ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 6 · PDF fileCarlo MOISO Michele NOVELLINO Gaetano...
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R O M A — F E B B R A I O 2 0 1 3
ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 6
SPECIALE IAT NEWS
S O M M A R I O Lettera del Presidente IAT
Comitato di redazione IAT NEWS e WEB
Managing editor
Orlando GRANATI
Cesare FREGOLA
Editing
Lidia CALO’ Web Master
Patrizia VINELLA
Cari soci,
Questo numero monografico è dedicato interamente alla presentazione delle giornate IAT di Cortona.
C’è una novità importante che riguarda le IAT news. A partire dal prossimo numero diventerà una rivista che
sarà diretta da Cesare Fregola. Si concluderà così l’ultima tappa di un percorso evolutivo del nostro strumento
di comunicazione.
Vorrei cogliere quest’occasione per esprimere un ringraziamento particolare a Patrizia Vinella che in tutti questi
anni ha fatto in modo di mantenere vivi gli scambi e i contatti con i soci attraverso una attività costante e il
proprio investimento personale di tempo e lavoro. Senza di lei, probabilmente, molta della memoria storica
professionale dell’IAT sarebbe andata persa.
Attualmente il CD sta lavorando per raccogliere quanto è stato presentato nelle giornate IAT nel corso degli
ultimi anni in modo da poter rendere fruibile a tutti i soci un patrimonio di riflessioni e lavori che meritano di
essere condivisi. A questo proposito chiedo a tutti voi di collaborare a questa impresa che fa capo a Patrizia
Vinella con Cesare Fregola e Cristina Innocenti, che si stanno occupando di raccogliere sia le presentazioni di
Siracusa che quelle delle altre giornate degli ultimi anni. Stiamo anche costituendo un comitato di redazione.
Chiedo quindi a chi è disponibile a offrire la propria candidatura di mettersi in contatto Cesare Fregola.
Visto che questo è l’ultimo numero che esce in questo formato, voglio ringraziare Lidia Calò per il suo contributo
all’evoluzione e al miglioramento delle IAT news di questi ultimi anni. Un ringraziamento anche a Marilla Biasci
che si è occupata con pazienza di correggere le bozze di questo numero.
Infine un’altra notizia: abbiamo deciso di tenere le prossime giornate IAT dal titolo “Dissonanze armoniche e
collettività che curano” in Puglia a fine giugno. La data prevista da segnare in calendario è per i giorni 31 mag-
gio, 1 e 2 giugno 2013. Un augurio di un ottimo 2013 a tutti, pieno di realizzazioni personali/professionali per
ognuno di noi e per l’associazione.
Eva Sylvie Rossi
www.istitutoanalisitransazionale.it - LETTERA DEL PRESIDENTE pag 1
- INTERVENTO DI APERTURA pag 2
- IL CICLO DI SVILUPPO E IL CICLO DI ATTACCAMENTO pag 4
- LA NASCITA DI UN GENITORE pag 12
- BENESSERE E RELAZIONI pag 14
- EVOLUZIONE O LIQUIDAZIONE pag 16
- LA CRISI DELLA MATURITA’ E POSSIBILI EVOLUZIONI pag 18
- SALUTO A CARLA VERCELLINO pag 23
- GRUPPO BENESSERE E INTIMITA’ pag 24
- IL LIFELONG LEARNING pag 26
- LA PSICOTERAPIA COME UN VIAGGO pag 29
- PROGETTIAMO INSIEME pag 30
- NEWS DALL’AT pag 32
DIRETTIVO IAT
Presidente:
Eva Sylvie ROSSI [email protected]
Vice Presidente e Tesoriere:
Patrizia VINELLA [email protected]
Segretario: Cesare FREGOLA [email protected]
Consiglieri:
Antonio FERRARA [email protected]
Orlando GRANATI [email protected]
Cristina INNOCENTI [email protected]
Gaetano SISALLI [email protected]
Soci fondatori e Past President:
Carlo MOISO
Michele NOVELLINO
Gaetano SISALLI
ASSOCIAZIONE IAT
Via Piemonte, 117
00186 Roma
tel/fax: 06.42013471
SEGRETERIA IAT Via A. Fleming, 2
70017 Putignano Bari
tel/fax: 080.4055617
Cari soci,
Si chiude un ciclo. IAT News cresce,
diventando a tutti gli effetti una rivista.
Questo numero, interamente dedicato alle
Giornate IAT 2011, è l’ultimo nell’attuale
formato. Dal prossimo, cambierà nome,
avrà un riconoscimento formale e un inten-
to scientifico più marcato e una redazione
con una diversa composizione. Resterà lo
spirito partecipativo e la volontà di rappre-
sentare idee, di proporre stimoli e riflessio-
ni, di riportare le esperienze di soci e non
tra chi lavora nel nostro campo e con i
nostri valori. Vi invitiamo quindi a far sì che
la crescita della nostra rivista non si arre-
sti, con le vostre proposte, i vostri contribu-
ti e il vostro pensiero.
La redazione
NUMERO MONOGRAFICO “CICLI DI VITA”
I A T N E W S Pagina 2
Vorrei aprire il mio intervento sui cicli di vita
con una citazione di Ovidio da le Metamorfosi:
I cieli e tutto ciò che sotto vi si trova,
la terra e le sue creature,
tutto cambia,
e noi,
parte della creazione,
anche noi dobbiamo soffrire
il cambiamento.
Penso che come Analisti Transazionali pos-
siamo definirci “agenti di cambiamento” ricol-
legandoci a quanto indicato sul TAJ: “L’Analisi
Transazionale è una teoria completa di perso-
nalità e una psicoterapia sistematica per la
crescita personale e il cambiamento sociale”1.
E’ quindi nostra responsabilità avere uno
sguardo attento sulla realtà che ci circonda, in
tutti i suoi aspetti. La nostra epoca caratteriz-
zata dal pensiero debole, in cui l’accento posto
sull’interpretazione della realtà è stato un
aspetto centrale, richiede un passaggio, forse
attualmente già in corso, verso il cosiddetto
pensiero forte, che pone attenzione alla rileva-
zione dei dati di realtà in quanto tali, “nudi e
crudi”, indipendentemente dalle interpretazio-
ni che ognuno di noi ne può fare. Penso che
questo implichi per noi, in quanto Analisti Tran-
sazionali nei diversi campi di applicazione, la
necessità di prestare attenzione all’influenza
dei dati di tipo economico, sociale e tecnologi-
co che fanno da sfondo nelle “relazioni di
cura” e ”nelle relazioni di aiuto”.
Sappiamo per quel che ci riguarda che il nu-
mero globale, nel mondo, di persone sofferenti
di depressione è in continuo aumento, sappia-
mo che è aumentato nella congiuntura econo-
mica attuale il numero dei poveri in Europa e
negli Stati Uniti e che è aumentata notevol-
mente, nei paesi occidentalizzati, l’aspettativa
di vita (attualmente di circa 85 anni per le
donne e 83 per gli uomini); altro dato di realtà
rilevante è che il nuovo analfabetismo è, e
sarà, quello tecnologico.
Qual è l’influenza di questi fattori sui cicli di
vita? Partendo da quest’ultimo fattore, per
quelli di noi che hanno tra i 50 e i 60 anni,
significa che, tecnologicamente parlando, se
non si vuole essere fuori gioco, ci si deve alfa-
betizzare.
Abbiamo imparato da Piaget a prestare atten-
zione ai cicli di sviluppo e ai suoi stadi, quello
Senso motorio privo di oggetto, quello Preope-
rativo rivolto a sensazioni e riflessi, quello Ope-
rativo concreto rivolto alle percezioni e infine,
quello Operativo formale, incentrato sulla re-
versibilità.
Sappiamo di Kohlberg e dei suoi studi sugli
stadi di sviluppo morale, che rilevano il pas-
saggio dall’orientamento su punizione-
obbedienza, all’orientamento su principi uni-
versali il cui “oggetto” è la società istituziona-
le, attraverso i passaggi strumentale, interper-
sonale e sociale.
Conosciamo le fasi evolutive e le “crisi psicoso-
ciali” descritte da Erikson, che afferma che
l’adattamento biologico dell’uomo è una que-
stione di cicli di vita che si sviluppano
all’interno della storia della loro comunità in
cambiamento.
Qui in particolare cito gli ultimi: il sesto stadio
che è quello della giovane età adulta che ri-
guarda le possibilità di intimità contrapposta
all’isolamento - amore - , il settimo stadio che
ha a che fare con la generatività contrapposta
al ristagno, e che riguarda la cura -“care”-,
l’ottavo stadio che è quello dell’età anziana
che riguarda l’integrazione contrapposta alla
disperazione e che Erikson definisce come il
periodo della saggezza.
Come Analisti Transazionali conosciamo i cicli
evolutivi descritti da Pamela Levin,
Esistere - dalla nascita ai 6 mesi
Fare - circolare, esplorare (6/18 mesi)
Pensare - Scoprire, e scoprire anche i limiti,
potremmo dire (18 mesi/3 anni)
Identificarsi - Avere la propria opinione, cioè
essere ciò che si è, che ha a che fare con la
costruzione dell’identità (3/6 anni)
Riuscire - che riguarda il fare a modo proprio
secondo i propri principi
e poi gli ultimi due
Rigenerazione - che ha a che fare con il poter
essere del proprio sesso (13/18 anni)
Trasformazione - che riguarda “l’essere
qui” (collocarsi, situarsi), aver completato il
ciclo (20 +).
Ma qual è il significato psicologico
dell’esperienza di evoluzione attraverso i vari
cicli, si tratta solo di differenziazione e di au-
mento di autonomia? Di separatezza? E quan-
to sappiamo su come intervenire in queste
diverse tappe evolutive, come agenti di cam-
biamento?
La metafora di Berne della moneta storta nella
pila di monete, che determina una pila che
non può essere dritta finché non viene risiste-
mata la moneta storta all’interno della pila,
quindi l’intervento “riparativo”, rispetto alla
moneta che ha determinato a suo tempo la
“stortura“ successiva, in realtà non ci porta
molto lontano. Oltre che sull’aspetto ripartivo,
credo che il nostro orientamento dovrebbe
essere sull’acquisizione di competenze nuove,
all’interno di spazi ed ambienti che possano
favorirne lo sviluppo.
Le ricerche ci dicono che ci sono spazi fisici
che favoriscono nuove acquisizioni di compor-
tamenti. Kaizen verifica la “prova della teoria
delle finestre rotte” secondo la quale “in am-
bienti fisici trascurati, con segni di incuria, si
sviluppano più frequentemente comportamen-
ti antisociali “dimostrando gli effetti degli am-
bienti degradati sulle manifestazioni di razzi-
smo - in sale di aspetto disordinate e sporche
le persone si siedono lontane da persone di
etnia diversa, cosa che in una sala pulita e
ordinata non si manifesta – (“manifestazioni
inconsapevoli di razzismo”, Kaizen 2008).
Le ricerche ci dicono anche che ci sono emo-
zioni che favoriscono l’apprendimento di nuo-
ve competenze (Isen 2001, Kurosu e Kashi-
INTERVENTO DI APERTURA di Eva Sylvie ROSSI
TSTA P, O
Presidente IAT
GIORNATA DI STUDIO IAT
10 - 11 settembre 2011
“Cicli di Vita” Benessere individuale e sociale
Eva Sylvie Rossi Apertura Giornata
Maria Assunta Giusti, Maria Grazia Piergiovanni, Elena Bruni “Il ciclo di sviluppo e il ciclo evolutivo dell’attaccamento: un ponte tra teoria dell’attaccamento e AT”
Patrizia Vinella “La nascita di un genitore: riflessioni su percorsi di counselling per genitori”
Orlando Granati “Benessere e relazioni: un approccio alla promozione della salute”
Silva Niccolai “Evoluzione o liquidazione? Dal dubbio amletico infinite possibilità di esistere”
Antonio Ferrara “La crisi della maturità e possibili evoluzioni”
Gaetano Sisalli “Benessere e gruppi”
Cesare Fregola “Il lifelong learning: la relazione di apprendimento nella società della conoscenza”
Lidia Calò “Progettiamo insieme: un progetto-intervento interistituzionale rivolto agli adolescenti”
I A T N E W S Pagina 3
mura 1995, Tractinsky, Katz e Ikar 2000).
Tornando al tema di queste giornate, vorrei sot-
tolineare alcune osservazioni che ho potuto
fare, nell’arco di questi anni, sulle caratteristi-
che con cui abbiamo attualmente a che fare nel
nostro lavoro, rispetto alle ”evoluzioni della vita
adulta”: un’assenza di confini - un esempio di
questo è la mancanza di linee chiare di demar-
cazione tra tempo libero e tempo personale,
l’assenza di una distinzione netta fra vita lavora-
tiva e collocamento a riposo, un sentimento di
vulnerabilità legato alla mancanza di punti di
riferimento che genera angoscia con il risultato,
in alcuni casi, di un vissuto di onnipotenza che
si rivela fragile (es: la percezione di inadeguatez-
za in assenza del possesso di alcuni oggetti o
qualità fisiche, o la percezione di onnipotenza,
ahimè di brevissima durata, di fronte ad un suc-
cesso), la ricerca di valori significativi attraverso
approcci alternativi - omeopatia, volontariato in
Africa, sostenibilità etica e attenzione alle tema-
tiche legate all’ambiente e all’energia, la con-
nettività per l’acquisizione di nuove conoscenze,
per la verifica di possibilità, per risparmiare
(Google, Groupon, E-bay), il fenomeno del cosid-
detto “successful aging” - invecchiamento co-
me tappa di vita significativa -. Nel 2050 ci sa-
ranno quasi due miliardi di ultrasettantenni,
quindi anziani, fortemente orientati verso una
propria autoaffermazione, che si traduce con-
cretamente in una vita vissuta come
“significativa”.
Tornando al tema dell’evoluzione della vita adul-
ta, esiste uno studio americano, “il Grant
Study”, che ha seguito un gruppo di individui per
tutto l’arco della loro vita adulta, dall’età di 18
anni fino all’età di 50, verificandone le evoluzio-
ni, nel corso degli anni, attraverso interviste di
psicologi, test e vari strumenti tratti da un ap-
proccio prevalentemente psico-dinamico; dal
risultato di questo studio longitudinale emerge
che non sono i traumi che danno forma al no-
stro futuro ma la qualità di relazioni significative
con persone vissute come importanti nel corso
della propria vita. Le vite cambiano e sono ca-
ratterizzate da discontinuità. Capire la psicopa-
tologia significa, oltre che capire i meccanismi e
i processi di adattamento che non hanno funzio-
nato, essere in grado di fornire lo spazio e il tipo
di relazione sicura che permetta ai pazienti/
clienti di individuare nuove opzioni e possibilità.
In quanto Analisti Transazionali ritengo che dob-
biamo prestare grande attenzione sia allo spa-
zio relazionale, esemplificato dagli studi
sull’attaccamento e sulla separazione (Bowlby,
Mahler, Mary Main), che allo spazio fisico, cioè
la collocazione del corpo nello spazio, negli am-
bienti e nelle relazioni. Berne ha prestato atten-
zione a questo, a suo tempo, come risulta evi-
dente da diversi suoi scritti; nella mia attività
professionale ho costantemente modo di verifi-
care quanto il rilevare gli elementi legati alla
valenza psicologica degli spazi, possa migliorare
significativamente la qualità e l’efficacia degli
interventi terapeutici, educativi, organizzativi e
di counselling .
1. Questa definizione dell’AT compare su
ogni numero del TAJ a partire dall’aprile del
1976, fino al 1984, poi misteriosamente do-
po quella data scompare, vedi articolo Per-
spectives on Theories of the Unconscious in
Transactional Analysis (TAJ - Transactional
Analysis Journal – Ottobre 2008 - Vol 3, n° 4).
Bibliografia
Erik H. Erikson
Childhood and Society
W. W. Norton & Company, NYC 1950
George E. Vaillantd
Aptation to Life
Little Brown and Company
Boston/Toronto 1977
Robert Kegan
The evolving self
Harvard University press, London 1982
Pamela Levin
Becoming the way we are
1th edition – Nora Gallagher 1974
Donald E. Norman
Emotional Design
Apogeo, 2004
Alice M. Isen
An influence of positive Affect
on decision Making in complex
Situations: Theoretical Issues with
pratical Implications
Journal of consumer psychology 11 (2),
pag. 75-85, 2001
Eva Sylvie Rossi, M.T. Tosi, E. Cassoni,
G. Cavallero, C. Moiso, M. Novellino,
L. Quagliotti, P. Scilligo
Perspective on Theories of the
Unconscious in Transactional Analysis
TAJ Transactional Analysis Journal –
Ottobre 2008 - Vol 3, n° 4
Pagina 4 I A T N E W S
IL CICLO DI SVILUPPO E IL CICLO EVOLUTIVO DELL’ATTACCAMENTO: UN PONTE TRA L’AT E LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
di
Maria Grazia PIERGIOVANNI1
Elena BRUNI2
Maria Assunta GIUSTI3
Nel corso degli ultimi anni numerosi autori hanno opera-
to interessanti correlazioni tra la Teoria
dell’Attaccamento e alcuni approcci psicoterapeutici
(Ammaniti e Stern, 1992; Fonagy, 2001; Onnis, 2010;
Cena, Imbasciati e Baldoni, 2010). Gli studi hanno
riguardato, in particolare, le possibili convergenze con
la psicoanalisi, i costrutti cognitivisti e l’ambito sistemi-
co-relazionale.
L’assunto che la Teoria dell’Attaccamento possa rappre-
sentare una teoria ponte (Onnis, 2010) per le psicote-
rapie, deriva oltre che dall’originale pensiero di Bowlby
(1949; 1958; 1969) orientato a stabilire una connes-
sione tra intrapsichico ed interpersonale, dall’esigenza
espressa nei diversi campi della psicoterapia, di analiz-
zare e studiare le analogie e gli aspetti di confronto tra i
vari orientamenti.
Riteniamo che questo “ponte fecondo tra
territori diversi”, come sottolinea Onnis
nella sua recente raccolta di scritti
“Legami che creano, legami che cura-
no“, possa essere edificato anche pen-
sando all’A.T., non solo per un confronto
creativo all’interno della comunità anali-
tico transazionale, ma anche e soprattut-
to per aprire una finestra e far conosce-
re alla comunità scientifica internaziona-
le la corrispondenza tra importanti costrut-
ti A.T. e Teoria dell’Attaccamento.
In particolare, riteniamo significativo ed originale pro-
porre l’analisi di interessanti analogie riscontrabili in
recenti studi, aventi a tema l’evoluzione concettuale
dell’assunto berniano di Copione e il Modello Dinamico
Maturativo dell’Attaccamento, proposto da Patricia
Crittenden.
In specifico, i contenuti della relazione si focalizzeranno
sulle tre tematiche di seguito elencate:
Teoria dell’Attaccamento, con particolare riguardo ai più
recenti aspetti neurobiologici e al Modello Dinamico
Maturativo della Crittenden;
Correlazioni tra AT Classica e Teoria dell’Attaccamento;
Teoria dell’Attaccamento e AT Integrativa.
Relazione dott.ssa Maria Grazia Piergiovanni
Teoria dell’Attaccamento, con particolare riguardo ai più
recenti aspetti neurobiologici e al Modello Dinamico
Maturativo della Crittenden.
La Teoria dell’Attaccamento delinea una cornice teorica
particolarmente fertile rispetto allo studio delle relazioni
precoci che il bambino sviluppa nei primi anni di vita,
contribuendo a chiarire come tali relazioni influenzino la
maturazione cognitiva ed emotiva del bambino negli
anni successivi.
Ad introdurre per primo il concetto di attaccamento,
intorno agli anni ‘50, è stato Bowlby, i cui assunti vengo-
no edificati a partire da tre fondamenti concettuali:
la psicologia cognitiva, l’etologia (a sua volta fondata
sulla biologia evoluzionistica) e alcuni costrutti della
teoria psicoanalitica sui rapporti oggettuali.
L’autore ha modificato la concezione secondo la quale il
legame di attaccamento materno è basato essenzial-
mente sulla fame e sulla nutrizione (motivazione secon-
daria), distaccandosi quindi dagli assunti della psicoa-
nalisi classica e sottraendo il bambino a una relazione
con l’altro dominata solo dalla soddisfazione di bisogni
fisiologici; Bowlby ha il merito di aver costruito un ponte
tra intrapsichico e relazionale, riconoscendo all’origine
della motivazione umana un sistema innato, genetica-
mente determinato, che porta l’individuo a ricercare, fin
dalla nascita, la relazione con altri significativi.
L’attaccamento è quindi una dimensione della mente
umana che si struttura a partire dalle prime relazioni
che il neonato instaura con chi si prende cura di lui e
include emozioni, processi cognitivi e comportamenti
che potranno influenzare la vita relazionale successiva.
La madre e la relazione con lei, forniscono una base
sicura dalla quale il bambino può allontanarsi per esplo-
rare il mondo e farvi ritorno. Sulla base del concetto di
imprinting, Bowlby afferma che i bambini molto piccoli
vivono periodi sensibili durante i quali apprendono e
fissano nella loro mente le caratteristiche della figura
accudente (solitamente la madre), che diviene un punto
di riferimento per la propria sopravvivenza. Il bambino è
predisposto a sviluppare legami di attaccamento con
chi si prende cura di lui, ciò significa che acquisisce un
ruolo attivo nello strutturarsi della relazione, attraverso
comportamenti che hanno lo scopo di mantenere il
contatto con la madre ed attivano in lei una serie di
comportamenti di risposta.
Il bambino sviluppa dei Modelli Operativi Interni (MOI/
IWM) che gli permettono di rappresentarsi mentalmente
il legame di attaccamento, consentendogli di tollerare
livelli di separazione progressivamente più lunghi e
tener presente, al contempo, le intenzioni degli altri,
formando legami più equilibrati e flessibili. Tali MOI, o
rappresentazioni mentali, comprendono sia componenti
emozionali che cognitive e si costituiscono gradualmen-
te, a partire dalle esperienze vissute dal bambino con le
figure di accudimento.
Il punto di vista di Bowlby è dunque profondamente
interattivo, poiché descrive il bambino come un indivi-
duo che apprende ad essere attraverso l’interazione
con il caregiver. L’autore, partendo dai costrutti sul
comportamento di attaccamento, ha sviluppato lo stu-
dio dei comportamenti di esplorazione a partire da una
base sicura, fino a teorizzare la formazione di modelli
operativi interni.
Contributi fondamentali per le successive applicazioni
della Teoria dell’Attaccamento sono stati quelli forniti
dalla M. Ainsworth (1978), con la Strange Situation e
dalla Main (1986), con l’Adult Attachment Interview
(AAI).
La Teoria dell’Attaccamento, grazie allo studio delle
prime interazioni madre-bambino, pone in evidenza
come la qualità dell’attaccamento mostri specifiche
differenze individuali in base al tipo di esperienza che il
bambino fa con le sue figure di riferimento primarie. In
particolare, vengono analizzati gli aspetti connessi alla
disponibilità e responsività materna. La valutazione
della qualità del legame diadico è stata studiata per
mezzo di una procedura osservativa standardizzata
chiamata Strange Situation, ideata da M. Ainsworth nel
1978 e volta a rilevare i comportamenti di attaccamen-
to e di esplorazione in bambini di circa un anno d’età.
Attraverso la strutturazione di un setting organizzato
intorno a una definita sequenza di fasi, è possibile
declinare le condotte attivate dai bimbi con le loro ma-
dri in situazioni lievemente stressanti che,
nell’accezione classica dell’autrice, permettono di iden-
tificare alcuni specifici stili di attaccamento (sicuro - B,
ansioso evitante - A; ansioso ambivalente - C), ai quali si
è aggiunto, in seguito, un quarto pattern definito disor-
ganizzato-disorientato da Main e Salomon nel 1986.
L’attaccamento ai caregivers si sviluppa sulla base di
Modelli Operativi Interni, sopra definiti, che maturano
progressivamente nella mente del bambino, costituen-
do un processo di generalizzazione delle esperienze
affettive fatte in relazione alle figure primarie di attacca-
mento; essi consentono, in primo luogo, la costruzione
delle rappresentazioni del legame di attaccamento, ma
costituiscono anche una guida del comportamento
relazionale del bambino e dell’adulto poi. Il concetto di
MOI è strettamente collegato a quello di transgenera-
zionalità, che esplora le relazioni di attaccamento che i
caregivers hanno avuto, a loro volta, con i propri genito-
ri: attraverso l’uso dell’AAI, intervista semistrutturata
costruita dalla Main e collaboratori, vengono anche
indagati i ricordi specifici sull’accudimento ricevuto e la
1. Neuropsichiatra Infantile, CTA Clinico
Dirigente Medico UFSMIA USL Arezzo
2. Psicologa e psicoterapeuta, in contrat-
to CTA - C
3. Psicologa e Psicoterapeuta
TSTA Clinico
Pagina 5 I A T N E W S
descrizione delle relazioni attuali.
L’elemento interattivo diviene, dunque, struttura
portante nel corso del lavoro svolto con il bambino:
tale affermazione, sostenuta dalla maggior parte
delle teorie dello sviluppo, è attualmente avvalorata
anche da importanti ricerche effettuate nel campo
delle neuroscienze. Schore (2008), in particolare,
sostiene che la maturazione del sistema cortico-
limbico, preposto alla mediazione delle funzioni di
regolazione, fondamentali per la sopravvivenza
biologica, affettiva e sociale di ogni essere umano,
dipende dall’esperienza. Più in specifico, gli studi
illustrano che il cervello non solo è un sistema auto-
organizzato, ma che, nel corso dello sviluppo, in
particolare nei primi due anni di vita, tale auto-
organizzazione avviene nel contesto della relazione
con un altro sé, con un altro cervello; questo altro
sé, rappresentato dal caregiver primario, agisce,
attraverso la trasmissione dell’esperienza e in quali-
tà di regolatore psicobiologico esterno, sulla cresci-
ta del sistema nervoso del bambino, i cui compo-
nenti vanno rapidamente maturando nei primi anni
di vita. Bowlby riteneva la visione un elemento im-
portante per la strutturazione ed organizzazione di
un attaccamento primario alla figura materna;
l’imprinting veniva dunque a costituire il meccani-
smo di apprendimento alla base della formazione
del legame di attaccamento. Schore (2008) e Tre-
varthen (1997) hanno recentemente specificato,
attraverso i rispettivi lavori, che l’emisfero destro
del bambino, dominante per la processazione
dell’informazione visiva ed emotiva, oltre che per
l’identificazione del volto materno e per la percezio-
ne delle espressioni facciali materne che inducono
arausal, viene psicobiologicamente sintonizzato
all’output dell’emisfero destro della madre, che è
coinvolto nell’espressione e processazione
dell’informazione emotiva e nella comunicazione
non verbale. In altre parole, il lattante utilizza
l’output della corteccia destra materna, capace di
regolare le emozioni, come stampo per l’imprinting,
impianto base di circuiti nella corteccia destra del
bambino, che andrà a mediare le sue capacità
affettive in espansione. Schore descrive la dimostra-
zione neurologica del dialogo non verbale tra infan-
te e caregiver, riportando che zone corrispondenti
dell’emisfero destro della madre e del bambino si
illuminano alla PET nei momenti di interazione.
Contemporaneamente a Bowlby, Berne elaborò
negli anni 50 - a partire dagli studi di Federn, Pen-
field e Weiss e mutuando anche elementi dalle
ricerche di Spitz, Sackett e Haron - il modello teorico
fondamentale dell’Analisi Transazionale, il cui fulcro
è rappresentato dall’affermazione che esiste un
ponte tra gli aspetti strutturali, cioè intrapsichici,
della persona e quelli interpersonali, osservabili
attraverso le transazioni comunicative (Ligabue,
2001). Tale assunto, che in quegli anni poteva
essere accolto come intuitivamente vero, è ora
sostenuto - come sinteticamente riportato sopra -
anche dagli studi condotti nel campo delle neuro-
scienze: specifiche esperienze affettive di attacca-
mento, vissute nei primi anni di vita, regolanti lo
stress, sono iscritte nella corteccia orbito frontale,
centrale di comando del sistema limbico durante le
prime epoche di vita. Questa scoperta, rivoluziona-
ria per i saperi di allora, a fronte della classica teori-
a freudiana fondata sulle pulsioni intrapsichiche,
determinò un acceso dibattito e gradienti significati-
vi di resistenza all’interno della comunità scientifica
internazionale, che osteggiò e, per certi versi, svalu-
tò questi nuovi assunti, che portarono da una parte
Bowlby a definire il concetto di Modelli Operativi
Interni, e dall’altra Berne a declinare la sua teoria
del Copione.
