ISTITUTO COMPRENSIVO CAPACCIO PAESTUM (Sa) - LAVORO … · 2018-06-11 · Paestum i quali, a causa...

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LAVORO REALIZZATO DAGLI ALUNNI DELLE CLASSI IV E V

DEL II CIRCOLO DIDATTICO DI CAPACCIO

Curato da: • il Dirigente scolastico: dr.ssa ENRICA PAOLINO • la Responsabile del progetto “Laboratorio Beni

Culturali”: insegnante BIANCA DI RUOCCO.

In collaborazione con: • i docenti dei plessi scolastici del II Circolo Didattico

di Capaccio • le esperte esterne:

dr.ssa FRANCESCA LIOTTI dr.ssa SERENA FALCETANO

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Progetto “Laboratorio dei Beni Culturali”

Capaccio - II Circolo Didattico

“IL NOSTRO TERRITORIO” CAPACCIO - PAESTUM

Progetto “Laboratorio dei Beni Culturali”

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Indice

Prefazione ......................................................................... 5 Introduzione ..................................................................... 8 CENNI STORICI SU CAPACCIO ................................10 VISITA GUIDATA A CAPACCIO CAPOLUOGO .......13 IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL GRANATO22 CAPODIFIUME ...............................................................25 AREA ARCHEOLOGICA DI PAESTUM .......................27

Breve storia di Paestum .............................................27 Visita guidata a Paestum ............................................29

IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI PAESTUM .........................................................................32 LA BASILICA PALEOCRISTIANA .............................35 VILLA SALATI: LE BUFALARE ...................................38 IL MUSEO NARRANTE DI HERA ARGIVA ALLA FOCE DEL SELE ..............................................................41

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Prefazione

Nell’esplicitazione della sua opera educativa, la nostra Istituzione Scolastica, già da diversi anni, con organicità e sistematicità, ha focalizzato la propria attenzione conoscitiva sull’ambiente territoriale eleggendolo “luogo privilegiato” in cui innestare tutta una rete di percorsi didattici ed educativi finalizzati ad arricchire e qualificare la propria offerta formativa.

Il territorio si configura, allora, come dimensione in cui riappropriarsi dell’identità culturale e come “luogo” con il quale, per comprenderlo pienamente, bisogna promuovere l’incontro, bisogna “fare amicizia” in un continuo percorso esplorativo. Una riflessione più approfondita sulla necessità che la scuola si apra al reale ed entri in sinergia col territorio, ha permesso di mettere a punto un modo diverso di affrontare l’ambiente come laboratorio esterno alla scuola, momento di educazione e valorizzazione della propria storia. Attraverso le attività proposte nel Laboratorio Beni Culturali, gli alunni hanno scoperto il gusto del “narrare l’ambiente”, per leggerlo, osservarlo, esplorarlo, raccontarlo con tutta la sua primitiva genuinità e in quella intrinseca vitalità che gelosamente conserva e che silenziosamente tramanda di generazione in generazione.

La ricerca d’ambiente è stata quindi finalizzata a conoscere e scoprire le radici storiche ed il patrimonio culturale ed archeologico dove i fanciulli vivono, giocano, studiano, apprendono.

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Il territorio ha rappresentato, pertanto, per loro, un “testo” da leggere nella convinzione, maturata in questi anni di esperienza, che la sua esplorazione e conoscenza possa aprire alla comprensione di “territori più lontani” e fornire concretezza agli apprendimenti.

Sul piano più squisitamente metodologico, il progetto ha innovato il tradizionale modo di considerare l’ambiente: non un contenitore statico per l’osservazione monodisciplinare di fenomeni di varia matrice, ma un laboratorio aperto di esplorazione e di ricerca pluridisciplinare. Il territorio è diventato così contenuto didattico altamente significativo da cui poter attingere materia prima necessaria alla formazione ed alla evoluzione dei processi stessi d’apprendimento: esso è stato un prezioso “archivio storico-naturale”, in cui i linguaggi disciplinari si sono ricomposti in discorsi organici. In quest’ottica l’ambiente circostante, concepito come “luogo diffuso di scuola parallela”, cosi generoso di storia, natura e cultura, si è offerto alla ricerca e alla rivisitazione dei nostri alunni. Il solco progettuale-operativo, in cui essi hanno ricostruito la “sintassi storica” della loro realtà territoriale, è stato tracciato dai docenti attenti, autentici mediatori culturali, e da esperti del settore che, con paziente lavoro di ricerca e di approfondimento di gruppo, esercitazioni pratiche, visite guidate, lezioni frontali, ricerche sul campo, hanno saputo creare un ambiente scuola più motivante, guidando gli alunni in modalità rielaborative multidisciplinari fino all’esplicazione conoscitiva di importanti nuclei tematici che hanno preso forma e consistenza in questa piccola

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“guida storico-ambientale”, semplice pubblicazione, sì, ma frutto di un lavoro di collaborazione entusiasmante.

