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Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles STRUMENTI E PROCEDURE PER LA LOCALIZZAZIONE E IL REPERTAMENTO DELLE TRACCE SULLA SCENA DEL CRIMINE E SUCCESSIVE TECNICHE ED ANALISI DI LABORATORIO Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche Relatore: Dott.ssa Linda Pagnini Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison Tesista Specializzando: Dott.ssa Margherita Guerzoni Anno di corso: Secondo Modena, 1 Settembre 2009 Anno Accademico 2008 - 2009

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Istituto MEME

associato a

Université Européenne

Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

STRUMENTI E PROCEDURE PER LA LOCALIZZAZIONE E IL

REPERTAMENTO DELLE TRACCE SULLA SCENA DEL CRIMINE E

SUCCESSIVE TECNICHE ED ANALISI DI LABORATORIO

Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche

Relatore: Dott.ssa Linda Pagnini

Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison

Tesista Specializzando: Dott.ssa Margherita Guerzoni

Anno di corso: Secondo

Modena, 1 Settembre 2009

Anno Accademico 2008 - 2009

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Indice dei contenuti

Indice dei contenuti

1. Introduzione…………………………………………………………………6

1.1 Project Work……………………………………………………………..8

2. Attrezzature mobili per indagini tecniche di P.G…………………………...9

3. Strumenti e procedure……………………………………………………...17

3.1 Delimitazioni e strumenti per l’isolamento della scena del crimine…17

3.2 Analisi della scena del crimine e rilievi tecnici: il Sopralluogo……...18

3.2.1 Rilievi Planimetrici……………………………………………………19

3.2.2 Rilievi descrittivi………………………………………………………19

3.2.3 Rilievi Fotografici…………………………………………………….21

3.2.4 Rilievi Dattiloscopici………………………………………………….21

3.3 Il segnalamento della persona e i relativi apparati tecnici…………...22

3.3.1 Segnalamento descrittivo……………………………………………..22

3.3.2 Segnalamento fotografico…………………………………………….23

3.3.3 Segnalamento dattiloscopico…………………………………………25

3.4 Fotografia della scena del crimine……………………………………25

4. Organizzazione dei laboratori di Polizia Scientifica………………………27

4.1 Le strutture centrali della scientifica…………………………………..27

4.1.1 I laboratori fotografici……………………………………………...27

4.1.1.a Le attrezzature tecniche………………………………………………….28

4.1.1.b Tecniche fotografiche speciali…………………………………………...30

4.1.2 Laboratorio di videoregistrazione…………………………………..31

4.1.3 Sezione identità giudiziaria…………………………………………32

4.1.4 Sezione indagini grafiche…………………………………………...32

4.1.5 Sezione Indagine sulle impronte latenti……………………………33

4.1.6 Sezione identità preventiva………………………………………….33

4.1.7 Sezione indagini sugli stupefacenti…………………………………33

4.1.8 Sezione indagini sulle cause degli incendi…………………………33

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4.1.9 Sezione indagini balistiche………………………………………….33

4.1.10 Sezione indagini sugli esplosivi…………………………………...33

4.1.11 Sezione indagini sui residui dello sparo…………………………..33

4.1.12 Sezione indagini sui terreni, sulle polveri e sui vetri……………..34

4.1.13 Sezione indagini sulle pitture, sulle vernici e sugli inchiostri……34

4.1.14 Sezione indagini sulle fibre, sui marchi e sulle tracce da utensile.34

4.1.15 Sezione indagini sulle banconote e sui documenti contraffatti…..34

4.1.16 Sezione indagini sul suono e sulla voce…………………………...34

4.1.17 Sezione indagini medico legali…………………………………….34

4.1.18 Sezioni indagini biologiche………………………………………..34

5. Individuare e repertare le tracce…………………………………………...35

5.1 Protezioni individuali………………………………………………….38

5.1.1 Kit per la protezione individuale………………………………………38

5.2 Le fonti di illuminazione sulla scena del crimine…………………….40

5.3 Equipaggiamento di base necessario al reperta mento……………….41

6. Il repertamento di tracce biologiche per la ricerca del DNA……………...42

6.1 Diagnosi effettuabili sulle tracce ematiche…………………………...44

6.1.1 Diagnosi generica……………………………………………………..44

6.1.2 Diagnosi specifica o di specie………………………………………...44

6.1.3 Diagnosi di gruppo e individuale……………………………………..45

6.1.4 Diagnosi regionale……………………………………………………45

6.1.5 Diagnosi cronologica…………………………………………………46

6.2 Studio della conformazione morfologica delle macchie di sangue…..46

6.3 Test preliminari per verificare la presenza di sangue sulla scena del

crimine e ulteriori analisi di laboratorio……………………………...48

6.4 Repertamento delle tracce ematiche…………………………………..51

6.5 Altre tracce biologiche…………………………………………………52

6.5.1 Saliva………………………………………………………………….52

6.5.2 Sudore…………………………………………………………………53

6.5.3 Urina…………………………………………………………………..54

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6.5.4 Muco…………………………………………………………………..55

6.5.4.a Muco nasale…………………………………………………..56

6.5.4.b Muco cervicale………………………………………………..56

6.5.5 Placenta……………………………………………………………….57

6.5.6 Liquido seminale……………………………………………………...57

6.5.7 Peli e capelli…………………………………………………………...60

7. Le impronte digitali………………………………………………………..63

7.1 La Pratica: le impronte digitali sulla scena del crimine……………...68

7.2 Il sistema A.F.I.S………………………………………………………81

7.3 Cenni sulle impronte palmari e plantari……………………………...83

8. Tracce di polvere da sparo e indagini balistiche…………………………..84

8.1 Kit per il rilevamento delle particelle di polvere da sparo…………….85

8.2 STUB…………………………………………………………………...86

8.3 La balistica generale…………………………………………………..88

8.4 La balistica terminale………………………………………………….89

8.5 La balistica identificativa……………………………………………...91

8.6 Il microscopio comparatore…………………………………………...91

8.7 La banche dati…………………………………………………………92

8.7.1 DRUGFIRE…………………………………………………………...92

8.7.2 Il sistema IBIS………………………………………………………...93

8.7.3 GUNSTORE…………………………………………………………..93

9. Corredo speciale per sostanze stupefacenti: strumenti ed analisi di

laboratorio………………………………………………………………….94

9.1 “Corredo speciale droga” sulla scena del crimine……………………94

9.2 Analisi chimiche, strumenti e procedure di laboratorio per la ricerca di

stupefacenti ed altre sostanze tossiche………………………………...96

9.2.1 I test cromatici………………………………………………………...99

9.2.2 La spettroscopia U.V………………………………………………….99

9.2.3 La cromatografia su strato sottile…………………………………...100

9.2.4 Toxi-lab……………………………………………………………...100

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9.2.5 La gascromatografia………………………………………………...102

10. Repertare le impronte di scarpa…………………………………………..103

11. Il repertamento di altre tracce non biologiche…………………………...105

12. Il repertamento entomologico…………………………………………….106

13. Strumenti e procedure per la realizzazione di scavi archeologici sulla scena

del crimine………………………………………………………………...112

13.1 Procedimento di scavo…………………………………………………...112

13.2 Attrezzature…………………………………………………………………113

13.3 Documentazione……………………………………………………………114

14. Ringraziamenti……………………………………………………………115

15. Bibliografia………………………………………………………………..116

16. Sitografia………………………………………………………………….117

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1. Introduzione

All’arrivo sul teatro di un crimine alcune azioni di tipo organizzativo dell’area

interessata al comportamento criminale sono alla base della fase di ricerca delle tracce e di

informazioni e altrettanto fondamentali per aumentare le possibilità di successo

investigativo.

Le azioni intraprese durante il sopralluogo sono di cruciale importanza nella risoluzione

del caso; infatti, una approfondita investigazione iniziale assicura che le prove fisiche

potenziali non siano contaminate e rovinate oppure che potenziali testimoni siano

trascurati. Le forze di polizia hanno così sviluppato dei programmi per “processare” la

scena del crimine e per stabilire il livello di addestramento e gli strumenti che devono

essere disponibili.

Considerando che ogni caso è potenzialmente unico, alcune azioni di preservazione e

repertamento possono essere decise sul momento in base al caso che si presenta e l’ordine

attraverso cui le azioni dovrebbero essere eseguite potrebbe variare in base alla natura della

scena criminis in esame.

Gli operatori specializzati nel ricercare tracce sul luogo di un reato devono

possedere una idonea preparazione professionale al passo con le continue innovazioni delle

Scienze Forensi e devono avere in dotazione strumentazioni adatte alla circostanza e tenute

in perfetta efficienza.

Per traccia fisica si intende qualsiasi tipo di oggetto che è in grado di stabilire che un

crimine è stato commesso o che può fornire un collegamento tra un crimine e la vittima o

tra un crimine e l’autore. Per fare ciò occorre una conoscenza completa di tutte le tecniche

di laboratorio che si possono utilizzare comprese le possibilità ed i limiti di tali tecniche.

Se un investigatore non è in grado di riconoscere le tracce fisiche o non è in grado di

raccogliere in maniera adeguata, preservarle e trasportarle in laboratorio, nemmeno la più

sofisticata strumentazione di laboratorio o la migliore competenza tecnica potranno salvare

la situazione. Sono necessari pertanto una serie di passaggi fondamentali utili a preservare

e “congelare” la scena del crimine al fine di effettuare successivamente una corretta

repertazione e conservazione delle tracce:

1. Delimitazione: Mettere al sicuro e isolare la scena del crimine, dare supporto al

personale sanitario, bloccare eventuali sospetti e tenere fuori dalla scena altri operatori

di polizia non autorizzati, il pubblico e naturalmente i media;

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2. Video-riprendere e fotografare la scena del crimine nel suo stato originale,

documentando la condizione e delineando la localizzazione delle tracce fisiche.

3. Creare successivamente un disegno che riporti le dimensioni dell’area e degli oggetti

presenti sulla scena. Prendere appunti su tutto ciò che si nota e sulle possibili relazioni

tra gli elementi riscontarti;

4. Pianificazione della ricerca: occorre effettuare una ricerca approfondita e sistematica

documentando il personale intervenuto e l’equipaggiamento utilizzato, individuare il

tipo di crimine e la natura delle prove.

5. Indicare il percorso delle tracce e le persone che le hanno avute in consegna e rispettare

le procedure standardizzate per la compilazione dei documenti che accompagnano le

tracce.

6. Garantire il controllo della scena, della vittima e, se presente, di un eventuale

sospettato;

7. Rispettare le procedure di consegna al personale di laboratorio e rispettare i protocolli;

8. Attuare cautele e protezione nei confronti di tutto ciò che può rappresentare un rischio

per la salute degli operatori (agenti patogeni e sostanze tossiche utilizzate per

evidenziare le tracce).

9. Per quanto riguarda la traccia fisica bisogna evitare modificazioni, contaminazioni,

rotture, evaporazioni, graffi o perdite di materiale nei reperti. Occorre mantenere

l’integrità e, quando possibile, prelevare tutto l’oggetto che contiene la traccia

mantenendolo nelle stesse condizioni in cui si trovava sulla scena del crimine. Le tracce,

infine, devono essere conservare separatamente. Per fare ciò gli operatori dovrebbero

adottare cautele quali l’utilizzo di guanti monouso (per evitare di toccare direttamente

gli elementi da analizzare) ma anche evitare di tossire, bere, mangiare, fumare o fare

qualsiasi altra cosa che potrebbe alterarle. Una volta prelevate, la tracce devono essere

mantenute all’asciutto e a temperatura ambiente e successivamente riposte in buste di

carta e poi sigillate, etichettate e trasportate in modo da assicurarne una immediata

identificazione1.

1 M. Strano, Manuale di Investigazione Criminale – Criminal Investigation Handbook Edizione Italiana, Nuovo Studio Tecna, Roma 2008.

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1.1 Project Work

 

Fig. 1

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

Il presente testo è stato realizzato in collaborazione con il reparto di POLIZIA

SCIENTIFICA della Questura di Pistoia.

Tutte le immagini presenti nelle successive pagine riguardano fotografie direttamente

scattate a strumenti e attrezzature presenti nei laboratori della “Scientifica” di Pistoia (ad

eccezione di quelle provenienti dal catalogo SIRCHIE 2, rigorosamente documentate).

2 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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2. Attrezzature mobili per indagini tecniche di P.G.

L’operatore di polizia scientifica che interviene sul luogo del reato deve disporre di

attrezzature portatili necessarie per effettuare le indagini tecniche e i rilievi richiesti come

quelli planimetrici, descrittivi, fotografici, fotocinematografici e di registrazione,

dattiloscopici, plastici (fissazione e calchi di impronte da scarpa, pneumatici ecc.), ma

anche analisi di sostanze biologiche e sostanze stupefacenti.

Il corredo di pronto intervento è costituito da funzionali contenitori le cui dimensioni e

forma sono assimilabili a quelle di normali valigie da viaggio: cm 55 x 45 x 18 (fig. 2, 3,

4). Si tratta di cassette rigide e studiate appositamente per ospitare il materiale occorrente

all’esecuzione dei rilievi tecnici sul luogo del reato, secondo un preciso ordine e senza

spreco di spazio.3

Fig. 2 Fig. 3

Fig. 4

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

3 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.

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La valigetta di pronto intervento, denominata “corredo per il sopralluogo”, contiene gli

strumenti necessari per effettuare:

1) L’esaltazione e l’asportazione di impronte digitali latenti tramite:

1. Torcia elettrica;

2. Serie di pennelli di vario tipo (Fig. 5, 6, 7);

3. Lente d’ingrandimento (Fig. 10);

4. Recipienti diversi;

5. Adesivi (Fig. 8);

6. Lente contafili;

7. Forbici (Fig. 9);

8. Pinzette metalliche;

9. Supporti in plastica di vario colore;

10. Pipetta di vetro per l’esaltazione delle impronte latenti a mezzo di vapori di

iodio;

11. Lana di vetro;

12. Capsula di porcellana.

Fig. 5 Fig. 6

Fig. 7 Fig. 8

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Fig. 9 Fig. 10

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

2) L’assunzione di impronte digitali e palmari per “esclusione” o per segnalamento di

persone sospettate o incriminate tramite:

1. Inchiostro tipografico;

2. Piastra metallica o rullo di gomma (Fig. 11, 12);

3. Cartellini segnaletici;

4. Foglietti dattiloscopici (Fig. 15);

5. Cartellini per impronte palmari;

6. Supporti;

7. Reattivo Inkless e relativi cartellini speciali;

8. Benzina;

9. Sapone e asciugamani sintetici.

Fig. 11 Fig. 12

Fig. 13 Fig. 14

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Fig. 15

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

3) L’esecuzione di rilievo in caso di rinvenimenti di cadaveri tramite:

1. Guanti di gomma;

2. Specchietto da dentista;

3. Termometro per la misurazione della temperatura (Fig. 16, 17).

Fig. 16 Fig. 17

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

4) L’assunzione di impronte ai cadaveri per la loro identificazione tramite:

1. Liquido per restaurare l’elasticità dei polpastrelli (Fig. 18);

2. Paletta metallica (Fig. 19);

3. Siringa ipodermica con aghi (Fig. 21);

4. Piccolo rullo di gomma (Fig. 22);

5. Piccola spatola di legno;

6. Cotone e alcol.

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Fig. 18 Fig.19 Fig.20

Fig. 21 Fig. 22

Fig. 23

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

5) Il prelievo e la custodia dei reperti tramite:

1. Guanti di gomma (Fig. 24);

2. Sacchetti di nailon di varie dimensioni;

3. Recipienti cilindrici di varie dimensioni;

4. Varie provette di vetro con relativi turaccioli (Fig. 25);

5. Cilindro di vetro graduato;

6. Cartoncini e spaghi;

7. Raschietti.

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Fig. 24 Fig. 25

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

6) l’esecuzione di rilievi descrittivi tramite:

1. Fogli centimetrati (Fig. 26);

2. Ripiano di legno per rilievi planimetrici (Fig. 27);

3. Flessometro;

4. Calibro;

5. Rotella metrica da 10 m (Fig. 29);

6. Squadra e notes (Fig. 30).

Fig. 26 Fig. 27

Fig. 28

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Fig. 29 Fig. 30

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

7) L’esecuzione di calchi su effrazioni:

1. Mastice da dentista e vasellina.

8) L’impiego della cosiddetta attrezzatura “trappola” tra cui:

1. Inchiostro visibile solo alla luce U.V., particolarmente necessario per

contrassegnare banconote, documenti ed altro;

2. Materiale fluorescente come matite, polveri e paste (fig. 31);

3. Polveri macchianti che, al contato con la pelle umana assumono una colorazione

scurissima, quasi indelebile;

4. Lampada e raggi U.V., da usare in combinazione con le varie polveri e inchiostri

(Fig. 32).

Fig. 31 Fig. 32

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

9) Strumenti necessari per completare l’esecuzione dei rilievi fotografici tra cui:

1. Gessetti e matite grasse di vario colore per circoscrivere posizioni ed oggetti vari.

Fig. 33 Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

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10) Controllare se impianti, macchinari ed elettrodomestici siano attraversati da corrente

elettrica tramite lo “strumento cercafase”.

11) Il materiale occorrente per l’esecuzione di calchi su impronte da scarpa e da

pneumatici su terreno, su neve, su sabbia e su altri substrati tramite l’utilizzo di:

1. Strisce ed angoli di rame per la delimitazione delle impronte;

2. Pinzetta metallica;

3. Elemento base per l’esecuzione del calco;

4. Recipiente in polietilene per contenere l’impasto;

5. Scatole di idroplast;

6. Setaccio metallico;

7. Nebulizzatore;

8. Ciotole in gomma;

9. Varie spatole per distribuire l’impasto;

10. Sessolina per mescolare;

11. Rete metallica per rafforzare il calco;

12. Cesoia e spruzzatore;

13. Bombola con “fissatore di terreno” da usarsi su superfici friabili;

14. Flaconi con liquido speciale per rallentare o accelerare la solidificazione

dell’impasto;

15. Misurino graduato e matite;

16. Compasso metallico e flessometro per la misurazione delle impronte.

12) Compasso goniometrico per la misurazione di impronte o di orme ai fini della

dinamica del passo e dell’orientamento sulla statura e sul peso dell’individuo

eventualmente da ricercare.

13) Tamponi per il prelievo di residui da sparo e materiale necessario per l’esecuzione del

“guanto di paraffina” tra cui:

1. Paraffina pura;

2. Ciotola, contagocce, pennellessa e garza;

3. Flacone di reagente per le tracce di nitrati.

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3. Strumenti e procedure

3.1 Delimitazioni: strumenti per l’isolamento della scena del crimine

Gli agenti delle pattuglie volanti, che per primi giungono sul luogo del reato, devono

provvedere ad isolare e sorvegliare la località per impedire eventuali alterazioni esterne che

potrebbero inquinare la scena del delitto. Il modo più semplice ed efficace per circoscrivere

la zona interessata, prevede l’utilizzo della banda bianca e rossa (Fig. 34, 35). Ma per un

corretto isolamento sono stati previsti tre livelli di contenimento della “scena criminis”:

1. Il contenimento di primo livello prevede l’utilizzo di un nastro giallo che circonda

tutti i punti in cui potrebbero trovarsi delle prove.

2. Il contenimento di secondo livello prevede il posizionamento di una seconda

barriera di nastro delimitatore, al fine di circondare la zona di primo livello; in

questo modo si crea una sorta di “area tampone” necessaria agli agenti, periti

tecnici ed investigatori per sistemare l’equipaggiamento da utilizzare e poter

discutere senza essere disturbati da estranei e dalla stampa.

3. Il contenimento di terzo livello corrisponde invece ad una delimitazione di tipo

perimetrale, in cui possono accedere personale e veicoli di servizio. Si crea intorno

al nastro di secondo livello tramite barricate e macchine della polizia. Lo scopo è

quello di impedire che altri individui possano avvicinarsi alla scena del delitto,

rendendola così ulteriormente protetta.

Nella maggior parte dei casi, gli investigatori che intervengono sulla scena del crimine

trovano l’area contaminata dalla presenza di passanti o da famigliari della vittima i quali,

nel tentativo di rendersi utili, possono distruggere delle tracce di importanza cruciale.

Questo è il motivo per cui risulta di fondamentale importanza delimitare il perimetro della

scena del crimine con un nastro di colore ben visibile che sia rapido e facile da stendere.

Un metodo efficace per utilizzare il nastro consiste nell’avvolgerlo una volta intorno a

diversi oggetti caratterizzati da una posizione statica, duratura e posti in prossimità del

perimetro che si vuole metter in sicurezza.

Fig. 34 Fig. 35

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

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3.2 Analisi della scena del crimine e rilievi tecnici: il sopralluogo

Al fine di individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione

dell’evento e/o alla identificazione del reo, il sopralluogo ha come scopo la identificazione

dell’ambiente dove si presume si sia verificato il reato, la determinazione del suo

contenuto, ma anche la ricerca di ogni prova di reato e delle tracce di chi può averlo

commesso. I due compiti sono intimamente connessi ma ben separati e distinti:

- prima si procede osservando e fissando le condizioni del luogo senza nulla spostare;

- poi, procedendo ai necessari spostamenti per osservare e fissare ciò che non era

altrimenti visibile.

L’osservazione e la descrizione sono due momenti consecutivi delle operazioni

tecniche del sopralluogo aventi come fine quello della compilazione del cosiddetto

“ritratto parlato del sopralluogo” che costituirà parte essenziale del rapporto. Per cui è

stato sviluppato un metodo rigoroso e universalmente accettato necessario per effettuare

una completa osservazione della scena del crimine. La polizia scientifica deve procedere

con una prima osservazione da eseguire nel seguente ordine:

dal generale al particolare;

da destra verso sinistra;

dal basso verso l’alto.

Di ogni elemento osservato occorre rilevare la sede, la posizione, la direzione, la

forma, la dimensione, la materia, il colore, l’odore ed ogni altra qualità. Occorre, inoltre,

dopo aver dato uno sguardo d’insieme, esaminare in tutte le parti l’oggetto

dell’osservazione procedendo con un ordine topografico. È importante fissare la posizione

di chi descrive perché ad essa vanno riferite tutte le indicazioni di destra, sinistra, anteriore

e posteriore. Di ciascun ambiente gli operatori dovranno esaminare prima i caratteri

generali poi quelli particolari come il pavimento, le pareti (sempre da destra a sinistra, dal

basso verso l’alto) ed il soffitto; quindi i mobili e, infine, tutto ciò che di anormale vi si

trova eventualmente (come impronte, soprammobili rotti ecc..). Anche questi ultimi

elementi devono essere osservati prima nei loro caratteri generali e poi nei caratteri

particolari che costituiscono le singole parti e nell’ordine seguente:

Anteriore laterale destra e sinistra;

Posteriore e interna.

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Se sono presenti degli elementi mobili bisogna stabilire e fissare come l’oggetto si trova

rispetto all’osservatore.

