinutaL’INTERVISTAViaggio al centro della ‘ndranghetaIntervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

LETTERATURAIl pentito del postmodernismoAdriano Scianca

MUSICALa crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav MahlerGiuseppe Pennisi

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«Questo non è un saggio tecnicosulla ‘ndrangheta, ma sulla sua ca-pacità di entrare nel corpo Italia efagocitarne le cellule sane». CosìGianluigi Nuzzi definisce il suo ulti-mo saggio-inchiesta, costruito sulletestimonianze del pentito GiuseppeDi Bella, «che è come una sondacalata in un pozzo per capire sechi è caduto può uscire, se c’èspazio di manovra». Volto noto deisalotti Tv della politica (da que-st’anno autore de L’Infedele) e cele-bre penna del quotidiano Libero,Nuzzi sale alla ribalta con Vatica-no S.p.A., primo libro italiano defi-nito dal Financial Times “il saggiopiù letto in Italia nel 2009”. Negliultimi anni i suoi scoop hanno fatto

scandalo e determinato nuove in-dagini, come nel caso della guerratra l’ex ministro Vincenzo Visco el’ex numero uno della Guardia diFinanza Roberto Speciale, le inter-cettazioni di Piero Fassino e Gio-vanni Consorte e quelle di Gian-piero Fiorani e Antonio Fazio nel-l’inchiesta sulle scalate Bnl e Anton-veneta o, più recentemente, quelledell’allora premier Romano Prodi.Metastasi è “il primo libro che en-tra nel retrobottega della ‘ndran-gheta”, ha detto il procuratore ag-giunto di Reggio Calabria, NicolaGratteri; Nuzzi ha avuto il corag-gio di “rompere dei silenzi”, per-ché, puntualizza, “il silenzio confi-na con la complicità”.

Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

Viaggio al centrodella ‘ndranghetaPer la prima volta un libro entra nel retrobottega della criminalità calabrese, rompendo un silenzio che sembrava aver coinvolto anche il nord. Tra clamorose rivelazioni e immancabili polemiche, ecco cos’è (e come agisce) la mafia più potente e meno conosciuta d’Italia.

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Un uomo che decide di condurla, e conlei i suoi lettori, all’inferno, accanto a luiil suo bambino, già abbastanza cresciu-to per capire tutto. Cosa ha provato alprimo incontro col collaboratore di giu-stizia Giuseppe Di Bella?Quando hai un incontro al buio diquesto tipo ti aspetti di tutto. Mettitutto in conto. Può succedere chenon venga nessuno. Che chi ti at-tende sia un impostore, mi ricordoche negli anni Novanta il banca-rottiere Roberto De Gaetano, dopomesi di latitanza, volle che lo ac-compagnassi a costituirsi in carce-re. Non lo avevo mai visto né sen-tito prima. Mi chiamò chiedendomise ero disponibile a portarlo dietrole sbarre e ad intervistarlo. Dissi di

sì. Sotto la redazione del Giorna-le, dove lavoravo, De Gaetano mimostrò anche i documenti perchénon esistevano foto di lui. Ecco,accade di tutto. Mai, però, mi sa-rei immaginato che si presentasseall’appuntamento con il figlio!

Di Bella si è autodefinito un “fantasmaa tempo che al 99,9% sarà ucciso”, cosìha deciso di parlare e di raccontare i se-greti più reconditi della ‘ndrangheta.C’è stato un momento in cui ha dubita-to dell’attendibilità della sua fonte?Il dubbio sull’attendibilità di Di Bel-la permane. Sarà la magistratura afare chiarezza. Di certo, a oggi,dobbiamo registrare sia le smentitedi alcune delle persone chiamate

L’INTERVISTA

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in causa da Di Bella, sia le dichia-razioni di alcuni magistrati che sot-tolineano la credibilità di questopentito. Ne riporto alcune percompletezza. «Giuseppe Di Bellaè stato un ottimo collaboratore digiustizia, è stato capitalizzato conil massimo, ritenuto sicuramente at-tendibile quindi non si discute del-la qualità del collaboratore». Que-sta frase è del sostituto procuratoreAlberto Cisterna, in un’intervista aRadio24 di Oscar Giannino, tra-smessa il 7 dicembre 2010. Anco-ra: «Sia da me, sia dai giudici, DiBella è stato ritenuto credibile. Visono stati riscontri obiettivi con leindagini dei carabinieri, il suo con-tributo è stato fondamentale». Paro-le di Galileo Proietto, pm della Pro-cura della Repubblica di Milano inun’intervista alla Gazzetta di Leccodel 4 dicembre.

La storia dell’iniziazione del pentito DiBella è simile a quella di altri ex ‘ndran-ghetisti, mafiosi, camorristi e criminali.Quanto pesa, secondo lei, il contestosociale rispetto alle scelte che poi de-terminano il destino di un uomo?Dipende caso per caso, il contestofamiliare è determinante o, alme-no, lo è stato per Di Bella, che hadeciso di rompere ogni omertà re-sidua e con il suo incredibile rac-conto, per la prima volta, ci hapermesso di conoscere la ‘ndran-gheta da dentro, in un saggio chepare per tempo narrativo un ro-manzo. Ma è anche importante ilcontesto sociale, la prospettiva dilunghi periodi di detenzione per

portare un criminale sulla stradadella collaborazione.

In Lombardia e non in Calabria, inCampania, in Sicilia o in Puglia. La‘ndrangheta del nord ha goduto di unasorta di immunità, o meglio di impuni-tà, perché?La ‘ndrangheta è stata man manoperseguita dalle indagini delle varieprocure – si pensi solo ai maxi pro-cessi celebrati a Milano alla finedello scorso millennio – ma è man-cata la consapevolezza culturale esociale che ormai questa mafia ha:la capacità di poter contare suun’impressionante rete logistica, fi-nanziaria e produttiva nel nord Ita-lia. L’omicidio di Lea Garofalo, lapentita sciolta nell’acido a pochi

Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

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chilometri dalla Madonnina, lo testi-monia. C’è poi un problema di per-cezione. Non si ha la percezionedella vastità della penetrazione inatto, né si coglie il profilo di sangueche sconvolge le classifiche degliomicidi in certe regioni del nord.

E quindi?Mi spiego: molti omicidi rimangonosenza movente perché la vittima èun incensurato quando, in realtà, sitratta di delitti di ‘ndrangheta. Cosìper le persone scomparse, è luparabianca calabrese in terra settentrio-nale ma si pensa a fughe volonta-rie. Così ancora un’associazionedelinquere a processo raramenteviene colpita dall’accusa di mafiaperché non sempre si distingue la

mafia dalla criminalità comune.

