Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno...

55
Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles Fattori sociologici del suicidio Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche Relatore: Roberta Frison Tesista Specializzando: Maria Elena Mungo Contesto di Project Work: Agenzia Investigativa Azeta Anno di corso: Primo Modena: 4 settembre 2010 Anno Accademico: 2009 - 2010

Transcript of Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno...

Page 1: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

Istituto MEME associato a

Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

Fattori sociologici del suicidio

Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche Relatore: Roberta Frison

Tesista Specializzando: Maria Elena Mungo Contesto di Project Work: Agenzia Investigativa Azeta

Anno di corso: Primo

Modena: 4 settembre 2010 Anno Accademico: 2009 - 2010

Page 2: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

2

Indice dei Contenuti

1. Introduzione ........................................................................................................................ pag. 3

2. Il concetto di suicidio nelle varie epoche storiche e nelle diverse culture ................ pag. 9

2.1.Il suicidio come atto eroico o sublime ........................................................................... pag. 9

2.2 Il cristianesimo ed il suicidio …………........................................................................ pag. 14

2.3.Il suicidio romantico ……………………………………………………..................... pag. 16

2.4.Il suicidio come diritto dell'uomo di disporre della propria vita .................................. pag. 22

3. Il suicidio come prodotto della società .............................................................................. pag. 25

4. Come tentare di prevenire il drammatico fenomeno del suicidio ................................... pag. 37

5. Conclusioni .......................................................................................................................... pag. 41

6. Alcuni dati statistici riguardanti i suicidi in Italia e nel mondo ..................................... pag. 42

Bibliografica ............................................................................................................................ pag. 53

Page 3: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

3

1.Introduzione

Il suicidio è un fenomeno di vasta rilevanza sociale, la cui frequenza varia in epoche e culture

diverse. Analogamente a quanto è avvenuto per ogni altra manifestazione psicopatologica, lo studio

del suicidio si è avvalso di un duplice paradigma: da una parte il paradigma personologico, di

derivazione psicoanalitica e antropofenomenica, che, partendo dalla concezione del suicidio come

"atto insano", ha contribuito a svelarne dinamiche e significati, dall'altra il paradigma sociologico,

che ha considerato le manifestazioni umane come parte di un più vasto sistema culturale e socio-

economico.

Non voglio parlare della morte secondo le modalità tanto di moda, non entro nel merito del

testamento biologico. Sono problemi di etica, di morale, di scienza che possono essere analizzati

solo avendo delle risposte certe a domande del tipo: cosa è la vita? Cosa differenzia un umano da

una lucertola e poi da un fiore?

Il suicidio non è stato nei tempi la stessa cosa ed anche nell'antichità, senza che vi fosse una

influenza giudaico-cristiana le posizioni erano differenti.

Nell'Etica Nicomachea Aristotele definisce il suicidio un atto di viltà; del resto, già il suo maestro

Platone non ammetteva il suicidio se non per qualche necessità assolutamente ineluttabile.

Lo Stoicismo, al contrario, è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e,

anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. Seneca, filosofo che ha chiuso la

sua vita con un atto volontario (sebbene dettato da Nerone, ma va ricordo che uno stoico non fa

nulla contro il proprio volere) o tecnicamente più di un atto - successivamente: cicuta, taglio delle

vene dei polsi e dietro le ginocchia, bagni di vapore per spossare il corpo già dissanguato - spiega in

più punti della sua opera che lo stoico, quando ritenga di aver compiuto la parte che il fato gli ha

destinato, può decidere di uscire dalla vita. L'accettazione del suicidio è la conclusione di una

filosofia che insegna che i mali spesso sono tali solo in apparenza, e la morte non fa eccezione.

Bisogna però ricordare sempre che il suicidio è ammesso non come fuga, ma solo quando il proprio

dovere è compiuto, e anche in questo caso è chiaramente solo una libera scelta.

Nel III sec. d.C. Plotino scrisse un trattato riguardante il suicidio. Per via della propria impostazione

naturalistica, e in parte panteista, egli critica aspramente le posizioni dello stoicismo; ritiene infatti

necessario seguire il corso naturale della vita. La vita stessa, in quanto espressione dell'anima che

illumina una natura inferiore, è concepita infatti in senso divino, quale prodotto ultimo della

processione da Dio. "Non ti toglierai la vita, affinché l'anima non se ne vada", il suicidio provoca,

Page 4: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

4

secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera

innaturale. Non esiste il suicidio razionale, la violenza al proprio corpo è sempre accompagnata da

"angoscia, dolore o ira". La vita è inoltre un percorso evolutivo per il filosofo, che permette di

elevarsi attraverso la legge che regola il ciclo delle reincarnazioni: "E se il rango che ciascuno avrà

lassù corrisponde alla sua condizione al momento della morte, non bisogna suicidarsi finché c'è la

possibilità di progredire".

Se il suicidio affrontato per una causa giusta, come la libertà, è giustificato da alcuni filosofi antichi,

la totale condanna di questo gesto, pur nell'umana pietà, è solitamente presente nelle filosofie

cristiane o che hanno subito l'influsso del cristianesimo. Il suicidio è infatti condannato come atto

immorale o vile di fronte alla vita: "contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a

conservare e perpetrare la propria vita", recita infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica; "al tempo

stesso è un'offesa all'amore del prossimo perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la

società familiare, nazionale ed umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi".

Solo con l’avvento della Rivoluzione Francese il suicidio non è più stato considerato reato (o

meglio il tentato suicidio per ovvi motivi), è rimasta punibile severamente l’istigazione al suicidio.

Ma a tale liberismo illuminista non ha fatto seguito una analisi delle motivazioni che ne stanno alla

base. D’altronde una cultura razionalista non poteva affrontare che razionalmente il problema e

quindi intellettuali quali Voltaire non avevano il potere comprendere un qualche cosa che nascesse

dall’irrazionale.

Alfieri intende il suicidio come atto non di debolezza ma di ribellione: quando gli ostacoli della vita

diventano insormontabili e l'uomo si sente sopraffatto da un destino che lo condanna

inesorabilmente alla sconfitta, egli ricorre al gesto del suicidio, inteso come protesta a ciò che il

destino gli ha riservato.

Il protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo di Foscolo, si suicidia, atto che è

insieme una liberazione e una protesta: liberazione dal dolore e protesta contro la natura, che ha

destinato l'uomo all'eterna infelicità.

Giacomo Leopardi fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti

del passato e quelli della sua epoca. Dice che gli antichi si suicidavano “per eroismo per illusioni

per passioni violente”; mentre i suoi contemporanei si suicidano perché sono “stanchi e disperati di

questa esistenza”. Sostiene che il suicidio non può essere considerato un atteggiamento folle, ma al

contrario la conseguenza di un logico ragionamento di una fredda analisi razionale. Nonostante il

suo pessimismo cosmico definisce il suicidio "la cosa più mostruosa in natura”.

Page 5: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

5

Secondo Schopenhauer l'obiettivo per liberarsi dal dolore dell'esistenza è superare la volontà di

vivere, ma non attraverso il suicidio, il quale non è una soluzione ma una delle massime

manifestazioni della volontà di vivere. Schopenhauer sostiene che proprio perché si ama troppo la

vita e non la si vuole vivere in una condizione sgradevole ci si libera con il suicidio.

Secondo Heidegger il suicidio è una forma di anticipazione non autentica della morte; togliendosi la

vita, infatti, l'esserci umano sfugge alla progettazione di un essere-per-la-morte autentico, ovvero

alla comprensione che la sua esistenza è tale nella sua autenticità solo in quanto concepita a partire

da un riferimento costante alla propria morte, come momento estremo che definisce il tempo della

propria vita come una totalità temporale.

Solo decenni dopo si è cominciato ad intravvedere ciò che giaceva sotto la punta dell’iceberg del

cosciente. Groddek, allievo di Freud dal quale precocemente si distaccò aveva intravvisto per primo

un Es irrazionale che governava di nascosto l’Io razionale. Freud poi da bravo venditore qual’era gli

rubò il concetto e coniò la seconda topica. Negli stessi anni nascevano anche la sociologia e

l’antropologia. Uno dei fondatori di questa scienza umana è stato Emile Durkheim. Secondo questo

autore le cause del suicidio sono si psicologiche ma soprattutto sociali. Coniò il termine di anomia,

la rottura dell’equilibrio tra il soggetto e la società. Anche qui nulla di nuovo sotto il sole, bastava

rileggersi gli autori latini. Durkheim vedeva il suicido modellato in tre tipi: egoistico, altruistico,

anomico. Di queste tre tipologie, quella che ci interessa maggiormente dal punto di vista sociale è

quello anomico.

In tutta la storia del genere umano si sono alternati momenti di pensiero utopico a forme di

ridimensionamento e contestazione dello stesso. Alla “Città del Sole” si è contrapposto il Leviatano.

Ma è possibile realmente per l’uomo giungere ad un punto in cui il male sia completamente

dimenticato? L’ultima utopia che ci è stata presentata si chiama illuminismo, razionalismo,

progressismo.

La fede cieca nella ragione e nel raziocinio umano ha creduto che eliminando i fantasmi della

tradizione, della religione, del mito la società sarebbe progredita fino ad un sistema “perfetto” in cui

ogni individuo sarebbe vissuto privo di costrizioni, in cui la scienza e la tecnica ci avrebbero

liberato dalle malattie, dalla miseria ed un giorno anche dalla morte.

Ma la storia non ha letto “l’Enciclopedia” e dopo due secoli il mondo della “razionalità scientifica”

ci ha liberato di alcune malattie e ce ne ha regalate altre. Sono scomparse alcune miserie e ne sono

giunte di nuove, più nascoste.

La guerra si combatte ancora e con distruzioni di massa che coinvolgono la popolazione civile

Page 6: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

6

ancora più degli eserciti.

Hobbes è ricomparso vestito da banchiere a ricordarci che “homo hominis lupus”, Rousseau è

tornato ad essere un paragrafo marginale sui libri di scuola.

Eppure, nonostante sia più che evidente il fallimento di questa politica razionalista, continuiamo ad

essere illusi del miraggio di un mondo utopico senza reale futuro. Contemplando il “Sol

dell’Avvenire” non ci accorgiamo delle tenebre dell’oggi.

Una delle massime del buon governo confuciano recitava che: “la virtù nasce dal rispetto delle

piccole cose”. Noi occidentali abbiamo prima eliminato il rispetto per le piccole cose e poi anche

per quelle grandi.

L’orgia iconoclastica che ci perseguita continua a distruggere i templi degli dei sostituendoli con

centri commerciali. La felicità nasce dal possesso di un televisore al plasma. Ma quando hai

acquistato con 48 rate senza anticipo il televisore al plasma e ti accorgi che sei come prima a quale

oracolo ti rivolgi? Il dio del consumismo ti risponderà che non sei felice perché lo hai acquistato di

“soli” 32 pollici. Avresti dovuto averlo di 42 con il lettore di DVD e sistema Home Theatre. Così,

insoddisfatto, queste nuove rate si assommeranno a quelle del telefonino, della lavatrice, della

macchina, del viaggio alle Maldive.

L’aumento dei suicidi, caratteristica peculiare delle società industriali più “evolute” è solo un

epifenomeno del malessere che caratterizza l’uomo moderno. Il suicidio è una tendenza

autodistruttiva individuale ma esistono altri tipi di suicidio “collettivo”.

La famiglia ha assunto sempre di più i connotati di un contratto commerciale. Non un impegno

trascendente ma un accordo tra le parti.

Tu mi stiri le camice, io pago la bolletta della luce. Se un giorno non porterò più le camice allora

arrivederci.

I figli rappresentano più che un problema un peso, la natalità è in caduta verticale nel mondo

“civilizzato”. Certo avere dei figli rappresenta una gran rottura. Passi per il doverli nutrire, vestire,

mandare a scuola, al doposcuola, al dopo-doposcuola (brillantemente risolto dalla televisione), ma

trovare quando devi andare a teatro una baby-sitter che non ti rubi in casa è una impresa. Ma

soprattutto ti trovi a dover rispondere a delle domande che non sono soltanto se i bambini li trovano

sotto i cavoli o peggio ancora a dover essere di esempio.

L’uomo nell’apoteosi estrema del proprio individualismo è riuscito persino ad annullare uno dei

principali istinti animali presenti in natura: la sopravvivenza della specie.

Page 7: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

7

Anche le amicizie sono state sostituite dai soci in affari. Utili spalle per il proprio comportamento,

non più esseri con cui condividere sogni, aspirazioni, dolori, delusioni.

Il rapporto con Dio è diventato “democratico”, ma del resto quello che è diventato l’unico e vero

dio attuale è il “denaro”, ciò che più spaventa è comprendere di avere anche dei doveri.

Doveri verso il coniuge, doveri verso i figli, doveri verso gli altri. Tutti questi doveri sono dei pesi,

delle responsabilità. Ben venga quindi questo sistema che ci solleva dall’avere dei doveri e ci lascia

solo diritti.

Ma l’assenza di senso del dovere non ci ha reso più liberi, ci ha reso solo più “animali”, anzi ci ha

reso ancora meno che animali. Una bestia non butterebbe nel cassonetto il proprio figlio appena

partorito.

Generazioni private dalle norme morali, dai doveri etici di comportamento, crescono in quei paesi

ed in quegli ambienti ove la tradizione e la cultura popolare sono state sradicate.

Non dobbiamo ritenerci esenti da questo, anche da noi non si trasmettono più valori reali, la

pedagogia è diventata una scienza esatta. Nelle scuole medie ed nelle superiori non si insegna a

vivere ma l’inglese, l’informatica, il diritto d’impresa.

La grande educatrice è diventata la televisione, gli insegnanti ampiamente demotivati attendono lo

squillo della campanella ancora più degli studenti.

Ma se la televisione è strumento di penetrazione commerciale, proviamo ad immaginare quale tipo

di modello educativo possa proporre.

Da questo sistema, deluso dalle aspettative create da un liberismo positivista, in cui si è perso il

concetto di educazione improntata non solo sui diritti ma anche sui doveri, è nata una società di

infelici, disadattati, insoddisfatti cronici. Questo solamente nel contesto “fisiologico”; nel campo

della patologia si è dovuta creare una vera e propria scienza per la diagnosi e la “cura” di malattie

della psiche praticamente sconosciute nella società pre-rivoluzione industriale.

Il 60% degli statunitensi fa uso di psicofarmaci, la percentuale di suicidi si è decuplicata, il trend

demografico dell’occidente è in continua diminuzione, si fa uso di droghe e di aiuti farmacologici

per divertirsi, per fare sesso, per fare sport, per lavorare. Con queste premesse non dovrebbe essere

molto difficile intuire come non si stia poi molti meglio complessivamente rispetto al passato.

Certamente la mortalità infantile si è ridotta nettamente, ci sono ora molti più giovani che possono

morire suicidi, per droga o schiantati contro un albero a duecento all’ora il sabato notte.

Un anziano difficilmente morirà di polmonite, esistono gli antibiotici, potrà continuare a condurre

Page 8: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

8

una triste vita seduto su una panchina senza nemmeno potersi permettere il quotidiano del giorno,

considerato come un peso per la società della produzione, uno che spende poco e che si deve solo

mantenere.

Abbiamo telecomunicazioni che ci consentono di parlare con genti dell’altro pianeta ma non

conosciamo il nostro vicino di casa. Chattiamo con sconosciuti ma non parliamo con i compagni di

scuola e di lavoro. Possiamo viaggiare velocemente in aereo per raggiungere luoghi lontani e

trovare gli stessi negozi, le stesse marche, gli stessi cibi, tutto stereotipato e senza interesse alcuno.

