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ISTITUTO ITALIANO DEI CASTELLI - onlusCASTELLA | 100

SEZIONE SARDEGNA

verso un ATLANTE DEI SISTEMI DIFENSIVI DELLA SARDEGNAa cura di Donatella Rita FIORINO Michele PINTUS

GIANNINI EDITORE

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CASTELLA n. 100Collana di pubblicazioni monografiche dell’Istituto Italiano dei Castelli

di SARDEGNA n.1/2015Pubblicazione della Sezione Sardegna

ISTITUTO ITALIANO DEI CASTELLI-onlusFondato da Piero Gazzola nel 1964Associato all’Internationales Burgen Institut dal 1964 al 1991Associato ad Europa Nostra - IBI dal 1992Sede di rappresentanza Castel Sant’Angelo - Romawww.castit.it

SEZIONE SARDEGNAFondata nel 1970Sede via Istria, 9 – 09127 CagliariPresidente Michele [email protected]@gmail.com

Coordinamento scientificoDonatella Rita FiorinoMichele Pintus

Comitato scientificoRaffaele CotzaMarinella Ferrai Cocco OrtuDonatella Rita FiorinoVittorio ForamittiEster GessaCaterina GiannattasioTatiana K.KirovaFabio Pignatelli della LeonessaMichele PintusAntonello SannaGiovanni Ventimiglia di Monteforte

Editing, impaginazione e graficaIstituto Italiano dei Castelli OnlusSezione Sardegna

Con la collaborazione diValentina Pintus, impaginazione e graficaMaria Serena Pirisino, copertinaMonica Vargiu, revisione note e bibliografia

Il contenuto dei saggi, testo e immagini, firmati o siglati impegnano esclusivamente gli estensori degli stessi; gli autori ne hanno assunto piena e totale responsabilità, liberando l’Istituto Italiano dei Castelli e l’editore da eventuali aventi diritto. Le referenze fotografiche sono indicate nelle didascalie delle immagini o a fine saggio.

© copyright 2015 Sezione Sardegna Istituto Italiano dei Castelli-onlus

Giannini EditoreVia Cisterna dell’Olio, 6/B – 80134 NapoliTel./Fax 081.551.39.28 [email protected] – www.gianninispa.it

ISBN 978-88-7431-799-8

L'opera è stata realizzata con il contributo di

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L’Istituto Italiano dei Castelli da oltre 50 anni in prima linea per la conservazione e la valorizzazione di Castelli e strutture fortificateMichele Pintus

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Atlante Castellano d’ItaliaFabio Pignatelli Della Leonessa

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Per l’Atlante dei sistemi difensivi della SardegnaVittorio Foramitti

29

Riuso per la cultura. Patrimonio fortificato e UniversitàAntonello Sanna

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Verso la valorizzazione condivisa e partecipata del patrimonio immobiliare della Regione Autonoma della SardegnaCristiano Erriu

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IntroduzioneDonatella Rita Fiorino, Michele Pintus

39

Stratigrafie Difensive La profondità storica del paesaggio fortificato

Storia dei sistemi fortificati in SardegnaFrancesco Cesare Casula

55

I sistemi di difesa nella Sardegna medievale. Committenze e strategieAlessandra Cioppi

109

Incastellamento e archeologia della Signoria in SardegnaMarco Milanese

117

Fortificazioni e cronologie. Protocolli conoscitivi per la conservazioneDonatella Rita Fiorino, Caterina Giannattasio, Silvana Maria Grillo

129

Dismissioni e trasformazioni urbane in Sardegna prima e dopo l’Unità d’ItaliaFranco Masala

173

Sistemi difensivi nella Sardegna del NovecentoGiuseppe Carro, Daniele Grioni

189

Che cos’è un paesaggio?Maria Antonietta Mongiu

201

Tutela e fruizione. Un futuro possibilePaolo Scarpellini

207

Trasmettere al futuro. Il ruolo delle istituzioni nella tutela, manutenzione, conservazione dei beni culturaliMaria Luisa Mulliri, Giorgia Tomasi

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227

Giacimenti ConoscitiviFonti, luoghi, storieI castelli nelle vedute dei retabli del XV e XVI secolo della Pinacoteca

Nazionale di CagliariValeria Masili, Patricia Olivo

239Letteratura e castelliMaria Grazia Vescuso

249Ricognizioni documentarie sulle architetture militari storiche della Sardegna. Problematiche e Confronti

Marcello Schirru

255Le fortificazioni sarde citate nel diario di Francesco d’Austria d’EstePaolo Cau

261Immagini di viaggio dalla Sardegna. Fortificazioni nelle descrizioni di Max Leopold Wagner

Maria Serena Pirisino

265Castelli signorili nella Sardegna medievale (XIII-XIV sec.)Alessandro Soddu

273Il Castello di Monreale e il suo territorio tra età giudicale e possesso feudaleRoberto Ibba