Proporre un parallelo tra Bowlby e Berne nasce
dunque da motivazioni profonde, che attingono le
loro radici nel modo originale e creativo con cui i
due autori hanno saputo porsi di fronte al reale: per
entrambi l’osservazione ha rappresentato la chiave
di volta attraverso la quale declinare ciò che oggi, in
modo incontrovertibile, la neurobiologia conferma:
lo sviluppo non procede per processi maturativi
interni, ma tramite percorsi interpersonali, in altre
parole gli incontri intersoggettivi costruiscono le
funzioni psichiche.
Le osservazioni cliniche condussero Berne a com-
prendere che a stessa programmazione del copione
avviene nel periodo dell’allattamento sotto forma di
brevi protocolli che che possono diventare successi-
vamente drammi complessi. Il copione rappresenta,
dunque, la matrice su cui la persona forgia il proprio
piano di vita, le sue modalità relazionali, finendo per
costituire un definito programma di vita, costruito a
partire dall’esperienza con le figure primarie di
attaccamento, i caregivers, svolta nel corso delle
interazioni precoci.
Il concetto di copione, pur progressivamente am-
pliatosi grazie al contributo di nuovi autori A.T., ha in
questi fondamentali costrutti di Berne il suo signifi-
cato essenziale.
Queste analisi sono convergenti con i lavori di
Bowlby sui Modelli Operativi Intern, che l’autore
definisce come rappresentazioni interne della rela-
zione di sé con l’altro, basi per i comportamenti
relazionali futuri del bambino, che gli consentono di
fare previsioni e crearsi aspettative, a fronte di
quanto i suoi caregivers sapranno essere accessibili
e responsivi alle sue richieste; congruenze ed affini-
tà significative si evidenziano, inoltre, con uno dei
più recenti sviluppi della Teoria dell‘Attaccamento,
che andremo a descrivere di seguito: il Modello
Dinamico Maturativo della Crittenden ( 1995; 2002;
2008; 2010) (fig. 1 )
P. Crittenden, allieva di Bowlby e della Ainsworth, ha
elaborato una interessante prospettiva evolutiva,
declinata a partire dalla stesura di un Modello Dina-
mico Maturativo (DMM), dello sviluppo delle strate-
gie di attaccamento, nella quale l’assunto di matu-
razione è collocato in interazione dinamica con
quello di esperienza. L’autrice sostiene infatti che,
cambiamenti nella qualità dell’attaccamento si
possono registrare in specifici periodi dello sviluppo,
per una riorganizzazione dei processi affettivi, co-
gnitivi e quindi anche degli stili di attaccamento.
Grande rilievo assumono in questo modello la com-
petenza evolutiva o la distorsione delle informazioni
processate dal bambino, alla base della successiva
organizzazione dei percorsi evolutivi adattativi. Per
la studiosa l’attaccamento è: una relazione,
l’elaborazione delle informazioni e una strategia per
la gestione della relazione (Cena, Imbasciati e Bal-
doni, 2010). La Teoria dell’Attaccamento afferma
che le persone hanno una innata propensione ad
organizzare specifiche strategie di protezione del sé
e, successivamente alla pubertà, strategie sessuali.
Crittenden sostiene, in specifico, che le strategie
rappresentano il risultato di due fondamentali tipi di
informazione: l‘ordine temporale degli stimoli senso-
riali e la loro intensità; processati separatamente
dal sistema nervoso centrale per strutturare infor-
mazioni cognitive sulle relazioni causali e informa-
zioni affettive sulle sensazioni somatiche associate
ai contesti (Crittenden, 2008).
Come riferito nella parte iniziale dell‘intervento,
Ainsworth ha identificato tre configurazioni di attac-
camento, successivamente Main e Crittenden,
attraverso le rispettive ricerche, hanno ampliato il
modello originale, proponendo rispettivamente
il modello ABCD (Main e Solomon, 1990), e il mo-
dello Dinamico Maturativo (Crittenden, 1995;
2002).
La proposta di Main, categoriale, definisce sostan-
zialmente ciò che non può essere ricondotto alle
configurazioni di Ainsworth (ABC) come disorganiz-
zato o non classificabile, riducendo nell’ottica di-
mensionale i soggetti C, spesso assunti nella cate-
goria D (Crittenden, 2008)
copyright P. M. Crittendem, 2001
Analizzando il diagramma circolare del DMM, che
comprende tutte le strategie di protezione del sé
strutturabili in età adulta, è possibile rilevare quan-
to segue: i soggetti che utilizzano le strategie collo-
cate in alto nel modello non sono stati esposti a
pericoli, progressivamente scendendo verso il basso
l’esperienza di pericoli diventa più evidente. Inoltre,
osserviamo che nelle strategie di attaccamento di
tipo A sono in genere utilizzate informazioni cogniti-
ve e vengono inibiti gli stati affettivi negativi. Nelle
strategie di attaccamento di tipo C, vengono mostra-
ti, a gradienti progressivamente crescenti, stati
affettivi negativi intensi e contemporaneamente
inibite le informazioni cognitive. All’interno del grup-
po A, la sottoclasse compulsiva, non solo tende ad
inibire gli stati affettivi, ma esterna quelli falsamen-
te positivi. All’interno del gruppo C, la sottoclasse
coercitiva ipertrofizza le manifestazioni affettive
negative ed inganna l’altro rispetto a ciò che sta per
accadere o vuole fare. Questi esempi chiarificano
che i soggetti con strategie A e C operano, comun-
que, una distorsione nell’elaborazione delle infor-
mazioni, ricavando una rappresentazione non ade-
guata dell’esperienza. Crittenden specifica che la
persona non è consapevole di tale incongruenza ed
agisce in rapporto alle sue informazioni, scorporate
da tutti gli elementi ritenuti discrepanti. La strategia
B, viceversa, rappresenta l’integrazione di affettività
e cognitività, rivelandosi quindi la meno vulnerabile
alla psicopatologia.
Crittenden specifica che la gamma delle configura-
zioni si sviluppa a partire dall’infanzia, espandendo-
si durante l’età scolare e l’adolescenza, fino a com-
pletarsi in età adulta.
In questo modello le configurazioni A e C rappresen-
tano, dunque, opposti psicologici; tale affermazione
porta ad una duplice riflessione: la prima correlata
al fatto che probabilmente esse potranno beneficia-
re di forme diverse di trattamento, evidenziando
dunque il limite di raggruppare i pazienti solo per
categorie nosografiche basate sui sintomi, senza
tenere conto delle specifiche strategie psicologiche
Pagina 6 I A T N E W S
e comportamentali utilizzate; la seconda inerente la
stretta corrispondenza tra questo assunto e il co-
strutto AT di porte aperte e chiuse di Paul Ware
(1983).
Concludiamo la prima parte dell’intervento accen-
nando ad un filone di ricerca particolarmente inte-
ressante, avviato in un recente studio di Fonagy
(luglio 2010), nel quale l‘autore, a partire da
un’analisi confrontativa tra il modello della Main
- definito categoriale - e quello della Crittenden-
definito dimensionale - pubblica i primi risultati
riguardanti possibili complementarità nella trasmis-
sione delle strategie di attaccamento insicuro, che
aprono nuovi scenari sulla clinica degli interventi
precoci a favore della diade madre/bambino.
Relazione della dott.ssa Elena Bruni
Correlazioni tra AT Classica e Teoria
dell’Attaccamento
Il bambino trova un luogo di ascolto e risonanza tra
il suo mondo interno, fatto di bisogni, in relazione
con quello esterno. Questo Mondo esterno è Altro,
Spazio e Tempo di ascolto, ed è uno spazio in cui il
bambino trova un Riconoscimento di Sé, esiste
all’interno della dinamica della relazione, quindi la
relazione è l’unica situazione possibile nella quale il
bambino può esistere.
Nella relazione il bambino si forma quindi un con-
cetto di Sé attraverso il vissuto con l’Altro che, in
questa relazione, viene introiettato andando proprio
a mettere le basi per il concetto di sé. Le strategie
di attaccamento si formano, quindi, all’interno della
relazione con l’Altro.
A seconda della risposta che viene data
dall’ambiente il bambino introietta un vissuto di sé
nell’altro e di sé con l’altro, che va a gettare le basi
per la costruzione del sé e in Analisi Transazionale
costituisce il G1.
Questa introiezione va a sua volta ad influenzare la
percezione del proprio mondo interno, come una
sorta di sistema a feed-back che, influenzando la
percezione dei bisogni, ne condiziona poi la messa
in relazione successiva con il mondo esterno. Quindi
è come un circuito che si autoregola a seconda
della risposta che ottiene.
Il bambino impara, all’interno di questa relazione, a
regolare la tensione emotiva attraverso la disponibi-
lità emotiva della madre. E’ la madre che interpre-
tando gli stati affettivi del figlio da un riconoscimen-
to e questo riconoscimento dovrebbe essere dato
con una decodifica emotiva del messaggio del bam-
bino corretta; per far questo la madre dovrebbe
avere una buona competenza emotiva per poter
dare un riconoscimento. La disponibilità emotiva
della madre a regolare gli affetti del figlio e la sua
competenza emotiva sono fondamentali per la
costruzione del legame di attaccamento e per deter-
minare la qualità del legame di attaccamento
(Emde, 1988).
La madre opera quindi una Reverie, deve cioè avere
una capacità di accoglienza e di trasformazione
delle emozioni negative che il bimbo le sta proiet-
tando (Bion, 1962). Per cui la prima relazione della
diade è plasmata dalla rappresentazione e dalle
fantasie che la madre ha sviluppato nel corso della
vita a partire dalla propria infanzia: il primo legame
è caratterizzato dalle fantasie della madre relative
al bambino e dai propri vissuti di bambina con i
propri genitori; la madre quindi attribuisce al figlio
delle caratteristiche tramite il meccanismo
dell’identificazione proiettiva e proietta proprio sul
bambino il proprio sé e i propri oggetti interni
(Brazelton, Cramer, 1990).
Si parla quindi di una trasmissione da parte della
madre al figlio, riprendendo il concetto di trasmis-
sione transgenerazionale dei modelli relazionali per
cui le esperienze vissute dal genitore nel passato
vengono trasmesse al figlio e diventano proprio
bagaglio del figlio. Le esperienze che vengono pas-
sate possono essere positive ma anche esperienze
negative, pertanto i fantasmi del passato dei genito-
ri possono interferire nella relazione con i figli attra-
verso proprio una comunicazione distorta tra il
genitore e il bambino. Tutti questi messaggi vengo-
no denominati all’interno di una serie di studi psico-
analitici come matrice di trasmissione di caratteristi-
che psichiche dalla madre del bambino. L’utilizzo
del termine matrice richiama, a nostro parere,
la matrice di copione con tutti i suoi messaggi.
Le caratteristiche del funzionamento inconscio e
i contenuti inconsci della madre o comunque di un
determinato individuo vengono trasmesse alle ge-
nerazioni successive. Si parla di madre perché ha
un’influenza maggiore, ma è molto importante
anche il contributo del padre.
Alcuni autori parlano di una esperienza pre-verbale,
corrispondente a scambi obbligati e automatici tra
i membri della diade nel corso della quale i genitori
immettono inconsciamente nel bambino aspetti del
loro modello operativo interno (Lieberman et
al. 1997); per scambi obbligati si intende per esem-
pio quelli legati all’accudimento del bambino.
Altri autori parlano di aspettative che si trasmettono
dal mondo interno della madre a quello del bambi-
no (Cramer, Palacio-Espasa, 1993).
Altri ancora parlano di attribuzioni che i genitori
rivolgono al proprio bimbo e che questi assume;
attribuzioni positive favoriscono un buono sviluppo,
attribuzioni negative o contraddittorie possono
ostacolare lo sviluppo del senso di sé del bimbo
(Cena, Imbasciati, Baldoni, 2010).
Le aspettative, il mondo interno della madre che
passa nel bambino e le attribuzioni che la madre fa
nei confronti del figlio rimandano, secondo noi, ai
messaggi di copione. Riteniamo quindi che questa
possa essere considerata la prima correlazione che
è stata trovata tra la teoria dell’attaccamento e
l’analisi transazionale.
Per vedere come tutti questi messaggi e la relazione
influenzino la formazione del bambino, abbiamo
utilizzato il diagramma di flusso patologico di Weiss.
Attraverso questo strumento possiamo spiegare
come la risposta dell’ambiente alle richieste del
bambino, vada a innescare in lui due possibilità: un
circolo “positivo”, che va a confermare la naturale
posizione di Okness del bimbo alla nascita, oppure
un circolo “negativo”, che invece porta ad agire
tutta una serie di comportamenti quali giochi psico-
logici, emozioni parassite, relazioni simbiotiche e
tutto ciò che permette al bambino un soddisfaci-
mento almeno parziale dei suoi bisogni. Tutto que-
sto, secondo il modello AT, culmina con le decisioni
di copione, mentre, secondo la teoria
dell’attaccamento e il DMM, con la formazione delle
strategie di attaccamento A o C.
Tutti i bisogni, le emozioni, i desideri e i sentimenti
che vengono espressi dallo stato dell’Io Bambino
Libero possono essere soddisfatti o meno. Se ven-
gono soddisfatti si innesca un circolo virtuoso,
positivo, per cui il bambino conferma la sua posizio-
ne di essere Ok e passa all’espressione del bisogno
successivo. Se invece il bisogno non viene soddi-
sfatto, ha una prima reazione di rabbia, paura,
tristezza o frustrazione, e può decidere di dare se-
guito rinforzando la sua richiesta, aumentando ad
esempio l’intensità del pianto. In questi casi vi sono
due possibilità: il bambino ottiene una risposta
positiva e il suo bisogno viene soddisfatto, in modo
da sentire riconfermata la condizione di essere Ok e
poter passare al bisogno successivo, altrimenti, se
riceve di nuovo una risposta negativa, entrano in
gioco le decisioni di copione. Il bambino può pren-
dere una decisione di copione che lo porterà a met-
tere in atto una serie di strategie e comportamenti
volti ad appagare il proprio bisogno in modo non
sano né buono per sé.
Queste strategie vengono progettate e proposte dal
Bambino Adattato e consistono in tutta una serie di
comportamenti che comprendono, come già detto,
giochi psicologici, emozioni parassite, relazioni
simbiotiche e tutto quello che può portare il bambi-
no ad avere almeno un parziale soddisfacimento di
questi bisogni. Tutti questi comportamenti vanno
anche a confermare la posizione esistenziale di non
essere ok che, se rinforzata dall’ambiente esterno,
va a costituire un modello di risposta e uno schema
di comportamenti che, a sua volta, rinforza la deci-
sione di copione.
La stessa modalità porta al formarsi delle strategie
di attaccamento insicuro, quelle denominate A e C,
messe in atto dal bambino per adattarsi a soddisfa-
re il proprio bisogno di sicurezza, di protezione, di
essere amato.
Anche queste strategie si rinforzano in base alla
risposta che il bambino ottiene dall’ambiente ester-
no. Nel caso in cui egli non ottenga di soddisfazio-
ne, le sue reazioni possono essere di alzare
l’intensità della richiesta e, se funziona, strutturare
un modello orientato verso una strategia di tipo C,
di aggressione e sottomissione con alternanza di
richieste, espresse in maniera elevata e comporta-
mento di sottomissione o, invece, decidere di inibire
la propria richiesta, cessando di chiedere e andan-
do quindi verso una strategia di tipo A. Gli stimoli
ambientali e i messaggi genitoriali vengono utilizzati
parallelamente per formare le decisioni di copione,
il copione e le strategie di attaccamento.
Prendiamo adesso in considerazione le posizioni
esistenziali.
Abbiamo visto che questo meccanismo di soddisfa-
zione e frustrazione dei bisogni va a confermare la
posizione ok o non ok del bambino e abbiamo quin-
di pensato di associare proprio le strategie di attac-
camento con le posizioni esistenziali.
La posizione IO + TU + potrebbe essere quella di una
strategia di attaccamento di tipo B, quella IO - TU + di
tipo A, per cui io svaluto me stesso in favore
dell’altro, la strategia di tipo C invece corrisponde-
rebbe ad una posizione esistenziale opposta, di tipo
IO + TU - , quindi è più importante la mia richiesta e
la porto avanti a qualsiasi costo.
IO – TU – potrebbe rappresentare la strategia
tipo A/C
Andiamo ora ad analizzare le singole tipologie di
adattamento utilizzando le modalità diagnostiche
del linguaggio dell’Analisi Transazionale.
La strategia di attaccamento di tipo A
Le persone con attaccamento di tipo A, privilegiano
l’utilizzo di informazioni cognitive a scapito di quelle
affettive per orientare e organizzare i propri compor-
tamenti (Crittenden, 2008).
Utilizzando il diagramma strutturale possiamo ipo-
tizzare che ci sia una esclusione o una difficoltà
nell’entrare in contatto con il proprio stato dell’Io
Bambino e il vissuto di sentimenti negativi viene
inibito o non riconosciuto. Potrebbe anche trattarsi
di una contaminazione del Genitore sull’Adulto, il
che spiegherebbe tutta quella operazione di falsifi-
cazione e distorsione delle informazioni che agisco-
no le persone con strategia di tipo A.
Pagina 7 I A T N E W S
Con l’Egogramma di Dusay, strumento utilizzato per
rappresentare gli Stati dell’Io dal punto di vista
funzionale, vediamo che gli Stati dell’Io maggior-
mente energizzati sarebbero quello del Genitore,
più precisamente un Genitore Normativo rivolto
verso se stessi e un Genitore Affettivo rivolto
all’altro ma non a sé, così come un Bambino Adatta-
to a quelle che si ritiene siano le richieste
dell’ambiente.
Abbiamo provato a ipotizzare quale potrebbe essere
la matrice di copione di una persona con strategia
di attaccamento di tipo A.
Per quanto riguarda le spinte, sembrerebbero pre-
dominanti “Compiaci”, che porta la persona ad
adattarsi alle richieste esterne e “Sii Forte”, che
porta a negare i propri bisogni e il proprio sentire,
pur di rimanere in relazione con l’altro. Le ingiunzio-
ni “Non essere intimo” e “Non sentire”, mentre per
quanto riguarda il programma potrebbe essere
“Ecco come compiacere e ignorare i propri senti-
menti”. Ne seguirebbe una decisione di copione che
potrebbe essere del tipo “Non sono importante e/o
non sono degno di essere amato” , con una decisio-
ne di controcopione che è diversa a seconda
dell’indice di attaccamento che si va a considerare,
per esempio per l’indice A3-4, cioè Accudente com-
pulsivo e Obbediente compulsivo, potrebbe essere
“Farò tutto quello che posso per compiacere l’altro
così non sarò abbandonato” mentre per A5-6, Auto-
sufficiente o Compulsivamente promiscuo, “Non
entrerò in intimità con nessuno per non essere
ferito”. Quindi man mano che ci si sposta verso
indici più alti è più estrema la decisione.
Le persone con attaccamento di tipo A manifestano
dei falsi affetti positivi talvolta esagerati che inibi-
scono le loro vere emozioni. In questo senso anche
l’utilizzo della gioia potrebbe essere una emozione
parassita che va a coprire, a sostituire la rabbia o la
paura. Le emozioni parassite sono emozioni che il
bambino impara ad utilizzare per coprire le sue vere
emozioni, perché potrebbero spaventare la madre:
c’è proprio una sorta di spostamento, di sostituzio-
ne, che il bambino fa pur di mantenere la relazione.
Per esempio la rabbia o la paura sono emozioni che
possono spaventare la madre e, di fronte alla mi-
naccia di perdere la figura di accudimento, il bambi-
no può inibirle e sostituirle con emozioni diverse, ad
esempio la gioia, per fare in modo che la madre
provi più piacere a stargli vicino, dato che è felice e
contento. Naturalmente alla base c’è una svaluta-
zione del Sé: il tipo e la modalità di svalutazione
sono diversi a seconda della classe di attaccamen-
to, più alto è l’indice dei pattern di attaccamento,
più basso sarà quello di svalutazione nella matrice
di svalutazione degli Schiff (Schiff, 1975) e la svalu-
tazione sarà più profonda e radicata.
Il tipo e la modalità sono quindi differenti a seconda
del diverso indice di attaccamento e, per esempio,
una persona con attaccamento A3-4 potrebbe avere
una svalutazione in T4, una persona con un attacca-
mento A5-6 in T2.
Nella popolazione clinica è più frequente avere a
che fare con bambini con attaccamento di tipo C
che con quelli con attaccamento di tipo A; infatti
vengono generalmente portati in consultazione quei
bambini che i genitori non riescono a gestire proprio
perché utilizzano delle modalità di relazione che
prevedono dei comportamenti esagerati, soprattutto
per quanto riguarda l’espressione degli affetti nega-
tivi. I bambini con strategie di tipo A invece, sono
dei bambini estremamente tranquilli e apparente-
mente allegri che difficilmente vengono portati da
uno specialista, a meno che non producano un
sintomo che possa far trapelare la loro sofferenza.
Al contrario, per quanto riguarda invece la popola-
zione adulta, è più alta la percentuale delle persone
con strategie di tipo A; infatti queste persone posso-
no dover pagare il prezzo di questa forte sofferenza
che hanno mascherata, ma che ha raggiunto un
livello di dolorosità che non è più sostenibile.
E’ vero anche che la strategia di tipo A si consolida
in termini evolutivi intorno all’adolescenza, mentre
quella di tipo C è fisiologicamente presente già dai
due-tre anni. Si ha quindi una diversa distribuzione
delle differenti strategie di attaccamento, a seconda
delle fasce di età che andiamo a prendere in consi-
derazione.
I bambini con attaccamento di tipo A possono entra-
re in relazione simbiotica con la madre con una
simbiosi di secondo tipo, quindi una relazione molto
profonda.
C’è proprio una configurazione di attaccamento, il
tipo A3 che è etichettato come Accudente compulsi-
vo e la definizione del pattern dice sono bambini
detti accudenti compulsivi, sono cioè quei bambini
che per garantirsi la sopravvivenza hanno dovuto
mettere da parte i propri bisogni per occuparsi di
quelli della madre. C’è proprio una inversione di
ruoli perché il figlio non viene accudito dalla madre,
ma è lui stesso che si occupa di lei. (Crittenden
2008) Se vogliamo utilizzare il linguaggio analitico
transazionale, questa è proprio la descrizione della
simbiosi: una relazione nella quale il bambino è
portato a crescere in maniera precoce per occuparsi
dei bisogni del Bambino della madre. Una volta che
questo bambino sarà diventato adulto, tenderà a
riprodurre lo stesso modello di relazione e a istaura-
re quindi legami simbiotici, dove i propri bisogni
saranno sempre svalutati pur di avere quei ricono-
scimenti e quelle carezze che per lui sono familiari.
Abbiamo visto come le persone con strategia di tipo
A avessero una posizione esistenziale Io non sono
Ok, Tu sei Ok e apparentemente questo elemento è
in contrasto con il fatto che queste persone metta-
no in atto delle relazioni simbiotiche nelle quali
vanno proprio ad accudire l’altro mostrando quindi
una posizione Io sono Ok, Tu non sei Ok. Possiamo
quindi considerare questa seconda posizione come
quella sociale, la maschera che viene mostrata
all’esterno che va però a coprire la posizione esi-
stenziale psicologica che è quella depressiva, come
viene confermato anche dalla stessa Crittenden e
da Bowlby per cui questi bambini con accudimento
compulsivo, una volta diventati adulti sono significa-
tivamente più infelici degli altri perché non hanno la
capacità di accudire sé stessi e vanno più frequen-
temente verso aspetti depressivi. Si conferma quin-
di l’idea che una persona non abbia una sola posi-
zione stabile e fissa, ma che le due posizioni oppo-
ste si alternino nell’intrapsichico e
nell’interpersonale.
I comportamenti passivi che manterranno la simbio-
si nei rapporti adulti saranno l’astensione e
l’iperadattamento: io mi adatto a quelle che credo
siano le tue richieste e i tuoi bisogni e inibisco le
mie reazioni. Ci sarà una svalutazione di sé a livello
dell’importanza degli stimoli e della possibilità di
cambiamento: queste persone infatti sono convinte
di non avere gli strumenti e neanche la possibilità di
uscire da una situazione o modificarla.
La strategia di attaccamento di tipo C
Le persone con attaccamento di tipo C privilegiano
le informazioni di tipo affettivo per orientare il loro
comportamento escludendo le informazioni cogniti-
ve (Crittenden, 2008). Se consideriamo la struttura
di personalità di questi individui, utilizzando sempre
la diagnosi strutturale, vediamo che è presente una
contaminazione del Bambino sull’Adulto, per cui ciò
che la persona vive e sente viene da lei stessa
utilizzato per prendere decisioni e mettere poi in
atto comportamenti e richieste.
Dal punto di vista funzionale, continuando a utilizza-
re l’Egogramma, vediamo che gli stati dell’Io mag-
giormente energizzati sono il Bambino Ribelle e il
Bambino Iperadattato.
La strategia che possono mettere in atto le persone
con attaccamento di tipo C viene definita COY. Con-
siste in una alternanza di comportamenti di sotto-
missione e aggressione che, in termini analitico
transazionali, potrebbe essere spiegata attraverso
l’utilizzo del triangolo drammatico di Karpman
(Stewart, Joines, 1990).
Si tratta di uno strumento che in AT viene utilizzato
per spiegare i giochi psicologici e rappresentarli
graficamente: nel corso del gioco, una persona
inizia il gioco da una posizione che le è più conge-
niale per poi passare in un’altra posizione. In questo
caso, il bambino che utilizza un comportamento
COY (sottomissione e aggressione), fa una richiesta
partendo dalla posizione di Vittima, in modo da
attivare nell’altro la posizione di Salvatore e ottene-
re così la soddisfazione del proprio bisogno.
Nel caso non ottenga la risposta desiderata e vada
incontro a un vissuto di frustrazione, si va verso una
escalation della richiesta fino a passare dallo stato
di Vittima a quello di Persecutore. La persona che
utilizza un comportamento aggressivo da Persecuto-
re mette l’altro in una posizione di Vittima che, o
acconsente alla richiesta pur di far cessare il com-
portamento persecutorio, oppure subisce e soppor-
ta l’aggressività andando incontro ad una forte
sofferenza.
La svalutazione operata dalle persone con strategia
di tipo C è una svalutazione degli altri e della situa-
zione, si ritiene cioè che l’altro non sia in grado di
rispondere al proprio bisogno.
Anche le persone tipo C potrebbero istaurare rap-
porti di tipo simbiotico, come quelle tipo A, ma utiliz-
zando una simbiosi di primo tipo e ponendosi in una
posizione opposta rispetto a quella del tipo A, per
cui si pongono nella condizione di essere accuditi
mostrandosi incapaci mentre sarebbero in grado.
La posizione C4 viene etichettata proprio come
“Fintamente incapace”: la persona cioè si incapaci-
tà, nonostante sia in grado, affinché l’altro possa o
debba soddisfare il suo bisogno. Il bambino utilizza
quindi solo il suo B, escludendo completamente o in
parte i suoi stati dell’Io Adulto e Genitore e la pro-
pria capacità di risolvere la situazione andando ad
attivare il Genitore e l’Adulto nella madre. Nelle
relazioni da adulo questa persona riproporrà le
stesse dinamiche che ha avuto con la madre e
cercherà quindi qualcuno che possa “salvarlo” dalla
sua incapacità.
Anche qui ne consegue quindi una riflessione ulte-
riore sulle Posizioni Esistenziali: la strategia di attac-
camento di tipo C era stata accostata alla posizione
esistenziale Io non sono Ok, tu sei Ok. Dobbiamo
precisare che questa posizione è di tipo sociale,
come se fosse una maschera, che va invece a copri-
re la vera posizione esistenziale, o posizione psico-
logica che è Io sono Ok e Tu non sei Ok, per cui io
mi mostro incapace e bisogno affinché tu possa
prenderti cura di me, ma per stimolarti devo usare
una richiesta esagerata perché è l’unica condizione
nella quale tu ti accorgi di me e soddisfi il mio biso-
gno. Se io non arrivassi ad esagerare la mia richie-
sta tu saresti sordo alle mie richieste e tra noi non
potrebbe esserci nessuna relazione.