A questo punto sarà possibile effettuare i rilievi tecnici distinti in:

Planimetrici;

Descrittivi;

Fotografici;

Dattiloscopici.

3.2.1 Rilievi planimetrici

Sono costituiti da disegni in scala e devono essere eseguiti sul posto in tutte le loro

parti come se questi dovessero servire da soli a documentare graficamente ciò che sarà

descritto e fotografato. Il rilievo deve essere accuratamente orientato, in base ai punti

cardinali, deve contenere l’esatta scala di riduzioni, l’indicazione del luogo, della data,

dell’ora dell’esecuzione, nonché il nome dell’operatore che la effettua. Prima però di

iniziare i rilievi veri e propri, l’operatore deve stabilire i limiti del luogo da rappresentare

ed eseguirvi un’accurata ricognizione. La scala corrisponde al rapporto tra le lunghezze

della riproduzione planimetrica e le lunghezze reali. Nel caso in cui il furto sia avvenuto

principalmente all’interno di una stanza e pertanto in un luogo chiuso, allora si potrà

utilizzare un metodo di rilievo utile per rappresentare, sullo stesso piano, anche le pareti ed

il soffitto.

3.2.2 Rilievi descrittivi

Descrivere significa “rilevare i caratteri che presenta ciò che forma oggetto di

osservazione” pertanto, da questo lavoro di ricerca, gli operatori giunti sul luogo del reato

(del furto, in questo caso), dovranno effettuare un’accurata descrizione nell’apposito

verbale, il quale deve contenere:

a) La data e l’ora d’inizio e ultimazione del sopralluogo;

b) Le generalità e il grado dell’ufficiale di P.G operante e dei suoi collaboratori;

c) Indicazione dell’ufficio dal quale dipende l’ufficiale operante;

d) Indicazione dell’autorità che ha disposto le indagini;

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e) Indicazione del luogo in cui si effettua il sopralluogo;

f) Generalità di chi ha denunciato il fatto.

Di ogni elemento deve essere data un’accurata descrizione, senza nulla omettere, anche

se taluni particolari sembrano irrilevanti per il fatto. Il tutto deve essere eseguito senza

alterare minimamente l’ambiente. Successivamente si procederà alla repertazione dei corpi

di reato e di tutti quegli elementi utili per ulteriori ricerche ed esami di laboratorio,

dandone notizia nel verbale.

I caratteri che più frequentemente vanno descritti sono:

Sede: serve per indicare la posizione di ambienti rispetto ad altri;

Posizione: specifica in quale modo è posto l’oggetto di osservazione;

Quantità;

Forma: si rileva richiamando la forma di qualche cosa nota;

Dimensioni;

Direzione: si rileva solo per gli ambienti di forma rettangolare indicando se l’asse

più lungo è parallelo o perpendicolare alla parete in cui si apre la porta d’ingresso;

Colore: si rileva indicando la specie di colore.

Per descrivere la posizione di più ambienti chiusi si comincia dalla scala di ingresso

indicando i nomi dei vari ambienti adiacenti, cominciando da quelli che sono a destra, poi

con quelli che sono di fronte, a sinistra e posteriormente. Se nei vari lati sono presenti

aperture, corridoi ecc. che immettono in altri ambienti, questi si descrivono, iniziando dalle

aperture, dai corridoi ed altro che si trovano a destra e proseguendo secondo l’ordine

consueto.

Per descriver poi la posizione di più ambienti all’aperto, si comincia nominando

l’ambiente che si reputa maggiormente importante:

1) in rapporto all’ordine topografico di chi vi accede;

2) in rapporto al fatto per cui si interviene (per esempio furto o omicidio);

3) in rapporto alla notorietà dell’ambiente stesso.

La descrizione di parti di ambiente e quindi di un ambiente chiuso si effettua analizzato

gli elementi che solitamente lo costituiscono, ovvero:

Le quattro pareti;

Il pavimento;

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I quattro angoli;

Il soffitto;

Uno o più usci;

Uno o più finestre.

3.2.3 Rilievi fotografici

I rilievi fotografici vengono solitamente effettuati contemporaneamente a quelli

descrittivi, dei quali seguono lo stesso ordine, in modo da integrarli e dando dell’ambiente

una precisa e completa descrizione, sia del generale che del particolare. Soprattutto in casi

di ambienti particolarmente estesi, l’utilizzo della fotografia è diventato un insostituibile

aiuto. Il sopralluogo fotografico infatti, evita che il dettaglio si disperda e consente di

assicurare con sicurezza se un fatto sia o possa essere effettuato in un determinato modo.

3.2.4 Rilievi dattiloscopici

Dopo aver effettuato tutti le precedenti tipologie di rilievi, devono essere eseguiti anche

quelli dattiloscopici necessari per il recupero delle impronte papillari che potrebbero essere

state lasciate dal reo al momento del furto o nelle zone limitrofe necessarie per accedere ed

uscire dal luogo del reato. Per poterle rilevare vengono utilizzate una serie di sostanze e di

polveri le quali vengono sparse sulla zona di interesse tramite pennelli morbidi e di varie

dimensioni da parte di operatori specializzati e successivamente asportate per mezzo di

adesivi specifici.

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3.3 Il segnalamento della persona e i relativi apparati tecnici

Attualmente, i tipi di segnalamento dell’uomo di cui si serve la Polizia Italiana e che

risultano compendiati dal cartellino segnaletico sono:

Segnalamento descrittivo;

Segnalamento fotografico;

Segnalamento dattiloscopico.

3.3.1 Il segnalamento descrittivo

Tutte le persone (o cadaveri sconosciuti) che, trovandosi nelle condizioni previste dalla

legge, siano sottoposti a rilievi segnaletici, danno vita ad un particolare documento

denominato “cartellino segnaletico” (Fig. 36). Su di esso vengono riportati, in ordine, i

dati relativi :

- alle generalità;

- alla tecnica criminosa;

- al motivo del segnalamento;

- i connotati cromatici (come il colore della cute, dell’iride, di capelli, dei baffi, delle

sopracciglia e della barba);

- la fotografia fronte/profilo destro, ridotta ad 1/5 dall’originale;

- le impronte della mano sinistra (a partire da pollice, indice, medio, anulare e

mignolo);

- i connotati salienti relativi alla statura, corporatura, adiposità, viso, fronte,

sopracciglia, occhi, naso, orecchio e bocca;

- contrassegni propriamente detti come cicatrici, nei e tatuaggi;

- contrassegni sottoforma di imperfezioni fisiche ed anomalie della conformazione

(gigante, nano ecc.);

- l’ufficio segnalatore e la data del segnalamento;

- la firma della persona segnalata (con la paternità);

- infine, le impronte della mano destra a partire da pollice, indice, medio, anulare e

mignolo.

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Fig. 36 L’immagine mostra le modalità per la creazione del cartellino segnaletico 4

L’ufficio che provvede alla compilazione del cartellino segnaletico provvede anche

al compilamento del “foglietto dattiloscopico” riservato alla ripetizione delle impronte

delle 10 dita, assunte una per una separatamente, nonché alla loro assunzione simultanea;

si procede prima con la mano sinistra e poi con quella destra. Lo scopo del foglietto

dattiloscopico è quello di offrire un elemento di controllo e di eventuale integrazione.

Infine, entrambi i documenti vengono centralizzati dove, personale idoneo e specializzato,

provvede alla classificazione delle impronte.

3.3.2 Segnalamento fotografico

Negli ultimi decenni, basandosi sui principi su cui si fondava l’apparato “Gemelle

Ellero”, per cui le due immagini del fronte e del profilo devono essere riprese

simultaneamente, è stato realizzato l’apparecchio fotografico “A.P.S”, acronimo di

“Apparato per Segnalamento”; esso è costituito da un solo apparecchio fotografico che

raccoglie contemporaneamente il fronte e il profilo, affiancandoli sullo stesso fotogramma

del formato 24 x 36.

4 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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Ultimamente è stato realizzato un nuovo apparato di fotosegnaletica che consiste in

una versione più moderna e compatta dell’A.P.S. (Fig. 37, 38, 39). Esso esegue su un unico

fotogramma la fotografia in bianco e nero o a colori del fronte e del profilo utilizzando una

fotocamera 35 mm e gruppi ottici dotati di specchi e prisma che rinviano l’immagine

nell’obiettivo mentre il sistema di illuminazione è costituito da lampeggiatori e luce pilota.

In merito al segnalamento fotografico, recenti disposizioni riguardano l’estensione del

segnalamento tradizionale, ovvero della foto del volto fronte/profilo a 1/5 del naturale, alla

ripresa di tutta la persona su formato 13 x 18, ed alla proiezione, di dispositivi a colori su

schermo di grande formato.

Al fine di potenziare il sistema tradizionale è stato istituito anche il segnalamento

cinematografico, come vedremo nei paragrafi successivi.

Fig. 37 Fig. 38

Fig. 39 Fig. 40

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

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3.3.3 Segnalamento dattiloscopico

Per l’assunzione delle impronte digitali è stato realizzato, come sistema rapido e

preciso, un semplice “tavolo dattiloscopico” (Fig. 41) il quale si presenza come un comune

tavolino a piano rialzabile sul quale si trovano:

- un rullo inchiostratore (Fig. 42);

- una superficie rotante necessaria per l’utilizzo delle varie parti del foglietto

dattiloscopico durante l’assunzione delle impronte;

- un ripostiglio piuttosto ampio che consente la conservazione degli stampati inerenti

al servizio.

Fig.41 Fig.42

3.4 Fotografia della scena del crimine

Una volta giunto sulla scena del crimine, l’operatore deve essere in grado di scattare

fotografie in maniera professionale ad ogni elemento della scena del reato che potrebbe

risultare utile per l’indagine. Infatti, parallelamente al prelievo dei reperti e alla stesura di

un testo scritto di descrizione nonché di un disegno della “scena criminis”, viene eseguita

una accurata documentazione fotografica, possibilmente prima che qualsiasi personale,

anche autorizzato, possa accedervi per studi o prelievi. Le fotografie devono riguardare:

Elementi che vanno dal generale al particolare;

Panoramiche intere del luogo del delitto e panoramiche delle aree circostanti;

Ingresso e entrata del luogo, sia esso un edificio, un appartamento o un locale;

Vedute delle vie d’ingresso e fuga, folla, testimoni e presunto sospetto;

Il cadavere, se presente, ripreso da varie angolazioni e la sua relazione nei confronti

della scena del crimine. Abiti e scarpe del cadavere (anche le suole);

Lesioni e ferite di vario tipo e nelle diverse parti del corpo;

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Elementi come gocce di sangue, abiti strappati, capelli, peli, fibre e oggetti di vario

genere presenti sul e intorno al cadavere;

Possibili oggetti presenti sul luogo del reato;

Visualizzare la relazione tra gli oggetti e il loro ambiente;

Impronte digitali;

Se ci si trova in ambiente aperto, le fotografie devono essere in relazione a punti

fissi con riprese ad altezza d’occhio;

Se ci si trova in ambienti chiusi, le fotografie devono riferirsi a porte e finestre e

vari oggetti, oltre che al cadavere;

Se il corpo è stato spostato, scattare delle fotografie dello stesso in posizione

originale ricostruita;

Fotografie riguardanti l’area sottostante del cadavere in seguito alla sua rimozione;

Le varie tracce presenti al di sotto del cadavere.

Dopo che la scena è stata scattata così come è stata rinvenuta, si possono scattare una

seconda scala di fotografie con piccole alterazioni indispensabili, aggiungendo scale di

misurazione, rimuovendo oggetti che ostacolano la vista o effettuare ulteriori modifiche in

modo da rendere la scena più chiara.

Ogni oggetto ritenuto importante sulla “scena criminis” deve apparire in almeno tre foto:

- Visione panoramica;

- Foto a medio raggio;

- Foto ravvicinata.

Considerando che le misure e le distanze possono essere distorte da un a angolazione

sbagliata, occorre fare attenzione alle angolature della macchina fotografica; sarebbe

pertanto opportuno scattare la maggior parte delle foto in piedi e con la macchina a livello

dell’occhio poiché questa è l’altezza da cui le persone guardano le cose risultando più

semplice interpretare quello che si vede.

Nonostante la rappresentazione fotografica fornisca delle importanti fonti di

informazione, non garantisce tuttavia di poter risalire alle effettive dimensioni del luogo in

esame (come alterazioni delle forme geometriche dovute alla prospettiva), per cui, spesso,

vengono effettuate anche delle riprese digitali (filmati) che consentono una maggiore

visione d’insieme della zona del reato.

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4. Organizzazione dei laboratori di Polizia Scientifica

La Polizia Scientifica corrisponde a quella struttura specializzata della Polizia di Stato

che interviene sulla Scena del Crimine qualora siano richieste competenze nel campo delle

scienze biologiche, chimiche, fisiche, mediche ed altre.

4.1 Le strutture centrali della scientifica5

Le strutture centrali della Scientifica, sono articolate in una serie di laboratori nel

cui ambito opera personale specializzato. Le conoscenze scientifiche (chimiche, fisiche,

biologiche, mediche, psicologiche ecc..) vengono applicate alle indagini forensi. Per tali

attività vengono utilizzate strumentazioni tecnologiche altamente sofisticate e in continua

evoluzione.

4.1.1 I laboratori fotografici

Il laboratorio fotografico, in bianco e nero e a colori, si occupa della riproduzione

dei cartellini segnaletici e degli adesivi con le impronte digitali, nonché della

documentazione fotografica delle impronte latenti evidenziate con metodi fisici e chimici.

Il laboratorio Fotografia Speciale, sperimenta invece nuovi sistemi da impiegare per

l’identificazione sia a fini preventivi che giudiziari ed è specializzato nell’impiego di

particolari tecnologie strumentali che consentono di effettuare le riprese video in ogni

condizione di luce e di ambiente.

Fig.43 Fig.44 Fig.45

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

5 M. Strano M., Manuale di Criminologia Clinica, SEE – Firenze, 2003.

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4.1.1.a Le attrezzature tecniche

I laboratori fotografici dispongono:

- di una perfetta oscurabilità;

- di una adeguata areazione a mezzo di condizionatori i quali assicurano una

temperatura di 20°;

- di deumidificatori necessari per ridurre l’umidità;

- di rivestimenti “antipolvere” necessari per limitare le conseguenze dannose dei

depositi di pulviscolo;

- di impianti di erogazione idrica ed elettronica;

- ampio spazio per una funzionale disposizione delle apparecchiature necessarie alla

ripresa ed alla manipolazione di sviluppo di stampa.

Per quanto riguarda la ripresa, i laboratori bianco/nero dovrebbero essere dotati di:

- un apparecchio da riproduzioni “ REPRODATTILOSTAT”, utilizzato per

effettuare la riproduzione delle impronte papillari con la inversione diretta di posto;

- un riproduttore fotografico “REPRO”, per pellicola di formato 24 x 36, formato da

un piano di appoggio, da una colonna per lo scorrimento verticale della fotocamera

abbinata e di un parco lampade che assicura una illuminazione uniforme e priva di

riflessi;

- riduttore fotografico POLAROID “MP3”, da cui è possibile ottenere in pochi

secondi sia negativo che positivo;

- riduttore fotografico “DRY PHOTOCOPIER” della 3M, per copie fotostatiche;

- apparecchio da studio di formato maggiore; vengono principalmente impiegate

camere 13 x 18 cm e, pur non essendo automatiche, risultano di estrema utilità sia

per la semplicità di manovra, sia per la presenza del vetro smerigliato che consente

di osservare direttamente l’immagine prodotta dall’obiettivo. Attualmente, le

camere 13 x 18 sono corredate di accessori, sono ad ottica intercambiabile ed

utilizzano pellicole piane di vario formato; vengono impiegate soprattutto per

riprese interne.

Le manipolazioni di sviluppo e stampa si effettuano all’interno della “camera oscura”

nella quale sono installati:

- ingranditore LABORATOR, per negativi di vario formato al 13 x 18;

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- ingranditore “FOCOMAT”, per negativi di vario formato fino al 6 x 7, con messa a

fuoco automatica;

- bromografo per la stampa “a contatto” dei negativi;

- “banco umido” ovvero una vasca nella quale vengono appoggiate le bacinelle

contenenti le soluzioni per lo sviluppo, per l’arresto e per il fissaggio e lavaggio del

materiale sensibile, negativo e positivo;

- Un armadio essiccatore nel quale vengono fatte asciugare le pellicole;

- Una smaltatrice (a piastre o rotativa) necessaria sia per asciugare le copie sia per

fornire loro la idonea smaltatura;

- Lampade di sicurezza, orologi contasecondi ecc.

La tecnica di sviluppo e stampa del materiale fotografico a colori è particolarmente

complessa e critica e il laboratorio del colore deve essere in grado di provvedere alle

specifiche esigenze che la documentazione impone e con la massima accuratezza. Il

procedimento deve effettuarsi a temperatura controllata, calcolata e costante in modo tale

da impedire alterazioni nell’equilibrio cromatico del materiale, causate da variazioni di

appena un quarto di grado; inoltre, il lavoro si deve svolgere in completa oscurità e senza

possibilità di controllo o correzione. La resa cromatica obiettiva nella stampa si ottiene

attraverso una complessa scelta cromatica possibile tramite numerosi filtri che

conferiscono alla copia i giusti valori solo se opportunamente combinati.

Il minilab a colori è composto da due apparati:

- La sviluppatrice automatica per negativi;

- La stampatrice-sviluppatrice automatica per positivi.

Il sistema di sviluppo e stampa dei positivi si avvale di una stampatrice direttamente

collegata alla sviluppatrice della carta; le due apparecchiature sono simultaneamente

comandate dal computer attraverso una tastiera e assemblate insieme in un'unica struttura

di metallo che permette il passaggio automatico della carta fotografica impressionata dalla

stampante alla sviluppatrice.

Il ciclo completo del trattamento del sistema dura 4 minuti e mezzo a differenza del ciclo

completo della sviluppatrice che corrisponde a circa 15 minuti.

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Infine, per poter visualizzare l’immagine in positivo prima della stampa con lo

scopo di effettuare ingrandimenti di particolari, il sistema è dotato di monitor e telecamera.

4.1.1 b Tecniche fotografiche speciali

L’esplorazione e la documentazione fotografica sono di fondamentale importanza nelle

indagini e spesso la ricerca si indirizza anche a dettagli piccoli, a volte piccolissimi, non

visibili all’occhio umano ma che devono essere evidenziati e fissati.

Per ottenere tali risultati vengono usate tecniche fotografiche speciali capaci di fornire

la più dettagliata ed esauriente documentazione dalle comuni emulsioni sensibili o

mediante il normale impiego delle fonti di illuminazione. Si possono pertanto distinguere:

1. Macrofotografia: consiste nella ripresa fotografica dell’oggetto molto piccolo, al

fine di poterne osservare e documentare le caratteristiche che, altrimenti,

sfuggirebbero all’occhio umano;

2. Microfotografia: corrisponde alla possibilità di fotografare oggetti piccolissimi,

individuabili ed osservabili solo al microscopio;

3. Fotografia all’infrarosso: sfruttando le radiazioni elettromagnetiche invisibili (le

infrarosse, al disopra dei 700 millimicron, e quelle ultraviolette, al di sotto dei 400

millimicron) si possono ricercare corpi e sostanze invisibili per natura all’occhio

umano;

4. Fotografia all’ultravioletto: sono particolarmente indicate per evidenziare

alterazioni di documenti, cancellature con mezzi chimici, falsificazioni di dipinti,

monete cartacee ecc.;

5. Fotografia a luce radente: viene utilizzata quando occorre mettere in evidenza

l’avvenuta modificazione di un substrato a superficie più o meno piana, dovuta alla

sola azione meccanica e non a sovrapposizioni di colori o altro;

6. Fotografia per trasparenza: osservando per trasparenza (controluce) a livello di un

particolare assottigliamento si noterà una luce più forte e ciò è dovuto dal fatto che,

essendo diminuito lo spessore, in quella zona traspare una maggiore quantità di

luce;

7. Video spectral cpomparator – VSC: Si tratta di uno strumento usato per assicurare

l’assorbimento e la luminescenza agli infrarossi di documenti e di altri materiali

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sospetti, consentendo di individuare alterazioni e cancellature degli stessi. Le

diversità chimiche degli inchiostri (a seconda dei pigmenti, delle tinte e degli

additivi scelti dai fabbricanti) sono responsabili di differenze di luminescenza e di

assorbimento all’infrarosso tali da poter essere rilevate ed osservate tramite il VSC.

Tale strumento è costituito da una telecamera che garantisce una estrema sensibilità

e definizione nel visibile e nell’infrarosso con una gamma di lunghezza d’onda

compresa tra i 400 e i 1100 millicron, oltre che da una serie di filtri passabanda che

consentono di scandagliare velocemente le varie lunghezze d’onda.

8. Polilight: si tratta di una lampada allo xenon che emette una luce ultravioletta su un

lunghezza d’onda paragonabile a quella dei laser e che viene utilizzata per

l’evidenziazione delle impronte papillari latenti.

9. ESDA: si tratta di uno strumento necessario per rilevare le tracce di scrittura

impresse sui documenti; è più avanzato rispetto al metodo della luce radente poiché

permette l’evidenziazione di tracce di scrittura assolutamente invisibili. Esso si

basa sulla formazione di cariche elettriche su un sottile foglio di plastica

sovrapposto al documento sul quale si effettua la ricerca dei solchi di scrittura da

evidenziare. La superficie del foglio di plastica, sovrapposta al documento, viene

interessata da cariche elettriche che si distribuiscono in modo diverso a seconda

delle depressioni presenti sul documento. Alla fine del processo, dopo aver fatto

scorrere sul foglio di plastica un apposito sviluppatore, si ottiene un’immagine dei

solchi di scrittura data dalla non uniforme densità delle cariche elettriche.

4.1.2 Laboratorio di videoregistrazione

Fig. 46

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

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Per molti anni la cinematografia ha occupato un ruolo di primaria importanza nei

servizi di polizia giudiziaria ma, negli ultimi anni, la videoregistrazione ha prevalso in

virtù della sua maggiore praticità d’impiego.

I principali fini cui risponde tale tecnica sono tre:

a) Finalità documentativa;

b) Finalità investigativa;

c) Finalità didattica.

a) Tramite la videoregistrazione è possibile creare una documentazione fedele registrando

gli avvenimenti, le scene e le persone, nella quale, la progressione cronologica può

essere fedelmente riprodotta. La successiva visione della videocassetta costituisce un

documento probatorio, spesso decisivo, da far valere in sede giudiziaria.

b) Per quanto concerne la finalità investigativa, la riproduzione di fatti, scene, avvenimenti

e persone consente agli investigatori di poter individuare malviventi, auto sospette ed

altro tramite apposite attrezzature come il fermo immagine e la stampante. In questo

modo si possono pertanto fissare dati fisici, movimenti, gesti e molto altro, in modo da

acquisire un insieme di elementi indiziari e talora anche probatori.

c) Infine, l’importanza della videoregistrazione in campo didattico costituisce ormai un

dato universalmente assunto sia nel campo dell’insegnamento che delle più svariate

discipline.

