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Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
STRUMENTI E PROCEDURE PER LA LOCALIZZAZIONE E IL
REPERTAMENTO DELLE TRACCE SULLA SCENA DEL CRIMINE E
SUCCESSIVE TECNICHE ED ANALISI DI LABORATORIO
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Linda Pagnini
Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison
Tesista Specializzando: Dott.ssa Margherita Guerzoni
Anno di corso: Secondo
Modena, 1 Settembre 2009
Anno Accademico 2008 - 2009
ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARGHERITA GUERZONI - SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE – SECONDO ANNO A.A 2008/2009
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Indice dei contenuti
Indice dei contenuti
1. Introduzione…………………………………………………………………6
1.1 Project Work……………………………………………………………..8
2. Attrezzature mobili per indagini tecniche di P.G…………………………...9
3. Strumenti e procedure……………………………………………………...17
3.1 Delimitazioni e strumenti per l’isolamento della scena del crimine…17
3.2 Analisi della scena del crimine e rilievi tecnici: il Sopralluogo……...18
3.2.1 Rilievi Planimetrici……………………………………………………19
3.2.2 Rilievi descrittivi………………………………………………………19
3.2.3 Rilievi Fotografici…………………………………………………….21
3.2.4 Rilievi Dattiloscopici………………………………………………….21
3.3 Il segnalamento della persona e i relativi apparati tecnici…………...22
3.3.1 Segnalamento descrittivo……………………………………………..22
3.3.2 Segnalamento fotografico…………………………………………….23
3.3.3 Segnalamento dattiloscopico…………………………………………25
3.4 Fotografia della scena del crimine……………………………………25
4. Organizzazione dei laboratori di Polizia Scientifica………………………27
4.1 Le strutture centrali della scientifica…………………………………..27
4.1.1 I laboratori fotografici……………………………………………...27
4.1.1.a Le attrezzature tecniche………………………………………………….28
4.1.1.b Tecniche fotografiche speciali…………………………………………...30
4.1.2 Laboratorio di videoregistrazione…………………………………..31
4.1.3 Sezione identità giudiziaria…………………………………………32
4.1.4 Sezione indagini grafiche…………………………………………...32
4.1.5 Sezione Indagine sulle impronte latenti……………………………33
4.1.6 Sezione identità preventiva………………………………………….33
4.1.7 Sezione indagini sugli stupefacenti…………………………………33
4.1.8 Sezione indagini sulle cause degli incendi…………………………33
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4.1.9 Sezione indagini balistiche………………………………………….33
4.1.10 Sezione indagini sugli esplosivi…………………………………...33
4.1.11 Sezione indagini sui residui dello sparo…………………………..33
4.1.12 Sezione indagini sui terreni, sulle polveri e sui vetri……………..34
4.1.13 Sezione indagini sulle pitture, sulle vernici e sugli inchiostri……34
4.1.14 Sezione indagini sulle fibre, sui marchi e sulle tracce da utensile.34
4.1.15 Sezione indagini sulle banconote e sui documenti contraffatti…..34
4.1.16 Sezione indagini sul suono e sulla voce…………………………...34
4.1.17 Sezione indagini medico legali…………………………………….34
4.1.18 Sezioni indagini biologiche………………………………………..34
5. Individuare e repertare le tracce…………………………………………...35
5.1 Protezioni individuali………………………………………………….38
5.1.1 Kit per la protezione individuale………………………………………38
5.2 Le fonti di illuminazione sulla scena del crimine…………………….40
5.3 Equipaggiamento di base necessario al reperta mento……………….41
6. Il repertamento di tracce biologiche per la ricerca del DNA……………...42
6.1 Diagnosi effettuabili sulle tracce ematiche…………………………...44
6.1.1 Diagnosi generica……………………………………………………..44
6.1.2 Diagnosi specifica o di specie………………………………………...44
6.1.3 Diagnosi di gruppo e individuale……………………………………..45
6.1.4 Diagnosi regionale……………………………………………………45
6.1.5 Diagnosi cronologica…………………………………………………46
6.2 Studio della conformazione morfologica delle macchie di sangue…..46
6.3 Test preliminari per verificare la presenza di sangue sulla scena del
crimine e ulteriori analisi di laboratorio……………………………...48
6.4 Repertamento delle tracce ematiche…………………………………..51
6.5 Altre tracce biologiche…………………………………………………52
6.5.1 Saliva………………………………………………………………….52
6.5.2 Sudore…………………………………………………………………53
6.5.3 Urina…………………………………………………………………..54
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6.5.4 Muco…………………………………………………………………..55
6.5.4.a Muco nasale…………………………………………………..56
6.5.4.b Muco cervicale………………………………………………..56
6.5.5 Placenta……………………………………………………………….57
6.5.6 Liquido seminale……………………………………………………...57
6.5.7 Peli e capelli…………………………………………………………...60
7. Le impronte digitali………………………………………………………..63
7.1 La Pratica: le impronte digitali sulla scena del crimine……………...68
7.2 Il sistema A.F.I.S………………………………………………………81
7.3 Cenni sulle impronte palmari e plantari……………………………...83
8. Tracce di polvere da sparo e indagini balistiche…………………………..84
8.1 Kit per il rilevamento delle particelle di polvere da sparo…………….85
8.2 STUB…………………………………………………………………...86
8.3 La balistica generale…………………………………………………..88
8.4 La balistica terminale………………………………………………….89
8.5 La balistica identificativa……………………………………………...91
8.6 Il microscopio comparatore…………………………………………...91
8.7 La banche dati…………………………………………………………92
8.7.1 DRUGFIRE…………………………………………………………...92
8.7.2 Il sistema IBIS………………………………………………………...93
8.7.3 GUNSTORE…………………………………………………………..93
9. Corredo speciale per sostanze stupefacenti: strumenti ed analisi di
laboratorio………………………………………………………………….94
9.1 “Corredo speciale droga” sulla scena del crimine……………………94
9.2 Analisi chimiche, strumenti e procedure di laboratorio per la ricerca di
stupefacenti ed altre sostanze tossiche………………………………...96
9.2.1 I test cromatici………………………………………………………...99
9.2.2 La spettroscopia U.V………………………………………………….99
9.2.3 La cromatografia su strato sottile…………………………………...100
9.2.4 Toxi-lab……………………………………………………………...100
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9.2.5 La gascromatografia………………………………………………...102
10. Repertare le impronte di scarpa…………………………………………..103
11. Il repertamento di altre tracce non biologiche…………………………...105
12. Il repertamento entomologico…………………………………………….106
13. Strumenti e procedure per la realizzazione di scavi archeologici sulla scena
del crimine………………………………………………………………...112
13.1 Procedimento di scavo…………………………………………………...112
13.2 Attrezzature…………………………………………………………………113
13.3 Documentazione……………………………………………………………114
14. Ringraziamenti……………………………………………………………115
15. Bibliografia………………………………………………………………..116
16. Sitografia………………………………………………………………….117
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1. Introduzione
All’arrivo sul teatro di un crimine alcune azioni di tipo organizzativo dell’area
interessata al comportamento criminale sono alla base della fase di ricerca delle tracce e di
informazioni e altrettanto fondamentali per aumentare le possibilità di successo
investigativo.
Le azioni intraprese durante il sopralluogo sono di cruciale importanza nella risoluzione
del caso; infatti, una approfondita investigazione iniziale assicura che le prove fisiche
potenziali non siano contaminate e rovinate oppure che potenziali testimoni siano
trascurati. Le forze di polizia hanno così sviluppato dei programmi per “processare” la
scena del crimine e per stabilire il livello di addestramento e gli strumenti che devono
essere disponibili.
Considerando che ogni caso è potenzialmente unico, alcune azioni di preservazione e
repertamento possono essere decise sul momento in base al caso che si presenta e l’ordine
attraverso cui le azioni dovrebbero essere eseguite potrebbe variare in base alla natura della
scena criminis in esame.
Gli operatori specializzati nel ricercare tracce sul luogo di un reato devono
possedere una idonea preparazione professionale al passo con le continue innovazioni delle
Scienze Forensi e devono avere in dotazione strumentazioni adatte alla circostanza e tenute
in perfetta efficienza.
Per traccia fisica si intende qualsiasi tipo di oggetto che è in grado di stabilire che un
crimine è stato commesso o che può fornire un collegamento tra un crimine e la vittima o
tra un crimine e l’autore. Per fare ciò occorre una conoscenza completa di tutte le tecniche
di laboratorio che si possono utilizzare comprese le possibilità ed i limiti di tali tecniche.
Se un investigatore non è in grado di riconoscere le tracce fisiche o non è in grado di
raccogliere in maniera adeguata, preservarle e trasportarle in laboratorio, nemmeno la più
sofisticata strumentazione di laboratorio o la migliore competenza tecnica potranno salvare
la situazione. Sono necessari pertanto una serie di passaggi fondamentali utili a preservare
e “congelare” la scena del crimine al fine di effettuare successivamente una corretta
repertazione e conservazione delle tracce:
1. Delimitazione: Mettere al sicuro e isolare la scena del crimine, dare supporto al
personale sanitario, bloccare eventuali sospetti e tenere fuori dalla scena altri operatori
di polizia non autorizzati, il pubblico e naturalmente i media;
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2. Video-riprendere e fotografare la scena del crimine nel suo stato originale,
documentando la condizione e delineando la localizzazione delle tracce fisiche.
3. Creare successivamente un disegno che riporti le dimensioni dell’area e degli oggetti
presenti sulla scena. Prendere appunti su tutto ciò che si nota e sulle possibili relazioni
tra gli elementi riscontarti;
4. Pianificazione della ricerca: occorre effettuare una ricerca approfondita e sistematica
documentando il personale intervenuto e l’equipaggiamento utilizzato, individuare il
tipo di crimine e la natura delle prove.
5. Indicare il percorso delle tracce e le persone che le hanno avute in consegna e rispettare
le procedure standardizzate per la compilazione dei documenti che accompagnano le
tracce.
6. Garantire il controllo della scena, della vittima e, se presente, di un eventuale
sospettato;
7. Rispettare le procedure di consegna al personale di laboratorio e rispettare i protocolli;
8. Attuare cautele e protezione nei confronti di tutto ciò che può rappresentare un rischio
per la salute degli operatori (agenti patogeni e sostanze tossiche utilizzate per
evidenziare le tracce).
9. Per quanto riguarda la traccia fisica bisogna evitare modificazioni, contaminazioni,
rotture, evaporazioni, graffi o perdite di materiale nei reperti. Occorre mantenere
l’integrità e, quando possibile, prelevare tutto l’oggetto che contiene la traccia
mantenendolo nelle stesse condizioni in cui si trovava sulla scena del crimine. Le tracce,
infine, devono essere conservare separatamente. Per fare ciò gli operatori dovrebbero
adottare cautele quali l’utilizzo di guanti monouso (per evitare di toccare direttamente
gli elementi da analizzare) ma anche evitare di tossire, bere, mangiare, fumare o fare
qualsiasi altra cosa che potrebbe alterarle. Una volta prelevate, la tracce devono essere
mantenute all’asciutto e a temperatura ambiente e successivamente riposte in buste di
carta e poi sigillate, etichettate e trasportate in modo da assicurarne una immediata
identificazione1.
1 M. Strano, Manuale di Investigazione Criminale – Criminal Investigation Handbook Edizione Italiana, Nuovo Studio Tecna, Roma 2008.
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1.1 Project Work
Fig. 1
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
Il presente testo è stato realizzato in collaborazione con il reparto di POLIZIA
SCIENTIFICA della Questura di Pistoia.
Tutte le immagini presenti nelle successive pagine riguardano fotografie direttamente
scattate a strumenti e attrezzature presenti nei laboratori della “Scientifica” di Pistoia (ad
eccezione di quelle provenienti dal catalogo SIRCHIE 2, rigorosamente documentate).
2 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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2. Attrezzature mobili per indagini tecniche di P.G.
L’operatore di polizia scientifica che interviene sul luogo del reato deve disporre di
attrezzature portatili necessarie per effettuare le indagini tecniche e i rilievi richiesti come
quelli planimetrici, descrittivi, fotografici, fotocinematografici e di registrazione,
dattiloscopici, plastici (fissazione e calchi di impronte da scarpa, pneumatici ecc.), ma
anche analisi di sostanze biologiche e sostanze stupefacenti.
Il corredo di pronto intervento è costituito da funzionali contenitori le cui dimensioni e
forma sono assimilabili a quelle di normali valigie da viaggio: cm 55 x 45 x 18 (fig. 2, 3,
4). Si tratta di cassette rigide e studiate appositamente per ospitare il materiale occorrente
all’esecuzione dei rilievi tecnici sul luogo del reato, secondo un preciso ordine e senza
spreco di spazio.3
Fig. 2 Fig. 3
Fig. 4
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
3 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.
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La valigetta di pronto intervento, denominata “corredo per il sopralluogo”, contiene gli
strumenti necessari per effettuare:
1) L’esaltazione e l’asportazione di impronte digitali latenti tramite:
1. Torcia elettrica;
2. Serie di pennelli di vario tipo (Fig. 5, 6, 7);
3. Lente d’ingrandimento (Fig. 10);
4. Recipienti diversi;
5. Adesivi (Fig. 8);
6. Lente contafili;
7. Forbici (Fig. 9);
8. Pinzette metalliche;
9. Supporti in plastica di vario colore;
10. Pipetta di vetro per l’esaltazione delle impronte latenti a mezzo di vapori di
iodio;
11. Lana di vetro;
12. Capsula di porcellana.
Fig. 5 Fig. 6
Fig. 7 Fig. 8
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Fig. 9 Fig. 10
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
2) L’assunzione di impronte digitali e palmari per “esclusione” o per segnalamento di
persone sospettate o incriminate tramite:
1. Inchiostro tipografico;
2. Piastra metallica o rullo di gomma (Fig. 11, 12);
3. Cartellini segnaletici;
4. Foglietti dattiloscopici (Fig. 15);
5. Cartellini per impronte palmari;
6. Supporti;
7. Reattivo Inkless e relativi cartellini speciali;
8. Benzina;
9. Sapone e asciugamani sintetici.
Fig. 11 Fig. 12
Fig. 13 Fig. 14
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Fig. 15
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
3) L’esecuzione di rilievo in caso di rinvenimenti di cadaveri tramite:
1. Guanti di gomma;
2. Specchietto da dentista;
3. Termometro per la misurazione della temperatura (Fig. 16, 17).
Fig. 16 Fig. 17
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
4) L’assunzione di impronte ai cadaveri per la loro identificazione tramite:
1. Liquido per restaurare l’elasticità dei polpastrelli (Fig. 18);
2. Paletta metallica (Fig. 19);
3. Siringa ipodermica con aghi (Fig. 21);
4. Piccolo rullo di gomma (Fig. 22);
5. Piccola spatola di legno;
6. Cotone e alcol.
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Fig. 18 Fig.19 Fig.20
Fig. 21 Fig. 22
Fig. 23
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
5) Il prelievo e la custodia dei reperti tramite:
1. Guanti di gomma (Fig. 24);
2. Sacchetti di nailon di varie dimensioni;
3. Recipienti cilindrici di varie dimensioni;
4. Varie provette di vetro con relativi turaccioli (Fig. 25);
5. Cilindro di vetro graduato;
6. Cartoncini e spaghi;
7. Raschietti.
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Fig. 24 Fig. 25
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
6) l’esecuzione di rilievi descrittivi tramite:
1. Fogli centimetrati (Fig. 26);
2. Ripiano di legno per rilievi planimetrici (Fig. 27);
3. Flessometro;
4. Calibro;
5. Rotella metrica da 10 m (Fig. 29);
6. Squadra e notes (Fig. 30).
Fig. 26 Fig. 27
Fig. 28
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Fig. 29 Fig. 30
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
7) L’esecuzione di calchi su effrazioni:
1. Mastice da dentista e vasellina.
8) L’impiego della cosiddetta attrezzatura “trappola” tra cui:
1. Inchiostro visibile solo alla luce U.V., particolarmente necessario per
contrassegnare banconote, documenti ed altro;
2. Materiale fluorescente come matite, polveri e paste (fig. 31);
3. Polveri macchianti che, al contato con la pelle umana assumono una colorazione
scurissima, quasi indelebile;
4. Lampada e raggi U.V., da usare in combinazione con le varie polveri e inchiostri
(Fig. 32).
Fig. 31 Fig. 32
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
9) Strumenti necessari per completare l’esecuzione dei rilievi fotografici tra cui:
1. Gessetti e matite grasse di vario colore per circoscrivere posizioni ed oggetti vari.
Fig. 33 Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
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10) Controllare se impianti, macchinari ed elettrodomestici siano attraversati da corrente
elettrica tramite lo “strumento cercafase”.
11) Il materiale occorrente per l’esecuzione di calchi su impronte da scarpa e da
pneumatici su terreno, su neve, su sabbia e su altri substrati tramite l’utilizzo di:
1. Strisce ed angoli di rame per la delimitazione delle impronte;
2. Pinzetta metallica;
3. Elemento base per l’esecuzione del calco;
4. Recipiente in polietilene per contenere l’impasto;
5. Scatole di idroplast;
6. Setaccio metallico;
7. Nebulizzatore;
8. Ciotole in gomma;
9. Varie spatole per distribuire l’impasto;
10. Sessolina per mescolare;
11. Rete metallica per rafforzare il calco;
12. Cesoia e spruzzatore;
13. Bombola con “fissatore di terreno” da usarsi su superfici friabili;
14. Flaconi con liquido speciale per rallentare o accelerare la solidificazione
dell’impasto;
15. Misurino graduato e matite;
16. Compasso metallico e flessometro per la misurazione delle impronte.
12) Compasso goniometrico per la misurazione di impronte o di orme ai fini della
dinamica del passo e dell’orientamento sulla statura e sul peso dell’individuo
eventualmente da ricercare.
13) Tamponi per il prelievo di residui da sparo e materiale necessario per l’esecuzione del
“guanto di paraffina” tra cui:
1. Paraffina pura;
2. Ciotola, contagocce, pennellessa e garza;
3. Flacone di reagente per le tracce di nitrati.
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3. Strumenti e procedure
3.1 Delimitazioni: strumenti per l’isolamento della scena del crimine
Gli agenti delle pattuglie volanti, che per primi giungono sul luogo del reato, devono
provvedere ad isolare e sorvegliare la località per impedire eventuali alterazioni esterne che
potrebbero inquinare la scena del delitto. Il modo più semplice ed efficace per circoscrivere
la zona interessata, prevede l’utilizzo della banda bianca e rossa (Fig. 34, 35). Ma per un
corretto isolamento sono stati previsti tre livelli di contenimento della “scena criminis”:
1. Il contenimento di primo livello prevede l’utilizzo di un nastro giallo che circonda
tutti i punti in cui potrebbero trovarsi delle prove.
2. Il contenimento di secondo livello prevede il posizionamento di una seconda
barriera di nastro delimitatore, al fine di circondare la zona di primo livello; in
questo modo si crea una sorta di “area tampone” necessaria agli agenti, periti
tecnici ed investigatori per sistemare l’equipaggiamento da utilizzare e poter
discutere senza essere disturbati da estranei e dalla stampa.
3. Il contenimento di terzo livello corrisponde invece ad una delimitazione di tipo
perimetrale, in cui possono accedere personale e veicoli di servizio. Si crea intorno
al nastro di secondo livello tramite barricate e macchine della polizia. Lo scopo è
quello di impedire che altri individui possano avvicinarsi alla scena del delitto,
rendendola così ulteriormente protetta.
Nella maggior parte dei casi, gli investigatori che intervengono sulla scena del crimine
trovano l’area contaminata dalla presenza di passanti o da famigliari della vittima i quali,
nel tentativo di rendersi utili, possono distruggere delle tracce di importanza cruciale.
Questo è il motivo per cui risulta di fondamentale importanza delimitare il perimetro della
scena del crimine con un nastro di colore ben visibile che sia rapido e facile da stendere.
Un metodo efficace per utilizzare il nastro consiste nell’avvolgerlo una volta intorno a
diversi oggetti caratterizzati da una posizione statica, duratura e posti in prossimità del
perimetro che si vuole metter in sicurezza.
Fig. 34 Fig. 35
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
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3.2 Analisi della scena del crimine e rilievi tecnici: il sopralluogo
Al fine di individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione
dell’evento e/o alla identificazione del reo, il sopralluogo ha come scopo la identificazione
dell’ambiente dove si presume si sia verificato il reato, la determinazione del suo
contenuto, ma anche la ricerca di ogni prova di reato e delle tracce di chi può averlo
commesso. I due compiti sono intimamente connessi ma ben separati e distinti:
- prima si procede osservando e fissando le condizioni del luogo senza nulla spostare;
- poi, procedendo ai necessari spostamenti per osservare e fissare ciò che non era
altrimenti visibile.
L’osservazione e la descrizione sono due momenti consecutivi delle operazioni
tecniche del sopralluogo aventi come fine quello della compilazione del cosiddetto
“ritratto parlato del sopralluogo” che costituirà parte essenziale del rapporto. Per cui è
stato sviluppato un metodo rigoroso e universalmente accettato necessario per effettuare
una completa osservazione della scena del crimine. La polizia scientifica deve procedere
con una prima osservazione da eseguire nel seguente ordine:
dal generale al particolare;
da destra verso sinistra;
dal basso verso l’alto.
Di ogni elemento osservato occorre rilevare la sede, la posizione, la direzione, la
forma, la dimensione, la materia, il colore, l’odore ed ogni altra qualità. Occorre, inoltre,
dopo aver dato uno sguardo d’insieme, esaminare in tutte le parti l’oggetto
dell’osservazione procedendo con un ordine topografico. È importante fissare la posizione
di chi descrive perché ad essa vanno riferite tutte le indicazioni di destra, sinistra, anteriore
e posteriore. Di ciascun ambiente gli operatori dovranno esaminare prima i caratteri
generali poi quelli particolari come il pavimento, le pareti (sempre da destra a sinistra, dal
basso verso l’alto) ed il soffitto; quindi i mobili e, infine, tutto ciò che di anormale vi si
trova eventualmente (come impronte, soprammobili rotti ecc..). Anche questi ultimi
elementi devono essere osservati prima nei loro caratteri generali e poi nei caratteri
particolari che costituiscono le singole parti e nell’ordine seguente:
Anteriore laterale destra e sinistra;
Posteriore e interna.
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Se sono presenti degli elementi mobili bisogna stabilire e fissare come l’oggetto si trova
rispetto all’osservatore.
A questo punto sarà possibile effettuare i rilievi tecnici distinti in:
Planimetrici;
Descrittivi;
Fotografici;
Dattiloscopici.