La scienza e la tecnica hanno fatto passi da gigante, non abbiamo più paura del colera, ora abbiamo

quella della bomba atomica. La guerra oggi è programmata ancora dai militari, ma a morire sono

soprattutto i civili. Questo è forse il mondo perfetto? Se è così perfetto, perché continuiamo nel

nostro intimo a sentirci tanto male. Ma, soprattutto, se ci sentiamo così male perché continuiamo a

credere a chi continua a dirci che questo è il migliore dei mondi possibile, l’unica possibilità per il

genere umano. Se questo è il migliore dei mondi possibile, la fine della storia, perché aumentano i

suicidi? E chi sono gli artefici di questo malessere? Non è forse ancora un reato l’istigazione al

suicidio? Non sono forse colpevoli quelli che hanno tolto la vita e la speranza ad intere generazioni?

Ma questo è un argomento più scomodo da trattare nei salotti televisivi piuttosto di uno stra-

scontato, laico, razionalista, illuminista “testamento biologico”.

Page 9: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

9

2.Il concetto di suicidio nelle varie epoche storiche e nelle diverse culture

2.1 Il suicidio come atto eroico e sublime

L’eroe nel momento della sua lotta contro il destino affronta il suicidio come conseguenza ultima

dell’eroismo: dalla gloria eroica alla gloria di un gesto che lo corona e distrugge.

La concezione eroica antica passa attraverso l'evoluzione dall’eroico arcaico all’eroico posto di

fronte alla saggezza civile.

Così l’atto eroico diviene l’atto suicida e l’atto suicida, nella visione del tragico, appare come un

atto di suprema giustizia.

Il suicidio equivale ad accettare una punizione? Esso è un affrontare la tenebra che attende gli eroi,

un volere la punizione, un rivendicarla a sé togliendola alle Erinni e alla logica oscura del fato. Il

fato non esprime qualcosa di più alto, grandioso e quasi sacrale? La morte non dev’essere affidata

ad esso, e non accettata come obbedienza a un ideale di onore?

Ma l’alternanza di cecità e lucidità, di follia e ragione, di vita e di morte è forse il nodo cruciale.

Perché l’atto eroico, anche se inteso come sacrifico, non è una vera catarsi. E’ il tormento, lo

spasimo della morte, fino al silenzio ultimo dell’eroe che sembra accostarlo a qualcosa di nuovo e

di vero, è questa la sublimità tragica di un suicidio capace di condannare la forza attraverso la forza.

In Francia, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento si sviluppò una corrente antro-psico-

sociologica dedicata al tema del "suicidio altruistico-eroico", cioè di quella forma estrema di

sacrificio di sé in vista di un bene supremo (coincidente in genere con un ideale religioso o

politico).

Capostipite di tale corrente fu Émile Durkheim (1858–1917), che si rifiutò d'interpretare il

fenomeno del suicidio come effetto di un mero disordine mentale individuale, spesso conseguente, a

sua volta, di determinate tare ereditarie.

Oggi è relativamente facile definire il suicidio altruistico come il tentativo di accettare passivamente

la violenza su di sé, senza reagire con la violenza e senza provocare violenza su altri, o, al contrario,

come la pretesa di trasformare attivamente il proprio corpo in un'arma letale contro il proprio

nemico-usurpatore (di proprietà o di libertà).

Page 10: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

10

Una scelta del genere, che esplode quando si ritiene che il rapporto di forze sia troppo sbilanciato a

favore del "nemico", e ovviamente quando si pensa che il gesto possa indurre, in qualche modo, il

popolo oppresso (che può anche coincidere col proprio gruppo etnico o religioso o politico) a

reagire agli abusi con maggiore solerzia e decisione. Martiri contemporanei, che rientrano in tale

visione delle cose, li abbiamo spesso visti nel conflitto palestinese, in quello ceceno, iracheno,

iraniano, libanese, tibetano; negli anni Sessanta e Settanta se ne vedevano in Cecoslovacchia,

Ungheria, Vietnam, Cambogia...; prima ancora in India, in Russia e in tutte quelle popolazioni che

nell'Ottocento combatterono per avere una propria nazione indipendente.

Durkheim però fu il primo che cercò di collegare il suicidio al contesto socioculturale

dell'individuo: confessione religiosa, famiglia, società politica, andando ben oltre la semplice analisi

dei fattori psichiatrici.

Nella sua pionieristica indagine sociologica, Il suicidio (1897), egli notò, avvalendosi di rilevazioni

statistiche, che nelle società protestantiche, così fortemente basate sull'individualismo, i tassi dei

suicidi erano nettamente superiori a quelli riscontrati nelle società di religione cattolica. I meno

tentati da questo atto estremo erano, secondo lui, gli ebrei, a motivo del fatto che avevano saputo

maturare un forte spirito di gruppo, come forma di reazione alle tante persecuzioni subite.

Le tipologie di suicidio ch'egli riuscì a individuare furono quattro:

1. il suicidio egoistico, determinato da un dislivello, percepito come incolmabile, tra i propri

desideri e la loro possibilità di realizzazione. In questo caso gli "altri" non vengono visti

come fonte d'aiuto, ma come irriducibili concorrenti. Ci si toglie di mezzo per non aver

saputo raggiungere uno standard vitale sufficientemente accettabile;

2. il suicidio altruistico è invece tipico delle società primitive o di quelle comunità in cui il

rapporto sociale è chiuso, nel senso che l'individuo dipende totalmente dal collettivo, come

p.es. il capitano d'una nave in procinto d'affondare o un militare in guerra.

L'autoimmolazione diventa quasi un gesto obbligatorio, che può anche essere caricato di

ulteriori motivazioni di tipo mistico-religioso;

3. il suicidio anomico è forse quello più interessante, nell'analisi di Durkheim, proprio perché il

più moderno, o meglio, il più "occidentale". "Anomia" significa "mancanza di valori", di

"punti di riferimento ideali". E' il gesto di chi non riesce a sopportare improvvise

perturbazioni economiche che abbassano il livello del proprio stile di vita; ma anche il gesto

di chi non riesce più a ritrovare se stesso all'interno di una società che, nel proprio benessere,

evolve troppo in fretta. La corsa continua al successo stressa psicologicamente, rende

Page 11: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

11

insicuri e non permette di affrontare con serenità i momenti di crisi;

4. il suicidio fatalistico, che Durkheim ha voluto contrapporre a quello anomico e che non ha

molto convinto i sociologici successivi. Si ha quando esiste una sorta di disciplina

caratterizzata da prescrizioni assolutamente esagerate, che impediscono all'individuo di

emergere, di farsi valere come tale. Una situazione del genere è rappresentata dalla

schiavitù.

La conclusione della sua indagine era che il suicidio dipendeva più da dinamiche sociali che da

problematiche individuali. La società non andava considerata come mera somma di individui, ma

come qualcosa di molto più complesso, dotato di una propria autonomia, con cui uomini e donne

devono saper interagire.

Questo principio, per quanto l'analisi di Durkheim sulle società primitive fosse in gran parte errata,

costituì per molto tempo un assioma su cui altri ricercatori basarono i loro studi. Notevoli, p.es.,

furono le indagini condotte da R. Hertz (1881-1915) sui Dayak del Borneo (La pratica della doppia

sepoltura, 1907) e quelle di M. Mauss (1872-1950) che utilizzò le ricerche di due etnologi: Boas e

Malinowski, per scrivere il suo capolavoro, Saggio sul dono (1923), in cui poté dimostrare che in

tutte le società primitive la continuità dei rapporti umani veniva garantita dalla triplice obbligazione

morale del dare, ricevere e ricambiare; non solo, egli arrivò anche a comprendere che azioni per noi

del tutto naturali, come p.es. il parlare, il camminare e il dormire, in quelle società diventavano

fenomeni sociali veri e propri.

Qui intanto si può notare come le tipologie scelte da Durkheim per spiegare il suicidio altruistico,

oggi si siano ulteriormente diversificate, chiamando p.es. in causa le gesta dei giovani palestinesi

contro l'occupazione israeliana. In casi del genere l'altruismo riscatta un'intenzione che altrimenti

apparirebbe come sconsiderata o, quanto meno, eccessiva. Ma c'è di più, seppur in forma negativa

(in quanto col suicidio viene comunque spezzata una vita, e anche più di una, quando esso assume

una forma di tipo terroristico): il suicidio altruistico è in grado di far percepire alla collettività

oppressa che esiste un'alternativa "sociale" ai disvalori dominanti, un'opposizione irriducibile, di

gruppo, al sistema coercitivo.

Certo è che sarebbe difficile sostenere la stessa cosa pensando ai kamikaze giapponesi durante la II

guerra mondiale, proprio perché qui il suicidio altruistico era dettato da una sorta di cieco fanatismo

instillato da uno Stato militarista e imperialista. Indubbiamente negli ambienti militari qualunque

gesto di abnegazione, fino al sacrificio di sé, viene considerato utile non solo a se stessi (in quanto

si pensa che lasci di sé una percezione eroica), ma anche all'intero gruppo di appartenenza (che si

Page 12: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

12

sente confermato nel valore della propria missione); e tuttavia, quando le forze militari sono

rappresentative di regimi autoritari, inevitabilmente il suicidio assume una connotazione

ideologizzata, dove la strumentalizzazione da parte degli organi di potere è enorme.

L'autoimmolazione è più la necessità di obbedire a un ordine autoritario che non una scelta

consapevole a favore di un ideale che va oltre la contingenza del momento. Si è talmente abituati a

obbedire che il rifiuto di accettare una richiesta del genere apparirebbe come una forma di

tradimento. Basta vedere, p.es., a come si comportarono le divisioni naziste in Russia, quando una

qualunque valutazione realistica consigliava la resa.

Non si può parlare di "martiri della libertà" quando gli apparati politico-militari di appartenenza

occupano territori altrui. Neppure quando si pensa di farlo nella convinzione di trasmettere una

superiore civiltà. La storia, prima o poi, arriva a smentire queste pretese, denunciandone la

mistificazione.

Guardando invece i martiri palestinesi della libertà (ma lo stesso discorso potremmo farlo per i

tibetani contro i cinesi), si deve constatare che il livello di istruzione di costoro non è affatto basso

né le condizioni economiche di vita sono particolarmente indigenti. Queste tipologie di martiri sono

persone comunissime, che non hanno mai manifestato sintomi di malattia mentale; è vero che

possono avere un orientamento religioso determinato, ma non pare essere la religione il fattore

fondamentale che li porta al suicidio, anche se indubbiamente essa conferisce una sacralità

particolare a ogni atto di eroismo o di sacrificio personale.

Questi "testimoni della verità" sono convinti di compiere qualcosa per il bene del paese in cui

vivono. Si sacrificano per aiutare il loro paese a liberarsi da una insopportabile oppressione. E'

molto difficile analizzare un fenomeno del genere, poiché anche il padre dell'esistenzialismo

filosofico, S. Kierkegaard, era convinto che col proprio sacrificio avrebbe contribuito a far uscire il

proprio paese da una forma di vivibilità del cristianesimo vuota di contenuto, ma il suo gesto viene

unanimemente considerato quello di un irrazionalista, e non tanto perché ammantato di religione,

quanto perché vissuto all'interno della mera individualità isolata, che si costruisce della realtà una

rappresentazione univoca.

Ora, è difficile sostenere che gesti del genere possono accampare una pretesa di razionalità soltanto

perché, come nel caso dei palestinesi, vengono compiuti all'interno di una consapevolezza

collettiva. Si tratta sempre e comunque di una forma di disperazione. I martiri volontari hanno solo

astrattamente il senso della democrazia: di fatto non credono nella forza del popolo, restano malati

di individualismo e, proprio per questa ragione, tendono a preferire i gesti estremi, spettacolari,

eccezionali, che, quando sono in gioco valori religiosi, vengono enfatizzati con un'aurea di sacralità.

Page 13: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

13

L'antropologo francese René Girard ha scritto nel suo volume La violenza e il sacro (1972), che il

suicidio non appare più oggi, a certa opinione pubblica, come un atto contro natura o contro dio,

ma, al contrario, come un atto sacro, nel senso che il martire è allo stesso tempo sacerdote e vittima

sacrificale. L'azione terroristica diventa un atto religioso di guerra. Tuttavia, questa forma di

opposizione di massa, di strati sociali oppressi, che non riescono a rinunciare al lato mistico della

loro ideologia e che restano incapaci di creare un vero movimento di liberazione nazionale, resta

sempre una forma di disperazione, che di costruttivo non ha nulla.

Anche G. Bataille (1897-1962) lavorò su questo argomento, arrivando però alla conclusione che

l'aspetto mistico non stava tanto nell'ideale supremo del sacrificio, quanto nel sacrificio stesso,

avente valore in sé o, al massimo, in rapporto alla propria, piccola, comunità d'appartenenza.

Bataille non credeva nella possibilità che interi Stati potessero portare a suicidi di massa, proprio

perché, secondo lui, ciò era incompatibile con l'individualismo dominante nei paesi del capitalismo

avanzato.

Eppure, se si guardano i totalitarismi del Novecento, bisognerebbe pensare proprio il contrario.

Governi autoritari riuscirono a indurre milioni di persone ad accettare una gigantesca follia di

massa, in cui il sacrificio di sé, concepito in maniera nazional-popolare, veniva assunto come valore

supremo, soprattutto quando si prospettava il rischio di non potersi imporre con la forza sul proprio

nemico: tutta la retorica nazifascista e nipponica ruotò attorno a questo tema.

Secondo Bataille invece l'individuo che si autoimmola ritrova la comunità contro lo Stato,

attraverso la riscoperta della dimensione del sacro, che è intrinsecamente violenta, trasgressiva,

poiché solo così sente di poter far uscire, da un inconscio istituzionalmente represso, i propri valori

di vita.

Questo modo di ragionare, per esempio, è tipico degli individui appartenenti alle comunità

islamiche, oppresse da Stati autoritari, tanto che la parola "martire" (shahid) indica piuttosto un

"testimone della verità".

Page 14: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

14

2.2 Il cristianesimo ed il suicidio

Nella Bibbia si trovano elencati sette suicidi: il più noto si trova in Matteo 27:3, ovvero il suicidio

di Giuda Iscariota dopo aver tradito Gesù. Il gruppo pro suicidio più celebre fu quello dei Donatisti,

i quali erano convinti che uccidendosi avrebbero potuto raggiungere il martirio ed andare dunque in

Paradiso. Vennero per questo ufficialmente dichiarati eretici. Nel V secolo, Sant'Agostino scrisse il

libro “La Città di Dio, in cui vi è la prima condanna del suicidio da parte del Cristianesimo. La sua

giustificazione biblica per tale condanna fu l'interpretazione del comandamento “non ucciderai”,

mentre altre giustificazioni vanno fatte risalire alla “Fedra di Platone”. Nel VI secolo il suicidio

divenne un peccato religioso ed un crimine laico. Nel 533, coloro che commettevano suicidio non

solo venivano accusati di crimine, ma si vedevano negati anche una sepoltura Cristiana. Nel 693,

persino il tentato suicidio divenne un crimine ecclesiastico, che poteva essere punito persino con la

scomunica, con le temute conseguenze civili. Tommaso D'Aquino diffamò il suicidio come atto

contro Dio.

Leggi civili e criminali vennero adottate per scoraggiare il suicidio, ma anche per negare una

sepoltura appropriata, degradando così il corpo. La proprietà e i possedimenti del defunto e della

sua famiglia venivano confiscati. Molti Cristiani credono nella santità della vita umana, un principio

che, generalmente, afferma che ogni vita umana è sacra – una meravigliosa e perfino miracolosa

creazione di Dio– e deve essere compiuto ogni sforzo per salvarla e preservarla quando Tommaso

d’Aquino possibile. Quindi, il prendere deliberatamente la propria vita sarebbe incompatibile con

questa visione globale.