Viva gratitudine esprimo per questo ai docenti per il diligente lavoro svolto con gli alunni, alle esperte Dott.sse LIOTTI Francesca e FALCETANO Serena per la competenza specifica di settore offerta alla nostra scuola, alla docente referente, Ins. DI RUOCCO Bianca, per l’opera di coordinamento compiuto e il contributo di esperienza prestato in questo campo, in cui da tempo è impegnata con passione e tenacia.

Quello che ci eravamo proposti è stato realizzato: poter offrire agli stessi alunni, anche nei prossimi anni scolastici, uno spaccato della nostra realtà territoriale, attraverso il loro originale e autentico disegno di una sorta di geografia della identità locale, con le sue peculiarità, le tante diversità, le sue pulsioni, le testimonianze di un grande e glorioso passato, i segni di un’operosità ancora intatta, i tesori dell’archeologia, il senso complessivo della laboriosità e della creatività umana.

Questo contributo degli alunni vuole essere quindi, e diventare col tempo, una sorta di atlante delle bellezze ambientali, culturali e storiche che possediamo, una testimonianza di questo nostro tempo, intriso di passato, con l’augurio che chi lo sfoglierà domani possa scoprire come le “piccole storie” dei luoghi, del territorio, delle comunità, intrecciandosi e fondendosi tra loro, portino costruire la “STORIA” che troviamo sui libri.

IL DIRIGENTE SCOLASTICO Dott.ssa Enrica Paolino

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Introduzione Gli alunni delle classi quarte e quinte, guidati dalle

loro insegnanti nelle attività del “Laboratorio Beni Culturali”, hanno realizzato il presente opuscolo informativo sulle principali evidenze storico-archeologiche presenti sul territorio di Capaccio–Paestum, da sempre meta di turismo internazionale.

L’obiettivo del lavoro è stato quello di favorire un’attenta ed originale riscoperta dei monumenti e delle strutture antiche, che i bambini hanno osservato nello svolgimento del percorso formativo proposto.

Osservare un monumento con gli occhi di un bambino significa restituirgli la stessa vitalità e freschezza che caratterizza il loro modo di essere.

Lo dimostra il lavoro prodotto che, pur facendo tesoro dei contenuti storico-informativi forniti dalle esperte esterne o del materiale documentario consultato con le insegnanti, esprime spontaneità ed immediatezza.

Ciò è vero soprattutto per i disegni, con i quali gli alunni hanno provato a visualizzare i momenti cruciali della storia di Capaccio o una scena di vita familiare di qualche secolo fa, vissuta all’interno di una “bufalara”.

La lettura di tale lavoro, quindi, non potrà soddisfare le aspettative di chi voglia conoscere a fondo la storia della località o del sito archeologico visitati e studiati dagli alunni.

Potrà, invece, far emergere alcuni aspetti legati a tale storia, ricostruita anche in veste grafica dai bambini.

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Sono stati proprio gli alunni a produrre i testi e ad illustrare le bellezze storico – archeologiche di Paestum, bellezze di valore inestimabile, da considerare quali elementi di coesione, per rafforzare il legame di appartenenza alla realtà in cui viviamo.

DOCENTE RESPONSABILE DEL “LABORATORIO BENI CULTURALI”

Bianca Di Ruocco

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CENNI STORICI SU CAPACCIO

Capaccio è un paese collinare, che sorge nella valle formata dai monti Soprano e Sottano. È importante distinguere Capaccio Vecchia da Capaccio Capoluogo detto anche Capaccio Nuova.

Caput Aquae o Caput Aquarum indicava probabilmente il nome della città da cui partiva l’acquedotto che, in epoca romana, portava l’acqua a Paestum. Capaccio Vecchia sorgeva sulla parte settentrionale del monte Calpazio e la sua importanza fu determinante per gli abitanti di Paestum i quali, a causa delle paludi e della malaria furono costretti a rifugiarvisi, abbandonando la pianura malsana.

In seguito, nel IX secolo, le incursioni dei Saraceni (Arabi di religione musulmana provenienti dall’Africa e dalla Sicilia) contribuirono allo spopolamento della Piana del Sele (fig. 1).

Fig. 1. I cittadini di Paestum si trasferirono sul monte Calpazio per difendersi dai Saraceni e per sfuggire alla malaria..

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Perciò gli abitanti di Paestum si rifugiarono in questa cittadina, Capaccio Vecchia, che col tempo si trasformò in Castellum dove il vescovo di Paestum si trasferì con la sua diocesi.

Capaccio fu dominata dai Longobardi (640 - 1075) dai Normanni con la famiglia Sanseverino (1075 - 1190) e seguirono poi gli Svevi (1190 - 1266) con Federico II. La cittadina di Capaccio Vecchia ebbe vita tranquilla fino al 1248, anno in cui i feudatari del Cilento, temendo che Federico II potesse privarli dei loro antichi privilegi, ordirono una congiura contro l’imperatore, che voleva gestire il territorio in modo diverso dal loro.

I capi della congiura, i Sanseverino di Rocca Cilento, si rifugiarono nel Castello di Capaccio Vecchia, ma Federico II riuscì a conquistare dopo tre mesi la cittadina. Si narra che ogni soldato catturato venne rinchiuso in un sacco con un cane e una vipera e buttato giù dal colle (fig. 2).