La simbiosi verrebbe espressa utilizzando compor-
tamenti passivi di agitazione e incapacitazione o
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violenza che richiamano molto bene quei comporta-
menti che la Crittenden definisce aggressività e
sottomissione che caratterizzano la strategia COY.
Vorrei concludere presentando una definizione dei
disturbi emotivi che integra quelle di Berne e della
Crittenden:
I disturbi emotivi sono comportamenti appresi,
basati su decisioni dell'infanzia e rappresentano un
compromesso del bambino tra il soddisfare i propri
bisogni e l'andare d'accordo con le figure genitoriali.
Noi facciamo sempre tutto quello che possiamo per
aumentare al massimo il piacere e ridurre al mini-
mo il dolore (Wollams Brown, 1985), quindi potrem-
mo dire che facciamo tutto quello che possiamo per
mantenere uno stato di attivazione confortevole e
ridurre al minimo il pericolo.
Relazione dott.ssa Maria Assunta Giusti
Teoria dell’Attaccamento e AT Integrativa
Siamo partiti dalla teoria dell’attaccamento (Bowlby)
sottolineando la funzione protettiva del caregiver
per arrivare al modello dinamico maturativo
(Crittenden) che sposta l’accento sul funzionamento
e quindi sulle capacità adattive intese come com-
patibilità tra strategie e contesto che creano la
sicurezza. Abbiamo inoltre visto come l’accento sia
andato negli anni sempre più a centrarsi sulla rela-
zione di cui Berne intuitivamente aveva parlato
spiegando la differenza dalla fame biologica alla
fame di stimoli, struttura e riconoscimento
(successivamente Erskine parlerà di fame di relazio-
ne come motivazione principale nello sviluppo uma-
no). Quindi alla luce di quanto detto attualmente
possiamo considerare l’attaccamento come una
strategia per la protezione del Sé che viene appresa
e collaudata nell’interazione con le figure parentali
e con l’ambiente.
Da una teoria dell’attaccamento a carattere difensi-
vo passiamo a una co-costruzione contemporanea e
reciproca tra bambino e genitore, dove la capacità
stessa di attaccamento e protezione è sottolineata
come capacità di entrambi. E’ nella reciprocità che
si crea percezione di sé, dell’altro e della relazione,
con reciproca stimolazione e strutturazione
all’interno di un contesto di crescita di cui
l’individuo ha bisogno per esistere e apprendere.
Riteniamo che il bisogno di appartenenza sia alla
base dei bisogni umani e vada ad aggiungersi agli 8
bisogni relazionali di Erskine.
Se poi parliamo di strategie di relazione e sopravvi-
venza, che facilitano o favoriscono il bisogno di
appartenenza e quindi crescita dell’individuo, allora
dobbiamo anche modificare la nostra percezione di
fronte al sintomo che a questo punto può conside-
rarsi non tanto una caratteristica della patologia
quanto di una strategia di sopravvivenza con aspet-
ti funzionali al mantenimento della relazione. Il
sintomo diventa un “dono” cioè un segnalatore
della richiesta di aiuto, un discorso che narra la
sofferenza del singolo e del suo sistema, e che da la
possibilità ad entrambi (genitore e bambino) di
sopravvivere.
Tutto questo sposta la nostra attenzione da una
posizione di cura ad una posizione di avere cura.
Dalla patologia alla persona, dalla decisione copio-
nale e relativa ridecisione alla strategia di un piano
di vita e alla sua modificabilità per competenze
evolutive attraverso una relazione coinvolta che da
il supporto adeguato al cliente per arrivare ad un
processo di comprensione del sé. E’ attraverso il
contatto con se stessi che si riconoscono i propri
bisogni e si entra in una relazione sintonizzata che
permette di fare contatto anche con l’esterno, con
l’altro.
Per confermare il concetto sopra esposto, possiamo
leggere la definizione di Adulto Integrato di Erskine
che è traducibile come la possibilità di esercitare
una nuova strategia adatta al contesto e alla capa-
cità evolutiva, alla comprensione ed elaborazione
integrata del conflitto tra introietto e fissazione.
Il trattamento dovrebbe focalizzarsi sulla possibilità
di mettere i soggetti in grado di riflettere sulle condi-
zioni interne ed esterne che favoriscono il contesto
del loro comportamento, di esercitare una risposta
in condizioni non rischiose e imparare ad adattare
le strategie ai contesti, allo scopo di ottenere la
massima sicurezza e protezione (1).
(1) L’affermazione della centralità della relazione
per lo sviluppo sano della persona e dei suoi confi-
ni, porta Erskine ad abbandonare il modello concet-
tuale, strutturale e funzionale di Berne degli stati
dell’Io. Per Erskine c’è uno stato dell’Io Adulto inte-
grante, che accoglie ciò che accade, momento per
momento, sia all’interno sia all’esterno di sé, le
esperienze passate e i loro effetti conseguenti, le
identificazioni e le influenze psicologiche con altre
persone significative della vita; o c’è uno stato
dell’io adulto che a seguito di traumi relazionali non
riesce a integrare le esperienze e si difende incon-
sapevolmente attraverso l’introiezione dando luogo
alla creazione di stati dell’io scissi ovvero lo stato
dell’Io Bambino (fissazione) e lo stato dell’Io Genito-
re (introietto).
Con l’A.T.I. quindi c’è il superamento del sistema
egoico tripartito e con la teoria dell’attaccamento
(DMM) della Crittenden abbiamo il superamento da
stile di attaccamento a processo relazionale.
L’attaccamento quindi coincide con un processo di
apprendimento della regolazione basato sulla rap-
presentazione mentale. Gli stimoli (fame di stimoli)
forniti dell'esperienza creano una rete neuronale
che da la possibilità all’individuo di avere struttura
(fame di struttura) creando nella reciprocità (fame
di riconoscimento) delle rappresentazioni mentali.
L’attaccamento parla di M.O.I. e l’A.T. parla di Q.R.
entrambi predispongono l’individuo alla relazione
con l’altro partendo da una posizione strategica
spesso filtrante il contenuto reale.
Secondo la Crittenden le strategie di attaccamento
vengono incamerate attraverso passaggi preferen-
zialmente cognitivi o affettivi (emotivo o cognitivo
integrati). Il conflitto dipende da una condizione
temporale, cioè la successione temporale in cui
l’esperienza si è formata, l’affettivo dipende
dall’intensità. La condizione di equilibrio è quella
dove affettivo e cognitivo si mettono insieme. In A.T.
parliamo anche di canali preferenziali, porte aperte
o chiuse (Paul Were) a seconda del modo di relazio-
narsi e in A.T.I. parliamo di domini cognitivo, affetti-
vo, comportamentale e emotivo. Quando l’Adulto è
integrato ha un buon contatto con sé e con l’altro e
la sua energia fluisce nei quattro domini.
L’organizzazione delle esperienze e la creazione di
strategie rendono prevedibile l’ambiente e
l’esperienza (fame di struttura e organizzazione del
tempo di Berne).
Nella sua definizione del copione di vita Erskine
parla di un modello relazionale inconscio, basato su
reazioni di sopravvivenza, conclusioni esperienziali
implicite e decisioni esplicite e introiezioni autorego-
latorie prese sotto stress, in qualunque epoca dello
sviluppo, che inibiscono la spontaneità e limitano la
flessibilità nella risoluzione dei problemi, nel mante-
nimento della salute e nella relazione con le perso-
ne. Le “reazioni fisiologiche di sopravvivenza” e le
“conclusioni esperienziali implicite” di cui parla
Erskine non sono altro che i modelli sub-simbolici e
pre-simbolici che per Bowlby, e per gli studiosi suc-
cessivi focalizzati sul piano evolutivo, il bambino si
forma nel tentativo di gestire le mancate sintonizza-
zioni e le negligenze cumulative della prima infan-
zia.
Cosi come il punto di vista della Crittenden costitui-
sce un superamento della precedente lettura degli
attaccamenti per stili,fovorendone una spiegazione
per strategie legate alle competenze , così l’ A.T. ha
evoluto il concetto di copione di stampo determini-
stico in piano di vita che ne sottolinea la continua
maturazione e sviluppo e la possibilità del suo for-
marsi o liberarsi durante tutto l’arco della vita.
Il sistema di copione, come recita la definizione di
Erskine, è l’insieme complesso di modelli relazionali
inconsapevoli basati su reazioni fisiologiche di
sopravvivenza, conclusioni esperienziali implicite e
decisioni esplicite prese sotto stress ad ogni fase
dello sviluppo. Tale stress è la pressione causata
dai fallimenti di una co-creazione dell’esperienza
relazionale: il bambino soprattutto, ,ma ognuno in
ogni fase della vita, a causa della ripetuta perdita di
contatto con una persona significativa che ricono-
sce e convalida i bisogni, si trova a dover rispondere
alla domanda “che ci faccio io, così come sono, in
un mondo come questo, con persone come voi?”
nel tentativo di rispondere , e di difendersi dalla
perdita di senso che segue all’esperienza di vuoto
di contatto vissuta, la persona può introiettare quel-
la relazione interrotta di sé con l’altro all’interno del
sé e fissarla come un insieme relazionale rigido, in
modo da conservare un sentimento illusorio di inti-
mità. In questo modo la persona mantiene
l’equilibrio psicologico, e contro l’assenza di relazio-
ne e l’ansia, si garantisce uno pseudocontatto e la
prevedibilità, ma al caro prezzo di non poter più
sentire il suo bisogno relazionale originario, e di
adottare convinzioni e decisioni difensive che, men-
tre gli garantiscono quella prevedibilità, lo rendono
inconsapevole di sé e dell’altro e lo costringono ad
agire nel qui-e-ora con uno strato dell’Io Adulto
contaminato dagli stati dell’Io Genitore e Bambino.
Ci siamo sempre domandate: quando inizia la rela-
zione e la funzione di un piano di vita? Nella nostra
ricerca sottolineiamo la nostra convinzione che
l’inizio appartenga alla vita fetale. Il dialogo tra
madre e bambino incomincia nel dialogo sonoro,
emotivo e cinestesico che si ha durante la gravidan-
za, quando la madre inizia la sua rappresentazione
mentale del figlio e questi nasce nella mente della
madre anche prima di venire alla luce. Berne ha
parlato di Io fetale, di influenze parentali e di proto-
collo che al di là della definizione di copione vuol
dire marcatura, timbro. Berne aveva addirittura
parlato in termini transgenerazionali, affermando
che la nostra storia inizia dai bisnonni e che la sce-
na del concepimento ad esempio, può influenzare il
copione e il suo finale.
Cornell afferma che il protocollo ha a che fare con
l’implicito e la sua natura è non verbale; rappresen-
ta la matrice a partire dalla quale noi tutti organiz-
ziamo le nostre esperienze relazionali. E’ il luogo nel
quale sono depositati ricordi impliciti, non recupera-
bili a parole, di modelli relazionali primitivi , vissuti
attraverso l’esperienza corporea del Bambino So-
matico , che orientano i nostri rapporti interpersona-
li e le nostre relazioni intersoggettive (Cornell, Lan-
daiche, 2005, 2008; Pierini, 2006). Ci sembra al-
trettanto significativo lo scritto di Evita Cassoni: La
vita di ogni umano comincia con l’annidamento,
termine scientifico che spiega, immaginalmente, la
trasformazione contemporanea dell’uovo fecondato
e dell’utero della madre. Ogni soggetto comincia ad
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esistere determinando una relazione che trasforma
l’uno e l’altro; nella superficie di contatto zigote e
endometrio cambiano struttura per diventare altro e
insieme diventare ancora più quello che si è.
(Cassoni, 2008).
Anche Fanita English dice che Il neonato riceve
dalla madre un precocissimo imprinting di
“Benvenuto!” o di “Vattene!”
Maria Teresa Romanini dice che il bisogno primario
di attaccamento è stimolato dalle memorie di un
caldo spazio accogliente, di un divenire immediato
di stimoli mentali e sensoriali noti; in definitiva dalla
perdita di un “Altro” noto solo dalla sua accoglienza.
(Romanini, 1985). Il bisogno di attaccamento del
bambino nei confronti della propria madre nasce-
rebbe anche dalla ricerca di un “Altro” perduto che
contiene e completa ……..l’essere umano nasce
abituato a due funzioni: l’attenzione e l’intuizione in
relazione ad un altro già noto…. Possiamo parlare
quindi di una relazione pre-natale. Quando l’autrice
parla del protocollo dice che nel protocollo sono
custodite le memorie degli scambi primari tra ma-
dre e bambino, insomma una incubatrice relaziona-
le.
Vogliamo citare anche altri autori non A.T. che han-
no sottolineato questi concetti, come ad esempio
TREVARTHEN parla di una MUSICALITA’ COMUNICA-
TIVA di una proto – forma prenatale della confluen-
za dialogica madre - bambino, cioè del dialogo tra
madre e bambino. Tutto il metodo di Tomatis che
studia proprio la musicalità e il suono che si crea
all’interno del corpo madre e in cui il liquido amnio-
tico acquista acidità o basicità proprio per la condu-
zione di determinate sonorità.
Mancia e Milani Comparetti che avevano parlato di
feto competente partendo dalle funzioni motorie e
sensoriali e avevano scritto sulla trasmissione gene-
tica e sensoriale.
Ester Bick parla di Io-pelle, la funzione della pelle,
del confine tra il nostro interno e il nostro esterno.
Quante volte le somatizzazioni in risposta agli stress
più grandi, sono proprio quelle della pelle che è la
parte sensibile che da voce a questo colloquio che
sancisce il confine tra noi e l’altra persona.
E di nuovo TREVARTHEN – MELTZOFF – STERN
parlano di una mente condivisa e proprio di una
intelligenza neonatale dell’individuo e nell’Infant
Research si è studiato la predisposizione biologica
alla percezione, interazione ed espressione . Beebe
e colleghi con la videomicroanalisi hanno studiato i
movimenti all’interno dell’utero per vedere i giochi
diversi che il bambino fa specialmente nei primi
mesi di vita, quando ha ancora un grande spazio.Si
sono potuti osservare comportamenti completa-
mente diversi, tra chi salta, chi si sdraia, chi succhia
ed esplora il corpo madre con modalità completa-
mente diverse per ogni bambino.
Il protocollo primario rappresenta quindi il primo
substrato dell’esperienza relazionale individuale,
sviluppatosi prima della costruzione linguistica
verbale. E’ la sede delle esperienze protolinguisti-
che e preverbali. Nel protocollo sono custodite le
memorie degli scambi primari tra madre e bambino;
quelle esperienze relazionali primarie attraverso cui
il bambino è chiamato alla relazione con l’altro e
che porteranno alla costruzione del Sé e del mondo
esterno. Il neonato esplora il mondo utilizzando i
legami che ha costruito; abbiamo visto che anche il
feto esplora il suo mondo e gli oggetti presenti nel
contenitore materno .…. Il grembo materno rappre-
senta una prima “incubatrice relazionale” che per-
mette al feto di crescere all’interno di un universo
cinestesico e sonoro popolato di oggetti con cui
entrare in relazione ( Manola Unida, 2009)
Siamo d’accordo con Sonia Gerosa che nel 2009 ha
scritto l’articolo in cui ha preso in considerazione
non soltanto la matrice copionale, cioè da quando il
bambino nasce, ma la matrice protocollare, cioè
che cosa succede prima, quali sono i messaggi, la
relazione, la significatività che ha quell’elemento
madre con quel bambino.
Riassumendo dalla patologia, (patologico-normale),
siamo passati alla persona con il suo comportamen-
to, con le sue strategie; dal sintomo siamo passati
al segnale strategico, quindi dal sintomo come
problema al sintomo come dono che ci conduce a
capire l’altro; dalla struttura, fissazione, siamo pas-
sati al funzionamento. In altri termini adesso abbia-
mo una relazione che cura, una “negoziazione della
relazione” che il terapeuta deve fare con il suo
cliente e nella quale il terapeuta non puo che esse-
re coinvolto. Questo porta ad affermare che non
dobbiamo solo costruire una base sicura (tra la
madre e il bambino) all’interno della relazione pa-
ziente-terapeuta,ma dobbiamo intessere una VICI-
NANZA che è fatta di presenza e crea appartenenza:
il bisogno dei bisogni, cioè quello che da la sensa-
zione di quell’annidamento di cui parlava Cassoni.
Nella nostra ricerca, operiamo per prevenire, per
costruire un ambiente o luogo di accoglienza che
coincide con lo stesso caregiver. La madre diviene il
tempo e il luogo affettivo di stimolazione durante la
gestazione. Successivamente, ma ancora in un
periodo preverbale, più coscientemente e volonta-
riamente stimolerà il bambino e verrà accompagna-
ta dal ricercatore con il CARE-Index (Crittenden) e
con intervento analitico transazionale integrativo. A
questo verrà unito l’intervento con la video microa-
nalisi fino al 18° mese di vita
Quindi la vicinanza verrà costruita nella presenza
del caregiver al bambino e del ricercatore alla cop-
pia genitoriale.
Favoriamo quel concetto di cui parla la Crittenden
quando scrive sulla responsività sensibile materna.
Altri autori hanno parlato di capacità di rispecchia-
mento, di funzione del sé riflessivo, di reverie, della
sincronizzazione e sintonizzazione, cioè ognuno di
loro ha usato una lingua diversa, ma tutti per parla-
re della capacità della rappresentazione mentale
che è nella madre. La stessa cosa che deve avveni-
re tra terapeuta e cliente. Il terapeuta sta nella
relazione con il suo paziente co-involto, co-
costruttore, immersi dentro lo stesso luogo. Cambia
il paziente ma cambia anche il terapeuta, cambia il
figlio come cambia il genitore. Ognuno di loro è
influente, è influenzato ed è influenzante perché
soltanto in quella condizione in cui noi ci prendiamo
la responsabilità della relazione che andiamo a
creare si può veramente parlare di una base sicura.
Il concetto di base sicura non è quindi solo quello di
uno stile ma di una condizione relazionale.
Berne aveva parlato di tre P: la protezione di cui
parla anche Bowlby nella teoria dell’attaccamento,
la potenza e il permesso e io aggiungerei la presen-
za, perché è quella presenza coinvolta, sensibile,
responsabile che fa la differenza tra contratto Adul-
to-Adulto e un contratto-contatto che lo trasforma
immediatamente in luogo di relazione e co-
costruzione.
A questo punto descriviamo la nostra idea di “ co-
pione” che non è più un copione ma è appunto un
piano di vita: pensiamo che ci sia una Evoluzione e
costruzione continua di un Piano di vita individuale,
soggetto ad avere modifiche per esperienze e matu-
razione del soggetto, e/o battute di “arresto organiz-
zative” in stati di stress che riattivano strategie di
sopravvivenza difensive non adeguate alla realtà.
Avendo l’essere umano bisogno di continuità, stabi-
lità e prevedibilità (Base sicura protettiva) sia inte-
riore (intrapsichico) che interpersonale, crea piani di
riferimento (Q.R/M.O.I.) basati sulla propria espe-
rienza e co-costruiti con le figure parentali
(caregiver) che forniscono la percezione del Sé in
relazione, cioè di sé, dell’altro e della situazione,
che sono la condizione fondamentale per esperire
qualsiasi piano di vita e per qualsiasi forma di ap-
prendimento.
La co-costruzione del piano di vita inizia fin dalle
prime interazioni con il corpo materno (intrauterino),
contando su apprendimenti mentalizzati e non.
L’errore sembra puntare sulla modificabilità di
questi piani di vita in termini di decisione/
ridecisione, anziché di plasticità della nostra psiche
e mente.
Quindi noi non possiamo più parlare in termini di
guarire, ma dobbiamo parlare in termini di avere
cura. Dobbiamo considerare la RELAZIONE COME
SOSTANZA DI TUTTA L’UMANA INTIMITA’ E FIDUCIA,
IMPEGNO FONDAMENTALE PER LA SALUTE
MENTALE.
Abbiamo cinque possibili parole chiave:
Contemporaneità (neurobiologia- filosofia di Morin);
Co-costruzione (teoria dell’attaccamento fino a
Stern);
Co- responsabilità (contratto A.T.);
Coinvolgimento (A.T.Integrativa);
Continuità evolutiva trasformativa del Piano di vita
(DMM della Crittenden e A.T.).
Concludiamo con una bellissima immagine disegna-
ta da Leonardo da Vinci che rappresenta il feto e
dalle sue parole che tanti anni fa nella sua genialità,
aveva già pronunciato:
1. Già evidenziabile in alcuni lavori (Ligabue,2001;
Cassoni, 2008).
2. Tali concetti saranno trattati in modo più esteso
nel workshop del convegno di Roma.
3. Qui si intende un comportamento costante e
continuo nel tempo.
…..E una medesima anima
governa questi due corpi
elli desideri elle paure e i dolori
son comuni si a esse creature
come a tutti li altri membri animati;
e di qui nasce che elle cose
desiderate dalla madre
spesso son trovate scolpite
in quelle membra del figliolo…...”
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I A T N E W S Pagina 12
genitori ha vinto il premio Berne 1995.
Uno dei primi lavori italiani di counselling AT per
genitori è“Prendersi cura di sé per prendersi cura
dei propri figli” (Mastromarino, R., 1995). Questo
programma si basa sul concetto di cicli di sviluppo
della P.Lewin (1982) e si focalizza sui bisogni dei
genitori in relazione alle tappe evolutive dei propri
figli.
L’autore struttura un training al fine di stimolare i
genitori ad acquisire un metodo per risolvere quei
problemi che possono trovarsi ad affrontare
nell’allevare i propri figli e sviluppare un’autostima
tale da poter essere trasmessa.
Si evidenzia quanto sia importante per i genitori
essere consapevoli dei propri bisogni, in modo da
rispondervi senza caricare i figli di questo compito.
Avere un figlio porta a rivivere i bisogni e le angosce
proprie dell’età in cui si trova il bambino, con tutto il
dolore che ciò comporta. Se i genitori riconoscono
questi bisogni, hanno l’opportunità di affrontare i
problemi originali e di trovare una soluzione miglio-
re di quella trovata nel passato; se i genitori presta-
no attenzione ai bisogni del proprio stato dell’Io
Bambino e si nutrono, possono trovare l’energia
necessaria per prendersi cura dei figli.
Nel programma proposto da Mastromarino, si pro-
pongono una serie di esercizi finalizzati a favorire
competenze e consapevolezze sui bisogni propri
oltre che dei figli. L’idea è che solo prendendosi
cura dei propri bisogni ci si possa prendere cura in
modo adeguato dei propri figli.
I programmi citati sono solo alcuni esempi di una
molteplicità di proposte formative per le famiglie
che vedono coinvolti, ogni giorno, centinaia di psico-
logi e counsellor di diversi orientamenti, in progetti
pubblici e privati; questo dimostra come, nonostan-
te una letteratura sempre più ricca di percorsi e
proposte differenziate di counselling ai genitori, sia
in crescita il bisogno di attenzione, confronto e
ascolto sul delicato tema della relazione con i figli.
La nascita di un genitore
“La nascita di un genitore” è il nome di un progetto
di counselling AT, rivolto alle famiglie, che porto
avanti da diversi anni occupandomi, in setting diver-
si, di vari aspetti della genitorialità. In particolare ho
svolto percorsi formativi con coppie (durante corsi
di preparazione al parto), con ostetriche (le prime
figure presenti alla nascita di una madre e di un
bambino) e con i genitori di bambini di una scuola
materna.
Genitori in attesa
Durante gli incontri con le coppie nei corsi di prepa-
razione alla nascita, ho notato come i futuri genitori
avessero un notevole bagaglio di conoscenze teori-
che, acquisite attraverso una assidua lettura di testi
relativi alla nascita, ma si mostrassero piuttosto
spaventati ed insicuri sulla gestione emotiva dei
problemi della genitorialità, oppure a contatto con
una visione magica della risoluzione delle eventuali
difficoltà.
In questi incontri il mio intento è stato quello di
condurre i futuri genitori a:
esprimere le proprie fantasie relative al bambino
immaginato;
esprimere i propri timori sulla gestione e
l’assunzione del ruolo di genitori;
trovare insieme al partner strategie efficaci per
la risoluzione condivisa dei problemi;
accettare che si può chiedere aiuto, al partner in
primis, ma anche ad altre figure professionali.
Gli incontri, della durata di due ore per ogni gruppo,
sono stati un momento per riflettere su dubbi e
.Abstract
L’offerta di percorsi di counselling per genitori, dagli
anni ’70 ad oggi, si é notevolmente diversificata e
l’analisi transazionale offre un contributo significati-
vo allo sviluppo della genitorialità. Partendo da
alcune personali esperienze, si propone una rifles-
sione sulle strategie da adottare per rendere effica-
ci gli incontri di counselling alla famiglia, anche
sporadici e divulgativi, al fine di svolgere un impor-
tante lavoro di prevenzione del disagio e di acco-
glienza della complessità del ruolo di genitore in
una società in continua trasformazione.
Che cosa è il counselling AT per genitori?
Il Counselling AT è una relazione di aiuto su
base contrattuale in cui il professionista,
utilizzando la metodologia dell’Analisi Tran-
sazionale, facilita la consapevolezza Adulta
della coppia genitoriale o del gruppo di geni-
tori, con l’intento di favorire le consapevolezze
cognitive ed emotive in merito al proprio ruolo di
genitori, in funzione di una risoluzione di un proble-
ma.
Il setting del counselling AT per genitori può essere
vario: dal counselling di famiglia all’interno di uno
studio privato o di una istituzione, al counselling di
gruppo con percorsi di 8-10 incontri, a “spot”, coun-
selling caratterizzati da incontri sporadici miranti ad
interventi di tipo in-formativo (conferenze cittadine,
incontri all’interno di percorsi di preparazione al
parto e così via). Nel counselling per genitori
l’approccio è finalizzato alla prevenzione e alla
educazione alla salute, più che a situazioni
“patologiche”, per questo scopo si adattano bene
attività di gruppo.
E’ compito del counsellor competente costruire e
sperimentare percorsi diversificati che possano
fornire stimoli finalizzati a:
Facilitare processi di cambiamento attraverso
l’attivazione dell’Adulto;
favorire la consapevolezza dei problemi, il poten-
ziamento delle risorse, i cambiamenti focali;
promuovere capacità legate al benessere;
orientare a cambiamenti finalizzati al migliora-
mento della qualità della vita;
facilitare la competenza emotiva e la consape-
volezza, potenziando le abilità sociali, attraverso
tecniche di dialogo ed esperienze gruppali.
I percorsi formativi per genitori
“I figli sono tra i maggiori formatori dei genito-
ri” (Giovannoli Vercellino, 1996).
I percorsi formativi per genitori nascono negli anni
‘70 con i corsi di T. Gordon (Parent Effectivenes
Training), egli aveva proposto il suo programma già
negli anni ‘50 ma è del 1970 il suo testo “Genitori
efficaci”. Il libro intende proporre un metodo che,
attraverso le pratiche educative del rispetto,
dell’ascolto e della collaborazione nella soluzione di
conflitti e problemi, consenta alla famiglia di diveni-
re uno spazio di democrazia basato sul profondo
rispetto dell’essere umano e delle sue capacità
d’autorealizzazione.
Negli stessi anni si avviano corsi per genitori con
l’analisi transazionale: J.L. Clarke sviluppa il suo
modello di prevenzione e di educazione per i genito-
ri (Clarke, 1982). La caratteristica del percorso
della Clarke è quella di utilizzare una serie di eserci-
zi e di role playing con lo scopo di “aggiornare” i
contenuti dello stato dell’Io Genitore e superare,
attraverso la pratica in gruppo, quei pregiudizi che
determinano le difficoltà di comunicazione con i
propri figli (Clarke, 1982). Ricordiamo che J.L. Clar-
ke per il lavoro AT applicato alla educazione dei
LA NASCITA DI UN GENITORE: RIFLESSIONI SU PERCORSI DI COUNSELLING PER GENITORI
di Patrizia VINELLA
psicoterapeuta,
counsellor C-TSTA
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I A T N E W S
I A T N E W S
Pagina 13
aspettative rispetto al diventare genitori, in un
clima di ascolto e accoglienza, attraverso uno spa-
zio di confronto e scambio in cui fosse possibile
riconoscere che è Ok esprimere le proprie paure e
chiedere aiuto.