3.2.1 Rilievi planimetrici
Sono costituiti da disegni in scala e devono essere eseguiti sul posto in tutte le loro
parti come se questi dovessero servire da soli a documentare graficamente ciò che sarà
descritto e fotografato. Il rilievo deve essere accuratamente orientato, in base ai punti
cardinali, deve contenere l’esatta scala di riduzioni, l’indicazione del luogo, della data,
dell’ora dell’esecuzione, nonché il nome dell’operatore che la effettua. Prima però di
iniziare i rilievi veri e propri, l’operatore deve stabilire i limiti del luogo da rappresentare
ed eseguirvi un’accurata ricognizione. La scala corrisponde al rapporto tra le lunghezze
della riproduzione planimetrica e le lunghezze reali. Nel caso in cui il furto sia avvenuto
principalmente all’interno di una stanza e pertanto in un luogo chiuso, allora si potrà
utilizzare un metodo di rilievo utile per rappresentare, sullo stesso piano, anche le pareti ed
il soffitto.
3.2.2 Rilievi descrittivi
Descrivere significa “rilevare i caratteri che presenta ciò che forma oggetto di
osservazione” pertanto, da questo lavoro di ricerca, gli operatori giunti sul luogo del reato
(del furto, in questo caso), dovranno effettuare un’accurata descrizione nell’apposito
verbale, il quale deve contenere:
a) La data e l’ora d’inizio e ultimazione del sopralluogo;
b) Le generalità e il grado dell’ufficiale di P.G operante e dei suoi collaboratori;
c) Indicazione dell’ufficio dal quale dipende l’ufficiale operante;
d) Indicazione dell’autorità che ha disposto le indagini;
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e) Indicazione del luogo in cui si effettua il sopralluogo;
f) Generalità di chi ha denunciato il fatto.
Di ogni elemento deve essere data un’accurata descrizione, senza nulla omettere, anche
se taluni particolari sembrano irrilevanti per il fatto. Il tutto deve essere eseguito senza
alterare minimamente l’ambiente. Successivamente si procederà alla repertazione dei corpi
di reato e di tutti quegli elementi utili per ulteriori ricerche ed esami di laboratorio,
dandone notizia nel verbale.
I caratteri che più frequentemente vanno descritti sono:
Sede: serve per indicare la posizione di ambienti rispetto ad altri;
Posizione: specifica in quale modo è posto l’oggetto di osservazione;
Quantità;
Forma: si rileva richiamando la forma di qualche cosa nota;
Dimensioni;
Direzione: si rileva solo per gli ambienti di forma rettangolare indicando se l’asse
più lungo è parallelo o perpendicolare alla parete in cui si apre la porta d’ingresso;
Colore: si rileva indicando la specie di colore.
Per descrivere la posizione di più ambienti chiusi si comincia dalla scala di ingresso
indicando i nomi dei vari ambienti adiacenti, cominciando da quelli che sono a destra, poi
con quelli che sono di fronte, a sinistra e posteriormente. Se nei vari lati sono presenti
aperture, corridoi ecc. che immettono in altri ambienti, questi si descrivono, iniziando dalle
aperture, dai corridoi ed altro che si trovano a destra e proseguendo secondo l’ordine
consueto.
Per descriver poi la posizione di più ambienti all’aperto, si comincia nominando
l’ambiente che si reputa maggiormente importante:
1) in rapporto all’ordine topografico di chi vi accede;
2) in rapporto al fatto per cui si interviene (per esempio furto o omicidio);
3) in rapporto alla notorietà dell’ambiente stesso.
La descrizione di parti di ambiente e quindi di un ambiente chiuso si effettua analizzato
gli elementi che solitamente lo costituiscono, ovvero:
Le quattro pareti;
Il pavimento;
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I quattro angoli;
Il soffitto;
Uno o più usci;
Uno o più finestre.
3.2.3 Rilievi fotografici
I rilievi fotografici vengono solitamente effettuati contemporaneamente a quelli
descrittivi, dei quali seguono lo stesso ordine, in modo da integrarli e dando dell’ambiente
una precisa e completa descrizione, sia del generale che del particolare. Soprattutto in casi
di ambienti particolarmente estesi, l’utilizzo della fotografia è diventato un insostituibile
aiuto. Il sopralluogo fotografico infatti, evita che il dettaglio si disperda e consente di
assicurare con sicurezza se un fatto sia o possa essere effettuato in un determinato modo.
3.2.4 Rilievi dattiloscopici
Dopo aver effettuato tutti le precedenti tipologie di rilievi, devono essere eseguiti anche
quelli dattiloscopici necessari per il recupero delle impronte papillari che potrebbero essere
state lasciate dal reo al momento del furto o nelle zone limitrofe necessarie per accedere ed
uscire dal luogo del reato. Per poterle rilevare vengono utilizzate una serie di sostanze e di
polveri le quali vengono sparse sulla zona di interesse tramite pennelli morbidi e di varie
dimensioni da parte di operatori specializzati e successivamente asportate per mezzo di
adesivi specifici.
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3.3 Il segnalamento della persona e i relativi apparati tecnici
Attualmente, i tipi di segnalamento dell’uomo di cui si serve la Polizia Italiana e che
risultano compendiati dal cartellino segnaletico sono:
Segnalamento descrittivo;
Segnalamento fotografico;
Segnalamento dattiloscopico.
3.3.1 Il segnalamento descrittivo
Tutte le persone (o cadaveri sconosciuti) che, trovandosi nelle condizioni previste dalla
legge, siano sottoposti a rilievi segnaletici, danno vita ad un particolare documento
denominato “cartellino segnaletico” (Fig. 36). Su di esso vengono riportati, in ordine, i
dati relativi :
- alle generalità;
- alla tecnica criminosa;
- al motivo del segnalamento;
- i connotati cromatici (come il colore della cute, dell’iride, di capelli, dei baffi, delle
sopracciglia e della barba);
- la fotografia fronte/profilo destro, ridotta ad 1/5 dall’originale;
- le impronte della mano sinistra (a partire da pollice, indice, medio, anulare e
mignolo);
- i connotati salienti relativi alla statura, corporatura, adiposità, viso, fronte,
sopracciglia, occhi, naso, orecchio e bocca;
- contrassegni propriamente detti come cicatrici, nei e tatuaggi;
- contrassegni sottoforma di imperfezioni fisiche ed anomalie della conformazione
(gigante, nano ecc.);
- l’ufficio segnalatore e la data del segnalamento;
- la firma della persona segnalata (con la paternità);
- infine, le impronte della mano destra a partire da pollice, indice, medio, anulare e
mignolo.
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Fig. 36 L’immagine mostra le modalità per la creazione del cartellino segnaletico 4
L’ufficio che provvede alla compilazione del cartellino segnaletico provvede anche
al compilamento del “foglietto dattiloscopico” riservato alla ripetizione delle impronte
delle 10 dita, assunte una per una separatamente, nonché alla loro assunzione simultanea;
si procede prima con la mano sinistra e poi con quella destra. Lo scopo del foglietto
dattiloscopico è quello di offrire un elemento di controllo e di eventuale integrazione.
Infine, entrambi i documenti vengono centralizzati dove, personale idoneo e specializzato,
provvede alla classificazione delle impronte.
3.3.2 Segnalamento fotografico
Negli ultimi decenni, basandosi sui principi su cui si fondava l’apparato “Gemelle
Ellero”, per cui le due immagini del fronte e del profilo devono essere riprese
simultaneamente, è stato realizzato l’apparecchio fotografico “A.P.S”, acronimo di
“Apparato per Segnalamento”; esso è costituito da un solo apparecchio fotografico che
raccoglie contemporaneamente il fronte e il profilo, affiancandoli sullo stesso fotogramma
del formato 24 x 36.
4 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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Ultimamente è stato realizzato un nuovo apparato di fotosegnaletica che consiste in
una versione più moderna e compatta dell’A.P.S. (Fig. 37, 38, 39). Esso esegue su un unico
fotogramma la fotografia in bianco e nero o a colori del fronte e del profilo utilizzando una
fotocamera 35 mm e gruppi ottici dotati di specchi e prisma che rinviano l’immagine
nell’obiettivo mentre il sistema di illuminazione è costituito da lampeggiatori e luce pilota.
In merito al segnalamento fotografico, recenti disposizioni riguardano l’estensione del
segnalamento tradizionale, ovvero della foto del volto fronte/profilo a 1/5 del naturale, alla
ripresa di tutta la persona su formato 13 x 18, ed alla proiezione, di dispositivi a colori su
schermo di grande formato.
Al fine di potenziare il sistema tradizionale è stato istituito anche il segnalamento
cinematografico, come vedremo nei paragrafi successivi.
Fig. 37 Fig. 38
Fig. 39 Fig. 40
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
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3.3.3 Segnalamento dattiloscopico
Per l’assunzione delle impronte digitali è stato realizzato, come sistema rapido e
preciso, un semplice “tavolo dattiloscopico” (Fig. 41) il quale si presenza come un comune
tavolino a piano rialzabile sul quale si trovano:
- un rullo inchiostratore (Fig. 42);
- una superficie rotante necessaria per l’utilizzo delle varie parti del foglietto
dattiloscopico durante l’assunzione delle impronte;
- un ripostiglio piuttosto ampio che consente la conservazione degli stampati inerenti
al servizio.
Fig.41 Fig.42
3.4 Fotografia della scena del crimine
Una volta giunto sulla scena del crimine, l’operatore deve essere in grado di scattare
fotografie in maniera professionale ad ogni elemento della scena del reato che potrebbe
risultare utile per l’indagine. Infatti, parallelamente al prelievo dei reperti e alla stesura di
un testo scritto di descrizione nonché di un disegno della “scena criminis”, viene eseguita
una accurata documentazione fotografica, possibilmente prima che qualsiasi personale,
anche autorizzato, possa accedervi per studi o prelievi. Le fotografie devono riguardare:
Elementi che vanno dal generale al particolare;
Panoramiche intere del luogo del delitto e panoramiche delle aree circostanti;
Ingresso e entrata del luogo, sia esso un edificio, un appartamento o un locale;
Vedute delle vie d’ingresso e fuga, folla, testimoni e presunto sospetto;
Il cadavere, se presente, ripreso da varie angolazioni e la sua relazione nei confronti
della scena del crimine. Abiti e scarpe del cadavere (anche le suole);
Lesioni e ferite di vario tipo e nelle diverse parti del corpo;
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Elementi come gocce di sangue, abiti strappati, capelli, peli, fibre e oggetti di vario
genere presenti sul e intorno al cadavere;
Possibili oggetti presenti sul luogo del reato;
Visualizzare la relazione tra gli oggetti e il loro ambiente;
Impronte digitali;
Se ci si trova in ambiente aperto, le fotografie devono essere in relazione a punti
fissi con riprese ad altezza d’occhio;
Se ci si trova in ambienti chiusi, le fotografie devono riferirsi a porte e finestre e
vari oggetti, oltre che al cadavere;
Se il corpo è stato spostato, scattare delle fotografie dello stesso in posizione
originale ricostruita;
Fotografie riguardanti l’area sottostante del cadavere in seguito alla sua rimozione;
Le varie tracce presenti al di sotto del cadavere.
Dopo che la scena è stata scattata così come è stata rinvenuta, si possono scattare una
seconda scala di fotografie con piccole alterazioni indispensabili, aggiungendo scale di
misurazione, rimuovendo oggetti che ostacolano la vista o effettuare ulteriori modifiche in
modo da rendere la scena più chiara.
Ogni oggetto ritenuto importante sulla “scena criminis” deve apparire in almeno tre foto:
- Visione panoramica;
- Foto a medio raggio;
- Foto ravvicinata.
Considerando che le misure e le distanze possono essere distorte da un a angolazione
sbagliata, occorre fare attenzione alle angolature della macchina fotografica; sarebbe
pertanto opportuno scattare la maggior parte delle foto in piedi e con la macchina a livello
dell’occhio poiché questa è l’altezza da cui le persone guardano le cose risultando più
semplice interpretare quello che si vede.
Nonostante la rappresentazione fotografica fornisca delle importanti fonti di
informazione, non garantisce tuttavia di poter risalire alle effettive dimensioni del luogo in
esame (come alterazioni delle forme geometriche dovute alla prospettiva), per cui, spesso,
vengono effettuate anche delle riprese digitali (filmati) che consentono una maggiore
visione d’insieme della zona del reato.
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4. Organizzazione dei laboratori di Polizia Scientifica
La Polizia Scientifica corrisponde a quella struttura specializzata della Polizia di Stato
che interviene sulla Scena del Crimine qualora siano richieste competenze nel campo delle
scienze biologiche, chimiche, fisiche, mediche ed altre.
4.1 Le strutture centrali della scientifica5
Le strutture centrali della Scientifica, sono articolate in una serie di laboratori nel
cui ambito opera personale specializzato. Le conoscenze scientifiche (chimiche, fisiche,
biologiche, mediche, psicologiche ecc..) vengono applicate alle indagini forensi. Per tali
attività vengono utilizzate strumentazioni tecnologiche altamente sofisticate e in continua
evoluzione.
4.1.1 I laboratori fotografici
Il laboratorio fotografico, in bianco e nero e a colori, si occupa della riproduzione
dei cartellini segnaletici e degli adesivi con le impronte digitali, nonché della
documentazione fotografica delle impronte latenti evidenziate con metodi fisici e chimici.
Il laboratorio Fotografia Speciale, sperimenta invece nuovi sistemi da impiegare per
l’identificazione sia a fini preventivi che giudiziari ed è specializzato nell’impiego di
particolari tecnologie strumentali che consentono di effettuare le riprese video in ogni
condizione di luce e di ambiente.
Fig.43 Fig.44 Fig.45
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
5 M. Strano M., Manuale di Criminologia Clinica, SEE – Firenze, 2003.
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4.1.1.a Le attrezzature tecniche
I laboratori fotografici dispongono:
- di una perfetta oscurabilità;
- di una adeguata areazione a mezzo di condizionatori i quali assicurano una
temperatura di 20°;
- di deumidificatori necessari per ridurre l’umidità;
- di rivestimenti “antipolvere” necessari per limitare le conseguenze dannose dei
depositi di pulviscolo;
- di impianti di erogazione idrica ed elettronica;
- ampio spazio per una funzionale disposizione delle apparecchiature necessarie alla
ripresa ed alla manipolazione di sviluppo di stampa.
Per quanto riguarda la ripresa, i laboratori bianco/nero dovrebbero essere dotati di:
- un apparecchio da riproduzioni “ REPRODATTILOSTAT”, utilizzato per
effettuare la riproduzione delle impronte papillari con la inversione diretta di posto;
- un riproduttore fotografico “REPRO”, per pellicola di formato 24 x 36, formato da
un piano di appoggio, da una colonna per lo scorrimento verticale della fotocamera
abbinata e di un parco lampade che assicura una illuminazione uniforme e priva di
riflessi;
- riduttore fotografico POLAROID “MP3”, da cui è possibile ottenere in pochi
secondi sia negativo che positivo;
- riduttore fotografico “DRY PHOTOCOPIER” della 3M, per copie fotostatiche;
- apparecchio da studio di formato maggiore; vengono principalmente impiegate
camere 13 x 18 cm e, pur non essendo automatiche, risultano di estrema utilità sia
per la semplicità di manovra, sia per la presenza del vetro smerigliato che consente
di osservare direttamente l’immagine prodotta dall’obiettivo. Attualmente, le
camere 13 x 18 sono corredate di accessori, sono ad ottica intercambiabile ed
utilizzano pellicole piane di vario formato; vengono impiegate soprattutto per
riprese interne.
Le manipolazioni di sviluppo e stampa si effettuano all’interno della “camera oscura”
nella quale sono installati:
- ingranditore LABORATOR, per negativi di vario formato al 13 x 18;
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- ingranditore “FOCOMAT”, per negativi di vario formato fino al 6 x 7, con messa a
fuoco automatica;
- bromografo per la stampa “a contatto” dei negativi;
- “banco umido” ovvero una vasca nella quale vengono appoggiate le bacinelle
contenenti le soluzioni per lo sviluppo, per l’arresto e per il fissaggio e lavaggio del
materiale sensibile, negativo e positivo;
- Un armadio essiccatore nel quale vengono fatte asciugare le pellicole;
- Una smaltatrice (a piastre o rotativa) necessaria sia per asciugare le copie sia per
fornire loro la idonea smaltatura;
- Lampade di sicurezza, orologi contasecondi ecc.
La tecnica di sviluppo e stampa del materiale fotografico a colori è particolarmente
complessa e critica e il laboratorio del colore deve essere in grado di provvedere alle
specifiche esigenze che la documentazione impone e con la massima accuratezza. Il
procedimento deve effettuarsi a temperatura controllata, calcolata e costante in modo tale
da impedire alterazioni nell’equilibrio cromatico del materiale, causate da variazioni di
appena un quarto di grado; inoltre, il lavoro si deve svolgere in completa oscurità e senza
possibilità di controllo o correzione. La resa cromatica obiettiva nella stampa si ottiene
attraverso una complessa scelta cromatica possibile tramite numerosi filtri che
conferiscono alla copia i giusti valori solo se opportunamente combinati.
Il minilab a colori è composto da due apparati:
- La sviluppatrice automatica per negativi;
- La stampatrice-sviluppatrice automatica per positivi.
Il sistema di sviluppo e stampa dei positivi si avvale di una stampatrice direttamente
collegata alla sviluppatrice della carta; le due apparecchiature sono simultaneamente
comandate dal computer attraverso una tastiera e assemblate insieme in un'unica struttura
di metallo che permette il passaggio automatico della carta fotografica impressionata dalla
stampante alla sviluppatrice.
Il ciclo completo del trattamento del sistema dura 4 minuti e mezzo a differenza del ciclo
completo della sviluppatrice che corrisponde a circa 15 minuti.
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Infine, per poter visualizzare l’immagine in positivo prima della stampa con lo
scopo di effettuare ingrandimenti di particolari, il sistema è dotato di monitor e telecamera.
4.1.1 b Tecniche fotografiche speciali
L’esplorazione e la documentazione fotografica sono di fondamentale importanza nelle
indagini e spesso la ricerca si indirizza anche a dettagli piccoli, a volte piccolissimi, non
visibili all’occhio umano ma che devono essere evidenziati e fissati.
Per ottenere tali risultati vengono usate tecniche fotografiche speciali capaci di fornire
la più dettagliata ed esauriente documentazione dalle comuni emulsioni sensibili o
mediante il normale impiego delle fonti di illuminazione. Si possono pertanto distinguere:
1. Macrofotografia: consiste nella ripresa fotografica dell’oggetto molto piccolo, al
fine di poterne osservare e documentare le caratteristiche che, altrimenti,
sfuggirebbero all’occhio umano;
2. Microfotografia: corrisponde alla possibilità di fotografare oggetti piccolissimi,
individuabili ed osservabili solo al microscopio;
3. Fotografia all’infrarosso: sfruttando le radiazioni elettromagnetiche invisibili (le
infrarosse, al disopra dei 700 millimicron, e quelle ultraviolette, al di sotto dei 400
millimicron) si possono ricercare corpi e sostanze invisibili per natura all’occhio
umano;
4. Fotografia all’ultravioletto: sono particolarmente indicate per evidenziare
alterazioni di documenti, cancellature con mezzi chimici, falsificazioni di dipinti,
monete cartacee ecc.;
5. Fotografia a luce radente: viene utilizzata quando occorre mettere in evidenza
l’avvenuta modificazione di un substrato a superficie più o meno piana, dovuta alla
sola azione meccanica e non a sovrapposizioni di colori o altro;
6. Fotografia per trasparenza: osservando per trasparenza (controluce) a livello di un
particolare assottigliamento si noterà una luce più forte e ciò è dovuto dal fatto che,
essendo diminuito lo spessore, in quella zona traspare una maggiore quantità di
luce;
7. Video spectral cpomparator – VSC: Si tratta di uno strumento usato per assicurare
l’assorbimento e la luminescenza agli infrarossi di documenti e di altri materiali
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sospetti, consentendo di individuare alterazioni e cancellature degli stessi. Le
diversità chimiche degli inchiostri (a seconda dei pigmenti, delle tinte e degli
additivi scelti dai fabbricanti) sono responsabili di differenze di luminescenza e di
assorbimento all’infrarosso tali da poter essere rilevate ed osservate tramite il VSC.
Tale strumento è costituito da una telecamera che garantisce una estrema sensibilità
e definizione nel visibile e nell’infrarosso con una gamma di lunghezza d’onda
compresa tra i 400 e i 1100 millicron, oltre che da una serie di filtri passabanda che
consentono di scandagliare velocemente le varie lunghezze d’onda.
8. Polilight: si tratta di una lampada allo xenon che emette una luce ultravioletta su un
lunghezza d’onda paragonabile a quella dei laser e che viene utilizzata per
l’evidenziazione delle impronte papillari latenti.
9. ESDA: si tratta di uno strumento necessario per rilevare le tracce di scrittura
impresse sui documenti; è più avanzato rispetto al metodo della luce radente poiché
permette l’evidenziazione di tracce di scrittura assolutamente invisibili. Esso si
basa sulla formazione di cariche elettriche su un sottile foglio di plastica
sovrapposto al documento sul quale si effettua la ricerca dei solchi di scrittura da
evidenziare. La superficie del foglio di plastica, sovrapposta al documento, viene
interessata da cariche elettriche che si distribuiscono in modo diverso a seconda
delle depressioni presenti sul documento. Alla fine del processo, dopo aver fatto
scorrere sul foglio di plastica un apposito sviluppatore, si ottiene un’immagine dei
solchi di scrittura data dalla non uniforme densità delle cariche elettriche.
4.1.2 Laboratorio di videoregistrazione
Fig. 46
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
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Per molti anni la cinematografia ha occupato un ruolo di primaria importanza nei
servizi di polizia giudiziaria ma, negli ultimi anni, la videoregistrazione ha prevalso in
virtù della sua maggiore praticità d’impiego.
I principali fini cui risponde tale tecnica sono tre:
a) Finalità documentativa;
b) Finalità investigativa;
c) Finalità didattica.
a) Tramite la videoregistrazione è possibile creare una documentazione fedele registrando
gli avvenimenti, le scene e le persone, nella quale, la progressione cronologica può
essere fedelmente riprodotta. La successiva visione della videocassetta costituisce un
documento probatorio, spesso decisivo, da far valere in sede giudiziaria.
b) Per quanto concerne la finalità investigativa, la riproduzione di fatti, scene, avvenimenti
e persone consente agli investigatori di poter individuare malviventi, auto sospette ed
altro tramite apposite attrezzature come il fermo immagine e la stampante. In questo
modo si possono pertanto fissare dati fisici, movimenti, gesti e molto altro, in modo da
acquisire un insieme di elementi indiziari e talora anche probatori.
c) Infine, l’importanza della videoregistrazione in campo didattico costituisce ormai un
dato universalmente assunto sia nel campo dell’insegnamento che delle più svariate
discipline.