Fig. 2. Federico II assediò il castello di Capaccio Vecchia in cui si erano rifugiati i feudatari del Cilento.

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Da allora, Capaccio Vecchia non riuscì più a riprendersi e la popolazione si trasferì a “Li Casali San Pietro”, un borgo situato a est di Capaccio Vecchia, dove venne trasferita la Curia episcopale, che vi rimase fino al 1851.

Il trasferimento della popolazione determinò anche il nome del villaggio che li ospitava: Li Casali divenne Capaccio Nuova. I ruderi del vecchio Castello e delle fortificazioni si possono ancora scorgere sull’estremo limite ovest del Calpazio. Poco più a valle l’unica testimonianza della vecchia città è la cattedrale della Madonna del Granato (XII sec.) (fig. 3). Classi V A e V B di Capaccio Scalo

Fig. 3. Dopo la conquista di Capaccio Vecchia da parte di Federico II, gli abitanti si trasferirono a “Li Casali San Pietro” cui diedero il nome Capaccio, l’abitato da cui venne fuori Capaccio Nuova..

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VISITA GUIDATA A CAPACCIO CAPOLUOGO

Noi alunni della V B ci siamo recati a Capaccio Capoluogo per visitare il centro storico.

Dal pulmino, prima di arrivare a Capaccio Capoluogo, siamo riusciti ad osservare lo splendido panorama della pianura del Sele, mentre salivamo su per la collina.

Arrivati a Capaccio Capoluogo, abbiamo potuto osservare sulla nostra destra i giardini pubblici (fig. 1) costruiti agli inizi del ‘900 con platani e lecci ormai quasi secolari e la statua di Costabile Carducci, eroe risorgimentale della nostra terra. I giardini rappresentano un importante centro di aggregazione per i capaccesi che possono incontrarsi lì per manifestazioni culturali e feste di piazza, soprattutto in estate.

Fig. 1 I giardinetti pubblici.

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Dai giardini si può ammirare anche la piana di Paestum,

la costiera amalfitana e a volte anche Capri. Proseguendo oltre i giardini, abbiamo potuto osservare

il Palazzo Tanza, di cui abbiamo visto la facciata del ‘400, con gli stucchi che risalgono al ‘600 (fig. 2).

Il portale è del 1700 e riporta uno stemma che, raffigurando due stelle e dei cordoni a tre nodi sormontati da un cappello vescovile, ci fa risalire al proprietario del palazzo che era un abate, l’abate Tanza appunto.

La signora Rubini, che ci ha fatto visitare il palazzo, ci ha consentito di osservare con attenzione gli affreschi floreali tendenti a dare luce e colore alla casa.

I mobili presenti nel palazzo sono del ‘700: peccato che molti di essi siano stati rubati.

Questo rimane comunque uno dei palazzi più antichi di Capaccio, risalente al XV secolo.

Fig. 2 Facciata laterale di Palazzo Tanza.

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Giunti a piazza Orologio,

abbiamo osservato con attenzione il campanile della chiesa, crollata nella seconda metà dell’800. Questa era collegata al Palazzo vescovile (oggi sede della scuola primaria di Capaccio) da un bel giardino.

Il campanile che crollò nel 1902, venne ricostruito ed inaugurato nel 1905, ma ora è solo un ex-campanile, o meglio la cosiddetta Torre civica che campeggia in piazza (fig. 3). Da piazza Orologio,

osserviamo un arco o meglio quello che doveva essere l’Arco Zappulli, che

purtroppo oggi è completamente privo di decorazioni (fig. 4).

Fig. 4 Trasformazione nel tempo dell’arco Zappulli.

Fig. 3

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Attraversando l’arco, ci ritroviamo in una piazzetta ricca di bellezze architettoniche in parte cancellate dal cemento, che copre la storia racchiusa in ogni reperto.

Lungo via S. Agostino si trova il portone d’ingresso con uno stupendo portale, decorato con scene di caccia, della casa dove nacque Costabile Carducci.

I capaccesi sono orgogliosi di lui, che fu uno dei capi dei moti del 1848 del Cilento, moti che indussero il re a concedere la costituzione.

Per questo, Capaccio gli ha dedicato una strada, un monumento nei giardini pubblici e una lapide posta a lato del portale della sua casa natale (fig. 5).

Fig. 5

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Fig. 6 Fig. 7

Sempre in via S. Agostino, troviamo la chiesa di San Pietro Apostolo (fig. 6) la cui facciata è di stile barocco, con un bel portale del XVIII secolo; su di esso viene riportato lo stemma, che sottolineava l’importanza di Capaccio (fig. 7).

L’interno si compone di due navate: la principale riservata ai nobili del paese e una laterale, nella quale stavano le persone più umili e di ceto meno elevato.

L’altare barocco, molto ricco e sfarzoso, è decorato

con marmi di tipo diverso: marmo verde del Guatemala, marmo rosso di Verona e onice di Carrara. A sinistra c’è un bassorilievo di San Pietro. Accanto all’uscita è sepolto il vescovo Agostino Odoardi, vissuto nel 1700 il quale restaurò il palazzo vescovile. Chiusa dopo il terremoto del 1980, la chiesa è stata riaperta nel 1983.