281Il Castello di Medusa a Samugheo. Da castrum bizantino a castello di frontieraMariella Cortés

287Il Castello Orguglioso a Silius (Cagliari). Storia, architettura e paesaggioAntonella Sanna

295Presidi militari e difesa del territorio. Il caso delle caserme dell’Arma dei Carabinieri

Donatella Rita Fiorino, Ilaria Ghirlanda

321La difesa antiaerea passiva a Cagliari durante la Seconda Guerra MondialeMassimo Rassu

317La difesa elettronica tedesca in Sardegna nel 1943. L’impianto di Monte Agumu-Pula

Francesco Ledda

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Ricognizioni Segni, materia, strumentiLa conoscenza integrata dall’archivio alla fabbrica. Il caso del Forte Sant’IgnazioEmilio Belli, Donatella Rita Fiorino

331

Fortificazioni e tecniche murarie di età pisana nelle mura di CastelloManuela Mattana, Gabriele Schirru

359

Guardare a Nord: contributi didattici nello studio dell’area di San Pancrazio a CagliariGabriele Cauli, Donatella Rita Fiorino, Marzia Loddo, Giorgia Tomasi

371

L’analisi grafica dei documenti d’archivio quale strumento per “leggere e conoscere” il progetto della fortificazione alla modernaAndrea Pirinu

403

La sentinella. Prospettive per il riuso dei beni militari dismessi a la MaddalenaGiovanni Marco Chiri

443

Il Muro Mediterraneo e l’Architettura Moderna. Il caso della SardegnaAndrés Martínez Medina, Paolo Sanjust

469

Riqualificazione dell’ex batteria militare Carlo Faldi e del compendio costiero di Is Mortorius Paolo Abis, Gabriele Sebastiano Calvisi, Germana Dolce, Antioco Alberto Loche, Giuseppe Loche, Luca Loi, Maria Franca Perra, Pier Paolo Perra, Carlo Poddi, Andrea Saba, Raimondo Zucca

515

Un GIS per il sistema difensivo costiero della Sardegna (XVI-XVIII sec.)Monica Deidda, Claudio Musa, Giuseppina Vacca

413

Il sistema informativo per la conoscenza integrata e la costruzione dell’atlante tematico Donatella Rita Fiorino, Valentina Pintus

423

Percezioni Scenari, prospettive, itinerari

La Sardegna e le fortificazioni della Guerra FreddaLeonardo Malatesta

455

Comunicare i castelliMariella Cortes

483

Restaurare Beni e SaperiIole Fedela Garau

487

Restauri del castello di BosaGiovanni Battista Gallus

501

Il Castello Aragonese di Sassari. Valorizzazione di un percorso nascostoFrancesco Ledda

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Il Muro Mediterraneo e l'Architettura Moderna.Il caso della Sardegna

Andrés Martínez Medina, Paolo Sanjust

Costruzione e distruzione, ingegneria e architettura

«La difesa è per il tempo di penuria. L’at-tacco per il tempo di abbondanza»

S. Tzu, 500 a.C. circa.

Abitualmente facciamo una rapida associa-zione fra le parole “pace e costruzione” e “guerra e distruzione”, concetto che possia-mo estendere a quasi tutti i campi, eccetto quello della produzione di armamenti. Se c’è un conflitto bellico, si suppone, non si costruiscono architetture. Ma non è così, la realtà è più articolata. I conflitti armati hanno sempre avuto necessità di opere che si erigono sia in tempo di pace che in tem-po di guerra. Tutte le guerre del XX secolo hanno prodotto vari tipi di artefatti specifici per le loro necessità, come ben evidenzia-to dalla mostra Architettura in uniforme1, curata nel 2011 da J.L. Cohen: dagli alloggi per gli operai impegnati nella produzione bellica, alle fabbriche di armamenti, alla sperimentazione della prefabbricazione leggera, ai forti per la difesa delle città e dei territori circostanti. Questi ultimi sorgono come macchine statiche in posizione di di-fesa, giacché l’architettura non si muove, è

ancorata al suolo. Esiste però una relazio-ne biunivoca tra le architetture militari e le capacità offensive degli eserciti dotati di apparati mobili a grande velocità per terra, per mare e per aria.Dalle trincee della I Guerra Mondiale alla pianificazione dell’Atlantic Wall della II Guerra Mondiale, ha luogo una continua evoluzione e adattamento delle difese che si costruiscono per rispondere alle più so-fisticate tattiche di invasione, ai sempre più elaborati armamenti e alla loro capacità di movimento2. Macchine statiche – architet-tura – e dinamiche – ingegneria – sono in continua interazione. Ed è in questo pro-cesso di “arte della guerra” che si inqua-dra il complesso sistema di difese che si costruisce in Sardegna durante la II Guerra Mondiale, andando a costituire, per la di-stribuzione strutturata dei vari elementi sul territorio e nei litorali in particolare, quello che abbiamo denominato «il Muro Medi-terraneo3», del quale sono ancora visibili molti elementi integri e molti ruderi e del quale abbiamo alcune notizie cartografiche. È ovvio che quello che succede in Sardegna non può essere considerato, da nessun punto di vista, un caso isolato, ma anzi ben