4.1.3 Sezione identità giudiziaria
La Sezione provvede all’identificazione degli autori di reato attraverso i frammenti di
impronte, digitali o palmari, rilevati sul luogo del delitto. Una volta prelevati, si procede al
confronto per esclusione o per sospetto, con le impronte delle persone segnalate dagli
investigatori. Le ricerche vengono effettuate inserendo i dati nel sistema AFIS (Automatic
Fingerprints Identification System), il quale fornisce una risposta positiva o negativa in
tempi rapidi.
4.1.4 Sezione indagini grafiche
La Sezione Indagini Grafiche effettua accertamenti su manoscritti, dattiloscritti e su
documenti realizzati con stampanti collegate a personal computer. L’attività di indagine
prevede metodologie diverse a seconda del prodotto grafico da esaminare.
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I manoscritti vengono esaminati secondo i principi del metodo grafonomico. Il testo viene
innanzitutto ispezionato; si rilevano le caratteristiche generali della grafia (come la
dimensione, le proporzioni, la pressione, i meccanismi di collegamento, l’inclinazione, i
margini ecc.) e i dettagli specifici propri dell’automatismo grafico dello scrivente. Si
procede poi al confronto diretto dei rilievi effettuati, fino alla formulazione di un giudizio
conclusivo. La Sezione si occupa anche del riconoscimento dei caratteri dattiloscriventi,
identificando il tipo di macchina utilizzato ed individuando eventuali anomalie da usura.
4.1.5 Sezione Indagine sulle impronte latenti
Nell’ambito degli accertamenti relativi all’identità giudiziaria, il laboratorio si
occupa di evidenziare le impronte papillari latenti, presenti sulle superfici dei reperti
sequestrati in occasione di episodi delittuosi. I frammenti di impronta, qualora risultino
idonei ai fini dei confronti dattiloscopici, permettono di individuare gli autori del reato. Gli
accertamenti prevedono l’impiego di numerose metodiche chimico-fisiche, che si
differenziano a seconda del tipo di reperto. Il laboratorio interviene anche in casi di disastri
aerei, navali o ferroviari per evidenziare le impronte utili al riconoscimento delle vittime.
4.1.6 Sezione identità preventiva
A questa sezione pervengono i cartellini fotosegnaletici redatti dalla Polizia di
Stato, dall’arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza.
4.1.7 Sezione indagini sugli stupefacenti
Vengono prevalentemente utilizzate tecniche cromatografiche che, a seconda del
tipo di sostanza in esame, consentono la separazione preliminare dei singoli componenti e
la successiva determinazione quantitativa.
4.1.8 Sezione indagini sulle cause degli incendi
4.1.9 Sezione indagini balistiche
4.1.10 Sezione indagini sugli esplosivi
4.1.11 Sezione indagini sui residui dello sparo
In questa sezione vengono analizzati i residui tramite tecniche di microscopia
elettronica a scansione associata alla microanalisi a raggi X.
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4.1.12 Sezione indagini sui terreni, sulle polveri e sui vetri
Le principali tecniche utilizzate dagli esperti all’interno di questa sezione sono la
rifrattometria a raggi X (che permette un’analisi veloce e non distruttiva dei campioni) e
un sistema a raggi X a fluorescenza totale.
4.1.13 Sezione indagini sulle pitture, sulle vernici e sugli inchiostri
4.1.14 Sezione indagini sulle fibre, sui marchi e sulle tracce da utensile
4.1.15 Sezione indagini sulle banconote e sui documenti contraffatti
All’interno del laboratorio vengono effettuate delle analisi degli elementi costitutivi
dei supporti cartacei, l’individuazione microscopica delle tecniche di stampa classiche e di
quelle più recenti. Infine si procede anche all’analisi cromatografica ad alta risoluzione e
densitometrica di inchiostri allo stato fluido.
4.1.16 Sezione indagini sul suono e sulla voce
4.1.17 Sezione indagini medico legali
4.1.18 Sezioni indagini biologiche
La sezione è dotata di un laboratorio di Immunoematologia il quale effettua
indagini sia generiche che specifiche per stabilire la natura delle tracce sequestrate.
L’analisi del DNA viene eseguita dal laboratorio di biologia molecolare.
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5. Individuare e repertare le tracce: la ricerca sistematica sulla scena
del crimine
Per la sua stessa natura una scena del crimine non può essere lasciata totalmente
inalterata dalle persone che intervengono per cui, accade spesso che, anche in maniera non
visibile, qualche traccia del loro passaggio rimanga sulla scena stessa. Assume perciò
un’importanza cruciale il modo in cui si ricercano e si evidenziano le tracce, dal momento
che solo attraverso una strumentazione e una metodologia adeguata è possibile stabilire un
nesso logico tra un sospettato, un oggetto e un dato luogo che hanno a che fare con
l’evento criminale su cui si sta investigando.
Se un investigatore non è capace di riconoscere le tracce fisiche o di raccoglierle,
preservarle e trasportarle in laboratorio in maniera adeguata, le conseguenze potrebbero
essere gravi; infatti, i principali pericoli che si potrebbero verificare in seguito ad
un’alterata attività di repertazione e conservazione sulla “scena criminis” sono
principalmente costituiti da:
Contaminazione;
Alterazione e degradazione;
Perdita del materiale inerente alla scena del reato.
Tutte queste condizioni concorrono a rendere inutilizzabili le tracce identificate sul luogo
del reato; infatti, il modo con cui vengono raccolte e repertate ha un’influenza diretta sul
loro effettivo impiego sia a livello investigativo che probatorio.
Di seguito vengono riportati le principali condizioni che possono alterare la scena del
crimine:
1. Una scorretta delimitazione della scena del crimine potrebbe favorire la
contaminazione della stessa in seguito alla presenza di eventuali sospetti (che
potrebbero volutamente alterarla), altri operatori di polizia non autorizzati, il pubblico
e naturalmente i media. Pertanto, definire e controllare i confini rappresenta il primo
fattore per proteggere e rendere sicura la zona in esame.
2. Non creare un percorso di entrata e di uscita, come unica via per accedere e per uscire
dalla zona del reato durante tutta l’investigazione, utilizzando lo specifico nastro di
segnalazione, potrebbe comportare la distruzione delle prove durante gli spostamenti
nell’area interessata dal crimine.
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3. L’assenza di una scala graduata come riferimento metrico (Fig. 49), può rendere la
fotografia della traccia praticamente inutilizzabile. Ciò può avere un esito drammatico
soprattutto in assenza di una confessione da parte dell’autore o di una testimonianza
oculare e cioè tutte le volte in cui tutto ciò che abbiamo per arrivare alla soluzione del
caso sono le tracce raccolte sulla scena del crimine. Tutte le fotografie scattate ai vari
elementi devono quindi contenere un riferimento metrico altrimenti non sarà possibile
compararli con altri oggetti (appartenenti a uno o più sospettati) successivamente.
Senza riferimento metrico infatti, non sarà possibile stabilire l’esatta dimensione
dell’oggetto. Ciò naturalmente vale anche per le fotografie effettuate sulle impronte
digitali, palmari, da impressione ecc; senza riferimento metrico infatti, non è possibile,
compararle con altre impronte conosciute e contenute nell’AFIS. Anche i pattern degli
schizzi di sangue devono essere documentati con un riferimento metrico insieme ad un
riferimento che ne identifichi chiaramente ed univocamente la loro posizione sulla
scena del crimine e la loro relazione con gli altri elementi rilevati.
Fig. 47 Fig. 48
Fig. 49 Fig. 50
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Fig. 51 Fig. 52
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
4. Una raccolta adeguata del materiale biologico è d’importanza cruciale per il buon esito
del test del DNA. I pericoli che si verificano come conseguenza di una scorretta
raccolta di materiale possono derivare dal mancato utilizzo di cautele necessarie per
evitare contaminazioni o alterazioni del materiale (come l’utilizzo di guanti monouso,
toccare qualsiasi oggetto mentre stanno maneggiando quel tipo di traccia). La
contaminazione può anche avere luogo se qualcuno starnutisce o tossisce sulle tracce,
o si tocca i capelli, il naso o altre parti del corpo e successivamente tocca l’area su cui
è presente il campione che deve essere analizzato.
5. Uno dei principali pericoli a cui può andare incontro il DNA, e in generale le tracce
biologiche lasciate sul luogo del reato che possono contenerlo, riguardano anche le
contaminazione ambientali. Esposizioni ai batteri, al calore, alla luce, all’umidità e
alla muffa possono rendere più rapido il processo di degradazione (erosione) del DNA,
compromettendo inesorabilmente la qualità del campione da analizzare. Gli
investigatori che operano sulla scena del crimine, non dovrebbero tossire, bere,
mangiare, fumare o fare qualsiasi altra cosa che potrebbe comprometterla. Essi
dovrebbero sempre tener presente che alcune tracce di DNA potrebbero essere presenti
anche se non sono visibili ad occhio nudo.
Quando vengono trasportate ed immagazzinate delle tracce che possono contenere
DNA, tali materiali dovrebbero essere mantenuti all’asciutto e a temperatura ambiente.
Dovrebbero essere riposte in buste di carta e poi sigillate, etichettate e trasportate in modo
da assicurarne una immediata identificazione. L’utilizzo di borse di plastica costituisce
terreno di crescita per i batteri che possono contaminare il campione di DNA e
l’esposizione a luce solare diretta, a calore e umidità possono danneggiarlo; quindi, tali
tracce non dovrebbero essere custodite in luoghi esposti a calore e luminosità solare
eccessivi.
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5.1 Protezioni individuali 6
L’adozione di protezioni individuali è necessaria per evitare la contaminazione delle
tracce con le proprie impronte e con i propri liquidi biologici ma anche per evitare di subire
danni fisici derivanti dalla tossicità di molte sostanze chimiche che normalmente vengono
utilizzate per evidenziare le tracce (tra cui vapori iodati e di cianoacrilato, acidi e polveri
fini). Particolarmente importante risulta essere l’impiego di guanti resistenti per evitare di
essere feriti accidentalmente o di essere contaminati da sangue o altri liquidi biologici
infetti repertati sulla scena del reato; risulta altrettanto importante disporre di detergenti e
disinfettanti per lavarsi accuratamente dopo l’intervento. In alcuni casi può essere
necessario un equipaggiamento speciale caratterizzato da tute speciali e maschere antigas
con filtro antipolveri sottili e vapori. Infine, l’operatore che interviene in una scena ad
elevato rischio di contaminazione biologica, prima di uscire dall’ambiente lavorativo e
tornare nella propria abitazione (o altrui) dovrebbe togliersi gli abiti utilizzati nel corso
dell’intervento e inviarli ad una lavanderia specializzata o effettuare il lavaggio con
prodotti idonei e in luoghi controllati.
5.1.1 Kit per la protezione individuale:
1. Tuta in tyvek con cappuccio (Fig. 53);
2. Guanti di lattice (Fig. 54);
3. Guanti in vinile (Fig. 55);
4. Guanti in cotone (Fig. 56);
5. Guanti di sicurezza antiperforazione (Fig. 56);
6. Occhiali di protezione (Fig. 57);
7. Occhiali filtro arancione per visione UV (Fig. 58);
8. Mascherina anti-polvere (Fig. 59);
9. Maschera con filtro anti-polveri sottili e vapori (Fig. 60);
10. Soprascarpe (Fig. 61);
11. Protezioni per le ginocchia (Fig. 62).
6 M. Strano, Manuale di Investigazione Criminale – Criminal Investigation Handbook Edizione Italiana, Nuovo Studio Tecna, Roma 2008.
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Fig. 537 Fig. 54
Fig.55 Fig.56 Fig.57
Fig.58 Fig.59 Fig. 60
Fig. 61 Fig. 62 Fig.63
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
7 http://bergamo.olx.it/tuta-tyvek-protech-grigia-cappuccio-elastico-ai-polsi-ce-dpi-di-iii-categoria-tipo-4-5-6-m-iid-20623945
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5.2 Le fonti di illuminazione sulla scena del crimine
Le fonti di illuminazione che gli operatori possono utilizzare sulla scena del crimine
sono di vario tipo e i principali sono rappresentati da:
Lampada a luce bianca: permette di illuminare gli oggetti e di individuare meglio
gli elementi da repertare. Essa emette un intenso fascio di luce paragonabile alla
luce del sole, utile soprattutto per l’identificazione di peli, capelli, fibre e orme di
scarpe;
Lampada UV con emissione di luce ad alta lunghezza d’onda (Fig. 64) la quale può
essere vista tramite il filtro barriera arancione o con occhiali filtro arancio. Essa è
particolarmente indicata per liquidi fisiologici o impronte latenti impiegando
polveri fluorescenti.
Lampada UV con emissione di luce a bassa lunghezza d’onda (Fig. 65) per
evidenziare altre tracce specifiche, come nel caso di tracce di metallo;
Lampada a luce rossa, utilizzata per rilevare le tracce di sangue precedentemente
trattate con il Luminol senza l’impiego di filtri o occhiali colorati.
Fig. 64 Fig. 65 8
8 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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5.3 Equipaggiamento di base necessario al repertamento
Pennelli da impronte (fiberglass, piuma e magnetico);
Polveri da impronte di vario tipo;
Fogli adesivi per reperta mento rigidi e in gomma;
Set di pinzette, coltellino e forbici;
Lente di ingrandimento;
Lampada a luce bianca;
Lampada UV con emissione di luce ad alta lunghezza d’onda con batterie e
lampadina di ricambio;
Lampada UV con emissione di luce a bassa lunghezza d’onda con batterie e
lampadina di ricambio;
Buste di plastica trasparente e buste di carta;
Bomboletta ad aria compressa;
Siringhe sterili e carta assorbente;
Acqua distillata e spruzzatore;
Erogatore portatile di cianoacrilato;
Fissatore del cianoacrilato;
Ninidrina spray;
Small particle reagent (nero e bianco);
Kit liquido seminale fosfatasi acida;
Kit luminol;
Kit sangue fenolftaleina;
Leucristal violet per impronte latenti di sangue;
Provette con EDTA per sangue;
Kit per il prelievo di liquidi biologici;
Kit per impronte di scarpe (calchi);
Kit per l’esclusione delle impronte digitali;
Kit per i residui di sparo;
Kit basico da entomologia forense;
Macchina fotografica con treppiede basculante;
Videocamera digitale.
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6. Il repertamento delle tracce biologiche per la ricerca del DNA
Nel corso del sopralluogo, l’investigazione ha spesso la necessità di accertare
immediatamente se le macchie rinvenute sulla scena del reato siano costituite da sostanza
ematica o da altra sostanza. Questo si verifica soprattutto nei casi in cui esse si trovino su
oggetti non asportabili o non facilmente riconoscibili pertanto, prima di procedere alla
repertazione, è necessario effettuare l’accertamento qualitativo generico cercando di non
ridurre in modo considerevole la quantità della sostanza così da poterla riutilizzare per i
successivi esami di laboratorio.
Sia da un punto di vista medico legale che criminalistico, le tracce di sangue
rinvenute sul luogo di un delitto, sul cadavere e sui relativi indumenti, assumono un
particolare significato consentendo all’operatore di ottenere informazioni sia per quanto
riguarda l’interpretazione della dinamica dell’evento e delle circostanze in cui esso si è
realizzato (come la posizione della vittima e di eventuali spostamenti passivi e/o attivi,
provenienza del sangue, ecc.), ma anche per l’identificazione dell’autore mediante l’analisi
del DNA.
La sede dell’imbrattamento ematico deve essere descritta e documentata
fotograficamente sia a livello del cadavere, sul mezzo lesivo ove presente, nell’ambiente
circostante ma anche negli ambienti limitrofi a livello dei quali potrebbero essere rinvenute
ulteriori tracce riconducibili ad una eventuale colluttazione, fuga dell’aggressore ferito,
spostamenti e/o manipolazioni del cadavere per tentativi di occultamento.
La posizione delle tracce deve poi essere indicata metricamente prendendo dei punti
di riferimento fissi, considerando sia la distribuzione spaziale assoluta, cioè l’insieme di
tutte le tracce, sia quella relativa, riferita cioè ai rapporti spaziali esistenti tra le singole
tracce 9.
9 O. Carella Prada, D.M. Tancredi, Il sopralluogo Giudiziario medico legale – Norme, metodologia ed elementi medico-forensi per l’attività investigativa, Ed. Universo, I edizione, Roma 2000.
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La quantità di sangue rinvenuto in un dato luogo può essere ben valutata anche ai
fini dell’indagine ma occorre tenere in considerazione anche fattori contingenti come, per
esempio, il grado di assorbimento del terreno. Solitamente un individuo possiede circa 5
litri di sangue e la sua incolumità inizia ad essere compromessa nel momento in cui ne
perde circa un terzo. Nel caso in cui dovesse perderne ulteriormente, (come nel caso di
ferite alle principali arterie), il soggetto perderà progressivamente i sensi in quanto non
sufficientemente alimentato a livello cerebrale.
L’analisi e la ricerca di tracce, non può limitarsi solo ad un aspetto qualitativo ed
eventualmente quantitativo, ma deve prendere in considerazione anche altri elementi come
l’aspetto “morfologico” delle stesse relativo alla loro posizione e conformazione. Nei casi
in cui la scena del crimine presenti spargimento di sangue in larga o limitata misura,
l’analisi delle tracce ematiche può risultare utile alla ricostruzione della dinamica degli
eventi relativi al reato. Pertanto si vanno ad analizzare elementi come la distribuzione, la
forma, le dimensioni, l’andamento e la posizione che queste tracce di sangue presentano.
Per quanto riguarda l’identificazione delle tracce ematiche rinvenute sul luogo del
reato, prima di essere sottoposte al BPA 10, devono essere oggetto di studio da parte del
tecnico del sopralluogo, al fine di stabilire alcuni parametri di base tra cui:
Stabilire se si tratta di sangue umano;
Stabilire se la macchia è costituita effettivamente e totalmente da sangue o
eventualmente contaminata da altri elementi;
Stabilire se il sangue individuato appartiene alla vittima, all’aggressore o ad altro
soggetto,
Stabilire l’età della macchia;
Stabilire da quale parte del corpo proviene il sangue;
La diagnosi della natura ematica si ottiene evidenziando la presenza dei costituenti
fondamentali del sangue, ovvero dei globuli rossi e dell’emoglobina mentre l’analisi
morfologica viene effettuata al microscopio al fine di ricercare gli elementi che lo
costituiscono.
10 http://www.bloodspatter.com/BPATutorial.htm, Aprile 2008
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6.1 Diagnosi effettuabili sulle tracce ematiche
6.1.1 Diagnosi generica
Prima ancora di parlare di sangue, bisogna accertarsi che si tratti di sangue e a tale
scopo viene effettuata la c.d “diagnosi generica”. Essa si avvale della prova della
benzidina, un reagente composto da solfato di benzidina e acido acetico, misto a perossido
di idrogeno. A contatto con sangue accertato si ottiene un composto lattiginoso
caratterizzato da una colorazione azzurra. Pertanto, una volta ripetuto lo stesso esperimento
con la “macchia dubbia” l’apparizione della stessa colorazione indica che si tratta quasi
certamente di sangue. In caso contrario la risposta sarà negativa. Questo test non conferisce
un’assoluta certezza poiché potrebbero essere presenti nella macchia-campione sostanze
che conferiscono la stessa colorazione.
6.1.2 Diagnosi specifica o di specie
È un tipo di diagnosi che serve a stabilire se la macchia in questione è umana o non
umana. Essa si basa sull’individuazione delle differenze morfologiche esistenti tra i globuli
rossi umani e quelli appartenenti ad altre specie animali. Nel caso dell’uomo e dei
mammiferi in generale, le emazie sono di forma rotondeggiante e prive di nucleo. In altre
specie animali invece sono ellittiche e nucleate. Tale metodo però non è sufficiente a
stabilire se il sangue è umano o di altra specie animale; infatti potrebbe appartenere ad un
altro mammifero i cui eritrociti presentano le stesse caratteristiche di quelli umani. Si può
ricorrere, pertanto, ad altre tecniche quali l’immunodiffusione, l’immunoelettroforesi e le
metodiche di siero-precipitazione specifiche. È pertanto necessario risalire alla specificità
delle proteine albumine e globuline. Se il sangue rintracciato è secco verrà sciolto tramite
una soluzione salina e posto a contatto con l’antisiero, ricavato dal sangue di un altro
animale cui sia stato precedentemente iniettato sangue umano. La prova della presenza di
sangue umano sarà dimostrata, dopo un certo periodo di tempo, dalla presenza di un anello
biancastro e la formazione di un precipitato. In alcuni casi occorre conoscere la specie
animale, motivo per cui i laboratori tengono a disposizione i sieri dei più comuni di essi11.
11 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.
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6.1.3 Diagnosi di gruppo e individuale
Sia dal punto di vista clinico che criminologico, stabilire il gruppo di appartenenza
del sangue da analizzare risulta estremamente importante. L’identificazione del gruppo
sanguigno di appartenenza si basa su due principi indiscutibilmente certi: la immutabilità
de gruppo stesso nel tempo e l’obbedienza ad alcune regole di ereditarietà. Nell’indagine
criminale infatti, la diagnosi di gruppo non stabilisce l’identificazione dell’individuo dal
quale il sangue proviene, ma solo una classe di individui; al contrario può essere utilizzato
come prova per escludere la sua appartenenza ad una persona in particolare. Per esempio,
se l’analisi stabilisce che si tratta di gruppo « 0 », il sangue analizzato può appartenere a
tutti gli individui di gruppo 0 ma non a quelli di gruppo « A », « B » e « AB ».12
Ulteriori sperimentazioni hanno messo in evidenza la presenza di due categorie di
sostanze che a contatto con un altro tipo di sangue provocano un’agglutinazione dei globuli
e un’agglutinazione del siero; nel primo caso si parla di agglutinogeni mentre nel secondo
di agglutinine. Pertanto la diagnosi di gruppo viene effettuata ricorrendo al criterio di
ricerca delle agglutinine a livello del sistema ABO;
Si procede anche con l’analisi della tipizzazione del sistema Rh-Hr.
Infine, una tecnica infallibile, è l’analisi del DNA che consente di attribuire quel
particolare campione di sangue ad un solo ed unico soggetto ma di cui ne parleremo più
approfonditamente nei capitoli successivi.
6.1.4 Diagnosi regionale
Consiste in un’analisi volta a stabilire da quale parte del corpo proviene il campione
di sangue (per esempio dal naso, da una ferita ecc.).