4.1.3 Sezione identità giudiziaria

La Sezione provvede all’identificazione degli autori di reato attraverso i frammenti di

impronte, digitali o palmari, rilevati sul luogo del delitto. Una volta prelevati, si procede al

confronto per esclusione o per sospetto, con le impronte delle persone segnalate dagli

investigatori. Le ricerche vengono effettuate inserendo i dati nel sistema AFIS (Automatic

Fingerprints Identification System), il quale fornisce una risposta positiva o negativa in

tempi rapidi.

4.1.4 Sezione indagini grafiche

La Sezione Indagini Grafiche effettua accertamenti su manoscritti, dattiloscritti e su

documenti realizzati con stampanti collegate a personal computer. L’attività di indagine

prevede metodologie diverse a seconda del prodotto grafico da esaminare.

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      33  

I manoscritti vengono esaminati secondo i principi del metodo grafonomico. Il testo viene

innanzitutto ispezionato; si rilevano le caratteristiche generali della grafia (come la

dimensione, le proporzioni, la pressione, i meccanismi di collegamento, l’inclinazione, i

margini ecc.) e i dettagli specifici propri dell’automatismo grafico dello scrivente. Si

procede poi al confronto diretto dei rilievi effettuati, fino alla formulazione di un giudizio

conclusivo. La Sezione si occupa anche del riconoscimento dei caratteri dattiloscriventi,

identificando il tipo di macchina utilizzato ed individuando eventuali anomalie da usura.

4.1.5 Sezione Indagine sulle impronte latenti

Nell’ambito degli accertamenti relativi all’identità giudiziaria, il laboratorio si

occupa di evidenziare le impronte papillari latenti, presenti sulle superfici dei reperti

sequestrati in occasione di episodi delittuosi. I frammenti di impronta, qualora risultino

idonei ai fini dei confronti dattiloscopici, permettono di individuare gli autori del reato. Gli

accertamenti prevedono l’impiego di numerose metodiche chimico-fisiche, che si

differenziano a seconda del tipo di reperto. Il laboratorio interviene anche in casi di disastri

aerei, navali o ferroviari per evidenziare le impronte utili al riconoscimento delle vittime.

4.1.6 Sezione identità preventiva

A questa sezione pervengono i cartellini fotosegnaletici redatti dalla Polizia di

Stato, dall’arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza.

4.1.7 Sezione indagini sugli stupefacenti

Vengono prevalentemente utilizzate tecniche cromatografiche che, a seconda del

tipo di sostanza in esame, consentono la separazione preliminare dei singoli componenti e

la successiva determinazione quantitativa.

4.1.8 Sezione indagini sulle cause degli incendi

4.1.9 Sezione indagini balistiche

4.1.10 Sezione indagini sugli esplosivi

4.1.11 Sezione indagini sui residui dello sparo

In questa sezione vengono analizzati i residui tramite tecniche di microscopia

elettronica a scansione associata alla microanalisi a raggi X.

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4.1.12 Sezione indagini sui terreni, sulle polveri e sui vetri

Le principali tecniche utilizzate dagli esperti all’interno di questa sezione sono la

rifrattometria a raggi X (che permette un’analisi veloce e non distruttiva dei campioni) e

un sistema a raggi X a fluorescenza totale.

4.1.13 Sezione indagini sulle pitture, sulle vernici e sugli inchiostri

4.1.14 Sezione indagini sulle fibre, sui marchi e sulle tracce da utensile

4.1.15 Sezione indagini sulle banconote e sui documenti contraffatti

All’interno del laboratorio vengono effettuate delle analisi degli elementi costitutivi

dei supporti cartacei, l’individuazione microscopica delle tecniche di stampa classiche e di

quelle più recenti. Infine si procede anche all’analisi cromatografica ad alta risoluzione e

densitometrica di inchiostri allo stato fluido.

4.1.16 Sezione indagini sul suono e sulla voce

4.1.17 Sezione indagini medico legali

4.1.18 Sezioni indagini biologiche

La sezione è dotata di un laboratorio di Immunoematologia il quale effettua

indagini sia generiche che specifiche per stabilire la natura delle tracce sequestrate.

L’analisi del DNA viene eseguita dal laboratorio di biologia molecolare.

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5. Individuare e repertare le tracce: la ricerca sistematica sulla scena

del crimine

Per la sua stessa natura una scena del crimine non può essere lasciata totalmente

inalterata dalle persone che intervengono per cui, accade spesso che, anche in maniera non

visibile, qualche traccia del loro passaggio rimanga sulla scena stessa. Assume perciò

un’importanza cruciale il modo in cui si ricercano e si evidenziano le tracce, dal momento

che solo attraverso una strumentazione e una metodologia adeguata è possibile stabilire un

nesso logico tra un sospettato, un oggetto e un dato luogo che hanno a che fare con

l’evento criminale su cui si sta investigando.

Se un investigatore non è capace di riconoscere le tracce fisiche o di raccoglierle,

preservarle e trasportarle in laboratorio in maniera adeguata, le conseguenze potrebbero

essere gravi; infatti, i principali pericoli che si potrebbero verificare in seguito ad

un’alterata attività di repertazione e conservazione sulla “scena criminis” sono

principalmente costituiti da:

Contaminazione;

Alterazione e degradazione;

Perdita del materiale inerente alla scena del reato.

Tutte queste condizioni concorrono a rendere inutilizzabili le tracce identificate sul luogo

del reato; infatti, il modo con cui vengono raccolte e repertate ha un’influenza diretta sul

loro effettivo impiego sia a livello investigativo che probatorio.

Di seguito vengono riportati le principali condizioni che possono alterare la scena del

crimine:

1. Una scorretta delimitazione della scena del crimine potrebbe favorire la

contaminazione della stessa in seguito alla presenza di eventuali sospetti (che

potrebbero volutamente alterarla), altri operatori di polizia non autorizzati, il pubblico

e naturalmente i media. Pertanto, definire e controllare i confini rappresenta il primo

fattore per proteggere e rendere sicura la zona in esame.

2. Non creare un percorso di entrata e di uscita, come unica via per accedere e per uscire

dalla zona del reato durante tutta l’investigazione, utilizzando lo specifico nastro di

segnalazione, potrebbe comportare la distruzione delle prove durante gli spostamenti

nell’area interessata dal crimine.

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3. L’assenza di una scala graduata come riferimento metrico (Fig. 49), può rendere la

fotografia della traccia praticamente inutilizzabile. Ciò può avere un esito drammatico

soprattutto in assenza di una confessione da parte dell’autore o di una testimonianza

oculare e cioè tutte le volte in cui tutto ciò che abbiamo per arrivare alla soluzione del

caso sono le tracce raccolte sulla scena del crimine. Tutte le fotografie scattate ai vari

elementi devono quindi contenere un riferimento metrico altrimenti non sarà possibile

compararli con altri oggetti (appartenenti a uno o più sospettati) successivamente.

Senza riferimento metrico infatti, non sarà possibile stabilire l’esatta dimensione

dell’oggetto. Ciò naturalmente vale anche per le fotografie effettuate sulle impronte

digitali, palmari, da impressione ecc; senza riferimento metrico infatti, non è possibile,

compararle con altre impronte conosciute e contenute nell’AFIS. Anche i pattern degli

schizzi di sangue devono essere documentati con un riferimento metrico insieme ad un

riferimento che ne identifichi chiaramente ed univocamente la loro posizione sulla

scena del crimine e la loro relazione con gli altri elementi rilevati.

Fig. 47 Fig. 48

Fig. 49 Fig. 50

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Fig. 51 Fig. 52

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

4. Una raccolta adeguata del materiale biologico è d’importanza cruciale per il buon esito

del test del DNA. I pericoli che si verificano come conseguenza di una scorretta

raccolta di materiale possono derivare dal mancato utilizzo di cautele necessarie per

evitare contaminazioni o alterazioni del materiale (come l’utilizzo di guanti monouso,

toccare qualsiasi oggetto mentre stanno maneggiando quel tipo di traccia). La

contaminazione può anche avere luogo se qualcuno starnutisce o tossisce sulle tracce,

o si tocca i capelli, il naso o altre parti del corpo e successivamente tocca l’area su cui

è presente il campione che deve essere analizzato.

5. Uno dei principali pericoli a cui può andare incontro il DNA, e in generale le tracce

biologiche lasciate sul luogo del reato che possono contenerlo, riguardano anche le

contaminazione ambientali. Esposizioni ai batteri, al calore, alla luce, all’umidità e

alla muffa possono rendere più rapido il processo di degradazione (erosione) del DNA,

compromettendo inesorabilmente la qualità del campione da analizzare. Gli

investigatori che operano sulla scena del crimine, non dovrebbero tossire, bere,

mangiare, fumare o fare qualsiasi altra cosa che potrebbe comprometterla. Essi

dovrebbero sempre tener presente che alcune tracce di DNA potrebbero essere presenti

anche se non sono visibili ad occhio nudo.

Quando vengono trasportate ed immagazzinate delle tracce che possono contenere

DNA, tali materiali dovrebbero essere mantenuti all’asciutto e a temperatura ambiente.

Dovrebbero essere riposte in buste di carta e poi sigillate, etichettate e trasportate in modo

da assicurarne una immediata identificazione. L’utilizzo di borse di plastica costituisce

terreno di crescita per i batteri che possono contaminare il campione di DNA e

l’esposizione a luce solare diretta, a calore e umidità possono danneggiarlo; quindi, tali

tracce non dovrebbero essere custodite in luoghi esposti a calore e luminosità solare

eccessivi.

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5.1 Protezioni individuali 6

L’adozione di protezioni individuali è necessaria per evitare la contaminazione delle

tracce con le proprie impronte e con i propri liquidi biologici ma anche per evitare di subire

danni fisici derivanti dalla tossicità di molte sostanze chimiche che normalmente vengono

utilizzate per evidenziare le tracce (tra cui vapori iodati e di cianoacrilato, acidi e polveri

fini). Particolarmente importante risulta essere l’impiego di guanti resistenti per evitare di

essere feriti accidentalmente o di essere contaminati da sangue o altri liquidi biologici

infetti repertati sulla scena del reato; risulta altrettanto importante disporre di detergenti e

disinfettanti per lavarsi accuratamente dopo l’intervento. In alcuni casi può essere

necessario un equipaggiamento speciale caratterizzato da tute speciali e maschere antigas

con filtro antipolveri sottili e vapori. Infine, l’operatore che interviene in una scena ad

elevato rischio di contaminazione biologica, prima di uscire dall’ambiente lavorativo e

tornare nella propria abitazione (o altrui) dovrebbe togliersi gli abiti utilizzati nel corso

dell’intervento e inviarli ad una lavanderia specializzata o effettuare il lavaggio con

prodotti idonei e in luoghi controllati.

5.1.1 Kit per la protezione individuale:

1. Tuta in tyvek con cappuccio (Fig. 53);

2. Guanti di lattice (Fig. 54);

3. Guanti in vinile (Fig. 55);

4. Guanti in cotone (Fig. 56);

5. Guanti di sicurezza antiperforazione (Fig. 56);

6. Occhiali di protezione (Fig. 57);

7. Occhiali filtro arancione per visione UV (Fig. 58);

8. Mascherina anti-polvere (Fig. 59);

9. Maschera con filtro anti-polveri sottili e vapori (Fig. 60);

10. Soprascarpe (Fig. 61);

11. Protezioni per le ginocchia (Fig. 62).

6 M. Strano, Manuale di Investigazione Criminale – Criminal Investigation Handbook Edizione Italiana, Nuovo Studio Tecna, Roma 2008.

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Fig. 537 Fig. 54

Fig.55 Fig.56 Fig.57

Fig.58 Fig.59 Fig. 60

Fig. 61 Fig. 62 Fig.63

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

7 http://bergamo.olx.it/tuta-tyvek-protech-grigia-cappuccio-elastico-ai-polsi-ce-dpi-di-iii-categoria-tipo-4-5-6-m-iid-20623945

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5.2 Le fonti di illuminazione sulla scena del crimine

Le fonti di illuminazione che gli operatori possono utilizzare sulla scena del crimine

sono di vario tipo e i principali sono rappresentati da:

Lampada a luce bianca: permette di illuminare gli oggetti e di individuare meglio

gli elementi da repertare. Essa emette un intenso fascio di luce paragonabile alla

luce del sole, utile soprattutto per l’identificazione di peli, capelli, fibre e orme di

scarpe;

Lampada UV con emissione di luce ad alta lunghezza d’onda (Fig. 64) la quale può

essere vista tramite il filtro barriera arancione o con occhiali filtro arancio. Essa è

particolarmente indicata per liquidi fisiologici o impronte latenti impiegando

polveri fluorescenti.

Lampada UV con emissione di luce a bassa lunghezza d’onda (Fig. 65) per

evidenziare altre tracce specifiche, come nel caso di tracce di metallo;

Lampada a luce rossa, utilizzata per rilevare le tracce di sangue precedentemente

trattate con il Luminol senza l’impiego di filtri o occhiali colorati.

Fig. 64 Fig. 65 8

8 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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5.3 Equipaggiamento di base necessario al repertamento

Pennelli da impronte (fiberglass, piuma e magnetico);

Polveri da impronte di vario tipo;

Fogli adesivi per reperta mento rigidi e in gomma;

Set di pinzette, coltellino e forbici;

Lente di ingrandimento;

Lampada a luce bianca;

Lampada UV con emissione di luce ad alta lunghezza d’onda con batterie e

lampadina di ricambio;

Lampada UV con emissione di luce a bassa lunghezza d’onda con batterie e

lampadina di ricambio;

Buste di plastica trasparente e buste di carta;

Bomboletta ad aria compressa;

Siringhe sterili e carta assorbente;

Acqua distillata e spruzzatore;

Erogatore portatile di cianoacrilato;

Fissatore del cianoacrilato;

Ninidrina spray;

Small particle reagent (nero e bianco);

Kit liquido seminale fosfatasi acida;

Kit luminol;

Kit sangue fenolftaleina;

Leucristal violet per impronte latenti di sangue;

Provette con EDTA per sangue;

Kit per il prelievo di liquidi biologici;

Kit per impronte di scarpe (calchi);

Kit per l’esclusione delle impronte digitali;

Kit per i residui di sparo;

Kit basico da entomologia forense;

Macchina fotografica con treppiede basculante;

Videocamera digitale.

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6. Il repertamento delle tracce biologiche per la ricerca del DNA

Nel corso del sopralluogo, l’investigazione ha spesso la necessità di accertare

immediatamente se le macchie rinvenute sulla scena del reato siano costituite da sostanza

ematica o da altra sostanza. Questo si verifica soprattutto nei casi in cui esse si trovino su

oggetti non asportabili o non facilmente riconoscibili pertanto, prima di procedere alla

repertazione, è necessario effettuare l’accertamento qualitativo generico cercando di non

ridurre in modo considerevole la quantità della sostanza così da poterla riutilizzare per i

successivi esami di laboratorio.

Sia da un punto di vista medico legale che criminalistico, le tracce di sangue

rinvenute sul luogo di un delitto, sul cadavere e sui relativi indumenti, assumono un

particolare significato consentendo all’operatore di ottenere informazioni sia per quanto

riguarda l’interpretazione della dinamica dell’evento e delle circostanze in cui esso si è

realizzato (come la posizione della vittima e di eventuali spostamenti passivi e/o attivi,

provenienza del sangue, ecc.), ma anche per l’identificazione dell’autore mediante l’analisi

del DNA.

La sede dell’imbrattamento ematico deve essere descritta e documentata

fotograficamente sia a livello del cadavere, sul mezzo lesivo ove presente, nell’ambiente

circostante ma anche negli ambienti limitrofi a livello dei quali potrebbero essere rinvenute

ulteriori tracce riconducibili ad una eventuale colluttazione, fuga dell’aggressore ferito,

spostamenti e/o manipolazioni del cadavere per tentativi di occultamento.

La posizione delle tracce deve poi essere indicata metricamente prendendo dei punti

di riferimento fissi, considerando sia la distribuzione spaziale assoluta, cioè l’insieme di

tutte le tracce, sia quella relativa, riferita cioè ai rapporti spaziali esistenti tra le singole

tracce 9.

9 O. Carella Prada, D.M. Tancredi, Il sopralluogo Giudiziario medico legale – Norme, metodologia ed elementi medico-forensi per l’attività investigativa, Ed. Universo, I edizione, Roma 2000.

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La quantità di sangue rinvenuto in un dato luogo può essere ben valutata anche ai

fini dell’indagine ma occorre tenere in considerazione anche fattori contingenti come, per

esempio, il grado di assorbimento del terreno. Solitamente un individuo possiede circa 5

litri di sangue e la sua incolumità inizia ad essere compromessa nel momento in cui ne

perde circa un terzo. Nel caso in cui dovesse perderne ulteriormente, (come nel caso di

ferite alle principali arterie), il soggetto perderà progressivamente i sensi in quanto non

sufficientemente alimentato a livello cerebrale.

L’analisi e la ricerca di tracce, non può limitarsi solo ad un aspetto qualitativo ed

eventualmente quantitativo, ma deve prendere in considerazione anche altri elementi come

l’aspetto “morfologico” delle stesse relativo alla loro posizione e conformazione. Nei casi

in cui la scena del crimine presenti spargimento di sangue in larga o limitata misura,

l’analisi delle tracce ematiche può risultare utile alla ricostruzione della dinamica degli

eventi relativi al reato. Pertanto si vanno ad analizzare elementi come la distribuzione, la

forma, le dimensioni, l’andamento e la posizione che queste tracce di sangue presentano.

Per quanto riguarda l’identificazione delle tracce ematiche rinvenute sul luogo del

reato, prima di essere sottoposte al BPA 10, devono essere oggetto di studio da parte del

tecnico del sopralluogo, al fine di stabilire alcuni parametri di base tra cui:

Stabilire se si tratta di sangue umano;

Stabilire se la macchia è costituita effettivamente e totalmente da sangue o

eventualmente contaminata da altri elementi;

Stabilire se il sangue individuato appartiene alla vittima, all’aggressore o ad altro

soggetto,

Stabilire l’età della macchia;

Stabilire da quale parte del corpo proviene il sangue;

La diagnosi della natura ematica si ottiene evidenziando la presenza dei costituenti

fondamentali del sangue, ovvero dei globuli rossi e dell’emoglobina mentre l’analisi

morfologica viene effettuata al microscopio al fine di ricercare gli elementi che lo

costituiscono.

10 http://www.bloodspatter.com/BPATutorial.htm, Aprile 2008

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6.1 Diagnosi effettuabili sulle tracce ematiche

6.1.1 Diagnosi generica

Prima ancora di parlare di sangue, bisogna accertarsi che si tratti di sangue e a tale

scopo viene effettuata la c.d “diagnosi generica”. Essa si avvale della prova della

benzidina, un reagente composto da solfato di benzidina e acido acetico, misto a perossido

di idrogeno. A contatto con sangue accertato si ottiene un composto lattiginoso

caratterizzato da una colorazione azzurra. Pertanto, una volta ripetuto lo stesso esperimento

con la “macchia dubbia” l’apparizione della stessa colorazione indica che si tratta quasi

certamente di sangue. In caso contrario la risposta sarà negativa. Questo test non conferisce

un’assoluta certezza poiché potrebbero essere presenti nella macchia-campione sostanze

che conferiscono la stessa colorazione.

6.1.2 Diagnosi specifica o di specie

È un tipo di diagnosi che serve a stabilire se la macchia in questione è umana o non

umana. Essa si basa sull’individuazione delle differenze morfologiche esistenti tra i globuli

rossi umani e quelli appartenenti ad altre specie animali. Nel caso dell’uomo e dei

mammiferi in generale, le emazie sono di forma rotondeggiante e prive di nucleo. In altre

specie animali invece sono ellittiche e nucleate. Tale metodo però non è sufficiente a

stabilire se il sangue è umano o di altra specie animale; infatti potrebbe appartenere ad un

altro mammifero i cui eritrociti presentano le stesse caratteristiche di quelli umani. Si può

ricorrere, pertanto, ad altre tecniche quali l’immunodiffusione, l’immunoelettroforesi e le

metodiche di siero-precipitazione specifiche. È pertanto necessario risalire alla specificità

delle proteine albumine e globuline. Se il sangue rintracciato è secco verrà sciolto tramite

una soluzione salina e posto a contatto con l’antisiero, ricavato dal sangue di un altro

animale cui sia stato precedentemente iniettato sangue umano. La prova della presenza di

sangue umano sarà dimostrata, dopo un certo periodo di tempo, dalla presenza di un anello

biancastro e la formazione di un precipitato. In alcuni casi occorre conoscere la specie

animale, motivo per cui i laboratori tengono a disposizione i sieri dei più comuni di essi11.

11 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.

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      45  

6.1.3 Diagnosi di gruppo e individuale

Sia dal punto di vista clinico che criminologico, stabilire il gruppo di appartenenza

del sangue da analizzare risulta estremamente importante. L’identificazione del gruppo

sanguigno di appartenenza si basa su due principi indiscutibilmente certi: la immutabilità

de gruppo stesso nel tempo e l’obbedienza ad alcune regole di ereditarietà. Nell’indagine

criminale infatti, la diagnosi di gruppo non stabilisce l’identificazione dell’individuo dal

quale il sangue proviene, ma solo una classe di individui; al contrario può essere utilizzato

come prova per escludere la sua appartenenza ad una persona in particolare. Per esempio,

se l’analisi stabilisce che si tratta di gruppo « 0 », il sangue analizzato può appartenere a

tutti gli individui di gruppo 0 ma non a quelli di gruppo « A », « B » e « AB ».12

Ulteriori sperimentazioni hanno messo in evidenza la presenza di due categorie di

sostanze che a contatto con un altro tipo di sangue provocano un’agglutinazione dei globuli

e un’agglutinazione del siero; nel primo caso si parla di agglutinogeni mentre nel secondo

di agglutinine. Pertanto la diagnosi di gruppo viene effettuata ricorrendo al criterio di

ricerca delle agglutinine a livello del sistema ABO;

Si procede anche con l’analisi della tipizzazione del sistema Rh-Hr.

Infine, una tecnica infallibile, è l’analisi del DNA che consente di attribuire quel

particolare campione di sangue ad un solo ed unico soggetto ma di cui ne parleremo più

approfonditamente nei capitoli successivi.

6.1.4 Diagnosi regionale

Consiste in un’analisi volta a stabilire da quale parte del corpo proviene il campione

di sangue (per esempio dal naso, da una ferita ecc.).

Pertanto, per l’identificazione della provenienza delle tracce ematiche bisogna

considerare varie condizioni quali:

Sangue da epistassi: consiste nel sangue fuoriuscito dal naso, nel quale si possono

trovare anche cellule dell’epitelio della mucosa nasale, muco e tracce di vibrissa.