SUMMARY | THE MEDITERRANEAN WALL AND MODERN ARCHITECTURE. A SARDINIAN CASE STUDYDuring the Second World War, a defensive system was built on the coast of Sardinia, as a protection against an attack and an Allied landing; its recovery and valorization can help consolidate a memory of the twentieth century. This work is the study of these architectures in order to protect the memory against the erosion of time. These military defenses raise several questions: are they actual architectures or industrial products? Are they modern architectures? They are positioned between two worlds: one that designs lightweight and resilient architectures, and the other one that builds compact, hard and everlasting constructions. These are the reinforced concrete ruins of our modern history that we can find camouflaged in the topography: both temples and tombs.

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470 PERCEZIONI| Scenari, prospettive, itinerari

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471Il Muro Mediterraneo e l’Architettura Moderna: il caso della Sardegna | Andrés MARTINEZ MEDINA, Paolo SANJUST

connesso ad una storia di più lunga durata sia per quanto riguarda questioni politiche generali, sia per quelle disciplinari relative al mondo industriale ed all’architettura4.In questo contesto è interessante indagare le relazioni tra la forma architettonica come risposta alla capacità distruttiva delle muni-zioni, individuando i vincoli che materializ-zano i volumi di questi artefatti. Del resto è sempre stato così: l’architettura, dalla sua prima missione di protezione (recinto, val-lo, muro) ha definito, storicamente, i suoi contorni col proposito di opporre la massi-ma resistenza al potere offensivo del nemi-co. Tra la forma architettonica – la risposta – e la capacità balistica – la domanda – si è sempre stabilita una relazione, anche in forma grafica, che ha portato a risultati ef-ficaci. Non sono oggetto del presente lavoro né il perché della guerra né gli aspetti estetici (negativi o positivi) che si possono cogliere nel vasto patrimonio abbandonato ancora integro o in rovina. Ci interessano le cer-tezze che derivano dalla ricerca quando è in grado di svelare le logiche che l’urgen-za degli eventi ha impedito di conservare. Tutto questo con il fine di registrare e do-cumentare i sistemi difensivi, per costruire una memoria delle guerre che il tempo non ha ancora diluito.Una nuova sensibilità che testimoni i disa-stri della Grande Guerra Civile è l’idea con-divisa che i monumenti non dovrebbero essere solo i gesti eroici – individuali – e le gesta epiche – collettive. Un senso di colpa accompagna l’umanità dato che, così spes-so, i governi e le istituzioni chiedono scusa ai cittadini del mondo. Tra il Vietnam Vete-rans Memorial di Maya Lin a Washington (1982), il Parque de la Memoria di Buenos Aires (2001) e l’Holocaust Memorial di Ei-senmann a Berlino (2004) si è consolidata una nuova coscienza che riflette il senso di colpa per quello che è successo, prima nelle nuove opere commemorative, poi nei

luoghi che sono stati teatro di conflitti o di massacri. I resti architettonici del passato atroce diventano reliquie per conservare in perpetuo il ricordo dei fatti che non de-vono cadere nell’oblio. In questo cambio di paradigma e per quello che riguarda la monumentalizzazione delle architetture delle guerre come testimoni muti di atro-cità e paure, si deve segnalare il lavoro del filosofo Paul Virilio che, dal 1958, contribuì a valorizzare i resti dei bunker della II Guer-ra Mondiale sparsi per il territorio europeo, trasformando in archeologia quello che fu architettura5.Al di là delle motivazioni militari le archi-tetture delle guerre contemporanee pre-sentano motivi plastici ed espressivi che le portano a convertirsi in memoriali; così come molte altre opere obsolete prodotte dopo la rivoluzione industriale, ampliano il concetto e lo spettro del patrimonio archi-tettonico per il loro valore storico ed antro-pologico. Grazie a questo cambio culturale entrano a far parte del patrimonio i sistemi difensivi della II Guerra che non sono stati finora sufficientemente valorizzati, anche se da qualche tempo cominciano a vedersi studi, ricerche, cataloghi che le segnalano ai fini della loro tutela6.In nessun caso si considerano queste archi-tetture abbandonate lungo la costa medi-terranea sarda come un caso isolato e deli-mitato geograficamente e temporalmente, ma vengono compresi come un episodio della escalation di tensione e violenza che ha proseguito per tutto il XX secolo.