Dopo la visita alla chiesa, che è stata piuttosto breve per mancanza di tempo, siamo andati a visitare uno dei palazzi più belli di Capaccio, cioè Palazzo Rubini, ancora abitato, tanto che la signora Rubini ci ha fatto da

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Fig. 8

“Cicerone” insieme ad un suo amico, nipote del proprietario di Palazzo Vecchio, che però non abbiamo potuto visitare.

Entrando in casa, ci è sembrato per un attimo di rivivere nel passato; infatti dalla cucina arrivava un buon profumino che ci ha condotti davanti ad un antico camino coperto di fuliggine, in cui guizzava un allegro fuocherello (fig. 8).

C’era poi una cristalliera con stoviglie antiche bellissime, usate ancora abitualmente (fig. 9). Salendo, abbiamo visto una ricca libreria ed uno studio appartenente a Vincenzo Rubini, uomo di cultura ed amante delle

arti. Continuando, abbiamo

visitato un soggiorno tappezzato di parati dipinti prima di essere attaccati alle pareti. Uno di noi, bravo in disegno, ha

Fig. 9

Fig. 10

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cercato di riprodurre una parete (fig. 10). Ha poi attratto la nostra attenzione un tavolino

circolare sotto al quale c’è un grande disco di legno, contenente un braciere, usato ancora per riscaldarsi (fig.

11).

Abbiamo poi visitato una stanza da letto con letti riccamente decorati in cui si sentiva il profumo di ricordi di famiglia (fig. 12). E per finire abbiamo visitato una sala con le pareti raffiguranti scene di guerra, probabilmente combattuta da guerrieri saraceni.

Subito dopo la visita a Palazzo Rubini, ci siamo recati al Convento di

Sant’Antonio o dei frati minori (fig. 13). Fu costruito nel 1500 dai frati del convento che vi

abitarono fino al 1652, quando venne chiuso per disposizioni di un papa che ordinò la chiusura di tutti i conventi con un numero di monaci inferiore a dodici.

Col terremoto del 1652, fu ridotto in macerie e fu ricostruito nel 1770.

Fig. 11

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Fig. 13

Successivamente, venne affidato ai frati francescani dal 1723.

Essi riuscivano ad aiutare le persone bisognose anche grazie alla generosità della popolazione capaccese, che

donava ai frati tutto ciò con cui potevano sfamare i poveri del paese.

Tutto l’edificio gira intorno al chiostro delimitato dai pilastri di pietra locale, su cui si appoggiano degli archi che definiscono un ampio spazio (fig. 14).

Le pareti sono affrescate con episodi della vita di Sant’Antonio e San Francesco, eseguiti da un pittore locale del ‘700, Giuseppe Rubini. E sono proprio affreschi del Rubini a decorare il coro settecentesco presente in chiesa.

Fig. 12

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Fig. 14

Sulle pareti di fondo del transetto, si scorgono le nicchie delle statue dell’Immacolata e di San Francesco. In fondo, sono collocati gli altari dedicati a Sant’Anna, San Giuseppe, San Rocco e Sant’Antonio.

E a questo punto si conclude la nostra visita a Capaccio

Capoluogo: sarebbe stato bello continuare ad osservare le bellezze di questo paese, spesso nascoste dalla celebrità dei templi di Paestum, ma il pulmino ci aspetta e, se facciamo altro ritardo, rischiamo di rimanere là.

Classi V A e V B di Capaccio Scalo

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IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL GRANATO

Il 22 Aprile siamo andati alla Madonna del Granato.

Siamo partiti da scuola verso le 9,30 e siamo arrivati circa alle 10,00. Una volta arrivati, Padre Domenico ci ha fatto entrare nella chiesa e ci ha detto che nel piazzale antistante la chiesa è sepolta una Basilica Paleocristiana.

Poi il Padre ha raccontato la storia del Santuario. Il monte Calpazio, sul quale sorge il Santuario della Madonna del Granato, presenta tracce di civiltà antichissime.

Quando la città di Paestum fu distrutta dai Saraceni nell’877 d.C., i suoi abitanti si rifugiarono sul monte Calpazio e fondarono Capaccio Vecchia (dal latino Caput Aquae). Nel IX secolo Capaccio diventò la dimora del Vescovo. La chiesa della Madonna del Granato fu costruita tra il 915 e il 930, con tre navate corrispondenti a tre

absidi (fig.

1).

Fig. 1 La Cattedrale della Madonna del Granato.

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Nel 954 fu ritrovato il corpo di San Matteo e il Vescovo lo portò nella sua Cattedrale a Capaccio. Le reliquie ora sono conservate nel Duomo di Salerno. La Madonna del Granato e la statua di Hera Argiva hanno una forte somiglianza perché tutte e due mostrano la melagrana, simbolo di fertilità (fig. 2). Il 18 Aprile 1248, Capaccio Vecchia fu incendiata da Federico II, che era entrato in conflitto con il Papa, accanto al quale si era schierata Capaccio. Dall’incendio si salvarono solo il Castello e il Santuario. Questo venne considerato un miracolo dalla gente, tanto che la chiesa, da allora, divenne un simbolo. La popolazione si spostò nei pressi del villaggio di San Pietro e fondò Capaccio Nuova. Il Papa Sisto V elevò la chiesa a Cattedrale e San Vito fu proclamato protettore di Capaccio, ma tutti continuavano a venerare la Madonna del Granato. Dietro l’altare si trova la tomba di Monsignor Barone, che era il Vescovo di Capaccio e costruì le due strade di accesso al Santuario.