Pertanto, per l’identificazione della provenienza delle tracce ematiche bisogna
considerare varie condizioni quali:
Sangue da epistassi: consiste nel sangue fuoriuscito dal naso, nel quale si possono
trovare anche cellule dell’epitelio della mucosa nasale, muco e tracce di vibrissa.
Le cause possono essere molteplici, come infiammazioni acute o croniche, traumi,
12 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.
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variazioni delle condizioni atmosferiche, tumori benigni o maligni, intossicazioni
da parte di sostanze chimiche di varia natura, malattie infettive e del sangue.
Sangue mestruale: riconoscibile dalla presenza di cellule dell’epitelio della mucosa
vaginale, leucociti e tracce di flora batterica.
Sangue da aborto o parto: in esso è possibile rinvenire tracce sia di provenienza
materna che fetale.
Sangue di stomaco: la sua identificazione è semplice in quanto ricco di acido
cloridrico.
Sangue rettale: può contenere elementi fecali e, in caso di rapporti sessuali, tracce
di sperma.
6.1.5 Diagnosi cronologica
La diagnosi cronologica serve a stabilire l’età della traccia ematica rinvenuta sulla
scena di un delitto. Infatti, l’aspetto macroscopico della macchia di sangue (fresco o
secco), ha solo valore orientativo, mentre parametri come il comportamento delle
agglutinine, la presenza di pigmenti inveterati e l’analisi dell’attività enzimatica,
consentono una datazione più precisa ed accurata.
Infatti il sangue, con il passare del tempo e una volta fuoriuscito dal sistema di
circolazione tende a cambiare colore a causa dell’emoglobina che progressivamente si
trasforma in verdemoglobina per poi putrefare completamente. Anche l’analisi della
colorazione può essere utilizzata per risalire indicativamente all’epoca della sua
formazione. Ma spesso si verificano casi in cui non è possibile utilizzare queste
informazioni sia perché la macchia di sangue è troppo “vecchia” sia perché può venire a
contatto con particolari sostanze che ne alterano le sue caratteristiche.
6.2 Studio della conformazione morfologica delle macchie di sangue
La morfologia delle tracce ematiche varia sulla base di numerosi fattori quali la
velocità, la natura, l’altezza di caduta, l’inclinazione del piano, la quantità, la qualità,
l’origine, la dimensione della lesione in profondità e longitudine, nello spazio durante la
sua caduta e le caratteristiche del supporto che la riceve.
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Le scene del crimine che presentano tracce di sangue, spesso sono costituite da
un’abbondante fonte di informazioni e pertanto, le loro caratteristiche fisiche, chimiche e
morfologiche (in particolare quelle morfo-dimensionali e topografiche), possono essere
molto utili per la comprensione e la ricostruzione della dinamica degli eventi.
La traccia ematica può essere rinvenuta su:
Un substrato permeabile (assorbente);
Un substrato impermeabile (non assorbente).
In base a questa distinzione possono essere rispettivamente indicate con il termine
di “macchia” e di “incrostazione”.
Questa distinzione ha la sua importanza in quanto comporta diverse modalità di
prelievo della traccia ematica stessa.
Altri elementi che devono essere attentamente considerati sono la sede di
rinvenimento, la forma e le caratteristiche dei margini, le dimensioni, l’orientamento, la
quantità, il colore e lo stato fisico delle tracce.
La sede dell’imbrattamento ematico è particolarmente importante; essa deve essere
attentamente descritta e fotograficamente documentata, sul mezzo lesivo (se presente),
nell’ambiente, nonché sul cadavere. Altrettanto importante è l’analisi e documentazione
degli ambienti limitrofi a livello dei quali potrebbero essere rinvenute ulteriori tracce
riferibili a:
Particolari posture e/o movimenti della vittima immediatamente prima della morte;
Colluttazione;
Fuga dell’aggressore ferito;
Successive manipolazioni e/o spostamenti del cadavere a fronte di tentativi di
occultamento.
La posizione delle tracce deve essere indicata anche metricamente prendendo dei
punti di riferimento fissi, i capisaldi, ed utilizzando preferibilmente delle misure
ortogonali, con le stesse modalità di procedura per altri reperti inerenti il reato e presenti
nell’ambiente.
Inoltre, vanno tenute in considerazione le distribuzioni spaziali della tracce,
distinguibili in:
Distribuzione spaziale assoluta: corrisponde al complesso di tutte le tracce;
Distribuzione parziale relativa: cioè i rapporti spaziali esistenti tra le singole tracce.
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6.3 Test preliminari per verificare la presenza di sangue sulla scena del
crimine e ulteriori analisi di laboratorio
Nel caso in cui la macchia prelevata sul luogo del delitto sia essiccata, si ricorre
all’analisi chimica; essa consiste in reazioni colorate che si basano sulla capacità del
sangue di far assumere una speciale colorazione ad alcune sostanze incolori in presenza di
perossidi. Si tratta di tecniche non intrusive che pertanto non pregiudicano in alcun modo i
successivi test di laboratorio. I test utilizzati sono molteplici e prevedono l’utilizzo di:
I principali test utilizzati in questo ambito prevedono tre diversi processi chimici:
1. Fenolftaleina: è considerato uno dei test maggiormente affidabili per la diagnosi
generica in presenza di sangue. La sostanza produce una reazione di colore rosa-
rosso molto intenso entrando in contatto anche con minime quantità di sangue
(Fig. 66).
2. Verde di leucomalachite: Il test è considerato uno dei più sensibili per la diagnosi
generica in presenza di sangue. La sostanza produce una reazione di colore blu-
verde molto intenso entro 3 secondi dal momento del contatto anche con minime
quantità di sangue (Fig. 67).
3. Luminol (Fig. 68).
Fig. 66
Fig. 67
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Fig. 68 13
Fig. 69
Il Luminol corrisponde ad una sostanza chemi-luminescente contenente carbonio,
azoto, ossigeno e idrogeno e il suo aspetto è quello di un composto granuloso e giallo.
Viene utilizzato per il rilevamento di presunte tracce di sangue presenti sulla scena del
crimine; esso infatti, entrando in contatto con il sangue dà origine ad una reazione di
ossidazione del ferro contenuto nell’emoglobina. Durante questa reazione, viene rilasciato
del gas di azoto che lascia il Luminol in uno stato di eccitazione, con un’energia
addizionale che viene poi rilasciata sottoforma di luce bianco-bluastra. La luce prodotta
deve essere osservata in condizioni di totale oscurità. Si tratta di una sostanza altamente
sensibile, capace di rilevare anche infinitesimali quantità di materiale ematico senza
pregiudicare la successiva esecuzione del test del DNA. Considerando che il Luminol può
reagire anche con altre sostanze, (candeggina, rame, vari coloranti, sangue presente
nell’urina e sangue animale) è necessario approfondire se la sostanza con cui reagisce è
realmente sangue umano al fine di escludere il rischio di incappare in falsi positivi. Gli
elementi evidenziati in seguito al suo utilizzo, devono essere fotografati e/o video-ripresi
entro 10 minuti dalla sua distribuzione sul luogo da trattare. Considerando poi che, nel caso
13 Catalogo SIRCHIE
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di una esigua quantità di sangue, essa viene ulteriormente diluita in seguito all’aggiunta del
Luminol, si consiglia di usarlo solo come ultima risorsa, al fine di proteggere le piccole
quantità di prove fisiche rimaste sulla scena del crimine.
Fig. 70: L’immagine mette in evidenza la differenza tra un
pavimento con tracce di sangue non evidenziate (sinistra)
e lo stesso pavimento in seguito alla somministrazione di
Luminol (destra).
Fig. 71: Impronta di scarpa
insanguinata evidenziata da Luminol
Fig. 72: Tracce di sangue evidenziate dal Luminol.
Per l’identificazione delle tracce ematiche vengono effettuati spesso alcuni test che
possono fornire utili informazioni sulle sostanze analizzate ma, allo stesso tempo,
comportano dei limiti derivanti dal fatto che altre tracce organiche come muco, latte e pus,
possono spesso interagire con il sangue stesso. In particolare si tratta di:
Test cristallografici: l’identificazione morfologica avviene tramite la ricerca dei
cristalli di cloridrato di ematina. Attualmente è il test più utilizzato perché
consente di determinare la presenza di emoglobina umana in base al valore Rf suo
proprio (0.70 – 0.71).
Metodi immunologici effettuati mediante reazioni di siero-immunoprecipitazione:
utilizzate per dimostrare la presenza di emoglobina umana a livello delle diagnosi
di specie.
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Test spettroscopici: valutano la capacità del campione di assorbire particolari
radiazioni luminose.
6.4 Repertamento delle tracce ematiche
Il sangue, anche se raramente, può essere individuato ancora allo stato liquido e in
tal caso è opportuno aspirare parte della sostanza tramite una siringa, aggiungere una o più
gocce di anticoagulante (E.D.T.A., A.C.D), chiudere con idoneo tappo di gomma o plastica
e miscelare capovolgendo più volte il contenitore (fig. 73-76). Per quanto riguarda la
restante parte rimasta sulla scena del crimine, essa deve essere assorbita con quadratini di
stoffa di cotone bianco ed essiccata. Sia la provetta che il cotone posto in sacchetti di carta,
vanno conservati in congelatore.
Fig. 73 Fig. 74
Fig. 75 Fig. 76
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
Nel caso in cui il sangue si rinvenga allo stato solido, il prelievo si diversifica a
seconda del substrato sul quale si trova:
Su substrati permeabili come stoffe e indumenti deve essere ritagliata la parte
macchiata o deve essere conservato l’intero indumento per poi essere posto in un
contenitore di carta e congelato. Nel caso di tappezzerie murali o di autovetture,
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tappeti, asfalto, terreno ecc., se possibile, bisogna repertare l’oggetto nella sua
interezza e inviarlo molto rapidamente in laboratorio; in caso contrario occorre
ritagliare la parte interessata e conservarla secondo le modalità precedentemente
descritte. Un ulteriore metodo prevede di imbibire quadratini di stoffa di cotone
bianco con soluzione fisiologica o con acqua e strofinarla sulla macchia di sangue
in modo da asportarne la maggiore quantità.
Nel caso di substrati non permeabili come legno, vetri, metalli, pavimenti, pareti
lavabili, pistole e armi bianche, se di piccole dimensione possono essere prelevate e
inviate in laboratorio. Se ciò non è possibile occorre raschiare delicatamente la
presunta sostanza ematica tramite spatole idonee e riporre il materiale in provette di
vetro o plastica da conservare in frigo.
6.5 Identificazione e repertamento di altre tracce biologiche
6.5.1 Saliva
La saliva è il liquido secreto dalle ghiandole salivari prodotta nella misura di 500-
1500 ml nell’arco di 24 ore.
Aspetto: limpido, inodore, incolore.
Consistenza: densità variabile, leggermente acido (pH 6,38).
Composizione:
- Sali minerali e sostanze organiche come albumina, acido urico, urea, mucina;
- Enzimi come esterasi (fosfatasi acide, alcaline, lipasi e sulfatasi);
- Enzimi come carboidrasi (maltasi, ptialina, amilasi);
- Lisozima;
- Cellule epiteliali di sfaldamento;
- Leucociti e batteri.
Ritrovamento: Può essere rinvenuto sul bordo di bicchieri e su fazzoletti, sul
cadavere (soprattutto in casi di violenza sessuale), su mozziconi di sigarette e su
francobolli e buste.
Repertazione e conservazione: Non è visibile ad occhio nudo pertanto è necessario
repertare quegli elementi che si presume possano esserne imbrattati al fine di effettuare
anche il test del DNA. Nell’attesa è sempre opportuna la loro conservazione in frigo.
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Diagnosi: si procede prevalentemente alla ricerca dell’amilasi, un enzima presente
in grande quantità solo nella saliva umana. Questo elemento permette già una prima
identificazione della specie vivente che ha prodotto la saliva distinguendo così un soggetto
umano da uno animale.
Identificazione individuale: le proteine salivari sono soggette a polimorfismo
genetico; elemento utile per l’identificazione specifica di un sospettato.
Le tracce, solitamente secche, devono essere conservate in frigorifero.
6.5.2 Sudore
Il sudore è il liquido prodotto dalle ghiandole sudoripare della cute e la quantità
prodotta nell’arco delle 24 ore può variare da un soggetto all’altro in rapporto alle varie
condizioni ambientali e climatiche.
Aspetto: trasparente e incolore.
Consistenza: è una soluzione molto diluita di cloruro di sodio (0,2 - 0,5%) a pH neutro o
acido (da 4,2 a 7, 5).
Composizione:
- Cloruro di sodio;
- Vari elettroliti presenti nel sangue;
- Ammonio e Urea;
- Acido lattico.
Ritrovamento: sia a livello cutaneo che degli indumenti (poiché li impregna molto
rapidamente).
Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e
poste preferibilmente in frigorifero.
Diagnosi: si procede all’individuazione, in particolare, di sodio e cloro.
Identificazione individuale: essendo ricco di antigeni gruppo specifici, l’analisi del
sudore permette una possibile identificazione del soggetto, anche attraverso l’analisi delle
impronte digitali.
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6.5.3 Urina
La quantità prodotta giornalmente si aggira sui 1500 ml, ma i valori possono variare
a seconda delle condizioni fisiologiche del soggetto, della sua alimentazione, della
sudorazione e delle condizioni ambientali e climatiche.
Aspetto: limpida, di colore giallo-citrino.
Consistenza: densità media e pH normalmente acido (pH 6).
Composizione:
- Soluzione costituita per il 95% di acqua;
- Urea, acido urico e creatinina;
- Pigmenti come l’urocromo;
- Acido ossalico, acido lattico, acetone e acido ippurico;
- Indacano;
- Composti solforati come solfoeteri, marcaptani, tocianati;
- Ormoni;
- Cataboliti di varia natura;
- Potassio, calcio, magnesio;
- Cloruri, solfati e fosfati, salificati soprattutto con sodio.
Aspetto in condizioni patologiche:
- Aspetto torbido per la presenza di pus (piuria);
- Aspetto torbido per la presenza di sangue (ematuria);
- Alterazioni a livello del colore.
Composizione in condizioni patologiche:
- Glucosio, amminoacidi, corpi chetonici, emoglobina;
- Pigmenti biliari;
- Cellule del sangue come globuli rossi e globuli bianchi;
- Proteine plasmatiche, cellule sfaldate della mucosa e delle vie urinarie, cristalli;
- Formazioni cilindriche createsi in seguito alla precipitazione di materiale proteico e
di cellule all’interno dei tubuli renali.
Ritrovamento: Difficilmente si riscontra allo stato liquido. Più spesso si osserva
sottoforma di macchia, spesso a livello delle lenzuola o su indumenti intimi: in
quest’ultimo caso, a differenza dello sperma, non è responsabile di un aumento della
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superficie imbrattata; produce solamente una variazione cromatica caratterizzata da una
sfumatura giallastra.
Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e
poste preferibilmente in frigorifero. Se l’urina si presenta allo stato liquido, viene prelevata
tramite una pipetta mentre se presente sottoforma di macchia deve essere ritagliato il
substrato imbrattato e infine, in entrambi i casi, conservati in frigorifero.
Tecniche utilizzate: principalmente si usa la luce U.V che rende le macchie
fluorescenti.
Diagnosi generica: si procede alla ricerca principalmente di urea, acido urico,
urocromo, creatinina e cataboliti steroidei.
Identificazione individuale: è possibile tramite l’identificazione di sostanze gruppo-
specifiche seppur spesso, presenti in quantità esigua. Nel caso in cui siano presenti delle
cellule di sfaldamento delle vie urinarie, è possibile prelevare il DNA.
6.5.4 Muco
Il muco è il prodotto di secrezione di particolari ghiandole annesse agli epiteli che
rivestono quelle cavità dell’organismo comunicanti con l’ambiente esterno.
Aspetto: liquido.
Consistenza: densa e vischiosa.
Composizione:
- Mucopolisaccaridi in forma libera e combinati con proteine;
- Mucoproteine;
- Globuli bianchi provenienti dal sangue;
- Cellule di sfaldamento provenienti dalla parete delle cavità;
- Batteri.
In condizioni patologiche: nei processi infiammatori che riguardano la mucosa, la
quantità di muco aumenta considerevolmente mescolandosi con l’essudato prodotto dal
processo flogistico con successiva formazione del catarro.
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6.5.4.a Muco nasale
Caratteristiche: è ricco di cellule epiteliali cilindriche e prismatiche cigliate; a volte è
associato a vibrisse.
Ritrovamento: viene effettuato sul cadavere ma più spesso su fazzoletti presentandosi
sottoforma di macchie crostose più o meno ampie.
Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e poste
preferibilmente in frigorifero.
Tecniche di identificazione: raggi U.V che rendono le macchie fluorescenti.
Diagnosi: si procede alla ricerca di mucopolisaccaridi e cellule di sfaldamento delle
mucose interne.
Identificazione individuale: è possibile tramite l’analisi del DNA effettuabile a livello delle
cellule di sfaldamento delle mucose.
6.5.4.b Muco cervicale
Caratteristiche: è un liquido filante e alcalino prodotto dalla secrezione delle ghiandole del
collo dell’utero.
- Può essere prodotto in eccesso in caso di lacerazioni del collo (parto o violenza
sessuale);
- Abbondante durante l’ovulazione e durante la gravidanza costituisce un tappo
gelatinoso impedendo la penetrazione di batteri per protezione del feto.
Ritrovamento: sia sul cadavere che su indumenti.
Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e poste
preferibilmente in frigorifero.
Analisi di laboratorio: essiccandosi su un vetrino, cristallizza formando arborizzazioni a
felce.
Diagnosi: si procede alla ricerca di mucopolisaccaridi e cellule di sfaldamento delle
mucose interne.
Identificazione individuale: possibile tramite l’analisi del DNA effettuabile a livello delle
cellule di sfaldamento delle mucose uterine.
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6.5.5 Placenta
Aspetto: forma discoidale, appiattita, di consistenza carnea soffice, di colorito
violaceo e, a fine gravidanza presenta un diametro di circa 15-20 cm e dello spessore di
circa 3 cm. Il peso medio è di circa 500 gr ed è caratterizzata dalla presenza di un versante
mammellonato ed uno liscio, a livello del quale, centralmente, si impianta il moncone del
cordone ombelicale.
Ritrovamento: spesso è riferito a cadaveri di feti o neonati associati ad infanticidio
o aborto criminoso.
6.5.6 Liquido seminale
Lo sperma corrisponde al liquido emesso tramite l’eiaculazione delle vie genitali
maschili attraverso il meato uretrale esterno, nel quale sono contenuti gli spermatozoi
prodotti dai testicoli. La quantità prodotta varia da 2 a 5 ml a seconda del soggetto.
Aspetto:
- Liquido biancastro e torbido, a reazione alcalina e con odore caratteristico.
- Dopo circa 20- 30 minuti si liquefa spontaneamente, trasformandosi in un liquido
traslucido, torbido e viscoso.
- Dopo alcune ore, all’aria si secca formando crosticine bianche e traslucide.
Consistenza: gelatinosa.
Composizione:
- Spermatozoi, il cui numero può variare da 60 milioni a 200 - 400 milioni per ml;
- Secreti di ghiandole annesse all’apparato genitale (liquido seminale) tra cui
prostata, vescichette seminali e ghiandole bulbo uretrali;
- Liquido lattescente di produzione prostatica;
- Liquido chiaro e filante, con funzione lubrificante prodotto dalle vescichette
seminali;
Ritrovamento:
- Sulla cute della vittima (tipico di reati sessuali);
- Fra i peli del pube;
- Sulla biancheria e sugli indumenti, sulle lenzuola e coperte;
- Sul pavimento;
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- A livello delle cavità naturali (bocca, vagina e ano). Nella vagina si conserva per
molte ore. Lo sperma è stato, infatti, rinvenuto anche in corpi riesumati andati
incontro a processi di mummificazione.
Repertazione: devono essere eseguite le istruzioni illustrate per la repertazione del sangue.
In caso di violenza o stupro l’operatore deve prestare particolare attenzione al liquido
seminale eventualmente presente ancora nelle cavità naturali della vittima in modo tale che
possa essere prelevato tramite quadratini di tessuto di cotone bianco e successivamente
congelato. La sostanza ottenuta non deve essere trattata con reagenti chimici in modo tale
da non compromettere il successivo esame del DNA.
Tecniche di identificazione:
- L’Acid Phosphatase Test è considerato il test più attendibile per rilevare la presenza
di sperma attraverso l’evidenziazione della fosfatasi acida; questo enzima infatti è
dalle 20 alle 4000 colte superiore nello sperma umano che in ogni altro tipo di
fluido corporeo. Il reagente alla base del test non deve essere applicato direttamente
sulla macchia sospetta al fine di evitare la contaminazione dell’intero campione
della sostanza da analizzare successivamente in laboratorio. Pertanto deve essere
eseguito sul posto come segue:
Prendere un pezzo di carta assorbente pulita e inumidirla con acqua
distillata;
Premere il pezzo di carta inumidito direttamente sull’area che contiene la
macchia sospetta;
Applicare il reagente direttamente sul pezzo di carta precedentemente
entrato in contatto con la macchia.
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Fig. 77 kit per reati sessuali
- Luce ultravioletta: crea una florescenza bianco-azzurrognola e permette di
individuare lo sperma presente a livello della stoffa o di altro materiale, (non è
specifica perché dipende dal contenuto di flavina).
- Aspirazione diretta o lavaggio con soluzione fisiologica: permettono di ottenere le
secrezioni vaginali, orali e rettali.
- Test di Florence: si tratta di un test di screening preliminare ma non specifico
poiché altri liquidi tessutali sia umani che animali, sono molto ricchi di colina. Le
procedure per la realizzazione del test sono le seguenti:
Si crea un’ estratto del tessuto da analizzare mediante acqua distillata e riscaldata.
Alcune gocce dell’estratto vengono poste su un vetrino portaoggetti e si trattano
con un reagente costituito da iodio (2,54 g), da ioduro di potassio (1,65 g) e da
acqua distillata (30 ml).
In caso di positività avviene la formazione di cristalli rombici o aghiformi di
periodato di colina.
- Test di precipitazione: rappresenta un test specifico, in cui vengono utilizzati dei
sieri antisperma adsorbiti con siero umano.
- Determinazione della fosfatasi acida: può essere individuata anche in macchie
vecchie di alcuni mesi. La sua presenza in elevate quantità è indice di positività
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anche in soggetti azoospermici. È presene sia nella prostata umana sia in quella di
Macacus Rhesus.
- Evidenziazione di sostanze gruppo specifiche: in questa tecnica vengono utilizzati
gli antisieri specifici. Il liquido vaginale, oltre a batteri, contiene anch’esso sostanze
gruppo specifiche che possono complicare l’identificazione individuale.