Le ostetriche
Lo stesso progetto, “La nascita di un genitore”, si è
sviluppato con le ostetriche attraverso alcuni incon-
tri formativi all’interno di un corso di aggiornamen-
to sull’emergenza in sala parto. Le ostetriche in
contatto con le future madri, spesso si trovano di
fronte mamme spaventate e arrendevoli, più pro-
pense a scegliere il parto cesareo, indolore e sicu-
ro, piuttosto che affrontare il primo forte impatto
con la vita che è il parto naturale. Il percorso forma-
tivo, della durata di otto ore, è stato orientato a
favorire lo sviluppo di una competenza comunicati-
va che facilitasse l’accompagnamento alla nasci-
ta in un clima di fiducia e ascolto. La relazione
sana con l’ostetrica, durante quel momento unico e
simbolicamente significativo che è il parto, può
aiutare la madre ad essere pienamente protagoni-
sta e non passiva spettatrice della nascita del suo
bambino.
I genitori
Un’altra esperienza genitoriale significativa è stata
sviluppata in una scuola di infanzia in cui alcuni
genitori, prevalentemente madri, avevano scelto di
seguire un percorso di otto incontri dal tema
“Come e quando nasce un genitore” .
Il percorso era incentrato sul rapporto col proprio
Genitore e il proprio ruolo di madri.
La riflessione di partenza degli incontri si basava
su questa domanda:
“Che tipo di genitore sono io per me stesso e che
genitore sono con i miei figli?”
L’intento era stimolare una riflessione sullo stato
dell’Io Genitore per individuare permessi e spinte,
con l’intento di accrescere la consapevolezza ri-
spetto ai propri stili comunicativi, senza dimentica-
re il rapporto con se stessi e con il proprio Bambi-
no. Attraverso un lavoro in sottogruppi si sono così
confrontati sui propri stili genitoriali, ritrovando
somiglianze e differenze con le proprie figure geni-
toriali.
Riporto alcuni esempi di domande-stimolo propo-
ste al gruppo:
1. Il nostro essere genitori nasce con noi: prima di
diventare genitori, impariamo ad essere prima di
tutto genitori di noi stessi da quando siamo
molto piccoli: “che tipo di genitore sono per me
stesso?”. Mi manco di rispetto? Sono troppo
indulgente con me stesso? Pretendo troppo da
me? Mi tratto come mi trattavano i miei genitori?
2. Come i miei genitori mi hanno visto da bambino
determina come io vedo me stesso, i genitori
sono lo specchio che riflette che tipo di persona
sono io: se continuo a trattarmi come mi tratta-
vano i miei genitori rischio di continuare a soffri-
re come soffrivo allora; che posso fare di diver-
so?
3. “Ognuno nasce principe ma esperienze negative
precoci convincono a diventare ranocchi”.
(E.Berne) Quello che abbiamo deciso nella no-
stra infanzia possiamo modificarlo?
4. Gli errori sono inevitabili, ma gli sbagli possono
essere sanati rapidamente attraverso un contat-
to che ripara il conflitto. Quali strumenti posso
adottare per ripristinare il contatto?
Un breve cenno al copione e alle spinte ha favorito
la comprensione di alcuni atteggiamenti adottati
nei confronti dei figli che possono essere facilmen-
te modificati.
Ricordiamo che in questi percorsi di counselling
non ci si focalizza sulla patologia ma piuttosto su
un’educazione alla salute e al benessere, che
passa anche attraverso un forma blanda di consa-
pevolezza. Naturalmente, se si rilevano modalità
comunicative fortemente distorte o pericolose, è
compito del counsellor orientare e motivare ad un
approfondimento in una sede più opportuna.
Riflessioni sulla formazione dei genitori
Le esperienze riportate sono un esempio delle
tante modalità di approccio al counselling per geni-
tori. Il mio intento non è fornire un ulteriore model-
lo, bensì riflettere sulla responsabilità etica dei
professionisti di aiuto, in particolare dei counsellor,
come figure professionali che possono portare un
contributo altamente significativo alla prevenzione
del disagio, attraverso l’attenzione alla famiglia e
l’ausilio di un modello teorico di riferimento come
quello analitico-transazionale.
La relazione con i propri figli è qualcosa che coin-
volge i propri stati dell’Io arcaici, dei quali spesso
non si è consapevoli: si tratta di una continua
prova di equilibrio, di forza, di capacità di essere
genitori, e non sono sufficienti le consapevolezze e
le letture per gestire la rabbia e il conflitto che
naturalmente emergono all’interno della relazione.
Le emozioni scatenate dalle relazioni con un figlio
non sono facilmente gestibili anche per genitori
consapevoli e preparati: la rabbia può emergere
con forza e annullare in un attimo tanti buoni pro-
positi.
Nella mia esperienza ho notato che i genitori, più
che di informazioni, hanno bisogno di attenzione e
contenimento: la società cambia, il Genitore
(personale culturale) si trasforma con tutte le impli-
cazioni, le agenzie educative sono sempre più
complesse e talora in contraddizione con risultati e
metodi, i genitori sono confusi e richiedono aiuto in
modo diverso rispetto al passato.
Fra le mie tante riflessioni emerse in questi anni,
uno è l’aspetto che ritengo più significativo: per i
genitori è fondamentale imparare a trovare le
strategie per riparare le fratture relazionali, ripristi-
nando il legame emotivo con i propri figli.
La prevenzione più efficace, a mio avviso, nasce
dallo sviluppo della capacità di riparare e ri-
costruire il legame interrotto.
I genitori hanno bisogno di comprendere che è
umano sbagliare ma, soprattutto, che gli sbagli
possono essere sanati rapidamente con un contat-
to appropriato e con una riparazione efficace.
E’ fondamentale quindi fornire ai genitori gli stru-
menti per riparare, per ripristinare un contatto
(Erskine, R.,1999) in cui non si neghino i sentimen-
ti genuini (ad esempio con espressioni del tipo
“dai, non è successo niente...”) e si costruisca un
momento riparativo con il proprio figlio in cui, an-
che l’interruzione e il conflitto, possano essere visti
come opportunità per rafforzare il legame, in un
clima di ascolto dei bisogni propri e dell’altro.
L’intento del counsellor può quindi essere quello di
aiutare i genitori a riconoscere il significato del
conflitto e a trovare il modo per ripristinare il lega-
me attraverso una “relazione-che-cura”.
“Si possono aiutare i genitori ad ascoltare la pro-
pria sofferenza e ciò, da un lato, consente loro di
riconoscere e individuare la sofferenza del bambi-
no, dall’altro libera i figli da una sofferenza che non
appartiene loro, che non possono elaborare e che,
pertanto, li imprigiona” (Neri N.,Latmiral S., 2003).
I genitori hanno bisogno di accettare che non pos-
sono essere perfetti, ma possono fidarsi di più
delle proprie forze e delle proprie intuizioni, in una
attenzione aperta ai problemi dei figli: la vera area
di prevenzione del disagio resta la famiglia a cui
bisogna rivolgersi in modo ampio ed efficace.
Purtroppo le politiche sociali, soprattutto nel sud
Italia, penalizzano molto i percorsi alla genitorialità
e gli sportelli di counselling per famiglie, orientando
risorse più verso la “cura” che verso il “prendersi
cura”.
Ritengo comunque che valga la pena investire
risorse e idee per costruire approcci diversificati ai
problemi quotidiani della famiglia; le modalità di
intervento possono essere varie e in linea con le
competenze e lo stile del professionista, oltre che
con le risorse, i tempi e gli spazi a disposizione.
L’importante è costruire ambienti di apprendimen-
to diversificati, fuori dagli studi clinici ma presenti
nel territorio, che aiutino i genitori a sentirsi meno
soli e più ascoltati nei disagi e nei conflitti della
quotidianità.
I A T N E W S Pagina 14
BENESSERE E RELAZIONI: UN APPROCCIO ALLA PROMOZIONE DELLA SALUTE di Orlando GRANATI
PTSTA, psichiatra,
psicoterapeuta
Nella mia vita professionale ho operato in contesti diver-
si, sia nel pubblico che nel privato. Nella mia esperien-
za, l’applicazione delle stesse tecniche e metodologie,
in contesti professionali differenti e in modo rigido, mi
lasciava spesso insoddisfatto. Ciò che funzionava bene
e senza problemi nel mio studio professionale, diventa-
va complesso o inadeguato quando lavoravo in altri
contesti, dal servizio di salute mentale, al servizio psico-
logico dell’Esercito o nei programmi territoriali per
problemi alcol correlati. Il “contratto”, ad esem-
pio, presenta difficoltà del tutto diverse
quando si ha a che fare con persone che
richiedono direttamente l’aiuto (come
avviene sempre nell’attività privata), ri-
spetto a quando lavoro con persone che
non chiedono assolutamente l’aiuto, anzi
lo rifiutano. Analogamente un lavoro orien-
tato alla introspezione, all’analisi del copione
o alle ridecisioni, richiede che la persona con
cui lavoriamo sia motivata, scolarizzata quanto
basta e abbia attitudine e volontà di conoscersi. Nel
contesto pubblico, una parte non trascurabile dei pa-
zienti con cui lavoro, non rientra affatto in una o in tutte
le categorie suddette. Berne si riproponeva, con un suo
slogan, di “strappare Freud dal lettino e portarlo a con-
tatto con le masse”; nelle sue prime opere parlava
dell’Analisi Transazionale come di un sistema di
“psichiatria sociale”, concetto che a mio parere si è
perso nella letteratura. Il mio obiettivo è stato quello di
individuare una metodologia di lavoro, diversa da quella
di una psicoterapia classica, che rispondesse maggior-
mente ai problemi che incontravo nel servizio pubblico.
Ciò che qui riporto sono alcune riflessioni basate sul
continuo confronto tra ciò che ho appreso e provato ad
applicare, e ciò che sono riuscito ad integrare tra cono-
scenze ed esperienze diverse. Io nasco professional-
mente come medico, mi occupo quindi di salute ma,
che cosa è la salute? La domanda può forse apparire
banale, ma non lo è. Nella costituzione della Organizza-
zione Mondiale della Sanità, risalente agli anni ’60, c’è
la seguente definizione di salute: “ uno stato di comple-
to benessere fisico, psichico e sociale, … non consiste
soltanto nella assenza di malattia ed infermità … è una
condizione ideale a cui tendere …”. L’aspetto davvero
rivoluzionario di questa definizione è che sembra com-
portare che la salute non esiste, perché nessuno ha
una condizione di completo benessere fisico, psichico e
sociale: la salute quindi è una condizione ideale, e in
quanto tale non esiste, nessuno sta “bene”. D’altra
parte, tutto questo significa anche il suo contrario,e cioè
che la malattia, come tale, non esiste, è solo una condi-
zione ideale. Non esiste nessuno che sia al 100%
“sano”, né al 100% “malato”. Questa concezione ha
modificato di fatto il senso del lavoro di medici e opera-
tori sanitari. Fino agli anni ’60, per secoli di storia della
medicina e di organizzazioni sociali, tutta la popolazione
veniva di fatto suddivisa in due grandi gruppi: coloro
che stavano “bene”, in salute, che non avevano bisogno
di medici o di aiuto, non avevano da fare nulla per la
propria salute. I programmi di prevenzione sanitaria nei
luoghi di lavoro erano orientati verso chi era già amma-
lato, con programmi previdenziali e categorie protette.
Di contro, chi era malato riceveva un aiuto finalizzato a
riportarlo nell’altra categoria. Se non era possibile, la
persona veniva detta incurabile o inguaribile. Secondo
questa diversa visione, invece, salute e malattia sono
due condizioni ideali che, come tali, non esistono: nes-
suno è sano al 100% e nessuno è malato al 100%.
Sono due condizioni ideali con un continuum di possibili
vie di mezzo, dove ognuna di queste vie di mezzo non è
fissa o determinata perché, anche per lo stesso singolo
individuo, il livello di benessere, fisico, psichico o socia-
le, cambia in continuazione [fig.1].
Mi prendo un raffreddore e, di conseguenza, il mio livello
di benessere si sposta in direzione della malattia; poi
guarisco dal raffreddore, sto meglio, e il mio benessere
si sposta di nuovo. Non c’è una posizione data una volta
per sempre, la mia salute non è fissa, non è qualcosa
per cui posso dire: l’ho raggiunta e non devo pensarci
più ma, al contrario, giorno per giorno devo pensare a
cosa posso fare per migliorarla, qualunque sia il mio
livello di salute. Ognuno di noi si sposta prevalentemen-
te in un’area ma, per quanto io possa stare bene, avrò
sempre un po’ di spazio per migliorare. Allo stesso modo,
per quanto una persona stia male, avrà sempre un poco
di benessere, delle risorse. Tutto questo orienta il con-
cetto di guarigione in senso completamente diverso. Da
un passaggio di stato on/off, bianco o nero, ad una
visione dinamica. Noi non avremo più degli eventi di
guarigione, ma dei processi di guarigione. Abbiamo una
direzione che va verso la salute, e questo sarà un pro-
cesso di guarigione, e abbiamo una direzione che va in
senso opposto. Alcune cose dipenderanno da me, io
potrò fare delle cose per stare meglio o peggio, e alcune
cose non dipenderanno da me: ad esempio, non può
esserci salute quando qualcuno attenta alla vita, né in
qualunque zona del mondo dove ci sia una guerra. Co-
struire percorsi di salute significa non solo preoccuparmi
del mio fisico, del mio assetto psicologico, delle mie
esperienze di vita, di mie emozioni e di ciò che noi chia-
miamo “copione” ma significa, altresì, occuparsi della
qualità delle relazioni che mi circondano e di ciò che
succede intorno a me, perché mi coinvolge. In altri termi-
ni il mio benessere dipenderà da una serie di fattori e
l’OMS-WHO ne aveva inizialmente descritti tre, quello
fisico, quello psicologico e il sociale: ultimamente è stata
aggiunta anche la dimensione spirituale o esistenziale. Il
termine spirituale viene usato in questo caso in senso
antropologico, non necessariamente religioso. Per stare
bene ognuno di noi ha bisogno anche di avere un ruolo,
uno scopo nel mondo, che faccia dire: sono qui, e questo
ha un senso. È noto l’episodio in cui un giornalista, inter-
vistando Sigmund Freud, gli chiese cosa dovesse fare
una persona “sana”, aspettandosi forse una risposta
articolata e complessa e lui, invece, rispose brevemente:
“lieben und arbeiten”, amare e lavorare. Vladimir Hudo-
lin parlava di disagio psichico come “non accettazione di
se stesso, del proprio comportamento e del proprio ruolo
nella comunità, della cultura sociale esistente. Questo
disagio è accompagnato da un senso di impotenza da-
vanti al problema e di impossibilità di capirlo … questi
problemi si esprimono con l’impossibilità di comunicazio-
ne ed interazione”. Ricordo ancora la definizione di Eric
Berne: “… per la sopravvivenza dell’organismo umano, la
fame di stimoli ha la stessa importanza della fame di
cibo”, a sottolineare l’importanza da lui attribuita alla
relazione come elemento cardine per il benessere
dell’individuo. Lo spazio relazionale può così essere
visto, indipendentemente dal tipo di approccio che si
segue nel lavoro, un
campo di intervento
fondamentale. Sem-
pre da Hudolin, lo
schema in fig. 2
descrive come il
c o m p o r t a m e n t o
umano sia determi-
nato da molteplici
fattori, di natura
biologica, psicologi-
ca, relazionale, socio
-culturale, spirituale,
oltre ad avere carat-
tere evo lut ivo .
I “sassi” di questo
immaginario muro
Pagina 15 I A T N E W S
che rappresenta il nostro benessere, sono costituiti
da una infinita serie di eventi, esterni o interni, a loro
volta positivi o negativi e di varia natura che, nello
stratificarsi, contribuiscono a determinare l’esito
finale. La linea a lato indica la crescita. La prima
linea trasversale indica la nascita: innumerevoli
eventi prenatali sono già significativi, compresi quelli
di tipo biologico (malattie, assunzione di farmaci o
altre sostanze psicotrope da parte della madre,
alimentazione della madre stessa), psicologici (sono
ormai documentate le influenze sul feto degli stati
d’animo della madre), culturali (basti pensare al
diverso impatto, sulla gravidanza, di una cultura che
tuteli la maternità come diritto, rispetto ad una cultu-
ra dove le gestanti devono lavorare come sempre,
se non di più). La seconda indica il passaggio all’età
scolare: è ormai accettato che gli eventi più significa-
tivi per lo sviluppo della personalità sono quelli dei
primi 6 anni di età. Tuttavia gli eventi successivi non
perdono di importanza ed è utile sottolineare che,
mentre alcuni non sono controllabili dall’individuo
(come, ad esempio, nel caso suddetto di un attenta-
to), altri sono invece relativi a comportamenti che
possono essere scelti e avranno un impatto positivo
o negativo sulla salute e quindi, sposteranno la mia
posizione sull’asse salute-malattia in una direzione o
nell’altra. Alcuni di questi fattori riguardano diretta-
mente l’individuo stesso, altri riguardano la cerchia
più ristretta delle persone più significative, dal siste-
ma familiare, alle persone più vicine; altri ancora
riguardano i vari aspetti istituzionali, le condizioni di
vita e di lavoro, il tipo di casa che posso permetter-
mi, il tipo di servizi sanitari, la disponibilità di beni
come l’acqua, ad esempio. Tutte queste cose in-
fluenzano il nostro tipo di vita. Cosa può fare l’Analisi
Transazionale in questo senso? A mio parere, l’AT
può stabilire percorsi di cura, percorsi cioè che sti-
molino un processo di benessere attraverso quello
strumento fondamentale che è l’attenzione alle
relazioni, che tiene conto sia di ciò che la persona si
porta dentro, sia di ciò che la persona fa. Quando
penso al corpus teorico e metodologico dell’AT,
penso ad un’area triangolare in cui i tre vertici rap-
presentano gli approcci che maggiormente, nella
sua definizione, hanno influenzato la sua genesi:
l’area psicodinamica, la teoria della gestalt e
l’approccio cognitivo. La cornice comune a tutti gli
approcci AT è l’ottica relazionale che, a mio parere, è
il vero e proprio collante delle diverse aree in cui si è
sviluppata la ricerca e la prassi in AT (fig. 3).
Noi possiamo intervenire sulle
relazioni e lo facciamo, indipendentemente dallo
stimolare nel nostro paziente una riflessione su di sé
o dal raggiungere un insight. Molte persone che
arrivano alla nostra osservazione hanno scarsa
capacità, propensione o d isponib i l i tà
all’autointrospezione. Questo è particolarmente vero
per i pazienti che si incontrano nei servizi pubblici
(ma non esclusivamente), e non possiamo limitarci a
dire che non si può fare una psicoterapia. Quando
interveniamo sulla relazione che creiamo con i nostri
pazienti, modifichiamo il loro contesto relazionale,
offriamo alla persona occasione di sperimentare
delle relazioni affettivamente significative; attraver-
so gli strumenti di osservazione e di intervento sulla
relazione, offerti dalla nostra metodologia, possiamo
offrire delle occasioni di strutturare relazioni diverse,
che entrano in contrasto con quelle che sono le
convinzioni di copione. In altri termini, offriamo la
possibilità di sperimentare esperienze emozionali
correttive. Petruska Clarkson diceva che approcci
diversi possono essere facilmente integrabili, purché
condividano alcune posizioni di base fondamentali:
uno spartiacque a suo parere è il credere o no alla
possibilità di esperienze emozionali correttive. Pos-
siamo ancora intervenire con efficacia sul sistema
familiare e, a questo proposito, ricordo un paziente
del nostro servizio che aveva a lungo interrotto i
contatti con gli operatori e i cui genitori erano stati
inseriti in un programma di sostegno: nel tempo,
questa persona ha modificato in modo significativo il
suo comportamento e, dopo quasi due anni, è torna-
ta in cura senza mai essere vista direttamente per
molto tempo. Si può ancora intervenire, a livello
micro sociale, su quella rete di relazioni esistente
intorno alla persona: gli interventi di rete si basano
sulla possibilità di modificare il benessere agendo
sul microsistema sociale del paziente, e la metodolo-
gia AT si dimostra idonea a questo tipo di interventi.
Ogni persona ha bisogno di un certo sistema familia-
re intorno a sé e il numero di persone significative
che una persona ha abitualmente intorno a sé, risul-
ta inversamente correlato al grado di benessere
psichico: nelle fasi di malessere di tipo ansioso o
distimico si è valutato che questo numero si riduce a
circa la metà; nei disturbi più gravi, di tipo psicotico,
l’impoverimento delle relazioni è fortissimo, fino a
non più di due o tre relazioni significative. Lavorare
per riattivare la rete di relazioni interpersonali è un
altro modo di invertire quel processo di spostamento
verso il polo della salute. Possiamo ancora agire a
livello macrosociale, dando il nostro contributo per
realizzare ciò che viene definita una comunità com-
petente, capace cioè di rispondere ai bisogni com-
plessi degli individui che la compongono. Penso che
non si possa fare AT senza porsi il problema di parte-
cipare alla costruzione di una società attenta al
benessere, che consideri la solidarietà non solo
come un valore etico, ma anche come una efficace
strategia per la promozione e la protezione del be-
nessere. Ricordo un documentario naturalistico in
cui veniva mostrato il comportamento di una varietà
di pinguini: durante le tempeste di neve, tutta la
colonia si stringe a cerchio e ogni pinguino compie
un movimento circolare dall’esterno verso il centro e
viceversa. In questo modo ogni pinguino, a turno,
passa al centro per poi spostarsi verso lo strato più
freddo all’esterno. Se restassero fermi, i pinguini
all’esterno morirebbero presto, privando quelli più
interni del loro calore e, in breve tempo, tutta la
colonia si estinguerebbe. Con un comportamento
che invece potremmo definire solidale, ma che corri-
sponde ad una strategia di sopravvivenza, l’intera
colonia può sopravvivere sopportando ognuno una
p a r t e d i s o f f e r e n z a .
Quando parliamo di solidarie-
tà e di politiche sociali po-
trebbe essere utile ricordare
questo esempio. Infine, in fig.
4, è riportata la tabella di
Erikson: nel muoverci in
questi campi dobbiamo tene-
re conto dell’evoluzione dei
bisogni, non solo nell’età
evolutiva, ma anche nelle
diverse fasi della vita adulta.
Un paziente del nostro servi-
zio, affetto da una grave
psicosi e su cui da tempo è
attivo un importante pro-
gramma terapeutico e riabilita-
tivo, ha effettuato, tra l’altro, un certo numero di
inserimenti lavorativi (IST: inserimento socio-
terapeutico): i primi, con molte difficoltà, mentre
l’ultimo, parallelamente ad un miglioramento globa-
le, sta funzionando assai bene. Durante una riunio-
ne valutai fosse il momento di spingerlo verso la
ricerca di un lavoro vero e proprio e, solo al momen-
to di discutere, realizzai che in realtà il paziente era
ormai vicino all’età della pensione. Altro esempio è il
caso di pazienti con un delirio, dove facilmente la
richiesta più comune delle persone interessate
(familiari, medici, conoscenti) è che il delirio stesso
venga risolto: il delirio, come è noto, ha un significa-
to difensivo. Il suo trattamento avrà un senso assai
diverso in un giovane o in una persona di età avan-
zata, magari con una lunga storia clinica dietro di sé.
Nel primo caso, il delirio è il segnale di un sistema
difensivo che crolla e, in questo caso, l’abbandono
del delirio è importante per accedere ad un nuovo
equilibrio. Nel secondo caso, invece, può essere più
utile e realistico cercare il migliore adattamento
possibile, in cui il suo sistema difensivo non entri in
conflitto con il suo sistema di relazioni normali. In
altre parole, è essenziale che il paziente trovi un
equilibrio comportamentale in cui il suo eventuale
delirio mantenga il suo significato difensivo, senza
ostacolare un comportamento adattato. Gli interven-
ti di gruppo, infine, possono essere ancora focalizza-
ti in modo diverso rispetto alla fase evolutiva: il
“gruppo sedentario di adulti” berniano, per esempio,
è il setting più efficace per molte persone, per altre
no. Nei giovani che mostrano segni precoci di scom-
penso psicotico, ad esempio, la proposta di un set-
ting strutturato di tipo classico può essere molto
difficile da accettare, per il timore di stigma sociale e
per la tendenza difensiva alla negazione del disturbo
che porta, tanto spesso, a ritardare anche di molti
anni l’affidamento alle cure, con una stratificazione
delle esperienze psicopatologiche che orientano
verso la cronicità. Sappiamo invece quanto sia es-
senziale, per una buona riuscita della terapia, un
intervento il più possibile precoce. L’esperienza dei
programmi riabilitativi, nel servizio in cui opero, mi
ha portato a valorizzare l’efficacia dei gruppi parteci-
pativi di giovani adulti, all’interno dei programmi
delle strutture semiresidenziali. In questi gruppi i
giovani hanno la possibilità di stabilire delle relazioni
significativamente affettive, diverse da quelle abitua-
li, in cui possono fidarsi e dove possono rischiare di
aprirsi. Queste esperienze sono costantemente
monitorate e analizzate all’interno del gruppo degli
operatori, mentre la loro rielaborazione con i pazienti
avviene solo in un secondo tempo, e non sempre,
col terapeuta di riferimento. Nonostante ciò, risulta-
no agire in modo efficace indipendentemente dalla
possibilità di una elaborazione emotivo - cognitiva,
portando a s ign i f i cat iv i cambiament i
nell’adattamento e nello stile relazionale.
Pagina 16 T I T O L O N O T I Z I A R I O
EVOLUZIONE O LIQUIDAZIONE: QUESTO E’ IL PROBLEMA! (dal dubbio amletico “infinite possibilità di esistere”)
di Silva NICCOLAI Architetto
Analista
Transazionale
in contratto per
CTA - O
E’ cominciata con questa domanda la mia consulenza
per una società di Roma che commercia stoffe e mani-
fatture tessili realizzate con antiche tecniche artigianali
provenienti dall’Europa, dall’India e da altri paesi del
nord est asiatico.
Al momento la società, una s.r.l., era in perdita da due
anni. L’unico altro socio, oltre la mia committente, era
da poco uscito dalla società per divergenze di opinioni.
La sola socia rimasta era confusa sul da farsi e
molto sfiduciata nei confronti della possibilità
di questa azienda di continuare a esistere.
Non manifestava speranze riguardo a una
possibile crescita e non vedeva alternati-
ve alla liquidazione della società, ma
nello stesso tempo non voleva mollare
perché ancora motivata dalla missione
per cui la ditta era nata: sviluppare cultura
e preservare il patrimonio tessile dell’India e
per far questo occorreva un cambiamento, una
evoluzione. Ma in quale direzione?
La storia della ditta
I.R. nasce come ditta individuale nel 1995 per dare uno
sbocco alla passione della Titolare di raccogliere stoffe
artigianalmente pregiate, lavorate con tecniche antiche
nei villaggi indiani che la stessa frequentava per inte-
resse culturale e per la sua altra attivi-
tà di documentarista. Allora le vendite
erano occasionali (servivano grosso
modo per recuperare le spese). Si
creavano appositamente eventi un
paio di volte l’anno e le spese erano
relativamente contenute. Inoltre il
parco clienti attendeva l’evento
dell’anno e in quell’occasione
comprava abbondantemente.
Nel 2002, su proposta di un amico
manager che aveva intravisto la
possibilità di uno florido sviluppo
aziendale, aveva trasformato la ditta
individuale in società a responsabilità
limitata, facendo entrare lo stesso
amico come socio al 30% e confidando
sulla di lui esperienza nel campo eco-
nomico finanziario e del marketing.
Viene aperto uno show room con attivi-
tà di vendita in Via Gregoriana vicino a
Trinità dei Monti con apertura giornalie-
ra, conservando gli eventi come occa-
sione speciale per presentare nuovi
tessuti e nuove collezioni e condividere
l’esperienza dei viaggi con una clientela
affezionata. Si predispongono anche
soluzioni amministrative e finanziarie
per uno sviluppo in grande di I. R.
Le cose non vanno però secondo le aspetta-
tive.
Le vendite dopo il primo anno sono in perdita, non si ha
un grande sviluppo del parco clienti e agli eventi dimi-
nuisce la partecipazione degli affezionati che si distri-
buiscono durante l’anno.
Per visioni aziendali diverse, scelte di problem solving
non condivise e differenti motivazioni si viene a creare
una situazione di sfiducia reciproca che porterà
all’uscita del socio.