Fig. 2 La venerazione della Madonna del

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Nel 1815 Capaccio cessò di essere sede episcopale e Monsignor Giampaolo decise di mettere come custode alla chiesa un eremita. Nel 1912 la statua della Madonna del Granato fu incoronata dal Vescovo. Il 29 Aprile iniziò il triduo in preparazione della celebrazione. Durante queste tre giornate le messe vennero celebrate ininterrottamente. Sul monte Calpazio si recarono la scuola civica di Salerno e la schola cantorum di Pontecagnano. Nel pomeriggio giunsero le due corone d’oro donate dalla signora Maria dei Baroni Bellelli e da suo figlio Pasqualino Pinto. Ogni sera, dopo le messe, si tenevano concerti, films ed altro.

Ancora oggi il due Maggio si celebra una piccola processione nella piazza antistante il Santuario. Il 15 Agosto la festa è più importante. C’è un’altra processione con a capo la Madonna del Granato portata da sei fedeli; dietro di questi ci sono delle donne che portano sul capo le cente, ceri con basi a forma di barca o di cerchio. Si raggiunge Tempa San Paolo, si celebra la messa e alla luce di una fiaccolata si torna sul monte Calpazio.

Classi IV e V di Ponte Barizzo

Fig. 3 Similitudine tra la statua della Madonna del Granato e quella di Hera.

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CAPODIFIUME

10 maggio 2006 Siamo pronti a raggiungere

Capodifiume, ansiosi di conoscere le origini di questo luogo speciale, ricco di storia. Due pullmini sono pronti a trasportarci (fig. 1).

Ad attenderci c’è Francesca, una simpatica e bella ragazza che, immediatamente comincia a spiegare…

…Nel IX secolo a.C., alcuni pastori si accamparono presso

una sorgente che, in fretta, si allargava e dava origine ad un fiume ricco di acque cristalline.

Ben presto le acque risultarono così benefiche da crederle miracolose, soprattutto per le donne che stavano per sposarsi e propiziarsi la possibilità di avere figli. Fu costruito un tempio in onore di Persefone, dea della fertilità (fig. 2).

Fig. 1 I nostri pulmini.

Fig. 2 Il tempietto.

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Qui, uomini e donne si raccoglievano a pregare e le donne si bagnavano nelle acque ritenute miracolose.

Il tempo dei pastori è passato e del tempio rimane una sola traccia di robusta colonna (fig. 3).

Intorno alle acque del fiume sono stati creati ampi spazi verdi. Ne approfittiamo per giocare a rincorrerci e siamo felici.

Mentre noi parliamo e giochiamo, nelle limpide acque del fiume si muovono tranquille papere e paperotti, alla ricerca del quotidiano cibo.

Classi IV e V di Licinella

Fig. 3 La colonna del tempietto.

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AREA ARCHEOLOGICA DI PAESTUM

Breve storia di Paestum L’insieme delle città fondate dai Greci sulle coste

dell’Italia meridionale costituiscono la Magna Grecia, cioè la grande Grecia, chiamata così poiché in tali città si sviluppò una civiltà così importante da emulare quella della Grecia.

Poseidonia, fondata verso il 600 a.C. da un gruppo di famiglie greche provenienti da Sibari fu, senza dubbio, una delle città più belle ed importanti della Magna Grecia. Infatti, i resti della città, i tre templi che si innalzavano maestosi, costruiti con la pietra locale e le opere d’arte esposte nel Museo Archeologico Nazionale, le danno un fascino che la rende famosa in tutto il mondo (fig. 1).

Nel 540 a.C. fu costruita la cosiddetta Basilica; verso il 500 a.C. il tempio di Cerere ed infine, nel 450 a.C. il tempio di Poseidone o di Nettuno.

I Lucani, popolazione italica dell’Italia Meridionale, l’hanno occupata nel 410 a.C., imitando molte delle tradizioni greche, fra cui il rito funebre. Anche i Lucani, come i Greci, erano soliti onorare la memoria dei loro morti affrescando le pareti interne delle tombe.

Nell’anno 273 a.C., i Romani riuscirono a mandare via i Lucani da Poseidonia che da quel momento assunse il nome latino di Paestum e fecero un’alleanza politica e militare con la città.

Purtroppo, verso la fine dell’impero romano iniziò la decadenza della città, lenta e graduale.

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Tra i motivi che provocarono il declino di una città magnifica come Paestum, possiamo parlare della malaria, che si sviluppò a causa delle paludi nella zona e delle incursioni dei Saraceni.

Fig. 1 Area archeologica di Paestum.