- Ibridazione con sonde al DNA: vengono utilizzati gli spermatozoi e dal DNA
fingerprint ottenuto si procede al confronto con quello del presunto aggressore.
- Identificazione individuale: possibile tramite l’analisi del DNA.
6.5.7 Peli e capelli
I peli sono formazioni cutanee filiformi, derivati dall’epidermide e costituiti da
cellule completamente cheratinizzate. Ogni pelo ha origine dal follicolo pilifero. Tutta la
superficie corporea è ricoperta da peli ad eccezione dei palmi delle mani e dei piedi. I peli
sono strutture molto resistenti alla degradazione e si possono trovare sul luogo del reato e
frequentemente si verifica il loro trasferimento da una persona all’altra e ad oggetti. I
capelli sono particolari tipi di peli che ricoprono la cute della volta del cranio. La loro
struttura è simile a quella degli altri peli presenti sulla superficie epidermica. Il colore, la
forma e la lunghezza variano da un soggetto all’altro e costituiscono importanti caratteri
fisici per l’antropologia in quanto permettono di definire il tipo fisico delle diverse
popolazioni.
Struttura:
- Sono costituiti da 4 parti: il bulbo, la radice il fusto e la punta.
- Il bulbo e la radice sono circondati dalla guaina pilifera costituita da vari strati
cellulari e la cui funzione è quella di permettere lo scorrimento del pelo.
Nell’estremità inferiore del bulbo è alloggiata la papilla del pelo.
- Sono costituiti da 4 strati concentrici: la sostanza midollare (quella più interna), la
sostanza corticale e la cuticola (che rappresenta il rivestimento esterno).
Il colore dei peli è legato principalmente ai granuli di pigmento (melanina) che si
trovano soprattutto nella corticale e i quali si formano nel follicolo dai melanociti. Quando
il follicolo è vicino alla fine del suo ciclo di crescita, sia la formazione della melanina che
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quella della midollare cessano improvvisamente e l’ultimo segmento del pelo risulta
pertanto privo di colore e di midollare.
Ritrovamento: peli e capelli si possono prelevare sia a ridosso del cadavere che dei suoi
indumenti o nelle zone circostanti la vittima stessa (pavimento, oggetti ecc.).
Repertazione: deve essere effettuata asportandoli con mano guantata, con l’ausilio di
apposite pinzette e ponendoli in opportune custodie come provette, sacchetti di carta e
plastica. Il prelievo di capelli su persona indiziata, ovviamente disposto dal magistrato,
deve essere compiuto asportando le formazioni pilifere, complete di bulbo, da diverse parti
del cuoio capelluto oppure invitando il soggetto a pettinarsi o passare le dita delle proprie
mani fra i capelli.
Principali strumenti utilizzati: microscopio ottico e microscopio elettronico.
Diagnosi generica: effettuabile tramite l’osservazione macroscopica e microscopica; è
utile per poter escludere filamenti vegetali o sintetici i quali possono essere confusi con
peli e capelli.
Diagnosi specifica: si basa su un’osservazione particolarmente dettagliata delle varie
componenti del pelo:
- Nell’uomo la sostanza midollare è scarsamente rappresentata al contrario della
sostanza corticale.
- L’indice diametro nell’uomo è: midollo/diametro totale è < 0,30 mm.(L’indice
diametro nell’animale è: midollo/diametro totale è > 0,50 mm).
- Senza una opportuna colorazione le cellule midollari non sono visibili al
microscopio.
- Nell’uomo, il contenuto aereo della struttura midollare è rappresentato da
minuscole bollicine.
- Il pigmento corticale è distribuito in granuli molto fini.
- Nell’uomo, a differenza dell’animale, la cuticola è molto sottile e formata da
squame a tegola, scarsamente sporgenti.
Diagnosi regionale: è un tipo di diagnosi che si basa sulle caratteristiche morfologiche dei
vari tipi di peli. Infatti essi, a seconda della zona del corpo in cui sono collocati, si
distinguono in:
- Capelli: presenti sul capo e con l’estremità tagliata;
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- Barba e baffi: sono presenti sul volto, con estremità tagliata e diametro maggiore
rispetto agli altri. Anche la sostanza midollare è più abbondante;
- Ciglia e sopracciglia: hanno una sezione ovale;
- Vibrisse: si trovano nel vestibolo nasale;
- Tragi: presenti nel condotto uditivo esterno;
- Hirci: sono i peli ascellari, tipicamente ricciuti;
- Pubes: rappresentano i peli del pube, anch’essi arricciati;
- Peluria: l’insieme di peli più fini, tipici di altre regioni corporee e dei bambini.
Sono privi di sostanza midollare.
Diagnosi di sesso: è possibile mediante la ricerca della cromatina sessuale e del
cromosoma Y sia nelle cellule della radice che in quelle della guaina o della corticale.
Diagnosi individuale:
- prevede la ricerca di agglutinogeni presenti nella midollare.
- ricerca i polimorfismi enzimatici sia nelle cellule del bulbo che in quelli della
guaina pilifera.
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7. Le impronte digitali
Il pilastro della Classificabilità enunciato da Francis Galton sanciva che, nonostante
la disposizione delle creste cutanee papillari possa dare origine a combinazioni di disegno
pressoché infinite, le impronte digitali possono essere classificate sulla base delle loro
caratteristiche generali. Dall’analisi di queste ultime, riportata di seguito, è possibile
ricondurre le impronte a quattro differenti tipologie di figura:
Adelta, Monodelta, Bidelta e Composta.
L’insieme delle creste cutanee costituenti la figura papillare è suddiviso in tre
sottoinsiemi, detti Sistemi di Linee, i quali appartengono alla categoria delle caratteristiche
generali proprie di ogni impronta. La loro generalità è racchiusa nel fatto che questi sistemi
di linee non riguardano l’articolazione concreta del disegno digitale (la trama), ma ne
definiscono semplicemente i limiti spaziali di riferimento. I tre sistemi di linee sono i
seguenti:
- Sistema Marginale o Periferico (sezione A della figura): è formato dall’insieme
delle linee parallele al margine superiore del polpastrello. Queste linee ad arco
definiscono il limite superiore e quelli laterali (sinistro e destro) della figura;
- Sistema Centrale o Precipuo (sezione B della figura): è costituito dall’insieme di
linee, situate nel mezzo degli altri due sistemi, che disegnano la figura al centro del
polpastrello, le quali possono avere differenti direzioni e dare origine a svariate
figure; esempio: cerchi concentrici, spirale (vedi figura), eccetera;
- Sistema di Base o Basilare (sezione C della figura): è composto dall’insieme di
linee pressoché parallele che si trovano accanto alla piega della falangetta e che
definiscono il limite inferiore del disegno.
Fig. 78: Impronta papillare
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Individuati i sistemi di linee che delimitano l’impronta, la loro classificazione si
basa sull’esistenza, o sull’assenza, di altre due caratteristiche generali, dette anche Macro-
caratteristiche; le quali, come per i sistemi di linee, non riguardano la trama del disegno
papillare, ma il comportamento generale delle creste papillari che formano l’impronta. Tali
caratteristiche sono il Delta (o Triradio) ed il Centro di Figura. Il primo rappresenta una
figura idealmente triangolare formata della convergenza di tre creste cutanee (ognuna
appartenente ad uno dei tre sistemi di linee), provenienti da direzioni differenti, che ne
identificano i tre lati concavi. Il secondo, come dice la parola stessa, è semplicemente la
parte centrale dell’impronta, nella quale le creste tendono a racchiudersi su se stesse, dando
origine ad una particolare figura: cerchi concentrici, spirale, ansa, eccetera.
Descritti questi elementi, quali fattori determinanti alla classificazione, è giunto il
momento di analizzare singolarmente le quattro differenti tipologie di figura, all’interno
delle quali è possibile ricondurre tutte le impronte digitali: Adelta, Monodelta, Bidelta e
Composta.
Fig. 79: Figura Adelta
(abbastanza rara)
Fig. 80: Figura Monodelta
(abbastanza comune)
Fig. 81: Figura Bidelta
(abbastanza comune)
Fig. 82: Figura Composta
(abbastanza rara)
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Nella figura adelta i tre sistemi di linee scorrono in modo trasversale al
polpastrello. Il termine adelta deriva proprio dalla mancanza di delta nella figura; infatti,
tutte le creste cutanee entrano da un lato del polpastrello e fuoriescono da quello opposto.
In questo tipo d’impronte risulta molto difficile identificare il centro di figura.
Nella figura monodelta le creste cutanee appartenenti al sistema centrale partono da
un lato del polpastrello (destro o sinistro) e, dopo averne raggiunto il centro, invertono il
senso di marcia per uscire dal medesimo lato dal quale hanno avuto origine. Questa
caratteristica comporta la formazione di un triangolo ideale (delta) e di un centro di figura
(a forma di ansa).
Nella figura bidelta le creste cutanee appartenenti al sistema centrale di linee
restano intrappolate tra il sistema marginale e quello di base, avendo per conseguenza la
formazione di due triangoli ideali (delta) posti rispettivamente nel lato destro e sinistro
della figura. Le linee del sistema centrale, così prigioniere, assumono una particolare forma
(vortice, spirale, eccetera) attraverso la quale è possibile identificarne il centro di figura.
La figura composta non è altro che la variante complessa della precedente, nella
quale il sistema centrale di linee è formato da due fasci di creste cutanee a forma di ansa
che danno origine ad una ideale figura a forma di lettera “S”. Viene denominata composta
proprio per la simultanea presenza di due delta e di due centri di figura.
Partendo dalla classificazione operata da Francis Galton, il vice commissario di
polizia Giovanni Gasti14 (1869 – 1939) ideò il sistema di classificazione decadattiloscopico
denominato Formula Dattiloscopica. Il termine formula deriva dal fatto che tale nuovo
strumento di catalogazione prende in considerazione tutte e dieci le impronte digitali delle
mani di un soggetto; attribuendo ad ognuna di esse, sulla base delle proprie caratteristiche,
un valore compreso tra 0 e 9. Il numero che ne deriva viene suddiviso in tre parti: Serie,
Sezione e Numero. Le dita prese in considerazione al fine di comporre tale sequenza
numerica sono le seguenti:
- Serie: composta dai simboli dattiloscopici attribuiti ad indice, pollice ed anulare
della mano sinistra;
- Sezione: composta dai simboli dattiloscopici attribuiti ad indice, pollice ed anulare
della mano destra;
14 F. Leonardi (direttore generale della P.S.) lo affiancò a Salvatore Ottolenghi nella direzione della Scuola di Polizia Scientifica di cui alla nota precedente.
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- Numero: composto dai simboli dattiloscopici attribuiti al medio ed al mignolo della
mano sinistra e successivamente della destra.
La corrispondenza di ogni impronta ad un determinato simbolo, e la conseguente
attribuzione del suo valore compreso tra 0 e 9, dipende dalle caratteristiche e dalla
morfologia dell’impronta, ferme restando le quattro principali figure di riferimento
identificate da Francis Galton. In tale valutazione riveste un ruolo di fondamentale
importanza la presenza, o l’assenza, del delta e del centro di figura, nonché il numero di
linee esistenti tra essi. I dieci simboli individuati da Gasti per elaborare la sua
classificazione sono:
- Simbolo 1: impronta con figura adelta;
- Simbolo 2: impronta con figura monodelta di tipo radiale, dove l’ansa del fascio di
linee (centro di figura) si apre in direzione del radio della mano, a prescindere dal
numero di creste papillari componenti il sistema centrale di linee;
- Simbolo 3: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, dove l’ansa del fascio di
creste papillari (centro di figura) si apre in direzione dell’ulna della mano, ed il
numero di linee comprese tra il delta ed il centro di figura è uguale od inferiore a
dieci;
- Simbolo 4: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, nella quale il numero di
linee comprese tra il delta ed il centro di figura è superiore a dieci ma inferiore a
quindici;
- Simbolo 5: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, nella quale il numero di
linee comprese tra il delta ed il centro di figura è superiore a quindici;
- Simbolo 6: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è posta
oltre due linee sopra la base del delta di destra;
- Simbolo 7: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è
posizionata fra due linee sotto o due linee sopra rispetto alla base del delta di
destra;
- Simbolo 8: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è posta
oltre due linee sotto la base del delta di destra;
- Simbolo 9: impronta con figura composta, oppure con figura non rientrante in
quelle comprese nei simboli precedenti;
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- Simbolo 0: impronta mancante dovuta all’asportazione della falange, oppure
indecifrabile per qualsivoglia ragione.
Dopo aver esaminato le impronte digitali di un soggetto, ed averne identificati i relativi
simboli di riferimento, la formula dattiloscopica derivatane viene inserita all’interno del
Casellario Centrale d’Identità, sul quale vengono indicati tutti i caratteri generali e
particolari del soggetto segnalato. Su questo documento vengono riportate le seguenti
informazioni ed immagini:
- Dati anagrafici;
- Motivo del segnalamento;
- Connotati cromatici: colore della pelle, degli occhi, eccetera;
- Connotati salienti: struttura, corporatura, robustezza, adiposità, dimensione e forma
del viso, eccetera;
- Contrassegni: propriamente detti (cicatrici, tatuaggi, eccetera), per imperfezioni
fisiche (deformazioni, mutilazioni, ed altro), per anomalie di conformazione
(gigantismo, nanismo, eccetera) ed eventuali altri caratteri molto salienti;
- Fotografie del soggetto: di profilo destro, di fronte ed in piedi;
- Impronte digitali: delle cinque dita di entrambe le mani;
- Impronte palmari: di entrambe le mani.
Relativamente alla necessità di segnalamento di un soggetto, risulta intuitiva la
sequenza di azioni che devono essere compiute per poterne effettuare l’identificazione
dattiloscopica:
1. Compilazione del Casellario Centrale d’Identità;
2. Acquisizione delle impronte;
3. Classificazione delle impronte;
4. Composizione della formula dattiloscopica, la quale dovrà essere riportata sia sul
Casellario Centrale d’Identità, sia sulla Scheda Decadattiloscopica;
5. Archiviazione alfabetica del Casellario Centrale d’Identità;
6. Archiviazione della Scheda Decadattiloscopica nell’apposito schedario.
Appare evidente che l’attività di segnalamento, e la relativa ricerca compiuta sul
Casellario Centrale d’Identità, possono consentire di evidenziare:
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A. se le generalità fornite da un soggetto all’atto del primo segnalamento
corrispondono, o meno, a quelle dichiarate in occasione di successivi segnalamenti;
B. se un nominativo risulta già segnalato e, se si, quante volte e per quale motivo;
C. quanti nominativi risultano segnalati con le medesime impronte digitali.
Fig. 83
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
7.1 La Pratica: le impronte digitali sulla scena del crimine
Data l’invasività delle sostanze utilizzate, i rilievi dattiloscopici costituiscono
l’ultima attività che viene espletata durante il sopralluogo compiuto sulla scena di un
crimine. Fatta questa precisazione, è giusto iniziare la trattazione evidenziando che, in tale
circostanza, gli operatori della Scientifica possono trovarsi di fronte ad impronte digitali
visibili oppure latenti.
Le impronte digitali visibili, come intuibile, sono quelle che possono essere viste ad
occhio nudo, in quanto:
- lasciate mediante il contatto delle creste papillari, sporche di particolari sostante
(esempio: sangue, inchiostro, eccetera), con una superficie. Queste vengono
definite impronte per sovrapposizione;
- lasciate in conseguenza dell’affondamento oppure della semplice pressione delle
creste papillari su sostanze malleabili (esempio: cera, stucco, eccetera).
Diversamente, queste vengono definite impronte per modellamento.
Queste tipologie d’impronte devono essere fotografate con affianco una striscia
metrica (al fine di averne le dimensioni reali), nonché utilizzando i dovuti accorgimenti
tecnici (quali ad esempio l’uso di: filtri, luce polarizzata, luce radente) al fine di poterne
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esaltare al massimo il contrasto con la superficie di rinvenimento. Quando è materialmente
possibile, il supporto sul quale l’impronta è stata impressa deve essere prelevato e
custodito come prova. Qualora ciò non sia possibile (come nel caso dell’impronta di una
mano insanguinata sul muro), sarà la fotografia ad acquisire il ruolo di prova nel processo.
Le impronte digitali latenti, rappresentanti la categoria più comunemente
rinvenibile sulla scena del crimine, sono quelle non visibili ad occhio nudo. Queste si
formano conseguentemente alla deposizione della secrezione papillare sul materiale
toccato. I pori situati sulla sommità delle creste cutanee papillari, in occasione del contatto
con un oggetto, secernono una sostanza composta quasi interamente da acqua (99,5%), alla
quale sono aggiunte altre sostanze: urea, acidi grassi volatili, solfati, cloruro di sodio,
cloruro e carbonato di potassio, fosfato di magnesio e di calcio. La quantità e la qualità
della sostanza che viene secreta dipende da vari fattori: il grado di secchezza della cute, le
condizioni fisiologiche del soggetto, la pressione esercitata, le caratteristiche dell’oggetto,
nonché le condizioni atmosferiche.
Essendo invisibili, l’asportazione di queste impronte da un oggetto deve conseguire
ad una preliminare operazione di esaltazione: attraverso la quale vengono rese visibili ad
occhio nudo. La più comune tecnica di esaltazione consiste nell’utilizzo di polveri
esaltatrici (metodo fisico), (Fig. 92-95), l’applicazione delle quali richiede l’utilizzo di un
apposito pennello. Queste possono essere:
- a base di ossido: adatte per l’impiego su superfici verniciate o lisce;
- a base di metallo: adatte per superfici cromate o lucidate;
Fig. 84 Silver Blaok
Powder Fig. 85 Silver Gray Powder
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Fig. 86 Silver Red Powder
Fig. 8715 Silver Galvanio Powder
- a base magnetica: utilizzabili su superfici che non contengono ferro od acciaio
(Fig. 88, 89);
Fig. 88 Fig. 89
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
Fig. 90
- a base mista: sono adatte all’utilizzo su molte superfici in quanto combinano le
proprietà delle polveri a base di ossido e di metallo;
- fluorescenti (a base di ossido): vengono impiegate per ovviare al problema della
multicolorazione della superficie di lavoro. Successivamente all’applicazione, il
15 Catalogo SIRCHIE
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luogo deve essere oscurato e l’impronta osservata attraverso una luce ultravioletta
ad onde lunghe;
Fig. 91 16
- a doppia funzione: permettono la visualizzazione dell’impronta sia mediante
l’utilizzo di una luce ultravioletta che senza;
- adhesive side powder: utilizzate su superfici adesive (esempio il comune nastro
adesivo). Prima dell’uso è necessario bagnare la superficie.
Fig. 92 Fig. 93
16 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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Fig. 94 Fig. 95
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
In conseguenza dell’applicazione, la polvere si legherà con la componente acquosa
e grassa secreta dai pori situati sulle creste cutanee papillari. Rimuovendo delicatamente la
polvere in eccesso (utilizzando un pennello a piuma od un soffietto), quella assorbita
lascerà evidente l’impronta digitale. La quasi totalità di queste polveri è disponibile in
varie colorazioni, così da poter fornire un ottimo contrasto in presenza di qualsivoglia
colorazione della superficie di lavoro.
Le polveri vengono utilizzate per rivelare le impronte latenti presenti sui seguenti
supporti:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera), (Fig. 96);
Fig. 96 17
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);
- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura,
ma solo in caso di impronte recenti;
- cera e superfici incerate non metalliche;
- legno grezzo liscio;
17 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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- metalli non trattati;
- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle;
- superfici rivestite di sostanza adesiva (esempio: nastro adesivo, eccetera),
limitatamente al solo utilizzo delle adhesive side powder;
- polistirolo, ma solo dopo il trattamento coi fumi di cianoacrilato.
Considerando che l’impiego delle polveri esaltatrici (nel caso di un’impronta vecchia)
può non garantirne la corretta esaltazione (nonché, eventualmente, danneggiarla così da
vanificare il successivo utilizzo di altri metodi), l’operatore del sopralluogo (sulla base
della propria esperienza e delle circostanze di fatto) deve valutare quale sia il metodo più
adatto a garantire la migliore esaltazione dell’impronta latente della quale sospetta la
presenza, provvedendo (in caso di necessità) a mettere in sicurezza l’oggetto al fine di
portarlo in laboratorio per utilizzare una tecnica di esaltazione (chimica o fisica) non
praticabile direttamente sulla scena del crimine. La messa in sicurezza avviene utilizzando
i medesimi accorgimenti adottati per il trasporto dei substrati sui quali sono impresse le
impronte visibili (vedi oltre).
La costante evoluzione del progresso tecnologico e scientifico ha permesso
l’introduzione di nuovi metodi di esaltazione delle impronte digitali latenti, basati su
principi di carattere chimico e fisico. Tra questi complessi metodi vanno annoverati:
- I fumi di iodio (Fig. 97, 98);
- La ninidrina (Fig. 99, 101);
- Il DFO (Fig. 100, 101);
Fig. 97 Fig.98
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Fig. 99 Fig. 100
Fig. 101 Fig. 102 18
- Il nitrato d’argento (Fig. 102);
- Lo sviluppatore fisico;
- La deposizione metallica;
- Lo small particle reagent (Fig. 103);
- L’amido black;
- Le tinture fluorescenti;
- La luminescenza laser;
- I fumi di ciano acrilato (Fig. 104);
Fig. 103 Fig. 104
18 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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Nel metodo dei fumi di iodio, i cristalli di iodio vengono esposti al calore, subendo
così un processo di sublimazione: al termine del quale acquistano lo stato gassoso. Questo
metodo viene prevalentemente utilizzato per le impronte fresche, in quanto i fumi
reagiscono con la componente grassa ed oleosa dell’essudato digitale (prima che questa
svanisca), mettendone in evidenza il disegno. Devono essere impiegati prima dell’utilizzo
della ninidrina e del nitrato d’argento. Questa procedura deve essere espletata all’interno di
un ambiente dotato dei necessari dispositivi di sicurezza, volti a tutelare la salute
dell’operatore. I fumi di iodio vengono utilizzati sui seguenti supporti:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);
- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);
- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle.
Relativamente ai fumi di cianoacrilato, i cianoacrilati sono gli estratti dell’acido
cianoacrilico e sono dotati di una fortissima componente adesiva. Venendo vaporizzati e
messi a contatto con la superficie interessata, i vapori di cianoacrilato (data la loro
reattività in presenza di tracce d’acqua) si polimerizzano (con l’essudato papillare)
formando un composto solido (di colore bianco) che si modella sulle creste papillari:
provocandone l’evidenziazione. Tale esame viene fatto all’interno di un teca o tenda (a
seconda delle dimensioni dell’oggetto), al fine di non permettere la fuoriuscita dei vapori.