Le cause possono essere molteplici, come infiammazioni acute o croniche, traumi,

12 R. Paceri, La polizia scientifica, Edizioni Laurus Robuffo, III Edizione (a cura di) S. Montanaro, Roma 1995.

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variazioni delle condizioni atmosferiche, tumori benigni o maligni, intossicazioni

da parte di sostanze chimiche di varia natura, malattie infettive e del sangue.

Sangue mestruale: riconoscibile dalla presenza di cellule dell’epitelio della mucosa

vaginale, leucociti e tracce di flora batterica.

Sangue da aborto o parto: in esso è possibile rinvenire tracce sia di provenienza

materna che fetale.

Sangue di stomaco: la sua identificazione è semplice in quanto ricco di acido

cloridrico.

Sangue rettale: può contenere elementi fecali e, in caso di rapporti sessuali, tracce

di sperma.

6.1.5 Diagnosi cronologica

La diagnosi cronologica serve a stabilire l’età della traccia ematica rinvenuta sulla

scena di un delitto. Infatti, l’aspetto macroscopico della macchia di sangue (fresco o

secco), ha solo valore orientativo, mentre parametri come il comportamento delle

agglutinine, la presenza di pigmenti inveterati e l’analisi dell’attività enzimatica,

consentono una datazione più precisa ed accurata.

Infatti il sangue, con il passare del tempo e una volta fuoriuscito dal sistema di

circolazione tende a cambiare colore a causa dell’emoglobina che progressivamente si

trasforma in verdemoglobina per poi putrefare completamente. Anche l’analisi della

colorazione può essere utilizzata per risalire indicativamente all’epoca della sua

formazione. Ma spesso si verificano casi in cui non è possibile utilizzare queste

informazioni sia perché la macchia di sangue è troppo “vecchia” sia perché può venire a

contatto con particolari sostanze che ne alterano le sue caratteristiche.

6.2 Studio della conformazione morfologica delle macchie di sangue

La morfologia delle tracce ematiche varia sulla base di numerosi fattori quali la

velocità, la natura, l’altezza di caduta, l’inclinazione del piano, la quantità, la qualità,

l’origine, la dimensione della lesione in profondità e longitudine, nello spazio durante la

sua caduta e le caratteristiche del supporto che la riceve.

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Le scene del crimine che presentano tracce di sangue, spesso sono costituite da

un’abbondante fonte di informazioni e pertanto, le loro caratteristiche fisiche, chimiche e

morfologiche (in particolare quelle morfo-dimensionali e topografiche), possono essere

molto utili per la comprensione e la ricostruzione della dinamica degli eventi.

La traccia ematica può essere rinvenuta su:

Un substrato permeabile (assorbente);

Un substrato impermeabile (non assorbente).

In base a questa distinzione possono essere rispettivamente indicate con il termine

di “macchia” e di “incrostazione”.

Questa distinzione ha la sua importanza in quanto comporta diverse modalità di

prelievo della traccia ematica stessa.

Altri elementi che devono essere attentamente considerati sono la sede di

rinvenimento, la forma e le caratteristiche dei margini, le dimensioni, l’orientamento, la

quantità, il colore e lo stato fisico delle tracce.

La sede dell’imbrattamento ematico è particolarmente importante; essa deve essere

attentamente descritta e fotograficamente documentata, sul mezzo lesivo (se presente),

nell’ambiente, nonché sul cadavere. Altrettanto importante è l’analisi e documentazione

degli ambienti limitrofi a livello dei quali potrebbero essere rinvenute ulteriori tracce

riferibili a:

Particolari posture e/o movimenti della vittima immediatamente prima della morte;

Colluttazione;

Fuga dell’aggressore ferito;

Successive manipolazioni e/o spostamenti del cadavere a fronte di tentativi di

occultamento.

La posizione delle tracce deve essere indicata anche metricamente prendendo dei

punti di riferimento fissi, i capisaldi, ed utilizzando preferibilmente delle misure

ortogonali, con le stesse modalità di procedura per altri reperti inerenti il reato e presenti

nell’ambiente.

Inoltre, vanno tenute in considerazione le distribuzioni spaziali della tracce,

distinguibili in:

Distribuzione spaziale assoluta: corrisponde al complesso di tutte le tracce;

Distribuzione parziale relativa: cioè i rapporti spaziali esistenti tra le singole tracce.

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6.3 Test preliminari per verificare la presenza di sangue sulla scena del

crimine e ulteriori analisi di laboratorio

Nel caso in cui la macchia prelevata sul luogo del delitto sia essiccata, si ricorre

all’analisi chimica; essa consiste in reazioni colorate che si basano sulla capacità del

sangue di far assumere una speciale colorazione ad alcune sostanze incolori in presenza di

perossidi. Si tratta di tecniche non intrusive che pertanto non pregiudicano in alcun modo i

successivi test di laboratorio. I test utilizzati sono molteplici e prevedono l’utilizzo di:

I principali test utilizzati in questo ambito prevedono tre diversi processi chimici:

1. Fenolftaleina: è considerato uno dei test maggiormente affidabili per la diagnosi

generica in presenza di sangue. La sostanza produce una reazione di colore rosa-

rosso molto intenso entrando in contatto anche con minime quantità di sangue

(Fig. 66).

2. Verde di leucomalachite: Il test è considerato uno dei più sensibili per la diagnosi

generica in presenza di sangue. La sostanza produce una reazione di colore blu-

verde molto intenso entro 3 secondi dal momento del contatto anche con minime

quantità di sangue (Fig. 67).

3. Luminol (Fig. 68).

Fig. 66

Fig. 67

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Fig. 68 13

Fig. 69

Il Luminol corrisponde ad una sostanza chemi-luminescente contenente carbonio,

azoto, ossigeno e idrogeno e il suo aspetto è quello di un composto granuloso e giallo.

Viene utilizzato per il rilevamento di presunte tracce di sangue presenti sulla scena del

crimine; esso infatti, entrando in contatto con il sangue dà origine ad una reazione di

ossidazione del ferro contenuto nell’emoglobina. Durante questa reazione, viene rilasciato

del gas di azoto che lascia il Luminol in uno stato di eccitazione, con un’energia

addizionale che viene poi rilasciata sottoforma di luce bianco-bluastra. La luce prodotta

deve essere osservata in condizioni di totale oscurità. Si tratta di una sostanza altamente

sensibile, capace di rilevare anche infinitesimali quantità di materiale ematico senza

pregiudicare la successiva esecuzione del test del DNA. Considerando che il Luminol può

reagire anche con altre sostanze, (candeggina, rame, vari coloranti, sangue presente

nell’urina e sangue animale) è necessario approfondire se la sostanza con cui reagisce è

realmente sangue umano al fine di escludere il rischio di incappare in falsi positivi. Gli

elementi evidenziati in seguito al suo utilizzo, devono essere fotografati e/o video-ripresi

entro 10 minuti dalla sua distribuzione sul luogo da trattare. Considerando poi che, nel caso

13 Catalogo SIRCHIE

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di una esigua quantità di sangue, essa viene ulteriormente diluita in seguito all’aggiunta del

Luminol, si consiglia di usarlo solo come ultima risorsa, al fine di proteggere le piccole

quantità di prove fisiche rimaste sulla scena del crimine.

Fig. 70: L’immagine mette in evidenza la differenza tra un

pavimento con tracce di sangue non evidenziate (sinistra)

e lo stesso pavimento in seguito alla somministrazione di

Luminol (destra).

Fig. 71: Impronta di scarpa

insanguinata evidenziata da Luminol

Fig. 72: Tracce di sangue evidenziate dal Luminol.

Per l’identificazione delle tracce ematiche vengono effettuati spesso alcuni test che

possono fornire utili informazioni sulle sostanze analizzate ma, allo stesso tempo,

comportano dei limiti derivanti dal fatto che altre tracce organiche come muco, latte e pus,

possono spesso interagire con il sangue stesso. In particolare si tratta di:

Test cristallografici: l’identificazione morfologica avviene tramite la ricerca dei

cristalli di cloridrato di ematina. Attualmente è il test più utilizzato perché

consente di determinare la presenza di emoglobina umana in base al valore Rf suo

proprio (0.70 – 0.71).

Metodi immunologici effettuati mediante reazioni di siero-immunoprecipitazione:

utilizzate per dimostrare la presenza di emoglobina umana a livello delle diagnosi

di specie.

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Test spettroscopici: valutano la capacità del campione di assorbire particolari

radiazioni luminose.

6.4 Repertamento delle tracce ematiche

Il sangue, anche se raramente, può essere individuato ancora allo stato liquido e in

tal caso è opportuno aspirare parte della sostanza tramite una siringa, aggiungere una o più

gocce di anticoagulante (E.D.T.A., A.C.D), chiudere con idoneo tappo di gomma o plastica

e miscelare capovolgendo più volte il contenitore (fig. 73-76). Per quanto riguarda la

restante parte rimasta sulla scena del crimine, essa deve essere assorbita con quadratini di

stoffa di cotone bianco ed essiccata. Sia la provetta che il cotone posto in sacchetti di carta,

vanno conservati in congelatore.

Fig. 73 Fig. 74

Fig. 75 Fig. 76

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

Nel caso in cui il sangue si rinvenga allo stato solido, il prelievo si diversifica a

seconda del substrato sul quale si trova:

Su substrati permeabili come stoffe e indumenti deve essere ritagliata la parte

macchiata o deve essere conservato l’intero indumento per poi essere posto in un

contenitore di carta e congelato. Nel caso di tappezzerie murali o di autovetture,

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tappeti, asfalto, terreno ecc., se possibile, bisogna repertare l’oggetto nella sua

interezza e inviarlo molto rapidamente in laboratorio; in caso contrario occorre

ritagliare la parte interessata e conservarla secondo le modalità precedentemente

descritte. Un ulteriore metodo prevede di imbibire quadratini di stoffa di cotone

bianco con soluzione fisiologica o con acqua e strofinarla sulla macchia di sangue

in modo da asportarne la maggiore quantità.

Nel caso di substrati non permeabili come legno, vetri, metalli, pavimenti, pareti

lavabili, pistole e armi bianche, se di piccole dimensione possono essere prelevate e

inviate in laboratorio. Se ciò non è possibile occorre raschiare delicatamente la

presunta sostanza ematica tramite spatole idonee e riporre il materiale in provette di

vetro o plastica da conservare in frigo.

6.5 Identificazione e repertamento di altre tracce biologiche

6.5.1 Saliva

La saliva è il liquido secreto dalle ghiandole salivari prodotta nella misura di 500-

1500 ml nell’arco di 24 ore.

Aspetto: limpido, inodore, incolore.

Consistenza: densità variabile, leggermente acido (pH 6,38).

Composizione:

- Sali minerali e sostanze organiche come albumina, acido urico, urea, mucina;

- Enzimi come esterasi (fosfatasi acide, alcaline, lipasi e sulfatasi);

- Enzimi come carboidrasi (maltasi, ptialina, amilasi);

- Lisozima;

- Cellule epiteliali di sfaldamento;

- Leucociti e batteri.

Ritrovamento: Può essere rinvenuto sul bordo di bicchieri e su fazzoletti, sul

cadavere (soprattutto in casi di violenza sessuale), su mozziconi di sigarette e su

francobolli e buste.

Repertazione e conservazione: Non è visibile ad occhio nudo pertanto è necessario

repertare quegli elementi che si presume possano esserne imbrattati al fine di effettuare

anche il test del DNA. Nell’attesa è sempre opportuna la loro conservazione in frigo.

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Diagnosi: si procede prevalentemente alla ricerca dell’amilasi, un enzima presente

in grande quantità solo nella saliva umana. Questo elemento permette già una prima

identificazione della specie vivente che ha prodotto la saliva distinguendo così un soggetto

umano da uno animale.

Identificazione individuale: le proteine salivari sono soggette a polimorfismo

genetico; elemento utile per l’identificazione specifica di un sospettato.

Le tracce, solitamente secche, devono essere conservate in frigorifero.

6.5.2 Sudore

Il sudore è il liquido prodotto dalle ghiandole sudoripare della cute e la quantità

prodotta nell’arco delle 24 ore può variare da un soggetto all’altro in rapporto alle varie

condizioni ambientali e climatiche.

Aspetto: trasparente e incolore.

Consistenza: è una soluzione molto diluita di cloruro di sodio (0,2 - 0,5%) a pH neutro o

acido (da 4,2 a 7, 5).

Composizione:

- Cloruro di sodio;

- Vari elettroliti presenti nel sangue;

- Ammonio e Urea;

- Acido lattico.

Ritrovamento: sia a livello cutaneo che degli indumenti (poiché li impregna molto

rapidamente).

Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e

poste preferibilmente in frigorifero.

Diagnosi: si procede all’individuazione, in particolare, di sodio e cloro.

Identificazione individuale: essendo ricco di antigeni gruppo specifici, l’analisi del

sudore permette una possibile identificazione del soggetto, anche attraverso l’analisi delle

impronte digitali.

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6.5.3 Urina

La quantità prodotta giornalmente si aggira sui 1500 ml, ma i valori possono variare

a seconda delle condizioni fisiologiche del soggetto, della sua alimentazione, della

sudorazione e delle condizioni ambientali e climatiche.

Aspetto: limpida, di colore giallo-citrino.

Consistenza: densità media e pH normalmente acido (pH 6).

Composizione:

- Soluzione costituita per il 95% di acqua;

- Urea, acido urico e creatinina;

- Pigmenti come l’urocromo;

- Acido ossalico, acido lattico, acetone e acido ippurico;

- Indacano;

- Composti solforati come solfoeteri, marcaptani, tocianati;

- Ormoni;

- Cataboliti di varia natura;

- Potassio, calcio, magnesio;

- Cloruri, solfati e fosfati, salificati soprattutto con sodio.

Aspetto in condizioni patologiche:

- Aspetto torbido per la presenza di pus (piuria);

- Aspetto torbido per la presenza di sangue (ematuria);

- Alterazioni a livello del colore.

Composizione in condizioni patologiche:

- Glucosio, amminoacidi, corpi chetonici, emoglobina;

- Pigmenti biliari;

- Cellule del sangue come globuli rossi e globuli bianchi;

- Proteine plasmatiche, cellule sfaldate della mucosa e delle vie urinarie, cristalli;

- Formazioni cilindriche createsi in seguito alla precipitazione di materiale proteico e

di cellule all’interno dei tubuli renali.

Ritrovamento: Difficilmente si riscontra allo stato liquido. Più spesso si osserva

sottoforma di macchia, spesso a livello delle lenzuola o su indumenti intimi: in

quest’ultimo caso, a differenza dello sperma, non è responsabile di un aumento della

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superficie imbrattata; produce solamente una variazione cromatica caratterizzata da una

sfumatura giallastra.

Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e

poste preferibilmente in frigorifero. Se l’urina si presenta allo stato liquido, viene prelevata

tramite una pipetta mentre se presente sottoforma di macchia deve essere ritagliato il

substrato imbrattato e infine, in entrambi i casi, conservati in frigorifero.

Tecniche utilizzate: principalmente si usa la luce U.V che rende le macchie

fluorescenti.

Diagnosi generica: si procede alla ricerca principalmente di urea, acido urico,

urocromo, creatinina e cataboliti steroidei.

Identificazione individuale: è possibile tramite l’identificazione di sostanze gruppo-

specifiche seppur spesso, presenti in quantità esigua. Nel caso in cui siano presenti delle

cellule di sfaldamento delle vie urinarie, è possibile prelevare il DNA.

6.5.4 Muco

Il muco è il prodotto di secrezione di particolari ghiandole annesse agli epiteli che

rivestono quelle cavità dell’organismo comunicanti con l’ambiente esterno.

Aspetto: liquido.

Consistenza: densa e vischiosa.

Composizione:

- Mucopolisaccaridi in forma libera e combinati con proteine;

- Mucoproteine;

- Globuli bianchi provenienti dal sangue;

- Cellule di sfaldamento provenienti dalla parete delle cavità;

- Batteri.

In condizioni patologiche: nei processi infiammatori che riguardano la mucosa, la

quantità di muco aumenta considerevolmente mescolandosi con l’essudato prodotto dal

processo flogistico con successiva formazione del catarro.

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6.5.4.a Muco nasale

Caratteristiche: è ricco di cellule epiteliali cilindriche e prismatiche cigliate; a volte è

associato a vibrisse.

Ritrovamento: viene effettuato sul cadavere ma più spesso su fazzoletti presentandosi

sottoforma di macchie crostose più o meno ampie.

Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e poste

preferibilmente in frigorifero.

Tecniche di identificazione: raggi U.V che rendono le macchie fluorescenti.

Diagnosi: si procede alla ricerca di mucopolisaccaridi e cellule di sfaldamento delle

mucose interne.

Identificazione individuale: è possibile tramite l’analisi del DNA effettuabile a livello delle

cellule di sfaldamento delle mucose.

6.5.4.b Muco cervicale

Caratteristiche: è un liquido filante e alcalino prodotto dalla secrezione delle ghiandole del

collo dell’utero.

- Può essere prodotto in eccesso in caso di lacerazioni del collo (parto o violenza

sessuale);

- Abbondante durante l’ovulazione e durante la gravidanza costituisce un tappo

gelatinoso impedendo la penetrazione di batteri per protezione del feto.

Ritrovamento: sia sul cadavere che su indumenti.

Repertazione: le tracce sospette devono essere conservate in sacchetti di carta e poste

preferibilmente in frigorifero.

Analisi di laboratorio: essiccandosi su un vetrino, cristallizza formando arborizzazioni a

felce.

Diagnosi: si procede alla ricerca di mucopolisaccaridi e cellule di sfaldamento delle

mucose interne.

Identificazione individuale: possibile tramite l’analisi del DNA effettuabile a livello delle

cellule di sfaldamento delle mucose uterine.

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6.5.5 Placenta

Aspetto: forma discoidale, appiattita, di consistenza carnea soffice, di colorito

violaceo e, a fine gravidanza presenta un diametro di circa 15-20 cm e dello spessore di

circa 3 cm. Il peso medio è di circa 500 gr ed è caratterizzata dalla presenza di un versante

mammellonato ed uno liscio, a livello del quale, centralmente, si impianta il moncone del

cordone ombelicale.

Ritrovamento: spesso è riferito a cadaveri di feti o neonati associati ad infanticidio

o aborto criminoso.

6.5.6 Liquido seminale

Lo sperma corrisponde al liquido emesso tramite l’eiaculazione delle vie genitali

maschili attraverso il meato uretrale esterno, nel quale sono contenuti gli spermatozoi

prodotti dai testicoli. La quantità prodotta varia da 2 a 5 ml a seconda del soggetto.

Aspetto:

- Liquido biancastro e torbido, a reazione alcalina e con odore caratteristico.

- Dopo circa 20- 30 minuti si liquefa spontaneamente, trasformandosi in un liquido

traslucido, torbido e viscoso.

- Dopo alcune ore, all’aria si secca formando crosticine bianche e traslucide.

Consistenza: gelatinosa.

Composizione:

- Spermatozoi, il cui numero può variare da 60 milioni a 200 - 400 milioni per ml;

- Secreti di ghiandole annesse all’apparato genitale (liquido seminale) tra cui

prostata, vescichette seminali e ghiandole bulbo uretrali;

- Liquido lattescente di produzione prostatica;

- Liquido chiaro e filante, con funzione lubrificante prodotto dalle vescichette

seminali;

Ritrovamento:

- Sulla cute della vittima (tipico di reati sessuali);

- Fra i peli del pube;

- Sulla biancheria e sugli indumenti, sulle lenzuola e coperte;

- Sul pavimento;

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- A livello delle cavità naturali (bocca, vagina e ano). Nella vagina si conserva per

molte ore. Lo sperma è stato, infatti, rinvenuto anche in corpi riesumati andati

incontro a processi di mummificazione.

Repertazione: devono essere eseguite le istruzioni illustrate per la repertazione del sangue.

In caso di violenza o stupro l’operatore deve prestare particolare attenzione al liquido

seminale eventualmente presente ancora nelle cavità naturali della vittima in modo tale che

possa essere prelevato tramite quadratini di tessuto di cotone bianco e successivamente

congelato. La sostanza ottenuta non deve essere trattata con reagenti chimici in modo tale

da non compromettere il successivo esame del DNA.

Tecniche di identificazione:

- L’Acid Phosphatase Test è considerato il test più attendibile per rilevare la presenza

di sperma attraverso l’evidenziazione della fosfatasi acida; questo enzima infatti è

dalle 20 alle 4000 colte superiore nello sperma umano che in ogni altro tipo di

fluido corporeo. Il reagente alla base del test non deve essere applicato direttamente

sulla macchia sospetta al fine di evitare la contaminazione dell’intero campione

della sostanza da analizzare successivamente in laboratorio. Pertanto deve essere

eseguito sul posto come segue:

Prendere un pezzo di carta assorbente pulita e inumidirla con acqua

distillata;

Premere il pezzo di carta inumidito direttamente sull’area che contiene la

macchia sospetta;

Applicare il reagente direttamente sul pezzo di carta precedentemente

entrato in contatto con la macchia.

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Fig. 77 kit per reati sessuali

- Luce ultravioletta: crea una florescenza bianco-azzurrognola e permette di

individuare lo sperma presente a livello della stoffa o di altro materiale, (non è

specifica perché dipende dal contenuto di flavina).

- Aspirazione diretta o lavaggio con soluzione fisiologica: permettono di ottenere le

secrezioni vaginali, orali e rettali.

- Test di Florence: si tratta di un test di screening preliminare ma non specifico

poiché altri liquidi tessutali sia umani che animali, sono molto ricchi di colina. Le

procedure per la realizzazione del test sono le seguenti:

Si crea un’ estratto del tessuto da analizzare mediante acqua distillata e riscaldata.

Alcune gocce dell’estratto vengono poste su un vetrino portaoggetti e si trattano

con un reagente costituito da iodio (2,54 g), da ioduro di potassio (1,65 g) e da

acqua distillata (30 ml).

In caso di positività avviene la formazione di cristalli rombici o aghiformi di

periodato di colina.

- Test di precipitazione: rappresenta un test specifico, in cui vengono utilizzati dei

sieri antisperma adsorbiti con siero umano.

- Determinazione della fosfatasi acida: può essere individuata anche in macchie

vecchie di alcuni mesi. La sua presenza in elevate quantità è indice di positività

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anche in soggetti azoospermici. È presene sia nella prostata umana sia in quella di

Macacus Rhesus.

- Evidenziazione di sostanze gruppo specifiche: in questa tecnica vengono utilizzati

gli antisieri specifici. Il liquido vaginale, oltre a batteri, contiene anch’esso sostanze

gruppo specifiche che possono complicare l’identificazione individuale.

- Ibridazione con sonde al DNA: vengono utilizzati gli spermatozoi e dal DNA

fingerprint ottenuto si procede al confronto con quello del presunto aggressore.

- Identificazione individuale: possibile tramite l’analisi del DNA.