La fondatrice riacquista le quote societarie del 30% che
propone di suddividere in equa parte tra le sue tre colla-
boratrici, che però rifiutano. Nessuna di loro sembra
interessata ad un impegno più concreto nella società. E’
in questo momento che ha inizio la mia consulenza.
La consulenza ha inizio con il lavoro di analisi fatto
durante il MasterOrg
Il quesito “evoluzione o liquidazione?” mi viene posto
durante il master in psicologia dell’organizzazione tenu-
to dalla dr.ssa Sylvie Rossi a Roma nel 2005/2006,
dove ho conosciuto la fondatrice della ditta. L’incarico
di consulenza mi è stato infatti affidato in proseguimen-
to di una prima analisi di questa organizzazione effet-
tuata per esercitazione nell’ambito del MasterOrg.
La prima analisi della situazione aziendale si è infatti
basata sulle risposte date dalla committente sui que-
stionari somministrati dalla dr.ssa Rossi durante
il Master, e successivamente sempre nella fase di eser-
citazione ho approfondito i vari punti con successivi
colloqui individuali sia con la titolare che con il persona-
le della ditta. Elementi fondamentali per capire
l’organizzazione sono stati raccolti durante le visite allo
showroom, utilizzando lo strumento dell’analisi dello
spazio e osservando le dinamiche di relazione titolare-
dipendenti-clienti, con variabili a più livelli.
L’analisi dello spazio come elemento fondamentale di
lettura della cultura organizzativa
L’analisi dello spazio si è mossa su due binari paralleli:
uno rivolto alla relazione del luogo con il contesto ester-
no, e l’altro rivolto alla configurazione del luogo stesso.
In base al primo ho analizzato la posizione rispetto ai
punti focali della città, il tipo di relazioni instaurate con
il contesto intorno, il tipo di percezione suscitata
(accoglienza o barriera), la fama acquisita presso i
vicini, la riconoscibilità in termini di esercizio pubblico e
di prodotto commerciato. L’analisi della relazione con
l’intorno (persone e luoghi) può far comprendere molte
cose riguardo alla cultura dell’azienda. In questo caso,
pur essendo vicino a luoghi di grande frequenza anche
turistica, gli elementi costruiti davano l’idea di uno
spazio privato, non si leggevano simboli commerciali,
quasi che la vendita, scopo prioritario dell’esistenza del
negozio, fosse una cosa più casuale che voluta. Lo
spazio vendita non aveva una vetrina, né vi si accedeva
direttamente dalla via. Il negozio si trovava al piano
terreno di un palazzo signorile a cui si accedeva da un
atrio con portiere. Sulla strada si affacciavano due
finestre che venivano aperte durante l’orario di apertu-
ra, e se un passante veniva attratto dai colori che si
intravedevano da fuori, per vedere qualcosa l’ipotetico
cliente doveva vincere l’imbarazzo di guardare attraver-
so le finestre di un palazzo. Non c’erano indicazioni che
spiegassero che quello era un negozio. All’interno
l’arredamento denunciava signorilità e buon gusto,
perfettamente in linea con i prodotti esposti. Dall’atrio
si entrava direttamente nella grande sala dello
showroom, su cui si affacciava una stanza più piccola
dove, oltre alla merce in saldo, venivano depositati i
nuovi arrivi da prezzare ed etichettare e dove si trovava
la scrivania dell’ufficio ed il computer. Non c’era nel
negozio un luogo di privacy, né idoneo a colloqui riserva-
ti. Amministrazione, magazzino, vendita, telefonate e
caffè avvenivano in questa stessa stanza. Aveva più
l’aspetto di un “salotto” che di un negozio.
La permanenza presso lo showroom per diverse ore al
giorno mi ha permesso di farmi un’idea chiara
sull’affluenza e sul tipo di clientela. Difficilmente entra-
vano persone casuali, la maggior parte erano clienti
affezionati o amici della titolare. Era interessante notare
le dinamiche relazionali tra i vari soggetti nelle varie
situazioni, dal rapporto fra loro al rapporto con clienti e
amici. Se la titolare era presente, l’attività di vendita si
poggiava totalmente sulla sua competenza in materia di
tessuti e di lavorazioni, acquisita per vera passione
durante gli innumerevoli viaggi in India. Le tre persone
che all’epoca si occupavano della ditta, tutte di sesso
femminile, si caratterizzavano per svolgere ruoli di sup-
porto, e nessuna aveva ruoli di totale responsabilità in
quello che faceva. Almeno due di esse, dichiaravano di
Pagina 17 I S T I T U T O A N A L I S I T R A N S A Z I O N A L E N U M E R O 6 Pagina 17 I A T N E W S
avere ambizioni diverse. Stare a contatto con il personale mi ha permesso di
conoscere la loro opinione, le loro aspettative, le loro idee, non sempre colli-
manti con quelle della titolare.
La consulenza e l’evoluzione
Il contratto di consulenza è arrivato dopo circa un anno dalla prima proposta di
intervento in due direzioni: culturale e commerciale, in affiancamento con un
consulente esperto nel campo commerciale-organizzativo.
Tenuto conto che la mission era caratterizzata da una cultura d’impresa orien-
tata a valorizzare e conservare, attraverso l’uso, il patrimonio tessile euroasiati-
co sia come risorsa che come valore di scambio economico e culturale, vengo-
no individuate di comune accordo due modalità operative tra loro interconnes-
se e interagenti:
Approccio CULTURALE attraverso azioni strategicamente consone
alla mission.
Approccio COMMERCIALE basato su attività di business development
strategicamente idonee a consentire l’implementazione della mission.
I primi mesi ci troviamo di fronte ad una fase che possiamo definire di SABO-
TAGGIO delle proposte e delle iniziative. Iniziative per migliorare la comunica-
zione e acquisire nuovi clienti, pubblicizzare il punto vendita, trovare nuovi
fornitori di tessuti, strutturare l’azienda ed eliminare gli sprechi, adeguare il
personale alle esigenze aziendali, vengono osteggiate, non considerate o accol-
te solo formalmente. Iniziative per contattare musei o enti con cui iniziare
collaborazioni
passano in secondo piano rispetto ad altri impegni.
Gli appuntamenti registrano abbondanti tempi morti di attesa e sembra che
niente possa generare un cambiamento. Il programma di azioni formulato dai
consulenti non trova sostegno costante da parte della titolare e
delle dipendenti.
Nei mesi successivi si ha il passaggio alla fase dell’ASCOLTO. Viene abbando-
nata la strada inizialmente strutturata per la crescita aziendale programmata
dai consulenti ma condivisa dal committente solo apparentemente, e si passa
all’ascolto dei messaggi nascosti. Come superare questi ostacoli? Come man-
tenere la direzione condivisa fino alla realizzazione? Quali risorse possiamo
utilizzare per provocare un cambiamento? La soluzione è riuscire a captare i
bisogni e tradurli in pratica a piccoli passi.
Ha inizio una serie di AZIONI di stimolo nella direzione percepita possibile:
contatti e incontri con il Museo del Tessuto, un nuovo Catalogo dei prodotti,
nuovi biglietti da visita, una Brochure di presentazione della Titolare e del suo
lavoro di ricerca, filmati dei documentari dei viaggi in India e degli Eventi in vari
luoghi. C’è empatia nelle soluzioni grafiche per cataloghi, filmati, proposte di
eventi e di luoghi. L’operatività produce un avanzamento nella fase
dell’ALLEANZA. I piccoli passi nel campo della direzione culturale producono
un cambiamento e un interesse rinnovato. Si instaura un rapporto di fiducia.
A fine anno si prende atto della impossibilità di procedere verso una direzione
commerciale di sviluppo dell’azienda per implicazioni di tipo:
Macro sociale ((importazioni a basso costo, concorrenza, crisi del mercato
tessile)
Macro organizzativo (c’era una adesione apparente al modello societario
a responsabilità limitata ma non una vera adesione. Il desiderio
di investimento emotivo di G. non corrispondeva all’immagine di I. R.
come srl. Serviva una nuova organizzazione ad “hoc”)
Micro sociale (rapporti tra le persone basati su aspettative disat-
tese da entrambe le parti e allontanamento di due collabo-
ratrici).
Non è una cosa facile. Si registrano tutte le “Fasi del lutto”
per il passaggio da una situazione vecchia a quella nuova.
La cosa fondamentale è accettare di vedere questo tema
della possibile fine. Se si accetta di elaborare il
lutto, è possibile vedere una possibilità all’orizzonte.
Il desiderio di investimento emotivo della Titolare era
rivolto più alla conoscenza e divulgazione che alla com-
mercializzazione. Quest’ultima poteva solo essere uno
strumento per consentire la prima.
La consapevolezza della inadeguatezza del tipo di organizzazio-
ne fino ad allora scelto, porta a guardare verso soluzioni no-profit.
La titolare decide di trasformare la società in associazione culturale, che
si prefigge di creare servizi per il recupero, la conservazione e il sostegno
delle attività delle culture dell’immateriale in Eurasia.1
Riguardo al tessile, il desiderio è di “potenziare la conoscenza dei tessuti
come trame ‘storiche’ da difendere e diffondere”,puntando a un fatturato
che si basi più sui servizi che sui prodotti.
Le azioni sono indirizzate alla:
conquista di un ruolo culturale e di una rete sociale. Cinema e documentari,
conferenze;
verso fibre vecchie che nuove;
allargare i propri spazi ad altre espressioni tessili da ospitare nell’emporio;
il contenimento del magazzino con la presentazione di altre espressioni
e collezioni tessili in alternativa alla produzione e raccolta proprie
dell’associazione.
Puntando a fare dello spazio fisico un luogo di incontro e di dialogo
tra diversità, con meno magazzino e più alterità.
Il primo evento come associazione culturale è stato la Mostra dei tessuti e
delle architetture del Nord Est Indiano, nel 2009 al Museo nazionale del Tessu-
to di Prato, a cui ne sono seguiti tanti altri.
1. “Si intendono per “patrimonio culturale immateriale” pratiche, rappresenta-
zioni, espressioni, conoscenze e saperi – così come gli strumenti, gli oggetti,
i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e,
in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio
culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in
generazione è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati
in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro
storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità promuovendo così il
rispetto per la diversità culturale e la creatività umana” Conferenza generale
dell’UNESCO – 32° sessione art. 2 convenzione per la salvaguardia del
PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE
Pagina 18 I A T N E W S
LA CRISI DELLA MATURITA’ E POSSIBILI EVOLUZIONI di Antonio FERRARA
Psicologo, Psicoterapeuta
della Gestalt e
Didatta–Supervisore,
Analista Transazionale,
Didatta-Supervisore TSTA,
Counsellor Formatore
La struttura che rassicura
Per molto tempo, centinaia di anni secondo alcuni autori
di pedagogia, si è parlato di adulto come meta dello svi-
luppo umano ed educativo. Essere adulto era considerato
un punto di arrivo e veniva negata ogni forma di ulteriore
modificazione. 1 La parola adulto viene dal participio di
adolescere e vuol dire “cresciuto”, fatto grande 2, persona
giunta a completo sviluppo fisico e psichico.3 Con G. La-
passade, nel 1963, termina il mito di un adulto definito
come «un macigno che ha pesantemente condizionato la
pedagogia occidentale». 4 Oggi si parla di psicologia dello
sviluppo, corso di vita, cicli di vita e non più di età o periodi
rigidamente suddivisi in “compartimenti. 5 Ne consegue
che la psicologia dello sviluppo si riferisce a tutto l’arco
della vita 6, mentre quando si parla di psicologia
evolutiva, la crescita psichica è parallela a quella
organica, cioè ad un processo di maturazione
biologica. Con Lapassade, quindi non da
molto tempo, essere giunti al culmine della
crescita fisica, non significa avere raggiun-
to il culmine della crescita psicologica. Ne
deriva che l’età adulta non è un “prodotto
finito” ma, al contrario, i processi sono in
continuo “movimento” durante tutto l’arco
della vita. Si può dire che ciascuna fase
risponde e si organizza secondo logiche
dettate dalle esigenze sia del corpo sia della
psiche, adattandosi o resistendo alle nuove
necessità. Durante l’infanzia e l’adolescenza
prevale la formazione di importanti strutture su cui
mettere le basi per un programma di vita, un copione. In
età successive gli schemi originari e i modi di utilizzarli
vengono elaborati in direzione di ulteriori e diversi adatta-
menti e possono, con la crescita e le nuove esperienze di
vita, assumere forme meno rigide rispetto a quelle neces-
sarie nelle prime fasi dell’esistenza. Inizialmente la ripetiti-
vità del modello permette di orientarci rispetto al come
stare nel mondo, funge da guida, offre struttura, è rassicu-
rante per la sua continuità e risponde alle richieste
dell’ambiente. Permette di esistere e anche di far parte. E’
frutto di un istinto di conservazione che secondo la tradi-
zione della Quarta Via, insegnamento di G.I. Gurdjieff, si
trasmette attraverso il cervello arcaico 7. Come tale ha
scopo conservativo e permette la sopravvivenza. La strut-
tura è protettiva e offre nella prima infanzia, ma anche in
seguito, riferimenti e linee guida che ci permettono di
conoscere e orientarci nel mondo. Sono protocolli copiona-
li che costituiscono un sostegno certo e contengono, an-
che se in seguito riadattati, gli stimoli che vengono dal
mondo dei grandi, cioè, come ci insegna Berne, i messaggi
incorporati. Di solito assumono anche carattere difensivo,
diventando introiezioni di realtà esterne che non possiamo
assimilare, fare nostre, ma neanche espellere. Lascereb-
bero un vuoto. Infine promuovono visioni del mondo e
comportamenti che tendono a stabilizzarsi e a persistere
anche quando non più congruenti con le realtà effettiva-
mente vissute, replicandosi in maniera automatica e ripe-
titiva. Quando la paura, ad esempio, diventa un’emozione
dominante, aumenta il bisogno di certezze. Ci si limita
nell’azione, paralizzati dal dubbio, non si guarda alle alter-
native, c’è troppo rischio, e si forma un carattere fobico -
evitante. L’eccesso di struttura soffoca i potenziali creativi
e le risposte che si danno a stimoli interni ed esterni sono
sempre le stesse, quelle già note. Fisiologicamente si sono
formate catene neuronali, depositi di memorie, dapprima
appena abbozzate e poi rafforzate dall’accumulo di rispo-
ste ad uno stesso stimolo, sempre uguali a se stesse, che
così diventano comportamenti stabili nel tempo. Questo è
il modo in cui si organizza in generale la rigidità e
l’automatismo del carattere. Con la crescita e lo sviluppo
verso la maturità, programmi così rigidamente costituiti,
se seguissero la loro naturale evoluzione, avrebbero meno
necessità di continuare ad esser tali. Ma la struttura
cognitivamente fissata e passionalmente alimentata 8,
continua a seguire le tracce abituali, come nell’esempio
sopra accennato. In maniera provocatoria a volte parlo
dell’ uomo marionetta e spesso, lavorando con il Teatro
Trasformatore 9, riporto l’esempio dei caratteri della Com-
media dell’Arte. Arlecchino, Colombina, Pantalone, posso-
no cambiare i loro discorsi, gli ambienti, le relazioni, ma
sostanzialmente il costume, le forme espressive, la ge-
stualità, i toni e le cadenze, restano sempre gli stessi. Il
carattere non si modifica e di conseguenza neanche il
copione che lo sostiene. Quindi le persone continuano a
comportarsi, indipendentemente dall’età, sempre più o
meno alla stessa maniera, anche se non serve più, anche
se diventate più mature, più adulte, anche se hanno avuto
tante esperienze. E’ difficile lasciare gli schemi profondi
che guidano l’esistenza.
Riflessioni sull’adulto e i suoi possibili sviluppi
Freud definiva la condizione adulta come quella in cui si è
in grado di amare e lavorare. 10 Certamente ci sono svaria-
ti altri fattori che fanno un adulto o la persona che cresce.
In ogni caso apprendere ad amare e impegnarsi nel lavo-
ro, soprattutto se quello che si fa lo si è scelto e piace,
aiuta a crescere. Altri autori definiscono un adulto come
una persona che è in grado di far fronte alle difficoltà e sa
adattarsi. Altri ancora parlano di autonomia, indipenden-
za, stabilità e dicono che l’adulto ha equilibrio ed è in
grado di sostenere il cambiamento. Gould e Levinson 11
fanno una ricerca approfondita sulle diverse fasi dell’età
adulta o matura. Individuano una mezza età, 45/65 anni;
parlano di anziani, fino agli 80 anni e di grandi anziani,
dagli 80 in poi. Non si parla di vecchi. E’ interessante
vedere l’evoluzione che ebbe Piaget circa l’età matura.
Nelle sue prime ricerche il “tetto evolutivo”era raggiunto
con l’adolescenza, dopo questa epoca della vita, non si
sarebbero più create strutture cognitive (1955). 12
Lo sviluppo si concludeva con il raggiungimento delle
strutture logiche necessarie al processo formale. In segui-
to, dopo diversi anni, parlò dello sviluppo “come di una
continua dinamica costruzione di strutture”(1975). 13
“Un modello a ventaglio aperto”, si disse. Il pensiero si può
espandere in più direzioni e con modalità diverse. Quindi
le strutture cognitive possono cambiare. In seguito si parla
di processi di strutturazione nell’adulto. Questo permette
di specializzarsi in varie aree. Per Bassechez e Koplavitz
(1984) 14, “i problemi di vita reale con cui si misura
l’adulto, appartengono a sistemi aperti, interdipendenti e
in continua trasformazione, e non a sistemi chiusi”. Parla-
no di esperienza di contraddizione, le scelte possibili sono
molte, con una loro coerenza interna, “ma in reciproca
opposizione”. Potremmo definirle delle polarità conflittuali.
E ancora, Labouvie – Vief (1982) 15 parla di “relativismo
logico” e afferma che “la progressiva inclusione di incer-
tezza nel proprio programma logico è il meccanismo attra-
verso il quale procede lo sviluppo”. C’è stato un notevole
cambiamento nella riflessione dei pedagogisti che cedono
il passo alla possibilità e all’incertezza, a fronte delle vec-
chie definizioni che vedevano l’adulto fissato inesorabil-
mente ad una certa età, senza più possibilità di evoluzio-
ne. A partire da quanto precede, che riporto per tener
presente il percorso della ricerca sul tema evolutivo negli
ultimi decenni, gli autori più vicini all’Analisi Transazionale,
ritengo possano essere gli ultimi citati. Mettere
“incertezze” nelle strutture copionali in diverse fasi di vita,
congruentemente con quanto lo sviluppo naturale preve-
de, produce cambiamento. In genere in una fase matura
dell’età adulta, dai 30/40-45 anni, chi è più attento alla
conoscenza di se stesso guarda ai significati più profondi
della vita, tende a perdere la fissità dello schema e il co-
pione incomincia a vacillare. La fame perde forza e la
struttura non è più così condizionante da venir vissuta
come una protezione per l’esistenza, e così diminuendo
queste necessità passano in secondo piano l’istinto con-
servativo e le paure connesse, e cresce la disponibilità a
rischiare nuove vie, perlomeno idealmente, perché nei
Pagina 19 I A T N E W S
fatti le cose vanno in maniera diversa. In ogni caso,
seguendo la natura, con il crescere dell’età dovreb-
bero aumentare l’autonomia e allo stesso tempo la
consapevolezza della finitezza dell’essere umano.
Quando questo non succede, non è perché lo svilup-
po dell’uomo si ferma definitivamente ad una certa
età, come si pensava, ma piuttosto perché si prefe-
risce nascondere a se stessi, anche se note, le
verità sulle leggi dell’esistenza che procurano dolo-
re e paura. Si produce una forma di pigrizia dello
spirito, un dimenticarsi di sé, che intorpidisce
l’animo. Al contrario, quando il pensiero della morte
diventa più presente e si incrina l’aspettativa magi-
ca per la quale, pur sapendo che succederà, ci
comportiamo come se toccasse solo agli altri e mai
a noi, allora è più facile rendersi conto che di fatto
la vita è sempre sospesa ad un filo e la fine può
avvenire anche tra poco. Dimenticandolo si ha
l’illusione che si viva meglio. Ma è solo con
l’accettazione della nostra finitezza che si aprono
spazi per una maggiore flessibilità e per una mag-
giore pienezza di esperienza, favorita da un certo
distacco dalla quotidianità e non dalla voglia di
possedere persone perché si ‘amano’, o avere cose
perché soddisfano e rassicurano. Niente nella vita
ha valore assoluto, i fenomeni sono mutevoli, preca-
ri e relativi. Comprenderlo ha come effetto che ci si
apre alla creatività, aumenta la capacità di scelta e
si scoprono le alternative. Ma tutto questo non
avviene per caso. Ci vuole impegno e coraggio,
bisogna “correre un rischio”, come diceva F. Perls. Il
limite che le persone si danno ha una propria linea
di confine, oltre la quale non si va. Quello che c’è al
di là è lo sconosciuto, e spesso la fantasia sul cosa
si possa trovare dall’altra parte, è catastrofica.
Quando si va oltre il confine, anche se simbolica-
mente rappresentato, come si fa in alcune esperien-
ze terapeutiche, magari tracciando una linea da
poter superare, è facile scoprire che il pericolo im-
maginato era frutto di pura fantasia. Compiendo
un’azione, mai sperimentata prima, è possibile
incontrare il nuovo e recuperare capacità adulte,
rischiando, ma in maniera protetta.
La giovinezza e la virtù dell’amore
Le prime basi della maturità trovano le loro radici
nella fase precedente, nella giovinezza, secondo D.
J. Levinson tra i 20 e i 30 anni 16, epoca in cui au-
menta l’autosostegno, crescono l’autonomia e la
capacità di fare da sé. Il giovane è più centrato
dell’adolescente. E’ più in contatto con il mondo
adulto e mette da parte l’atteggiamento critico e
conflittuale fine a se stesso. In verità questo pas-
saggio da adolescenza a giovinezza oggi avviene
anche in età più avanzata. Le richieste della società
post moderna, sia in termini affettivi che in termini
di preparazione al mondo del lavoro, producono una
dipendenza dalla famiglia più prolungata nel tempo.
In ogni caso, in questo periodo aumenta
l’autonomia di pensiero e la capacità di guardare la
realtà alla propria maniera. Quello che il giovane
pensa, le sue idee e le sue visioni del mondo, sono
frutto di maggiore consapevolezza e di confronto. Si
ascolta di più l’altro e diventa più presente il deside-
rio di un partner stabile. Agli innamoramenti adole-
scenziali subentrano delle esperienze affettive
mirate a instaurare una vita di coppia. E. Erikson 17,
ritiene che nella giovinezza ci sia il pieno sviluppo
dell’Io, in pratica della propria identità. Ci si chiede:
‘io chi sono’. Al di là dei messaggi di copione, i
‘devi’, i ‘non’ e i ‘modelli’ che lo strutturano, si incre-
menta la capacità di assimilare la realtà e di farla
propria, indipendentemente dai messaggi incorpo-
rati dal bambino. Con lo sviluppo dell’ identità au-
menta anche la capacità di amore verso l’altro.
Sempre secondo Erikson 18 la giovinezza è l’età in
cui oltre a svilupparsi pienamente l’Io, emerge la
virtù dell’amore. Nelle tradizioni spirituali si parla di
amore altruistico, la compassione, che permette alti
livelli di crescita, fino all’autorealizzazione. L’amore
è strettamente connesso con l’intimità, che secon-
do Berne è un fattore per l’autonomia. Erikson la
contrappone all’isolamento, che per Berne, è una
maniera per strutturare il tempo, quindi, a differen-
za dell’autonomia, una forma rigida di organizzare
l’esistenza. Trattando di amore, non ci riferiamo
soltanto all’amore di coppia o verso i figli o i genito-
ri, ma in maniera più ampia e secondo la visione
gestaltica mutuata da M. Buber, anche all’amore
compassionevole, quello verso l’altro in generale,
quando l’altro diventa un tu. Nella definizione di
Erikson, l’intimità “prevede di accettare una parziale
fusione con l’altro, senza temere la perdita della
propria identità” 19. In pratica si mantengono i pro-
pri confini, senza finire nella confluenza, e si conser-
va la capacità di separarsi e di operare scelte. La
persona capace di intimità può accettare la differen-
za perché non si sente minacciata, ha già un suo
modo di essere e può rischiare di fluire con
l’esperienza. Può stare con quello che è senza for-
zare la realtà per costruirsi certezze a sua misura. Al
principio dello sforzo subentra quello
dell’accettazione 20. A fronte degli sviluppi indicati
non bisogna dimenticare che si tratta di primi con-
tatti, che porteranno frutti più stabili con la maturi-
tà, altrimenti si coltivano illusioni. E’ un po’ come
assaporare il nuovo sapendo che il copione ha
ancora forti radici che legano al passato. D’altro lato
le potenzialità scoperte e le competenze che si
vanno acquisendo possono crescere e dare frutti. Al
di là dei conflitti e del perenne dualismo che carat-
terizza la nostra esistenza, i giovani sono più aperti
al nuovo e nel mondo del lavoro spesso ricoprono
ruoli di responsabilità e d’altro lato la loro dipenden-
za, come già visto, si prolunga nel tempo e la loro
energia viene frenata.
L’importanza di una guida
Levinson ritiene che nell’età giovanile siano impor-
tanti quattro fattori: trovare un consigliere, intra-
prendere una carriera, stabilire relazioni intime,
avere un sogno 21. Guarderò solo ad alcuni di questi
punti per qualche commento. Partendo dall’ultima
proposta, l’idea dell’autore è che un sogno anche se
irrealizzabile è capace di dare una spinta,
un’energia per raggiungere risultati. Ha una funzio-
ne motivazionale e poi con il tempo si troverà anche
la forma più realistica per ottenere risultati concreti.
Per Berne affidarsi ai sogni è un po’ come perdersi
negli ideali e quindi stare nel mondo delle illusioni.
Diversa è invece l’aspirazione, che consente di
mantenere i piedi per terra e di produrre effetti
reali, se c’è un impegno. Comunque, che sia sogna-
re o aspirare, ai giovani occorrono stimoli che apra-
no orizzonti, e permettano di guardare avanti, piut-
tosto che starsene inerti a galleggiare nella vita. In
questo senso la nostra società è carente,
l’educazione scolastica è carente. Sono davvero
pochi gli stimoli che danno senso e portano valori.
Manca nel mondo dell’istruzione un’educazione
all’affettività e all’importanza della crescita interio-
re. Ciò che conta è formare persone che funzionino
per fini produttivi, in una società che mira essenzial-
mente al potere economico e all’affermazione so-
ciale. Andiamo ora al primo fattore che Levinson
propone come importante per i giovani: trovare un
consigliere. E’ utile avere un maestro, una guida o
un terapeuta, un ponte tra i genitori ed altri adulti
con i quali apprendere a sviluppare relazioni parita-
rie per entrare nel mondo dei grandi. In generale i
giovani vengono lasciati a se stessi e spesso si
perdono, magari in un clima di competizione o nelle
frustrazioni, che infine portano alla rinuncia. Para-
frasando un po’ Levinson immagino il maestro, la
guida, come una figura genitoriale che, alternativa a
quella reale, possa rispondere a un insieme di ne-
cessità e bisogni che non furono assolti dai genitori
naturali. Una persona dotata di sufficiente distacco
e assertività, ma anche affettiva e accogliente.
Levinson ci ricorda anche che quando c’è un rap-
porto con un consigliere, mentore, o terapeuta dico
io, spesso si finisce con una rottura. Le motivazioni
sono tante. Tuttavia, ciò che importa è che pure una
separazione traumatica può essere un momento di
crescita, sia per il giovane che per il paziente, ma
anche per chi ha svolto il ruolo di guida. In questa
epoca storica la figura più vicina a fare da mentore
sembra sia proprio quella del terapeuta, inteso non
solo come colui che cura sintomi e situazioni proble-
matiche, ma anche come qualcuno capace di guida-
re verso una ristrutturazione profonda della perso-
na, che comprenda una crescita dell’essere, fonda-
ta su valori esistenziali e spirituali. Spesso i terapeu-
ti di AT ma anche di Gestalt disdegnano la visione di
scuole che si aprono ad un approccio che includa
anche aspetti spirituali nella terapia. Questi temi
peraltro sono da tempo già presenti anche in AT 22.