In caso si debba ricercare un’impronta su di un supporto non trasportabile, è possibile
utilizzare un bruciatore portatile in grado di mettere a contatto i fumi di cianoacrilato con
la superficie interessata. In questo caso è bene che la zona d’azione sia ventilata. Senza
l’utilizzo di acceleranti, le impronte latenti vengono evidenziate nel giro di diverse ore.
Dopo l’evidenziazione dell’impronta è possibile aumentarne il contrasto attraverso
l’utilizzo di polveri esaltatrici o coloranti chimici appositi. Essendo un atto irripetibile,
l’espletamento di questo metodo è soggetto a tutte le dinamiche processuali riguardanti
questa specifica categoria di atti. I fumi di cianoacrilato vengono utilizzati sui seguenti
supporti:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);
- superfici ruvide e non porose;
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);
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- metalli non trattati;
- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle;
- cera e superfici incerate;
- polistirolo.
Il metodo della ninidrina è particolarmente efficace per evidenziare le impronte
molto vecchie. Si tratta di un indicatore specifico per il rilevamento di amminoacidi, in
presenza dei quali reagisce dando una colorazione rosso-violetta. La superficie interessata
viene spruzzata con una soluzione di ninidrina in acetone o freon. Lo sviluppo
dell’impronta è particolarmente lento (possono essere necessari anche giorni), ma può
essere accelerato utilizzando una fonte di calore ed umidità. Viene utilizzata dopo
l’impiego dei fumi di iodio e prima del nitrato d’argento. Questa procedura deve essere
espletata all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. La
ninidrina viene utilizzata sui seguenti supporti, i quali non devono essere stati esposti
all’acqua:
- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;
- legno grezzo.
Il DFO (1,8-Diazafluoren-9-One) è un reagente molto simile alla ninidrina. Questa
sostanza reagisce in presenza degli amminoacidi, divenendo fluorescente. Il lento
procedimento di esaltazione delle impronte (per lo sviluppo delle quali possono essere
necessarie alcune ore od addirittura giorni) può essere accelerato mediante l’utilizzo di una
fonte di calore. Le impronte così evidenziate sono meglio visibili ad occhio nudo rispetto a
quelle rivelate dalla ninidrina. Deve essere usato prima dell’eventuale impiego di
quest’ultima. Anche questo metodo deve essere espletato all’interno di un ambiente
ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. Il DFO viene impiegato su carta e cartone
che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura.
Il nitrato d’argento è una sostanza che si lega alle componenti clorate presenti nel
liquido biologico secreto dai pori papillari. Contrariamente ad altri metodi chimici
(esempio la ninidrina), le impronte così evidenziate non tendono a sparire, ma si
sviluppano sempre di più, quanto più vengono a contatto con la luce. Questa peculiarità
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comporta la necessità di fotografarle prima che la sostanza saturi la superficie interessata.
Questo metodo deve essere utilizzato dopo la ninidrina ed i fumi di iodio. L’impiego di
questa procedura deve avvenire all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita
cappa aspirante. Il nitrato d’argento viene utilizzato sui seguenti supporti, i quali non
devono essere stati esposti all’acqua:
- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;
- legno grezzo chiaro.
Lo sviluppatore fisico è un reagente acquoso a base d’argento che reagisce con le
componenti sebacee dell’essudato digitale, formando una pellicola di colore grigio-
argento. Essendo più sensibile della ninidrina e del DFO è in grado di esaltare impronte
che queste due sostanze non sono state in grado di evidenziare. Può essere impiegato al
posto del nitrato d’argento, soprattutto dopo l’impiego del DFO o della ninidrina, ed inoltre
deve essere utilizzato dopo quest’ultima ed i fumi di iodio. Questa procedura deve essere
espletata all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. Lo
sviluppatore fisico viene usato sui seguenti supporti, i quali possono essere stati esposti
all’acqua:
- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;
- legno grezzo chiaro.
Il metodo della deposizione metallica è una complessa procedura, composta da due
fasi, che richiede l’utilizzo di apparecchiature specifiche capaci di creare una condizione di
vuoto. Nella prima fase viene fatto evaporare dell’oro che, condensandosi sulla superficie
in esame, non si deposita sulle componenti grasse della secrezione papillare. Nella seconda
fase viene vaporizzato dello zinco il quale, a contatto con la superficie, andrà a creare un
contrasto con l’oro, per mezzo del quale si evidenzierà l’impronta digitale. La deposizione
metallica viene utilizzata per esaltare le impronte presenti sui seguenti supporti:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera).
Il metodo dello small particle reagent (SPR) si basa sul principio attivo del
disolfuro di molibdeno il quale viene applicato alla superficie interessata mediante spruzzo
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od immersione della stessa. Aderendo alle componenti grasse della secrezione papillare dà
origine ad una patina gialla in corrispondenza dell’impronta, la quale deve essere
prontamente fotografata. Può essere utilizzato in sostituzione dello sviluppatore fisico,
oppure successivamente ad esso. Questa procedura viene utilizzata sui seguenti supporti,
anche se bagnati od umidi:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);
- superfici ruvide e non porose;
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);
- metalli non trattati;
- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle.
L’amido black reagisce con le proteine presenti nel sangue dando vita ad una
reazione chimica che colora l’impronta di nero. Questa procedura viene utilizzata per
esaltare le impronte contaminate dal sangue su superfici non porose o leggermente porose,
nonché per evidenziare le impronte di sangue presenti sulla pelle dei cadaveri.
Le tinture fluorescenti si legano ai residui delle impronte e ne permettono
l’evidenziazione attraverso l’utilizzo di una luce ultravioletta. Queste vengono utilizzate
sui seguenti supporti:
- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);
- superfici ruvide e non porose;
- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);
- metalli non trattati;
- cera e superfici incerate;
- polistirolo, ma solo dopo il trattamento coi fumi di cianoacrilato.
Il metodo della luminescenza laser sfrutta particolari fonti d’illuminazione, quali:
raggi ultravioletti, infrarossi, eccetera. Per mezzo di una particolare reazione, alcune fonti
luminose rendono fluorescente la riboflavina (presente nelle sostanze grasse secrete dalle
creste cutanee), rendendo visibile l’impronta ad occhio nudo. Oltre a questo utilizzo
“diretto”, la luminescenza laser viene anche impiegata come supporto volto a migliorare
l’esaltazione delle impronte digitali latenti trattate con appositi reagenti (esempio il DFO).
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Questo stesso progresso ha attualmente reso possibile il rilevamento delle impronte
digitali latenti presenti sul cadavere della vittima. La concreta possibilità della loro
esaltazione è vincolata all’interazione dei seguenti elementi: lo stato di conservazione della
pelle, il grado di traspirazione, il tempo trascorso dall’apposizione dell’impronta, la
pressione esercitata dalle dita (ad esempio durante uno strangolamento compiuto a mani
nude), nonché la limitata manipolazione del cadavere. Tale operazione può essere
compiuta utilizzando metodi semplici quali i fumi di iodio, i fumi di cianoacrilato e la
luminescenza laser, oppure mediante l’impiego di tecniche complesse come
l’elettronografia e non solo. Data la complessità di queste ultime, nonché considerata la
difficoltà di reperire informazioni chiarificatrici del loro concreto funzionamento, ai fini
dell’oggetto di questo paragrafo, il semplice accenno alla loro esistenza è doveroso (anche
se consapevolmente non esplicativo).
Il momento nel quale un’impronta è stata apposta su di una superficie potrebbe non
essere compatibile con le tempistiche dell’atto criminoso; pertanto, un’impronta potrebbe
trovarsi sulla scena di un crimine a seguito di un comportamento lecito ed antecedente
all’evento oggetto di rilevamenti. Sulla base di questa giusta considerazione, appare
evidente la necessità di affrontare la spinosa problematica della loro datazione.
Quest’ultima viene valutata in modo differente a seconda che l’impronta sia visibile oppure
latente.
Il substrato sul quale è stata apposta l’impronta visibile risulta tanto più pulito
quanto più quest’ultima è recente. Ciò deriva dal fatto che il passare del tempo, e la
conseguente deposizione della polvere, tendono a velare gradualmente il fondo sul quale si
sono poggiate le creste papillari, provocando l’invecchiamento dell’impronta. La
tempistica di manifestazione della velatura è legata alle condizioni ambientali presenti
sulla scena del crimine; pertanto gli elementi valutativi dallo stato dell’impronta hanno un
valore meramente orientativo, dovendo essere accuratamente vagliati alla luce di altre
circostanze acquisite, le quali devono avere ad oggetto la sede dell’impronta e l’eventuale
presenza di altri frammenti di disegno papillare rinvenuti su di essa.
Nell’impronta latente, esaltata attraverso l’utilizzo di polveri adeguate, l’analisi
temporale si fonda sulla patina di sostanza biologica che la caratterizza; infatti,
considerando che questa è in prevalenza costituita da acqua, nella quale sono presenti
alcuni sali, la datazione dell’impronta si desume in base al suo stato di evaporazione,
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nonché alla conseguente quantità di polvere esaltatrice depositatasi sul frammento. Se
l’evaporazione deve ancora avere inizio, la quantità di polvere sarà maggiore, mentre se il
processo di evaporazione è in corso, oppure si è concluso, tale quantità sarà notevolmente
ridotta. Anche in questo caso ci si trova di fronte a considerazioni meramente teoriche, in
quanto l’evaporazione della sostanza biologica presente nell’impronta dipende dalla
quantità di sostanza depositata dal soggetto al momento del contatto con la superficie,
nonché dalle condizioni ambientali della scena del crimine, le quali possono accelerare o
ridurre i tempi di evaporazione della stessa.
Per quanto riguarda il trasporto in laboratorio, al fine del conseguente esame, le
impronte visibili e latenti, rinvenute sulla scena del crimine, richiedono modalità di
approccio e messa in sicurezza molto differenti.
Quando è materialmente possibile, le impronte visibili devono essere trasportate
insieme al substrato sul quale sono state rinvenute. Data la necessità di non alterare la
prova, l’oggetto viene depositato in una scatola di cartone ed a questa assicurato, in modo
da impedire che l’impronta venga in contatto con qualsivoglia agente (sostanza, materiale
od altro) capace di danneggiarla.
Relativamente alle impronte latenti, successivamente all’esaltazione ed alla
conseguente documentazione fotografica (con affianco una striscia metrica), queste
vengono asportate utilizzando apposite superfici adesive trasparenti, formate da uno strato
rigido (sotto) ed uno mobile (sopra). La parte adesiva (mobile) viene posta in
corrispondenza dell’impronta al fine di catturare la polvere esaltatrice evidenziante il
disegno papillare. Questa procedura richiede molta attenzione volta ad impedire che
durante il processo di adesione si formino delle bolle sulla superficie adesiva, le quali
rappresentano un danneggiamento dell’impronta (anche se correggibile in laboratorio). Lo
strato rigido ha una funzione di sicurezza, in quanto serve ad evitare che il supporto, una
volta prelevata l’impronta, possa accidentalmente piegarsi e deformarla.
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7.2 Il sistema A.F.I.S.
L’Automated Fingerprint Identification System (A.F.I.S.) è lo strumento
informatico col quale, negli ultimi anni, sono state velocizzate le procedure di
archiviazione, classificazione, ricerca e comparazione delle impronte digitali (Fig. 105).
Questo sistema permette il compimento delle seguenti operazioni in tempo reale:
- acquisire e memorizzare i dati contenuti in ogni Casellario Centrale d’Identità;
- acquisire e memorizzare i frammenti di impronte digitali rinvenuti sulla scena del
crimine;
- svolgere i confronti dattiloscopici (per esclusione, per sospetto oppure d’ufficio).
Fig. 105
Al fine di acquisire e successivamente archiviare le impronte digitali presenti sul
Casellario Centrale d’Identità, questo strumento utilizza la formula ideata dal poliziotto
britannico Edward Henry (1850 – 1931), la quale suddivide le impronte digitali in 4 figure
generali:
- Left loop :andamento sinistrorso delle creste papillari;
- Right loop :andamento destrorso delle creste papillari;
- Whorl: figura a spirale;
- Arch: figura ad arco.
Il sistema, sulla base della figura generale, assegna ad ogni impronta un codice letterale:
“L” (Left loop), “R” (Right loop), “W” (Whorl), “A” (Arch) oppure “U” (in caso di figura
mancante o indecifrabile); consentendo così di fornire ad ogni Casellario Centrale
d’Identità una chiave alfabetica composta da dieci lettere. Dopo aver compiuto questa
prima catalogazione del carattere generale di ciascuna impronta, la fase successiva consiste
nell’individuazione delle minuzie in essa contenute; le quali vengono classificate in base
alla loro topologia ed ubicazione. Da questi elementi un algoritmo estrae un codice
digitale, unico per ogni impronta. Questa operazione rappresenta una procedura critica del
sistema, per l’espletamento della quale può essere necessario l’intervento dell’operatore
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dattiloscopista. Quando un’impronta rinvenuta sulla scena di un crimine viene sottoposta
ad esame comparativo, l’A.F.I.S. provvede ad analizzarla ed a costruirne il codice
numerico (sulla base delle minuzie rilevate) . Terminato questo passaggio preliminare ed
essenziale, il sistema mette a confronto tale codice con quelli presenti in archivio,
individuando una lista di impronte (e relativi soggetti) aventi codici compatibili (secondo
parametri di dispersione prestabiliti rispetto al valore del campione elaborato). Conclusa la
ricerca, sullo schermo del computer compaiono (in ordine decrescente di corrispondenza)
le immagini delle impronte ritenute simili (nonché i dati dei soggetti a cui appartengono),
le quali dovranno essere esaminate singolarmente dal dattiloscopista al fine di verificare
quale tra esse coincida col frammento inserito per il confronto: avendo così la concreta
identificazione dattiloscopica.
Questa procedura lineare spesso si scontra con la realtà dei fatti e coi problemi ad
essa correlati. Le impronte rilevate sulla scena del crimine sono raramente perfette,
pertanto il tecnico dattiloscopista si trova sovente a dover lavorare su immagini
incomplete, sfuocate, sfumate od in qualche modo distorte. Per far fronte a questa
problematica, sono stati messi a punto dei metodi d’analisi e riproduzione capaci, in
presenza di un’impronta insoddisfacente, di estrapolarne le principali linee papillari,
potendo ricostruirne per proiezione, le parti mancanti. In tale circostanza il computer
presenterà al tecnico dattiloscopista una gamma di possibili ricostruzioni che, dopo essere
state da questi analizzate e convalidate, verranno codificate dal sistema e messe a
confronto coi codici di quelle presenti in archivio.
Il sistema A.F.I.S. è costituito da una banca dati centralizzata alla quale si accede
telematicamente attraverso i terminali dislocati presso vari uffici periferici (in dotazione
alle forze dell’ordine). La banca dati comprende due database: uno riguardante i casellari e
l’altro relativo ai frammenti. Nel primo sono registrati tutti i Casellari Centrali d’Identità
appartenenti ai soggetti identificati; mentre il secondo racchiude tutte le impronte digitali
rinvenute sulle varie scene del crimine e mai attribuite ad alcun soggetto.
Oltre al sistema A.F.I.S. esiste il Sottosistema Periferico Assunzione Impronte
Digitali (S.P.A.I.D.), il quale serve per registrare e controllare l’identità degli immigrati
clandestini. Questo strumento è stato ideato per essere utilizzato negli uffici non raggiunti
da una rete di comunicazione ad alta velocità (ad esempio i centri di prima accoglienza per
gli immigrati).
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7.3 Cenni sulle impronte palmari e plantari
Nonostante il termine dattiloscopia richiami l’attenzione solo sulle impronte
digitali, questo ramo della criminalistica si occupa anche delle impronte palmari (delle
mani) e plantari (dei piedi) rilevate sulla scena di un crimine.
Per quanto riguarda i palmi delle mani, questi sono costituiti dalle cosiddette creste
da attrito (friction ridges) le quali (similmente alle creste cutanee papillari) iniziano a
formarsi nella fase pre-natale del soggetto per poi completarsi e consolidarsi intorno al
settimo mese di vita intrauterina. Queste impronte restano invariate lungo tutto l’arco di
vita del soggetto, fino al sopraggiungere dei fenomeni putrefattivi post-mortem, sempre
che non si verifichino patologie capaci di modificarle o tentativi di alterazione compiuti
volontariamente dal soggetto stesso. Le numerose pieghe presenti sul palmo della mano
formano un’impronta (palmare) unica per ogni individuo.
Sulla base di questa notevole somiglianza con le impronte digitali, anche le impronte
palmari presenti sulla scena del crimine possono essere visibili oppure latenti. Come tali
vengono trattate nei medesimi modi, e con gli stessi accorgimenti con i quali l’agente della
Scientifica opera sulle impronte digitali; tanto che il sistema A.F.I.S. prevede la possibilità
di effettuare confronti e ricerche aventi ad oggetto questa tipologia d’impronte.
Discorso analogo deve essere fatto per le impronte plantari, per la presenza delle
quali è necessario che il criminale fosse a piedi nudi al momento della commissione del
reato. Queste impronte vengono rinvenute prevalentemente su superfici dure (ad esempio:
porte, piastrelle della pavimentazione, eccetera), anche se non è da escludere la possibilità
che possano essere scoperte sul corpo della vittima (esempio uccisa a calci).
Le impronte plantari presenti sulla scena del crimine, similmente a quelle digitali, possono
essere visibili oppure latenti. Anche nei confronti di queste, valgono i medesimi modi ed
accorgimenti utilizzati dall’agente della Scientifica nell’operare con le impronte digitali.
Fig. 106 19
19 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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8. Tracce di polvere da sparo e indagini balistiche: il
repertamento balistico
Gli elementi metallici come il piombo, l’antimonio ed il bario, che fanno parte della
composizione chimica delle polveri da innesco, durante lo sparo, così come altri elementi
metallici facenti parte della composizione chimica della polvere di lancio, del proiettile e
del bossolo per effetto dell’elevata energia termica e meccanica e dell’alta pressione a cui
sono sottoposti, subiscono un processo di fusione e successiva vaporizzazione ritrovandosi
pertanto presenti insieme sotto forma di goccioline fuse (aerosoli) che si raffreddano
immediatamente venendo ad assumere spesso, ma non sempre, un caratteristico aspetto
sferoidale, analogamente al fenomeno dei boli vulcanici, tanto da essere state chiamate
FIREBALLS (palle di fuoco).
La forma e la composizione di tali residui, denominati GSR (Gun Shot Residue) o CDR
(Catridge Discharge Residue) provenienti dalla polvere innescante durante lo sparo è tale
da non lasciare adito ad alcun dubbio ai fini delle indagini. Infatti, non si conoscono allo
stato attuale attività umane diverse dallo sparare che possano produrre particelle contenenti
Insieme piombo, bario ed antimonio.
Alcune caratterische generali:
Il numero delle particelle. E’ evidente che l’utilizzo delle svariate tipologie di armi
influisce necessariamente sulla quantità di particelle presenti sulla persona indagata. (arma
corta, arma lunga, etc).
Tempi di resistenza. Per motivi di gravità, il numero di particelle presenti su di una
determinata superficie è destinato a decrescere con il passare del tempo (si parla di
ore).
Morfologia e dati metrici. Molto influenti per le conclusioni risultano: la forma e il
diametro. Per esempio, ritrovare una grossa particella dopo un lasso di tempo di
molte ore è un evento negativo in quanto sono proprio le grandi particelle che a
causa della forza di gravità sono le prime a cadere.
La balistica. Che dallo studio meccanico dell’arma individua la compatibilità tra
numero, qualità ed ubicazione delle particelle presenti.
Il repertamento balistico può essere pertanto definito come l’evidenziazione,
l’identificazione, la raccolta o il prelievo di tutti quegli elementi che possono essere
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attribuiti all’impiego di armi da fuoco, ma anche di mantenere il più a lungo possibile tutte
le informazioni evidenziabili con gli accertamenti di laboratorio.
Fig. 107
Spettro e fotografia della particella univoca dello sparo
Nel momento in cui un individuo spara tramite un’arma da fuoco, la maggior parte
dei residui della polvere da sparo vengono espulsi in direzione del target; ciò nonostante,
una parte di essi viene spinta all’indietro verso il soggetto che impugna l’arma al momento
dello sparo depositandosi su di esso, ed in particolare sulla sua mano.
È possibile ricercare i residui di polvere da sparo sulla mano di una persona,
prevalentemente sul dorso della stessa e sul pollice, attraverso l’uso di un tampone
contenente una soluzione di acido nitrico al 5% che deve essere passato sopra le aree
potenzialmente interessate dalla presenza dei residui.
8.1 Kit per il rilevamento delle particelle di polvere da sparo
La distanza da cui un’arma ha fatto fuoco può essere determinata dalla presenza dei
residui di polvere da sparo; tuttavia la presenza di alcune particelle di sparo potrebbe non
essere rilevata se non si ha a disposizione di un kit di rilevazione sufficientemente
sensibile. In questi casi, sulla scena di un crimine in cui sono state utilizzate armi da fuoco,
può rivelarsi particolarmente utile un test chimico necessario per rilevare i nitrati della
polvere da sparo, (particelle bruciate). Tramite questo tipo di test è possibile, per esempio,
stabilire se il colpo è stato esploso a distanza ravvicinata o meno. Tali informazioni
possono essere dedotte anche dalla presenza del cosiddetto “tatuaggio” creato dagli stessi
residui di polvere da sparo. Per questo, sono state create una serie di soluzioni spary utili
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per rilevare i residui di polvere da sparo sugli abiti; tali prodotti devono essere impiegati
nel seguente modo:
1. Distribuire il reagente in spray sulla superficie del foglio di carta da contatto
che verrà utilizzato per tamponare direttamente l’area degli abiti che intendiamo
testare, alla ricerca di residui di polvere da sparo.
2. Utilizzare un altro foglio di carta e riporlo sopra il foglio di carta da contatto
utilizzato precedentemente per tamponare l’area alla ricerca di residui di
polvere da sparo e applicare una pressione di media intensità per far sì che i due
fogli aderiscano perfettamente per la loro intera superficie.
3. Se il test è positivo sul foglio di carta da contatto compariranno, entro 2 minuti,
una serie di puntini rosa.
8.2 STUB
Per il repertamento dei residui da sparo si impiega un apposito tampone costituito
da un corpo cilindrico recante, su un’estremità, un porta campione da microscopia
elettronica dalla superficie adesiva. Tamponando tramite la superficie adesiva le zone
interessate al prelievo, ad essa aderiranno molte particelle di interesse forense.
Il prelievo può essere effettuato su:
- Sull’indagato e sui suoi abiti;
- Sulla vittima e sui suoi abiti;
- In ambienti chiuso.