Metastasi non è solo un caso letterario,ma ha già suscitato le ire di molti per-sonaggi di spicco della classe dirigenteitaliana. In primis Santo Versace, depu-tato Pdl e fratello del defunto Gianni,indignato per le presunte rivelazionisull’omicidio dello stilista. Qual è la suaopinione a riguardo?Che su Versace noi abbiamo fattoil nostro dovere di cronisti. Abbia-mo registrato le affermazioni didue diversi collaboratori di giusti-zia. Parole e accuse convergentisebbene i due collaboratori non siconoscano. Parole e accuse tutteda dimostrare, che feriscono la fa-miglia dello stilista ed è un aspettoche umanamente ci colpisce, mache saranno vagliate dai magistra-ti. E poi, al di là del capitolo Ver-sace, che andrà bene a chi amale polemiche, non vorrei che si di-stogliesse l’attenzione dal veromessaggio del libro.

Ovvero?Questo non è un saggio tecnicosulla ‘ndrangheta, ma sulla sua ca-pacità di entrare nel corpo Italia efagocitarne le cellule sane. Perquesto credo che sia il momento diraccogliere segnali importanti dalleIstituzioni che presidiano i settorieconomici. Dalla moda, ad esem-pio, in Italia sarebbe auspicabileattendersi un moderno codice eti-co, un sistema di controllo internoper consentire al nostro made inItaly di costruirsi un’immagine indi-scutibile in tutto il mondo. Iniziative

L’INTERVISTA

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significative e, soprattutto, preventi-ve, metterebbero a tacere qualsiasivoce. Non è, infatti, tollerabile chesu alcuni marchi, concorrenti slealio in malafede facciano aleggiareleggende negative e voci infaman-ti sulla costituzione dei primi capi-tali. Ed è ovvio che non mi riferiscoa quanto due collaboratori di giu-stizia affermano in Metastasi. È undiscorso generale. Sarebbe beneche si prendesse esempio daquanto Confindustria sta facendonel Mezzogiorno, perché il silen-zio confina con la complicità. Fa-rebbe bene la Camera della modae ogni istituzione a segnalare allamagistratura le aziende associatein odore di mafia e camorra. Qua-lunque organo di rappresentanzadovrebbe cercare la collaborazio-ne della magistratura e non far fin-ta di nulla.

I ricordi e le accuse che muove Di Bellanelle 183 pagine del suo libro sono ine-diti e potrebbero scaturire nuove impu-tazioni, riaprendo la sua partita con lagiustizia. La domanda che sorge spon-tanea è: perché? Può essere solo lamorte improvvisa della moglie ad averspinto un uomo, peraltro con la re-sponsabilità di un figlio piccolo a carico,a mettere la propria vita a repentagliopiù di quanto già non fosse?Sì, può essere “solo” la morte setutti questi ricordi ti pesano comeun fardello sulle spalle, se la mo-glie rappresenta nella tua vita chi tiha fatto chiudere con la criminalitàorganizzata, se, in definitiva, deviaffrancarti definitivamente rompen-

do i sigilli delle ultime omertà vistoche non riesci a progettare, pensa-re, ideare un futuro senza che que-sti fantasmi si animino.

Gamma, una figura che ha ricopertoimportanti incarichi di governo, unbell’uomo che è un leghista. Nel libro siraccontano le collusioni della Lega,«che parla un’altra lingua ma vuole lestesse cose degli altri partiti: voti e po-tere», con la ‘ndrangheta. Era evidenteche queste affermazioni avrebbero su-scitato non poco clamore negli ambien-ti del Carroccio. Lei cosa immaginavasarebbe successo? E soprattutto cosapensa succederà?Credo che generalizzare sia un ri-schio e una colpa da evitare.Nessuno, nemmeno Giuseppe DiBella, accusa la Lega che, anzi,fin dalla sua nascita ha evidenzia-to, soprattutto nella seconda metàdegli anni Ottanta, le degenera-zioni di sistemi preventivi e repres-sivi come il confino dei mafiosi. È,però, un dato di fatto che in alcu-ne inchieste emergano profili diesponenti locali del Carroccio. DiBella riferisce, assumendosene leresponsabilità, di un incontro tra ilsuo boss Franco Coco Trovato el’ingegnere Roberto Castelli. Saràla magistratura a verificare questoracconto, mentre noi abbiamo ildovere di fare un’analisi più com-plessiva e di cogliere queste occa-sioni per esaminare la penetrazio-ne della ‘ndrangheta nel tessutosociale del nord Italia. Ed è esatta-mente quanto cerca di compiere ilmio saggio.

Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

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«Per lavorare con la ‘ndrangheta bisogna ragionare come uomini d’onore. Manon basta essere uomini d’onore: bisogna capire le debolezze altrui e farlefruttare». Inquietante, sconvolgente, spietato, eppure circostanziato e verosi-mile. Metastasi, il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi con Claudio Antonelli ci con-duce in un “viaggio all’inferno”, ci fa vedere “la ‘ndrangheta entrare nel corpoItalia e fagocitarne le cellule sane”, e si candida ad entrare nell’Olimpo dei casiletterari. Non ci sono intermediazioni, non sono ammessi trucchi, il libro sipresenta in tutta la sua brutale icasticità, tracciando un ritratto della ‘ndran-gheta come non l’avevamo mai vista prima. Giuseppe Di Bella si racconta, rac-conta la sua sconvolgente biografia criminale, lo fa senza esitazione, con il fi-glioletto di dieci anni al suo fianco e mosso dalla rabbia per la prematura per-dita della moglie. E questo saggio, che pare per tempo narrativo un romanzo,desta polemiche già prima di essere pubblicato: tira in ballo la Lega Nord, ilpartito che fa della limpidezza e dalla giustizia il suo cavallo di battaglia; rac-conta di crimini e delitti che a lungo sono stati relegati nel dimenticatoio; tirain ballo il defunto Gianni Versace, accusato di collusioni con la criminalità or-ganizzata calabrese, e addirittura “sospettato” di essere vivo. Nuzzi non ciconsegna un libro facile, ci presenta 183 pagine sulle quali è inevitabile riflette-re. La ‘ndrangheta viene descritta, forse per la prima volta, nella sua realtà piùcruda, esaminandone la penetrazione nell’apparentemente immacolato tessu-to sociale del nord Italia, e ne deriva il ritratto di un sistema perverso di valori,potere e supremazia, una brutale macchina del consenso che porta a ritenerel’affiliazione un privilegio sociale e il clan un’élite. «Vorrei che in ogni Stato cifosse un codice morale, o una sorta di professione di fede civile che contenes-se, in forma affermativa, i principi sociali che ognuno sarebbe obbligato a ri-spettare», scriveva Jean Jacques Rousseau a Voltaire nell’agosto del 1756. Ep-pure, le indicazioni del filosofo illuminista non sono state ancora messe in pra-tica, ed è lo stesso Nuzzi a porre l’accento sulla necessità «di dotare l’Italia diun moderno codice etico, un sistema di controllo interno per consentire al no-stro made in Italy un’immagine indiscutibile in tutto il mondo». È giunto il mo-mento che si apra una riflessione seria e concreta sulla criminalità organizzata,perché “il silenzio confina con la complicità” ed è dunque inevitabile che loStato si ponga davanti al problema in maniera pragmatistica. «Sarà la magi-stratura a verificare questo racconto, a noi giornalisti il dovere di rompere i si-lenzi», chiosa l’autore.