Si confonde spiritualità con religione. Spesso sento
dire: “Ma noi siamo clinici non ci competono queste
tematiche”, in nome di una ortodossia che franca-
mente sento fuori tempo. Clinica e sviluppo perso-
nale non sono mai stati in conflitto, è sempre più
utile trovare integrazioni che tendano ad unire piut-
tosto che a settorializzare. Ritengo che questo pas-
so ulteriore dovrà caratterizzare l’età più matura,
anche della terapia.
La virtù del prendersi cura
Levinson mette l’età matura tra i 30 e i 45 anni 23.
E’ su questa fase che voglio focalizzare la mia atten-
zione. L’autore ritiene che sia il periodo in cui si
dovrebbero portare a termine i principali compiti
evolutivi. Sono anni in cui si raggiungono risultati in
campo affettivo, relazionale e lavorativo. Secondo
Erikson 24 è il periodo della procreatività o genera-
tività, mentre la fase precedente è soprattutto
legata alla genitalità. Si è più pronti ad assumere
responsabilità verso gli altri in generale e non solo
verso i bambini. E’ una generatività intesa in senso
ampio, espressa non solo diventando madre o pa-
dre, ma anche nel dare vita, in vari campi, a idee,
opere d’arte o impegno sociale. A me sembra che in
queste fasi, quando il processo di crescita segue
uno sviluppo naturale e non viene interrotto da
rigidità copionali, che ancora insistono nel determi-
nare visioni e comportamenti, si affievolisca il biso-
gno di stimolo o riconoscimento e che si sviluppi in
senso più arricchente l’istinto sociale. Un istinto che
porta a guardare l’altro, non per ottenerne vantaggi
personali ma per un più soddisfacente desiderio di
relazione e condivisione. Gli autori, relativamente a
questo periodo, parlano del raggiungimento di una
completa autonomia. Ritengo che si tratti comun-
que di un’autonomia limitata, sono ancora molti i
condizionamenti anche nell’età matura. I freni per
raggiungere un reale distacco vengono ancora da
tante dipendenze, non solo affettive, ma anche
legate a necessità e bisogni, spesso costruiti, e
quindi superflui, frutto di una cultura dominata da
principi mercantili. L’ autonomia si perde anche
quando si è coinvolti nella competizione e nella
voglia di affermarsi o in interessi legati al potere e al
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prestigio. Tutto questo produce dipendenza.
L’autonomia economica o organizzativa poco ha a
che fare con quella alla quale fanno riferimento l’AT
e la Gestalt, per le quali è autonoma la persona che
ha raggiunto risultati relativi ad una crescita interio-
re ed anche a livello sensoriale, emotivo e cognitivo.
Accanto alle nuove capacità di realizzare progetti
già avviati, di essere genitori, di affermarsi nelle
professioni, Erikson, oltre a quella dell’amore, dà
spazio ad un’altra virtù, quella “del prendersi cura”
che si manifesta nell’ “accudimento di persone e
cose”, ma anche di idee. Accanto al prendersi cura
è frequente un altro fenomeno, che Erikson consi-
dera il suo contrario e definisce stagnazione. Una
sorta di concentrazione narcisistica che porta ad
una esagerata preoccupazione per se stessi e a
situazioni di falsa intimità. Ciò che più conta è affer-
mare la propria immagine. Si è molto focalizzati su
di sé e poco disponibili verso gli altri, o ad occuparsi
della crescita e del miglioramento della società 25.
Ci sono fissazioni copionali ancora molto attive e
quello che è un naturale istinto sociale, aprirsi
all’altro, continua ad essere soprattutto una fame,
una fame di riconoscimento e quindi un insieme di
falsi bisogni, egoicamente centrati. Per il bambino il
riconoscimento è stato per un tempo una necessità
vitale, gli è servito per poter dire: ‘ci sono’. Se que-
sta attitudine permane al tempo della maturità, è il
risultato di una deviazione parassitaria verso un
surrogato che possiamo definire passione di vanità
26, di chi, per antico retaggio, ancora si spende solo
per esser visto.
Crisi e nuove possibilità
E poi segue la crisi di mezza età. E’ difficile definire i
suoi tempi. Si parla di un’età tra i 35 e i 40 anni, ma
anche di una tra i 45 e i 50 anni. Levinson 27, in
particolare, si focalizza su due periodi, 40, 45 anni,
ma anche 45, 50 e 45, 60 anni. La mezza età è
strettamente connessa alla fase della maturità ed è
difficile definire i confini tra un tempo e l’altro, varia
molto da individuo a individuo. Ancora Levinson 28
divide il periodo dai 40 ai 50 anni in due fasi distin-
te. La prima fase, 40, 45 anni caratterizza un mo-
mento della vita in cui vengono messe in discussio-
ne le proprie aspettative, i valori, e le relazioni affet-
tive. Si fa un bilancio, ci si chiede cosa si è realizza-
to e cosa resta ancora da fare. Sono anni che spes-
so coincidono con la separazione dai propri figli. La
seconda fase, 45, 50 anni, è un tempo di crisi mani-
festa, si profila una discesa, un declino, fenomeni
che possono anche favorire la crescita personale. Si
possono consolidare le relazioni e la coppia si evol-
ve verso forme amorose meno appassionate ma più
mature, grazie ad una reciproca comprensione e
accettazione dei limiti, sempre presenti nei rapporti
umani. E’ un passaggio importante. Diminuisce la
conflittualità. D’altro canto è anche un tempo in cui
i legami si rompono definitivamente. E’più frequen-
te la perdita di persone care o a noi vicine e sempre
più si assiste al decadimento fisico degli anziani. In
sintesi si prende più coscienza della finitezza e della
precarietà dell’esistenza umana. E’ facile entrare in
stati depressivi, di incapacitazione o sfiducia, fino
alla disperazione. Si chiede aiuto, si ricorre ai far-
maci e più di rado alla terapia. C’è chi reagisce e
copre la sofferenza interna con maggiore attivismo,
dandosi sempre più impegni, e magari realizzando
qualcosa di nuovo. E’ un atteggiamento che può
essere utile, a volte davvero dà spazio a nuove
visioni. Ma più spesso è solo una reazione difensiva
che allontana dal farsi domande più profonde su se
stessi e sul senso della propria esistenza. In questa
epoca di crisi, che in modo diverso colpisce uomini
e donne, in maniera implicita o esplicita, si mette in
discussione la propria vita e a volte si regredisce
anche assumendo comportamenti adolescenziali. Si
imitano i figli: innamoramenti, trasgressioni, ribellio-
ne, ma dietro c’è sofferenza. E’ da questo star male
che può nascere il nuovo. Può essere un’epoca di
trasformazione che porta dalla crisi ad una più
profonda maturità. Nella disperazione si perdono i
riferimenti, c’è bisogno di aggrapparsi a qualcosa o
qualcuno. Paradossalmente aumenta la creatività e
la capacità di guardarsi dentro e forse anche di
scoprire i molteplici potenziali che si nascondono
nei meandri della coscienza, oscurati dalla cecità
dell’ego che si è impegnato solo in poche direzioni,
molto poche, e sempre uguali a se stesse. E’ possi-
bile nel tempo dello smarrimento aprirsi ad altre
realtà che infine vengono alla luce, magari insospet-
tate. L’intero copione entra in crisi. Anche in questa
fase è importante la presenza di un mentore, un
maestro, un terapeuta. E’ il momento della vita,
anche se gli anni di riferimento sono cambiati, che
corrisponde a quello che Dante definiva con i ver-
si :“ Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai
per una selva oscura”. E’ da lì che iniziò il suo viag-
gio di conoscenza. La sua guida fu Virgilio. Molti
artisti, Mozart, Modigliani e altri, sono morti intorno
a questa età, dopo aver realizzato grandi opere
d’arte e dopo aver vissuto molta sofferenza. L’ esi-
stenza umana si è interrotta ma la loro ricerca inte-
riore è stata sublimata nella bellezza della loro arte.
Simon De Beauvoir nella sua fase di crisi così si
racconta: “Mi sembra di non avere più niente da
fare … adesso lavorare a maglia, cucinare, leggere,
ascoltare un disco, tutto mi sembra inutile. L’amore
di Maurizio dava un’importanza ad ogni movimento
della mia vita. Adesso è vuota, tutto è vuoto … il mio
errore più grande è stato di non capire che il tempo
passa” 29. Le cose cambiavano e lei continuava a
restare legata all’immagine giovanile del suo uomo,
alla sua casa, alle sue bambine e così via. Nella
mezza età comincia a profilarsi la fine del cammino.
Il corpo cambia e così le prestazioni fisiche. Anche
la mente diventa meno lucida. C’è una sindrome da
nido vuoto quando i figli se ne vanno e dà sofferen-
za, senso di perdita, non si sa che fare. E’ il tempo
del climaterio, maschile e femminile. Proprio in
contrasto con questo può emergere dallo sfondo la
polarità nascosta, una spinta per nuove esperienze
e nuova vitalità.
Evoluzione dell’adulto che matura
Tutto quanto precede è una sintesi di come si mani-
festa un adulto che matura e delle sue forme di
crisi. Mi sono ispirato ad autori specialisti in psicolo-
gia dello sviluppo e a mie elaborazioni personali.
Ora voglio dedicarmi a cosa sarebbe utile per un
adulto affinché superi i momenti difficili e continui
ad evolversi. Nella prefazione ad un testo di M. L.
De Natale si legge: “L’Unesco raccomanda
l’educazione dell’adulto per costruire un dialogo per
una cultura di pace”. E poi sottolinea: “E’ un concet-
to potente per incoraggiare lo sviluppo ecologica-
mente sostenibile, per promuovere la democrazia,
la giustizia, la parità tra i sessi e lo sviluppo sociale
e per costruire un mondo … in cui il conflitto violen-
to sia sostituito da una cultura del dialogo” 30. Ma
nulla dice su cosa si intenda per educazione
dell’adulto. Secondo la pedagogia occorre mettere
in discussione: “Stili cognitivi, relazionali, affettivi,
comportamentali, convinzioni e orientamenti valo-
riali che alimentano la personalità adulta” 31. Ha
senso. Dal nostro punto di vista sarebbe come dire
che per educare un adulto come primo passo occor-
re rimettere in gioco la propria organizzazione copio-
nale, che contiene e porta avanti un modello esi-
stenziale fissato nel tempo, con matrici organizzate
sulla base di una visione infantile. Sono programmi
legati al passato, incongruenti con il qui e ora, che
vanno aggiornati secondo le necessità e l’emergere
di temi esistenziali tipici dell’età matura. La crisi si
propone come guida. Suggerisce che è tempo di
guardare ad altro. Abbiamo scotomizzato o svaluta-
to le domande sul chi sono, sul senso della vita, non
abbiamo ascoltato il sé sottile, quello profondo, che
comunque è parte fondante della nostra coscienza.
E poi viene il momento in cui questa coscienza
chiede attenzione, reclama spazio. L’equilibrio abi-
tuale è rotto, ora c’è qualcosa da cambiare. Se gli si
dà voce, allo sconosciuto che si nasconde dietro il
malessere, oltre alle storie già note sulla madre
carente o il padre severo, che facilmente vengono in
primo piano, è possibile scoprire insoddisfazioni di
altro genere, che riguardano il significato e il valore
dell’esistenza. I vecchi messaggi di copione perdono
sempre più senso. La realtà dell’oggi, il qui e ora è
altra cosa, e già da tempo. Se ci si guarda un po’
dentro è evidente che è tutta un'altra storia. L’età
matura è il momento di dare spazio a quanto di
sconosciuto appartiene all’essere. Il richiamo, come
per la nevrosi, si presenta sotto forma di sintomi di
ogni genere e anche se si tratta di aspetti più sottili,
possono manifestarsi nel corpo. Fanno male e tutta-
via sono forme creative, come insegna la Gestalt.
Contengono in sé la soluzione. Bisogna solo appren-
dere ad interrogare il sintomo e poi ascoltarlo.
Quando ci parla, chiede di percorrere altre vie e
sempre propone alternative che spingono ad espe-
rienze di vita più vicine alla spontaneità naturale.
Quando si sa cosa manca per chiudere la Gestalt,
allora bisogna passare all’azione e ci vuole corag-
gio, ma anche la curiosità del bambino che esplora
alla ricerca del nuovo. La crisi richiama a cercare il
senso delle cose e questo include il guardare in
maniera più realistica alle effettive necessità. Forse
è tempo di un viaggio interiore che dia spazio a
visioni, comprensioni e valori che siano più coerenti
con i processi di crescita di un uomo che si evolve.
In questa direzione non c’è, come già visto, il conse-
guimento di un risultato che rappresenti la fine della
maturazione o la formazione ultima di un adulto,
per il quale non ci sono spazi ulteriori. La crescita
effettiva non ha termine. Ma l’atteggiamento della
cultura comune, non ha questa apertura. Si consi-
dera normale il degrado e lo svilimento cui sono
soggetti i vecchi del nostro tempo. La persona,
anche attraverso una forzata sopravvivenza fisica,
magari grazie alla tecnologia della salute, di fatto
perde valore e dignità. Ma questo è frutto di una
resa, frutto di ignoranza direbbe il saggio. Il poten-
ziale di crescita non si spegne per decadimento
fisico quando si coglie l’essenza dell’essere e
l’intera vita può essere dedicata alla propria evolu-
zione. Come analisti transazionali siamo anche figli
del periodo degli anni 60’ quando ci fu una grande
attenzione agli aspetti umanistici della psicologia. Si
parlava di sviluppo del potenziale umano. E. Berne
e F. Perls, pur non facendo direttamente parte di
questo movimento, ne furono entrambi influenzati.
Il fenomeno si respirava nell’aria e tutta la cultura
del tempo ne assorbì i valori. E poi ci fu di nuovo la
caduta. La estrema professionalizzazione della
terapia ha stabilito tante regole, tanti schemi, tante
metodologie e tanti copioni sul cosa si deve fare. La
spontaneità creativa, la capacità di stare come
persona con la persona nella relazione terapeutica,
ha perso centralità. Per fortuna non per tutti. La
Teoria del Copione o degli stati dell’Io, dei Giochi o
delle Transazioni non permettono di trattare le
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svariate necessità e problematiche di fronte alle
quali si trova un terapeuta del nostro tempo. Berne
e diversi suoi successori hanno preferito non guar-
dare ai valori dello spirito. Questo interesse profon-
do, sepolto sotto tante sovrastrutture nevrotiche,
viene molto prima della sua negazione o della sua
banalizzazione in forme religiose prive di un vero
sentire. Le strutture copionali sono frutto di adatta-
menti che provengono da un accordo tra mondo
interno e mondo esterno. Sono risultato di tante
voci che nelle diverse fasi evolutive hanno avuto
spazio nella dura lotta tra un Super Io che domina e
un bambino naturale sopraffatto da una cultura
nemica della spontaneità, degli istinti e del piacere,
a favore dei devi genitoriali e culturali. Sono i princi-
pi fondanti della ricerca di Freud. Nella vita di cia-
scuno di noi ci sono tanti padroni che oscurano la
matrice originaria dell’essere. Questo avviene a
livello della quotidianità, quello che il Buddhismo
definisce la dimensione relativa, che si contrappone
agli aspetti più profondi dell’esistenza, alla ricerca
del chi sono e al mistero dell’origine stessa della
vita. Il più delle volte l’esperienza spirituale viene
descritta nei termini di una incomprensibile filosofi-
a, e diventa oggetto di discorsi colti che non hanno
effetti concreti e quindi non insegnano nulla. Basi-
camente tutti seguiamo un istinto conservativo e a
fronte di conflitti o pericoli scegliamo la protezione
dell’esistenza e la valutazione è fatta da un piccolo
adulto creativo che si chiede: “Come ottengo il mag-
gior vantaggio con il minor rischio possibile?” E
opera una scelta, che poi verifica e, se funziona, la
ripete e la ripete, fino a che resta fissata nella co-
scienza e come già visto in specifiche fasce neuro-
nali, che in maniera automatica si riattivano ogni
volta che serve. Naturalmente in questo caso, dietro
la scelta ci sono un insieme di reazioni e comporta-
menti interconnessi. I nuclei di copione sono il risul-
tato tradotto in schema di un grande gioco di equili-
bri. La mente organica sosterrà il sistema psichico
dando vita ad una unica organizzazione. Ma quando
le fasi dello sviluppo, infanzia, adolescenza, giovi-
nezza sono trascorse e subentra il tempo della
maturità allora sono altre le esigenze, meno note e
comprensibili di quelle delle epoche precedenti.
Come già detto le domande sul senso dell’esistenza
si fanno più pressanti. Anche in epoche anteriori ci
sono state, è ovvio, caratterizzano l’essere umano.
Ma con la maturità, espresse o no, si fanno più
incalzanti e cresce l’ansia di risposte.
Verso la maturità
La crisi della maturità è stata più volte trattata nella
letteratura e vissuta da molti grandi artisti. Uno dei
maggiori esempi è la Divina Commedia in cui Dante,
a metà della sua vita , si ritrova in un inferno, nel
quale entra in contatto con stati di coscienza, i vizi
capitali, che governano la vita umana. Per uscire dai
limiti che non permettono di accedere ai livelli supe-
riori, bisogna conoscerlo questo inferno e sperimen-
tarlo. Dante ebbe come vizio o passione dominante,
come preferiamo dire nella cultura della psicologia
degli Enneatipi, quello dell’invidia, che lo teneva
perennemente in contatto con la sua carenza, con
ciò che manca, che da un lato costituisce motivo di
sofferenza e dall’altro stimola la ricerca di nuove
possibilità e permette di raggiungere, nel suo caso,
qualcosa di più santo, fino alla contemplazione del
divino, perlomeno nella sua opera. Alla fine del
viaggio c’è il Paradiso. Gli stati infernali sono forme
di essere e comportarsi che tutti gli umani condivi-
dono, più specializzati in una o in altra condizione.
Danno vita a copioni ripetitivi, strutture fondate su
passioni e fissazioni relative a nove tipologie basi-
che 32, nove caratteri che guidano le nostre esisten-
ze, e assumono ulteriori connotazioni secondo che
seguano l’istinto conservativo, sociale, o sessuale,
dando vita a 27 sub tipi. Poi viene la purificazione, il
purgatorio, uno stato in cui si incontrano le virtù,
forme meditative che attraverso l’assimilazione di
parole guida sostengono il cambiamento secondo
direzioni non preordinate ma virtuosamente rag-
giunte. E infine il paradiso, luogo dove si giunge per
distacco dal mondo delle passioni e si assurge alla
contemplazione del divino e alle forme ultime
dell’amore compassionevole. E’ il viaggio che, con le
debite differenze, propone anche la cultura
dell’Enneagramma, che sembra influenzò lo stesso
Dante. Dalla crisi, quindi, si trascende a livelli più
alti di coscienza e matura l’amore. L’eterna soffe-
renza per le carenze infantili vissute in un passato
che non c’è più e che oggi danno vita alle forme di
nevrosi più disparate, si trasforma. All’amore per sé,
l’amore egoico, tutto centrato sul ricevere, comincia
a subentrare l’amore compassionevole. E’ l’amore
per il quale il centro diventa l’altro e l’‘Io’ va sullo
sfondo. Paradossalmente soddisfa di più. Ma non è
tutto, il viaggio verso la propria realizzazione è com-
plesso. Miti, illusioni, principi e comportamenti che
hanno guidato l’esistenza, incisi nella nostra storia
e nella nostra genealogia, valori portanti della cultu-
ra, secondo Freud frutto di una “civiltà” condizio-
nante, nella maturità subiscono uno scossone.
Perdono credibilità e non hanno più senso. Suben-
tra incertezza e smarrimento. A cosa credere, a
cosa dare valore? Diventa più incalzante, implicita o
esplicita che sia la domanda sul “Chi sono”?. Cado-
no i riferimenti e le certezze ad attaccamenti e
bisogni che hanno stabilmente guidato la vita. Tutto
diventa più effimero. Si fa più presente il timore
della morte ed è più viva la consapevolezza di quan-
to ogni cosa sia destinata a finire. Il Bhuddha parla
di impermanenza e per la psicologia buddhista
questo principio è centrale. Ci si rende conto che
ogni cosa che si è fatta, che si è costruita, finirà o è
già finita. Per un tempo lascerà dietro di sé il ricordo
e poi più niente, il vuoto. Angoscia? Depressione?
Panico? E chi sono io? Dove finisco io? Non c’è
risposta. E’ l’angoscia esistenziale di Sartre, per il
quale il vuoto è un nulla, un non essere. C’è da
lavorare per afferrare il senso. Che senso ha questa
vita? E’ solo esercitare un mestiere, produrre, so-
pravvivere, affermarsi, essere riconosciuti? Soldi,
casa al mare, vestiti? Il potere? O soddisfare l’uno
dopo l’altro catene di bisogni che non si esaurisco-
no mai, perché sono falsi bisogni? Certo, l’amore.
Sembra il toccasana che non arriva mai. Ma quale
amore? Quello al quale generalmente si pensa è
sempre un amore egoistico, ci si avvale di ogni
forma di manipolazione per ottenerlo e alla fine non
soddisfa, resta sempre una carenza. Ancora più
difficile è darlo questo amore. Spesso è frutto di
falsa bontà e lo si dà per ottenere qualcosa, non è
amore gratuito. Forse lo si dà per ricevere riconosci-
mento o gratitudine. E dov’è l’altro? Ben venga
allora la crisi, ci dice che il desiderio non sarà appa-
gato, è una mancanza d’essere quella che fa soffri-
re, il “chi sono”, e la risposta viene da una effettiva
conoscenza di sé. Jung parla di un “bambino divi-
no”, sepolto nella coscienza che non riesce a rie-
mergere. In fondo anche Freud si riferisce a questo
quando parla di un Super Io dominante che reprime
la naturalezza, l’istintualità, di cui il bambino è por-
tatore, a cui Berne ha dato uno spazio specifico
nell’organizzazione della personalità. E’una funzio-
ne molto importante che spesso viene oscurata
dalla intellettualità razionale. C. Naranjo lo assimila
al principio dionisiaco, che manifesta la spiritualità
attraverso il piacere, frutto di un principio vitale,
eros, che trascende la sessualità e dà sapore alla
vita. È quanto propose nel mondo della terapia la
Gestalt di F. Perls. Dare spazio alla spontaneità
creativa e alla trasparenza, come antagonista di un
Super Io repressore, che impone e castiga, il Top
Dog. Naranjo, dal canto suo, fa riferimento al Picco-
lo Principe di Saint-Exupery, nel suo lavoro El niño
divino y el héroe 33. Ricorda che il principino si sen-
te soddisfatto e felice quando può bere l’acqua
fresca di un pozzo al termine di un lungo viaggio di
esperienza e scoperta e coglierne l’unicità al di
sopra ogni cosa. Questa è una via diretta per giun-
gere alla conoscenza. Al contrario, il cammino
dell’eroe, segue la via dello sforzo, come Gilgamesh
o Mahabharata ad esempio, che cercano la loro
realizzazione nelle grandi imprese. Rischiano la vita,
sfidano mostri e infine sconfiggono il drago. In que-
sto caso il viaggio è più lungo. Sono vie differenti e
anche se con tempi diversi, entrambe portano a
risultati.
Il programma SAT
I programmi SAT, creati da C. Naranjo e oggi diffusi
in molti paesi del mondo, sono particolarmente
congruenti con il nostro discorso. Si rivolgono allo
sviluppo della conoscenza di sé, attraverso un insie-
me di ingredienti che vanno dalla terapia alla medi-
tazione, con attenzione al corpo, all’energia e alla
mente. Il programma si svolge attraverso moduli
residenziali di nove giorni ciascuno, secondo un
modello che si sviluppa negli anni in un clima in cui,
tra l’altro, vige la trasparenza e la spontaneità.
Tante persone si incontrano e apprendono a darsi
sostegno reciproco, alla pari, guidati da esperti
supervisori, condividendo l’interesse per la crescita
personale e praticando modalità più vere e autenti-
che di stare insieme. Attraverso esercizi di consape-
volezza e utilizzando tecniche terapeutiche adegua-
te, si scopre come funziona il proprio mondo interno
e i modi di entrare in relazione con gli altri. E’ cen-
trale il lavoro sul proprio carattere e sulle forme
copionali che lo sostengono. La maggiore facilità dei
rapporti e l’accettazione reciproca, favoriscono la
caduta delle difese e permettono di guardare a
nuove maniere di stare al mondo e soprattutto a
metterle in atto. Tutto ciò è facilitato da una cultura
dell’accoglienza e del rispetto per la diversità. Il SAT
è un percorso di conoscenza e di sviluppo continuo
che, dalla presa di coscienza delle limitazioni pas-
sionali, crea attaccamento alle proprie posizioni
esistenziali, guida verso gli aspetti più sottili della
coscienza. Ossia, detto in altri termini, all’incontro
con la pienezza della propria natura originaria, diffi-
cile da descrivere in parole, ma che si può speri-
mentare. E’ questo l’oggetto di una ricerca spiritua-
le, incontrare la propria essenza. Un cammino che
dà forza e fiducia grazie alla scoperta che si posso-
no incontrare livelli più evoluti del proprio sé, non
soggetti alla mutevolezza della quotidianità. Questa
consapevolezza sostiene, permette di andare avanti
e di affrontare i tempi di crisi, come ad esempio le
fasi della maturità. A questo scopo, sono fondamen-
tali quegli insegnamenti che vengono da antiche
tradizioni, in particolare buddhiste, come la Vipassa-
na, lo Zen, il Vajrayana o altre. Sono scuole di sag-
gezza che oltre a dare una visione dell’uomo utiliz-
zano pratiche meditative di vario tipo che permetto-
no di entrare in comprensioni profonde ma anche in
esperienze concrete. La psicoterapia ne è stata
influenzata in particolare a partire dagli anni 60, ma
anche prima. Nel programma SAT si fa riferimento a
più approcci, non ad una sola scuola. Sono tanti i
contributi che vengono da più direzioni, non c’è chi
Pagina 22 I A T N E W S
è specialista in tutto. Va bene integrare in maniera
congruente.
L’adulto integrato
Tornando all’Analisi Transazionale ritengo che anche
Berne faccia riferimento ad uno sviluppo e ad una
crescita ulteriore. Forse è una condizione che preve-
de l’uscita dal copione o forse può rientrare in una
idea di copione positivo o ancor meglio non ha biso-
gno di essere incasellata. Mi riferisco all’Adulto inte-
grato. Si è detto molto poco in proposito e lo stesso
Berne ha lasciato un discorso aperto. Secondo alcuni
corrisponderebbe al saggio, una sorta di Bodhisattva,
tipico della tradizione buddista. Nell’Adulto integrato
34, com’è noto, convergono tutti e tre gli stati dell’Io.
In questo caso, a mio parere, non si tratta di struttu-
re ben definite e rigidamente costruite. C’è maggiore
flessibilità e ciascuna di esse si arricchisce di qualità
che appartengono a sfere superiori di coscienza. Chi
raggiunge questo stato è una persona che si distin-
gue tra gli altri. Berne parla di Ethos, Technos e Pa-
thos, Genitore, Adulto e Bambino che, sviluppandosi,
vanno a formare un adulto più evoluto. Tra gli stati
integrati dell’Io non c’è ovviamente contaminazione,
ma un fluire insieme. Così personalmente lo immagi-
no, non avendo Berne lasciato particolari indicazioni.
Però è evidente che il maestro avesse in mente ulte-
riori sviluppi per l’essere umano. Passo ora ad una
breve descrizione dei tre stati, integrata da mie ela-
borazioni. Il Genitore etico, Ethos, non ha nulla a che
vedere con la morale, i principi o le regole, che ven-
gono da norme, leggi o costumi di specifiche comuni-
tà. L’etica riguarda valori più alti e non impone obbli-
ghi. E’ frutto di maturazione e consapevolezza, quali-
tà che vengono dalla saggezza dell’uomo che cre-
scendo, abbassa il livello dei desideri ed è quindi
meno egoicamente teso a soddisfare i propri bisogni,
consapevole che molti di essi sono superflui e frutto
di attaccamento. L’Ethos guida verso l’amore altrui-
stico: la compassione. E’ una forma di amore che
non ha uno specifico oggetto, si dirige verso
l’umanità. L’Ethos raggiunge portata universale e chi
lo sperimenta ha coraggio, si offre per il benessere
altrui, sviluppa lealtà e autenticità. Il Pathos è del
Bambino che ha capacità di sentire con l’altro, di
condividere emozioni naturali, profonde, sia di gioia
che di dolore. L’adulto che integra il Pathos ha fasci-
no e spontaneità che ricordano le qualità di un bam-
bino naturale ed è anche responsabile verso il resto
del mondo. Technos è un insieme di caratteristiche
che appartengono all’Adulto. L’evoluzione porta ad
una sempre maggiore capacità di valutare in manie-
ra obiettiva i dati, e di calarsi pienamente nel qui e
ora, con attenzione al presente effettivo, concreto.