Nel Cattolicesimo, la morte per via di un atto di suicidio liberamente scelto è considerata un grave

peccato mortale. Il principale argomento cattolico è che la propria vita è proprietà di Dio, e

distruggere tale vita vuol dire imporre il proprio dominio su ciò che è di Dio. Al punto 2281 del

Catechismo si afferma: ‘’Il suicidio contraddice l’inclinazione naturale dell’essere umano di

preservare e perpetuare la sua vita. È gravemente contrario al giusto amore di sé. È lo stesso che

offendere l’amore del prossimo perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la famiglia,

la nazione, e le altre società umane nei confronti dei quali continuiamo ad avere degli obblighi. Il

suicidio è contrario all’amore per il Dio vivente.’’ Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997

sosteneva che la persona che commetteva suicidio poteva non essere pienamente sana di mente; e

perciò non colpevole moralmente al 100%: "Gravi disturbi psicologici, angoscia, o una seria paura

delle avversità, della sofferenza o della tortura possono diminuire la responsabilità di colui che

commette il suicidio.”

Page 15: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

15

La dottrina cristiana considera il suicida un carnefice di se stesso, in nulla e per nulla differente da

un assassino. Il sesto comandamento si riferisce quindi tanto ai propri fratelli quanto a se stessi. Il

suicidio è, come afferma S. Agostino e la Patristica, una atto di violazione della legge divina da

parte dell'uomo. Non è più interpretato come un'espressione di libertà umana, ma come un'offesa

verso il Dio che ci ha creati: Egli ci ha creati, a Lui appartiene la nostra vita e solo Lui potrà

riprenderla, quando lo reputerà opportuno. Uccidere se stessi significa quindi assumersi una libertà

su cui non si ha diritto, gettare un bene che non ci appartiene, un dono fattoci per essere conservato

e fatto fruttare, come espresso nella Parabola dei Talenti. Inoltre il suicidio può esser ritenuto un

gesto ancor più grave considerando che, secondo il punto di vista arminiano, il fulcro della salvezza

dell'uomo è il pentimento: ogni peccato deve essere confessato prima della morte. Il suicida non

può pentirsi del proprio gesto in quanto nel momento in cui lo compirà, egli naturalmente sarà

morto.

Page 16: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

16

2.3 Il suicidio romantico

Come sappiamo, il romanticismo nacque alla fine del XVIII secolo, in Germania, nella città di Jena.

I suoi maggiori esponenti furono Friedrich von e August Schlegel insieme ad altri (i nomi sono

troppo difficili da scrivere). Friedrich, dopo che si trasferì a Berlino, fondo la rivista "Athenaeum",

che rappresenta il primo documento di diffusione delle idee romantiche.

I fratelli Schlegel strinsero dei rapporti d’amicizia anche con Fitche, di cui subirono l’influsso

filosofico e considerandolo il padre del Romanticismo. Lo stesso Hegel, ebbe modo di conoscere le

dottrine estetiche e filosofiche dei due fratelli. Dopo la morte di Friedrich von, il gruppo

(conosciuto come il circolo di Jena) si sciolse, ma le sue idee si diffusero ed ebbero grande successo

in altre città tedesche, come Monaco.

Non è molto semplice poter fare un elenco di tutti i caratteri e le forme in cui il romanticismo è stato

interpretato nel corso degli anni, ma è possibile delinearne gli aspetti più comuni, come ad esempio

il rifiuto della ragione illuministica e la ricerca di altre vie d'accesso per giungere all'infinito.

Spesso si intende il romanticismo come il movimento della non-ragione, tuttavia non è esattamente

così dal momento che è vero che rifiutano la ragione, ma non in senso lato, rifiutano solo quella

illuminista dicendo che la ragione illuminista, quella ragione calcolatrice e "scientifica", poteva

cogliere solo pochissimi aspetti della realtà, e anche i più superficiali.

Inoltre i romantici intendendo la storia sotto forma di percorso guidato da Dio, vedono nella ragione

illuminista un tentativo di ribellione a questo e vedono nella rivoluzione francese, per esempio, la

conseguenza dicendo: "avete voluto voi prendere in mano il vostro destino? ecco il risultato". Ecco

che Hegel prende la ragione illuminista e la divide in intelletto e ragione propriamente detta,

addossa all'intelletto tutti i limiti sopraccitati e dice che invece è la ragione, intesa però nel modo

"dialettico", che deve essere la guida (ecco perché è sbagliato dire in toto che rifiutano la ragione).

I romantici cercavano dunque altre vie d'accesso all'infinito. Quest'ultima era per loro il sentimento

(categoria spirituale che fino ad allora si aveva sempre ignorato), interpretato come un insieme di

emozioni indescrivibili, con il quale la ragione non ha niente a che vedere (citazione: il pensiero

non è altro che un sogno del sentimento "Novalis") e viene ritenuto in grado di poter oltrepassare

quei famosi limiti di cui Kant ha tanto parlato e di poter giungere alla conoscenza primordiale. Il

sentimento è visto come l'infinito stesso.

Come strategia per giungere al sentimento e al vero sapere ecco che i romantici riscoprono la

religione e le danno una notevole importanza; in particolare, proprio con questo rifiuto così marcato

Page 17: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

17

della divinità dell'illuminismo (kant era agnostico ad esempio) loro si "scagliano" dalla parte

opposta andando proprio anche a riscoprire le fedi positive, che sono quelle religioni naturali con

l'aggiunta di tutta quella costellazioni di riti e liturgie.

Ecco, un esempio è Schlegel, il quale abbraccia il cattolicesimo (e non il protestantesimo ad

esempio) proprio perché il cattolicesimo è più coinvolgente con tutti i suoi riti, le sue liturgie, ecc...

Tuttavia questo non fu l'unica altra via per raggiungere il vero sapere:

Hegel rappresentò, per esempio, una eccezione, in quanto egli non abbracciava la religione, ma

neanche l'illuminismo bensì prendeva il discorso kantiano sulla ragione e sull'intelletto

(propriamente detti) e diceva che l'intelletto aveva le colpe ed i "difetti" che loro avevano scagliato

alla scienza mentre abbraccia la ragione, in senso dialettico arrivando a dire che è solo tramite la

ragione dialettica che arriviamo alla conoscenza vera e quindi anche all'infinito

Da una nota frase di Fichte possiamo dedurre che l'uomo non ha un'essenza immutabile e

predeterminata, ma se la crea da solo, ed ha quindi un'essenza dinamica, in continuo divenire. La

nostra essenza viene costruita attraverso l'azione e l'essenza dell'uomo non può essere altr oche la

libertà.

L'infinito è il protagonista principale del movimento romantico: con esso e in esso l'uomo può

raggiungere la Verità, andare oltre quelle che sono le barriere filosofiche dell’illuminismo e di Kant,

e avvicinarsi egli stesso alla forma perfetta e infinita di essere (dio)

Ecco che la mentalità romantica, intesa come ribelle e anticonformista (per alcuni sensi), si

concretizza nel tema dell'evasione: lo spirito ribelle romantico vuole evadere da tutto ciò che è

quotidiano e monotono, vuole abbandonare il comune "finito" quotidiano per darsi ad esperienze

uniche e travolgenti (ecco che anche la droga era un utile mezzo per fare queste esperienze);

parallelamente a ciò, viene riscoperto anche il medioevo, con tutti i usoi miti e le sue leggende,

proprio per andare alla ricerca del tenebroso, dello strano e del magico (Bram stoker per esempio,

l'autore di Dracula, era un romantico).

Ciò si lega fortemente alla figura del romantico come viaggiatore; ma, il viaggiatore non era inteso

come colui che viaggiava in mezzo alle città per conoscere costumi ed abitudini dei posti, ma come

un vagabondo infelice che vagabondava senza meta

I Romantici vedono il periodo classico: in cui tra uomo e natura e tra individuo e società vi era un

rapporto basato sulla comunione e la spontanea e immediata identificazione. l'uomo non vedeva un

nemico nella natura ma si sentiva parte di essa e viveva in armonia con essa. Stessa cosa nel

Page 18: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

18

rapporto tra individuo singolo e società, il singolo io non viveva il rapporto con gli altri con

conflittualità, ma si sentiva integrato in una società in cui aveva un suo ruolo e la sua vita aveva un

suo senso, non vi era scontro con la società. Questo periodo è identificato con quello dell'età

classica (lo stesso degli umanisti e dei rinascimentali, il mondo greco romano). In questo modo la

vita non era una lotta per la propria affermazione contro gli altri e la natura, ma la vita di ogni

individuo aveva un suo senso compiuto, ciascuno aveva un proprio ruolo e trovava negli altri e nella

natura immediato soddisfacimento alle proprie esigenze.

A questo periodo di segue uno rottura dell'unità tra uomo e natura e individuo e società. La natura

diventa un nemico, una forza da sottomettere e controllare, piegandola ai propri bisogni e questo

avviene attraverso la scienza, con cui l'uomo sottomette la natura al proprio volere e non vede più in

essa la propria dimora e non si sente più parte di essa. La natura va sottomessa con la tecnica e

piegata alla volontà dell'uomo, non è più il luogo della bellezza e dell'armonia. Stessa cosa avviene

nel rapporto con gli altri e la società. L'individuo singolo entra in conflitto con la società, questa è

quel non io che si oppone alla realizzazione dei suoi desideri e vivere significa (vedi il concetto

dialettico di esistenza come lotta tra io e non io e streben) combattere con gli altri e con le forme

dell'organizzazione sociale per affermare la propria volontà contro la volontà degli altri.

Il senso dell'unità perduta, della fratellanza con gli altri e delle proprie radici naturali diventa così

una delle esigenze che il poeta e l'artista romantico cercano di realizzare, ritornare alla natura e a un

rapporto autentico e non conflittuale con gli altri sono obiettivi della società futura. Tale riconquista

dell'armonia porta avvenire attraverso la politica (il concetto di nazione come unità di popolo basata

sulla comune storia, lingua e tradizione), attraverso la poesia e l'arte (capaci di costituire un comune

patrimonio in cui tutti possano riconoscersi, vedi romanzo storico), attraverso l'amore (visto come

fusione tra due singoli).

Amore e Morte sono un binomio classico del Romanticismo poiché l’investimento affettivo

dell’amore romantico verso la persona amata, è sì grande, ma spesso non possibile a causa di

svariati motivi, e per questo nasce quella convinzione della dolcezza narcotica della morte

romantica, la convinzione che la morte sia dolce e quasi mai dolorosa. La speculazione sul

significato e il valore della “morte felice” ha attratto da sempre l’interesse di scrittori e filosofi. Già

Platone affermava che vivere significa prepararsi alla morte, perché il distacco dell’anima dal corpo

va preparato moralmente: infatti l’anima, essendo increata, è anche eterna ed immutabile, quindi

superiore al corpo. Nella Repubblica prospetta per i giusti una felicità maggiore dopo la morte

piuttosto che in vita. Il concetto di morte “felice” così delineata dalla filosofia antica si protrae nei

secoli affascinando e seducendo l’ispirazione di innumerevoli scrittori. Prenderei in esame, ad

Page 19: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

19

esempio, il pensiero e l’opinione sulla morte che emergono da alcune opere dei tre massimi

scrittori, espressione del romanticismo italiano: Foscolo, Leopardi e Manzoni. Nelle Ultime lettere

di Jacopo Ortis la morte è fortemente sostenuta dal protagonista e concepita come unica via di

uscita dal fallimento delle due passioni che lo animano: la passione politica e quella amorosa. La

morte, intesa in termini materialistici e nichilistici, è vista come unico rimedio ai mali della vita

provocati dall’uomo e anche come distruzione totale e “nulla eterno.

La morte non è vista come annullamento totale, come risposta puramente negativa ad una situazione

storica senza via d’uscita: essa consente la sopravvivenza, un legame con il mondo dei vivi,

attraverso il ricordo affettuoso e il compianto delle persone care.

La morte è quindi vista come una forma di sopravvivenza, sia pur illusoria: l’eroe sarà compianto

dai “pochi uomini buoni.” Alla morte si sopravvive nella memoria dei cari o nella memoria civile, il

valore dell’individuo non va del tutto perduto

Nel sonetto “Alla Sera” il poeta conferma il concetto che il sonno della morte, tranquillo e senza

preoccupazioni, è più desiderabile della vita, in quanto è eterno, senza risvegli, scevro di

preoccupazioni, senza avvenire, presente o passato, senza angosce e dolori: un abbandono totale con

l’assopimento di tutte le facoltà. Il poeta gradisce la sera perché desidera la morte, non in sé, ma per

quella “eterna quiete” che essa porterà dopo lo spegnimento perpetuo di ogni facoltà intellettiva,

conoscitiva e psicologica. Le immagini simboliche sono mirabilmente fuse in unità con il tutto e

con le parti. Con le nubi estive e gli zefiri sereni, con il “nevoso aere” e con le tenebre “inquiete e

lunghe”.

Il concetto di “nulla eterno” è in parte tratto dall’illuminismo francese, dal sensismo di Condillac, in

parte è conquista propria, ma non giunge mai ad una forma di ateismo professato. Per spiegare il

mistero della vita e delle cose, come sappiamo da testimonianze e da spunti in prosa, Foscolo si

pose più volte la domanda di che cosa sia Dio e quale parte Egli abbia nelle vicende umane. Il suo

dramma, come pure quello di Leopardi, consiste nel non aver trovato nella realtà una risposta

soddisfacente alle sue esigenze di felicità. Il mito delle “illusioni” in parte svolge questo ruolo, pur

non costituendo una risposta totalizzante e pienamente soddisfacente.

Questo tema è caro a Foscolo, tanto da essere incluso nel sonetto intitolato “Il proprio ritratto,”

sonetto che funge quasi da epitaffio di se stesso. Dopo una dettagliata descrizione fisica e

psicologica di sé, Foscolo conclude il sonetto con questo verso: “Morte, tu mi darai fama e riposo.”

La morte, intesa come dispensatrice di grazie e di onori per i poeti e per gli eroi, acquista, quindi,

una dimensione mitica, ed è fortemente agognata e auspicata dal poeta tanto da diventare

inscindibile dalla sua vita e anzi da occuparne la parte più importante in quanto la suggella: la morte

Page 20: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

20

diventa mitica perché costituisce la meta finale, il punto di approdo da cui scaturiranno eventi

positivi, “fama e riposo”. Questa particolare percezione della morte accomuna Foscolo all’altro

grande poeta del romanticismo italiano, Giacomo Leopardi. Il tema della morte e del suicidio

ricorre insistentemente nello Zibaldone, considerato l’officina tematica e poetica dell'autore

recanatese. La morte desiderata è ritenuta l’ultima risposta ad una condizione di sofferenza

individuale e psicologica, questa causata da una delusione d’amore. In parte il pensiero del suicidio

è fomentato dalla lettura del Werther di Goethe, il celeberrimo modello letterario di suicidio. Il tema

del suicidio è affrontato nuovamente nel pensiero 70, nel quale Leopardi definisce il suicidio come

“effetto dell’amor proprio che preferisce la morte alla cognizione del proprio niente. Per questo

motivo, la morte è concepita come la salvezza dal nichilismo che annulla l’uomo e i suoi desideri.

Ne consegue che quanto più una persona è egoista, tanto più sarà mossa al suicidio. La

consapevolezza di non poter avere un riscontro nella realtà, il vano desiderio di bellezza e di verità,

e la cognizione della miseria della vita (il tutto elaborato nel famoso conducono Leopardi all’amara

constatazione della necessità del suicidio. Questa posizione eloquentemente è esemplificata nelle

canzoni del 1821-1822, “Bruto Minore” e“L’ultimo canto di Saffo.” In quest’ultima canzone il

suicidio è considerato l’ultima risposta non solo di fronte all’infrangersi delle illusioni d’amore, ma

anche di fronte all’avversione della natura che disprezza la nobiltà d’animo. Il suicidio di Saffo è

anche un gesto catartico.