Fig. 108 Fig. 109
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
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Fig.110 Fig.111
Struttura interna dello Stub
Le tecniche utilizzate per rilevare delle tracce di metalli (TMDT) rendono visibili
tali particelle sia sulla pelle che sui vestiti preventivamente trattati con una specifica
soluzione e successivamente illuminati con luce ultravioletta ad onde corte. Questo tipo di
analisi permette all’operatore di Polizia Scientifica di stabilire se un individuo è entrato in
contatto con oggetti di metallo, il tipo di metallo presente nell’oggetto e pertanto che tipo
di oggetto metallico o di arma è stato maneggiato.
Oggi esistono anche tecniche capaci anche di individuare residui di esplosivo e
facilmente eseguibili direttamente sul campo, le quali si basano sulla capacità di rilevare la
presenza di nitrati. I kit oggi disponibili sono estremamente sensibili e capaci di
individuare anche minime quantità di materiale, delle dimensioni di un granello di sale,
fornendo così informazioni utili per circoscrivere la possibile area su cui concentrare le
analisi.
Nel momento in cui si analizza un caso nel quale sia stata utilizzata un’arma da
fuoco, con conseguenti lesioni o morti, serve, oltre alle indagini della Polizia scientifica
(l'esame dell'arma e della sua meccanica, la definizione del numero dei colpi inesplosi nel
caricatore, l'identificazione del calibro dei proiettili esplosi, nonché l'interpretazione dei
rilievi ambientali e testimoniali) anche una corretta diagnosi medico-legale, basata
sull'attenta analisi dei dati “di base” (numero di colpi esplosi, distanza di sparo e posizione
reciproca tra feritore e vittima). Riassumendo sono proprie della balistica forense le
indagini per:
identificazione e descrizione del luogo dove si è svolto il crimine;
l'esame dei danneggiamenti nell’ambiente e sui veicoli;
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la ricerca, il prelievo, la conservazione e l'identificazione dei reperti di interesse
balistico;
l'esame dell'arma, l'accertamento delle sue caratteristiche e della funzionalità;
la identificazione del tiratore;
la valutazione della distanza di sparo;
Nell’ipotesi della ricostruzione bisogna quindi tenere conto dei materiali medico-
legali:
valutazione dell'epoca della morte e/o del ferimento, della causa e dei mezzi
impiegati;
del tempo di sopravvivenza e della possibilità di compiere autonomamente azioni o
spostamenti dopo il ferimento;
tipo o tipi di arma impiegate, calibro, numero dei colpi, distanza di sparo e
posizione reciproca fra vittima e sparatore.
Le branche in cui si suddivide la balistica forense sono le seguenti:
1. la balistica generale, riguardante le armi, la loro tecnologia e il loro uso;
2. la balistica terminale, studia gli effetti di un proiettile quando incontra un
bersaglio;
3. la balistica identificativa, riguardante la comparazione dei reperti, l’individuazione
dei residui di sparo, l’estrapolazione degli effetti per risalire all’agente balistico
usato.
8.3 La balistica generale
La balistica generale si suddivide in due aree: balistica interna e balistica esterna.
La balistica interna studia l’arma, il suo funzionamento e comportamento, prima
che il proiettile inizi la sua traiettoria.
Nello specifico si interessa sia dell’arma che delle munizioni sequestrate e
soprattutto: dell’origine, della classificazione, della categoria, delle caratteristiche stesse,
dell’ impiego e dell’eventuale malfunzionamento dell’arma della stessa. È importante per
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le conseguenze giudiziarie, precisare se l’arma illegalmente detenuta sia classificata nella
categoria delle armi definite “da guerra”20, in cui l’arresto è obbligatorio in flagranza,
oppure “da sparo”21, per cui è solamente facoltativo; inoltre è decisivo verificare la
presenza sull’arma di tutti i contrassegni stabiliti dall’art. 11 della Legge 110/1975 così da
poterne stabilire o meno la clandestinità22 23.
La balistica esterna invece si interessa del tragitto che compie il proiettile per
raggiungere il bersaglio, valutando così: la traiettoria (il movimento del proiettile), la
resistenza opposta da parte dell’aria e la forza di gravità del proiettile stesso.
Nello specifico è necessario valutare l’andamento spazio-temporale della traiettoria,
ricostruendola e definendo la cronologia degli spari.
L’indagine di balistica esterna costituisce il punto di partenza per le indagini di
balistica terminale e si integra con quelle di balistica interna24.
Fig. 112 Fig. 113
Strumento per l’analisi degli elementi costitutivi un’arma.
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
8.4 La balistica terminale
La seconda branca della balistica forense, ossia la balistica terminale, studia le
interazioni fra il proiettile ed il bersaglio al momento dell'impatto e negli istanti successivi,
includendo l’esame della conformazione delle ferite e l’estensione del danno tissutale.
20 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.1. 21 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.2. 22 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.23. 23 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 17. 24 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18
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In questa area sicuramente è importante la figura del medico-legale che, per quella
parte d’indagine che prende il nome di balistica della lesione (wound ballistics), è l’unico
tecnico idoneo ad un intervento professionalmente abilitato25.
Nello specifico si interessa delle deformazioni che il proiettile26 subisce al momento
dell'impatto, dell’eventuali frammentazioni che devono essere evitate e della forma che il
proiettile assume a seconda della tipologia della munizione (palle camiciate, blindate,
semicamiciate, nude, ecc.).
Fig. 114
Proiettili integri e deformati di cal. 38 special
Fig. 115
Proiettili deformati e frammentati in cal. 38 special
25 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18 26 Un proiettile in movimento possiede una certa energia data da varie componenti che, schematicamente possiamo così individuare: ET = EC + EP + ER dove: ET = energia totale posseduta dal proiettile; EC = energia cinetica d’impatto (capacità del proiettile a compiere un lavoro) = ½ mv2; EP = energia che il proiettile possiede in base alla sua massa ed all’accelerazione di gravità = ½ mg2, ER = energia dovuta alla rotazione del proiettile sul proprio asse = m. raggio di rotazione2 .w2. ½. Come si vede, in buona sostanza, EP ed ER sono valori trascurabili e l’energia che anima un proiettile è l’energia cinetica. Questa è direttamente proporzionale al quadrato della velocità dello stesso per cui si avrà che ad ogni minimo aumento della velocità corrisponderà un notevole aumento dell’energia che il proiettile sarà in grado di cedere al bersaglio. Un proiettile che penetra il corpo attraversandolo trasmette solo una parte dell'energia cinetica che possiede al bersaglio, ed ha quindi un basso potere di arresto. In questo caso il proiettile può essere letale ma spesso non trasmette al bersaglio lo shock necessario a fermarlo istantaneamente ed evitare una pericolosa risposta ostile. Il potere di arresto è infatti legato alla quantità di energia cinetica presente all'impatto ed alla percentuale di questa che viene trasmessa al bersaglio. Lo studio della balistica terminale di un proiettile è quindi importante: un proiettile che si deformi all'impatto, assumendo la classica forma a fungo, verrà facilmente fermato dal corpo del bersaglio che assorbirà quindi la totalità dell'energia cinetica; l'effetto shock e quindi il potere d'arresto saranno massimizzati. È questo il caso delle pallottole a punta cava, che sono però proibite dalla legge italiana ai fini di difesa personale, mentre sono permesse le pallottole blindate, analoghe a quelle usate per usi militari, che hanno invece la caratteristica di essere letali ma con basso potere di arresto, di rimbalzare ovunque in caso di errore nel tiro con ovvi pericoli, e infine spesso di attraversare il bersaglio in modo anch'esso pericoloso.
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8.5 La balistica identificativa
La polizia scientifica a seguito di un reato con armi da fuoco si interessa del
seguente materiale balistico: dei bossoli e/o dei proiettili, dell’esame dei fondelli di ogni
singolo bossolo e dei corpi dei proiettili o comunque delle caratteristiche che la
identifichino come essa sola, se arma artigianale o alterata o comunque modificata o non
ancora inserita in banca dati.
Grazie alla tecnologia e all’uso di determinati strumenti microscopici si può
scoprire la presenza, la morfologia, la dimensione, la locazione spaziale, le impronte di
percussione, l’espulsione e l’estrazione sul fondello del bossolo; mentre attraverso i solchi
di rigatura si può individuare il numero, il verso e la misurazione. Tutto questo porta a
identificare, grazie agli elementi in sequestro confrontati con un data base di riferimento27:
il tipo, la marca, la classe, il numero delle armi. Una volta che gli elementi vengono inseriti
nel data base IBIS (Integrated Ballistics Identification System) della polizia di Stato, si
ottiene l’eventuale correlazione tra episodi avvenuti in tutto il territorio nazionale.
Fig. 116
Ogiva repertata nel corso di un’autopsia su cui è possibile individuare la presenza di
frammenti tessili
8.6 Il microscopio comparatore
Il microscopio comparatore è utilizzato per le impronte sui reperti balistici.
Consiste essenzialmente di due microscopi con identici obiettivi collegati da un ponte
ottico contenente una combinazione di prismi che convogliano le immagini ad un unico
oculare.
27 Precisando che i dati d’archivio utilizzati nella sopra indicata operazione sono quelli di cui al General Rifling Characteristics File di F.B.I. – una raccolta di informazioni relativa a circa 20.000 differenti armi da fuoco – e di Gun Store – sistema informativo della Polizia Scientifica italiana (si veda oltre), risulta evidente quanto sia importante per le indagini in corso l’informazione fornita dai tecnici balistici che compiono questa prima indagine.
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E’ così possibile osservare due oggetti separati nel medesimo campo, compararli
visivamente portando in giustapposizione le immagini di parti di ciascuno di essi. Gli
oggetti appaiono in campo visivo circolare diviso al centro da una linea sottile verticale.
Nel caso di proiettili sparati dalla medesima arma è spesso possibile far coincidere,
lungo la linea divisoria, le microstrie presenti nelle impronte lasciate dalla rigatura della
canna. L’individuazione di minime e microscopiche depressioni e striature,
morfologicamente e dimensionalmente identiche oltre che ripetute, presenti sia sugli
elementi a reperto sia su quelli sperimentali prodotti con l’arma sospetta, costituisce prova
di unicità d’arma28.
Fig. 117
Striature lasciate sulla superficie del proiettile dalle righe della canna e dell’arma da fuoco.
Fig. 118 Fig. 119
8.7 Le banche dati
8.7.1 DRUGFIRE
Il sistema nasce negli anni 80, serve alla FBI per collegare gli innumerevoli delitti
commessi con le armi da fuoco nell’ambiente dello spaccio di stupefacenti. Questo sistema
28 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18
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è in grado di archiviare, ricercare e confrontare le impronte sui bossoli e sui proiettili. Il
sistema lavora in bianco e nero, ma si distingue dall’IBIS per due singoli motivi: il
proiettile è visto sull’intera superficie (invece che solo nei solchi di rigatura) e il bossolo è
visto dal cratere di percussione fino alla capsula di innesco. Il sistema è corredato da due
interessanti archivi:
• il GRC (General Rifling Characteristics File) la guida più completa ed utilizzata
nel mondo per l’identificazione dell’arma;
• il SAF (Standard Ammunition File), una sorta di catalogo completo ed illustrato
nei minimi dettagli della produzione di cartucce per armi da fuoco, suddivise per calibro.
L’archivio disponibile attualmente è ancora parziale ma è in via di definizione il suo
completamento29.
8.7.2 Il sistema IBIS (Integrated Ballistics Identification System)
Il sistema IBIS è uno strumento idoneo a raccogliere tutte le informazioni tecniche
ed investigative relative a manufatti balistici repertati in occasione di fatti delittuosi. Per il
futuro occorre infine sottolineare che i due colossi NIBIN (DRUGFIRE) e FORENSIC
TECHNOLOGY INC. (IBIS), dal 2000 hanno dato inizio all’unificazione dei relativi data-
base che daranno così vita ad un unico, multifunzioni e pluri-accessoriato, sistema in grado
di ovviare a quelle imperfezioni di insieme che di volta in volta possono risolversi in virtù
del graduale progresso tecnologico di calcolatori ed ottiche30.
8.7.3 GUNSTORE
Si tratta di una banca dati che memorizza i dati tecnici e le "impronte di classe
d’arma", cioè i segni che le parti meccaniche di un’arma rilasciano sul corpo del bossolo,
relative alle armi in produzione ed a quelle di importazione. Il principio di base è che ogni
arma viene prodotta dal fabbricante con caratteristiche uniche di costruzione. La
particolare forma, detta “morfologia”, viene dunque classificata e memorizzata in una
scheda tecnica del sistema “Gun Store”31.
29 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 26 30 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 27, 28. 31 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 28,29.
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9. Corredo speciale per sostanze stupefacenti e tossiche: strumenti
ed analisi di laboratorio
9.1 “Corredo speciale droga” sulla scena del crimine
La diffusione di stupefacenti, sempre più massiccia e preoccupante negli ultimi anni
ha creato la necessità di fornire le squadre incaricate di sopralluogo di appositi reagenti di
pronto impiego per stabilire, almeno in via orientativa, se una particolare sostanza
appartenga o meno alla classe delle “droghe o sostanze nocive”. In questo modo è possibile
riconoscere i principali tipi di droga fin dal primo intervento e il corredo necessario per la
loro identificazione comprende nove principali tipi di reattivi i quali:
‐ Sono distinti in apposite fialette di vetro numerate dalla 1 alla 9;
‐ Sono predisposti in funzione delle droghe più diffuse: cocaina, oppio, morfina,
eroina, codeina, marijuana, hascisc, L.S.D, barbiturici e anfetamine.
Di seguito vengono elencate le 9 tipologie di reattivi in base all’ordine numerico delle
confezioni che li contengono, utilizzati anche nei laboratori chimici-tossicologici della
Polizia Scientifica:
Reattivo di Dille-Koppanyi: serve per rilevare i barbiturici (fialetta numero 1 e 2);
Reattivo di Duquenois: necessario per rilevare la canapa indiana, in particolare
marijuana e hascisc (fialetta numero 3 e 7);
Reattivo di Van Hurks: per rilevare l’L.S.D (fialetta numero 4 e 7);
Reattivo di Marquis: per rilevare l’oppio, la morfina, l’eroina, l’anfetamina e la
mescalina (fialetta numero 5);
Reattivo di Meckes: per rilevare l’S.T.P. (1,5 dimestossi, 4anfetamina), (fialetta
numero 6);
Reattivo al Cobaltotiocinato: per rivelare la cocaina e il metadone (fialetta numero
8);
Reattivo al bicarbonato di sodio: coadiuvante per il saggio all’oppio (fialetta
numero 9).
L’operatore deve usare l’apposito reattivo, seguendo le istruzioni che accompagnano il
corredo stesso, solo in presenza delle sostanze sospette e in base a come si presentano alla
vista e al tatto.
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I reattivi vengono utilizzati solo a scopo orientativo poiché la risposta definitiva
spetta a specifiche analisi chimiche che devono essere effettuate presso i laboratori di
chimica della Sede Centrale di Polizia Scientifica.
Fig. 120
Esempio di utilizzo di un reattivo sulla scena del crimine: se il materiale sospetto si
presenta sottoforma di foglie secche e sminuzzate potrebbe trattarsi di Marijuana e pertanto
verranno utilizzate alcune gocce del reattivo di Duquenois provenienti dalla fialetta
numero 3 per poi essere seguite da altre gocce provenienti dalla fialetta numero 7. In
questo caso la reazione risulterà positiva solo se il materiale impregnato di tali reattivi
assumerà una colorazione blu-violetto.
Fig. 121 Fig. 122
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Fig. 123 Fig. 124
Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni
9.2 Analisi chimiche, strumenti e procedure di laboratorio per la
ricerca di stupefacenti ed altre sostanze tossiche
I campioni biologici da sottoporre ad analisi tossicologiche e che devono essere
prelevati tramite specifiche modalità eseguite dalla squadre incaricate di sopralluogo sulla
scena del crimine, o che possono essere prelevati direttamente da un sospettato, da un reo o
da una vittima, sono costituiti principalmente da:
‐ il sangue, l’urina e i capelli soprattutto in caso di intossicazioni croniche;
‐ ma anche da vomito, da aspirato gastrico o liquido di lavanda gastrica in caso di
intossicazioni acute.
Qualora lo scopo dell’analisi non sia solo di tipo clinico, ma anche tossicologico e medico-
forense, il prelievo e la conservazione dei liquidi biologici, tra cui il sangue e l’urina,
possono assumere un significato giudiziario particolarmente rilevante; infatti permettono
di valutare lo stato di intossicazione di autori di reati o delitti al fine di definire le varie
dinamiche delittuose e utilizzabili anche in tema di imputabilità.
In caso di omicidio e lesioni personali gravissime, il C.P (codice penale) prevede
un’aggravante specifica per l’uso di sostanze tossiche o nocive in quanto, le modalità
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operative per raggiungere lo scopo delittuoso, rendono evidente la premeditazione, allo
stesso modo con cui rendono vana ogni possibile azione di difesa della vittima; la sostanza
tossica o nociva infatti, può agire negativamente sulla salute della vittima anche a basse
concentrazioni e può essere facilmente occultabile (“azione subdola”).
Le principali sostanze che possono essere ricercate, per esempio, nell’urina sono:
‐ la morfina, l’eroina e la codeina;
‐ l’alcool etilico, il metadone, il naltrexone, gli anfetaminici, i barbiturici, le sostanze
di taglio più frequenti come chinina, atropina, anestetici locali e stricnina;
‐ la fenciclidina ed il metaqualone;
‐ le benzodiazepine (pericolose in associazione);
‐ la pentazocina, il propossifene e gli antidepressivi.
Il tossicologo forense deve analizzare i campioni inviati e conservati dei fluidi
corporei, i contenuti dello stomaco e parti di organi. Ha la possibilità di accedere al
rapporto del medico legale, contenente informazioni riguardanti i vari sintomi della vittima
e i dati post-mortem.
L’analisi prevede che il tossicologo divida i campioni in frazioni acide e basiche
per l’estrazione di farmaci da tessuti o fluidi. I farmaci acidi vengono estratti facilmente
con una soluzione a pH inferiore a 7 mentre quelli basici con una soluzione a pH superiore
a 7. Per esempio, molte anfetamine sono base-solubili al contrario dei barbiturici che sono
acido-solubili.
Successivamente a queste fasi preliminari l’esame prevede altre due fasi principali:
1. Lo screening test;
2. Il test di conferma.
Lo screening test permette l’elaborazione di molti campioni in breve tempo a partire da una
vasta gamma di tossine. Tutti i risultati positivi che da esso si ottengono devono essere
verificati con il test di conferma. Lo screening test prevede l’utilizzo di:
Test fisici: come l’analisi del punto di fusione, il punto di ebollizione, la densità e
l’indice di rifrazione;
Test dello spot chimico: si effettua un trattamento con un reagente chimico per
produrre dei cambiamenti di colore;
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Test di cristallizzazione: prevede un trattamento tramite un reagente chimico per
produrre dei cristalli;
Test di cromatografia: permette di separare i componenti di un miscuglio.
Il test di conferma principalmente utilizzato consiste invece, nella spettrometria di massa.
Essa permette di individuare “l’impronta digitale” tipica di ogni tossina che corrisponde ad
un noto spettro di massa.
Considerando la consistente quantità di casi di overdose di droga e di intossicazioni
da alcool, sono state costituite due branche affini:
1) Quella di cui si occupano gli Esperti di Riconoscimento delle Droghe (Drug
Reconition Expert);
2) Quella che si occupa della quantificazione e l’intossicazione da alcool.
Le analisi di laboratorio necessarie per stabilire in modo certo la natura dello
stupefacente, la sua qualità, il suo principio attivo e l’eventuale presenza di ulteriori
sostanze adulteranti o diluenti sono varie e di seguito ne vengono riportate alcune tra le
principali.
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9.2.1 I test cromatici
Il test cromatico viene eseguito tramite l’utilizzo di opportuni reagenti chimici
necessari per formare dei composti colorati dopo averli mescolati alla sostanza in analisi. Il
colore risulta caratteristico a seconda della specifica combinazione tra il reattivo e
piccolissime quantità di campione della sostanza stupefacente (sono necessari pochi
milligrammi). Il vantaggio di questo test è la possibilità di stabilire la presenta o l’assenza
dei principi stupefacenti in tempi molto brevi; il colore che si forma fornisce una risposta
indicativa sulla natura della droga poiché, in alcuni casi, può comparire la stessa
colorazione anche in presenza di alcune sostanze non stupefacenti; è il caso della lidocaina
che produce la stessa variazione cromatica della cocaina. Alcuni reattivi cromatici vengono
utilizzati dagli operatori sia direttamente sulla scena del crimine che nei laboratori chimici
come il reattivo di Marquis e quello di Duquenois.
Di seguito vengono elencati alcuni tra i principali test cromatici utilizzati nei
laboratori di criminalistica con le rispettive colorazioni che si creano a contatto con la
sostanza specifica:
1. Reattivo di Marquis:
forma un colore rosso-violaceo a contatto con gli oppiacei;
forma un colore giallo arancio per le anfetamine;
forma un colore blu scuro in presenza di ecstasy;
2. Reattivo di Young: microcristalli di colore azzurro a contatto con la cocaina;
3. Reattivo di Duquenois: colore viola a contatto con i cannabinoidi;
4. Reattivo di Ehrlich: colore rosso-violetto per l’L.S.D;
5. Acido solforico: colore arancio a contatto con la formaldeide e le benzodiazepine.
9.2.2 La spettroscopia UV
La spettroscopia UV si basa sull’assorbimento di una radiazione elettromagnetica
all’interno di un intervallo di lunghezze d’onda da parte di soluzioni contenenti la sostanza
in esame. La radiazione incidente viene assorbita alle varie lunghezze d’onda in modo
differente a seconda della struttura chimica della sostanza considerata; in questo modo si
origina uno spettro di assorbimento caratteristico la cui intensità è proporzionale alla
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concentrazione del soluto e che fornisce pertanto, una risposta sia qualitativa che
quantitativa della sostanza analizzata.
9.2.3 La Cromatografia su strato sottile
Questa tecnica viene utilizzata sia per l’analisi qualitativa dei principi attivi
stupefacenti sia per gli adulteranti e/o diluenti utilizzati per il “taglio” delle droghe.
Si tratta di un sistema utile per la conferma dei risultati ottenuti tramite i test
cromatici, semplice da applicare, particolarmente economico e vantaggioso anche perché
consente di non dover obbligatoriamente ricorrere all’analisi gascromatografica.