Può compiere o organizzare opere in favore di terzi e
a vantaggio della collettività, al di là dell’interesse
personale. L’Adulto integrato è la persona capace di
piena autonomia e quindi di spontaneità, consapevo-
lezza e intimità. Berne si ferma qui. Dice che non sa
come spiegare l’Adulto integrato in termini teorici e in
termini di stati dell’Io 35. Queste integrazio-
ni sono forse delle “influenze”, ma come entrino
nelle strutture o in altro non sa. Forse lo potrà com-
prendere in seguito, dice. Per quello che ne so non
ha ripreso il tema in maniera più articolata. Nella mia
visione un tale tipo di Adulto è frutto di stati di co-
scienza che per loro natura difficilmente si struttura-
no in forme rigide e organizzate. O meglio, certamen-
te questo Adulto conserva la sua logica e le sue
capacità di valutazione. Sa selezionare e scegliere, e
contemporaneamente sa di esprimersi e manifestar-
si attraverso un continuo di esperienza, guidato da
consapevolezza, si direbbe in Gestalt, che orienta al
contatto con il qui e ora, e a dare risposte creative e
congruenti con la realtà effettivamente vissuta. Se-
gue principi e valori rivolti all’autenticità e a cogliere
la vera natura delle cose, piuttosto che giudizi e
valutazioni che condizionano. E. Erikson 36 considera
l’intimità, per Berne elemento fondante
dell’autonomia e quindi dell’Adulto integrato, un
fattore caratterizzante dell’età matura. E’ la capacità
di stabilire contatti profondi senza divenire fusionali.
Ha le qualità dell’amore e permette di intendere
profondamente l’unitarietà di coscienza che intercor-
re nell’incontro con l’altro. Con nomi differenti C.
Naranjo la propone come frutto di pratiche meditati-
ve rivolte a cogliere la propria natura reale e a favori-
re la solidarietà umana. E’ il contrario dell’isolamento
nel quale si mette chi caratterialmente e come forma
difensiva sceglie la distanza e diventa osservatore
dell’esistenza piuttosto che partecipe. Secondo la
psicologia degli enneatipi, questo carattere che ten-
de al ritiro, una sorta di avarizia psichica, ha un co-
pione che lo porta ad organizzare l’esistenza in forme
egocentriche e ad allontanarsi dall’altro che diventa
un mero oggetto di osservazione. Come già accenna-
to, nella persona che cresce e avanza nella maturità
la necessità di copione o di organizzazione della
personalità in forme molto strutturate diventa sem-
pre meno necessaria. Occorre una maggiore libertà
di seguire il proprio potenziale creativo,
di inventare nuove maniere di stare al mondo, che
rispondano ad esigenze più ampie, a ‘fami’, che ad
una età matura, vadano oltre la necessità di struttura
e di riconoscimento. Se integrato, l’Adulto aggiunge
alle qualità descritte anche quelle recuperate dalla
sua natura originaria, che possiamo assimilare a
quelle del bambino istintivo e spontaneo e di un
genitore capace di amore altruistico, che darebbero
alle prime fasi dello sviluppo umano un sapore più
naturale e meno traumatico. Berne 37 parla di un
bambino eidetico, che guarda un fiore e si incanta.
Ma quando ne saprà il nome, il colore, o altre carat-
teristiche, finirà la percezione spontanea, senza
valutazione. I primi elementi che verranno alla mente
saranno quelli cognitivi, che descrivono il fiore.
La via della saggezza
L’uomo è limitato e, paradossalmente, il non volerlo
accettare gli produce sofferenza: d’altro lato, è pro-
prio la sofferenza che lo spinge alla crescita e, per
seguire il nostro discorso, a sviluppare un adulto
evoluto. Un adulto che concretamente, con le sue
azioni, abbia un’effettiva attenzione per l’altro, maga-
ri attraverso i suoi impegni umanitari o come tera-
peuta, che al centro della propria attività metta un
interesse per l’uomo, piuttosto che limitarsi alla
tecnica, alla metodologia o alle indagini sulla patolo-
gia. Educare a forme più sagge di esistenza produce
un effetto positivo per il benessere della collettività.
La terapia può avere una grande funzione sociale
quando la cura del malessere psichico si associa alla
comprensione dei valori dell’esistenza e le dà signifi-
cato. Il lavoro nei gruppi SAT, formati anche da centi-
naia di persone, sta dando risultati importanti,
e relativamente in breve tempo. Tramite il mio contri-
buto, nel SAT è presente anche l’Analisi Transaziona-
le. A partire dall’eredità ancora inesplorata dell’idea
di Adulto integrato, a me sembra che l’AT abbia in sé
l’implicita visione che lo sviluppo personale possa
durare per tutta l’esistenza. Nella nostra epoca, nella
quale tanti valori sono caduti e quelli nuovi stentano
ad emergere, sembra quasi sincronico che maestri di
saggezza vengano dall’oriente in occidente. Le con-
tingenze storiche hanno favorito questo movimento,
anche se a costo di drammi che hanno coinvolto il
Tibet e le sue popolazioni. Maestri tibetani e non solo
ci portano le loro millenarie esperienze, patrimonio
prezioso per raggiungere la conoscenza di sé oltre i
limiti dell’ignoranza sul chi siamo 38. Ma anche ci
insegnano come superare gli attaccamenti passionali
ad una realtà effimera, che cambia di continuo, sen-
za certezze, e che tuttavia ci appare assoluta. Di
fatto non ci rendiamo conto che ogni cosa, ogni vita,
e tutte le esperienze si esauriscono e terminano.
Questi stessi maestri hanno speso le loro esistenze
per conoscere e insegnare l’amore altruistico, verso
gli esseri tutti. La compassione.
NOTE:
1. (De Natale Maria Luisa, 2001)
2. (Farneti Alessandra, 1998)
3. Definizione in Enciclopedia Treccani
4. (De Natale Maria Luisa, 2001)
5. (De Natale Maria Luisa, 2001)
6. (Farneti Alessandra, 1998)
7. (Ouspensky P.I., 1976)
8. Stati emozionali incongruenti ed esagerati,
(Naranjo Claudio, 1996)
9. (Ferrara Antonio, Febbraio 2012)
10. (Farneti Alessandra, 1998)
11. idem
12. idem
13. idem
14. idem
15. idem
16. Idem
17. Idem
18. Idem
19. Idem
20. (Beisser A.R., 1983)
21. (Farneti Alessandra, 1998)
22. (Schmid Bernd, 2010)
23. (Farneti Alessandra, 1998)
24. Idem
25. Idem
26. (Naranjo Claudio, 1996)
27. (Farneti Alessandra, 1998)
28. Idem
29. Idem
30. Introduzione: Unesco V Conf. Intern. Amburgo,
1997 (De Natale Maria Luisa, 2001)
31. Idem
32. (Naranjo Claudio, 1996)
33. (Naranjo Claudio, 1994)
34. (Berne Eric, 1964)
35. (Berne Eric, 1970)
36. (Farneti Alessandra, 1998)
37. (Berne Eric, 1964)
38. (Namkhai Norbu, 1987)
Bibliografia
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Scilligo, & S. Barreca, Gestalt e Analisi Transazionale Vol.II. Roma:
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Berne Eric. (1970). Analisi Transazionale e Psicoterapia.
Roma: Astrolabio.
De Natale Maria Luisa. (2001). Educazione degli adulti.
Brescia: Ed. La Scuola.
Farneti Alessandra. (1998). Elementi di psicologia dello sviluppo.
Roma: Carocci.
Ferrara Antonio. (Febbraio 2012). Teatro Trasformatore.
IAT News n.5 .
Ferrara Antonio. (2008). Tradizione e innovazioni in Psicoterapia della
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Milano: Franco Angeli.
Namkhai Norbu. (1987). Il cristallo e la via della luce.
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Naranjo Claudio. (2012). 27 personajes en busca del ser.
Barcelona: Ediciones La Llave.
Naranjo Claudio. (1996). Carattere e nevrosi - L'enneagramma dei tipi
psicologici. Roma: Astrolabio Ubaldini Edizioni.
Naranjo Claudio. (1994). El niño divino y el heroe. Malaga: Sirio.
Ouspensky P.I. (1976). Frammenti di un insegnamento sconosciuto.
Roma: Astrolabio.
Schmid Bernd. (2010). Il concetto di ruolo in Analisi Transazionale.
Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane
n.54-2010 .
Pagina 23 I A T N E W S
Saluto a Carla Giovannoli Vercellino
El viaje definitivo
E io me ne andrò. E resteranno gli uccelli a cantare e resterà il mio giardino, col suo verde albero e col suo pozzo bianco …
Juan Ramón Jiménez
Voglio ricordarti attraverso le parole di Edgar Morin, filosofo a te caro, che tanto aveva colpito il tuo intelletto e il tuo spirito. Credo che le sue parole ti definiscano perfettamente quando parla di insegnamento educativo. “La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero”. (Morin 1999)
Questa era la tua forza e la tua capacità più grande, quella di andare oltre il sapere, di andare verso le persone e con loro camminare in modo umile alla ricerca di un senso ulteriore.
Ti ricordo nel coraggio di avere curiosità e voglia di sperimentare con l’entusiasmo e la meraviglia di un bambino.
Ti ricordo nella precisione e nella fermezza etica con cui rispettavi te, gli altri e l’A.T., a cui hai dedicato la vita.
Il tuo “giardino” verrà sicuramente coltivato perché tu lo hai lasciato a tutti noi come dono ricco di opportunità … tuttavia sentiremo la mancanza di quella tua mano attenta e sicura che sapeva distribuire carezze e limiti con la stessa dolcezza, fermezza e amore..
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GRUPPO BENESSERE E INTIMITA’ di Gaetano SISALLI
Psichiatra
AnalistaTransazionale
PTSTA P
Il “benessere” è un concetto che, in modo particolare nel secolo passato, è stato oggetto di attenzio-
ne e ha subito diverse modifiche ed ampliamenti. Il dibattito relativo a questo concetto ha coinvolto
anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha capovolto l’assunto secondo il quale il benes-
sere rappresenterebbe l’assenza di patologia, per affermare che il benessere è caratterizzato da uno
stato complessivo di buona salute fisica, psichica e mentale.
L’OMS indica come benessere lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere
che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società.
I cinque aspetti, emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale, è opportuno siano equilibrati tra loro e
da questo equilibrio, dipende il miglioramento del benessere individuale.
Il concetto di benessere si estende oltre l’individuo per comprendere l’ambiente (per cui si
parla di benessere ambientale), le organizzazioni (per cui si parla di benessere nelle organiz-
zazioni) e così via.
In questo lavoro il mio scopo è individuare cosa possiamo intendere per benessere in un
gruppo di terapia e come questo si realizza.
Quando parliamo di benessere non possiamo fare a meno di ricordare la piramide di Ma-
slow. Nel 1954 Maslow pubblicò "Motivazione e personalità", testo storico della psicologia
umanistica, dove espose una sua teoria delle motivazioni. Egli individuò una gerarchia di motiva-
zioni rappresentate attraverso la figura di una piramide, alla base della quale si trovano le motiva-
zioni umane più basse, che originano da bisogni primari/fisiologici, per arrivare a quelle più alte,
volte alla piena realizzazione del potenziale umano: l’autorealizzazione. L’idea di Maslow era che, via
via che i bisogni di base vengono soddisfatti, l’individuo passa per gradi alle motivazioni di livello più
elevato: dai bisogni connessi alla sopravvivenza (primo livello), passa a quelli connessi alla necessità
di protezione e tranquillità (secondo livello), all’esigenza poi di sentirsi parte di un gruppo, di essere
amato e di amare (terzo livello), per arrivare al bisogno di essere rispettato e approvato (quarto livel-
lo) e, infine, approdare all’esigenza di realizzare la propria identità e occupare una posizione soddi-
sfacente nel proprio gruppo.
Questi elementi sono stati individuati da Maslow nel secolo scorso e potrebbero sembrare superati
se consideriamo l’evoluzione sociale e tecnologica avvenuta in questi sessant’anni nel mondo occi-
dentale. A questo proposito, utilizzando le nuove tecnologie, in particolare internet, sono andato a
cercare quali cambiamenti nei bisogni e nelle motivazioni fossero stati individuati. Con mia sorpresa
e interesse ho trovato un autore, Luca De Felice, che, partendo dalla scala di Maslow, ha costruito la
Piramide di COSMA, una nuova scala di bisogni adattata al nostro periodo storico.
La proposta di De Felice prevede:
1) Bisogno di Connessione (Bisogni fisiologici): PC; Cellulare – necessità di essere presenti, connessi
con il mondo. Senza PC non si può lavorare, senza Cellulare non si può addirittura uscire di casa.
2) Bisogno di Orientamento sensoriale (Bisogni di sicurezza): GPS; e-mail; Wi-Fi; iPod; chiave dati
USB – piccoli oggetti che sono ormai diventati scontati, delle vere e proprie commodity, che ci per-
mettono di orientarci e organizzarci nel mondo che ci circonda, dandoci sicurezza.
3) Bisogno di Socialità: strumenti di Social Networking (e. g. MySpace, LinkedIn); Social Software (e.
g. Twitter); Mobile Social Software (Mo. So. So., come Jaiku); Game Console (e. g. Wii; Xbox 360;
PS3) – tutti quei SW e HW che permettono di crearsi una community, appartenere ad un gruppo ed
interagire con altre persone.
4) Bisogno di Medialità: Blog; Do It Yourself (DIY) Media (e. g. YouTube) – necessità edonistica di
essere visibili, di partecipare attivamente tramite strumenti cross-mediali.
5) Bisogno di Autocelebrazione: Home Theatre; TV LCD Full HD; Vivavoce bluetooth integrato
nell’auto – strumenti che danno alla persona, oltre che piacevolezza nel loro utilizzo, un senso di
appagamento e realizzazione.
Se mettiamo le due scale a confronto, ciò che mi è parso interessante è il fatto che i bisogni non
hanno più a che fare con percorsi evolutivi personali e di integrazione sociale, ma piuttosto con il
possesso e l’utilizzo di oggetti tecnologici. La “persona” è sostituita dal “possesso o uso di oggetti
tecnologici” via via sempre più sofisticati: sono questi oggetti tecnologici che diventano oggetti del
“desiderio”. In breve, la “persona” diventa funzione della tecnologia ed è questa ad avere bisogno di
evolversi per costruire nuovi bisogni.
Sembra che l’autorealizzazione che diventa autocelebrazione, rappresenti in modo straordinario un
inno al narcisismo, che può fare a meno della relazione.
Nella mia ormai lunga esperienza di psicoterapeuta e di conduzione di gruppi, ho visto quanto il
benessere sia legato a bisogni che muovono da desideri inconsci, strettamente correlati alla relazio-
ne con “l’altro” da sé e non con oggetti tecnologici che creano dipendenza.
Partendo dai concetti che mi appartengono come analista transazionale, ho immaginato che il be-
nessere sia collegato ai cicli di vita attraverso la possibilità di darsi permessi, in particolare ho osser-
vato che:
nell’ infanzia è importante il permesso di esistere;
in adolescenza prevale il permesso di appartenere e di individuarsi;
in fase di giovane adulto o post-adolescenza è importante darsi il permesso di separarsi per vivere relazioni interpersonali;
in età adulta si passa al permesso di trasformare una parte delle proprie illusioni in realtà;
infine nell’anziano un buon permesso è collegato all’ accettazione dei propri risultati e dei propri fallimenti e della morte come parte fondante della propria vita.
Ciò che è trasversale a tutte le età e che favorisce i permessi necessari al benessere nei vari cicli di
vita, è il bisogno di “essere compresi” e “amati”, il bisogno di amare e di sentirsi importanti per sé e
per gli altri.
A questo bisogno si contrappone, nel nostro periodo storico, il “sospetto” che agli altri non interessi
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proprio nulla di noi e che la vita sia una competizione con gli altri per la soprav-
vivenza.
Si realizza la “presenza” di un “mancante”. Il “mancante”, come è evidente
nella piramide COSMA, è l’altro: a questo “mancante” corrisponde l’angoscia
annichilente della solitudine, che ci costringe a riempire il nostro tempo
nell’acquisizione di competenze necessarie al funzionamento della tecnologia.
La società attuale, infatti, si caratterizza per l’acquisizione di competenze e
non di conoscenze.
La competenza è orientata al “fare” e chiaramente al “saper fare”:
vedi piramide di Cosma (per utilizzare gli strumenti descritti nella piramide
bisogna avere competenze nell’uso della apparecchiatura, non è necessario
sapere come sono state realizzate);
La conoscenza è orientata all’essere: vedi piramide di Maslow (per arrivare
all’apice della piramide bisogna costruire significati, relazioni, consapevolez-
ze, tutti elementi in cui il “fare” è in funzione dell’ “essere”).
Il concetto di benessere, per E. Berne, sembra essere collegato al concetto di
intimità:
“l’intimità è il modo di strutturare il tempo insieme più rischioso, per il coinvolgi-
mento emotivo che comporta, ma anche più vantaggioso, perché contribuisce
alla stabilità psichica individuale e al rafforzamento delle relazioni, ma in senso
non copionale e senza incorrere in sentimenti spiacevoli, come nel caso dei
giochi”… “L’intimità comprende il condividere sentimenti, pensieri o esperienze
in una relazione aperta, onesta e fiduciosa.
L’intimità dunque è una relazione disinteressata, priva di giochi e dunque di
scopi ulteriori, al di fuori del dare e dell’avere e senza sfruttamento reciproco”.
“L’intimità è una franca relazione Bambino-Bambino aliena da giochi e dallo
sfruttamento reciproco. Viene stabilita dagli stati dell’Io Adulto delle parti inte-
ressate, in modo che essi capiscano bene i mutui contratti ed impegni, a volte
senza che sia detta un sola parola su questa questione. Man mano che
l’accordo si delinea sempre più nettamente, l’Adulto si ritira gradualmente dalla
scena e, se il Genitore non interferisce, il Bambino diventa sempre più emanci-
pato e libero. Le autentiche transazioni intime avvengono tra i due stati dell’Io
Bambino. L’Adulto, però, rimane sempre presente come soprintendente, per
controllare il rispetto degli impegni e delle limitazioni. Inoltre l’Adulto ha il com-
pito di impedire al Genitore di intromettersi e di guastare la situazione. Infatti la
possibilità di una relazione intima dipende dalla capacità dell’Adulto e del Bam-
bino di tenere a bada, se necessario, il Genitore; ma è preferibile che il Genitore
dia il suo benevolo consenso alla continuazione della relazione o –meglio anco-
ra – che l’incoraggi. L’incoraggiamento parentale aiuta il Bambino a perdere la
sua paura dell’intimità (…). Una volta che il Bambino è libero dalla circospezio-
ne adulta e dalle critiche parentali, prova un senso di esultanza e consapevolez-
za. (…). Egli é libero di reagire direttamente e spontaneamente a ciò che vede,
ascolta e sente. Grazie alla loro fiducia reciproca, le due parti si rivelano libera-
mente i loro mondi segreti di percezione, esperienza e comportamento e non
chiedono nulla in cambio fuorché la soddisfazione di aprire senza paura i can-
celli di questi domini privati.”
Nella terapia di gruppo l’intimità si raggiunge dopo diverso tempo e nel ciclo di
vita del gruppo rappresenta per Berne il momento in cui si è raggiunta una
imago di gruppo secondaria. In breve l’intimità si raggiunge quando la pressione
transferale, manifestata attraverso i giochi, si riduce o non ha motivo di essere
e possiamo vedere l’altro come altro da sé.
Come sappiamo, una caratteristica del setting di gruppo in AT è quella di consi-
derare il gruppo come gruppo di lavoro, in cui c’è spazio per individuarsi nel
gruppo. Questa caratteristica lo differenzia dal gruppo psicoanalitico che rimane
prigioniero dentro gli assunti di base che paralizzano proprio il processo di indi-
viduazione.
Il processo di individuazione è correlato nella scala evolutiva al benessere
e questo, come abbiamo detto, in AT è correlato al raggiungimento dell’intimità.
Io penso che il raggiungimento del benessere sia correlato ad un processo
trasformativo in cui l’altro è agente attivo di questa trasformazione.
Nella psicoterapia l’altro è rappresentato dai derivati del suo mondo psichico,
che nella terapia di gruppo corrispondono agli esiti relazionali delle imago
interne.
Per questo motivo ritengo importante prendere in considerazione i processi che
nella terapia di gruppo avvengono tra i confini del gruppo, non solo tra i confini
principali interni, come sosteneva Berne, ma anche tra i confini secondari e con
l’ altro importante confine del gruppo in quanto gruppo.
Nella teoria Berniana sembra che bisogna arrivare alla imago differenziata
perché si realizzi una intimità nel gruppo. Questo modello è coerente alla tecni-
ca berniana in cui si privilegiava una terapia individuale in gruppo e la dinamica
del gruppo, per quanto descritta, veniva lasciata sullo sfondo.
L’intimità in questo caso sembra far riferimento al singolo soggetto e il benesse-
re sembra essere individuale. Ma nel setting di gruppo ritengo che i due tipi di
“benessere” si influenzino a vicenda.
Come ho affermato prima, se
il benessere è associato ad un
processo trasformativo in cui
l’altro è agente di questa trasfor-
mazione, nella terapia di gruppo,
il gruppo è coinvolto nel benesse-
re dei singoli componenti e del
gruppo nel suo insieme, attraver-
so gli eventi psichici che interes-
sano i tre confini che lo caratte-
rizzano. A questo proposito trovo
più semplice un modello di
confini nel gruppo che prevede:
Un confine intrapersonale=
esito di un dialogo interno.
Un confine interpersonale=
risultato di una transazione tra
componenti del gruppo, tra cui è
compreso anche il terapeuta.
U n c on f i ne d i g r upp o =
risultato di una transazione che
il gruppo condivide a livello trans
personale.
Ritengo che si raggiunga un livello di intimità nel gruppo quando i tre confini che
lo caratterizzano entrano in risonanza.
Quando i mondi psichici dei componenti del gruppo si incontrano senza filtri,
superando le paure distruttive connesse all’incontro con l’altro.
L’esperienza caratteristica del raggiungimento di una intimità in gruppo è
confermata quando i componenti del gruppo inconsapevolmente sentono
il bisogno di affermare e condividere con gli altri “oggi è stato un buon gruppo”
il cui senso è “oggi mi sono sentito parte del gruppo, compreso e amato e ho
amato e compreso gli altri che sono usciti dallo stigma del loro copione per
entrare a far parte del mio mondo psichico” contaminandolo in un processo
trasformativo. “Ho la sensazione di essere cresciuto”.
La manovra terapeutica che favorisce il processo di risonanza tra i tre confini
può essere una “chiarificazione” o “esplicitazione” di un processo inconscio che
coinvolge più componenti del gruppo attraverso una interpretazione relazionale.
Questa manovra ha la funzione di rendere esplicito un accadimento implicito
emotivamente, rilevante nella relazione tra i componenti del gruppo: in AT
diremmo quando si rende esplicito il livello psicologico della transazioni
transpersonali.
E’ una manovra effettuata dall’A del terapeuta che è diretta a tutti e tre gli stati
dell’Io dei componenti del gruppo (manovra al centro del bersaglio), che ha per
effetto l’introiezione nell’imago di gruppo del singolo componente di un nuovo
elemento . Questo nuovo elemento non ha a che fare solo con l’imago chiarifica-
ta del componente del gruppo ma probabilmente con l’introiezione del gruppo in
quanto tale come parte del proprio mondo psichico.
Per concludere penso che vivere un momento di intimità nel gruppo favorisce
il processo di individuazione attraverso due meccanismi:
il primo collegato al processo che conduce ad una imago differenziata,
il secondo attraverso l’introiezione di una nuova imago che riguarda il gruppo in
quanto gruppo, quel gruppo a cui in quel momento “appartengo” e che rimarrà
fissato nella mia memoria come evento emotivamente trasformativo.
Pagina 26 I A T N E W S
IL LIFELONG LEARNING E LA RELAZIONE DI APPRENDIMENTO NELLA SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA di Cesare FREGOLA
PTSTA in Campo Educativo,
membro del Consiglio direttivo
dell’IAT, Coordinatore del
Master in Counselling
Analitico Transazionale in
Campo Educativo e
Formativo Performat,
sede di Roma.
Premessa
Come è noto, l’apprendimento è un insieme complesso
di fenomeni caratterizzato da dimensioni biologiche,
sociali e culturali, che si sviluppa per ogni individuo con
delle specificità e intensità che scandiscono il passaggio
di ogni fase del ciclo di vita, in funzione delle interazioni
relazionali e di quelle che caratterizzano le situazioni, i
contesti e l’ambiente in cui si svolge la quotidianità.
Da sempre, è rimasto nell’implicito e nell’immaginario
collettivo che si impara per tutta la vita, che si acquisi-
scono saperi e si formano competenze relazionali in
ogni fase dello sviluppo, in ogni transizione ecologi-
ca (Brofenbrenner, U., 1979)1 che scandisce i
ruoli sociali dalla nascita come figlio a scolaro,
studente, studente universitario, laureato; nel
primo lavoro, nei ruoli lavorativi e nei ruoli che
definiscono gli sviluppi di carriera e poi … il
matrimonio, essere moglie, marito, la nascita
dei figli, l’età anziana (Erikson, H., 1950,
1959)2. Ci sono apprendimenti che si acquisi-
scono, si sviluppano e si consolidano traman-
dandosi insieme alla cultura che li veicola (Berger
P. L., Luckmann T., 1969)3.
Di fatto, nella società industriale e post industriale, che
ha caratterizzato lo scorso secolo fino all’avvento
dell’era dell’accesso (Rifkin, J.,1999)4, è come se si
fosse stabilito anche per la definizione delle esperienze
e dei luoghi e modi dell’apprendimento, un approccio
tipico dei processi produttivi di tipo tayloristico, che si
riconducono a un paradigma5 meccanicista (Campagna,
L., Pero,L., 2000)6.
Un paradigma che nell’educazione, nella formazione e
nell’insegnamento, si può leggere come un approccio
predefinito in modo lineare, prevedibile, strutturato in
sequenze preordinate, ciascuna delle quali si specializza
e approfondisce alcuni aspetti con il rischio che, in as-
senza di visione d’insieme e di sintesi, possa esserci
una frammentazione delle conoscenze. Quello che e-
merge da un paradigma meccanico-razionalista è un
modello di apprendimento basato sull’arricchimento di
un patrimonio dato, che cresce linearmente e progressi-
vamente fino a stabilizzarsi nelle forme esperienziali del
patrimonio conoscitivo.
Su questo presupposto si parla di aggiornamento e
formazione ricorrente più che di apprendimento per
tutta la vita.
La metafora della società della conoscenza (Alberici, A.,
2002)7, o dell’apprendimento, invece, può essere as-
sunta come immagine descrittiva ed evocativa della
nuova condizione umana, che si è determinata, e si sta
determinando, in funzione di:
tecnologie dell’informazione e della comunicazione-
TIC, la rete, che hanno dato all’economia, come fon-
damento ‘strutturale’, una interconnessione reale e
virtuale che impatta nei luoghi e nei modi della comu-
nicazione interpersonale (da facebook a twitter, dalla
posta elettronica ai portali di internet …);
sviluppo individuale e sociale in un villaggio globale 8
in cui vivono, lavorano e si organizzano donne e uomi-
ni che, si incontrano o si scontrano, ogni giorno, con
un nuovo capitale delle conoscenze e delle interazioni
multietniche e interculturali.
Man mano che si procede nel confronto tra il paradigma
meccanico-razionalista e quelli che si sono succeduti 9,
si nota che l’apprendimento diviene più complesso,
soprattutto a causa della crescente esigenza di flessibili-
tà, dinamicità e obsolescenza di molti contenuti e prassi
che rappresentano gli oggetti dell’apprendere.