Nel pensiero 87, Leopardi spiega che quando l’uomo giunge ad odiare la vita, l’esistenza e se

stesso, l’idea e l’atto del suicidio comunicano una terribile e quasi barbara allegrezza, l’ultima

espressione della estrema disperazione e della somma infelicità.”L’inevitabilità della sofferenza e

l’impossibilità di esser felice rendono l’uomo prima indifferente e poi disincantato rispetto alle sue

aspettative. Tale disillusione conduce all’odio dell’esistenza e alla visione antagonistica di sé.

Nelle operette morali, ed in particolare nel “Dialogo di Federico Ruyisch e delle sue mummie” la

morte è auspicata più della vita stessa, poiché è caratterizzata dall’assenza del dolore, nonché dal

piacere e diletto dai morti che conversano, per breve tempo, con lo scienziato.

Nel “Dialogo di Tristano ad un amico” Leopardi riprende lo stesso tema definendo la morte come

liberazione, come un’immaginazione piacevole. Il protagonista Tristano invoca una morte

imminente che possa porre fine al suo tormento interiore:

La dimensione eroica della morte si precisa nel passo 137 dello Zibaldone, nel quale il poeta si

descrive come un uomo “disgustatissimo della vita,” “desideroso della morte” e che “si disperava

per non poter morire.” La morte diventa immaginazione, una condizione mitica, agognata

fortemente dal poeta. Tale principio rispecchia la condizione esistenziale dei due protagonisti

Page 21: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

21

(Adelchi, figlio di Desiderio, Re dei Longobardi ed Ermengarda sua sorella) della seconda tragedia

scritta da Manzoni nel 1822: Adelchi.

Adelchi appare straziato da un dissidio interiore tra la sua anima magnanima, pura e la cruda realtà

politica, in cui dominano solo l’interesse e la legge della forza. In questa visione si rintraccia il

pessimismo del primo Manzoni che vede la storia umana, in conseguenza della caduta del peccato

originale, condannata ad una degradazione non riscattabile. In essa gli individui che si ispirano ai

valori più alti non possono trovar posto e ne sono, anzi, irrimediabilmente espulsi. Il conflitto che

strazia l’animo di Adelchi è tipicamente romantico e l’accomuna agli eroi tragici alfieriani, al

Werther di Goethe.

Page 22: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

22

2.4 Il suicidio come diritto dell'uomo di disporre della propria vita

Le autorità da cui l'intelletto umano deve affrancarsi, riconquistando la propria indipendenza, sono,

innanzitutto, la superstizione religiosa e l'intolleranza delle Chiese, il potere arbitrario ed illimitato

delle monarchie assolute, il peso opprimente dell'oscurantismo e dell'ossequio alla tradizione. Sono

questi i caratteri generalissimi dell'Illuminismo, il quale si colloca non a caso nell'arco di 2

rivoluzioni politiche: la rivoluzione liberale inglese del 1688 e la rivoluzione francese del 1789.

Pervaso dal bisogno di estendere ad ogni campo dell'esperienza umana l'analisi razionalistica,

l'Illuminismo conserva tuttavia la lezione appresa dall'empirismo inglese. Il campo d'indagine è

rigorosamente delimitato al mondo dell'uomo e della natura: assoluto e reciso è il rifiuto di

estendere quest'analisi al di là dei limiti dell'esperienza stessa. Tutto ciò che è oltre l'esperienza si

svuota di qualsiasi interesse e cessa di costituire un problema.

Il tipo di conoscenza a cui ci si richiama è quello offerto da Newton. Il modello più alto del sapere

non viene più identificato nei grandi sistemi metafisici del XVII secolo (Cartesio, Spinoza,

Malebranche, ecc.) ma nella scienza, ed in particolare nella fisica e nella chimica. L'orizzonte

intellettuale del tempo è dominato dalla meccanica. Allo «spirito di sistema» caratteristico delle

grandi costruzioni della vecchia metafisica, viene opposto lo «spirito sistematico», cioè lo spirito di

un'indagine che, pur essendo rigorosa nel metodo, resti tuttavia aperta ai continui apporti

dell'esperienza.

La teoria della conoscenza dominante è quella dell'empirismo e, più ancora, del sensismo, la cui

formulazione più compiuta e coerente è nell'opera di Condillac. Principalmente la teoria consta di

pochi ma irrinunciabili punti: tutte le idee dell'uomo si originano dai sensi; queste sono innate,

impresse nell'animo umano da Dio e perciò indipendenti dall'esperienza; l'uomo è di per sé come

una nuda statua di marmo; il principio che determina lo sviluppo di tutte le sue facoltà è la

sensazione, cioè l'azione che esercita su di lui il mondo esterno.

Ma la vera e grande filosofia dell'Illuminismo non è da cercare nella logica o nella teoria della

conoscenza, quanto nel campo della riflessione morale, politica e civile in senso lato. Il centro

dell'interesse si sposta dalla metafisica alle forme molteplici e varie dell'attività umana. Il mondo

dei commerci, dell'industria, della politica ed, in genere, di quello «spirito pubblico» in cui si

esprime la mentalità ed il costume di un'epoca, assurgono ad importanza centrale.

Al di là delle differenze fittizie indotte negli uomini dalle tradizioni locali, ciò che è fondamentale e

comune a tutti sono di alcuni diritti inalienabili, di cui nascono già provvisti, i c.d. «DIRITTI

Page 23: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

23

dell'UOMO»; in questo richiamo alla tradizione giusnaturalistica, che è il vero cemento filosofico di

tutto il secolo, ciò che l'Illuminismo tuttavia vi aggiunge di suo è la capacità di mobilitazione

intellettuale e l'accento rivoluzionario. La teoria del diritto di natura cui si richiama è quello del

«Saggio sul Governo Civile» di Locke. Gli uomini entrano in società per vedere tutelati i loro

inalienabili diritti, come la libertà, la proprietà, il diritto di riunione e di parola, la libertà di stampa e

di movimento. Con il contratto sociale essi rinunciano ad una parte della libertà incondizionata ed

assoluta di cui godevano nello “stato di natura”, ma non per divenire sudditi, bensì per vedere

tutelata e garantita dalla legge la loro sfera d'indipendenza privata, cioè la libertà di disporre di sé e

dei propri beni nella sicurezza del diritto. La legge vincola, ad un tempo, i cittadini ed il sovrano e

quando quest'ultimo tenti di violare il contratto originario trasformandosi da sovrano legittimo in

despota, i cittadini hanno il diritto di opporgli resistenza e di deporlo con un atto rivoluzionario.

L'idea è quelle che l'uomo, nato buono, sia stato corrotto dalla società e che, per il suo riscatto,

debba esserci, o il ritorno alla natura o la fondazione di una nuova società. Questi due saranno i poli

tra i quali oscillerà il pensiero politico del Rousseau, dal «Discorso sull'ineguaglianza» (in cui la

libertà si configura come libertà dalla società) al «Contratto Sociale», in cui la conquista delle

libertà è affidata invece ad una società nuova che integri organicamente gli individui «in un corpo

comune».

Lo Stato non deve avere il potere di sindacare le convinzioni morali e religiose dei cittadini, bensì

solo quello di garantire il rispetto della legge e la libera coesistenza degli arbìtri privati.

Nell'impossibilità, tuttavia, di riconoscersi più o meno in tutta l'Europa dell'epoca all'infuori che in

Inghilterra, l'Illuminismo è portato soprattutto a rivendicare, contro lo stato di cose esistente, la

libertà dello stato di natura.

L'idea è quelle che l'uomo, nato buono, sia stato corrotto dalla società e che, per il suo riscatto,

debba esserci, o il ritorno alla natura o la fondazione di una nuova società. Questi due saranno i poli

tra i quali oscillerà il pensiero politico del Rousseau, dal «Discorso sull'ineguaglianza» (in cui la

libertà si configura come libertà dalla società) al «Contratto Sociale», in cui la conquista delle

libertà è affidata invece ad una società nuova che integri organicamente gli individui «in un corpo

comune».

In questo contesto prende rilievo anche il concetto della «RELIGIONE NATURALE» e,

soprattutto, della tolleranza. La religione naturale è il deismo, cioè l'affermazione di un Essere

spirituale supremo, creatore del mondo. Ma di questo Essere, che è il Dio cristiano (anche se

liberato da ogni carattere mitologico e dalla dogmatica delle varie Chiese), ci si rifiuta di precisare

altro attributo che non sia quello della razionalità. Dio è "soltanto" l'autore nel mondo fisico, ma,

Page 24: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

24

una volta creato, il mondo procede per suo conto, in base alle proprie leggi e senza interventi esterni

o miracolistici. Le Chiese, con le loro contese teologiche e la loro intolleranza, manifestatasi

drammaticamente nelle guerre di religione, corrompono la fede naturale in superstizione, i lumi del

cristianesimo nell'oscurantismo e nel fanatismo delle sette.

Page 25: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

25

3. Il suicidio come prodotto della società

Emile Durkheim (1859-1917) è uno di quei pensatori che si trova all’incrocio di molte tensioni

sociali e ideali.

Durkheim privilegia il sociale. Il sociale ha certo origine dalle vicende dell’individuale. Ma dopo

acquista leggi proprie a livello superiore. L’individuo entra in società, facendo violenza sulla sua

natura, subendo dunque una coercizione dall’esterno.

Per Durkheim il problema è di dimostrare la necessità di tale coercizione, di legittimarla. Il compito

della sociologia è di osservare questi problemi ed offrire una soluzione stabilizzatrice.

Egli non dà come facilmente acquisibile l’individuale nel sociale. Quello che lui descrive è un

“HOMO DUPLEX”: un uomo che si muove tra due poli opposti, la sua natura individuale o

profana, e la sua natura sociale o sacra.

Come aveva osservato Gustave Le Bon la coscienza dell’uomo come individuo è diversa da quella

dello stesso in quanto membro di un organismo collettivo. Le Bon aveva osservato che il

comportamento collettivo può essere migliore, ma spesso peggiore di quello individuale. Durkheim

ritiene, invece, che la società possa rendere i comportamenti collettivi migliori nella massima parte

dei casi, purché la stessa società intervenga attivamente. Solo una costrizione esterna può portare

l'uomo ad un piano più elevato, ma una costrizione intesa come fatto costruttivo che riesca a

liberarlo dalla casualità.

Per quanto riguarda la divisione del lavoro per Durkheim non è come quella tecnica di Smith, per

lui è la divisione sociale, la divisione in classi che collaborano tra loro. Il singolo non può essere

autonomo in una società con molte specializzazioni come quella attuale, bisogna attuare l’unione

dei singoli. La macchina della società è indispensabile alla loro unità, anche a prezzo di numerose

difficoltà. Ma il “contratto” si esercita in un regime di disuguaglianza fra la società che produce una

costrizione e l’individuo. Compito della società dovrebbe essere quello di livellare le

disuguaglianze naturali in una eguaglianza artificiale (sociale) in cui a tutti è dato di partecipare alla

conduzione della stessa in eguale misura e spontaneamente. Egli spiega il concetto di divisione del

lavoro con l’esempio delle antiche società, che erano omogenee poiché fondate su una religiosità di

gruppo. Ma le società moderne sono basate sulla specializzazione, e in esse prevale una religione

dell’individuo. La divisione del lavoro cova dentro di sé, una possibile disgregazione sociale.

Page 26: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

26

L’autore pensa dunque ad una divisione non solo di natura tecnica, ma basata su una morale

collettiva. Proprio l’estrema divisione del lavoro, a cui corrisponde la massima divisione in classi,

dovrebbe portare non al conflitto, ma alla massima solidarietà fra disuguali, dunque mette in luce un

elemento che Marx aveva sottovalutato, per il quale era possibile risolvere il problema della

divisione delle classi solo abolendo la proprietà privata.

Numerose critiche sono state mosse a Durkheim, ad esempio il sociologo A. Pizzorno afferma che

la solidarietà può verificarsi, ma solo secondo le varie classi, e che la solidarietà può avvenire solo

tra eguali e cioè fra appartenenti ai diversi livelli. Dunque fra i vari gruppi, solidali all’interno, si

creeranno, conflitti esterni di classe. Durkheim tenta di dimostrare che il crescere della divisione del

lavoro, rendendo ognuno dipendente da altri, aumenta la solidarietà. Questa solidarietà diventa il

fine morale della società.

Ma per acquistare la nuova forza sociale occorrono nuove istituzioni, che possono essere date da un

sistema basato sulle professioni, o meglio su corporazioni di professioni. Per Durkheim occorre

“cercare nel passato i germi di vita nuova che esso conserva e di sollecitarne lo sviluppo”. Dentro

queste corporazioni vi stanno dirigenti e diretti, che non preoccupano Durkheim dal momento che

pensa che le ineguaglianze provochino una dinamica sociale per il raggiungimento di livelli

superiori. Ma Durkheim si rende conto che questa dinamica sociale sta provocando una “folle

corsa”, legata solo all’espansione produttiva e all’estensione del mercato. Invece per il fine deve

essere quello di un godimento collettivo. I desideri illimitati sono insaziabili e come tali possono

essere definiti morbosi, determinano una sete inestinguibile che condanna ad uno stato di perenne

scontentezza. La riforma che propone è solo quella della limitazione delle passioni, attuabile solo

dalla società (avente funzione moderatrice)di cui l’individuo ne accetta l’autorità. Ma chi stabilirà i

livelli da raggiungere e le varie remunerazioni?

Secondo Durkheim esiste un “oscuro senso” che si può occupare di ciò, compiendo una

regolamentazione in grado di armonizzare il tutto. Approdando alla codificazione dei dislivelli,

sociali ed economici, ritorna sulla necessità della coercizione sociale in grado di eliminare i

conflitti. A tal proposito sarà espresso il concetto di “anomia”: “lo stato di non regolamento si

rafforza perché le passioni sono meno disciplinate proprio quando bisognose di una più forte

disciplina”.Proprio la coercizione, la moralità e l’anima collettiva potranno diminuire la anomie e

comporre i contrasti. L’economia industriale è lanciata in una corsa senza fine, una critica che

sembra poter anticipare quella moderna di W. Mills.

Durkheim infine invece di trarre delle deduzioni da questo ragionamento, parla ancora delle

Page 27: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

27

corporazioni, in grado di disciplinare i salari, la stessa produzione, e addirittura a regolare i bisogni.

Dunque è a questo che bisogna tornare. In realtà per Durkheim come dice Jonas, “il sociale è una

natura quasi metafisica”, e la tessera fondamentale di tutta la sua metodologia è infatti il “fatto

sociale”, spiritualmente e storicamente superiore all’individuo. Durkhei dice che un fatto sociale è,

ogni modo più o meno definito dell’agire, in grado di costringere socialmente l’individuo; ma non è

un imposizione è ciò che ml’individuo riceve come essere sociale (l’educazione, il linguaggio, le

leggi…). È un modo di agire, di pensare esterno all’individuo, dotato di potere coercitivo ed

imperativo in virtù del quale si impone all’individuo, con o senza il suo consenso. Questo tessuto di

vincoli e di comportamenti in cui è immerso l’individuo, sono i fatti sociali, distinti nettamente per

Durkheim dai fatti psichici. I fatti sociali possono esser considerati come “cose”, elementi che si

contrappongono e impongono all’individuo senza possibilità di mutamenti. La causa determinante

di un fatto sociale deve essere cercata fra i fatti sociali antecedenti e non tra gli stati della coscienza

individuale. Per lui il sociale ha una natura astorica, con una funzione di costante regolazione per la

società, l’unico fatto che legittima la costrizione dell’individuo in ogni società e tempo. Ma se

coglie esattamente la funzione dell’autorità nel primo periodo della vita del fanciullo, egli estrapola

sbagliando lo stesso concetto anche per l’individuo adulto. La costrizione è valutata una modalità

naturale e costante per lo sviluppo sociale. L’individuo è forgiato dai modelli sociali, in tutte le

manifestazioni della sua vita, o meglio è fatto, (passivamente). Un concetto che si amplierà nel

tempo e che arriverà a dire che l’individuo “è parlato”, “è vissuto”... ma in tal caso non dal fatto

sociale bensì dall’inconscio. Durkheim sarà ripreso nella concezione che l’uomo non è un

protagonista ma un derivato. Egli sostiene di voler integrare l’uomo, stabilizzarlo nell’ambito della

società e di una storia in lenta modificazione.