MetastasiSangue, soldi e politica tra Nord e Sud. La nuova ‘ndrangheta nella confessio-ne di un pentitoGianluigi Nuzzi con Claudio AntonelliChiarelettere

IL LIBRO

Metastasi: come funziona la ‘ndrangheta

L’INTERVISTA

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I leghisti hanno sempre cercato di pre-servare la loro immagine di “purezza”,definendo il partito secessionista unasorta di “isola felice” rispetto agli altri.Però è probabile che, già prima delle ri-velazioni del pentito Di Bella, qualcunoavesse dei dubbi. Tuttavia, in effetti, èsolo con Metastasi che è scoppiata labufera. Perché?In realtà le prime indiscrezioni lepubblicammo noi di Libero a fineautunno dello scorso anno. Iniziam-mo a novembre per poi spingercioltre con un’inchiesta che ho firma-to proprio sulle indagini denomina-te Infinito e Crimine della procuradi Milano e di quella di ReggioCalabria, che avrebbero coinvoltoesponenti della Lega. Poi la massi-ma evidenza, dopo gli arresti di lu-glio, è arrivata con le accuseespresse da Roberto Saviano. Perquanto mi riguarda, io sono con-trario alle generalizzazioni e poiqui né Castelli né altri sono inda-gati quindi mi pare davvero pre-maturo e fuorviante arrivare a delleconclusioni.

Di Bella ha descritto una ‘ndranghetaconcreta, viva e spietata, non più un fe-nomeno offuscato e astratto. Qual è ilvalore della sua testimonianza?Di Bella è come la sonda che vie-ne calata nel pozzo per capire sechi è caduto può uscire, se c’èspazio di manovra. Di Bella ci sve-la una ‘ndrangheta da “dietro lequinte” fatta di accordi, di affari,di collusioni, di quel mare immen-so che è la zona grigia, degli oc-chi chiusi e dei silenzi, nel quale la

‘ndrangheta prospera. È il suo ha-bitat naturale. Per questo la preven-zione passa per gli ordini profes-sionali, le associazioni di catego-ria, Confindustria. Lo sforzo deveessere di tutti.

Il libro è crudo, diretto, talmente scon-volgente che a volte si preferirebbe nonterminare il capitolo. Il racconto del-l’omicidio della diciottenne CristinaMazzotti è a dir poco scioccante. Per-ché così tanto silenzio attorno ai fatti di‘ndrangheta?Perché è sempre stata ritenuta unamafia povera, relegata nei confinidella miseria della Calabria, senzai personaggi noti di Cosa Nostra,da Al Capone ai pizzini di Bernar-do Provenzano. È cresciuta nel-l’ombra e oggi ne paghiamo leconseguenze ritrovandola monopo-lista nell’importazione di cocainain Europa e ancora poco conosciu-ta.

«Sia da me, sia dai giudici, Giuseppe DiBella è stato ritenuto credibile, vi sonostati riscontri obiettivi con le indaginicondotte dai carabinieri. È indubbioche il suo contributo nelle indagini siastato fondamentale». Queste le paroledi Galileo Proietto, sostituto procurato-re della procura di Milano. Cosa rispon-de alle accuse sull’inattendibilità dellasua fonte?Io non sposo le parole di Di Bellama consegno la prima copia del li-bro in procura perché venganocompiuti tutti gli accertamenti. DiBella ha fatto condannare 120persone. Oggi si autoaccusa di

Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

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L’INTERVISTA

fatti nuovi, accusa suoi parenti, in-dica gli esecutori e i mandanti diomicidi: credo ce ne sia abbastan-za per verificare quanto dice. Maquello che più mi interessa è lapossibilità di entrare in quella men-talità che Di Bella ci offre con lasua persona e i suoi sconvolgentiracconti. Il procuratore aggiunto diReggio Calabria, Nicola Gratteri,mi ha detto proprio questo: «È ilprimo libro che entra nel retrobotte-ga della ‘ndrangheta».

Il suo nome è associato a due libri chehanno sconvolto l’opinione pubblica,riaprendo dibattiti e indagini che i piùavrebbero preferito relegare nel dimen-ticatoio. Come vive Gianluigi Nuzziquesto scomodo successo?È dal 1994 che cerco notizie. Miricordo ancora quando al Giorna-le pubblicammo le intercettazionitelefoniche dell’allora presidentedella Repubblica Oscar Luigi Scal-faro che conversava amabilmentecon dei bancarottieri, uno scoopche preoccupò persino uno comeVittorio Feltri. Mi chiamò in ufficioe mi disse: «Gianluigi, stavolta ciarrestano». Erano altri anni, c’era-no pochissime intercettazioni (no-te). Credo che il giornalismo deb-ba fare anche questo: rompere deisilenzi.

L’Intervistato

Nazionale.

GianluiGi nuzzi

Inviato di Libero e autore del pro-gramma di Gad Lerner L’Infedele,ha lavorato a Panorama e collabo-rato con Il Corriere della Sera. Dal1994 segue le più rilevanti inchiestegiudiziarie con implicazioni politi-che e finanziarie. Ha pubblicato nel2009 Vaticano S.p.A., il caso edito-riale dell’anno, tradotto e vendutoin moltissimi paesi stranieri.

l’autoreclio pedone

Laureata in Scienze politiche e relazioni interna-

zionali a La Sapienza, specializzata in Politica in-

ternazionale alla Lumsa. Responsabile

dell’ufficio stampa dell’on. Roberto Menia, scrive

per AreaNazionale, La Destra delle Libertà. Ha

collaborato con Il Tempo e L’Occidentale.