6.5.7 Peli e capelli

I peli sono formazioni cutanee filiformi, derivati dall’epidermide e costituiti da

cellule completamente cheratinizzate. Ogni pelo ha origine dal follicolo pilifero. Tutta la

superficie corporea è ricoperta da peli ad eccezione dei palmi delle mani e dei piedi. I peli

sono strutture molto resistenti alla degradazione e si possono trovare sul luogo del reato e

frequentemente si verifica il loro trasferimento da una persona all’altra e ad oggetti. I

capelli sono particolari tipi di peli che ricoprono la cute della volta del cranio. La loro

struttura è simile a quella degli altri peli presenti sulla superficie epidermica. Il colore, la

forma e la lunghezza variano da un soggetto all’altro e costituiscono importanti caratteri

fisici per l’antropologia in quanto permettono di definire il tipo fisico delle diverse

popolazioni.

Struttura:

- Sono costituiti da 4 parti: il bulbo, la radice il fusto e la punta.

- Il bulbo e la radice sono circondati dalla guaina pilifera costituita da vari strati

cellulari e la cui funzione è quella di permettere lo scorrimento del pelo.

Nell’estremità inferiore del bulbo è alloggiata la papilla del pelo.

- Sono costituiti da 4 strati concentrici: la sostanza midollare (quella più interna), la

sostanza corticale e la cuticola (che rappresenta il rivestimento esterno).

Il colore dei peli è legato principalmente ai granuli di pigmento (melanina) che si

trovano soprattutto nella corticale e i quali si formano nel follicolo dai melanociti. Quando

il follicolo è vicino alla fine del suo ciclo di crescita, sia la formazione della melanina che

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quella della midollare cessano improvvisamente e l’ultimo segmento del pelo risulta

pertanto privo di colore e di midollare.

Ritrovamento: peli e capelli si possono prelevare sia a ridosso del cadavere che dei suoi

indumenti o nelle zone circostanti la vittima stessa (pavimento, oggetti ecc.).

Repertazione: deve essere effettuata asportandoli con mano guantata, con l’ausilio di

apposite pinzette e ponendoli in opportune custodie come provette, sacchetti di carta e

plastica. Il prelievo di capelli su persona indiziata, ovviamente disposto dal magistrato,

deve essere compiuto asportando le formazioni pilifere, complete di bulbo, da diverse parti

del cuoio capelluto oppure invitando il soggetto a pettinarsi o passare le dita delle proprie

mani fra i capelli.

Principali strumenti utilizzati: microscopio ottico e microscopio elettronico.

Diagnosi generica: effettuabile tramite l’osservazione macroscopica e microscopica; è

utile per poter escludere filamenti vegetali o sintetici i quali possono essere confusi con

peli e capelli.

Diagnosi specifica: si basa su un’osservazione particolarmente dettagliata delle varie

componenti del pelo:

- Nell’uomo la sostanza midollare è scarsamente rappresentata al contrario della

sostanza corticale.

- L’indice diametro nell’uomo è: midollo/diametro totale è < 0,30 mm.(L’indice

diametro nell’animale è: midollo/diametro totale è > 0,50 mm).

- Senza una opportuna colorazione le cellule midollari non sono visibili al

microscopio.

- Nell’uomo, il contenuto aereo della struttura midollare è rappresentato da

minuscole bollicine.

- Il pigmento corticale è distribuito in granuli molto fini.

- Nell’uomo, a differenza dell’animale, la cuticola è molto sottile e formata da

squame a tegola, scarsamente sporgenti.

Diagnosi regionale: è un tipo di diagnosi che si basa sulle caratteristiche morfologiche dei

vari tipi di peli. Infatti essi, a seconda della zona del corpo in cui sono collocati, si

distinguono in:

- Capelli: presenti sul capo e con l’estremità tagliata;

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- Barba e baffi: sono presenti sul volto, con estremità tagliata e diametro maggiore

rispetto agli altri. Anche la sostanza midollare è più abbondante;

- Ciglia e sopracciglia: hanno una sezione ovale;

- Vibrisse: si trovano nel vestibolo nasale;

- Tragi: presenti nel condotto uditivo esterno;

- Hirci: sono i peli ascellari, tipicamente ricciuti;

- Pubes: rappresentano i peli del pube, anch’essi arricciati;

- Peluria: l’insieme di peli più fini, tipici di altre regioni corporee e dei bambini.

Sono privi di sostanza midollare.

Diagnosi di sesso: è possibile mediante la ricerca della cromatina sessuale e del

cromosoma Y sia nelle cellule della radice che in quelle della guaina o della corticale.

Diagnosi individuale:

- prevede la ricerca di agglutinogeni presenti nella midollare.

- ricerca i polimorfismi enzimatici sia nelle cellule del bulbo che in quelli della

guaina pilifera.

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7. Le impronte digitali

Il pilastro della Classificabilità enunciato da Francis Galton sanciva che, nonostante

la disposizione delle creste cutanee papillari possa dare origine a combinazioni di disegno

pressoché infinite, le impronte digitali possono essere classificate sulla base delle loro

caratteristiche generali. Dall’analisi di queste ultime, riportata di seguito, è possibile

ricondurre le impronte a quattro differenti tipologie di figura:

Adelta, Monodelta, Bidelta e Composta.

L’insieme delle creste cutanee costituenti la figura papillare è suddiviso in tre

sottoinsiemi, detti Sistemi di Linee, i quali appartengono alla categoria delle caratteristiche

generali proprie di ogni impronta. La loro generalità è racchiusa nel fatto che questi sistemi

di linee non riguardano l’articolazione concreta del disegno digitale (la trama), ma ne

definiscono semplicemente i limiti spaziali di riferimento. I tre sistemi di linee sono i

seguenti:

- Sistema Marginale o Periferico (sezione A della figura): è formato dall’insieme

delle linee parallele al margine superiore del polpastrello. Queste linee ad arco

definiscono il limite superiore e quelli laterali (sinistro e destro) della figura;

- Sistema Centrale o Precipuo (sezione B della figura): è costituito dall’insieme di

linee, situate nel mezzo degli altri due sistemi, che disegnano la figura al centro del

polpastrello, le quali possono avere differenti direzioni e dare origine a svariate

figure; esempio: cerchi concentrici, spirale (vedi figura), eccetera;

- Sistema di Base o Basilare (sezione C della figura): è composto dall’insieme di

linee pressoché parallele che si trovano accanto alla piega della falangetta e che

definiscono il limite inferiore del disegno.

Fig. 78: Impronta papillare

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Individuati i sistemi di linee che delimitano l’impronta, la loro classificazione si

basa sull’esistenza, o sull’assenza, di altre due caratteristiche generali, dette anche Macro-

caratteristiche; le quali, come per i sistemi di linee, non riguardano la trama del disegno

papillare, ma il comportamento generale delle creste papillari che formano l’impronta. Tali

caratteristiche sono il Delta (o Triradio) ed il Centro di Figura. Il primo rappresenta una

figura idealmente triangolare formata della convergenza di tre creste cutanee (ognuna

appartenente ad uno dei tre sistemi di linee), provenienti da direzioni differenti, che ne

identificano i tre lati concavi. Il secondo, come dice la parola stessa, è semplicemente la

parte centrale dell’impronta, nella quale le creste tendono a racchiudersi su se stesse, dando

origine ad una particolare figura: cerchi concentrici, spirale, ansa, eccetera.

Descritti questi elementi, quali fattori determinanti alla classificazione, è giunto il

momento di analizzare singolarmente le quattro differenti tipologie di figura, all’interno

delle quali è possibile ricondurre tutte le impronte digitali: Adelta, Monodelta, Bidelta e

Composta.

Fig. 79: Figura Adelta

(abbastanza rara)

Fig. 80: Figura Monodelta

(abbastanza comune)

Fig. 81: Figura Bidelta

(abbastanza comune)

Fig. 82: Figura Composta

(abbastanza rara)

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Nella figura adelta i tre sistemi di linee scorrono in modo trasversale al

polpastrello. Il termine adelta deriva proprio dalla mancanza di delta nella figura; infatti,

tutte le creste cutanee entrano da un lato del polpastrello e fuoriescono da quello opposto.

In questo tipo d’impronte risulta molto difficile identificare il centro di figura.

Nella figura monodelta le creste cutanee appartenenti al sistema centrale partono da

un lato del polpastrello (destro o sinistro) e, dopo averne raggiunto il centro, invertono il

senso di marcia per uscire dal medesimo lato dal quale hanno avuto origine. Questa

caratteristica comporta la formazione di un triangolo ideale (delta) e di un centro di figura

(a forma di ansa).

Nella figura bidelta le creste cutanee appartenenti al sistema centrale di linee

restano intrappolate tra il sistema marginale e quello di base, avendo per conseguenza la

formazione di due triangoli ideali (delta) posti rispettivamente nel lato destro e sinistro

della figura. Le linee del sistema centrale, così prigioniere, assumono una particolare forma

(vortice, spirale, eccetera) attraverso la quale è possibile identificarne il centro di figura.

La figura composta non è altro che la variante complessa della precedente, nella

quale il sistema centrale di linee è formato da due fasci di creste cutanee a forma di ansa

che danno origine ad una ideale figura a forma di lettera “S”. Viene denominata composta

proprio per la simultanea presenza di due delta e di due centri di figura.

Partendo dalla classificazione operata da Francis Galton, il vice commissario di

polizia Giovanni Gasti14 (1869 – 1939) ideò il sistema di classificazione decadattiloscopico

denominato Formula Dattiloscopica. Il termine formula deriva dal fatto che tale nuovo

strumento di catalogazione prende in considerazione tutte e dieci le impronte digitali delle

mani di un soggetto; attribuendo ad ognuna di esse, sulla base delle proprie caratteristiche,

un valore compreso tra 0 e 9. Il numero che ne deriva viene suddiviso in tre parti: Serie,

Sezione e Numero. Le dita prese in considerazione al fine di comporre tale sequenza

numerica sono le seguenti:

- Serie: composta dai simboli dattiloscopici attribuiti ad indice, pollice ed anulare

della mano sinistra;

- Sezione: composta dai simboli dattiloscopici attribuiti ad indice, pollice ed anulare

della mano destra;

14 F. Leonardi (direttore generale della P.S.) lo affiancò a Salvatore Ottolenghi nella direzione della Scuola di Polizia Scientifica di cui alla nota precedente.

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- Numero: composto dai simboli dattiloscopici attribuiti al medio ed al mignolo della

mano sinistra e successivamente della destra.

La corrispondenza di ogni impronta ad un determinato simbolo, e la conseguente

attribuzione del suo valore compreso tra 0 e 9, dipende dalle caratteristiche e dalla

morfologia dell’impronta, ferme restando le quattro principali figure di riferimento

identificate da Francis Galton. In tale valutazione riveste un ruolo di fondamentale

importanza la presenza, o l’assenza, del delta e del centro di figura, nonché il numero di

linee esistenti tra essi. I dieci simboli individuati da Gasti per elaborare la sua

classificazione sono:

- Simbolo 1: impronta con figura adelta;

- Simbolo 2: impronta con figura monodelta di tipo radiale, dove l’ansa del fascio di

linee (centro di figura) si apre in direzione del radio della mano, a prescindere dal

numero di creste papillari componenti il sistema centrale di linee;

- Simbolo 3: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, dove l’ansa del fascio di

creste papillari (centro di figura) si apre in direzione dell’ulna della mano, ed il

numero di linee comprese tra il delta ed il centro di figura è uguale od inferiore a

dieci;

- Simbolo 4: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, nella quale il numero di

linee comprese tra il delta ed il centro di figura è superiore a dieci ma inferiore a

quindici;

- Simbolo 5: impronta con figura monodelta di tipo ulnare, nella quale il numero di

linee comprese tra il delta ed il centro di figura è superiore a quindici;

- Simbolo 6: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è posta

oltre due linee sopra la base del delta di destra;

- Simbolo 7: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è

posizionata fra due linee sotto o due linee sopra rispetto alla base del delta di

destra;

- Simbolo 8: impronta con figura bidelta, dove la base del delta di sinistra è posta

oltre due linee sotto la base del delta di destra;

- Simbolo 9: impronta con figura composta, oppure con figura non rientrante in

quelle comprese nei simboli precedenti;

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- Simbolo 0: impronta mancante dovuta all’asportazione della falange, oppure

indecifrabile per qualsivoglia ragione.

Dopo aver esaminato le impronte digitali di un soggetto, ed averne identificati i relativi

simboli di riferimento, la formula dattiloscopica derivatane viene inserita all’interno del

Casellario Centrale d’Identità, sul quale vengono indicati tutti i caratteri generali e

particolari del soggetto segnalato. Su questo documento vengono riportate le seguenti

informazioni ed immagini:

- Dati anagrafici;

- Motivo del segnalamento;

- Connotati cromatici: colore della pelle, degli occhi, eccetera;

- Connotati salienti: struttura, corporatura, robustezza, adiposità, dimensione e forma

del viso, eccetera;

- Contrassegni: propriamente detti (cicatrici, tatuaggi, eccetera), per imperfezioni

fisiche (deformazioni, mutilazioni, ed altro), per anomalie di conformazione

(gigantismo, nanismo, eccetera) ed eventuali altri caratteri molto salienti;

- Fotografie del soggetto: di profilo destro, di fronte ed in piedi;

- Impronte digitali: delle cinque dita di entrambe le mani;

- Impronte palmari: di entrambe le mani.

Relativamente alla necessità di segnalamento di un soggetto, risulta intuitiva la

sequenza di azioni che devono essere compiute per poterne effettuare l’identificazione

dattiloscopica:

1. Compilazione del Casellario Centrale d’Identità;

2. Acquisizione delle impronte;

3. Classificazione delle impronte;

4. Composizione della formula dattiloscopica, la quale dovrà essere riportata sia sul

Casellario Centrale d’Identità, sia sulla Scheda Decadattiloscopica;

5. Archiviazione alfabetica del Casellario Centrale d’Identità;

6. Archiviazione della Scheda Decadattiloscopica nell’apposito schedario.

Appare evidente che l’attività di segnalamento, e la relativa ricerca compiuta sul

Casellario Centrale d’Identità, possono consentire di evidenziare:

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A. se le generalità fornite da un soggetto all’atto del primo segnalamento

corrispondono, o meno, a quelle dichiarate in occasione di successivi segnalamenti;

B. se un nominativo risulta già segnalato e, se si, quante volte e per quale motivo;

C. quanti nominativi risultano segnalati con le medesime impronte digitali.

Fig. 83

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

7.1 La Pratica: le impronte digitali sulla scena del crimine

Data l’invasività delle sostanze utilizzate, i rilievi dattiloscopici costituiscono

l’ultima attività che viene espletata durante il sopralluogo compiuto sulla scena di un

crimine. Fatta questa precisazione, è giusto iniziare la trattazione evidenziando che, in tale

circostanza, gli operatori della Scientifica possono trovarsi di fronte ad impronte digitali

visibili oppure latenti.

Le impronte digitali visibili, come intuibile, sono quelle che possono essere viste ad

occhio nudo, in quanto:

- lasciate mediante il contatto delle creste papillari, sporche di particolari sostante

(esempio: sangue, inchiostro, eccetera), con una superficie. Queste vengono

definite impronte per sovrapposizione;

- lasciate in conseguenza dell’affondamento oppure della semplice pressione delle

creste papillari su sostanze malleabili (esempio: cera, stucco, eccetera).

Diversamente, queste vengono definite impronte per modellamento.

Queste tipologie d’impronte devono essere fotografate con affianco una striscia

metrica (al fine di averne le dimensioni reali), nonché utilizzando i dovuti accorgimenti

tecnici (quali ad esempio l’uso di: filtri, luce polarizzata, luce radente) al fine di poterne

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esaltare al massimo il contrasto con la superficie di rinvenimento. Quando è materialmente

possibile, il supporto sul quale l’impronta è stata impressa deve essere prelevato e

custodito come prova. Qualora ciò non sia possibile (come nel caso dell’impronta di una

mano insanguinata sul muro), sarà la fotografia ad acquisire il ruolo di prova nel processo.

Le impronte digitali latenti, rappresentanti la categoria più comunemente

rinvenibile sulla scena del crimine, sono quelle non visibili ad occhio nudo. Queste si

formano conseguentemente alla deposizione della secrezione papillare sul materiale

toccato. I pori situati sulla sommità delle creste cutanee papillari, in occasione del contatto

con un oggetto, secernono una sostanza composta quasi interamente da acqua (99,5%), alla

quale sono aggiunte altre sostanze: urea, acidi grassi volatili, solfati, cloruro di sodio,

cloruro e carbonato di potassio, fosfato di magnesio e di calcio. La quantità e la qualità

della sostanza che viene secreta dipende da vari fattori: il grado di secchezza della cute, le

condizioni fisiologiche del soggetto, la pressione esercitata, le caratteristiche dell’oggetto,

nonché le condizioni atmosferiche.

Essendo invisibili, l’asportazione di queste impronte da un oggetto deve conseguire

ad una preliminare operazione di esaltazione: attraverso la quale vengono rese visibili ad

occhio nudo. La più comune tecnica di esaltazione consiste nell’utilizzo di polveri

esaltatrici (metodo fisico), (Fig. 92-95), l’applicazione delle quali richiede l’utilizzo di un

apposito pennello. Queste possono essere:

- a base di ossido: adatte per l’impiego su superfici verniciate o lisce;

- a base di metallo: adatte per superfici cromate o lucidate;

Fig. 84 Silver Blaok

Powder Fig. 85 Silver Gray Powder

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Fig. 86 Silver Red Powder

Fig. 8715 Silver Galvanio Powder

- a base magnetica: utilizzabili su superfici che non contengono ferro od acciaio

(Fig. 88, 89);

Fig. 88 Fig. 89

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

Fig. 90

- a base mista: sono adatte all’utilizzo su molte superfici in quanto combinano le

proprietà delle polveri a base di ossido e di metallo;

- fluorescenti (a base di ossido): vengono impiegate per ovviare al problema della

multicolorazione della superficie di lavoro. Successivamente all’applicazione, il

15 Catalogo SIRCHIE

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luogo deve essere oscurato e l’impronta osservata attraverso una luce ultravioletta

ad onde lunghe;

Fig. 91 16

- a doppia funzione: permettono la visualizzazione dell’impronta sia mediante

l’utilizzo di una luce ultravioletta che senza;

- adhesive side powder: utilizzate su superfici adesive (esempio il comune nastro

adesivo). Prima dell’uso è necessario bagnare la superficie.

Fig. 92 Fig. 93

16 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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Fig. 94 Fig. 95

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

In conseguenza dell’applicazione, la polvere si legherà con la componente acquosa

e grassa secreta dai pori situati sulle creste cutanee papillari. Rimuovendo delicatamente la

polvere in eccesso (utilizzando un pennello a piuma od un soffietto), quella assorbita

lascerà evidente l’impronta digitale. La quasi totalità di queste polveri è disponibile in

varie colorazioni, così da poter fornire un ottimo contrasto in presenza di qualsivoglia

colorazione della superficie di lavoro.

Le polveri vengono utilizzate per rivelare le impronte latenti presenti sui seguenti

supporti:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera), (Fig. 96);

Fig. 96 17

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);

- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura,

ma solo in caso di impronte recenti;

- cera e superfici incerate non metalliche;

- legno grezzo liscio;

17 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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- metalli non trattati;

- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle;

- superfici rivestite di sostanza adesiva (esempio: nastro adesivo, eccetera),

limitatamente al solo utilizzo delle adhesive side powder;

- polistirolo, ma solo dopo il trattamento coi fumi di cianoacrilato.

Considerando che l’impiego delle polveri esaltatrici (nel caso di un’impronta vecchia)

può non garantirne la corretta esaltazione (nonché, eventualmente, danneggiarla così da

vanificare il successivo utilizzo di altri metodi), l’operatore del sopralluogo (sulla base

della propria esperienza e delle circostanze di fatto) deve valutare quale sia il metodo più

adatto a garantire la migliore esaltazione dell’impronta latente della quale sospetta la

presenza, provvedendo (in caso di necessità) a mettere in sicurezza l’oggetto al fine di

portarlo in laboratorio per utilizzare una tecnica di esaltazione (chimica o fisica) non

praticabile direttamente sulla scena del crimine. La messa in sicurezza avviene utilizzando

i medesimi accorgimenti adottati per il trasporto dei substrati sui quali sono impresse le

impronte visibili (vedi oltre).

La costante evoluzione del progresso tecnologico e scientifico ha permesso

l’introduzione di nuovi metodi di esaltazione delle impronte digitali latenti, basati su

principi di carattere chimico e fisico. Tra questi complessi metodi vanno annoverati:

- I fumi di iodio (Fig. 97, 98);

- La ninidrina (Fig. 99, 101);

- Il DFO (Fig. 100, 101);

Fig. 97 Fig.98

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Fig. 99 Fig. 100

Fig. 101 Fig. 102 18

- Il nitrato d’argento (Fig. 102);

- Lo sviluppatore fisico;

- La deposizione metallica;

- Lo small particle reagent (Fig. 103);

- L’amido black;

- Le tinture fluorescenti;

- La luminescenza laser;

- I fumi di ciano acrilato (Fig. 104);

Fig. 103 Fig. 104

18 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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Nel metodo dei fumi di iodio, i cristalli di iodio vengono esposti al calore, subendo

così un processo di sublimazione: al termine del quale acquistano lo stato gassoso. Questo

metodo viene prevalentemente utilizzato per le impronte fresche, in quanto i fumi

reagiscono con la componente grassa ed oleosa dell’essudato digitale (prima che questa

svanisca), mettendone in evidenza il disegno. Devono essere impiegati prima dell’utilizzo

della ninidrina e del nitrato d’argento. Questa procedura deve essere espletata all’interno di

un ambiente dotato dei necessari dispositivi di sicurezza, volti a tutelare la salute

dell’operatore. I fumi di iodio vengono utilizzati sui seguenti supporti:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);

- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);

- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle.

Relativamente ai fumi di cianoacrilato, i cianoacrilati sono gli estratti dell’acido

cianoacrilico e sono dotati di una fortissima componente adesiva. Venendo vaporizzati e

messi a contatto con la superficie interessata, i vapori di cianoacrilato (data la loro

reattività in presenza di tracce d’acqua) si polimerizzano (con l’essudato papillare)

formando un composto solido (di colore bianco) che si modella sulle creste papillari:

provocandone l’evidenziazione. Tale esame viene fatto all’interno di un teca o tenda (a

seconda delle dimensioni dell’oggetto), al fine di non permettere la fuoriuscita dei vapori.

In caso si debba ricercare un’impronta su di un supporto non trasportabile, è possibile

utilizzare un bruciatore portatile in grado di mettere a contatto i fumi di cianoacrilato con

la superficie interessata. In questo caso è bene che la zona d’azione sia ventilata. Senza

l’utilizzo di acceleranti, le impronte latenti vengono evidenziate nel giro di diverse ore.