Nella elaborazione della sua teoria del suicidio uno dei punti più rilevanti del suo pensiero è il

concetto di anomia. Egli esamina con attenzione una serie di statistiche per diversi paesi e periodi.

Dopo aver tentato una classificazione di carattere psicologico di quattro tipi di suicidio:

“maniacale”, dovuto ad allucinazioni deliranti; “melanconico”, dovuto ad estrema depressione;

“ossessivo”, legato all’idea fissa della morte; “impulsivo”, dovuto ad un momento drammatico;

osserva che il tasso dei suicidi essendo variabile con regolarità in situazioni sociali diverse, non può

essere spiegato solo con motivazioni di carattere psicologico.

Rileva che esso è più diffuso nella città che nelle campagne, che gli uomini si suicidano in media

quattro volte più delle donne, gli anziani più dei giovani,gli ebrei meno dei cattolici, e questi meno

dei protestanti. Scartata la connessione fra stati psicopatici e suicidi, confuta una serie di teorie che

Page 28: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

28

avevano attribuito le cause anche a situazioni climatiche, stagionali.

Conclusione è che l’andamento dei suicidi dipende essenzialmente da cause sociali.

Per ciò che riguarda le varie religioni, l'autore nota che il suicidio aumenta dagli ebrei ai cattolici ai

protestanti, la spiegazione è nella natura dei sistemi religiosi,nelle forme di solidarietà più o meno

forti. Passa alla classificazione dei suicidi secondo “tre modalità sociali”, da cui derivano tre tipi di

suicidio che egli definisce: “egoistico”, “altruistico”, “anomico”. In base ad una serie di dati arriva a

stabilire che: “IL SUICIDIO VARIA IN RAGIONE INVERSA AL GRADO DI INTEGRAZIONE

DEI GRUPPI SOCIALI DI CUI FA PARTE L’INDIVIDUO” (della società religiosa, della società

domestica, della società politica). In tal modo riesce a spiegare il suicidio EGOISTICO, cioè quello

che porta l’individuo ad estraniarsi dal gruppo, ad entrare in uno stato depressivo e di isolamento.

Attribuisce questo suicidio ad una “SMISURATA INDIVIDUALIZZAZIONE”.

“L’individuo è troppo poca cosa, non è un fine sufficiente alla sua attività. Egli è limitato nello

spazio ed anche nel tempo. Quando abbiamo altri obbiettivi al di fuori di noi stessi, non possiamo

sfuggire all’idea che i nostri sforzi siano destinati a perdersi nel nulla, dove finiremo anche noi”.

Il nulla ci terrorizza, e qui potremmo citare l’eco del verso di Orazio: “Non omnis moriar” riguardo

la possibilità di prolungare, forse solo attraverso la cultura, la propria personalità.

Ma Durkheim ricorda Platone, nel Fedone, quando Socrate parla amaramente del vestito che dura

oltre la vita dell'uomo che lo indossa. In termini analoghi dice che si può rimandare di qualche

generazione quel limite, ma poi verrà sempre il momento in cui non ci sarà rimasto più niente. Solo

dunque attraverso l’integrazione sociale, l’uomo può tentare di evitare il suicidio egoistico che

deriva dall’isolamento e dall’eccesso di individualismo.

Ma il suicidio ALTRUISTICO, nasce da ragioni opposte, sono la scarsa individualizzazione e la

troppa integrazione che rendono l’individuo depersonalizzato. In tal caso si avranno eccessi di

sacrifici per la comunità: vecchi che si uccidono per non essere di peso, donne che lo fanno per la

perdita del marito, soldati per la gloria dell’esercito. Ma la terza forma di suicidio, quello

ANOMICO (senza legge), è la più complessa: essa deriva dagli squilibri sociali.

Si hanno così morti nei momenti di crisi o di disastri economici, ma anche nei casi di boom e di

brusca prosperità. Il mito del progresso senza soste, porta ad anomie gravi a cui corrisponde una

cuspide di suicidi.

In tal punto Durkheim introduce il problema della famiglia e del matrimonio.

Page 29: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

29

Gli uomini, che in genere si suicidano di più delle donne, durante il matrimonio lo fanno di meno,

mentre gli scapoli hanno un tasso nettamente superiore. In caso di divorzio sono ancora gli uomini

ad essere in netto svantaggio, mentre la donna non sembra essere scossa da questo. Considera gli

aspetti contraddittori del matrimonio, e rileva che dal punto di vista del suicidio “ il matrimonio

favorisce tanto più le donne quanto più è praticato l’uso del divorzio, e viceversa”.

Nel matrimonio l’uomo trova un limite ed una disciplina, mentre la donna, che nel matrimonio è in

una situazione particolarmente repressa, vede nel divorzio una possibile liberazione. Esattamente al

contrario di quanto si pensava. Si trova dunque di fronte ad un grave problema: “Non si può

diminuire il suicidio dei mariti senza aumentare quello delle mogli”. L’uomo è avvantaggiato dalla

stabilità, la donna è svantaggiata dalla mancanza di libertà; tutto ciò poiché l’uomo è compensato

dal fatto di essere inserito attivamente nella vita sociale, mentre la donna ne è tenuta a distanza.

La conclusione Durkheim la farà in linea conservativa, affermando che poiché il numero dei suicidi

con il divorzio si eleva, è positivo confermare l’indissolubilità del matrimonio anche al prezzo di un

grave svantaggio per la donna. Una possibile soluzione potrà essere trovata solo quando con una

maggiore socializzazione della donna, diminuirà lo scarto fra le posizioni dei due coniugi. Anche se

Durkheim aggiunge che la parità giuridica non potrà essere legittima finché l’ineguaglianza

psicologica sarà tanto flagrante.

Ma è proprio la società secondo lui, quel livello generale che determina quello psicologico e

individuale.

Dunque le ineguaglianze psicologiche possono attuarsi solo attraverso l’eguaglianza sociale.

Ma Durkheim non ritiene possibile del tutto questa ipotesi., ritenendo il matrimonio uno dei fattori

dell’ineguaglianza. Chiarisce che, non si può parlare di suicidio, ma di tipi diversi di suicidio. E

vede forme in cui si combinano i tre tipi insieme. “Sono innumerevoli le circostanze che sembrano

essere le cause del suicidio perché lo accompagnano molto frequentemente; gli avvenimenti più

diversi e contraddittori della vita possono essere pretesto al suicidio”.

Solo una spiegazione sociale può mettere ordine in tutti questi casi.

Cerca inoltre di vedere altri contesti in cui il suicidio si manifesta: esaminerà, ad esempio, il

rapporto fra omicidio e suicidio, trovando che dove il primo è molto sviluppato, il secondo si

verifica in misura minore.

Ma anche qui occorre distinguere. Infatti quando prevale il suicidio egoistico, l’omicidio

diminuisce, ma quando si tratta di suicidi altruistici questi sono indipendenti dal numero di omicidi.

Page 30: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

30

Infine, in quello anomico esiste un’ambiguità fra i due, e spesso il suicidio segue un omicidio

effettuato, o il suicidio avviene dopo un mancato omicidio.

Nelle società attuali sono presenti soprattutto il suicidio egoistico e quello anomico, spesso anche a

causa di una netta divisione del lavoro.

A questo punto sarebbe per lui coerente affermare che è proprio la società industriale, e in essa la

divisione estrema del lavoro, a creare profonde deformazioni della società, ma dirotta e constata che

“non vi è società conosciuta in cui sotto varie forme non si osservi una maggiore o minore

criminalità”. “Dunque dobbiamo dire che il delitto è necessario, che non può non esistere e che

l’organizzazione sociale lo implica logicamente: e quindi è normale”. Di fronte a questa

constatazione Durkheim contrappone solo il problema della necessità delle pene, perché altrimenti

si stimolerebbe la criminalità, sbilanciando così il grado di intensità.

Ma qual’è il grado normale di delitti e suicidi?

“Fin l’anno 1930, in Francia non era possibile per un sociologo citare il nome di Freud” afferma

Monnerot, per questo resta una separazione fra lo studio sociale del suicidio e lo studio

psicanalitico. Tuttavia si possono ravvisare osservazioni di Durkheim valide anche alla verifica

Freudiana.

Freud ritiene che il suicidio sia un omicidio mancato, opinione molto vicina a quella di Durkheim

sul suicidio anomico. Nell’anomia un uomo infatti si uccide spesso rivolgendo contro sé

l’aggressività che aveva accumulato contro gli altri. La psicoanalisi va oltre e ritiene che anche il

suicidio del depresso sia un omicidio mancato.

E’ possibile interpretare così dunque il suicidio egoistico di Durkheim come un eccesso di

individualismo che porta ad una carenza di integrazione e da cui quindi nasce l’aggressività verso

gli altri che lo hanno abbandonato. Tuttavia anziché muoverla verso gli altri, l’uomo in tale stato

svilupperà un forte senso di colpa e rivolgerà questa aggressività verso se stesso.

Ma Franco Fornari chiarisce che in linea generale per la psicoanalisi il suicidio non esiste, e il suo

paradosso è proprio quello di essere una negazione della morte. Ci si suicida ad esempio per

imitazione e insieme per partecipazione emotiva. Il suicida, sul piano cosciente sembra voler negare

il proprio rapporto con il mondo, ma nell’inconscio, in realtà lo ricerca in modo disperato. Egli è un

escluso che tenta di affermare la propria presenza, di riappropriarsi dell’oggetto d’amore che non

aveva raggiunto in vita. Ma nel fare questo egli si propone di creare un lutto verso gli altri, cioè di

scaricare la propria morte all’esterno, sulle spalle altrui. Il suo gesto è un omicidio illusorio sugli

Page 31: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

31

altri, colpiti dalla sua morte.

Discordanti da Durkheim gli psicanalisti affermano che il suicidio non è un gesto decisionale

razionale bensì il gesto di un uomo disturbato, non normale.

E' interessante ricordare come Virgilio nell’Eneide riesca ad anticipare l’interpretazione

psicoanalitica moderna. Nell’Antinferno, Virgilio colloca anche i suicidi che non sono paghi

dell’essersi tolti la vita, ma, al contrario che sarebbero disposti a tornarvi ad ogni costo. Ma lo Stige

lo vieta. Dunque Virgilio non attribuisce ai suicidi la volontà di uccidersi o di accettare un aldilà

senza sofferenze, ma il desiderio di una vita anche peggiore della precedente una volta verificata

realmente la morte.

Un’altro fatto offertoci dall’epoca classica è quello del suicidio di massa degli Zeloti per non cadere

vittime dei Romani. Nelle parole del capo Zelota si troverà il netto capovolgimento di vita con

morte e viceversa. Anche il Cristo scambia vita con morte e morte con vita, e sarà proprio la morte

nella falsa vita che consentirà la resurrezione nella vera.

In linea generale tutte le religioni che postulano la vanità della vita terrestre e la verità della vita

ultraterrestre creano situazioni di suicidio immediato o suicidio differito. Il suicidio immediato è

quello della autofferta di se stesso come capro espiatorio, come martire, (Durkheim lo definisce

suicidio altruistico eroico). Il suicidio differito è quello del sacrificare la propria vita umana

attraverso la rinuncia, le sofferenze, la clausura, la denutrizione, per ottenere una seconda vita nella

pienezza paradisiaca.

Si può concludere affermando che la pratica di suicidi con ideologie religiose corrisponde a

momenti storici di forte disagio e di forti tensioni disgregatrici del tessuto sociale in cui una

seconda vita immaginaria viene vista come l’unica speranza. Ed il fatto che queste due forme di

suicidio vengano praticate in piccoli gruppi o in piccole comunità, non toglie nulla al fatto che tali

gruppi trovino la loro aggregazione per il fine di annullarsi difronte ad un mondo verso il quale essi

sono anomici, disgregati.

Le verifiche moderne della teoria di sono state numerose e va premesso che in ogni caso le

statistiche sul fenomeno sono state incerte in molti casi per occultamento, ciononostante, i risultati

a cui è giunto Durkheim vengono nel complesso confermati. Ad es., nei paesi sviluppati sono

ancora gli uomini ad uccidersi più delle donne, gli anziani più che i giovani, anche se questi ultimi

hanno più tentati suicidi. È smentita l’affermazione che la miseria protegge, i salariati agricoli si

uccidono di più dei liberi professionisti a tutte le età. Tutto ciò può essere legato alle trasformazioni

della società. Nel tempo del benessere e dell’intensità della vita urbana, essere un salariato agricolo

Page 32: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

32

vuol dire essere un emarginato, un isolato.

Invece a cavallo fra l’800 e il ‘900 era motivo di forte coesione con le altre masse rurali. Il

fenomeno dell’isolamento si è capovolto.

Tuttavia la città, oggi presenta larghi fenomeni di desocializzazione.

Fra gli aggiornamenti, gli studi di cronobiologia, (De Maio) che ci dicono come il suicidio abbia

dei cicli annuali, con preferenza nei giorni centrali della settimana e nelle ore diurne, fra le 17 e le

18, come D. aveva approssimativamente accertato.

La novità è nel fatto che De Maio pensa che in quei periodi esista una minore sensibilità ai

comandi del codice genetico del non uccidere e del non uccidersi che può provocare più facilmente

la crisi.

In ogni caso la legge durkheniana sulla proporzionalità diretta fra suicidio ed isolamento sociale è

resistita a tutte le obbiezioni, se mai è stata ampliata.

Uno dei maggiori studiosi che hanno tentato di ampliare Durkheim, Chenasis, offre divisione in tre

grandi categorie di forme di violenza:

· La distruzione di altri (l’omicidio, la pena di morte, la tortura...).

· L’autodistruzione di sé (il suicidio, le droghe, uso di mezzi mortali...).

· Le due distruzioni insieme (il terrorismo politico, le guerre...).

Da questi scenari terribili emerge che la violenza, in ogni sua forma, è sempre legata al contesto

culturale, cioè all’uomo artificiale ed alla società artificiale, non all’uomo ed alle sue origini

naturali.

Approfondendo il secondo tipo, l’autodistruzione di sé, vediamo come già Durkheim aveva

strappato, alla fine dell’800, al suicidio il velo romantico di un atto rivendicativo di libertà, di

amore, secondo la linea che va da Goethe e da Shiller fino a Tolstoj.

Valutato nell’antichità classica come atto eroico o sublime (Socrate, Catone, Seneca) o come

rivendicazione di libertà suprema, il suicidio fu considerato una grave colpa dal cristianesimo, un

offesa a Dio, l’unico che può dare e togliere la vita.

Furono gli illuministi a rivendicare il diritto dell’uomo di disporre della propria vita e scesero in

campo per questo: Montesquieu, Voltaire, Rousseau.

Solo nel 1810 in Francia sarà abolita la condanna del suicida.

Page 33: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

33

Hegel ribadisce che la facoltà al suicidio è ciò che determina all’uomo di essere o di non-essere.

Ma forse la “liberalizzazione” del suicidio è stata un danno dal momento che rispetto all’epoca della

Chiesa medievale vi è stato un forte aumento di morti.