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«Non si capisce cos’altro se non larealtà si possa offrire, come alter-nativa filosofica e politica, in unmondo ammalato di favole». Dettacosì ha ragione da vendere, Mau-rizio Ferraris. Ma bastava ricordar-si di quanto diceva già ClémentRosset: «Niente è più fragile dellafacoltà umana di ammettere la real-tà, di accettare senza riserve l’im-periosa prerogativa del reale». Fer-raris, tuttavia, è, per così dire, unfresco innamorato degli imperatividel reale, ai quali invece ha permolto tempo preferito le più arditetesi decostruttive tanto in vogaqualche decennio fa. Il suo ultimolibro, Ricostruire la decostruzione.Cinque saggi a partire da JacquesDerrida (Bompiani, pp. 106, 10euro), è un po’ il diario di bordo diquesto cambiamento di prospetti-va, del resto già reso noto in diver-si altri saggi di filosofia (più o me-no pop). Stavolta lo studioso torine-

se torna a parlare del suo vecchioamico Jacques Derrida (1930-2004), un pensatore troppo spes-so affogato nel grande minestronepostmoderno. Sì, i postmoderni, ifilosofi che facevano un po’ i fighicon le giacche di velluto e i capellia mezzo collo, divertendosi asmontare ogni concetto fino a chenon rimaneva più nulla del linguag-gio ordinario, quello per intenderciche noi usiamo per andare a farela spesa (e il fatto che quei pensa-tori siano riusciti a non morire di fa-me riuscendo comunque a com-prarsi una bistecca come facciamotutti è già di per sé un argomentofilosofico di cui tener conto). Ferra-ris viene esattamente da quella ge-nerazione, si è nutrito di quelle sug-gestioni, ha giocato anche lui amettere in dubbio tutte le certezze,salvo accorgersi ad un certo puntoche c’è un nocciolo duro di realtàche si sottrae ad ogni gioco, para-

Adriano Scianca

Ecco come (e perché) i vecchi fautori dell’approccio postmodernista hanno cambiato idea sulla vita e sul mondo.

Il PENTITOdel postmodernismo

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LETTERATURA

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dosso o decostruzione. Una con-clusione, ci spiega, che ha impli-cazioni anche politiche e morali,oltre che, “semplicemente”, episte-mologiche. Per spiegarci tutto ciò,l’autore fa ricorso per l’appunto aDerrida, un pensatore che, perl’approccio originalissimo alla filo-sofia che lo contraddistingue, è sta-to spesso interpretato come l’ideal-tipo del pensatore postmoderno:gauchiste, provocatore e piuttosto

incomprensibile. E invece, a benvedere, è stato proprio quello cheper primo ha reagito alle mode fi-losofiche inconcludenti e irrespon-sabili, cominciando a dirci che no,non tutto può essere messo in di-scussione, smontato, ribaltato,schernito, decostruito. La giustizia,ad esempio, ambito nel quale èdifficile e pericoloso ribadire chetutto è relativo e che in fondo la ve-rità non esiste. Una riflessione più

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Adriano Scianca

volte ribadita da Ferraris recita:che cosa accadrebbe se nei tribu-nali, al posto del caro e vecchio“La legge è uguale per tutti”, tro-vassimo la frase nietzscheana cosìamata dai postmoderni: “Non esi-stono fatti, esistono solo le interpre-tazioni”? Filosoficamente l’argo-mento regge fino a un certo punto,ma per grandi linee l’interrogativoha un senso. E qui arriviamo, co-me si vede, all’aspetto più propria-mente politico della vicenda. CheFerraris cala dritto dritto nell’attuali-tà politica italiana con un prologosignificativamente inti-tolato Dal postmoder-no al popul ismo.L’autore non cita maiun noto politico lom-bardo con un partico-lare feeling con la te-levisione, ma è abba-stanza chiaro dovevoglia andare a pa-rare. È trasparente, ad esempio,l’allusione politica quando il filoso-fo torinese ricorda l’imperativo po-stmoderno di «non aderire fino infondo alle proprie credenze e dipresentarsi come “teorici ironici”,che non credono fino in fondo aquello che dicono, a quello chefanno e persino (difficilissimo!) aquello che pensano». Aspirazioneeminentemente emancipativa, spie-ga Ferraris, in quanto intendevaprendere le distanze da chi si ritie-ne possessore di verità assolute innome delle quali, eventualmente, sipuò persino scatenare una guerradi religione ogni tanto. Eppure,

continua, «le cose si sono realizza-te, per così dire, fin troppo, conleader populistici che comandanoa colpi di barzellette, offrendo l'in-carnazione (perversa o perfetta?)del “teorico ironico” di cui parlaRorty vedendoci un desiderabileavvenire per la democrazia». Il po-stmodernismo aprirebbe quindi lastrada ad un modo di fare politicain cui l’apparenza conta più dellasostanza, l’entusiasmo per la bril-lantezza mediatica dei significantipiù della pregnanza etica dei si-gnificati, e non esiste più alcun set-

tore giuridico oetico che si sot-tragga alle torsio-ni concettuali diuna interessata“ermeneutica af-faristica”. Insom-ma, per Ferraris ilpopulismo (di de-stra) realizza poli-

ticamente i sogni filosofici del po-stmoderno (di sinistra), anche se inuna maniera che nessuno dei teori-ci postmodernisti avrebbe apprez-zato. Da qui l’auspicato cambio dirotta, teorico e pratico: «Se i po-stmoderni si trovavano di fronte auna realtà compatta e granitica(magari anche solo ideologica-mente) e sentivano l'esigenza didecostruire, oggi mi sembra che cisi trovi di fronte a un processo anti-tetico, cioè a una realtà intimamen-te decostruita e, se così possoesprimermi, delegittimata in quantorealtà. Dunque è proprio dalla re-altà che si tratta di ripartire». Altro-

Per Ferraris il populismodi destra realizza politicamente i sogni filosofici postmoderni di sinistra