Dopo l’evidenziazione dell’impronta è possibile aumentarne il contrasto attraverso

l’utilizzo di polveri esaltatrici o coloranti chimici appositi. Essendo un atto irripetibile,

l’espletamento di questo metodo è soggetto a tutte le dinamiche processuali riguardanti

questa specifica categoria di atti. I fumi di cianoacrilato vengono utilizzati sui seguenti

supporti:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);

- superfici ruvide e non porose;

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);

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- metalli non trattati;

- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle;

- cera e superfici incerate;

- polistirolo.

Il metodo della ninidrina è particolarmente efficace per evidenziare le impronte

molto vecchie. Si tratta di un indicatore specifico per il rilevamento di amminoacidi, in

presenza dei quali reagisce dando una colorazione rosso-violetta. La superficie interessata

viene spruzzata con una soluzione di ninidrina in acetone o freon. Lo sviluppo

dell’impronta è particolarmente lento (possono essere necessari anche giorni), ma può

essere accelerato utilizzando una fonte di calore ed umidità. Viene utilizzata dopo

l’impiego dei fumi di iodio e prima del nitrato d’argento. Questa procedura deve essere

espletata all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. La

ninidrina viene utilizzata sui seguenti supporti, i quali non devono essere stati esposti

all’acqua:

- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;

- legno grezzo.

Il DFO (1,8-Diazafluoren-9-One) è un reagente molto simile alla ninidrina. Questa

sostanza reagisce in presenza degli amminoacidi, divenendo fluorescente. Il lento

procedimento di esaltazione delle impronte (per lo sviluppo delle quali possono essere

necessarie alcune ore od addirittura giorni) può essere accelerato mediante l’utilizzo di una

fonte di calore. Le impronte così evidenziate sono meglio visibili ad occhio nudo rispetto a

quelle rivelate dalla ninidrina. Deve essere usato prima dell’eventuale impiego di

quest’ultima. Anche questo metodo deve essere espletato all’interno di un ambiente

ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. Il DFO viene impiegato su carta e cartone

che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura.

Il nitrato d’argento è una sostanza che si lega alle componenti clorate presenti nel

liquido biologico secreto dai pori papillari. Contrariamente ad altri metodi chimici

(esempio la ninidrina), le impronte così evidenziate non tendono a sparire, ma si

sviluppano sempre di più, quanto più vengono a contatto con la luce. Questa peculiarità

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comporta la necessità di fotografarle prima che la sostanza saturi la superficie interessata.

Questo metodo deve essere utilizzato dopo la ninidrina ed i fumi di iodio. L’impiego di

questa procedura deve avvenire all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita

cappa aspirante. Il nitrato d’argento viene utilizzato sui seguenti supporti, i quali non

devono essere stati esposti all’acqua:

- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;

- legno grezzo chiaro.

Lo sviluppatore fisico è un reagente acquoso a base d’argento che reagisce con le

componenti sebacee dell’essudato digitale, formando una pellicola di colore grigio-

argento. Essendo più sensibile della ninidrina e del DFO è in grado di esaltare impronte

che queste due sostanze non sono state in grado di evidenziare. Può essere impiegato al

posto del nitrato d’argento, soprattutto dopo l’impiego del DFO o della ninidrina, ed inoltre

deve essere utilizzato dopo quest’ultima ed i fumi di iodio. Questa procedura deve essere

espletata all’interno di un ambiente ventilato o sotto un’apposita cappa aspirante. Lo

sviluppatore fisico viene usato sui seguenti supporti, i quali possono essere stati esposti

all’acqua:

- carta e cartone che non abbiano subito un processo di plastificazione od inceratura;

- legno grezzo chiaro.

Il metodo della deposizione metallica è una complessa procedura, composta da due

fasi, che richiede l’utilizzo di apparecchiature specifiche capaci di creare una condizione di

vuoto. Nella prima fase viene fatto evaporare dell’oro che, condensandosi sulla superficie

in esame, non si deposita sulle componenti grasse della secrezione papillare. Nella seconda

fase viene vaporizzato dello zinco il quale, a contatto con la superficie, andrà a creare un

contrasto con l’oro, per mezzo del quale si evidenzierà l’impronta digitale. La deposizione

metallica viene utilizzata per esaltare le impronte presenti sui seguenti supporti:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera).

Il metodo dello small particle reagent (SPR) si basa sul principio attivo del

disolfuro di molibdeno il quale viene applicato alla superficie interessata mediante spruzzo

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od immersione della stessa. Aderendo alle componenti grasse della secrezione papillare dà

origine ad una patina gialla in corrispondenza dell’impronta, la quale deve essere

prontamente fotografata. Può essere utilizzato in sostituzione dello sviluppatore fisico,

oppure successivamente ad esso. Questa procedura viene utilizzata sui seguenti supporti,

anche se bagnati od umidi:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);

- superfici ruvide e non porose;

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);

- metalli non trattati;

- PVC, gomma, pelle ed eco-pelle.

L’amido black reagisce con le proteine presenti nel sangue dando vita ad una

reazione chimica che colora l’impronta di nero. Questa procedura viene utilizzata per

esaltare le impronte contaminate dal sangue su superfici non porose o leggermente porose,

nonché per evidenziare le impronte di sangue presenti sulla pelle dei cadaveri.

Le tinture fluorescenti si legano ai residui delle impronte e ne permettono

l’evidenziazione attraverso l’utilizzo di una luce ultravioletta. Queste vengono utilizzate

sui seguenti supporti:

- superfici lisce e non porose (esempio: vetro, plastica dura, eccetera);

- superfici ruvide e non porose;

- materiale plastico (esempio: polietilene, carta laminata, eccetera);

- metalli non trattati;

- cera e superfici incerate;

- polistirolo, ma solo dopo il trattamento coi fumi di cianoacrilato.

Il metodo della luminescenza laser sfrutta particolari fonti d’illuminazione, quali:

raggi ultravioletti, infrarossi, eccetera. Per mezzo di una particolare reazione, alcune fonti

luminose rendono fluorescente la riboflavina (presente nelle sostanze grasse secrete dalle

creste cutanee), rendendo visibile l’impronta ad occhio nudo. Oltre a questo utilizzo

“diretto”, la luminescenza laser viene anche impiegata come supporto volto a migliorare

l’esaltazione delle impronte digitali latenti trattate con appositi reagenti (esempio il DFO).

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Questo stesso progresso ha attualmente reso possibile il rilevamento delle impronte

digitali latenti presenti sul cadavere della vittima. La concreta possibilità della loro

esaltazione è vincolata all’interazione dei seguenti elementi: lo stato di conservazione della

pelle, il grado di traspirazione, il tempo trascorso dall’apposizione dell’impronta, la

pressione esercitata dalle dita (ad esempio durante uno strangolamento compiuto a mani

nude), nonché la limitata manipolazione del cadavere. Tale operazione può essere

compiuta utilizzando metodi semplici quali i fumi di iodio, i fumi di cianoacrilato e la

luminescenza laser, oppure mediante l’impiego di tecniche complesse come

l’elettronografia e non solo. Data la complessità di queste ultime, nonché considerata la

difficoltà di reperire informazioni chiarificatrici del loro concreto funzionamento, ai fini

dell’oggetto di questo paragrafo, il semplice accenno alla loro esistenza è doveroso (anche

se consapevolmente non esplicativo).

Il momento nel quale un’impronta è stata apposta su di una superficie potrebbe non

essere compatibile con le tempistiche dell’atto criminoso; pertanto, un’impronta potrebbe

trovarsi sulla scena di un crimine a seguito di un comportamento lecito ed antecedente

all’evento oggetto di rilevamenti. Sulla base di questa giusta considerazione, appare

evidente la necessità di affrontare la spinosa problematica della loro datazione.

Quest’ultima viene valutata in modo differente a seconda che l’impronta sia visibile oppure

latente.

Il substrato sul quale è stata apposta l’impronta visibile risulta tanto più pulito

quanto più quest’ultima è recente. Ciò deriva dal fatto che il passare del tempo, e la

conseguente deposizione della polvere, tendono a velare gradualmente il fondo sul quale si

sono poggiate le creste papillari, provocando l’invecchiamento dell’impronta. La

tempistica di manifestazione della velatura è legata alle condizioni ambientali presenti

sulla scena del crimine; pertanto gli elementi valutativi dallo stato dell’impronta hanno un

valore meramente orientativo, dovendo essere accuratamente vagliati alla luce di altre

circostanze acquisite, le quali devono avere ad oggetto la sede dell’impronta e l’eventuale

presenza di altri frammenti di disegno papillare rinvenuti su di essa.

Nell’impronta latente, esaltata attraverso l’utilizzo di polveri adeguate, l’analisi

temporale si fonda sulla patina di sostanza biologica che la caratterizza; infatti,

considerando che questa è in prevalenza costituita da acqua, nella quale sono presenti

alcuni sali, la datazione dell’impronta si desume in base al suo stato di evaporazione,

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nonché alla conseguente quantità di polvere esaltatrice depositatasi sul frammento. Se

l’evaporazione deve ancora avere inizio, la quantità di polvere sarà maggiore, mentre se il

processo di evaporazione è in corso, oppure si è concluso, tale quantità sarà notevolmente

ridotta. Anche in questo caso ci si trova di fronte a considerazioni meramente teoriche, in

quanto l’evaporazione della sostanza biologica presente nell’impronta dipende dalla

quantità di sostanza depositata dal soggetto al momento del contatto con la superficie,

nonché dalle condizioni ambientali della scena del crimine, le quali possono accelerare o

ridurre i tempi di evaporazione della stessa.

Per quanto riguarda il trasporto in laboratorio, al fine del conseguente esame, le

impronte visibili e latenti, rinvenute sulla scena del crimine, richiedono modalità di

approccio e messa in sicurezza molto differenti.

Quando è materialmente possibile, le impronte visibili devono essere trasportate

insieme al substrato sul quale sono state rinvenute. Data la necessità di non alterare la

prova, l’oggetto viene depositato in una scatola di cartone ed a questa assicurato, in modo

da impedire che l’impronta venga in contatto con qualsivoglia agente (sostanza, materiale

od altro) capace di danneggiarla.

Relativamente alle impronte latenti, successivamente all’esaltazione ed alla

conseguente documentazione fotografica (con affianco una striscia metrica), queste

vengono asportate utilizzando apposite superfici adesive trasparenti, formate da uno strato

rigido (sotto) ed uno mobile (sopra). La parte adesiva (mobile) viene posta in

corrispondenza dell’impronta al fine di catturare la polvere esaltatrice evidenziante il

disegno papillare. Questa procedura richiede molta attenzione volta ad impedire che

durante il processo di adesione si formino delle bolle sulla superficie adesiva, le quali

rappresentano un danneggiamento dell’impronta (anche se correggibile in laboratorio). Lo

strato rigido ha una funzione di sicurezza, in quanto serve ad evitare che il supporto, una

volta prelevata l’impronta, possa accidentalmente piegarsi e deformarla.

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7.2 Il sistema A.F.I.S.

L’Automated Fingerprint Identification System (A.F.I.S.) è lo strumento

informatico col quale, negli ultimi anni, sono state velocizzate le procedure di

archiviazione, classificazione, ricerca e comparazione delle impronte digitali (Fig. 105).

Questo sistema permette il compimento delle seguenti operazioni in tempo reale:

- acquisire e memorizzare i dati contenuti in ogni Casellario Centrale d’Identità;

- acquisire e memorizzare i frammenti di impronte digitali rinvenuti sulla scena del

crimine;

- svolgere i confronti dattiloscopici (per esclusione, per sospetto oppure d’ufficio).

Fig. 105

Al fine di acquisire e successivamente archiviare le impronte digitali presenti sul

Casellario Centrale d’Identità, questo strumento utilizza la formula ideata dal poliziotto

britannico Edward Henry (1850 – 1931), la quale suddivide le impronte digitali in 4 figure

generali:

- Left loop :andamento sinistrorso delle creste papillari;

- Right loop :andamento destrorso delle creste papillari;

- Whorl: figura a spirale;

- Arch: figura ad arco.

Il sistema, sulla base della figura generale, assegna ad ogni impronta un codice letterale:

“L” (Left loop), “R” (Right loop), “W” (Whorl), “A” (Arch) oppure “U” (in caso di figura

mancante o indecifrabile); consentendo così di fornire ad ogni Casellario Centrale

d’Identità una chiave alfabetica composta da dieci lettere. Dopo aver compiuto questa

prima catalogazione del carattere generale di ciascuna impronta, la fase successiva consiste

nell’individuazione delle minuzie in essa contenute; le quali vengono classificate in base

alla loro topologia ed ubicazione. Da questi elementi un algoritmo estrae un codice

digitale, unico per ogni impronta. Questa operazione rappresenta una procedura critica del

sistema, per l’espletamento della quale può essere necessario l’intervento dell’operatore

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dattiloscopista. Quando un’impronta rinvenuta sulla scena di un crimine viene sottoposta

ad esame comparativo, l’A.F.I.S. provvede ad analizzarla ed a costruirne il codice

numerico (sulla base delle minuzie rilevate) . Terminato questo passaggio preliminare ed

essenziale, il sistema mette a confronto tale codice con quelli presenti in archivio,

individuando una lista di impronte (e relativi soggetti) aventi codici compatibili (secondo

parametri di dispersione prestabiliti rispetto al valore del campione elaborato). Conclusa la

ricerca, sullo schermo del computer compaiono (in ordine decrescente di corrispondenza)

le immagini delle impronte ritenute simili (nonché i dati dei soggetti a cui appartengono),

le quali dovranno essere esaminate singolarmente dal dattiloscopista al fine di verificare

quale tra esse coincida col frammento inserito per il confronto: avendo così la concreta

identificazione dattiloscopica.

Questa procedura lineare spesso si scontra con la realtà dei fatti e coi problemi ad

essa correlati. Le impronte rilevate sulla scena del crimine sono raramente perfette,

pertanto il tecnico dattiloscopista si trova sovente a dover lavorare su immagini

incomplete, sfuocate, sfumate od in qualche modo distorte. Per far fronte a questa

problematica, sono stati messi a punto dei metodi d’analisi e riproduzione capaci, in

presenza di un’impronta insoddisfacente, di estrapolarne le principali linee papillari,

potendo ricostruirne per proiezione, le parti mancanti. In tale circostanza il computer

presenterà al tecnico dattiloscopista una gamma di possibili ricostruzioni che, dopo essere

state da questi analizzate e convalidate, verranno codificate dal sistema e messe a

confronto coi codici di quelle presenti in archivio.

Il sistema A.F.I.S. è costituito da una banca dati centralizzata alla quale si accede

telematicamente attraverso i terminali dislocati presso vari uffici periferici (in dotazione

alle forze dell’ordine). La banca dati comprende due database: uno riguardante i casellari e

l’altro relativo ai frammenti. Nel primo sono registrati tutti i Casellari Centrali d’Identità

appartenenti ai soggetti identificati; mentre il secondo racchiude tutte le impronte digitali

rinvenute sulle varie scene del crimine e mai attribuite ad alcun soggetto.

Oltre al sistema A.F.I.S. esiste il Sottosistema Periferico Assunzione Impronte

Digitali (S.P.A.I.D.), il quale serve per registrare e controllare l’identità degli immigrati

clandestini. Questo strumento è stato ideato per essere utilizzato negli uffici non raggiunti

da una rete di comunicazione ad alta velocità (ad esempio i centri di prima accoglienza per

gli immigrati).

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7.3 Cenni sulle impronte palmari e plantari

Nonostante il termine dattiloscopia richiami l’attenzione solo sulle impronte

digitali, questo ramo della criminalistica si occupa anche delle impronte palmari (delle

mani) e plantari (dei piedi) rilevate sulla scena di un crimine.

Per quanto riguarda i palmi delle mani, questi sono costituiti dalle cosiddette creste

da attrito (friction ridges) le quali (similmente alle creste cutanee papillari) iniziano a

formarsi nella fase pre-natale del soggetto per poi completarsi e consolidarsi intorno al

settimo mese di vita intrauterina. Queste impronte restano invariate lungo tutto l’arco di

vita del soggetto, fino al sopraggiungere dei fenomeni putrefattivi post-mortem, sempre

che non si verifichino patologie capaci di modificarle o tentativi di alterazione compiuti

volontariamente dal soggetto stesso. Le numerose pieghe presenti sul palmo della mano

formano un’impronta (palmare) unica per ogni individuo.

Sulla base di questa notevole somiglianza con le impronte digitali, anche le impronte

palmari presenti sulla scena del crimine possono essere visibili oppure latenti. Come tali

vengono trattate nei medesimi modi, e con gli stessi accorgimenti con i quali l’agente della

Scientifica opera sulle impronte digitali; tanto che il sistema A.F.I.S. prevede la possibilità

di effettuare confronti e ricerche aventi ad oggetto questa tipologia d’impronte.

Discorso analogo deve essere fatto per le impronte plantari, per la presenza delle

quali è necessario che il criminale fosse a piedi nudi al momento della commissione del

reato. Queste impronte vengono rinvenute prevalentemente su superfici dure (ad esempio:

porte, piastrelle della pavimentazione, eccetera), anche se non è da escludere la possibilità

che possano essere scoperte sul corpo della vittima (esempio uccisa a calci).

Le impronte plantari presenti sulla scena del crimine, similmente a quelle digitali, possono

essere visibili oppure latenti. Anche nei confronti di queste, valgono i medesimi modi ed

accorgimenti utilizzati dall’agente della Scientifica nell’operare con le impronte digitali.

Fig. 106 19

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8. Tracce di polvere da sparo e indagini balistiche: il

repertamento balistico

Gli elementi metallici come il piombo, l’antimonio ed il bario, che fanno parte della

composizione chimica delle polveri da innesco, durante lo sparo, così come altri elementi

metallici facenti parte della composizione chimica della polvere di lancio, del proiettile e

del bossolo per effetto dell’elevata energia termica e meccanica e dell’alta pressione a cui

sono sottoposti, subiscono un processo di fusione e successiva vaporizzazione ritrovandosi

pertanto presenti insieme sotto forma di goccioline fuse (aerosoli) che si raffreddano

immediatamente venendo ad assumere spesso, ma non sempre, un caratteristico aspetto

sferoidale, analogamente al fenomeno dei boli vulcanici, tanto da essere state chiamate

FIREBALLS (palle di fuoco).

La forma e la composizione di tali residui, denominati GSR (Gun Shot Residue) o CDR

(Catridge Discharge Residue) provenienti dalla polvere innescante durante lo sparo è tale

da non lasciare adito ad alcun dubbio ai fini delle indagini. Infatti, non si conoscono allo

stato attuale attività umane diverse dallo sparare che possano produrre particelle contenenti

Insieme piombo, bario ed antimonio.

Alcune caratterische generali:

Il numero delle particelle. E’ evidente che l’utilizzo delle svariate tipologie di armi

influisce necessariamente sulla quantità di particelle presenti sulla persona indagata. (arma

corta, arma lunga, etc).

Tempi di resistenza. Per motivi di gravità, il numero di particelle presenti su di una

determinata superficie è destinato a decrescere con il passare del tempo (si parla di

ore).

Morfologia e dati metrici. Molto influenti per le conclusioni risultano: la forma e il

diametro. Per esempio, ritrovare una grossa particella dopo un lasso di tempo di

molte ore è un evento negativo in quanto sono proprio le grandi particelle che a

causa della forza di gravità sono le prime a cadere.

La balistica. Che dallo studio meccanico dell’arma individua la compatibilità tra

numero, qualità ed ubicazione delle particelle presenti.

Il repertamento balistico può essere pertanto definito come l’evidenziazione,

l’identificazione, la raccolta o il prelievo di tutti quegli elementi che possono essere

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attribuiti all’impiego di armi da fuoco, ma anche di mantenere il più a lungo possibile tutte

le informazioni evidenziabili con gli accertamenti di laboratorio.

Fig. 107

Spettro e fotografia della particella univoca dello sparo

Nel momento in cui un individuo spara tramite un’arma da fuoco, la maggior parte

dei residui della polvere da sparo vengono espulsi in direzione del target; ciò nonostante,

una parte di essi viene spinta all’indietro verso il soggetto che impugna l’arma al momento

dello sparo depositandosi su di esso, ed in particolare sulla sua mano.

È possibile ricercare i residui di polvere da sparo sulla mano di una persona,

prevalentemente sul dorso della stessa e sul pollice, attraverso l’uso di un tampone

contenente una soluzione di acido nitrico al 5% che deve essere passato sopra le aree

potenzialmente interessate dalla presenza dei residui.

8.1 Kit per il rilevamento delle particelle di polvere da sparo

La distanza da cui un’arma ha fatto fuoco può essere determinata dalla presenza dei

residui di polvere da sparo; tuttavia la presenza di alcune particelle di sparo potrebbe non

essere rilevata se non si ha a disposizione di un kit di rilevazione sufficientemente

sensibile. In questi casi, sulla scena di un crimine in cui sono state utilizzate armi da fuoco,

può rivelarsi particolarmente utile un test chimico necessario per rilevare i nitrati della

polvere da sparo, (particelle bruciate). Tramite questo tipo di test è possibile, per esempio,

stabilire se il colpo è stato esploso a distanza ravvicinata o meno. Tali informazioni

possono essere dedotte anche dalla presenza del cosiddetto “tatuaggio” creato dagli stessi

residui di polvere da sparo. Per questo, sono state create una serie di soluzioni spary utili

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per rilevare i residui di polvere da sparo sugli abiti; tali prodotti devono essere impiegati

nel seguente modo:

1. Distribuire il reagente in spray sulla superficie del foglio di carta da contatto

che verrà utilizzato per tamponare direttamente l’area degli abiti che intendiamo

testare, alla ricerca di residui di polvere da sparo.

2. Utilizzare un altro foglio di carta e riporlo sopra il foglio di carta da contatto

utilizzato precedentemente per tamponare l’area alla ricerca di residui di

polvere da sparo e applicare una pressione di media intensità per far sì che i due

fogli aderiscano perfettamente per la loro intera superficie.

3. Se il test è positivo sul foglio di carta da contatto compariranno, entro 2 minuti,

una serie di puntini rosa.

8.2 STUB

Per il repertamento dei residui da sparo si impiega un apposito tampone costituito

da un corpo cilindrico recante, su un’estremità, un porta campione da microscopia

elettronica dalla superficie adesiva. Tamponando tramite la superficie adesiva le zone

interessate al prelievo, ad essa aderiranno molte particelle di interesse forense.

Il prelievo può essere effettuato su:

- Sull’indagato e sui suoi abiti;

- Sulla vittima e sui suoi abiti;

- In ambienti chiuso.

Fig. 108 Fig. 109

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

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Fig.110 Fig.111

Struttura interna dello Stub

Le tecniche utilizzate per rilevare delle tracce di metalli (TMDT) rendono visibili

tali particelle sia sulla pelle che sui vestiti preventivamente trattati con una specifica

soluzione e successivamente illuminati con luce ultravioletta ad onde corte. Questo tipo di

analisi permette all’operatore di Polizia Scientifica di stabilire se un individuo è entrato in

contatto con oggetti di metallo, il tipo di metallo presente nell’oggetto e pertanto che tipo

di oggetto metallico o di arma è stato maneggiato.