Il lavoro sul campo: ricerca di materiali e riflessioni teoricheIl presente lavoro vuole contribuire alla co-noscenza e alla conservazione del sistema delle difese costiere della II Guerra Mondia-le allo stesso modo con cui ci si confronta con le architetture militari anteriori al XX secolo. Esiste forse, oltre all’età, qualche differenza sostanziale tra il sistema di torri

Nella pagina precedenteFig. 1. Opere di fortificazione e strade militari del settore di Arborea, s.d. ma post 1945 (Archivio documentale del XIV Reparto Infrastrutture Esercito Italiano, Cagliari aut. del 3.11.2015).

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di vedetta del XVI secolo – peraltro sparse per tutto il mediterraneo – e le linee di di-fesa del XX secolo, entrambe reti di vigilan-za ed informazione di sicurezza? Il nostro ambito di investigazione riguarda le archi-tetture per la difesa militare delle coste meridionali (figg. 2, 6) ed occidentali (fig. 1) della Sardegna, parte del più vasto sistema difensivo regionale, ideato per difendere l’Isola dagli eventuali sbarchi nemici e dagli attacchi aerei; un altro tassello di quello che abbiamo denominato Muro Mediterraneo che, a differenza dell’Atlantic Wall e della Linea Maginot, è una costruzione ideale che riunisce, in tempo di pace, linee difen-

sive realizzate da diversi Stati che si affac-ciano sul Mediterraneo, nemici durante la II Guerra Mondiale. Il complesso di rovine at-tuali è costituito da una rete di costruzioni che comprendeva bunker, depositi, trincee, casematte, batterie ed altri tipi di edifici sparsi sul territorio come pezzi isolati, ma che rispondono ad una concezione di rete i cui nodi occupano posizioni rilevanti della topografia secondo leggi tattiche di control-lo dello spazio bellico. Se la macchina è stato il paradigma forma-le e funzionale dell’architettura moderna, ci si deve chiedere se queste architetture della guerra, strategicamente sparse lun-

Nella pagina precedenteFig. 2 Opere di fortificazione e strade militari del settore di Cagliari - Selargius - Elmas, s.d. ma post 1945 (Archivio documentale del XIV Reparto Infrastrutture Esercito Italiano, Cagliari aut. del 3.11.2015).In questa paginaFigg. 3-4-5. Tipi di opere di fortificazioni esistenti in Sardegna: Postazione per M o Fm; Postazione per M; Osservatorio - resistenza a PC s.d. ma post 1945 (Archivio documentale del XIV Reparto Infrastrutture Esercito Italiano, Cagliari aut. del 3.11.2015).

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Fig. 6. Opere di fortificazione e strade militari del settore di spiaggia di Quartu, S. Isidoro, Sinnai, s.d., ma post 1945 (Archivio documentale del XIV Reparto Infrastrutture Esercito Italiano, Cagliari aut. del 3.11.2015).

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go le rive del Mar Mediterraneo, siano o meno moderne. Esiste qualche relazione tra l’architettura del Movimento Moderno, risultato della interazione di diverse avan-guardie architettoniche, e le difese militari situate all’avanguardia delle posizioni terri-toriali? Questi elementi, in linea di principio così lontani dall’architettura moderna, se non altro per la loro apparenza di eternità e nessun collegamento teorico, sono stati indicati come “icone della modernità” per la vicinanza delle loro forme all’immagina-rio delle avanguardie e per il materiale con cui sono state costruite: il cemento armato. Una comparazione delle loro caratteristiche basilari di forma e spazio, funzione e tempo, e materiale, può precisare le relazioni tra queste architetture militari e quelle del Mo-vimento Moderno, più della apparenza delle immagini.

Geografie della guerra: la campionatura degli elementiLe aree individuate lungo le coste meridio-nali ed occidentali della Sardegna, nelle quali indagare le difese del Muro Mediterraneo (bunker e batterie), sono state scelte tra quel-le che, a partire dal 1940, ed in maniera più sistematica dal dicembre del 1941, sono state oggetto di costruzione di fortificazioni perma-nenti. Nella costa meridionale sono stati con-siderati i sistemi difensivi realizzati nel territo-rio della città di Cagliari – e dei limitrofi paesi di Selargius ed Elmas – e della città di Quartu – e dei limitrofi S.Isidoro e Sinnai; nella costa occidentale si è considerato il territorio della bonifica di Arborea. Il punto di partenza è la cartografia di rilievo delle “opere di fortifica-zione e strade militari” predisposta nel dopo-guerra, che individua: postazioni protette dal piccolo e medio calibro, batterie, casermette, sbarramenti anticarro ed osservatori.Nell’area cagliaritana si possono individuare tre linee di difesa: la prima localizzata lungo il litorale (figg. 2, 7), che interessa anche i moli portuali; la seconda che difende da oriente l’area produttiva delle Saline di Molentar-