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Visita guidata a Paestum

Noi di IV C proveremo a descrivere le cose che ci hanno colpito di più dell’antica città di Paestum, chiamata inizialmente Poseidonia. Questa città era difesa da mura poderose, ancora oggi ben conservate, con quattro porte ai punti cardinali. Grazie alla felice posizione geografica aperta alle vie di traffico, ai corsi d’acqua e alla fertilità del suolo, raggiunse in poco tempo un elevato livello di ricchezza e di vitalità artistico – culturale che culminò nella costruzione di tre splendidi templi dorici, preziose eredità storico – archeologiche di tutta la civiltà greca.

l tempio di Poseidone o Nettuno è senza dubbio il più spettacolare esempio di architettura religiosa greca (fig. 2). Ha sei colonne sui lati corti e quattordici sui lunghi. La cella è divisa in tre navate da due file di colonne ed è quasi interamente conservato. Molti ritengono che questo monumento possa essere paragonato al Partenone che si trova in Grecia, poiché possiede la stessa eleganza e la stessa armoniosa solennità. Fig. 2

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Questo, come tutti i templi greci, rappresenta il centro spirituale della città, il simbolo dell’amore verso gli dei, che in tal modo proteggevano la collettività.

In onore degli dei venivano sacrificati agnelli, vitelli e montoni. Ciò serviva per sperare di ottenere una grazia da ricevere, oppure onorare gli dei della loro benevolenza e generosità.

I Romani arricchirono la città di grandi edifici, tra cui il portico del Foro, le Terme, il Tempio della Pace e l’Anfiteatro che ha colpito in modo particolare la nostra immaginazione. L’Anfiteatro di Paestum era l’edificio pubblico all’interno del quale si svolgevano gli spettacoli dei gladiatori. La cavea, cioè la gradinata per gli spettatori, riusciva a contenere circa duemila persone. Il tunnel permetteva il passaggio delle bestie. Abbiamo provato ad immaginare come potesse essere nella realtà uno spettacolo di brutale violenza come quello che si verificava nell’anfiteatro (fig. 3). Certamente non ci sarebbe piaciuto essere là quando si svolgevano quegli spettacoli di morte.

Fig. 3 L’Anfiteatro.

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Un altro reperto che abbiamo visto con piacere è stato il sacello ipogeico. È una costruzione rettangolare del VI secolo a.C. che ricorda la struttura di una tomba a camera coperta con grandi tegole rettangolari (fig. 4). Esso potrebbe essere un tempietto sotterraneo o ipogeo dedicato a divinità della fecondità e della fertilità, forse ad una Ninfa (le ninfe erano divinità secondarie che animavano la natura). Più probabilmente potrebbe essere una tomba simbolica (cenotafio = tomba vuota) consacrata ad Is, fondatore di Sibari e costruita dai sibariti fondatori di Poseidonia.All’interno del sacello sono stati trovati otto vasi in bronzo che contenevano del miele, ritrovato in un eccellente stato di conservazione al momento della scoperta avvenuta nel 1954. I vasi, infatti, erano sigillati con cera.

Classe IV C di Capaccio Scalo

Fig. 4 Il Sacello Ipogeico.

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IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI PAESTUM

Noi della V C della scuola primaria di Capaccio Scalo

abbiamo visitato il Museo di Paestum, che custodisce i reperti e gli oggetti di inestimabile valore venuti alla luce in seguito agli scavi archeologici nel territorio di Poseidonia – Paestum.

Costruito agli inizi degli anni cinquanta, il Museo venne inaugurato nel 1952. Fu voluto soprattutto da Paola Zancani Montuoro e Umberto Zanotti Bianco, che insieme scoprirono l’Heraion alla foce del Sele, per esporvi le preziose metope. Di queste, ben diciotto sono dedicate alle imprese di Eracle. A noi è piaciuta in particolare la metopa che racconta il mito di Sisifo che, per decisione di Giove, venne costretto a spingere un masso sulla cima di un monte. A fatica conclusa, il masso rotola a valle e sempre così accade, per l’eternità (fig. 1).

Fig. 1 Il mito di Sisifo.

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Siamo poi rimasti affascinati dalla Tomba del

Tuffatore, o meglio dalla lastra di copertura di tale tomba. È chiamata così perché rappresenta l’immagine di un giovane che da una specie di trampolino si tuffa in acqua. Il tuffo non ha un valore reale, nel senso che non si riferisce ad un giovane sportivo, ma ha un valore simbolico, poiché sta ad indicare la fine della vita sulla terra e l’inizio della vita dell’anima che va oltre la morte (fig. 2). Rappresenta quindi il viaggio che l’anima compie nel momento in cui si stacca dal corpo. Gli affreschi della tomba, dipinta anche sulle quattro pareti interne, costituiscono l’unico esempio di pittura greca giunta fino a noi.

Le scene delle altre lastre raffigurano un simposio, cioè un banchetto, che rappresentava un momento della vita sociale greca, dove le discussioni venivano accompagnate con cibo e vino.

Fig. 2 Raffigurazione della lastra di copertura della Tomba del Tuffatore.