Oggi esistono anche tecniche capaci anche di individuare residui di esplosivo e

facilmente eseguibili direttamente sul campo, le quali si basano sulla capacità di rilevare la

presenza di nitrati. I kit oggi disponibili sono estremamente sensibili e capaci di

individuare anche minime quantità di materiale, delle dimensioni di un granello di sale,

fornendo così informazioni utili per circoscrivere la possibile area su cui concentrare le

analisi.

Nel momento in cui si analizza un caso nel quale sia stata utilizzata un’arma da

fuoco, con conseguenti lesioni o morti, serve, oltre alle indagini della Polizia scientifica

(l'esame dell'arma e della sua meccanica, la definizione del numero dei colpi inesplosi nel

caricatore, l'identificazione del calibro dei proiettili esplosi, nonché l'interpretazione dei

rilievi ambientali e testimoniali) anche una corretta diagnosi medico-legale, basata

sull'attenta analisi dei dati “di base” (numero di colpi esplosi, distanza di sparo e posizione

reciproca tra feritore e vittima). Riassumendo sono proprie della balistica forense le

indagini per:

identificazione e descrizione del luogo dove si è svolto il crimine;

l'esame dei danneggiamenti nell’ambiente e sui veicoli;

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la ricerca, il prelievo, la conservazione e l'identificazione dei reperti di interesse

balistico;

l'esame dell'arma, l'accertamento delle sue caratteristiche e della funzionalità;

la identificazione del tiratore;

la valutazione della distanza di sparo;

Nell’ipotesi della ricostruzione bisogna quindi tenere conto dei materiali medico-

legali:

valutazione dell'epoca della morte e/o del ferimento, della causa e dei mezzi

impiegati;

del tempo di sopravvivenza e della possibilità di compiere autonomamente azioni o

spostamenti dopo il ferimento;

tipo o tipi di arma impiegate, calibro, numero dei colpi, distanza di sparo e

posizione reciproca fra vittima e sparatore.

Le branche in cui si suddivide la balistica forense sono le seguenti:

1. la balistica generale, riguardante le armi, la loro tecnologia e il loro uso;

2. la balistica terminale, studia gli effetti di un proiettile quando incontra un

bersaglio;

3. la balistica identificativa, riguardante la comparazione dei reperti, l’individuazione

dei residui di sparo, l’estrapolazione degli effetti per risalire all’agente balistico

usato.

8.3 La balistica generale

La balistica generale si suddivide in due aree: balistica interna e balistica esterna.

La balistica interna studia l’arma, il suo funzionamento e comportamento, prima

che il proiettile inizi la sua traiettoria.

Nello specifico si interessa sia dell’arma che delle munizioni sequestrate e

soprattutto: dell’origine, della classificazione, della categoria, delle caratteristiche stesse,

dell’ impiego e dell’eventuale malfunzionamento dell’arma della stessa. È importante per

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le conseguenze giudiziarie, precisare se l’arma illegalmente detenuta sia classificata nella

categoria delle armi definite “da guerra”20, in cui l’arresto è obbligatorio in flagranza,

oppure “da sparo”21, per cui è solamente facoltativo; inoltre è decisivo verificare la

presenza sull’arma di tutti i contrassegni stabiliti dall’art. 11 della Legge 110/1975 così da

poterne stabilire o meno la clandestinità22 23.

La balistica esterna invece si interessa del tragitto che compie il proiettile per

raggiungere il bersaglio, valutando così: la traiettoria (il movimento del proiettile), la

resistenza opposta da parte dell’aria e la forza di gravità del proiettile stesso.

Nello specifico è necessario valutare l’andamento spazio-temporale della traiettoria,

ricostruendola e definendo la cronologia degli spari.

L’indagine di balistica esterna costituisce il punto di partenza per le indagini di

balistica terminale e si integra con quelle di balistica interna24.

Fig. 112 Fig. 113

Strumento per l’analisi degli elementi costitutivi un’arma.

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

8.4 La balistica terminale

La seconda branca della balistica forense, ossia la balistica terminale, studia le

interazioni fra il proiettile ed il bersaglio al momento dell'impatto e negli istanti successivi,

includendo l’esame della conformazione delle ferite e l’estensione del danno tissutale.

20 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.1. 21 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.2. 22 Legge nr.110 del 18 aprile 1875, art.23. 23 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 17. 24 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18

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In questa area sicuramente è importante la figura del medico-legale che, per quella

parte d’indagine che prende il nome di balistica della lesione (wound ballistics), è l’unico

tecnico idoneo ad un intervento professionalmente abilitato25.

Nello specifico si interessa delle deformazioni che il proiettile26 subisce al momento

dell'impatto, dell’eventuali frammentazioni che devono essere evitate e della forma che il

proiettile assume a seconda della tipologia della munizione (palle camiciate, blindate,

semicamiciate, nude, ecc.).

Fig. 114

Proiettili integri e deformati di cal. 38 special

Fig. 115

Proiettili deformati e frammentati in cal. 38 special

25 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18 26 Un proiettile in movimento possiede una certa energia data da varie componenti che, schematicamente possiamo così individuare: ET = EC + EP + ER dove: ET = energia totale posseduta dal proiettile; EC = energia cinetica d’impatto (capacità del proiettile a compiere un lavoro) = ½ mv2; EP = energia che il proiettile possiede in base alla sua massa ed all’accelerazione di gravità = ½ mg2, ER = energia dovuta alla rotazione del proiettile sul proprio asse = m. raggio di rotazione2 .w2. ½. Come si vede, in buona sostanza, EP ed ER sono valori trascurabili e l’energia che anima un proiettile è l’energia cinetica. Questa è direttamente proporzionale al quadrato della velocità dello stesso per cui si avrà che ad ogni minimo aumento della velocità corrisponderà un notevole aumento dell’energia che il proiettile sarà in grado di cedere al bersaglio. Un proiettile che penetra il corpo attraversandolo trasmette solo una parte dell'energia cinetica che possiede al bersaglio, ed ha quindi un basso potere di arresto. In questo caso il proiettile può essere letale ma spesso non trasmette al bersaglio lo shock necessario a fermarlo istantaneamente ed evitare una pericolosa risposta ostile. Il potere di arresto è infatti legato alla quantità di energia cinetica presente all'impatto ed alla percentuale di questa che viene trasmessa al bersaglio. Lo studio della balistica terminale di un proiettile è quindi importante: un proiettile che si deformi all'impatto, assumendo la classica forma a fungo, verrà facilmente fermato dal corpo del bersaglio che assorbirà quindi la totalità dell'energia cinetica; l'effetto shock e quindi il potere d'arresto saranno massimizzati. È questo il caso delle pallottole a punta cava, che sono però proibite dalla legge italiana ai fini di difesa personale, mentre sono permesse le pallottole blindate, analoghe a quelle usate per usi militari, che hanno invece la caratteristica di essere letali ma con basso potere di arresto, di rimbalzare ovunque in caso di errore nel tiro con ovvi pericoli, e infine spesso di attraversare il bersaglio in modo anch'esso pericoloso.

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8.5 La balistica identificativa

La polizia scientifica a seguito di un reato con armi da fuoco si interessa del

seguente materiale balistico: dei bossoli e/o dei proiettili, dell’esame dei fondelli di ogni

singolo bossolo e dei corpi dei proiettili o comunque delle caratteristiche che la

identifichino come essa sola, se arma artigianale o alterata o comunque modificata o non

ancora inserita in banca dati.

Grazie alla tecnologia e all’uso di determinati strumenti microscopici si può

scoprire la presenza, la morfologia, la dimensione, la locazione spaziale, le impronte di

percussione, l’espulsione e l’estrazione sul fondello del bossolo; mentre attraverso i solchi

di rigatura si può individuare il numero, il verso e la misurazione. Tutto questo porta a

identificare, grazie agli elementi in sequestro confrontati con un data base di riferimento27:

il tipo, la marca, la classe, il numero delle armi. Una volta che gli elementi vengono inseriti

nel data base IBIS (Integrated Ballistics Identification System) della polizia di Stato, si

ottiene l’eventuale correlazione tra episodi avvenuti in tutto il territorio nazionale.

Fig. 116

Ogiva repertata nel corso di un’autopsia su cui è possibile individuare la presenza di

frammenti tessili

8.6 Il microscopio comparatore

Il microscopio comparatore è utilizzato per le impronte sui reperti balistici.

Consiste essenzialmente di due microscopi con identici obiettivi collegati da un ponte

ottico contenente una combinazione di prismi che convogliano le immagini ad un unico

oculare.

27 Precisando che i dati d’archivio utilizzati nella sopra indicata operazione sono quelli di cui al General Rifling Characteristics File di F.B.I. – una raccolta di informazioni relativa a circa 20.000 differenti armi da fuoco – e di Gun Store – sistema informativo della Polizia Scientifica italiana (si veda oltre), risulta evidente quanto sia importante per le indagini in corso l’informazione fornita dai tecnici balistici che compiono questa prima indagine.

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E’ così possibile osservare due oggetti separati nel medesimo campo, compararli

visivamente portando in giustapposizione le immagini di parti di ciascuno di essi. Gli

oggetti appaiono in campo visivo circolare diviso al centro da una linea sottile verticale.

Nel caso di proiettili sparati dalla medesima arma è spesso possibile far coincidere,

lungo la linea divisoria, le microstrie presenti nelle impronte lasciate dalla rigatura della

canna. L’individuazione di minime e microscopiche depressioni e striature,

morfologicamente e dimensionalmente identiche oltre che ripetute, presenti sia sugli

elementi a reperto sia su quelli sperimentali prodotti con l’arma sospetta, costituisce prova

di unicità d’arma28.

Fig. 117

Striature lasciate sulla superficie del proiettile dalle righe della canna e dell’arma da fuoco.

Fig. 118 Fig. 119

8.7 Le banche dati

8.7.1 DRUGFIRE

Il sistema nasce negli anni 80, serve alla FBI per collegare gli innumerevoli delitti

commessi con le armi da fuoco nell’ambiente dello spaccio di stupefacenti. Questo sistema

28 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 18

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è in grado di archiviare, ricercare e confrontare le impronte sui bossoli e sui proiettili. Il

sistema lavora in bianco e nero, ma si distingue dall’IBIS per due singoli motivi: il

proiettile è visto sull’intera superficie (invece che solo nei solchi di rigatura) e il bossolo è

visto dal cratere di percussione fino alla capsula di innesco. Il sistema è corredato da due

interessanti archivi:

• il GRC (General Rifling Characteristics File) la guida più completa ed utilizzata

nel mondo per l’identificazione dell’arma;

• il SAF (Standard Ammunition File), una sorta di catalogo completo ed illustrato

nei minimi dettagli della produzione di cartucce per armi da fuoco, suddivise per calibro.

L’archivio disponibile attualmente è ancora parziale ma è in via di definizione il suo

completamento29.

8.7.2 Il sistema IBIS (Integrated Ballistics Identification System)

Il sistema IBIS è uno strumento idoneo a raccogliere tutte le informazioni tecniche

ed investigative relative a manufatti balistici repertati in occasione di fatti delittuosi. Per il

futuro occorre infine sottolineare che i due colossi NIBIN (DRUGFIRE) e FORENSIC

TECHNOLOGY INC. (IBIS), dal 2000 hanno dato inizio all’unificazione dei relativi data-

base che daranno così vita ad un unico, multifunzioni e pluri-accessoriato, sistema in grado

di ovviare a quelle imperfezioni di insieme che di volta in volta possono risolversi in virtù

del graduale progresso tecnologico di calcolatori ed ottiche30.

8.7.3 GUNSTORE

Si tratta di una banca dati che memorizza i dati tecnici e le "impronte di classe

d’arma", cioè i segni che le parti meccaniche di un’arma rilasciano sul corpo del bossolo,

relative alle armi in produzione ed a quelle di importazione. Il principio di base è che ogni

arma viene prodotta dal fabbricante con caratteristiche uniche di costruzione. La

particolare forma, detta “morfologia”, viene dunque classificata e memorizzata in una

scheda tecnica del sistema “Gun Store”31.

29 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 26 30 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 27, 28. 31 D. Redaelli, L’identificazione delle armi, dei bossoli e dei proiettili, metodologie microscopiche-comparative e moderne tecniche di confronto, Università degli studi di Pavia 2005, pg. 28,29.

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9. Corredo speciale per sostanze stupefacenti e tossiche: strumenti

ed analisi di laboratorio

9.1 “Corredo speciale droga” sulla scena del crimine

La diffusione di stupefacenti, sempre più massiccia e preoccupante negli ultimi anni

ha creato la necessità di fornire le squadre incaricate di sopralluogo di appositi reagenti di

pronto impiego per stabilire, almeno in via orientativa, se una particolare sostanza

appartenga o meno alla classe delle “droghe o sostanze nocive”. In questo modo è possibile

riconoscere i principali tipi di droga fin dal primo intervento e il corredo necessario per la

loro identificazione comprende nove principali tipi di reattivi i quali:

‐ Sono distinti in apposite fialette di vetro numerate dalla 1 alla 9;

‐ Sono predisposti in funzione delle droghe più diffuse: cocaina, oppio, morfina,

eroina, codeina, marijuana, hascisc, L.S.D, barbiturici e anfetamine.

Di seguito vengono elencate le 9 tipologie di reattivi in base all’ordine numerico delle

confezioni che li contengono, utilizzati anche nei laboratori chimici-tossicologici della

Polizia Scientifica:

Reattivo di Dille-Koppanyi: serve per rilevare i barbiturici (fialetta numero 1 e 2);

Reattivo di Duquenois: necessario per rilevare la canapa indiana, in particolare

marijuana e hascisc (fialetta numero 3 e 7);

Reattivo di Van Hurks: per rilevare l’L.S.D (fialetta numero 4 e 7);

Reattivo di Marquis: per rilevare l’oppio, la morfina, l’eroina, l’anfetamina e la

mescalina (fialetta numero 5);

Reattivo di Meckes: per rilevare l’S.T.P. (1,5 dimestossi, 4anfetamina), (fialetta

numero 6);

Reattivo al Cobaltotiocinato: per rivelare la cocaina e il metadone (fialetta numero

8);

Reattivo al bicarbonato di sodio: coadiuvante per il saggio all’oppio (fialetta

numero 9).

L’operatore deve usare l’apposito reattivo, seguendo le istruzioni che accompagnano il

corredo stesso, solo in presenza delle sostanze sospette e in base a come si presentano alla

vista e al tatto.

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I reattivi vengono utilizzati solo a scopo orientativo poiché la risposta definitiva

spetta a specifiche analisi chimiche che devono essere effettuate presso i laboratori di

chimica della Sede Centrale di Polizia Scientifica.

Fig. 120

Esempio di utilizzo di un reattivo sulla scena del crimine: se il materiale sospetto si

presenta sottoforma di foglie secche e sminuzzate potrebbe trattarsi di Marijuana e pertanto

verranno utilizzate alcune gocce del reattivo di Duquenois provenienti dalla fialetta

numero 3 per poi essere seguite da altre gocce provenienti dalla fialetta numero 7. In

questo caso la reazione risulterà positiva solo se il materiale impregnato di tali reattivi

assumerà una colorazione blu-violetto.

Fig. 121 Fig. 122

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Fig. 123 Fig. 124

Foto di: Dott.ssa Margherita Guerzoni

9.2 Analisi chimiche, strumenti e procedure di laboratorio per la

ricerca di stupefacenti ed altre sostanze tossiche

I campioni biologici da sottoporre ad analisi tossicologiche e che devono essere

prelevati tramite specifiche modalità eseguite dalla squadre incaricate di sopralluogo sulla

scena del crimine, o che possono essere prelevati direttamente da un sospettato, da un reo o

da una vittima, sono costituiti principalmente da:

‐ il sangue, l’urina e i capelli soprattutto in caso di intossicazioni croniche;

‐ ma anche da vomito, da aspirato gastrico o liquido di lavanda gastrica in caso di

intossicazioni acute.

Qualora lo scopo dell’analisi non sia solo di tipo clinico, ma anche tossicologico e medico-

forense, il prelievo e la conservazione dei liquidi biologici, tra cui il sangue e l’urina,

possono assumere un significato giudiziario particolarmente rilevante; infatti permettono

di valutare lo stato di intossicazione di autori di reati o delitti al fine di definire le varie

dinamiche delittuose e utilizzabili anche in tema di imputabilità.

In caso di omicidio e lesioni personali gravissime, il C.P (codice penale) prevede

un’aggravante specifica per l’uso di sostanze tossiche o nocive in quanto, le modalità

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operative per raggiungere lo scopo delittuoso, rendono evidente la premeditazione, allo

stesso modo con cui rendono vana ogni possibile azione di difesa della vittima; la sostanza

tossica o nociva infatti, può agire negativamente sulla salute della vittima anche a basse

concentrazioni e può essere facilmente occultabile (“azione subdola”).

Le principali sostanze che possono essere ricercate, per esempio, nell’urina sono:

‐ la morfina, l’eroina e la codeina;

‐ l’alcool etilico, il metadone, il naltrexone, gli anfetaminici, i barbiturici, le sostanze

di taglio più frequenti come chinina, atropina, anestetici locali e stricnina;

‐ la fenciclidina ed il metaqualone;

‐ le benzodiazepine (pericolose in associazione);

‐ la pentazocina, il propossifene e gli antidepressivi.

Il tossicologo forense deve analizzare i campioni inviati e conservati dei fluidi

corporei, i contenuti dello stomaco e parti di organi. Ha la possibilità di accedere al

rapporto del medico legale, contenente informazioni riguardanti i vari sintomi della vittima

e i dati post-mortem.

L’analisi prevede che il tossicologo divida i campioni in frazioni acide e basiche

per l’estrazione di farmaci da tessuti o fluidi. I farmaci acidi vengono estratti facilmente

con una soluzione a pH inferiore a 7 mentre quelli basici con una soluzione a pH superiore

a 7. Per esempio, molte anfetamine sono base-solubili al contrario dei barbiturici che sono

acido-solubili.

Successivamente a queste fasi preliminari l’esame prevede altre due fasi principali:

1. Lo screening test;

2. Il test di conferma.

Lo screening test permette l’elaborazione di molti campioni in breve tempo a partire da una

vasta gamma di tossine. Tutti i risultati positivi che da esso si ottengono devono essere

verificati con il test di conferma. Lo screening test prevede l’utilizzo di:

Test fisici: come l’analisi del punto di fusione, il punto di ebollizione, la densità e

l’indice di rifrazione;

Test dello spot chimico: si effettua un trattamento con un reagente chimico per

produrre dei cambiamenti di colore;

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Test di cristallizzazione: prevede un trattamento tramite un reagente chimico per

produrre dei cristalli;

Test di cromatografia: permette di separare i componenti di un miscuglio.

Il test di conferma principalmente utilizzato consiste invece, nella spettrometria di massa.

Essa permette di individuare “l’impronta digitale” tipica di ogni tossina che corrisponde ad

un noto spettro di massa.

Considerando la consistente quantità di casi di overdose di droga e di intossicazioni

da alcool, sono state costituite due branche affini:

1) Quella di cui si occupano gli Esperti di Riconoscimento delle Droghe (Drug

Reconition Expert);

2) Quella che si occupa della quantificazione e l’intossicazione da alcool.

Le analisi di laboratorio necessarie per stabilire in modo certo la natura dello

stupefacente, la sua qualità, il suo principio attivo e l’eventuale presenza di ulteriori

sostanze adulteranti o diluenti sono varie e di seguito ne vengono riportate alcune tra le

principali.

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9.2.1 I test cromatici

Il test cromatico viene eseguito tramite l’utilizzo di opportuni reagenti chimici

necessari per formare dei composti colorati dopo averli mescolati alla sostanza in analisi. Il

colore risulta caratteristico a seconda della specifica combinazione tra il reattivo e

piccolissime quantità di campione della sostanza stupefacente (sono necessari pochi

milligrammi). Il vantaggio di questo test è la possibilità di stabilire la presenta o l’assenza

dei principi stupefacenti in tempi molto brevi; il colore che si forma fornisce una risposta

indicativa sulla natura della droga poiché, in alcuni casi, può comparire la stessa

colorazione anche in presenza di alcune sostanze non stupefacenti; è il caso della lidocaina

che produce la stessa variazione cromatica della cocaina. Alcuni reattivi cromatici vengono

utilizzati dagli operatori sia direttamente sulla scena del crimine che nei laboratori chimici

come il reattivo di Marquis e quello di Duquenois.

Di seguito vengono elencati alcuni tra i principali test cromatici utilizzati nei

laboratori di criminalistica con le rispettive colorazioni che si creano a contatto con la

sostanza specifica:

1. Reattivo di Marquis:

forma un colore rosso-violaceo a contatto con gli oppiacei;

forma un colore giallo arancio per le anfetamine;

forma un colore blu scuro in presenza di ecstasy;

2. Reattivo di Young: microcristalli di colore azzurro a contatto con la cocaina;

3. Reattivo di Duquenois: colore viola a contatto con i cannabinoidi;

4. Reattivo di Ehrlich: colore rosso-violetto per l’L.S.D;

5. Acido solforico: colore arancio a contatto con la formaldeide e le benzodiazepine.

9.2.2 La spettroscopia UV

La spettroscopia UV si basa sull’assorbimento di una radiazione elettromagnetica

all’interno di un intervallo di lunghezze d’onda da parte di soluzioni contenenti la sostanza

in esame. La radiazione incidente viene assorbita alle varie lunghezze d’onda in modo

differente a seconda della struttura chimica della sostanza considerata; in questo modo si

origina uno spettro di assorbimento caratteristico la cui intensità è proporzionale alla

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concentrazione del soluto e che fornisce pertanto, una risposta sia qualitativa che

quantitativa della sostanza analizzata.

9.2.3 La Cromatografia su strato sottile

Questa tecnica viene utilizzata sia per l’analisi qualitativa dei principi attivi

stupefacenti sia per gli adulteranti e/o diluenti utilizzati per il “taglio” delle droghe.

Si tratta di un sistema utile per la conferma dei risultati ottenuti tramite i test

cromatici, semplice da applicare, particolarmente economico e vantaggioso anche perché

consente di non dover obbligatoriamente ricorrere all’analisi gascromatografica.

Gli elementi necessari per questo tipo di analisi sono un substrato solido e un

liquido idoneo. Tale analisi è infatti basata sul trasporto differenziale delle diverse sostanze

su un substrato solido, che delinea la fase stazionaria, a opera di un idoneo liquido, che

costituisce al fase liquida. La velocità di movimento dei diversi componenti varia in

funzione della loro struttura chimica e la sostanza può così essere identificata in base alla

misura della distanza percorsa.