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gius (figg. 2, 8); la terza che difende la città da nord, con un arco che si appoggia a tutte le emergenze topografiche, anche minime (fig. 2). In totale si contano poco più di cen-to elementi, in grandissima parte postazioni protette dal piccolo e medio calibro, attrezza-te, o comunque predisposte, per fucili mitra-gliatori, mitragliatrici o cannoni; le 7 batterie allo scoperto sono localizzate in postazioni strategiche a difesa di depositi di carburante o magazzini.Nell’area di Quartu si individua il completa-mento della linea di difesa del litorale, in con-tinuità con quella cagliaritana, ma soprattutto l’arco difensivo più interno attestato sull’al-lineamento delle prime colline. Anche qui si conta circa un centinaio di elementi, in gran-dissima parte postazioni protette dal piccolo e medio calibro, 3 batterie allo scoperto, 3 os-servatori sulle colline ed un solo sbarramento anticarro.In entrambi i casi le difese sono composte da capisaldi di tre o quattro elementi – negli archi difensivi dell’entroterra – e da elementi isolati - lungo il litorale.Nell’area di Arborea l’arco difensivo, di poco meno di cento elementi, è composto da una prima linea di pezzi isolati disposti sulla spiag-gia (figg. 1, 11) e da una seconda linea arretra-ta composta da gruppi di tre o quattro pezzi, ognuno a guardia di una delle numerose stra-de di penetrazione che strutturano la grande area bonificata negli anni venti e trenta del Novecento, di circa ventimila ettari.I bunker realizzati (figg. 4-6) sono basati ge-neralmente su tipologie piccole, veloci da co-struire ed a basso costo, predispostie per la protezione dal piccolo calibro o dalle scheg-ge; sono a pianta circolare, interrata fino alla quota delle feritoie, di solito in numero di sei, con annesso un piccolo spazio, completamen-te interrato, che funge da ingresso e deposito delle munizioni. Forme differenti, e variabili, hanno le postazioni per cannoni, generalmen-te in gran parte interrate e dotate di una o due feritoie.

Le tecniche di mascheramento, a basso costo e facilmente realizzabili con manodopera ge-nerica, prevedevano il rivestimento delle par-ti visibili con pietrame rinvenuto in loco; caso singolare quello del bunker posto sul colle di Sant’Elia a Cagliari, rivestito con pietre di spo-glio della vicina torre difensiva cinquecente-sca (figg. 9, 12).

Muro mediterraneo versus Movimento Moderno«La guerra è bella perché crea nuove archi-tetture, come quelle dei carri armati, quelle delle squadriglie formate geometricamen-te, e quelle delle spirali di fumo dei villaggi

bruciati e molte altre». F.T. Marinetti, 1910.

Il presente lavoro presenta due parti chiara-mente distinte. La prima si riferisce alla rac-

Nella pagina precedenteFig. 7. Cagliari - Quartu Sant’Elena (CA), bunker sulla spiaggia del Poetto (foto A. Martinez Medina).Fig. 8. Cagliari, bunker della linea di difesa delle saline di Molentargius(foto A. Pirinu).Fig. 9. Quartu Sant’Elena (CA), bunker a Is Mortorius (foto A. Martinez Medina).In questa pagina Fig. 10. Quartu Sant’Elena, vista dal Bunker di Is Mortorius (foto A. Martinez Medina).Fig. 11. Arborea (OR), bunker sulla spiaggia (foto A. Martinez Medina).

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colta di dati sul campo e negli archivi: il ter-ritorio battuto e le architetture individuate, di cui si è accennato e che si riproducono in alcuni disegni significativi. La seconda si occupa dell’analisi e dello studio di questi elementi attraverso la comparazione rispet-to ai principi dell’architettura moderna svi-luppata tra le due guerre mondiali. Per cercare di restringere il campo di anali-si si mettono in relazione le architetture del Muro Mediterraneo con le coetanee del Mo-vimento Moderno attraverso i concetti base di spazio, programma, materia e luogo.

Spazio compartimentatoÈ negli aspetti formali e spaziali che si tro-vano le maggiori differenze tra l’architettu-ra militare e quella del Movimento Moder-no. La principale caratteristica dello spazio moderno è la sua isotropia: la carenza di direzionalità e la liberazione dai vincoli del-la muratura che avvolge e sostiene, cui si arriva grazie all’impiego dei nuovi sistemi costruttivi ed alle strutture intelaiate; tutto questo si traduce in un aspetto esteriore leggero, apparenza che non hanno cer-

to le nostre architetture militari. I bunker trasmettono invece l’immagine di fortini massicci e quasi inespugnabili, evidenziata dalla loro opacità che si estende per il 90% della sua superficie. Che le feritoie siano orizzontali, si estendano sul fronte e si tro-vino all’altezza degli occhi, ha più a che fare con un obiettivo tattico, includere la mas-sima visione con la minima apertura (fig. 10) che con un’idea di appropriazione del paesaggio per portarlo dentro l’architettu-ra. La loro forma non è aperta, ma chiusa e compatta.Un’altra questione è la distribuzione inter-na. Mentre lo spazio moderno propone la sua versatilità, i bunker presentano spazi limitati e rigidi, definiti da murature struttu-rali che aumentano la resistenza all’impat-to delle armi. L’interno si difende dalla ag-gressione grazie alla compartimentazione; non c’è differenza tra elementi portanti e elementi di divisione, ma i muri frantuma-no lo spazio in minuscoli ambienti (figg. 3, 4, 5). La ricorrente mancanza di ornamenti che caratterizza entrambe le architetture (moderna e militare) ha poco a che fare, nel

Fig. 12. Cagliari, colle di Sant’Elia,

bunker mimetizzato (foto A. Pirinu).