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L’uso delle tombe dipinte si afferma a Paestum in modo assai diffuso nel IV sec. a.C., durante il dominio lucano. A quest’epoca risale la ricchissima raccolta di pitture funerarie del museo. Sono lastre affrescate: le più antiche sono decorate solo nella parte centrale con fasce, corone, bende o rami; in seguito si afferma l’uso di vere e proprie scene figurate per le tombe maschili (prevalentemente guerrieri a cavallo con elmo e corazza) e di elementi decorativi per quelle femminili.

Oltre ai reperti, che ci ricordano quanto fosse importante il culto dei morti a Paestum, nel museo possiamo ammirare tantissimi altri oggetti, vasi ed elementi decorativi, come quelli presenti sul busto femminile in terracotta, ornato con svastiche (fig. 3), segni tristemente noti che oggi ti fanno pensare al nazismo di Hitler. In realtà, anticamente le svastiche erano un simbolo più volte adottato nella storia da genti diverse in differenti epoche. Avevano un significato religioso o semplicemente decorativo. Esse sono state ritrovate anche in una tomba etrusca o su iscrizioni buddiste.

Infine, abbiamo ammirato gli stupendi vasi, come quello della nascita di Afrodite curato nei minimi particolari e i vasi contenenti miele purissimo, definito il “nettare degli dei”.

Fig. 3 Busto femminile in terracotta.

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Classe V C di Capaccio Scalo

LA BASILICA PALEOCRISTIANA La Basilica Paleocristiana è un monumento che si trova

a est dei maestosi templi di Paestum e presso il nord del Museo. Al suo interno si venera la S.S. Annunziata (fig. 1).

Il due maggio 2006 noi di IV e V del plesso di Laura ci siamo recati a Paestum per visitarla e conoscere meglio la sua storia. La guida ci ha detto che gli abitanti di Paestum, intorno al 344 d.C, sono stati i primi, nell’Italia Meridionale, ad avvicinarsi alla fede cristiana (grazie anche all’arrivo di San Vito alla foce del Sele).

All’inizio i cristiani si riunivano nel tempio di Cerere per pregare. La Basilica fu costruita intorno al V secolo e restaurata ad opera dei vescovi tra il XVI e il XVIII secolo.

Nel V – VI secolo la colonia divenne anche sede vescovile, ma con le invasioni barbariche e saracene la piana del Sele fu abbandonata a sé stessa, diventando selvaggia e paludosa e la popolazione cercò rifugio sulle

colline del Calpazio.

Fig. 1 Navata centrale della chiesa

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Anche la sede vescovile fu trasferita e la Basilica

diventò stalla e rifugio dei predoni. La guida ci ha spiegato che all’inizio la Basilica fu costruita come Basilica aperta e dopo circa un secolo trasformata in “B” chiusa, con una sola navata preceduta da un quadriportico.

Nel XII secolo fu ampliata e l’interno venne diviso in tre navate con tre absidi e con due file di colonne di “spoglio” (cioè colonne recuperate altrove).

Nella navata centrale, sopra all’altare, una finestra illumina tutta la chiesa: la luce è il simbolo di Dio (fig. 2).

Fig. 2 L’altare della Basilica Paleocristiana.

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Nel 1700 accanto alla Basilica fu costruito un elegante “palatiolum” (dove abitava il vescovo) e anche un campanile a vela dotato di due campane.

Oggi possiamo ancora ammirare le campane: infatti una si trova presso l’ingresso della Basilica e l’altra è montata sulla cappella vicino la Basilica.

La Basilica ebbe bisogno di molti restauri nel corso dei secoli: nel 1504 intervenne il vescovo Podocataro, che sollevò il livello originario della pavimentazione della chiesa di 1,10 m; nel 1729 il vescovo Odoardi la modificò, rialzando il pavimento di 1,80 m ed in questo periodo furono realizzati dei pilastri, fu rifatta la facciata e fu innalzato un portale ed il campanile; un altro intervento di restauro fu realizzato dal vescovo Bonito nel 1862.

La guida ci ha fatto notare che gli ultimi restauri risalgono al 1968 (Realizzati dalla Soprintendenza ai Monumenti di Napoli) e che grazie ad essi sono venute alla luce molte delle antiche strutture della Basilica, come ad esempio l’antica pavimentazione; infatti, per entrare nella Basilica bisogna scendere una scala.

Ancora oggi la Basilica è un centro religioso di grande importanza che richiama migliaia di fedeli da ogni parte del mondo, i quali scelgono di celebrare all’interno dell’edificio religioso i vari sacramenti, come i matrimoni, i battesimi e le prime comunioni (fig. 3). Classe IV e V di Laura Fig. 3 L’altare centrale.

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VILLA SALATI: LE BUFALARE Di solito si va a Paestum per ammirare la bellezza e

l’importanza dei magnifici templi, testimonianza di civiltà passate…

…Ma non bisogna dimenticare un’altra peculiarità della zona, che potremmo definire “reperti di architettura minore”: le Bufalare, abitazioni rustiche degli allevatori di bufale del ‘700 e ‘800.

Nel territorio di Capaccio ce ne sono diverse: quella in località Gromola, che è una delle più antiche, e quelle più belle ed integre di Villa Salati, proprio di fronte ai templi di Paestum, dichiarate Monumento Nazionale (fig. 1).

Fig. 1 Villa Salati.