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LETTERATURA

ve, Ferraris era stato meno criptico,parlando esplicitamente di “esitiberlusconiani” del postmoderni-smo. Dichiarazione presente nellaintroduzione alla nuova edizionedi Tracce. Nichilismo, moderno,postmoderno, (Mimesis Edizioni),un testo in cui, nei primi anni Ot-tanta, il filosofo esprimeva la suapassione per il postmoderno e nel-la cui ristampa, avvenuta nel2006, compiva invece un meaculpa filosofico. Insomma, Ferrariscritica il postmoderno come fareb-be un innamorato tradito. In que-sto, in realtà, segueun po’ lo Zeitgeist.Già Scott Lash, infatti,aveva evidenziatol’inadeguatezza delpostmodernismo aportare avanti batta-glie politiche di stam-po progressista: «Ri-tengo che la culturapostmodernista, tutto sommato, nonabbia approntato un terreno favo-revole per la politica di sinistra. Ilmodernismo ha offerto un’arenamolto più favorevole su cui ingag-giare le tradizionali battaglie cultu-rali della sinistra» (Modernismo epostmodernismo, Armando). Il po-stmodernismo, per Lash, non costi-tuisce una sfida per i valori borghe-si: nella postmodernità non c’è piùposto né per lo sperimentalismoestetico né per le avanguardie arti-stiche o politiche. In quest’ottica, ilmodernismo è stato indubitabilmen-te più antiborghese del postmoder-nismo. Tra cultura postmodernista e

identità borghese vi sarebbe inve-ce una marcata “affinità elettiva”. Ilpubblico della cultura postmoder-na, infatti, sarebbe quella classemedia post-industriale, quella bor-ghesia “yuppificata” cresciuta coni mass-media e la pubblicità, giàabituata ad una estrema mobilitàsociale. Richard Wolin, poi, hapersino parlato di “fascinazioneverso il fascismo” da parte dei po-stmoderni: «La mia opinione – haspiegato – è che a un certo puntol’ostilità del postmodernismo neiconfronti della “ragione” e della

“verità” sia intel-lettualmente inso-stenibile e politi-camente debili-tante. Spesso lasua dif fidenzanei confronti del-la logica e del-l’argomentazio-ne è così estre-

ma che i suoi praticanti restanosbalorditi e disorientati – moral-mente e politicamente senza dife-se. Quando, in virtù della praticadell’“ermeneutica del sospetto”neo-nietzscheana, la ragione e lademocrazia sono ridotti ad oggettidi diffidenza, si è invitati all’impo-tenza politica: si rischia di abban-donare ogni capacità di azione ef-fettiva nel mondo» (The seductionof unreason, Princeton UniversityPress). Per tacere, poi, della criticaradicale del marxista Fredric Jame-son, la cui condanna è senza ap-pello: «Il postmoderno ha infatti su-bito tutto il fascino di questo pae-

157Il postmodernismo, alla lunga, si è rivelatoinadeguato a portareavanti battaglie politichedi stampo progressista

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saggio degradato di kitsch e scar-ti, di serial televisivi e cultura daReader’s Digest, di pubblicità emotel, di show televisivi, film holly-woodiani di serie B e della cosid-detta paraletteratura con i suoi pa-perback da aeroporto, divisi nellecategorie del gotico e del roman-zo rosa, della biografia romanzatae del giallo, della fantascienza edel fantasy: materiali che nei pro-dotti postmoderni non vengonosemplicemente “citati”, come sa-rebbe potuto accadere in Joyce oMahler, ma incorporati in tutta laloro sostanza» (Il postmoderno, ola logica culturale del tardo capita-lismo, Garzanti). Insomma, passa-ta la sbornia in cui se non si eraletto, possibilmente in francese,L'Antiedipo si era gli ultimi dei cial-troni, è poi arrivato il momento delriflusso. Miserie di un intellighen-tsia estenuata. Quello che ci inte-ressa, tuttavia, è altro. Il richiamoalla realtà operato da Ferraris è ineffetti interessante (e può servireanche a destra). Va da sé che ilnesso fra Rorty e Berlusconi o fraDeleuze e Ghedini è puramentepolemico, poco più di una battutaben riuscita o di un’ossessione malsublimata. Che, tuttavia, noi si ab-bia bisogno di districarci fra glispettri della società dello spettaco-lo e ritrovare un nuovo senso dellaterra è certamente vero. Fare i con-ti con la realtà e trovare soluzioniadeguate ad essa: detta così sem-bra semplice, ma se la politica silimitasse anche solo a ciò avrem-mo comunque fatto un passo avan-

ti non indifferente. “Fare i conti conla realtà”, senza rinunciare a tra-sformarla (come diceva Marx, maanche Gentile) ma evitando anchedi credere di trasformala attraversogiochi di parole. Abbandonaretanto la Ragione con la maiuscola,verità assoluta padroneggiata soloda pochi eletti onnipotenti, quantola sragione più irresponsabile, l’ir-razionalità inconcludente e spirito-sa. Stai a vedere che alla fine ilpensiero più attuale è quello di Ari-stotele, che invitava il politico aservirsi della phronesis, che è unavia di mezzo tra la prudenza, lasaggezza, la ragionevolezza e lafurbizia. Una “razionalità pratica”che, a differenza di quella teoreti-ca, sa di non poter essere esatta edeve quindi sempre navigare unpo’ a vista, facendo i conti con lacomplessità del reale. Per farla piùsemplice: serve concretezza, per-ché oggi solo la concretezza è ri-voluzionaria. Diciamo che serve ungoverno dei fatti, più che un gover-no del (voler) fare. Non è chiederetroppo.

l’autoreadriano scianca

Giornalista, studioso di filosofia, dottore di ricerca

all’Università La Sapienza di Roma. Collabora

con il Secolo d’Italia.

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In tutto il mondo si celebra un dop-pia ricorrenza: quella di GustavMahler, nato a Kalischt in Boemia il7 luglio del 1860 e morto a Vien-na, ancora capitale della duplicemonarchia austroungarica, il 18maggio 1911. Si tratta, dunque, didue celebrazioni, il centocinquante-nario della nascita e il centenariodella morte del compositore. In nu-merose città del mondo di culturatedesca ed anglosassone vieneeseguita integralmente, per l’occa-sione, l’opera del compositore. InItalia, non mancano complessi sin-fonici che affrontano lavori impor-tanti di Mahler, ma solo Roma è do-tata di due grandi orchestre che sisono poste l’obiettivo di eseguireMahler o quasi: l’orchestra sinfoni-ca dell’Accademia nazionale diSanta Cecilia (che Mahler diressequando la sede del complesso eraall’Auditorium Augusteo) e la più

giovane Orchestra sinfonica di Ro-ma. Non è una sfida vera e pro-pria: l’Orchestra Sinfonica di Roma(una realtà che ha meno di diecianni, con orchestrali mediamentetrentenni, che non riceve alcun sus-sidio dal settore pubblico e ha unbudget di meno di cinque milioni dieuro l’anno) non può gareggiarecon una delle più antiche e megliodotate (un budget di cinquanta mi-lioni di euro l’anno) formazioni sin-foniche europee. In effetti, nell’audi-torium di via della Conciliazione(sede dell’Orchestra sinfonica diRoma) non si ascolterà l’Ottava sin-fonia (che richiede almeno 500esecutori – è chiamata la “sinfoniadei mille”), ma il più struggente deiLieder che, in questo arco di tem-po, non si ascolteranno alla SalaSanta Cecilia. Di converso, nellaSala Santa Cecilia, l’unico tempocompletato della decima sinfonia si

La crisi dell’intellettualemitteleuropeo nelle notedi Gustav MahlerA centocinquant’anni dalla nascita e a cento dalla morte, anche Roma celebra il genio del compositore austriaco. Tra musica e approccioalla cultura, ecco chi era e cosa ha rappresentato.