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caso delle difese, con alcuna convinzione estetica, ma fa parte di una lunga tradizione dell’architettura militare che è priva di qual-siasi aggiunta che non contribuisca alla sua finalità bellica. Efficacia ed economia della forma sono precetti che hanno sempre gui-dato le architetture utilitarie e soprattut-to quelle militari. Di fatto, poco moderne sono, per principio, le caratteristiche for-mali e spaziali di queste architetture, al di là della coincidenza di alcuni loro profili con gli schizzi visionari futuristi o con alcune co-struzioni espressioniste.

Programma e precisione industrialeLa relazione tra gli aspetti della “funzione” e del “tempo” è dove si trovano più somi-glianze tra le posizioni dell’architettura mo-derna e queste architetture militari. Per il Movimento Moderno la funzione determi-na la forma: è il programma funzionale che raggruppa le parti nel modo più efficace possibile. E le finalità di queste difese era-no fissate a priori, e non erano né casuali né generiche e, sebbene oggi le vediamo disabitate e senza attrezzature, furono di-segnate con precisione per un tipo preciso di armamento. Più che architetture, sem-brano oggetti millimetricamente dettaglia-ti: prototipi progettati per il montaggio in officina per poi trasferirli sui siti. L’impo-stazione generale che attuano tutte queste difese è che le loro feritoie sono dirette ver-so il campo da cui ci si aspetta l’arrivo del nemico, mentre sono chiuse sul retro, che è considerato sicuro; i muri grossi, le aper-ture strette, i tetti spessi e le solide basi di-cono chiaramente le loro finalità. I piccoli spazi interni dei bunker corrispondono alla misura esatta delle armi con le quali sono stati attrezzati (per la rotazione, la gestione, per le munizioni) e i notevoli spessori sono in grado di assorbire i vari tipi di impatti e di esplosioni; è probabile che fossero di-segnati a partire dal calcolo dell’effetto dei proiettili e dei diagrammi di resistenza del calcestruzzo armato. È difficile trovare, nel-

la storia dell’architettura, una migliore rela-zione tra sollecitazione e risposta, perché le costruzioni militari sono sempre state fun-zionali ed estremamente efficienti.Nel caso delle difese del Muro Mediterra-neo della Sardegna si rileva una geometria elementare ed una scarsa ambizione nel-le dimensioni, rispetto a quelle europee, generalmente più elaborate e sofisticate. La spiegazione può essere legata sia all’ur-genza con la quale sono state realizzate sia alla politica autarchica del regime fascista che imponeva grosse limitazioni nell’uso di materiali come il ferro. Si è compreso, studiando la geometria dei bunker, che essi corrispondono alle istruzioni dei manuali militari, e che sono pensati per una pro-duzione in serie sebbene si realizzassero in situ. Mai la funzione condizionò tanto la forma, come quando salvaguardare la vita dei loro occupanti era garanzia di controllo del territorio.

Materiali e tecnicheLa difesa non sarebbe stata altrettanto effi-cace se non si fosse utilizzato il calcestruz-zo (in massa e armato), un materiale che si modella ed è facile da porre in opera, che permette di ottenere i dettagli previsti dai disegni dei cataloghi. La resistenza è la ra-gion d’essere di questi oggetti che si sfor-zano di resistere alla prova del tempo le cui tracce segnano la loro pelle corazzata. I bunker sono rovine ostinate che oggi non hanno più una destinazione. Il cemento armato è la materia che dà corpo a forme opache e a volumi densi. Un materiale che nasce alla fine del XIX secolo e che i protago-nisti del Movimento Moderno propongono come materia ideale per perseguire le loro idee di una «architettura nuova» al servizio de «l’uomo nuovo» per un «nuovo ordine sociale». È l’apparenza litica del cemento armato che genera l’immaginario del «mo-nolito moderno» di Virilio, sebbene non sia probabile che gli architetti del Movimento Moderno pensassero alla lunga durata del

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calcestruzzo come ad un fine. Piuttosto l’uso del calcestruzzo era previsto per strutture in-telaiate, più facilmente demolibili una volta che l’edificio avesse compiuto il suo ciclo di vita, quando la sua funzione fosse divenuta obsoleta e l’edificio non servisse più adegua-tamente alla sua funzione iniziale. Ma nel nostro caso il calcestruzzo offre la massa per rendere immortali le costruzioni, situazione che differisce da quella prevista dagli assio-mi dell’ideologia della moderna architettura. Ovviamente, come molti altri oggetti d’uso come le cremagliere, gli occhiali da sole, le lattine, gli apriscatole e, di recente, i viso-ri notturni, che sono entrati nell’uso civile dopo la loro sperimentazione in un conflitto armato, le due guerre mondiali sono state la prova del calcestruzzo come materiale tecni-co per la ricostruzione postbellica. E la sua validità risulterà universale.