Oggi con le spiegazioni della sociologia e della psicoanalisi, che il suicidio dipende da un eccesso

di solitudine, da una propria socialità distorta, dal non saper reggere gli alti e bassi economici, dalla

speranza illusoria di avere una seconda vita immaginaria che compensi le carenze della prima... si

cerca di dar luogo ad una prevenzione rispetto al fenomeno.

Il suicidio, in definitiva, si basa su un capovolgimento del senso della vita e della morte.

Si potrebbe dire che il suicida vorrebbe togliersi il dolore di una prima vita per averne una seconda

senza dolore. L’uomo non dispone di una vita di ricambio. Ma si deve sottolineare che i più colpiti

sono gli elementi più deboli di una società. (La sequenza è: Ungheria, Germania est, Finlandia,

Austria, ...). L’isolamento è il maggior pericolo. Non risulta verificata la relazione fra suicidi ed

omicidi, ma ciò non smentisce che psicologicamente il suicidio si possa considerare un omicidio

mancato.

Dalle interpretazioni di Durkheim. fino ad oggi, si può affermare che il fenomeno del suicidio può

essere interpretato solo su tre livelli contemporaneamente:

· Sovrastrutturale(ideologie, religioni...).

· Strutturale(appartenenza a classi, gruppi, cicli economici...).

· Sottostrutturale (situazioni psichiche individuali e collettive).

Proprio tale esame a tre dimensioni, correlate tra di loro, potrebbe dare molte indicazioni sia per le

epidemie che per i casi singoli di suicidio. Ad es. per un uomo si possono individuare quali erano le

sue ideologie e quelle del suo gruppo (livello sovrastrutturale); quali le sue condizioni economiche e

sociali e quelle del suo ambiente (livello strutturale); e infine le sue tensioni psichiche correlate a

quelle collettive (livello sottostrutturale). Tutto ciò costringe ad esaminare i “contesti” del suicidio,

facilitando così anche i criteri per la prevenzione.

Dopo Durkheim che scontava il suicidio come un anomia immodificabile di ogni società, oggi

l’elemento preminente è considerare il suicidio come un fatto sventabile attraverso una presa di

coscienza, un’analisi profonda ed una modificazione dei rapporti economici e sociali. Malraux

afferma, che “se ci si uccide soltanto per esistere”resta compito della società di offrire ai suoi

membri una vita reale accettabile senza che nessuno debba avere il bisogno di trovare un altrove

inesistente. E’ corretto aggiungere che il tasso dei suicidi, sì è indice di cattivi funzionamenti

Page 34: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

34

sociali, ma non può affermare la supremazia di una società su di un’altra. La presenza del suicidio,

indicando sempre gravi disfunzionamenti all’interno di una società, ha bisogno di non esser più

giustificato in chiave romantica o misterica come di recente per Cesare Pavese e Primo Levi.

In linea generale il suicidio come fantasticazione di una seconda vita migliore della prima può

essere considerato un caso particolare di tutte le concezioni religiose che spregiano la vita terrestre.

Ma mentre le religioni affermano che il “ponte” fra la vita terrestre e quella ultramondana sia la vita

stessa, il suicida ritiene che esso sia la morte medesima, vista come scorciatoia; per far questo egli

però deve sentirsi diverso dalla massima parte degli uomini e deve vedere i valori essenziali

rovesciati. Proprio lo scambio simbolico fra morte e vita, e vita e morte, consente al suicida di

vivere la fine come il principio.

La società, come dice Durkheim deve capire, intervenire e prevenire.

Se il suicidio avviene per mancanza di integrazione sociale dell’individuo, è la società stessa che ne

rappresenta l’assenza, la disumanità, l’incapacità di partecipazione. Non è l’individuo assente

rispetto alla società, è lei che è assente rispetto ai suoi membri più deboli.

Infine resta da dire che il suicidio, nonostante tutte le sue interpretazioni resta un atto violento e

seguendo Freud, un atto violento su di sé, non riuscendo ad attuarsi contro tutta la società; altrimenti

al suo posto si avrebbero tutti omicidi. Quindi l’indice dei suicidi e dei tentativi, è un indice di

aggressività omicida.

Suicidio, violenza e potere: il suicidio allora non sarebbe che un “fatto sociale” di una

interpretazione generale dell’aggressività umana. Ma come un essere umano arriva ad uccidersi? E’

noto che il codice genetico vieta a tutti gli esseri umani di uccidere dentro la propria specie, per non

indebolirla, senza distinzioni fra omicidio e suicidio. Si uccide entro la specie umana solo quando si

riesce a considerare l’altro o se stessi come diverso da un uomo, meno di un uomo, non uomo.

Come Marx e Durkheim hanno dimostrato, l’uomo è un essere sociale; egli è i suoi rapporti sociali

dentro l’intera sua specie. Quando un uomo perde i suoi rapporti sociali, si svuota di umanità, o

aggredisce e uccide, o si annulla, arrivando in entrambe i casi alla “morte civile”. Nel caso del

suicidio, egli potenzialmente era già civilmente morto prima di uccidersi. Il potenziale suicida si

vede diverso, un non essere sociale, un non-uomo. Di qui la sua possibilità di ottenere la “licenza di

uccidersi”, aggirando il divieto del codice genetico. Il potenziale suicida, soffrendo per la sua morte

civile, scarta l’ipotesi di rivalsa concreta e proietta la colpa del suo stato sulla società, la comunità o

il gruppo che lo hanno cancellato, condannandolo a morte. Di qui il suo desiderio di devastazione.

Non potendo però uccidere l’intera società, o provando colpa per il suo desiderio omicida (Freud),

Page 35: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

35

tende a rivolgere l’arma contro se stesso. Egli potrà capovolgere il suo senso di colpa in quello che

la società dovrà provare per la sua morte. Una sorta di gratificazione post-mortem, vivendosi come

già morto, può entrare in uno stato di delirio onnipotente, vedendosi un uomo integrato solo dopo la

morte. La vicina morte reale diventa così il ponte fra la morte immaginaria presente e una vita

immaginaria futura dopo la morte reale. Il suicida dunque è colui che si toglie la vita per averla, che

la perde per trovare quella che realmente desiderava. L’atto della morte reale per lui coincide con

l’atto di rinascita sociale.

Il suicida segnando la sua assenza assoluta, riesce a far notare la sua piena presenza nel mondo

sociale: es. dialettica Padrone - Servo di Hegel. Il suicida tenta di gettare in faccia alla società

indifferente la vita solo apparente di escluso o autoescluso dai rapporti sociali.

La morte fisica del suicida diventa la clamorosa rivelazione l’oggettivazione tragica della morte

civile, già avvenuta. Si potrebbe allora confermare Freud, dicendo che il suicidio è un omicidio

mancato in forma diretta verso gli altri, ma perfettamente riuscito verso se stessi. La spiegazione

dell’elevato numero dei suicidi fra gli anziani deriva dal fatto che questi si sentono diversi,

minorati, nei corpi e nelle menti, e aventi dunque la licenza di uccidersi. Lo stesso vale per i

divorziati, i celibi, i vedovi. E in tutte le situazioni in cui si pensa ci sia una norma da seguire.

Ugualmente per i portatori di handicap, per i bambini, che non riescono a vedersi adulti. Per tutti

loro il suicidio sembra essere il passaggio immaginario verso il “normale”. Ma come afferma Hegel,

quando il Padrone diventa Servo, perde il suo potere. Ad es. Cleopatra, Hitler. Si suicidano per non

passare nella condizione di declassati, per vendetta, sottraendo al nuovo padrone il piacere di

umiliarli.

Shakespeare, più sottile, mostra che il suicidio finale del Padrone non è che la conclusione del

suicidio già predeterminato dalla scalata al potere assoluto. Così nelle sue tragedie si suicidano,

Cleopatra volendo per se l’impero Romano, ma anche Macbeth, Re Lear, Cesare, Otello,

indirettamente o direttamente perché hanno raggiunto il massimo potere.

La conclusione del suicidio dei potenti resta quella data da Hegel, che non aveva capito nulla del

suicidio individuale. Per Hegel, infatti, non è l’Antitesi che attacca e vince, ma è la Tesi (il potere)

che si suicida uscendo dalla esperienza, dal lavoro, dalla storia. Ma tale uscita è pur nella estrema

potenza determinata dalla solitudine. Si ha la morte civile in basso, attraverso l’esclusione, e la

morte civile in alto, attraverso la prevaricazione solitaria. E’ questa estraneità per vertigine, per

eccesso, che “Divide et non impera”. Viene ancora dunque riconfermata la legge di Durkheim,

Page 36: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

36

secondo cui il suicidio è direttamente proporzionale alla disgregazione dei propri rapporti con gli

altri uomini.

È per questo che il potere non soltanto è solo, ma è tanto più cieco quanto più assoluto, creatore di

gerarchie e dunque di forte divisione sociale.

Durkheim aveva già osservato che il numero dei suicidi aumenta con l’aumento della divisione

sociale. Si potrebbe concludere con una complessa ipotesi sul suicidio: (sicuramente non accettata

da Durkheim), il suicidio è direttamente proporzionale alla divisione sociale, e quindi alla quantità

di potere in alto ed alla quantità di esclusione in basso ed, in generale, al grado di disuguaglianza, di

isolamento e di separazione sia in alto che in basso fra gli uomini.

Page 37: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

37

4. Come tentare di prevenire il drammatico fenomeno del suicidio

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) riconosce il suicidio come una grave emergenza

sanitaria. Sebbene i dati relativi al fenomeno siano molto difficili da valutare, e sicuramente

sottostimati a causa del tabù che tuttora rappresenta, il suicidio si attesta tra le prime dieci cause di

morte e i tentativi di suicidio risultano da dieci a venti volte maggiori dei suicidi stessi.

Il suicidio è un fenomeno complesso, legato al dolore profondo delle persone. Nel corso della

pratica clinica psicologi e psicoterapeuti possono doversi confrontare con questo tipo di disagio,

con persone a rischio e con le loro famiglie. Come per tutti i comportamenti umani, non è

rintracciabile una causa univoca, ma si fa riferimento ad una complessa interazione tra fattori

biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali.

È un problema di grande entità, che colpisce in ogni paese ed in ogni cultura e causa all’incirca un

milione di morti l’anno. Attualmente, infatti, è tra le prime cause di morte tra i 15 ed i 34 anni.

Le più recenti ricerche dell’OMS, nazionali, regionali e la letteratura in materia concordano

nell’identificare il suicidio tra i fenomeni sociali con più elevato costo in vite umane: nelle società

occidentali ad economia avanzata il suicidio compare infatti sempre più frequentemente fra le cause

di morte violenta, ed è la nona causa per carico di disabilità e morte prematura. Il preoccupante

aumento delle dinamiche sociali e individuali che, con incidenze diverse secondo le classi di età

nelle differenti realtà nazionali, sfociano nell’atto suicidario, costituisce certamente una

manifestazione estrema di disagio e di peggioramento, dal punto di vista della salute mentale e del

benessere in genere, di un numero sempre maggiore di cittadini e si configura come un problema di

salute pubblica. Inoltre è noto che i tassi di mortalità riflettono solo la parte con esito più

drammatico di tale disagio, mentre i numeri reali dello stesso, in realtà molto più diffuso, sono da

ricercare anche nelle ideazioni e condotte suicidarie e nei tentativi di suicidio.

L’incommensurabile impatto sotto il profilo sociale e psicologico del suicidio sulla famiglia e sulla

comunità inoltre, nelle quali lascia sempre ferite e interrogativi profondi spesso indelebili, colpirà,

secondo quanto emerge dalla letteratura in materia, nei superstiti, emotivamente e in maniera

profonda.

Il fenomeno suicidario è complesso, multifattoriale, diffi cilmente comprensibile con un semplice

approccio di tipo clinico e riveste caratteristiche in cui, quasi sempre, le patologie mediche si

Page 38: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

38

correlano con una serie di fattori sociali.

Occuparsi di tale fenomeno comporta, dunque, innanzitutto la necessità di uscire dai confini ristretti

di un approccio esclusivamente clinico per entrare nell’ambito più complesso ed articolato della

salute mentale delle persone e della sua stretta connessione con la salute sociale, economica ed etica

della comunità di riferimento.

Occuparsi del fenomeno suicidario significa quindi, pur partendo dall’obiettivo di prevenirlo e

contrastarlo:

● occuparsi della qualità della vita e delle relazioni degli individui nei propri contesti vitali;

● affrontare la qualità del lavoro non solo dei servizi dedicati alla salute mentale, specificatamente

intesa, ma di tutti quei servizi che contemplano nella propria mission il lavoro di promozione della

qualità della vita delle persone, sviluppando un progetto di prevenzione e di contrasto del fenomeno

suicidario secondo i principi di un’azione a largo raggio a più livelli::

· Primo livello: mantenere e preservare lo stato di salute mentale di tutti i cittadini.

· Secondo livello: riconoscere, a tutte le età, i segni premonitori di un comportamento suicidario.

· Terzo livello: contrastare la ripetizione di tentativi di suicidio.

Secondo alcuni studiosi, quali il prof. Maurizio Pompili coordinatore del Centro per lo Studio e per

la Prevenzione dei Disturbi dell'Umore e del Suicidio di Roma, il suicidio si può prevenire ed

ognuno di noi è in grado di contribuire. Ognuno, infatti, potrebbe imparare a riconoscere i segnali

d’allarme per il suicidio. La maggior parte delle persone a rischio di suicidio vorrebbe vivere, ma

non riesce a trovare un’alternativa ai propri problemi. Le richieste d’aiuto che lanciano all’esterno,

però, rimangono talvolta incomprese dagli altri, che non sanno leggere i segnali o non sanno come

rispondervi.

Spesso le persone a rischio di suicidio verbalizzano le proprie intenzioni o le esprimono attraverso i

comportamenti. Ad esempio, possono dimostrarsi tristi, ritirarsi in solitudine, esprimere una rabbia

incontrollabile, riferire dei disturbi del sonno, possono parlare di morte o pronunciare frasi come

“Vorrei essere morto”, “Non riesco a fare nulla”, “Non posso più andare avanti così”, “Sono un

perdente”, “Gli altri staranno meglio senza di me”.

Innanzi tutto sarebbe fondamentale iniziare da una pianificazione di azioni concertate atte a

Page 39: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

39

“mantenere e preservare un buono stato di salute mentale”. Un programma di prevenzione deve

innanzitutto mirare a prevenire lo sviluppo di tendenze suicidarie, ma appaiono ancora pochi i

programmi concepiti fin dall’inizio in quest’ottica, ad eccezione di certi programmi scolastici

destinati a sviluppare negli adolescenti autostima e capacità di risoluzione dei problemi. In secondo

luogo occorre saper riconoscere i segni premonitori di una condotta autolesionista e intervenire

quando questi assumono una rilevanza preoccupante; ciò implica anche il riuscire a limitare i danni

che da tale condotta possono scaturire prevedendone per esempio, eventuali ricadute”. La

prevenzione è allora centrata sull’intervento per persone riconosciute a rischio suicidario o sull'orlo

del suicidio. Infine, di non minore rilevanza, appare la prevenzione che ha come obiettivo

l’impedire la ripetizione dei tentativi di suicidio (recidive). È necessario prendere atto che il

fenomeno suicidio rappresenta solo un aspetto parziale di un problema di “malessere esistenziale”

che concerne e tocca tutti, direttamente o meno. Non appare sufficiente proporre ed attuare delle

azioni puntuali, non inserite in una strategia (o politica) globale di prevenzione primaria, che

permetta di considerare il contesto sociale nel suo insieme, valorizzando e rafforzando le

competenze individuali e sociali. Prevenire il disagio significa promuovere situazioni di agio. I

possibili livelli di intervento per i giovani devono riguardare la famiglia, la scuola, il luogo di

lavoro, la strada, i centri di incontro e di svago.