Doppia ricorrenza

DI GIUSEPPE PENNISI

Giuseppe Pennisi

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MUSICA

ascolterà – leggermente al di fuoridel ciclo – l’11 dicembre 2011 adopera dei complessi del Teatro Ma-rinskiy di San Pietroburgo guidatida Valery Gergiev.Per tener conto dello sforzo richiestodall’esecuzione dell’integrale diMahler occorre tener presente chel’Accademia di Santa Cecilia harealizzato un progetto analogo

quando il direttore musicale eraMyung-Whun Chung, grazie all’im-maginazione e alla tenacia del co-ordinatore artistico Gastón Fournier-Facio (ora alla Scala di Milano). Al-lora il progetto venne articolato dal-l’ottobre 1997 (il concerto inaugu-rale delle stagioni guidate daChung) al maggio 2005 (quandosempre Chung ha condotto la No-

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na sinfonia prima di cedere il po-dio all’attuale direttore musicale,Antonio Pappano). Chung ha avutola responsabilità di guidare i com-plessi dell’Accademia nella versio-ne integrale; in quell’arco di tempovari concerti mahleriani sono statidiretti, a Santa Cecilia, da Yuri Te-mirkanov, James Colon, DanieleGatti, Kent Nagano, Roberto Ab-bato, Leonard Slatkin, Lorin Maa-zel, Zubin Metha, Gary Bertini, Mi-chael Tilson Thomas, Paavo Järvi eClaudio Abbado (in ordine rigoro-samente cronologico). Manca al-l’appello uno dei piùgrandi interpreti diMahler, Giuseppe Si-nopoli: avrebbe dovu-to dirigere la Nonanel novembre 2002ma se ne è andatopoco più di un annoprima, mentre dirige-va Aida a Berlino.L’integrale è uno dei risultati del po-ter disporre di un auditorium appro-priato – le sinfonie di Mahler richie-dono organici orchestrali enormi,cantanti, cori e doppi cori nonchécori di voci bianche – e del ricordodella direzione da parte dello stes-so Mahler dei complessi dell’Acca-demia all’Augusteo il 28 aprile del1910, un anno prima di morire?Oppure c’è un nesso meno visibilema più profondo, tale da trascen-dere gli aspetti più spiccatamentemusicali dell’evento e di riguardareanche quelli storico-politici ed eco-nomico-culturali?Ho cercato di rispondere a questi

interrogativi in un breve saggiopubblicato dalla rivista Ideazionenel primo scorcio del 2005. Tornosull’argomento, a sei anni di distan-za, non solamente a ragione dellapassione per Mahler ravvivata dalduplice anniversario o perché i pro-getti di oggi tanto dell’Accademianazionale di Santa Cecilia quantodell’allora nascente Orchestra sinfo-nica di Roma, sono differenti daquelli del 1997-2005 ma perché ilcontesto storico-politico ed econo-mico-culturale è profondamentecambiato nell’arco di questi sei an-

ni (quando la crisieconomica e fi-nanziaria esplosanel luglio 2007era lontana e ci sicompiaceva delleprospettive dellanew economy).Nato in Boemianella seconda me-

tà dell’Ottocento, costruitasi unaprima carriera a cavallo tra l’Impe-ro tedesco (sempre più dominatodalla Prussia) e la monarchia au-stroungarica; stabilitosi a Viennaproprio mentre un secolo stava perterminare e l’altro per iniziare; esi-liatosi, poi, a New York per fuggiredagli intrighi di una società già sulpunto di correre verso il suicidio;rientrato a Vienna quasi giusto intempo per morirvi, Mahler esprimela crisi della cultura dell’Europa oc-cidentale a cavallo tra due epoche. È stato direttore d’orchestra accla-mato ed innovativo in quanto voltoalla rigorosa interpretazione della

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Giuseppe Pennisi

Boemo vissuto a Vienna,poi emigrato negli Usa,Mahler esprime la crisidell’Europa occidentalea cavallo tra due epoche

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partitura senza abbellimenti da par-te degli interpreti. In effetti, in vita,venne apprezzato più come con-certatore che come compositore inquanto troppo netta era la rotturasia nella sinfonia (dove venivano in-trodotti elementi folkoristici e popo-lari, oltre alla voce umana, e non siapplicavano i quattro movimentidella sintassi in atto sin da quandoera stata formalizzata da Haydn)sia nel Lieder (dove il canto venivagiustapposto non ad uno o due stru-menti oppure al grande organico).L’Olanda diventò la roccaforte de-gli estimatori delle suecomposizioni, perples-sità le accoglievanonel mondo germanicoe (nonostante certe af-finità con Respighi) inItalia i rari concerti alui dedicati suscitaro-no curiosità più cheentusiasmo. La sua mu-sica, messa al bando in Germanianel 1933 (Mahler era ebreo, an-che se agnostico e convertitosi ingran pompa al cattolicesimo perpuri motivi di convenienza), è tor-nata a essere eseguita con frequen-za soltanto dalla fine degli anniCinquanta, non solo grazie ai suoiallievi (Walter, Kemplerer) ed allanidiata di (allora) giovani concerta-tori (Kubelik, Bernstein, Solti, Hai-tink) ma pure a ragione della ste-reofonia che ha reso possibile larealizzazione del concetto mahle-riano di suono spaziale, un concet-to davvero moderno che oggi pla-sma le esperienze musicali più

avanzate – dalla stereofonia dellamusica elettronica e cinematografi-ca all’estremismo delle composizio-ni di John Luther Adams che posso-no essere eseguite ed ascoltate uni-camente in The place you go to li-sten, la casa speciale costruitasi inuno dei luoghi più isolati dell’Ala-ska.Lo stesso Mahler, a fronte del relati-vo disinteresse di parte del pubbli-co per le sue enormi sinfonie, ama-va ripetere che sarebbero statecomprese ed applaudite solamente20 o 30 anni dopo la sua morte.