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Accanto alla Villa padronale del piccolo borgo rurale del ‘700, possiamo vedere le case coloniche, la chiesetta e due bufalare.

Le bufalare non hanno un piano superiore ma poggiano direttamente sul terreno. L’originalità della struttura consiste nel focolare centrale fiancheggiato da quattro pilastri che reggono, insieme con i muri perimetrali, il tetto.

Al centro troviamo un camino che sporge col comignolo sulla sommità del tetto a padiglione.

All’interno si disponevano, attorno al focolare, i giacigli dove nelle lunghe serate d’inverno veniva cucinato e consumato collettivamente il pancotto, o si attendeva alla produzione casearia sotto l’occhio esperto di un mastro casaro (fig. 2).

Fig. 2 Il mastro casaro e la sua famiglia.

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Questa particolare costruzione ha sulle pareti una

serie di cuccette in muratura, divise da pareti sottili: tutte uguali destinate ai bufalari (“ualani”), tranne quello in angolo per il capofamiglia e per le donne.

I “ualani” erano fortunati in quanto in molti casi la dimora degli addetti alle bufale era fatta di canne palustri, di forma tonda o quadrangolare, detta “pagliara”.

Le bufalare sono gli esempi più caratteristici di architettura locale; gli edifici, cioè, dove i guardiani di bufale producevano i formaggi, vivevano e dormivano (fig. 3).

Classi IV A e IV B di Capaccio Scalo

Fig. 3 Le Bufalare e le Pagliare.

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IL MUSEO NARRANTE DI HERA ARGIVA ALLA FOCE DEL SELE

Poco distante da casa nostra, a circa due chilometri

dalla foce del Sele, quasi contemporaneamente alla nascita dell’antica città di Poseidonia, fu costruito il santuario che i Greci dedicarono ad Hera, moglie-sorella di Zeus (fig. 1).

La masseria Procurali ospita il Museo Narrante di Hera Argiva, detto così perché attraverso filmati e ricostruzioni tridimensionali, racconta ciò che avveniva in questo luogo nell’antichità.

Siamo stati accompagnati dalle nostre maestre e, giunti sul posto, abbiamo incontrato un’archeologa che ci ha guidati durante la visita al Museo.

Prima abbiamo visto un video sul fiume Sele, su com’era e su come poi si è trasformato.

Fig. 1 Hera protettrice: • della navigazione e

dei buoni approdi • del mondo animale • dei neonati • della terra che

dona i suoi frutti • del matrimonio e

della fertilità delle coppie.

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Poi abbiamo visto un altro filmato sugli archeologi che

iniziarono le ricerche del tempio di Hera (fig. 2). La scoperta di questo santuario si deve a Paola Zancani

Montuoro e ad Umberto Zanotti Bianco, due dei più prestigiosi archeologi italiani.

Gli studiosi condussero questa ricerca durante il periodo fascista; fu un’impresa molto ardua perché la zona era paludosa e malarica, ma essi riuscirono ad individuare i resti di quello che fu uno dei santuari più celebri che i Greci di Poseidonia avevano consacrato al culto di Hera.

Il luogo di culto appare strutturato intorno al Tempio Maggiore a cui si accedeva mediante una gradinata; davanti al tempio c’erano due altari monumentali e tutt’intorno, all’interno dell’area sacra, altri edifici laici per l’accoglienza dei fedeli, strutture secondarie e fosse per la custodia degli ex voto.

Fig. 2 Tempio di Hera.

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Dopo aver visto questo filmato siamo andati in una sala a vedere alcuni resti archeologici che sono venuti alla luce durante gli scavi, come vasi, statuette di terracotta e busti femminili. Nella penultima stanza che abbiamo visitato c’erano delle bellissime metope (fig. 3), ossia dei blocchi di pietra scolpiti o lisci, che si alternavano ai triglifi ed insieme costituivano il fregio del tempio.

Su di esse sono scolpiti miti e leggende riconducibili alle imprese di Ercole, alla guerra di Troia, alle peripezie di Ulisse.

Fig. 3 Le metope.

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Fig. 4 Le filatrici del peplo.

Infine siamo saliti al piano superiore del museo e in un salone abbiamo potuto ammirare alcune riproduzioni di antichi telai verticali che le donne usavano per tessere le vesti della statua della dea (fig. 4).

In un angolo poi abbiamo visto una magnifica riproduzione di una statua di Hera in marmo.

Hera è una delle divinità greche più amate e adorate dai Greci; è moglie e sorella di Zeus, divide con lui la signoria del mondo ed è regina degli dei.

Hera, essendo la sposa di Zeus, era considerata la protettrice delle spose e delle nascite ed è per questo che viene rappresentata anche con un bimbo tra le braccia.

Essa era adorata come protettrice della giovinezza e della crescita sia dell’uomo che del mondo animale e vegetale. La dea sovrintendeva quindi alla fertilità umana e naturale; era protettrice delle greggi e dei raccolti.

La dea veniva di solito raffigurata in trono, con un copricapo, il polos, sul capo, un piatto per le offerte in una mano (patera) ed il frutto del melograno nell’altra.

Classi IV e V di Gromola