Metamorfosi topograficaTuttavia la lunga vita di queste architetture, che le ha fatte resistere fino ad oggi, non è una caratteristica che è nelle loro origini. La loro genesi è più semplice e immediata: elementi corazzati e blindati per garantire la loro funzione militare come difese, che si ottiene più efficacemente con il calcestruz-zo, per la sua monoliticità; la loro lunga vita è un effetto collaterale. Le architetture di-menticate della Grande Guerra Civile euro-pea hanno trasceso la barriera del tempo pianificato per il loro uso, grazie al materia-le con cui sono state eseguite, che ha rispo-sto con precisione ai principi funzionali: la compattezza per la resistenza.Ora, svuotate di soldati, sono in una situa-zione paradossale: ma non desideriamo cancellarle dal territorio o dalla memoria comune, non vogliamo che siano dimenti-cate. Inoltre, esse non sono estranee ai luo-ghi, anzi spesso si identificano con essi.Non può essere trascurata la loro capacità di mimetizzarsi. Questa singolarità viene rilevata in tutti i bunker piazzati in siti par-

ticolari, dato che, in parte, sono scavati nel sito (così da diventare incorporati e indi-struttibili) e si fondono con esso. I muri in calcestruzzo sono talvolta nascosti sotto le rocce e i detriti per simulare una nuova orografia e passare inosservati allo sguar-do offensivo. Il calcestruzzo si trasforma in protesi dell’ambiente fisico. Questa tat-tica militare di mimesis camaleontica, o camouflage, permette l’accoppiamento di design industriale alla forma architettoni-ca perfezionando la loro funzione difensiva a costo di doverli adattare alla topografia. È sul sito, con la realizzazione concreta di questi manufatti, che l’ingegneria si transu-stanzia in architettura integrata nel terreno stesso, adattando la propria pelle e fonden-dosi con essa in una strategica metamorfosi topografica.

Monumento moderno alla memoria delle guerreAl di là della seduzione romantica che pro-voca l’incontro con una di queste architet-ture, integrate in luoghi di grande attra-zione paesaggistica per il loro ambiente spesso scarsamente antropizzato, come antiche rovine archeologiche di una civiltà perduta o materializzazioni fisiche di imma-gini iconiche delle avanguardie architettoni-che, il vero significato che, un tempo, pre-starono queste difese è di servire in guerre fratricide. Sono architetture moderne, non per la loro immagine epidermica, ma per-ché abbracciano dalla loro genesi i principi moderni: essere il risultato di un processo nel quale si forniscono risposte formali ad esigenze funzionali, efficaci anche dal pun-to di vista tecnico ed economico. Sono il risultato di un processo simile a quello del disegno industriale, salvo che si progettano come macchine capaci di adattarsi a luoghi concreti e specifici; la forma poi, è il risulta-to dello studio, oggettivo e calibrato, della funzione. È architettura moderna perché si adatta ai diversi contesti e non è asetti-ca come i prodotti industriali con i quali è

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481Il Muro Mediterraneo e l’Architettura Moderna: il caso della Sardegna | Andrés MARTINEZ MEDINA, Paolo SANJUST

imparentata; e nonostante abbia una dura-ta indefinita, grazie al calcestruzzo con cui è costruita, in contraddizione con ciò che alcuni ipotizzavano per l’architettura mo-derna, che dovesse durare quanto la sua funzione. In questa situazione può essere utile parafrasare E. Panosky che ha sottoli-neato che non c’è un solo Rinascimento, ma diversi, e ripensare i limiti dell’architettura del Movimento Moderno per convenire sul fatto che ci sono molte architetture moder-ne, alcune delle quali contraddittorie. O for-se dobbiamo ammettere che l’architettura militare è sempre stata moderna perché è sempre stata all’avanguardia, simmetrica-mente al fatto che l’architettura moderna è sempre stata questione militante. Archi-tetture, quindi, di frontiera geografica e mi-litare, e di frontiera tra la vita e la morte: stanno sparse sul territorio e, in parte inter-rate, restituite alla terra; specie di tombe e monumenti assurdi, nella loro abbando-nata e rovinosa presenza. E in architettura, secondo Loos, solo le tombe e i monumenti possono essere considerati arte; ed averle svuotate dall’uso – del programma neces-sario che le dotava di senso per poter es-sere architetture – e averle abbandonate