Erano considera-te, dai critici edal pubblico del-l’epoca, comeespressione tar-do-romantica epost-wagnerianadi un epigono.Una lettera di An-ton Webern a Al-

ban Berg, scritta poco dopo lamorte del loro amico comune, illu-stra come l’avanguardia stessa del-la scuola viennese lo considerasse-ro, invece, un anticipatore di quelloche sarebbe diventato, nel lessicomusicale di oggi, il “Novecento sto-rico”.Mahler è stato partecipe attivo deimovimenti culturali al tempo stessopiù nuovi e più tormentati del suoperiodo (in primo luogo la “seces-sione” in architettura e nelle arti fi-gurative): ben lo raffigurano le ri-produzioni di Klimt nel cofanetto fi-ne anni Sessanta dei quattordicilong-playing delle sinfonie dirette

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MUSICA

La sua musica, messa al bando in Germanianel 1933, tornò ad essere eseguita solo negli anni ‘50

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da Kubelik alla guida dall’orchestradella radio della Baviera. Avido let-tore di Dostoevskij, Nietzsche e (ov-viamente) Goethe, nonché accom-

pagna to dauna vita interio-re complessa(da una conver-sione di manie-ra al cattolicesi-

mo, passo essenziale per diventaredirettore generale dell’Opera diStato di Vienna, al complicato rap-porto con la giovane e bellissima –ma non fedelissima – moglie AlmaSchindler), Mahler rappresenta piùdi altri compositori di quel periodole difficoltà del percorso dell’intellet-tuale mitteleuropeo agganciato adun passato sul punto di scompariree rivolto verso un futuro da contenu-ti e contorni ancora non definiti.A titolo di raffronto, Richard Straussè stato anch’egli espressione di unacrisi di transizione, almeno sino adElektra; già con il Rosenkavaliermostrò di avere meravigliosamentemetabolizzato il passaggio del tem-po dalla fine dell’Ottocento ad unNovecento denso di tormenti maanche di progresso tecnologico,

economico e an-che musicale;con Ariadne aufNaxos e DieFrau ohne Schat-

ten (ambedue concepite durante laPrima guerra mondiale ma, rispetti-vamente, trionfo dell’eros sulla mor-te e inno alla paternità e alla ma-ternità) provò di aver superato ognitimore e di essere tra gli intellettuali

del Ventesimo secolo che guarda-vano con una punta di ironica me-lanconia al Diciannovesimo.Circa sei anni fa mi chiedevo se lepasseggiate nel romano Parco del-la Musica o in via della Concilia-zione di Roma in compagnia dellamusica di Mahler (analoghe a quel-le che faceva, in compagnia di mu-sicisti, scrittori, pittori e scrittori, nel-lo Stadtpark e nel Volksgarten diVienna o al Central Park di NewYork), non abbiano assonanze conla crisi dell’intellettuale europeo inquesti anni di transizione tra il No-vecento al segno dell’industrializza-zione ed il Duemila al segno invece

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Mahler rappresentale difficoltà di percorsodell’intellettualemitteleuropeo

Anche Richard Straussè stato espressionedi una crisi di transizione

Giuseppe Pennisi

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della net economy e della high-tech. Oggi mi chiedo se non asso-miglino di più alla fine della primafase di globalizzazione dei tempimoderni – posta da storici dell’eco-nomia come Kevin O’Rourke e Jef-frey Williamson tra il 1870 ed il1910) – in cui l’Europa fu al centrodel fenomeno. Quella fase dellaglobalizzazione terminò con duecolpi di pistola a Sarajevo e unalunga guerra intereuropea, dal1914 al 1945, interrotta da un ar-mistizio di vent’anni. L’Europa nonè stata al centro dell’integrazioneeconomica internazionale in corsodalla metà degli anni Ottanta, e

che ora è sull’orlo di arrestarsi o ditornare indietro. Ha anche perso lacentralità innovativa e culturale, pu-re nel campo musicale, come dimo-strato, ad esempio, dall’irresistibileascesa dell’opera lirica americana(in febbraio aRoma vedremoA view from thebridge di Wil-liam Bolcom edabbiamo appena visto Powderyour nose di Thomas Aldès a Bolo-gna e For You di Iam McEwan eMicheal Berkeley in tournée in di-verse città italiane) e dalla stessamusica elettronica (i cinesi e i giap-

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L’Europa è oggisull’orlo di arrestarsi

o addiritturadi tornare indietro

MUSICA

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ponesi, non più i tedeschi, i france-si e gli italiani, hanno trionfato alrecente Emufest romano). Non solo, il sistema monetario in-ternazionale si sta spappolando(come avvenne attorno al 1910),la stessa unione monetaria europeava avanti a pezze e rattoppi (comeavveniva, negli ultimi anni della vitadi Mahler, a quell’unione moneta-ria latina definitivamente sciolta nel1927), torna il protezionismo (inItalia da quello “imperfetto” del1878, ossia la tariffa doganale as-sociata al nome del ministro delleFinanze Luigi Luzzati,si andava, ai tempi diMahler, a contingentiduri in occasione del-la guerra di Libia edora ad intese bilatera-li), si profila la fram-mentazione del com-mercio e dell’econo-mia mondiale in areedi libero scambio, accordi regiona-li e bilaterali preferenziali. E soprat-tutto non è la bella addormentataEuropa, ma sono la formica asiati-ca, la cicala nord-americana e le ti-gri dell’America latina (Brasile inprimo luogo) ad essere i protagoni-sti di partite in cui il Vecchio Conti-nente ha tanti seggi (al Fondo mo-netario, in Banca mondiale) ma dàl’impressione di costituire un coretto(non sempre all’unisono) di compri-mari.All’epoca di Mahler, era in atto ilcrepuscolo degli Stati-nazione e de-gli imperi multinazionali; il centrodella politica, dell’economia e del-

l’intellighentsia cominciava a spo-starsi dall’Europa all’altra spondadell’Atlantico. Oggi, l’integrazioneeconomica internazionale e la“morte della distanza” derivantedalla telematica, non solo rendonopiù tenue il ruolo dell’intellettualeeuropeo, rispetto al suo omologoamericano, ma quest’ultimo guardacon maggiore attenzione al bacinodel Pacifico (ed alle sue contropartiin quell’area) che al Vecchio Conti-nente, nella cui demografia e strut-tura produttiva si avvertono segni disenilità. E la senilità – ci ha ammo-

nito Italo Svevo –non si condona anessuno. Nell’immaginariodel pubblico me-no accorto, Ma-hler condivide,con Wagner, unaleggenda: quelladi essere stato un

compositore fluviale. Invece, al paridi Wagner, Mahler compose relati-vamente poche ore di musica. Wa-gner rivoluzionò il teatro in musica,ove non la musica occidentale intutti i suoi canoni, con 13 drammi(e pochissime composizioni orche-strali) per un totale di 40 ore diascolto (50 se si includono le treopere giovanili da lui stesso, a mioavviso ingenerosamente ed ingiu-stamente, ripudiate). Mahler ci halasciato appena dieci sinfonie (dicui l’ultima incompiuta) e 43 Lieder(uno di meno di quelli contenuti nelsolo ciclo del “Libro dei Lieder spa-gnoli” di Hugo Wolf), un numero