L’obiettivo è di riuscire a intervenire sulle condizioni dalle quali nascono gli atti suicidari e questo

per tutte le fasce definite a “rischio”, alimentando progetti di vita e dando alle persone una

opportunità di sentirsi vive e partecipi. L'azione di prevenzione deve tenere conto del fatto che si

dovrà operare in una società marcata:

· da un'evoluzione sempre più incerta e ansiogena,

· da situazione di precarietà sempre più diffuse,

· da una carenza di prospettive e dall'influenza dei nuovi sistemi di comunicazione sui valori

e sulle conoscenze,

· da una selezione sempre più grande fondata sul rendimento.

Ogni periodo della nostra vita può comportare disagi legati proprio a quella particolare età, pertanto

l'azione di prevenzione ha possibilità di riuscita tanto più si svolge un'azione mirata, cercando

proprio di cogliere i punti deboli di ogni fascia di età, per esempio:

1) per quanto riguarda gli adolescenti è importante:

Page 40: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

40

la sensibilizzazione del contesto nel quale essi vivono, attraverso campagne di informazione

con maestri di tirocinio, docenti di grado secondario e adulti in generale in contatto con

adolescenti.

Approfondimento del tema con gli adolescenti attraverso dibattiti, tavole rotonde, giornate

di studio, ecc.

Definire dei criteri di raccolta statistica dei dati e promuoverne una raccolta sistematica per

suicidio e tentativo di suicidio.

Promuovere le costituzione di una rete di intervento specialistico

L'obiettivi è quello di intendere la scuola come luogo di vita sociale. sviluppare le capacita

personali degli allievi, degli insegnanti e dei genitori in materia di salute. Rafforzare l’attitudine

delle istituzioni scolastiche a risolvere i problemi, al fine di ottenere un ambiente pedagogico e

fisico favorevole al benessere.

2) per quanto riguarda le persone anziane sono a volte vittime di pregiudizi o di una mancanza di

informazione anche tra le persone che dovrebbero occuparsene. Sembrerebbe che la società sia poco

preoccupata del fenomeno del suicidio degli anziani.

Si osserva anche una certa accettazione o giustificazione nei confronti di questi gesti ("… è normale

alla loro età essere depressi ed avere voglia di morire"). Bisogna però considerare che anche per

questa fascia della popolazione il suicidio è una reazione alla sofferenza ed alla disperazione.

Appare pertanto opportuno:

sviluppare una politica familiare globale e coordinata;

favorire la partecipazione degli anziani alla società civile

Idealmente la prevenzione diretta degli anziani dovrebbe essere centrata sull’individuazione dei

soggetti in difficoltà con l’aiuto delle famiglie ma soprattutto dei professionisti (medici, infermieri,

assistenti sociali, persone di riferimento, docenti, ecc.) che dovrebbero a loro volta collaborare con i

diversi servizi medici e psicologici, in grado di intervenire in caso di minaccia suicidaria.

Page 41: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

41

5. Conclusioni

Nel quadro complessivo del suo pensiero per Durkheim lo studio sul suicidio è stato uno dei punti

più importanti in cui ha tentato di vedere dentro un fenomeno la complessità dei comportamenti e

delle influenze sociali.

E’ vero che ogni uomo vive individualmente la propria vita, ma come osserva Durkheim lo spazio,

il tempo e le cause collettive giocano nella sua vita un ruolo molto rilevante. Egli considera la

società come una necessità esterna e superiore agli individui, una “coscienza di coscienze”, forma

più alta della vita psichica. Al di sopra dell’uomo c’è la società, il più potente fascio di forze fisiche

esistenti.

A queste ultime considerazioni era approdato attraverso una analisi della religione. Per Durkheim

la religione laica, è l’immagine della società, dalle connessioni che la religione consente, nascono

spinte che permettono all’uomo di superare i confini della sua limitatezza individuale. La religione

laica è la scala per raggiungere il mondo sociale superiore; il passaggio dal profano al sacro, dal

privato al sociale, (Le forme elementari della vita religiosa, 1912).

Il pensiero di Durkheim da qualsiasi punto di vista converge verso un unico punto: la dimostrazione

della priorità dell’organismo sull’organo, della società sull’individuo, (Es. il corpo mano con

funzioni gerarchiche).

E a proposito dell’anomia, Durkheim dirà del delitto che anch’esso congiura a favore del sociale.

Pensa che sia spiegabile ciò che è storicamente posteriore e più complicato, con ciò che è

storicamente anteriore e più semplice.

Page 42: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

42

6. Alcuni dati statistici riguardanti i suicidi in Italia e nel mondo

In Italia si valutano ogni anno tra 3.500 e 4.000 i suicidi ogni anno.

I dati epidemiologici sui suicidi e i tentativi di suicidio provengono dall’Autorità giudiziaria

(verbali e rapporti di Polizia e Carabinieri) o da quella Sanitaria (secondo i dati elaborati

dall’Istituto di statistica sanitaria tratti dai certificati di morte). Tali dati sono spesso non coerenti tra

loro, sono, per parere unanime degli esperti, sottostimati (soprattutto quelli forniti dall’Autorità

Giudiziaria) e vengono aggiornati con un ritardo di almeno 2-3 anni.

Nel 2004 i suicidi “ufficiali” sono stati per l’Istat 3.265 (758 donne e 2.507 uomini), con un tasso di

5,6 su 100.000 persone, con prevalenza del Nord Est e valori molto più bassi nell’Italia

Meridionale.

Nel 2004 meno del 1 per cento dei suicidi aveva meno di 18 anni, poco meno di due terzi erano in

età lavorativa (dai18 ai 64 anni) e oltre un terzo aveva superato i 65 anni. La tendenza al suicidio

aumenta in percentuale all’aumentare dell’età. Tra i principali “moventi”, così definiti dai verbali

delle forze dell’ordine, si rileva la malattia psichica, presente in circa metà dei casi, motivi affettivi,

economici, malattie fisiche e un obsoleto “motivi d’onore”.

Dal 1950 a oggi, secondo l’OMS il tasso di suicidi in Italia ha toccato il punto più basso a metà

degli anni ‘60, con il 5,4 su 100.000 abitanti e quello più alto intorno al 1985, con l’8,3 per %000.

Dal 1983 al 2004, secondo i dati Istat, l’andamento è stato altalenante. Nel 1983 si sono contati

2.851 suicidi, cresciuti fino a essere 4.081 nel 1987 e poi rimasti nei successivi 10 anni abbastanza

costanti (tra i 3.800 e i 4.100 con un “picco” di 4.119 nel 1993). Dal 1996 il numero cala invece

fino ai 2.819 del 2001 per poi risalire fino ai 3.265 del 2004. Questa la serie storica più recente

secondo l’Istat (dati di Polizia di Stato e Carabinieri):

Anno 2000 2001 2002 2003 2004

Numero suicidi 3096 2819 2949 3361 3265

Negli anni più recenti in Italia, quindi, il fenomeno del suicidio appare ancora stabile o in crescita,

mentre, grazie a campagne ad hoc, è in calo nei Paesi del Nord Europa, dove i tassi erano molto più

alti.

Page 43: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

43

Qui di seguito si riporta il grafico che indica i dati istat relativi all'anno 2007 sul suicidio diviso per

sesso. Gli uomini sono rappresentati dal colore azzurro, le donne dal rosa. I numeri rappresentano il

numero di suicidi in Italia per anno per i maschi, le femmine ed il totale.

In Italia la regione con il numero più basso di suicidi è la Campania con 2,6 suicidi per 100.000 abitanti, e la più alta in Friuli-Venezia Giulia, (9,8 per 100.000 abitanti), nel 2007, seguita da Valle d'Aosta (9%), Sardegna (8,9%) e Trentino-Alto Adige (8,7%). rispetto ad una media nazionale di 5,6.

Sono in ogni caso dati da trattare con cautela, come prova il fatto che l’OMS per il 2002 accredita

l’Italia di 4.069 casi di suicidio (fonti sanitarie), il 25 per cento in più rispetto ai dati forniti

dall’Istat stesso (2.949, fonti giudiziarie).

L’ “undereporting”, la sottostima dei suicidi deriva da fattori diversi: la vergogna dei sopravvissuti,

il voler celare il suicidio per motivi assicurativi, la negligenza di chi stila i rapporti. Spesso le morti

che vengono rubricate come “morte improvvisa” o “causa sconosciuta”, in realtà sono suicidi:

soprattutto in caso di anziani soli, in casa di riposo e ospedale. Mancano alle statistiche le persone

morte, magari dopo giorni, “in conseguenza” di un tentativo di suicidio.

Non sono contemplati molti casi di incidenti stradali inspiegabili, episodi di suicidio in carcere, di

overdose volontaria di tossicodipendenti, di anziani che si lasciano morire o si avvelenano.

Una ricerca della rivista Altroconsumo, datata 2004, sui comportamenti e le credenze relative al

suicidio (su un campione significativo di 3.370 persone adulte) fa emergere che il 35 per cento del

campione conosceva qualcuno che aveva tentato il suicidio e il 49 per cento una persona morta per

Page 44: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

44

suicidio. Il 13 per cento del campione aveva avuto nell’ultimo anno idee suicide, l’8 per cento in

modo persistente.

Lo 0,43 per cento ha dichiarato di aver tentato il suicidio nell’ultimo anno. Questo corrisponde a

430 su 100.000 persone, 10 volte di più dei tassi ufficiali. Anche questo dà la misura della difficoltà

di raccogliere e interpretare i dati su questo tema. Tra le molte affermazioni con cui veniva chiesto

di concordare o meno: per il 72 per cento del campione chi tenta il suicidio è una persona che non

ha nessuno con cui condividere i propri problemi.

I MEDIA E IL SUICIDIO

Il SUPRE (Suicide Prevention) del Dipartimento di Salute Mentale dell’OMS, ha pubblicato nel

2000 le linee guida dedicate ai media in tema di suicidio. Le ricerche dimostrano infatti che i media

giocano un ruolo attivo nel suicidio: sia nel rischio di emulazione (copycat suicides), sia nella

possibile prevenzione. Ecco un breve riassunto delle “raccomandazioni” dell’Organizzazione

Mondiale della Sanità ai giornalisti che trattano un caso di suicidio.

COSA FARE

- Utilizzare fonti affidabili e riconosciute, lavorare in collaborazione con le autorità sanitarie.

- Presentare solo i dati essenziali, possibilmente riportandoli nelle pagine interne.

- Parlare di un suicidio sempre come “commesso” e non come “riuscito”.

- Descrivere l’impatto dell’evento sui familiari in termini di stigma e di sofferenza psicologica.

- Descrivere le conseguenze fisiche di tentati suicidi dall’esito non fatale.

- Evidenziare le alternative al suicidio: fornire indicazioni sulle helpline, sui numeri di telefono da

chiamare e le altre risorse per la salute mentale.

- Rendere pubblici i fattori di rischio e i segni premonitori, in particolare la depressione, precisando

che è una condizione curabile, solidarizzare con i “survivors”, le persone sopravvissute.

- Usare particolare cautela nel diffondere e interpretare i dati e le statistiche sul suicido.

Page 45: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

45

COSA NON FARE

- Utilizzare titoli a grande impatto e in prima pagina.

- Pubblicare foto della scena del suicidio o descrizioni dettagliate del metodo scelto e del luogo

dove si è svolto.

- Trattare in modo sensazionale il suicidio, soprattutto quando si tratta di una celebrità.

- Dipingere le persone suicide degli eroi o dei martiri.

- Utilizzare generalizzazioni o stereotipi culturali e religiosi, descrivere il suicidio in modo

semplicistico o inesplicabile, invece che come combinazione complessa di diversi fattori.

- Descrivere il suicidio come una possibile via di fuga da problemi personali come il fallimento

scolastico o lavorativo, i tracolli finanziari, gli abusi sessuali.

- Usare espressioni come “epidemia di suicidi”. Fare comparazioni tra Paesi e luoghi dove i sistemi

di rilevazione sono diversi. Bollare un luogo come “Paese o Regione dei suicidi”.

Condizione lavorativa dei morti per suicidio Totale suicidi Italia – Maschi e Femmine - Anno 2004

• Occupato 981

• Ricerca nuova occupazione 227

• In cerca di prima occupazione 102

• Casalinga 243

• Studente 81

• Militare di leva 6

• Persona ritirata dal lavoro 1188

• Inabile 104 104

• Non indicata 333 Stato civile dei suicidi Totale suicidi Italia – Maschi e Femmine - Anno 2004

• Celibi e nubili 1076

Page 46: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

46

• Coniugati 1387

• Vedovi 430

• Separati o già coniugati 241

• Non indicato 131 Classi di età dei suicidi Totale suicidi Italia – Maschi e Femmine - Anno 2004

• Fino a 13 anni 4

• Da 14 a 17 27

• Da 18 a 24 163

• Da 25 a 44 926

• Da 45 a 64 968

• 65 e oltre 1152

• Non indicata 25

Mezzi di esecuzione dei suicidi Totale suicidi Italia – Maschi e Femmine - Anno 2004

• Avvelenamento 124

• Asfissia da gas 119

• Impiccagione 1168

• Arma da taglio 75

• Arma da fuoco 366

• Precipitazione 712

• Annegamento 191

• Investimento 84

• Altro 147

• Non indicato 279

Page 47: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

47

Movente dei suicidi Totale suicidi Italia – Maschi e Femmine - Anno 2004

• Malattie fisiche 374

• Malattie psichiche 1261

• Motivi affettivi 303

• Motivi d’onore 14

• Motivi economici 98

• Ignoto o non indicato 1215 In Italia la regione con il numero più basso di suicidi è la Campania con 2,6 suicidi per 100.000 abitanti, e la più alta in Friuli-Venezia Giulia, (9,8 per 100.000 abitanti), nel 2007, seguita da Valle d'Aosta (9%), Sardegna (8,9%) e Trentino-Alto Adige (8,7%). rispetto ad una media nazionale di 5,6.

IL SUICIDIO NEL MONDO I dati dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, sono eloquenti: nel mondo ogni anno circa

un milione di persone muore per suicidio. Il suicidio rappresenta circa il 3 per cento fra le cause di

morte.

Negli adolescenti sotto i 15 anni il suicidio è la prima causa di morte in alcuni Paesi: Cina, Svezia,

Irlanda, Australia e Nuova Zelanda. Il suicidio è invece la prima causa di morte per le persone dai

15 ai 24 anni in moltissimi Paesi e lo è pressoché in tutti i Paesi del mondo per gli adulti tra i 25 e i

55 anni: per questa fascia di età il numero di morti per suicidio è superiore - in numeri assoluti –

della somma dei morti per guerre e omicidi.

Il SUPRE Project (SUicide PREvention Project) è l’iniziativa globale dell’Organizzazione

Mondiale della Sanità per la prevenzione del suicidio. L’OMS valuta che dal 1950 al 1995 la

percentuale di morti per suicidio sia cresciuta globalmente del 60 per cento. Nel 2000 il tasso

globale era di 16 persone ogni 100.000 abitanti.

Una stima OMS-SUPRE, che tiene conto dell’invecchiamento della popolazione (le persone in età

avanzata hanno un maggior tasso di suicidio) e di altri fattori afferma che, se non si interviene con

politiche adeguate, nel 2020 i morti per suicidio nel mondo potrebbero essere 1,53 milioni.

Page 48: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

48

La Giornata Mondiale di Prevenzione del Suicidio, evento annuale promosso dalla Iasp,

International Association for Suicide Prevention, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale

della Sanità, nel 2007 ha per tema “Suicide Prevention in Life Spam”, “La prevenzione del suicidio

nell’arco della vita”. Infatti, nonostante si ponga maggior enfasi sul suicidio in età giovanile e sulla

sua prevenzione, il suicidio ricorre in tutto l’arco di vita.