Gli elementi necessari per questo tipo di analisi sono un substrato solido e un
liquido idoneo. Tale analisi è infatti basata sul trasporto differenziale delle diverse sostanze
su un substrato solido, che delinea la fase stazionaria, a opera di un idoneo liquido, che
costituisce al fase liquida. La velocità di movimento dei diversi componenti varia in
funzione della loro struttura chimica e la sostanza può così essere identificata in base alla
misura della distanza percorsa.
Considerando che l’identificazione viene eseguita per confronto con opportuni
standard di riferimento, la cui analisi deve essere effettuata contemporaneamente a quella
dei campioni ignoti, la risposta che si ottiene è di tipo relativo.
9.2.4 Il Toxi-Lab
Il sistema Toxi-lab è un metodo rapido per l’identificazione ad ampio spettro di
sostanze farmacologiche che può essere applicato sia su fluidi biologici che su campioni
solidi e liquidi.
L’analisi è basata sul principio della Cromatografia su strato sottile (TLC) che
consiste nel depositare le specie chimiche da rilevare su una lastra ricoperta da particolari
sostanze (allumina, gel di silice, cellulosa ecc.).
In questo tipo di analisi vengono utilizzate delle lastrine in microfibra di vetro e
acido di silicio contenenti sei differenti alloggiamenti per i dischetti usati come porta
campione, quattro dei quali reinseriti e contenenti appositi standard.
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La sostanza da identificare viene estratta dal campione in esame con appositi Toxi-
tubi in cui è contenuta una miscela di solventi; successivamente viene concentrata facendo
evaporare il solvente con metodi quali il calore e depositata su dischi di cromatografia. I
dischi essiccati vengono poi inseriti nei fori centrali dei cromatogrammi i quali, una volta
carichi, vengono sviluppati con speciali reagenti e in appositi contenitori.
La corsa delle sostanze sui cromatogrammi, l’eluizione dei sieri ignoti e degli
standards dei dischi, avviene durante la migrazione dei sieri di sviluppo.
L’identificazione finale si effettua confrontando la reazione cromogena delle
sostanze ricercate in zona ignota con quelle degli standards ottenuta con la stessa
migrazione colorimetrica caratteristica.
Fig.
125
Fig.
126
Fig. 127
Reazioni colorimetriche su sostanze ignote
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9.2.5 La Gascromatografia
Il principio base della gascromatografia è fondamentalmente quello cromatografico
ma caratterizzato da una variazione: la fase mobile è gassosa mentre quella stazionaria può
essere rappresentata da un liquido (cromatografia gas-liquido) o un solido (cromatografia
gas-solido). Solitamente viene utilizzata la gascromatografia gas-liquido con fasi
stazionarie che ricoprono la superficie interna di una colonna capillare di diametro interno
ridotto (0,2-0,3 mm) e lunghezza superiore (in media 15-30 m). Tramite una micro-siringa
le sostanze disciolte in soluzione vengono iniettate all’interno dello strumento e passano
allo stato gassoso entrando in una camera ad alta temperatura; a questo punto l’elio, un
particolare gas inerte, le trasporta all’interno della colonna dove le sostanze si separano in
base a vari fattori. Al termine dell’intero processo l’informazione che si ottiene è sia di tipo
qualitativo che quantitativo in base alle caratteristiche dei picchi cromatografici ottenuti
che, in funzione del tempo, costituiscono il cromatogramma. In particolare, l’analisi
quantitativa prevede una preliminare taratura dello strumento per mezzo di soluzioni
standard delle sostanze pure a concentrazione nota mentre l’analisi qualitativa si basa sul
confronto dei tempi di eluizione delle sostanze analizzate con quelli di opportuni standard
di riferimento (ma solo nel caso in cui lo strumento non sia dotato di rivelatore a
spettrometria di massa).
Fig.128 Fig. 129
Lo strumento utilizzato per la gascromatografia.
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10. Repertare le impronte di scarpa
Le tracce di scarpa rappresentano le tracce più frequenti sulla scena del crimine e
solitamente i criminali tendono a dare poca importanza a questi elementi che dall’esterno
vengono portati sulla scena del reato.
Le scarpe possono lasciare sia impronte di sangue, che impronte di terra e di polvere,
soprattutto sui pavimenti lisci; queste ultime possono essere rilevate con dei fogli di lifter
di idonee dimensioni o con fogli di alluminio tramite un sistema di attivazione
elettrostatica.
Fig. 130
Una volta identificata l’impronta di scarpa sul terreno è necessario irrigidire la base su
cui far colare il materiale per il calco al fine di evitare che la traccia venga modificata,
(considerando la friabilità del terreno); si procede pertanto nel seguente modo:
- verificando la consistenza della terra stessa;
- successivamente si dispone un telaio di acciaio inox o in plastica, di lunghezza
variabile a seconda del caso, intorno all’impronta per delimitare l’area dl calco;
- si spruzza un induritore per terreno in spray;
- passato qualche minuto si applica un distaccante spray a base di silicone il quale
crea una pellicola isolante tra il terreno e il calco, in modo da rendere più agevole
l’asportazione dello stampo;
- a questo punto si miscela il materiale da calco, costituito da gesso misto a silicone
integrati da altri prodotti, con acqua e si versa nello stampo;
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Fig. 131
Esistono anche dei kit monouso composti dalla giusta quantità di acqua e di
materiale necessario per il calco, molto semplici da utilizzare; infatti basta rompere
l’ampolla d’acqua con una lieve pressione permettendo così di farla venire a contatto
con il materiale per il calco. Successivamente si impasta in modo da impedire la
formazione di grumi e si versa il tutto sulla superficie da trattare.
Fig.132 Fig.13332
32 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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11. Repertamento di altre tracce non biologiche
Di seguito vengono riportati alcuni esempi di cautele e metodiche utilizzate per la
repertazione e conservazione delle tracce non biologiche che più frequentemente si trovano
sul luogo del reato:
1. Nel caso di oggetti sui quali si trovano delle impronte papillari, è necessario evitare che
le loro superfici entrino in contato con gli involucri che cancellerebbero le impronte
stesse. Pertanto, il personale addetto deve indossare guanti, senza i quali potrebbero
esser alterate o addirittura distrutte le impronte esistenti.
2. La armi, i coltelli e gli strumenti da lavoro possono venire fissati ad una tavoletta di
legno tramite sottili fili di rame passanti attraverso fori aperti nel supporto. È importante
non far appoggiare sulla tavoletta le parti sulle quali si trovano le impronte e a sua volta,
la tavoletta può essere fissata all’interno di una scatola di cartone o di legno.
3. Lastre e frammenti di legno vengono fissati con fili di rame e tavolette perforate su cui
siano stati fissati dei pezzetti di legno che servono da rialzo per uno dei margini di
vetro. In tal modo si possono trasportare in una stessa scatola anche più tavolette poste
sopra all’altra, distanziandole tra loro.
4. Le bottiglie devono essere poste in una cassetta di legno sul cui fondo siano applicate
delle striscette in modo da formare un quadrato capace di contenere esattamente il fondo
della bottiglia; il piolo fissato al coperchio verrà invece introdotto nel suo collo.
5. Gli oggetti di porcellana, ceramica, vetro e metallo di varie forme, devono essere
rinchiuse in scatole di cartone robusto o di legno utilizzando gli accorgimenti sopra
descritti al fine di mantenerli fermi e distanziati.
6. Gli indumenti con macchie di sangue, sperma o altre sostanze possono essere piegati
per il trasporto avendo cura di porre, tra i diversi strati di tessuto, dei fogli di carta da
filtro per evitare che le macchie si trasferiscano o vengano contaminate da altre sostanze
eventualmente presenti. Gli indumenti poi devono essere racchiusi in sacchetti di carta
recanti tutte le indicazioni necessarie.
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12. Il repertamento entomologico
Per poter ottenere delle informazioni utili riguardanti gli insetti che contaminano la
scena del delitto occorre procedere in tre fasi:
1. Osservazione: sia del luogo di ritrovamento, dell’ambiente circostante e del
cadavere comprensivo della fauna necrofaga;
2. Raccolta: dei dati biologici ed ambientali;
3. Conservazione: sia dei dati biologici che dei dati ambientali al fine di effettuare
specifiche analisi relative agli organismi in esame.
Considerando che ogni regione ed ogni zona possiede una fauna tipica, i casi legali e
non, diventano automaticamente dei casi sperimentali che forniscono informazioni sulle
abitudini ecologiche delle specie animali che abitano quella particolare zona. Le analisi che
si compiono sulla scena del delitto e durante l’esame autoptico vengono eseguite su un
substrato di lavoro potenzialmente patogeno per cui è preferibile utilizzare degli strumenti
monouso mentre quelli che non lo sono devono essere sterilizzati dopo l’utilizzo
possibilmente con autoclave o semplicemente con disinfettanti generici per almeno 12 ore
(come nel caso di pinzette, pennelli e contenitori). La pulizia della strumentazione è
fondamentale per evitare che campioni di dimensioni molto ridotte possano rimanere
attaccati agli strumenti provocando mescolanza di dati e compromettendo così i risultati
dell’analisi. Ad esempio, può succedere che campioni di uova possono attaccarsi alle setole
dei pennelli.
Fig.134
Fig. 135
Prelievo di larve tramite pinzette.
L’entomologo forense deve essere dotato di una serie di strumenti, attrezzature
generiche e soluzioni che vengono riportate nel seguente elenco e necessarie per poter
collezionare correttamente gli insetti presenti sulla scena del crimine:
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- Attrezzatura personale per favorire le condizioni di igiene come copri-scarpe usa e
getta, guanti monouso, mascherina, occhiali, liquido igienizzante e tuta o camice
monouso;
- Tavolino pieghevole;
- Torcia elettrica;
- Paletta per prelevare campioni di terreno;
- Sacchetti di carta resistente di diverse dimensioni (Fig. 136).
Fig.136 Fig.13733
Per quanto riguarda i liquidi necessari per la conservazione dei campioni si distinguono:
- Alcol etilico al 70% e assoluto: permette di ottenere una corretta analisi molecolare
per la discriminazione della specie ma non studi morfologici o di PMI;
- Buste di ghiaccio istantaneo necessarie per il rallentamento della crescita degli
insetti;
- Acetato di etile e Glicerina;
- Acqua molto calda ma non bollente a circa 80 °C.
L’acetato di uranile, la glicerina e l’acqua molto calda sono responsabili della morte
immediata degli insetti provocando anche la denaturazione del DNA per cui verranno
utilizzati solo per scopi di studio morfologico e di PMI.
L’analisi delle fasi di sviluppo degli insetti campionati avviene procedendo con una
raccolta del campione all’interno di barattoli con coperchio forato e non fa uso dei liquidi
per la conservazione.
33 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.
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L’attrezzature per il campionamento viene distinta i base alle fasi di cattura, di
conservazione e di documentazione del campione.
Per quanto riguarda la cattura sono necessari i seguenti elementi:
- Pinzette di diversa lunghezza;
- Cucchiai di diverse dimensioni, preferibilmente in plastica;
- Non indispensabile: reti da insetti aeree e reti pieghevoli con manico di lunghezza
variabile.
Nella fase di conservazione si utilizzano:
- Provette in plastica di varie dimensioni e Parafilm;
- Pipette monouso;
- Carta assorbente o cotone o sughero tritato;
- Contenitori di plastica di varie dimensioni, con coperchio chiuso o con coperchio
forato (Fig. 137);
- Contenitori scuri in plastica PE con chiusura ermetica;
- Retina a maglie molto strette ed elastici (tipo collant da donna).
La documentazione del campione prevede invece:
- Etichette adesive da mettere all’esterno dei contenitori usati per la raccolta;
- Etichette di cartoncino da inserire nei contenitori usati per la raccolta;
- Matita con mina di grafite (lapis) per scrivere sulle etichette (l’inchiostro andrebbe
via con l’alcol);
- I dati che devono essere inseriti sono:
o Luogo e data, eventuali note e ambito di prelievo (S= sopralluogo, A=
autopsia);
o Distretto corporeo campionato o luogo di campionamento riferito alla scena del
crimine;
o Nastro adesivo per protezione delle informazioni scritte a matita sulle etichette
esterne.
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Per quanto riguarda la raccolta di dati ambientali risulta fondamentale descrivere
correttamente:
Le condizioni ambientali generiche ed esterne come l’ora del ritrovamento del
cadavere e del sopralluogo, temperature ed umidità;
Le condizioni ambientali precise della zona di ritrovamento del cadavere ovvero se
si tratta di un luogo chiuso o aperto, la presenza e il tipo di vegetazione,
esposizione del corpo alla luce o all’ombra e molti altri fattori.
È necessario pertanto che l’attrezzatura richiesta per la documentazione ambientale sia
altamente specifica:
- Macchina fotografica e/o videocamera e scala di misure per fotografie;
- Termometro elettronico con sonda lunga, per poter registrare la temperatura interna
del cadavere e la temperatura della massa larvale;
- Data-logger temperatura e umidità e scheda entomologica.
Per ottenere una documentazione corretta della scena del crimine è fondamentale
fotografare prima l’intera scena, per poi procedere successivamente nei particolari che
riguardano gli insetti e il luogo del cadavere su cui si sono depositati. Quindi le fotografie
devono essere riprendere in modo dettagliato i siti di colonizzazione degli artropodi sia al
momento del ritrovamento e del sopralluogo sia quando il corpo viene spostato e messo in
camera fredda. Per evitare che i colori si alterino rispetto alla condizione reale è opportuno
non utilizzare il flash. Infine bisogna utilizzare una scala metrica vicino ad ogni fotografia.
Fig. 138: esempio di scala
metrica per campioni di insetti.
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Nei casi di ambienti interni:
Bisogna procedere all’osservazione del pavimento, degli angoli ed eventualmente
sotto i tappeti; con molta probabilità si troveranno già delle larve e soprattutto delle
pupe.
Il passaggio successivo consiste nel prelevarne il maggior numero possibile per
disporre di un numero maggiore di elementi da analizzare. Alcune larve e pupe
vengono messe sotto alcool al 70% mentre altre all’interno di un boccale
contenente della carta umida.
Guardando verso le finestre, si potranno osservare delle mosche che volano verso il
vetro ed altre già morte; anche quelle devono essere prelevate.
Infine, se il cadavere si trova nello stesso luogo da un tempo abbastanza
prolungato, si potranno trovare dei coleotteri e delle larve le quali, una volta
prelevate, dovranno essere poste in un boccale di vetro.
Nei casi di ambienti esterni:
Le procedure sono le medesime di ambienti chiusi ma subentra la difficoltà di
catturare le mosche.
In ambienti esterni è molto probabile trovare coleotteri, i quali però preferiscono
l’oscurità ed al minimo movimento scompaiono sotto il terreno. Occorre pertanto
del tempo da utilizzare per l’osservazione.
Nel momento in cui il cadavere viene rimosso, si vedranno uscire dalla terra alcuni
insetti; è in questo momento che devono essere catturati.
Infine, dai luoghi in cui era posizionato il corpo, bisogna raccogliere una certa
quantità di terra, muschio e foglie, fino ad una profondità di 10-15 cm.
Per quanta riguarda la raccolta, questa si differenzia a seconda dello stadio di vita
dell’insetto:
Nel caso delle uova esse vengono principalmente utilizzati pennellini, spatole e
pinzette;
Le larve vengono prelevate tramite l’ausilio di pinzette o cucchiai;
Le pupe sono delle strutture chitinizzate e quindi più resistenti delle uova ma
possiedono comunque delle strutture esterne che, se rovinate, non potranno
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permetterne la determinazione. Anche in questo caso devono pertanto essere
utilizzati cucchiai e pinzette.
Gli adulti devono essere raccolti con estrema delicatezza poiché le venature alari, il
numero di setole ed altri parametri fanno la differenza nella determinazione della
specie. Nel caso delle mosche morte si procede tramite cucchiai mentre nel caso di
mosche vive la situazione risulta più complessa.
È stata infatti elaborata una tecnica passiva per il raccoglimento di esemplari di insetti
vivi contaminanti la scena del delitto la quale consiste nell’utilizzare “trappole alla colla”
in cui è presente una sostanza adesiva che si asciuga molto lentamente.
Fig. 139: Trappola utilizzata per
la cattura delle mosche.
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13. Strumenti e procedure per la realizzazione di scavi archeologici
sulla scena del crimine
Il luogo dello scavo in ambito forense rappresenta una scena del crimine, quindi la
prima operazione da eseguire è la delimitazione dell’area d’indagine, dopodiché si potrà
procedere alle prime operazioni di documentazione, necessarie per raccogliere i dati
iniziali utili all’analisi della scena. Tutti gli elementi che potrebbero risultare probatori con
il procedere delle indagini devono essere numerati, descritti e fotografati 34.
Prima di iniziare lo scavo vero e proprio, si devono asportare i primi 10 cm di
terreno in modo da evidenziare i margini di una fossa. Quando si scava un fossa si produce
una buca, il cui margine si chiama taglio. Il riempimento di una buca è formato dal terreno
che originariamente si trovava già lì; il margine della buca non è altro che la linea che
demarca il limite tra il riempimento e il terreno circostante indenne. Tale riempimento di
solito ha una consistenza ed un colore diversi, anche a distanza di anni (in ambito
archeologico si nota per lo scavo di pozzi, sepolture, ecc.)35 .
13.1 Procedimento di scavo
Lo scavo stratigrafico di resti recenti ha principalmente tre scopi: delineare la
stratificazione del sito, la preservazione del contesto senza alterare i reperti in situ o
provocare lesioni ai reperti, stabilire le relazioni tra i vari materiali recuperati 36.
Lo scavo deve avvenire strato per strato, rimuovendo il terreno tramite gli strumenti
più adatti (come la cazzuola) senza andare troppo in profondità, ma facendo dei tagli di
pochi centimetri orizzontalmente. Si deve prestare attenzione ai cambiamenti di colore,
consistenza e tipi di inclusioni del terreno; questi indicano un cambiamento di US che va
registrata, fotografata e quotata37.
34 cfr M. Borrini, Archeologia forense – Metodo e tecniche per il recupero dei resti umani: compendio per l’investigazione scientifica, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2007. 35 cfr C. Cattaneo, M. Grandi, Antropologia e Odontologia forense – Guida allo studio dei resti umani, Monduzzi Editore, Bologna 2004. 36 Ibidem 37 cfr F. Mallegni (a cura di), Memorie dal sottosuolo e dintorni – Metodologie per un “recupero e trattamenti adeguati” dei resti umani erratici e da sepolture, Edizioni Plus, Pisa University Press, Pisa 2005.
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Una volta messo alla luce il reperto osseo, si utilizzano strumenti più piccoli, quali
bisturi e pennelli.
Tutte le fasi vanno registrate su una griglia che permetta il corretto posizionamento
dei singoli oggetti. Finita la documentazione, i reperti possono essere rimossi e riposti in
contenitori, ognuno con l’indicazione dell’US di provenienza e un numero identificativo; è
utile continuare lo scavo anche al di sotto del corpo ritrovato per alcuni centimetri per
recuperare così oggetti che nel tempo possono essere sprofondati nel terreno.
Un’operazione volta ad un ulteriore recupero di oggetti, ossa di piccole dimensioni
o denti è la setacciatura del terreno asportato durante lo scavo.
Uno scavo eseguito secondo i principi dell’archeologia forense permette di ottenere
una documentazione dettagliata delle associazioni in verticale ed in orizzontale dei resti
umani rispetto al luogo di deposizione (caratteristiche della fossa e posizione del cadavere
e di eventuali oggetti contenuti nella sepoltura); il recupero di tutti gli elementi ossei e
dentari attraverso una corretta esposizione dello scheletro ed una setacciatura accurata del
terreno; una ricostruzione precisa delle dimensioni e delle sequenze di scavo della fossa;
l’assenza di danni da scavo prodotte dall’azione di strumenti inappropriati 38.
13.2 Attrezzature
Sul luogo dello scavo si devono possedere le attrezzature specifiche e necessarie.
Per lo scavo gli strumenti principali sono:
- la trowel (cazzuola);
- il bisturi (serve per evidenziare con precisione i reperti);
- pennelli di varie dimensioni;
- badili, picconi, vanghe, palette (di plastica, come quelle usate per la spazzatura);
- secchielli per la racconta del terreno;
- sonde per il terreno (T-bar);
- carotatori;
- metal detector;
- aspiratore;
38 cfr C. Cattaneo, M. Grandi, Antropologia e Odontologia forense – Guida allo studio dei resti umani, Monduzzi Editore, Bologna 2004.
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- teli di plastica;
- bandierine segnaletiche.
Per il recupero dei reperti sono utili:
- guanti in lattice, mascherine, sacchetti di plastica di varie dimensioni;
- Consolidanti;
- contenitori rigidi per il trasporto dei reperti.
Per la fase di repertazione e documentazione si utilizzano strumenti come:
- macchina fotografica (con flash e digitale), stazione totale;
- sacchetti a chiusura stagna di diverse dimensioni;
- provette, pennarelli indelebili;
- Pinzette, forbici ed etichette adesive.
13.3 Documentazione
Per ogni scavo archeologico deve essere redatto il diario di scavo, dove vengono
annotate tutte le osservazioni e i dati della giornata (data, nomi degli operatori, orario di
inizio e fine dello scavo, ecc.).
Inoltre vengono compilate delle schede per ogni US e per lo studio della sepoltura.
La scheda relativa allo scheletro deve riportare tutte le osservazioni possibili come la
posizione dei vari distretti, il tipo di sepoltura (primaria, secondaria), lo stato di
conservazione, orientamento.
Deve esistere anche una documentazione fotografica adeguata; ogni fotografia deve
contenere una lavagnetta con la sigla del sito, l’US e il numero della tomba, la freccia del
nord e una palina divisa in segmenti bianchi e neri di 10 cm allineata con lo scheletro.
Tutte le fotografie devono essere scattate dall’alto e devono essere zenitali per non creare
distorsioni dell’immagine.
Si devono anche effettuare disegni dei reperti scheletrici, di solito in scala 1:10,
1:15, così da permettere la distinzione della posizione delle varie parti scheletriche 39.
39 cfr F. Mallegni (a cura di), Memorie dal sottosuolo e dintorni – Metodologie per un “recupero e trattamenti adeguati” dei resti umani erratici e da sepolture, Edizioni Plus, Pisa University Press, Pisa 2005.
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14. Ringraziamenti
Ringrazio tutti gli operatori del reparto di Polizia Scientifica della Questura di
Pistoia che mi hanno permesso di poter accedere fisicamente all’interno dei loro laboratori
di Criminalistica al fine di realizzare il presente Project Work ed, in particolare, ringrazio
la Dott.ssa Linda Pagnini che, con la sua grande disponibilità e con il suo entusiasmo, mi
ha permesso di poter fotografare strumenti in dotazione unicamente alla “scientifica” e di
usufruire di materiali e documenti necessari per la creazione di questa tesi.
Fig. 140
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