Considerando che l’identificazione viene eseguita per confronto con opportuni

standard di riferimento, la cui analisi deve essere effettuata contemporaneamente a quella

dei campioni ignoti, la risposta che si ottiene è di tipo relativo.

9.2.4 Il Toxi-Lab

Il sistema Toxi-lab è un metodo rapido per l’identificazione ad ampio spettro di

sostanze farmacologiche che può essere applicato sia su fluidi biologici che su campioni

solidi e liquidi.

L’analisi è basata sul principio della Cromatografia su strato sottile (TLC) che

consiste nel depositare le specie chimiche da rilevare su una lastra ricoperta da particolari

sostanze (allumina, gel di silice, cellulosa ecc.).

In questo tipo di analisi vengono utilizzate delle lastrine in microfibra di vetro e

acido di silicio contenenti sei differenti alloggiamenti per i dischetti usati come porta

campione, quattro dei quali reinseriti e contenenti appositi standard.

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La sostanza da identificare viene estratta dal campione in esame con appositi Toxi-

tubi in cui è contenuta una miscela di solventi; successivamente viene concentrata facendo

evaporare il solvente con metodi quali il calore e depositata su dischi di cromatografia. I

dischi essiccati vengono poi inseriti nei fori centrali dei cromatogrammi i quali, una volta

carichi, vengono sviluppati con speciali reagenti e in appositi contenitori.

La corsa delle sostanze sui cromatogrammi, l’eluizione dei sieri ignoti e degli

standards dei dischi, avviene durante la migrazione dei sieri di sviluppo.

L’identificazione finale si effettua confrontando la reazione cromogena delle

sostanze ricercate in zona ignota con quelle degli standards ottenuta con la stessa

migrazione colorimetrica caratteristica.

Fig.

125

Fig.

126

Fig. 127

Reazioni colorimetriche su sostanze ignote

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9.2.5 La Gascromatografia

Il principio base della gascromatografia è fondamentalmente quello cromatografico

ma caratterizzato da una variazione: la fase mobile è gassosa mentre quella stazionaria può

essere rappresentata da un liquido (cromatografia gas-liquido) o un solido (cromatografia

gas-solido). Solitamente viene utilizzata la gascromatografia gas-liquido con fasi

stazionarie che ricoprono la superficie interna di una colonna capillare di diametro interno

ridotto (0,2-0,3 mm) e lunghezza superiore (in media 15-30 m). Tramite una micro-siringa

le sostanze disciolte in soluzione vengono iniettate all’interno dello strumento e passano

allo stato gassoso entrando in una camera ad alta temperatura; a questo punto l’elio, un

particolare gas inerte, le trasporta all’interno della colonna dove le sostanze si separano in

base a vari fattori. Al termine dell’intero processo l’informazione che si ottiene è sia di tipo

qualitativo che quantitativo in base alle caratteristiche dei picchi cromatografici ottenuti

che, in funzione del tempo, costituiscono il cromatogramma. In particolare, l’analisi

quantitativa prevede una preliminare taratura dello strumento per mezzo di soluzioni

standard delle sostanze pure a concentrazione nota mentre l’analisi qualitativa si basa sul

confronto dei tempi di eluizione delle sostanze analizzate con quelli di opportuni standard

di riferimento (ma solo nel caso in cui lo strumento non sia dotato di rivelatore a

spettrometria di massa).

Fig.128 Fig. 129

Lo strumento utilizzato per la gascromatografia.

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10. Repertare le impronte di scarpa

Le tracce di scarpa rappresentano le tracce più frequenti sulla scena del crimine e

solitamente i criminali tendono a dare poca importanza a questi elementi che dall’esterno

vengono portati sulla scena del reato.

Le scarpe possono lasciare sia impronte di sangue, che impronte di terra e di polvere,

soprattutto sui pavimenti lisci; queste ultime possono essere rilevate con dei fogli di lifter

di idonee dimensioni o con fogli di alluminio tramite un sistema di attivazione

elettrostatica.

Fig. 130

Una volta identificata l’impronta di scarpa sul terreno è necessario irrigidire la base su

cui far colare il materiale per il calco al fine di evitare che la traccia venga modificata,

(considerando la friabilità del terreno); si procede pertanto nel seguente modo:

- verificando la consistenza della terra stessa;

- successivamente si dispone un telaio di acciaio inox o in plastica, di lunghezza

variabile a seconda del caso, intorno all’impronta per delimitare l’area dl calco;

- si spruzza un induritore per terreno in spray;

- passato qualche minuto si applica un distaccante spray a base di silicone il quale

crea una pellicola isolante tra il terreno e il calco, in modo da rendere più agevole

l’asportazione dello stampo;

- a questo punto si miscela il materiale da calco, costituito da gesso misto a silicone

integrati da altri prodotti, con acqua e si versa nello stampo;

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Fig. 131

Esistono anche dei kit monouso composti dalla giusta quantità di acqua e di

materiale necessario per il calco, molto semplici da utilizzare; infatti basta rompere

l’ampolla d’acqua con una lieve pressione permettendo così di farla venire a contatto

con il materiale per il calco. Successivamente si impasta in modo da impedire la

formazione di grumi e si versa il tutto sulla superficie da trattare.

Fig.132 Fig.13332

32 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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11. Repertamento di altre tracce non biologiche

Di seguito vengono riportati alcuni esempi di cautele e metodiche utilizzate per la

repertazione e conservazione delle tracce non biologiche che più frequentemente si trovano

sul luogo del reato:

1. Nel caso di oggetti sui quali si trovano delle impronte papillari, è necessario evitare che

le loro superfici entrino in contato con gli involucri che cancellerebbero le impronte

stesse. Pertanto, il personale addetto deve indossare guanti, senza i quali potrebbero

esser alterate o addirittura distrutte le impronte esistenti.

2. La armi, i coltelli e gli strumenti da lavoro possono venire fissati ad una tavoletta di

legno tramite sottili fili di rame passanti attraverso fori aperti nel supporto. È importante

non far appoggiare sulla tavoletta le parti sulle quali si trovano le impronte e a sua volta,

la tavoletta può essere fissata all’interno di una scatola di cartone o di legno.

3. Lastre e frammenti di legno vengono fissati con fili di rame e tavolette perforate su cui

siano stati fissati dei pezzetti di legno che servono da rialzo per uno dei margini di

vetro. In tal modo si possono trasportare in una stessa scatola anche più tavolette poste

sopra all’altra, distanziandole tra loro.

4. Le bottiglie devono essere poste in una cassetta di legno sul cui fondo siano applicate

delle striscette in modo da formare un quadrato capace di contenere esattamente il fondo

della bottiglia; il piolo fissato al coperchio verrà invece introdotto nel suo collo.

5. Gli oggetti di porcellana, ceramica, vetro e metallo di varie forme, devono essere

rinchiuse in scatole di cartone robusto o di legno utilizzando gli accorgimenti sopra

descritti al fine di mantenerli fermi e distanziati.

6. Gli indumenti con macchie di sangue, sperma o altre sostanze possono essere piegati

per il trasporto avendo cura di porre, tra i diversi strati di tessuto, dei fogli di carta da

filtro per evitare che le macchie si trasferiscano o vengano contaminate da altre sostanze

eventualmente presenti. Gli indumenti poi devono essere racchiusi in sacchetti di carta

recanti tutte le indicazioni necessarie.

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12. Il repertamento entomologico

Per poter ottenere delle informazioni utili riguardanti gli insetti che contaminano la

scena del delitto occorre procedere in tre fasi:

1. Osservazione: sia del luogo di ritrovamento, dell’ambiente circostante e del

cadavere comprensivo della fauna necrofaga;

2. Raccolta: dei dati biologici ed ambientali;

3. Conservazione: sia dei dati biologici che dei dati ambientali al fine di effettuare

specifiche analisi relative agli organismi in esame.

Considerando che ogni regione ed ogni zona possiede una fauna tipica, i casi legali e

non, diventano automaticamente dei casi sperimentali che forniscono informazioni sulle

abitudini ecologiche delle specie animali che abitano quella particolare zona. Le analisi che

si compiono sulla scena del delitto e durante l’esame autoptico vengono eseguite su un

substrato di lavoro potenzialmente patogeno per cui è preferibile utilizzare degli strumenti

monouso mentre quelli che non lo sono devono essere sterilizzati dopo l’utilizzo

possibilmente con autoclave o semplicemente con disinfettanti generici per almeno 12 ore

(come nel caso di pinzette, pennelli e contenitori). La pulizia della strumentazione è

fondamentale per evitare che campioni di dimensioni molto ridotte possano rimanere

attaccati agli strumenti provocando mescolanza di dati e compromettendo così i risultati

dell’analisi. Ad esempio, può succedere che campioni di uova possono attaccarsi alle setole

dei pennelli.

Fig.134

Fig. 135

Prelievo di larve tramite pinzette.

L’entomologo forense deve essere dotato di una serie di strumenti, attrezzature

generiche e soluzioni che vengono riportate nel seguente elenco e necessarie per poter

collezionare correttamente gli insetti presenti sulla scena del crimine:

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- Attrezzatura personale per favorire le condizioni di igiene come copri-scarpe usa e

getta, guanti monouso, mascherina, occhiali, liquido igienizzante e tuta o camice

monouso;

- Tavolino pieghevole;

- Torcia elettrica;

- Paletta per prelevare campioni di terreno;

- Sacchetti di carta resistente di diverse dimensioni (Fig. 136).

Fig.136 Fig.13733

Per quanto riguarda i liquidi necessari per la conservazione dei campioni si distinguono:

- Alcol etilico al 70% e assoluto: permette di ottenere una corretta analisi molecolare

per la discriminazione della specie ma non studi morfologici o di PMI;

- Buste di ghiaccio istantaneo necessarie per il rallentamento della crescita degli

insetti;

- Acetato di etile e Glicerina;

- Acqua molto calda ma non bollente a circa 80 °C.

L’acetato di uranile, la glicerina e l’acqua molto calda sono responsabili della morte

immediata degli insetti provocando anche la denaturazione del DNA per cui verranno

utilizzati solo per scopi di studio morfologico e di PMI.

L’analisi delle fasi di sviluppo degli insetti campionati avviene procedendo con una

raccolta del campione all’interno di barattoli con coperchio forato e non fa uso dei liquidi

per la conservazione.

33 SIRCHIE, fingerprint laboratories, inc. CRIMINAL INVESTIGATION PRODUCTS. Products catalog 2007/2008.

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L’attrezzature per il campionamento viene distinta i base alle fasi di cattura, di

conservazione e di documentazione del campione.

Per quanto riguarda la cattura sono necessari i seguenti elementi:

- Pinzette di diversa lunghezza;

- Cucchiai di diverse dimensioni, preferibilmente in plastica;

- Non indispensabile: reti da insetti aeree e reti pieghevoli con manico di lunghezza

variabile.

Nella fase di conservazione si utilizzano:

- Provette in plastica di varie dimensioni e Parafilm;

- Pipette monouso;

- Carta assorbente o cotone o sughero tritato;

- Contenitori di plastica di varie dimensioni, con coperchio chiuso o con coperchio

forato (Fig. 137);

- Contenitori scuri in plastica PE con chiusura ermetica;

- Retina a maglie molto strette ed elastici (tipo collant da donna).

La documentazione del campione prevede invece:

- Etichette adesive da mettere all’esterno dei contenitori usati per la raccolta;

- Etichette di cartoncino da inserire nei contenitori usati per la raccolta;

- Matita con mina di grafite (lapis) per scrivere sulle etichette (l’inchiostro andrebbe

via con l’alcol);

- I dati che devono essere inseriti sono:

o Luogo e data, eventuali note e ambito di prelievo (S= sopralluogo, A=

autopsia);

o Distretto corporeo campionato o luogo di campionamento riferito alla scena del

crimine;

o Nastro adesivo per protezione delle informazioni scritte a matita sulle etichette

esterne.

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Per quanto riguarda la raccolta di dati ambientali risulta fondamentale descrivere

correttamente:

Le condizioni ambientali generiche ed esterne come l’ora del ritrovamento del

cadavere e del sopralluogo, temperature ed umidità;

Le condizioni ambientali precise della zona di ritrovamento del cadavere ovvero se

si tratta di un luogo chiuso o aperto, la presenza e il tipo di vegetazione,

esposizione del corpo alla luce o all’ombra e molti altri fattori.

È necessario pertanto che l’attrezzatura richiesta per la documentazione ambientale sia

altamente specifica:

- Macchina fotografica e/o videocamera e scala di misure per fotografie;

- Termometro elettronico con sonda lunga, per poter registrare la temperatura interna

del cadavere e la temperatura della massa larvale;

- Data-logger temperatura e umidità e scheda entomologica.

Per ottenere una documentazione corretta della scena del crimine è fondamentale

fotografare prima l’intera scena, per poi procedere successivamente nei particolari che

riguardano gli insetti e il luogo del cadavere su cui si sono depositati. Quindi le fotografie

devono essere riprendere in modo dettagliato i siti di colonizzazione degli artropodi sia al

momento del ritrovamento e del sopralluogo sia quando il corpo viene spostato e messo in

camera fredda. Per evitare che i colori si alterino rispetto alla condizione reale è opportuno

non utilizzare il flash. Infine bisogna utilizzare una scala metrica vicino ad ogni fotografia.

Fig. 138: esempio di scala

metrica per campioni di insetti.

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Nei casi di ambienti interni:

Bisogna procedere all’osservazione del pavimento, degli angoli ed eventualmente

sotto i tappeti; con molta probabilità si troveranno già delle larve e soprattutto delle

pupe.

Il passaggio successivo consiste nel prelevarne il maggior numero possibile per

disporre di un numero maggiore di elementi da analizzare. Alcune larve e pupe

vengono messe sotto alcool al 70% mentre altre all’interno di un boccale

contenente della carta umida.

Guardando verso le finestre, si potranno osservare delle mosche che volano verso il

vetro ed altre già morte; anche quelle devono essere prelevate.

Infine, se il cadavere si trova nello stesso luogo da un tempo abbastanza

prolungato, si potranno trovare dei coleotteri e delle larve le quali, una volta

prelevate, dovranno essere poste in un boccale di vetro.

Nei casi di ambienti esterni:

Le procedure sono le medesime di ambienti chiusi ma subentra la difficoltà di

catturare le mosche.

In ambienti esterni è molto probabile trovare coleotteri, i quali però preferiscono

l’oscurità ed al minimo movimento scompaiono sotto il terreno. Occorre pertanto

del tempo da utilizzare per l’osservazione.

Nel momento in cui il cadavere viene rimosso, si vedranno uscire dalla terra alcuni

insetti; è in questo momento che devono essere catturati.

Infine, dai luoghi in cui era posizionato il corpo, bisogna raccogliere una certa

quantità di terra, muschio e foglie, fino ad una profondità di 10-15 cm.

Per quanta riguarda la raccolta, questa si differenzia a seconda dello stadio di vita

dell’insetto:

Nel caso delle uova esse vengono principalmente utilizzati pennellini, spatole e

pinzette;

Le larve vengono prelevate tramite l’ausilio di pinzette o cucchiai;

Le pupe sono delle strutture chitinizzate e quindi più resistenti delle uova ma

possiedono comunque delle strutture esterne che, se rovinate, non potranno

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permetterne la determinazione. Anche in questo caso devono pertanto essere

utilizzati cucchiai e pinzette.

Gli adulti devono essere raccolti con estrema delicatezza poiché le venature alari, il

numero di setole ed altri parametri fanno la differenza nella determinazione della

specie. Nel caso delle mosche morte si procede tramite cucchiai mentre nel caso di

mosche vive la situazione risulta più complessa.

È stata infatti elaborata una tecnica passiva per il raccoglimento di esemplari di insetti

vivi contaminanti la scena del delitto la quale consiste nell’utilizzare “trappole alla colla”

in cui è presente una sostanza adesiva che si asciuga molto lentamente.

Fig. 139: Trappola utilizzata per

la cattura delle mosche.

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13. Strumenti e procedure per la realizzazione di scavi archeologici

sulla scena del crimine

Il luogo dello scavo in ambito forense rappresenta una scena del crimine, quindi la

prima operazione da eseguire è la delimitazione dell’area d’indagine, dopodiché si potrà

procedere alle prime operazioni di documentazione, necessarie per raccogliere i dati

iniziali utili all’analisi della scena. Tutti gli elementi che potrebbero risultare probatori con

il procedere delle indagini devono essere numerati, descritti e fotografati 34.

Prima di iniziare lo scavo vero e proprio, si devono asportare i primi 10 cm di

terreno in modo da evidenziare i margini di una fossa. Quando si scava un fossa si produce

una buca, il cui margine si chiama taglio. Il riempimento di una buca è formato dal terreno

che originariamente si trovava già lì; il margine della buca non è altro che la linea che

demarca il limite tra il riempimento e il terreno circostante indenne. Tale riempimento di

solito ha una consistenza ed un colore diversi, anche a distanza di anni (in ambito

archeologico si nota per lo scavo di pozzi, sepolture, ecc.)35 .

13.1 Procedimento di scavo

Lo scavo stratigrafico di resti recenti ha principalmente tre scopi: delineare la

stratificazione del sito, la preservazione del contesto senza alterare i reperti in situ o

provocare lesioni ai reperti, stabilire le relazioni tra i vari materiali recuperati 36.

Lo scavo deve avvenire strato per strato, rimuovendo il terreno tramite gli strumenti

più adatti (come la cazzuola) senza andare troppo in profondità, ma facendo dei tagli di

pochi centimetri orizzontalmente. Si deve prestare attenzione ai cambiamenti di colore,

consistenza e tipi di inclusioni del terreno; questi indicano un cambiamento di US che va

registrata, fotografata e quotata37.

34 cfr M. Borrini, Archeologia forense – Metodo e tecniche per il recupero dei resti umani: compendio per l’investigazione scientifica, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2007. 35 cfr C. Cattaneo, M. Grandi, Antropologia e Odontologia forense – Guida allo studio dei resti umani, Monduzzi Editore, Bologna 2004. 36 Ibidem 37 cfr F. Mallegni (a cura di), Memorie dal sottosuolo e dintorni – Metodologie per un “recupero e trattamenti adeguati” dei resti umani erratici e da sepolture, Edizioni Plus, Pisa University Press, Pisa 2005.

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ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES MARGHERITA GUERZONI - SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE – SECONDO ANNO A.A 2008/2009

    

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Una volta messo alla luce il reperto osseo, si utilizzano strumenti più piccoli, quali

bisturi e pennelli.

Tutte le fasi vanno registrate su una griglia che permetta il corretto posizionamento

dei singoli oggetti. Finita la documentazione, i reperti possono essere rimossi e riposti in

contenitori, ognuno con l’indicazione dell’US di provenienza e un numero identificativo; è

utile continuare lo scavo anche al di sotto del corpo ritrovato per alcuni centimetri per

recuperare così oggetti che nel tempo possono essere sprofondati nel terreno.

Un’operazione volta ad un ulteriore recupero di oggetti, ossa di piccole dimensioni

o denti è la setacciatura del terreno asportato durante lo scavo.

Uno scavo eseguito secondo i principi dell’archeologia forense permette di ottenere

una documentazione dettagliata delle associazioni in verticale ed in orizzontale dei resti

umani rispetto al luogo di deposizione (caratteristiche della fossa e posizione del cadavere

e di eventuali oggetti contenuti nella sepoltura); il recupero di tutti gli elementi ossei e

dentari attraverso una corretta esposizione dello scheletro ed una setacciatura accurata del

terreno; una ricostruzione precisa delle dimensioni e delle sequenze di scavo della fossa;

l’assenza di danni da scavo prodotte dall’azione di strumenti inappropriati 38.

13.2 Attrezzature

Sul luogo dello scavo si devono possedere le attrezzature specifiche e necessarie.

Per lo scavo gli strumenti principali sono:

- la trowel (cazzuola);

- il bisturi (serve per evidenziare con precisione i reperti);

- pennelli di varie dimensioni;

- badili, picconi, vanghe, palette (di plastica, come quelle usate per la spazzatura);

- secchielli per la racconta del terreno;

- sonde per il terreno (T-bar);

- carotatori;

- metal detector;

- aspiratore;

38 cfr C. Cattaneo, M. Grandi, Antropologia e Odontologia forense – Guida allo studio dei resti umani, Monduzzi Editore, Bologna 2004.

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- teli di plastica;

- bandierine segnaletiche.

Per il recupero dei reperti sono utili:

- guanti in lattice, mascherine, sacchetti di plastica di varie dimensioni;

- Consolidanti;

- contenitori rigidi per il trasporto dei reperti.

Per la fase di repertazione e documentazione si utilizzano strumenti come:

- macchina fotografica (con flash e digitale), stazione totale;

- sacchetti a chiusura stagna di diverse dimensioni;

- provette, pennarelli indelebili;

- Pinzette, forbici ed etichette adesive.

13.3 Documentazione

Per ogni scavo archeologico deve essere redatto il diario di scavo, dove vengono

annotate tutte le osservazioni e i dati della giornata (data, nomi degli operatori, orario di

inizio e fine dello scavo, ecc.).

Inoltre vengono compilate delle schede per ogni US e per lo studio della sepoltura.

La scheda relativa allo scheletro deve riportare tutte le osservazioni possibili come la

posizione dei vari distretti, il tipo di sepoltura (primaria, secondaria), lo stato di

conservazione, orientamento.

Deve esistere anche una documentazione fotografica adeguata; ogni fotografia deve

contenere una lavagnetta con la sigla del sito, l’US e il numero della tomba, la freccia del

nord e una palina divisa in segmenti bianchi e neri di 10 cm allineata con lo scheletro.

Tutte le fotografie devono essere scattate dall’alto e devono essere zenitali per non creare

distorsioni dell’immagine.

Si devono anche effettuare disegni dei reperti scheletrici, di solito in scala 1:10,

1:15, così da permettere la distinzione della posizione delle varie parti scheletriche 39.

39 cfr F. Mallegni (a cura di), Memorie dal sottosuolo e dintorni – Metodologie per un “recupero e trattamenti adeguati” dei resti umani erratici e da sepolture, Edizioni Plus, Pisa University Press, Pisa 2005.

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14. Ringraziamenti

Ringrazio tutti gli operatori del reparto di Polizia Scientifica della Questura di

Pistoia che mi hanno permesso di poter accedere fisicamente all’interno dei loro laboratori

di Criminalistica al fine di realizzare il presente Project Work ed, in particolare, ringrazio

la Dott.ssa Linda Pagnini che, con la sua grande disponibilità e con il suo entusiasmo, mi

ha permesso di poter fotografare strumenti in dotazione unicamente alla “scientifica” e di

usufruire di materiali e documenti necessari per la creazione di questa tesi.

Fig. 140

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15. Bibliografia

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Padova 1994.

- A. Betta, La droga non è un mistero, Arti Grafiche Saturnia, Trento 1977.

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- M. Borrini, Archeologia forense – Metodo e tecniche per il recupero dei resti

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16. Sitografia

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- http://www.crimine.net/wp/?p=83, Aprile 2009.

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