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All’epoca di Mahleril centro della politica e dell’economiacominciava a spostarsidall’Europa all’America

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modesto rispetto a quelli di Schu-bert, Schumann e Brahms. Mahler,tuttavia, rivoluzionò la sinfonia to-gliendola dalle strutture formali ri-maste sostanzialmente immutate daHaydn a Beethoven, aggiungendo-vi voci e cori e fondendola con ilLied (si pensi al quarto tempo dellaseconda, della terza e della quartasinfonia, nonché al quinto della ter-za). Una concezione nuovissima: ilmusicologo Luigi Rognoni ha scrittoefficacemente che così come Wa-gner introdusse la sinfonia nell’ope-ra, Mahler introdusse l’opera nellasinfonia. Nella specifi-ca forma del Lied, poi,innovò la struttura met-tendo la voce a con-fronto dell’enorme or-ganico orchestralepost-wagneriano. Inol-tre, nelle prime quattrosinfonie è presentequella “musica a pro-gramma” (i “poemi sinfonici” nellessico italiano) che Mahler affer-mava di respingere in toto.Veniamo al cartellone, offerto perla doppia ricorrenza, dall’Accade-mia di Santa Cecilia e dall’Orche-stra sinfonica di Roma. In primo luo-go, mentre nel 1997-2005 , l’intra-presa richiese otto anni e una doz-zina di direttori d’orchestra (ma di-verse sinfonie e Lieder vennero ese-guite, con bacchette e voci diffe-renti, anche più volte), ora i pro-grammi sono più compatti. Quellodell’Orchestra sinfonica di Roma ècontenuto in un’unica stagione (incui, in parallelo, si presentano le in-

tegrali delle sinfonie di Schumann edi Brahms) – quindi nell’arco di no-ve mesi. Quello dell’Accademia diSanta Cecilia si estende su tre sta-gioni, ma in pratica su poco più diun anno e mezzo in quanto spaziadall’ultima parte della stagione2009-2010 all’inizio di quella2011-2012. L’ascoltatore ha,quindi, la possibilità di meglio af-ferrare il significato dell’opera diMahler (anche se, per motivi orga-nizzativi, nessuna delle due istitu-zioni la offre in ordine cronologi-co). La compattezza deriva anche

dai maestri con-certatori: si pos-sono con ta requasi sulle dita diuna mano. Nellasala Santa Ceci-lia, cinque sinfo-nie sono affidatead Antonio Pap-pano, due a Va-

lery Gergiev e le altre a MikkoFranck e Andris Nelsons – tutti diret-tori di grande fama internazionale.All’Auditorium di via della Concilia-zione, sede dell’Orchestra sinfoni-ca di Roma, Francesco La Vecchiasi prende carico dell’intero ciclo.Siamo all’inizio del percorso – almomento in cui viene scritto questoarticolo sono state eseguite tre sin-fonie a Santa Cecilia e una a viadella Conciliazione, quando usciràne sarà stata eseguita un’altra – magià da ora è chiaro che le due “in-tegrali” sono marcatamente diffe-renti, non solamente perché SantaCecilia ha cento anni e dispone di

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Mahler introdussel’opera nella sinfonia einnovò il Lied mettendoa confronto la voce e l’organico orchestrale

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molti più mezzi della Sinfonica ro-mana e la prima è avvezza a Ma-hler molto più della seconda, masoprattutto in quanto – come si èavvertito sin dall’esecuzione dellaseconda sinfonia in maggio – Pap-pano proviene dal teatro d’operae, quindi, enfatizza i colori piùspiccatamente drammatici dellapartitura, accentuando il ruolo deisolisti vocali e il coro; al grande te-ma della morte e della resurrezionepanteistica (argomento della sinfo-nia) si avvertiva quasi la presenzadi un apparato scenico. ValeryGergiev, dal canto suo, ama i chia-roscuri e pone l’accento su una tin-ta orchestrale forte (come si è nota-to nell’esecuzione della quinta incui si prende l’avvio dal profondodolore della marcia funebre pergiungere all’estasi eroica del ron-dò). Francesco La Vecchia, invece,segue il dettame dello stesso Ma-hler: eseguire puntualmente quantocomposto dall’autore senza abbelli-menti personali e, sin dalla letturadella prima sinfonia, Il Titano, dà ri-lievo al sinfonismo continuo mahle-riano.Un’ultima notazione: l’estremo Can-to della terra, che verrà eseguitodalla Sinfonica di Roma il 18 mag-gio (giorno, lo ricordiamo ancora,della morte di Mahler). Il composi-tore sapeva di essere malato quan-do si accinse a comporlo sulla ba-se di una raccolta di liriche cinesi.La morte è vista come liberazione,è il tema fondante delle sei parti,specialmente dell’ultimo, straziante,Lied L’addio. Una visione zen, più

che cattolica o ebrea, della finedell’avventura umana. E un mes-saggio lanciato all’Europa di centoanni dopo, quella di oggi.

Per saperne di più:

Fournier-Facio G. Gustav Mahler: il miotempo verrà Milano, Il Saggiatore 2010.

Mahler A. Gustav Mahler Ricordi e Lette-re. Milano, Il Saggiatore 2010.

Mahler G-Walter B. Carteggio Pordeno-ne, Edizione Studio Tesi 1995.

Principe Q. Mahler. La Musica tra Eros eTanatos Milano, Bompiani 2002.

Per chi si avvicina a Mahler è molto utileil cofanetto Gustav Mahler- CompleteEdition edito nel 2010 dalla DeutcheGrammophon.

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Giuseppe Pennisi

l’autoreGiuseppe pennisi

Consigliere del Cnel e docente di economia al-

l’Università Europea di Roma ed alla Università di

Malta a Roma, è un musicofilo collabora in mate-

ria di musica a varie testate italiane e straniere (Il

Foglio, Milano Finanza, Il Velino, Music & Vision).