alla loro sorte, ha consegnato al territorio dell’arte l’antica ingegneria, trasformata in architettura dalla geografia.La tutela e la conservazione di questo pa-esaggio culturale, fisico e metafisico, da-rebbe conto della nostra nuova sensibilità che è consapevole dei fatti terribili prodotti dall’umanità e che non dovremmo dimen-ticare perpetuandone la memoria nei resti architettonici. Forse la conservazione non deve limitarsi alla fossilizzazione e muse-alizzazione delle rovine, ma questo vasto monumento può essere valorizzato, nei suoi elementi e nella sua rete, attraverso interventi che mettano in primo piano i loro valori culturali e permettano una nuova let-tura di queste difese della Grande Guerra Civile europea, se queste architetture han-no ancora qualcosa da dire. Dipende da noi imparare dai nostri errori e, come ricordava Gandhi, dovremmo chiederci quanti altri uomini devono morire perché ci rendiamo conto che le guerre non hanno senso e le architetture che l’hanno resa possibile sono la risorsa del patrimonio da cui apprendere e trasmettere un’eredità per perpetuare la memoria dei tragici eventi di cui è capace l’umanità.

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482 PERCEZIONI| Scenari, prospettive, itinerari

Andrés Martínez-Medina, architetto (1985) e Dottore di ricerca in Architettura (1994) presso il Politecnico di Valencia (Spagna). Assegnista di ricerca del Ministero dell’Istruzione. Professore in Composizione Architettonica all’Università di Alicante (2001) e Visiting Professor a Palermo, Firenze, Siviglia, Valencia e Milano. È coautore dei libri 1999: Guida dell’Architettura nella Provincia di Alicante; 2002: Architettura del Sole; 2008: Disegni e Architettura di Miguel López (1932-1968) e di articoli sul patrimonio dell’architettura del Novecento (ViA-arquitectura, EGA, En Blanco, Arquitectura Viva). Ha partecipato a diversi Convegni ed è stato un membro del comitato scientifico di alcuni Convegni Internazionali (2010: APEGA; 2013: V-IA+U).

Paolo Sanjust, architetto, ricercatore in Architettura Tecnica presso l’Università di Cagliari (2002). Responsabile Scientifico della ricerca Modi e tecniche per la conservazione ed il recupero dell’architettura del XX secolo in Sardegna e degli Archivi di Architettura della Sardegna (2015). Membro del Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in Tecnologie per la Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università di Cagliari e relatore di diverse tesi (2009-12). Ha partecipato alle ricerche PRIN 2004-2006–2008 relative alla storia della costruzione moderna. Autore di saggi ed articoli, ha partecipato a diversi Convegni sui temi della Construction history, del Recupero dell’architettura e della Museografia.

NOTE

1. La mostra è stata concepita e realizzata nel 2011 dal Canadian Centre for Architecture di Montreal, poi adattata dalla Cité de l’Architecture et du patrimoine, Parigi e dal MAXXI, Roma: J.L. COHEN (a cura di), Architecture en uniforme. Projeter et construire pour la Seconde Guerre Mondiale / Architecture in uniform. Designing and building for the Second World War, CCA (Montréal) / Hazan (Paris) 2011.

2. G. POSTIGLIONE, The Atlantic Wall: bunker and/as modern architecture, in AA.VV., ¿Renovarse o morir?, Barcelona 2008; R. ROLF, Atlantic Wall Typologys, London 1988; C. SIMONNET, Le béton éclatant. Esplendor y ruinas, in AA.VV., ¿Renovarse o morir?, Barcelona 2012.

3. La definizione è stata coniata per il testo: A. MARTINEZ-MEDINA, P. SANJUST, Muro Mediterráneo versus movimiento moderno - Mediterranean Wall versus modern architecture, in “I2 - Innovación e Investigación en

Arquitectura y Territorio. Revista Científica” (2013); vedi anche R. ARACIL, J. VILLARROYA, El País Valencià sota les bombes (1936-1939), València 2010; L. MARTÍNEZ MIRA, Alicante, 1936-39. Tiempos de guerra, Alicante 2005; A. MARTÍNEZ MEDINA, En defensa de las arquitecturas de la Guerra, Alicante 1997.

4. D. GRIONI, G. CARRO, Fortini di Sardegna, 1940-1943. Storia di un patrimonio da salvaguardare, Cagliari, 2013; M. Boglione, L’Italia murata - Bunker, linee fortificate e sistemi difensivi dagli anni Trenta al secondo dopoguerra, Torino, 2012; R. ROLF, A Dictionary on Modern Fortification - An illustrated lexicon on European Fortification in the period 1800-1945, Londra 2004.

5. P. VIRILIO, Búnker Archeólogie, Centre George Pompidou, Paris 1975.

6. F. CHOAY, Allegoría del patrimonio, Roma 1996.