Il suicidio nei bambini e nei giovani adolescenti (meno di 15 anni) è raro e rappresenta il 2 per

cento di tutti i suicidi. Ricorrono nelle loro storie violenze ed abusi fisici e psicologici, dipendenze

da alcol o droghe in famiglia, depressione. Il suicidio tra gli adolescenti e i giovani adulti (dai 15 ai

24 anni) è invece un grave problema e una delle principali cause di morte fra i giovani in molti

Paesi. In un terzo dei Paesi i giovani dai 15 ai 24 anni sono il gruppo a più alto rischio. Il suicidio è

invece -come detto - prima causa di morte tra gli adulti, in particolare tra i maschi. In generale le

percentuali di suicidio crescono con l’età: in molti Paesi le percentuali di suicidio sono più alte fra

le persone anziane, in particolare oltre gli 85 anni.

In una prospettiva di genere, gli uomini si tolgono la vita in misura tre volte maggiore delle donne

(fa eccezione la Cina, soprattutto nelle aree rurali), ma le donne - in particolare in giovani età -

tentano il suicidio più degli uomini. Nel complesso i tentati suicidi sono da 10 a 20 volte di più dei

suicidi commessi. Gli uomini di solito usano metodi con maggiore possibilità di esito fatale, sono

meno propensi a cercare aiuto per i loro problemi emozionali e fanno maggiore uso di alcol e

droghe.

I relativi costi sociali sono enormi, stimati in miliardi di dollari e corrispondono al potenziale

economico delle vite perdute, ai trattamenti medici e psicologici dei tentati suicidi, alla sofferenza e

al carico dei familiari e degli amici.

Ogni suicidio colpisce in modo devastante altre sei persone in media.

I dati sul suicidio sono estremamente difficili da valutare e per certo sottovalutati, spesso a causa

del tabù che tuttora rappresenta e della riluttanza a rendere pubblici i casi di suicidio, soprattutto fra

gli anziani, oltre che per un “reporting” spesso sommario o inesistente.

L’ingestione di pesticidi è uno dei metodi più diffusi per il suicidio. Si stima che in tutto il mondo si

verifichino 3 milioni di casi di avvelenamento volontario da pesticidi ogni anno, per un totale di

circa 250 mila morti, prassi assai diffusa nelle aree rurali, soprattutto in alcuni Paesi asiatici, ma

anche in America centrale e meridionale.

In generale la disponibilità di strumenti per togliersi la vita, come ad esempio le armi da fuoco in

Paesi come gli Stati Uniti, influisce in modo rilevante sulla “prevalenza” del metodo utilizzato.

Page 49: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

49

I tassi più alti di suicidio (dati Oms 2000) si riscontrano in Europa in particolare nell’Europa

dell’Est, come in Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Ungheria, Russia e in Paesi asiatici come

Cina e Giappone. Quelle più basse in America Latina, Paesi Arabi e in alcuni Paesi come Argentina,

Brasile, Kuwait e Thailandia. I Paesi africani non forniscono dati sufficienti. In numeri assoluti il

più alto numero di suicidi si trova in Cina e India che rappresentano da sole circa il 30 per cento dei

casi.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità in generale i fattori di rischio variano per

continenti e Paesi diversi, secondo variabili culturali, sociali ed economici. I disturbi psichici sono

associati al 90 per cento dei suicidi. In particolare depressione, schizofrenia, disturbi della

personalità. E poi abuso di sostanze, alcolismo (tra il 5-10 per cento di chi è dipendente si toglie la

vita), malattie fisiche croniche e dolorose, cancro e Hiv in primis, ma anche disturbi neurologici.

Tra i fattori ambientali problemi di relazione e familiari, violenze subite, lutti, divorzi e separazioni,

altri eventi traumatici recenti, solitudine. Influiscono in modo rilevante le condizioni economiche,

tracolli finanziari, povertà, disoccupazione, emigrazione. Sono fattori di rischio alcune occupazioni

che mettono in contatto con sostanze letali (medici, farmacisti, agricoltori…), e in generale la

disponibilità di mezzi a commettere suicidio, l’esposizione a comportamenti suicidi altrui, un

precedente tentativo di suicidio: il 10-14% di chi ha tentato il suicidio si toglie la vita.

I fattori di protezione riconosciuti, d’altra parte, sono le buone relazioni familiari, una forte

consapevolezza del proprio valore e la fiducia in se stessi, ma anche la capacità di chiedere aiuto, di

confrontarsi con gli altri e di imparare.

Altri fattori sono l’interiorizzazione di valori e tradizioni della propria cultura, una rete di buone

relazioni con amici, vicini, compagni di lavoro o di scuola, l’integrazione nel lavoro, nelle attività

culturali e di tempo libero, o anche fattori ambientali come l’assenza dell’uso di droghe o tabacco,

mangiare e dormire in modo corretto, una buona attività fisica e la presenza della luce del sole.

Page 50: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

50

Alcuni dati relativi al 2009

Country Year Males

ALBANIA 03 4.7

ANTIGUA AND BARBUDA 95 0.0 ARGENTINA 05 12.7

ARMENIA 06 3.9

AUSTRALIA 04 16.7 AUSTRIA 07 23.8

AZERBAIJAN 07 1.0 BAHAMAS 02 1.9

BAHRAIN 88 4.9

BARBADOS 01 1.4 BELARUS 03 63.3

BELGIUM 99 27.2

BELIZE 01 13.4 BOSNIA AND HERZEGOVINA 91 20.3

BRAZIL 05 7.3

BULGARIA 04 19.7 CANADA 04 17.3

CHILE 05 17.4

CHINA (Selected rural & urban areas) 99 13.0 CHINA (Hong Kong SAR) 06 19.3

COLOMBIA 05 7.8 COSTA RICA 06 13.2

CROATIA 06 26.9

CUBA 06 19.6 CYPRUS 06 3.2

CZECH REPUBLIC 07 22.7

DENMARK 06 17.5 DOMINICAN REPUBLIC 04 2.6

ECUADOR 06 9.1

EGYPT 87 0.1 EL SALVADOR 06 10.2

ESTONIA 05 35.5

FINLAND 07 28.9 FRANCE 06 25.5

GEORGIA 01 3.4 GERMANY 06 17.9

GREECE 06 5.9

GRENADA 05 9.8 GUATEMALA 06 3.6

Page 51: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

51

GUYANA 05 33.8

HAITI 03 0.0

HONDURAS 78 0.0 HUNGARY 05 42.3

ICELAND 07 18.9

INDIA 98 12.2 IRAN 91 0.3

IRELAND 07 17.4 ISRAEL 05 8.7

ITALY 06 9.9

JAMAICA 90 0.3 JAPAN 07 35.8

JORDAN 79 0.0

KAZAKHSTAN 07 46.2 KUWAIT 02 2.5

KYRGYZSTAN 06 14.4

LATVIA 07 34.1 LITHUANIA 07 53.9

LUXEMBOURG 05 17.7

MALDIVES 05 0.7 MALTA 07 12.3

MAURITIUS 07 16.0 MEXICO 06 6.8

NETHERLANDS 07 11.6

NEW ZEALAND 05 18.9 NICARAGUA 05 11.1

NORWAY 06 16.8

PANAMA 06 10.4 PARAGUAY 04 5.5

PERU 00 1.1

PHILIPPINES 93 2.5 POLAND 06 26.8

PORTUGAL 04 17.9

PUERTO RICO 05 13.2 REPUBLIC OF KOREA 06 29.6

REPUBLIC OF MOLDOVA 07 28.0

ROMANIA 07 18.9 RUSSIAN FEDERATION 06 53.9

SAINT KITTS AND NEVIS 95 0.0 SAINT LUCIA 02 10.4

SAINT VINCENT AND THE GRENADINES 04 7.3

SAO TOME AND PRINCIPE 87 0.0

Page 52: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

52

SERBIA 06 28.4

SEYCHELLES 87 9.1

SINGAPORE 06 12.9 SLOVAKIA 05 22.3

SLOVENIA 07 33.7

SPAIN 05 12.0 SRI LANKA 91 44.6

SURINAME 05 23.9 SWEDEN 06 18.1

SWITZERLAND 06 23.5

SYRIAN ARAB REPUBLIC 85 0.2 TAJIKISTAN 01 2.9

THAILAND 02 12.0

TFYR MACEDONIA 03 9.5 TRINIDAD AND TOBAGO 02 20.4

TURKMENISTAN 98 13.8

UKRAINE 05 40.9 UNITED KINGDOM 07 10.1

UNITED STATES OF AMERICA 05 17.7

URUGUAY 04 26.0 UZBEKISTAN 05 7.0

VENEZUELA 05 6.1 ZIMBABWE 90 10.6

Page 53: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

53

Bibliografia

· Platone, La Repubblica (Napoli: Bibliopolis, 1998).

· Ugo Foscolo, Le Ultime lettere di Jacopo Ortis (Milano: Mondatori Editore, 1986) 58-59.

· Ugo Foscolo, Poesie e carmi (Firenze: F. Le Monnier, 1985) 126-133.

· Giacomo Leopardi, Zibaldone di Pensieri (Milano: Mondatori Editore, 1983) 64.

· Giacomo Leopardi, Operette Morali (Napoli: Guida, 1998) 510.

· 12. Giacomo Leopardi, Canti (Firenze: Casa Editrice Le Monnier,1998) 273-274.

· Benedetto Croce, La poesia: Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura (Bari: Laterza, 1971) 64.

· Walter Binni, Ghidetti Enrico (a cura di), Studi Leopardiani (Firenze: Le lettere, 1999) 22.

· Giacomo Leopardi, Zibaldone di Pensieri, 113.

· Alessandro Manzoni, Adelchi (Firenze: Sansoni Editore, 1961) atto V, vv. 402-405, atto IV, vv.15-25, atto IV, vv. 194-195.

· Platone, La Repubblica. Napoli: Bibliopolis, 1998.

· E. Durkheim, Il suicidio, Rizzoli, Milano 2007; IL suicidio - L'educazione morale, 2008, UTET

· Dalle «regole» al «suicidio». Percorsi durkheimiani, 2001, Argo.

· M. Mauss, Saggio sul dono, Einaudi, Torino, 2002.

· P. Jedlowski, Il mondo in questione, Carrocci, Roma, 1998.

· G. Bataille, Il dispendio, ed. Armando, Roma, 1997; La parte maledetta Bollati Boringhieri, Torino 1992; L'esperienza interiore, Dedalo, Bari 1978; Teoria della religione, Cappelli, Bologna 1978.

· R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1992; Il sacrificio, Raffaello Cortina, Milano 2003.

· H. Hubert - M. Mauss, Saggio sul sacrificio, Morcelliana, Brescia 2002.

· F. Khosrokhavar, I nuovi martiri di Allah, Mondadori, Milano 2003.

· Lewis Bernard, Il suicidio dell'Islam. In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale, 2002, Mondadori.

· E. Cavalli, L'imperfetto del lutto, Aragno 2008.

· Gasparri Luca, Suicidio e filosofia. Dagli antichi a Leopardi, 2008, Il Prato.

· Kant Immanuel, Sull'etica del suicidio. Dalle «Riflessioni» e «Lezioni» di Immanuel Kant con i «Preparativi di un infelice alla morte volontaria» di un anonimo del Settecento, 2003, Le Lettere.

· Barbagli Marzio, Congedarsi dal mondo. Il suicidio in Occidente e in Oriente, 2009, Il Mulino.

· Hume David, Sul suicidio e altri saggi scelti, 2008, Villaggio Maori; Sul suicidio e altri saggi morali, 2008, Laterza.

· Testoni Ines, Autopsia filosofica. Il momento giusto per morire tra suicidio razionale ed eternità, 2007, Apogeo.

Page 54: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

54

· Idee che vanno a morire. Suicidio e sacrificio in età contemporanea, 2002, L'Orecchio di Van Gogh.

· Manfredini Arrigo D., Il suicidio. Studi di diritto romano, 2008, Giappichelli.

· Iannuzzi Raffaele, Il suicidio della modernità, 2008, Cantagalli.

· Levé Edouard, Suicidio, 2008, Bompiani.

· Donne John, In difesa del suicidio, 2008, SE.

· Borgna Eugenio; Manica Mauro; Pagnoni Adriana, Il suicidio. Amore tragico, tragedia d'amore, 2006, Borla.

· Baratta Stefano, L'arte del morire. Lettura simbolica del suicidio, 1992, Moretti & Vitali.

· Solitudini. Studi sul suicidio in una prospettiva psicodinamica, 2007, Franco Angeli.

· Bornstein Kate, Centouno alternative al suicidio, 2007, Castelvecchi.

· Siragusa Diego, La botola sotto il letto. Un caso d'istigazione al suicidio, 2007, Circolo Il Grandevetro.

· Torchiaro Giovanni, Suicidio imperfetto, 2008, Il Filo.

· Guagliardo Vincenzo, Resistenza e suicidio. Appunti politici sulla coscienza, 2005, Colibrì Edizioni

· Pulcina Paolo, Carlo Michelstaedter: estetica. L'illusione della retorica, le ragioni del suicidio, 2004, Firenze Atheneum.

· Belfiore Lorenzo, Il suicidio dell'eretico, 2006, Libroitaliano World.

· De Lazzer Alessandro, Il suicidio delle vergini. Tra folclore e letteratura della Grecia antica, 1997, Ananke.

· Leone Andrea, Il suicidio di Holly Parker, 2008, Lampi di Stampa.

· Bernardini Paolo L., Giacomo Casanova, Dialoghi sul suicidio, 2005, Aracne.

· Pietropolli Charmet Gustavo; Piotti Antonio, Uccidersi. Il tentativo di suicidio in adolescenza, 2009, Cortina Raffaello.

· Black Jeffrey S., Il suicidio. Capire e intervenire, 2005, Alfa & Omega (Caltanissetta).

· De Risio Sergio; Sarchiapone Marco, Il suicidio. Aspetti biologici, psicologici e sociali, 2002, Elsevier.

· Arrighi Cletto, Un suicidio misterioso [1883], 2004, Lampi di Stampa.

· Morselli Guido, Il suicidio-Capitolo breve sul suicidio, 2004, Via del Vento.

· Jamison Kay R., Rapida scende la notte. Capire il suicidio, 2003, TEA.

· Antonucci Giorgio, Pensieri sul suicidio, 2002, Eleuthera.

· Wilkerson David, Suicidio, 2002, Uomini Nuovi.

· Dworkin Gerald; Frey Raymond G.; Bok Sissela, Eutanasia e suicidio assistito. Pro e contro, 2001, Einaudi.

· Segatori Adriano, Il suicidio. Eventi e comportamenti, 2000, Sensibili alle Foglie.

· Gori Nicoletta; Lupi Annamaria, Il suicidio. Quel sottile confine tra normalità e follia, 2000, Seam.

Page 55: Istituto MEME: Fattori sociologici del suicidio1].pdf · 4 secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio

55

· Pandolfi Anna M., Il suicidio. Voglia di vivere, voglia di morire, 2000, Franco Angeli.

· Tra ragione e disperazione. Riflessioni sul suicidio, 2000, L'Orecchio di Van Gogh.

· Crepet Paolo; Florenzano Francesco, Il rifiuto di vivere. Anatomia del suicidio, 1998, Editori Riuniti.

· Sclafani Francesco; Giraud Ottaviano; Balbi Giuliano, Istigazione o aiuto al suicidio. Profili giuridici, criminologici, psicopatologici, 1997, Edizioni Scientifiche Italiane.

· De Maio Domenico; Guiducci Roberto; Vaccaneo F., Il suicidio. Analisi e cura, 1997, Omega.

· Pozzi Enrico, Il carisma malato. Il People's Temple e il suicidio collettivo di Jonestown, 1992, Liguori.

· Festini Cucco Wally; Cipollone Luca, Suicidio e complessità. Punti di vista a confronto, 1992, Giuffrè.