Nel paradigma taylorista, il modello di gestione delle
conoscenze è quello tradizionale, teso come è noto, a
cogliere e a definire le abilità necessarie a svolgere i
ruoli sociali e quelli professionali che erano prerogativa
esclusiva della famiglia, della scuola, delle arti e dei
mestieri, oltre che delle professioni. I processi di ap-
prendimento si potevano sviluppare prevalentemente
per modeling e per affiancamento con gli esperti, a
partire da una base fondante i saperi minimi comuni di
tipo trasversale. Il grande movimento di formalizzazione
ed esplicitazione delle conoscenze che ha percorso il
‘900, è stato a sua volta un rivolgimento di paradigma
rispetto alla prima industrializzazione e ai mestieri in
essa confluiti. Il cambio di paradigma nella gestione
delle conoscenze, a partire dagli anni novanta del seco-
lo scorso, è innanzi tutto collegato al cambiamento, sia
dei contesti socio-economici, sia dei contesti cognitivi, in
quanto si è modificato il baricentro rispetto alle determi-
nanti principali delle conoscenze, passando da un mo-
dello basato sullo sfruttamento della conoscenza a un
modello basato sulla esplorazione, ricerca, assimilazio-
ne e integrazione di nuove conoscenze e competenze
(Campagna, L., Pero,L., 2000)10.
Nel passaggio da un ambiente relativamente stabile a
un ambiente continuamente sollecitato da processi
d’innovazione, oltre a rinnovati e continui confronti con
le risorse economiche e culturali, i contesti
dell’apprendimento si sono via via ridefiniti 11.
Le principali caratteristiche rilevate, rispetto a questo
processo, riconducono i contesti a:
riorientare l’innovazione tecnologica da strumento
da apprendere a elaboratore di sistemi di cono-
scenze individuali, organizzative e sociali;
spostare l’attenzione dalla curva di esperienza alla
relazione risultati/obiettivi/risorse;
integrare gli aspetti del saper fare a quelli conosci-
tivi del Know-how, piuttosto che mantenere la
netta separazione fra i due mondi, introducendo
alla contrapposizione del sapere vs. il saper fare,
quella del sapere essere vs. il saper divenire.
Si può dire, più in generale, che il passaggio dal fordi-
smo al post-fordismo sia stato caratterizzato da un insie-
me di mutamenti di tipo logico, come per esempio:
la varietà di luoghi di applicazione delle conoscenze;
la centralità delle conoscenze che, da essere deposi-
tate presso i ruoli di potere, si sposta sui ruoli capaci
di dare valore alle conoscenze;
la gestione delle proprie competenze come un siste-
ma, in cui la persona è posta al centro di un appren-
dimento, funzionale a mettere in atto le capacità che
consentono di esprimere il meglio di sé personale e
sociale.
Uno dei rischi che ne conseguono, per la relazione che
ogni individuo ha con il proprio apprendimento, è quello
di focalizzarsi su sistemi di convinzioni, usi consueti e
rassicuranti, o su aspettative magiche o comunque
irrealistiche, rispetto alle configurazioni che invece è
necessario delineare per esprimersi mantenendo la
propria identità e il senso di appartenenza, in un conte-
sto evolutivo sollecitato da istanze di innovazioni conti-
nue. Spesso le azioni necessarie a fronteggiare le situa-
zioni comunicative che si vanno a determinare, sono
messe in rapporto con l’entropia informativa, che non
può essere ricondotta al paradigma meccanicista senza
una revisione del senso e dei significati, che si sono
trasformati o mantenuti e, almeno, ricontestualizzati.
Il rischio, in altre parole, è l’effetto della Torre di Babele,
dove tutto è comunicato, ma è sempre più difficile capi-
re e, soprattutto, capire il senso di ciò che è agito. Una
Torre di Babele della complessità, laddove con le stesse
parole si intendono portatori di significato differenti 12
mentre, nella Torre di Babele della linearità, con parole
diverse si indicavano le stesse cose e gli stessi significa-
ti.
Il paradigma di riferimento che ha preceduto quello
della Società della Conoscenza, è quello simbolico cultu-
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rale. Secondo questa lettura della realtà, l’interazione è terreno di incontro/
scontro tra vari sottogruppi sociali o tra coalizioni di interessi in competizione
per l’egemonia; viene osservata dal punto di vista del conflitto tra diverse cultu-
re e tra diversi valori simbolici e ogni nucleo sociale e di interessi, esprime un
singolare modo di vedere i problemi mediante un linguaggio tipico 13.
Il lifelong learning
Sulla base della premessa, si possono ipotizzare i riferimenti che danno senso
al concetto di lifelong learning. Quando si parla di lifelong learning, infatti, i
contenuti che entrano in gioco, oltre all’area cognitiva, interessano anche le
altre aree dell’apprendimento: quella affettiva, quella socio-relazionale oltre a
quella comportamentale. L’esito dell’apprendimento può diventare attivatore
principale di quei processi emotivi che influenzano la percezione della comuni-
cazione sociale, all’interno della relazione che consente di abitare i propri ruoli
organizzativi, professionali, privati (Napper, 2011) 14. L’apprendimento, per
quanto si tenti di ricondurlo a una matrice cibernetica di tipo razionale, di fatto,
è un processo governato da aspetti dinamici di natura psicologica e sociale,
poco misurabili, sui quali esercitare un controllo sociale consapevole è cosa
assai complessa, ammesso che possa essere possibile, oltre che necessario.
Inoltre, proprio poiché relativo all’interazione fra ruoli e contesti che cambiano,
mutano, si trasformano, l’apprendimento si muove con la storia delle persone
e sembra più aderente a una concezione simbolico-culturale. Così la relazione
fra la persona e il proprio apprendimento può essere intesa come un nesso, un
legame che si stabilisce fra l’individuo, lo sviluppo nel proprio ciclo di vita e i
ruoli che andrà a ricoprire e a svolgere all’interno di un contratto, che si deter-
mina in modo esplicito e implicito con l’ambiente.
Il lifelong learning sancisce il passaggio da un sapere utile per tutta la vita, che
si poteva immagazzinare nelle prima fasi dell’esistenza e dell’ingresso nel
mondo del lavoro, orientato al saper fare e al saper essere, a un sapere utile
per apprendere per tutta la vita, che oltre al saper fare e al saper essere, è
orientato al saper divenire, in funzione di comportamenti instabili che possono
riferirsi almeno ai seguenti tre principi (Alberici. A., 2002):
una concezione dello sviluppo umano contrassegnato da processi dinamici
all’interno dei poli continuità-discontinuità;
un concetto di sviluppo che, di norma, viene utilizzato per indicare un proces-
so che ha un inizio e una fine nell’età evolutiva e che ora, va oltre, pervaden-
do anche le altre età della vita;
un concetto di cambiamento che si presenta di contro al concetto di svilup-
po, come interpretativo della possibilità continua di cambiamenti in tutte le
fasi della vita umana e definisce, quindi, la complessità e la dimensione
plastica della vita adulta nel continuum dell’esistenza.
L’età adulta si presenta così non come fase conclusiva dello sviluppo evolutivo
ma come fase di un processo continuo.
L’AT e la relazione di apprendimento
Il Campo Educativo dell’AT può offrire un contributo rilevante in quanto può
dare supporto nel presidiare la generazione di sapere contestuale e situaziona-
le, quello qui e ora (inteso rispetto al momento sociale e culturale del presen-
te), attingendo dal mondo esterno i saperi necessari e trasformandoli in un
sapere che può essere definito sapere dinamico, in quanto interagisce con il
mondo interno, con il sistema di riferimento 15, allo scopo di integrare innova-
zione e tradizione 16, facilitando la rielaborazione dell’identità in una rinnovata
prospettiva multiculturale.
Come è noto fra addetti ai lavori, Pearl Drego 17, analista transazionale india-
no, ha introdotto il costrutto del Genitore Culturale riprendendo la descrizione
di Berne della cultura di gruppo, riferita ad aspetti tradizionali (group etiquette
o Etiquette), aspetti tecnici razionali (technical culture o Technicalities), aspetti
emozionali (group character o Character). Il Genitore Culturale viene introietta-
to nel G2 e va a caratterizzare alcuni stereotipi culturali risultanti dalla interna-
lizzazione di modalità culturali di risposta. Come dire che per ogni situazione
c’è la risposta giusta, socialmente accettata, culturalmente condivisa. Ora, per
definizione, le risposte “automatiche”, se non sono protettive per sé, per l’altro
e per il contesto, se non sono correlate al qui e ora con la guida dell’Adulto,
possono appartenere alla contaminazione del Genitore sull’Adulto.
A riguardo, in una ricerca che abbiamo in atto presso la cattedra di Pedagogia
Sperimentale del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
dell’Università Roma Tre 18, si intende validare la seguente ipotesi: poiché il
Genitore Culturale è cambiato ed è cambiato il modo in cui l’Adulto può proces-
sare le informazioni che provengono dall’ambiente, si può lavorare sulla rela-
zione di apprendimento nella prospettiva del lifelong learning, all’interno di un
contratto in cui le dimensioni cognitive, meta-cognitive e affettive
dell’apprendimento, diventano “oggetto” di counselling pedagogico per lo svi-
luppo dell’Autoefficacia e il progresso dell’Autonomia.
Va da sé che le competenze relative all’AT, da sviluppare in chi svolge ruoli
educativi e formativi, rappresentano un repertorio rispetto al quale tracciare
confini, conoscenze, responsabilità e punti di equilibrio fra il Sistema di Riferi-
mento personale e il Sistema di Riferimento Sociale. I primi risultati della ricer-
ca hanno condotto a individuare 5 definizioni di Genitore Culturale che dimo-
strano che si stanno delineando forme di comunicazione necessarie per costru-
ire o ricostruire modalità di incontro, di confronto, di scambio, di collaborazio-
ne, finalizzate a contribuire alla elaborazione di adeguate relazioni educative.
Figura 1. La relazione di apprendimento è un contratto fra l’individuo e
i propri ruoli privati, professionali, sociali, nell’interazione fra il conte-
sto“interno”-Persona e il contesto“esterno”-Ambiente socio-culturale.
In particolare, nel contesto esterno, una difficoltà che si presenta è caratteriz-
zata dal fatto che sia necessario utilizzare nuovi e rinnovati codici della comu-
nicazione sociale e che, questi codici, vadano rapportati alle caratteristiche dei
luoghi reali e virtuali nei quali si sviluppano processi di comunicazione specifici.
Con lo sguardo dell' Analisi Transazionale, il costrutto del Genitore Culturale, di
fatto, consente di ampliare il campo di osservazione a fenomeni interni, intrap-
sichici, che possono attivare possibili azioni pedagogiche che intervengono nel
processo di comunicazione didattica. Nella comunità dell’AT “l’educazione e/o
la crescita della personalità, così come lo sviluppo all’interno della cornice
sociale di riferimento”, è lo scopo del campo educativo (EATA). Così si intende
contribuire a rendere attive le indicazioni dell’EATA che, per ciò che riguarda
l’ambito educativo, propone nuove prospettive su come le persone apprendono
e su come l’educazione e la formazione possono essere più efficaci; nuove
intuizioni sugli approcci educativi, inclusi l’apprendimento esperienziale,
l’education centrata sullo studente, l’apprendimento auto-diretto e gli stili di
apprendimento; modalità di operare in modo differente quando le cose vanno
male o si bloccano; una teoria “libera-da-paure” che renda l’insegnamento e
l’apprendimento più godibili 19.
Nella Figura 2 sono indicati i macro-contenuti della formazione in AT, integrata
ai processi di apprendimento e di insegnamento, che si sta sviluppando nella
formazione dei ruoli educativi e formativi.
Cesare Fregola
CONTESTO SOCIALE E CULTURALE
SAPERE DELL’INNOVAZIONE
SAPERE
DELL’ESPERIENZA
SAPERi DELLA FAMIGLIA
SAPERE DEI
RUOLI EDUCATIVI
SAPERE DEGLI
ALLIEVI
CONTESTO PERSONA
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Figura 2. Le macro-aree di contenuto della formazione integrata in AT
per i ruoli educativi e formativi.
Per concludere, con l’intenzione di avviare un percorso di riflessione, intendo
condividere due frasi: una di Gaetano Filangieri, fra le più citate nei manuali di
storia della Pedagogia 20, e una da Le Città Invisibili di Calvino.
“Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione; per formare un
popolo io preferisco la pubblica. L’allievo del magistrato e della legge, non sarà
mai un Emilio; ma senza l’educazione del magistrato e della legge, vi sarà forse
un Emilio, vi sarà una città, ma non vi saranno i cittadini”.
Le città nascoste
A Olinda, chi ci va con una lente e cerca con attenzione può trovare da qualche
parte un punto non più grande d’una capocchia di spillo che a guardarlo un po’
ingrandito ci si vede dentro i tetti, le antenne, i lucernai, i giardini, le vasche, gli
striscioni attraverso le vie, i chioschi nelle piazze, il campo per le corse dei
cavalli. Quel punto non resta lì: dopo un anno lo si trova grande come un mezzo
limone, poi come un fungo porcino, poi come un piatto di minestra. Ed ecco
che diventa una città a grandezza naturale, racchiusa dentro la città di prima e
la spinge verso fuori. Olinda non è certo la sola città a crescere in cerchi con-
centrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano di un giro. Ma
alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da
cui spuntano rinsecchiti i campanili, le torri, i tetti d’embrici, le cupole, mentre i
quartieri nuovi si spanciano intorno come da una cintura che si slaccia. A Olin-
da no: le vecchie mura si dilatano portandosi con sé i quartieri antichi, ingrandi-
ti mantenendo le proporzioni su un più largo orizzonte ai confini della città; essi
circondano i quartieri un po’ meno vecchi, pure cresciuti di perimetro e assotti-
gliati per far posto a quelli più recenti che premono da dentro; e così via fino al
cuore della città: un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conser-
va i tratti e il flusso di linfa della prima Olinda, e di tutte le Olinde che sono
spuntate una dall’altra; e dentro a questo cerchio più interno già spuntano -ma
è difficile distinguerle- l’Olinda ventura e quelle che cresceranno in segui-
to” (Calvino I., 1972) 21.
Una finalità rilevante del lavoro sulla relazione di apprendimento è quella di
definire e via via strutturare una zona franca, da intendere come una sorta di
anticamera di elaborazione, protetta e che protegge dall'agito, quando questo
è mosso da schemi che inconsapevolmente organizzano i comportamenti se-
condo schemi predefiniti; può trattarsi di un modo che consente di dare forma
e struttura intenzionalmente ai luoghi dell'interazione educativa per sentirli,
viverli, esperirli come ambienti di apprendimento, che consentano
l’espressione autentica delle emozioni, quelle che non disinnescano il senso
critico e possono rendere l'apprendimento un'avventura del Bambino Libero e
dell’Adulto Integrante.
Cesare Fregola
CON T RIBU T I DELL’AT del Campo Educat ivo
1
2
3
4
5
6
POTENZIAMENTO DEI PROCESSI METACOGNITIVI CON UNA DIDATTICA METACOGNITIVA NELLA COSTRUZIONE DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
DEFINIZIONE DELLA PROGETTAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA CON L’APPROCCIO CONTRATTUALE DI BERNE
GESTIONE DELLA RELAZIONE EDUCATIVA E QUELLA DIDATTICA IN MODO INTEGRATO CON I TEMI DELLA RELAZIONALITA’
CONDIVISIONE E SVILUPPO DI COMPETENZE RELATIVE AI COSTRUTTI DI BASE: SDI, TRANSAZIONI, REGOLE DELLA COMUNICAZIONE, CAREZZE, SPINTE
CONDIVISIONE E SVILUPPO DI SENSIBILITA’ E CONOSCENZA RELATIVE AI COSTRUTTI DI COPIONE, GIOCHI, SVALUTAZIONE
INTEGRAZIONE DELL’ORIENTAMENTO ALL’AUTOEFFICACIA NELLA FILOSOFIA DELL’OK-NESS
NOTE
1. Brofenbrenner, U., Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, il Mulino,
1979.
2. Erikson, E. H., Childhood and Society, New York & London, Norton &
Company, 1993; Identity and the Life Cycle, New York & London,
Norton & Company, 1980.
3. Berger P. L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Bologna,
Il Mulino, 1969.
4. Rifkin, J., L'Era dell'Accesso, La rivoluzione della new economy,
Oscar Mondadori, 2000. L’Era dell’Accesso potrebbe essere considerata
una metafora con cui Rifkin intendeva sintetizzare la rivoluzione
della new economy, agli inizi del nuovo secolo, con l’aspettativa che
l’economia, pur dominata dal mercato, spostasse l’asse dell’attenzione
dai concetti di bene e proprietà ai valori della cultura, dell’informazione
e delle relazioni.
5. Il termine paradigma è utilizzato nell’accezione di concetto che indica
aggregazioni di idee, concezioni esplicite e implicite, fondamenti
elementari di pratiche e tecnicità che hanno assunto un ruolo
di riferimento cognitivo dominante, facilmente comprensibile
dalla maggior parte dei membri di una comunità e, quindi,
può consentire un adeguato livello di generalizzazione.
6. Campagna L., Pero L., Conoscenza organizzativa,
«Sviluppo e Organizzazione», n°180, pp. 99-115, 2000.
7. Alberici A., Imparare sempre nella società della conoscenza,
Milano, Bruno Mondadori, 2002.
8. La locuzione villaggio globale è quella di Marshall McLuhan,
Understanding Media: The Extension of Man, Routledge, 2004.
9. cfr. Fregola, C., La formazione e i suoi sistemi, Roma, Monolite, 2010.
10.Campagna, L., Pero,L., 2000, Op.cit.
11. Il temine ridefiniti è utilizzato in accezione pedagogica. Cfr. Fregola, C.,
Analisi Transazionale e processi educativi. Esplorazioni per curiosare
nel Campo Educativo nella complessità sociale e culturale del nostro
tempo, in Tangolo E. Vinella P. (A cura di), Professione Counsellor,
Competenze e prospettiva nel counselling analitico transazionale, Pisa,
Felici Editore, 2011.
12. Fregola C., 2010, Op. Cit.
13. cfr. Fregola, C., 2010. Op. Cit.
14. Napper, R., (2011), Il Genio di Berne e l’ampiezza della portata dell’AT:
Esplorazione del quadro culturale e del contesto del setting, IAT News,
Roma.
15. Miglionico A., Sistema di Riferimento, spazio personale e rapporto copio-
nale. Atti del Convegno Nazionale SIAT98, Torino, 1998. Miglionico A.,
Manuale di Comunicazione e Counselling, CSE, Torino, 2000.
16. Si può dire che questo ha a che fare con la neo-psiche in azione. Cfr.
Moiso C., Novellino M., Stati dell’Io, Astrolabio, Roma, 1982.
17. Drego P., The cultural Parent, TAJ, 13,224-227, 1983; Berne E.,
The Structure and Dynamics of Organization and Group, Grove Press,
New York, 1966.
18. Cesare Fregola e Daniela Olmetti Peja. Il titolo della ricerca finanziata
dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione è: “La comunicazione
didattica e la comunicazione sociale degli studenti”, A.A. 2011 – 2012.
19. Nadine Emmerton and Trudi Newton, Il viaggio dell’Analisi Transazionale
educativa dai suoi inizi ad oggi, TAJ, vol. 34, number 3, july 2004
(pp: 283-289).
20. In particolare si fa riferimento a Calò G., Antologia Pedagogica,
Sansoni, Firenze, 1924.
21. Calvino I., Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972.
Pagina 29 I A T N E W S
“La psicoterapia come un viaggio:
i pazienti si raccontano”
di Bruna De Rubeis
Ho ricevuto e letto con piacere il libro scritto da Bruna De Ru-
beis che, con una scrittura chiara, mi ha permesso di rivedere
il viaggio di tanti miei pazienti.
L’autrice, dopo una chiara e concisa introduzione iniziale dei
concetti base dell’AT, subito ci presenta il suo lavoro attraverso
le storie di alcuni suoi pazienti. Con grande rispetto ci narra il
suo racconto e i racconti dei pazienti, dando vita a un unico e
straordinario intreccio quale è quello della relazione terapeuti-
ca. Il percorso terapeutico viene descritto come un viaggio,
una esplorazione all’interno di sé, che richiede un tempo non
stabilito dal terapeuta.
Bruna fa parlare i suoi pazienti in prossimità della fine
dell’analisi, invitandoli a scrivere e descrivere il proprio percor-
so. Questa metodologia si è rivelata particolarmente efficace,
sia al fine di consolidare un proprio personale percorso, sia nei
casi in cui si riprenda una terapia per osservare i cambiamenti
realizzati. L’utilizzo della metafora, della favola, della narrazio-
ne, diventa uno strumento straordinario anche per comprende-
re il processo terapeutico.
Il libro, attraverso la narrazione di storie, ci aiuta a comprende-
re cosa accade nella stanza della terapia .
Le favole narrate nella seconda parte del testo vogliono rap-
presentare particolari copioni di vita, mirabilmente composti:
troveremo il copione da “lupo luno”, da “farfalla”, da “riccio
miope” e molti altri che vogliono dimostrarci come ogni sogget-
to abbia un suo originale copione.
Bruna ci trasmette la sua scelta di essere psicoterapeuta -
accompagnatrice dei suoi pazienti, in un viaggio “non breve”,
fatto anche di soste come parti inevitabili e importanti durante
il viaggio stesso.
Come dice Michele Novellino, nella sua prefazione al libro,
“Bruna si sofferma su un fenomeno largamente trascurato e,
aggiungerei, ingiustamente rimosso, quello della “sosta”… lei
ha il coraggio di dare voce a questa dimensione”.
Il libro inizia, non casualmente, con la poesia di Kavafis,
“Itaca”, a voler sottolineare l’importanza del percorso attraver-
so cui si compie il viaggio oltre che del raggiungimento della
meta.
Buona lettura e buon viaggio.
E’ possibile acquistare il libro presso Feltrinelli o richiederlo
direttamente all’autrice sul sito www.brunaderubeis.it.
Recensione
di
GAETANO
SISALLI
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Pamela Levin, premio Eric Berne 1984, sostiene
che la crescita umana è un ciclo di sviluppo compo-
sto da stadi che iniziano nell’infanzia e si ripetono
continuamente nel corso della vita, nei quali le
persone possono soddisfare o non soddisfare spe-
cifici bisogni utilizzando diverse modalità. Se que-
sto è vero ogni professionista impegnato nelle
relazioni di aiuto e in percorsi formativi, ha una
grande risorsa nelle sue mani definita prevenzione.
Siamo tutti qui a ragionare sul tema “Cicli di Vita”
Benessere individuale e sociale, è scontato che
così facendo stiamo dando valore all’uomo e al
contesto in cui è inserito, per questo se com-
prendiamo i meccanismi di funzionamento
dell’individuo possiamo contribuire allo svilup-
po di un clima favorevole ai processi di cam-
biamento, evoluzione e creazione che porte-
ranno la persona a vivere pienamente sotto
l’aspetto psico-fisico e anche spirituale la sua
esistenza.
Nella mia vita professionale, tre anni fa, ho
avuto il privilegio di incontrare sulla mia strada la
Fondazione O. R. le cui finalità sono promuovere la
solidarietà sociale nell’ambito dello studio, della
ricerca, della formazione e dell'assistenza; promuo-
ve l’impegno per la vita, la cultura e sostenere gli
studi di giovani consentendo la più ampia divulga-
zione delle conoscenze acquisite, che sono impor-
tanti per il benessere e lo sviluppo dell'uomo.
La Fondazione opera già da alcuni anni in un ples-
so scolastico (scuola secondaria di primo e secon-
do grado) e insieme al Preside, promuove progetti
di valorizzazione dei corsi di studi in particolare del
Liceo delle Scienze Sociali, il meno “apprezzato” e
vissuto dai ragazzi, dai professori e dai genitori,
come un corso di "serie C" perché svalutato nella
sua specificità. Per questo l’impegno della Fonda-
zione vuole essere anche quello di coadiuvare la
scuola nell’erogazione di servizi diversi per natura,
come sportelli di potenziamento per studenti, tutor-
ship, attività culturali, di orientamento, ecc.
La richiesta di consulenza che ho ricevuto, dopo
uno scambio d’intenti iniziali, mi ha permesso di
sviluppare un progetto nuovo di ampio respiro
nell’ambito delle attività scolastiche. Emerso il
desiderio di investire sui giovani che non sembrano
avere oggi grandi opportunità di realizzazione per-
sonale e professionale, abbiamo voluto prima di
tutto offrire loro dei mezzi per supportare la fiducia,
la speranza e aiutarli a sviluppare le competenze
necessarie per realizzare dei progetti all’interno del
loro contesto di riferimento (scuola, quartiere,
comunità, città), nel campo dell’integrazione,
dell’assistenza, della cultura e dell’educazione. E’
nata così l’idea di intraprendere la sfida di
“Progettiamo Insieme” un progetto-intervento inte-
ristituzionale rivolto a liceali che frequentano il VI°
e il V°.
La scelta che ha permesso al mio intervento di
avere ricadute inaspettate, è stata quella di partire
dai bisogni e aspettative dei ragazzi e della scuola
stessa, mettendo i giovani al centro di una prospet-
tiva di realizzazione delle proprie capacità, scom-
mettendo sulla loro creatività e sulla loro intrapren-
denza. Ho lavorato con classi di adolescenti in
percorsi di Training-Group, per la formazione, crea-
zione e collaborazione di un gruppo, con l’obiettivo
di stimolare negli studenti autostima, autodetermi-
nazione e autonomia necessaria a pianificare i loro
futuri progetti. Quello che ho fatto è cercare di
soddisfare specifici bisogni come sentirsi ascoltati,
progettare, fare, valutare utilizzando diverse moda-
lità, pensandolo come un lavoro di prevenzione
necessario per accompagnare gli studenti nel ciclo
di sviluppo dove confermare il loro “potere di rige-
nerazione” fig. 1.
Credere nei ragazzi, nelle loro risorse e provare ad
aprire la dimensione didattica tradizionale al con-
fronto con la realtà sociale, ha permesso ai giovani
attraverso lo sviluppo di un percorso di elaborare
un pensiero critico e di realizzare concretamente
una serie d’iniziative specifiche a sostegno della
propria comunità con intraprendenza.
I CONTRATTI PER “PROGETTIAMO INSIEME”
L’intervento che ho progettato per la Fondazione,
richiedeva il coinvolgimento e l’alleanza di più
partner, l’articolazione capillare di un percorso
e una visibilità che si riflettesse sui diversi livelli di
lavoro all’interno e all’esterno del mondo scolasti-
co, per creare i presupposti a un necessario ricono-
scimento e valorizzazione dell’impegno dei vari
professionisti coinvolti nel progetto, attraverso
la condivisione degli obiettivi, per la scelta delle
strategie di lavoro. fig. 2
GLI OBIETTIVI DI “PROGETTIAMO INSIEME”
- della scuola: sviluppare le competenze
degli studenti;
- della fondazione: investire in percorsi di potenzia-
mento scolastico;
- degli studenti: accumulare crediti formativi che
la partecipazione a “Progettiamo Insieme” ricono-
sce loro; portare il percorso fatto nell’esperienza
di tirocinio come tesi per l’esame di Maturità;
- delle varie istituzioni coinvolte nel progetto: coin-
volgere i giovani per sviluppare nuove iniziative e
contribuire al processo formativo adolescenziale;
- del consulente: formare il gruppo classe; accom-
pagnare gli studenti in una fase di passaggio negli
ultimi anni di liceo; sviluppare sinergie dentro e
fuori la scuola; valorizzare il liceo delle scienze
sociali; stimolare lo sviluppo del progetto sul
quinquennio di studio.
STRUTTURAZIONE DI “PROGETTIAMO INSIEME”
Per il IV° Liceo delle Scienze Sociali due piani
sviluppati in parallelo:
1. Uscite mensili per visite presso enti d’interesse
sociale per il percorso di studi (Case Famiglie,
Scuole, Archivi, Museo della Mente, Case di
Riposo, Centri Culturali, Biblioteche, Sportelli
Antiusura, Centri Sociali, Istat, Comunità, ecc.);
2. incontro mensile in classe di due ore per parlare
dell’esperienza fatta nella visita mensile all’ente
e T-Group.
Per il V° Liceo delle Scienze Sociali due piani
sviluppati in parallelo:
1. attività in classe, due ore del monte orario curri-
colare con cadenza bisettimanale durante le
quali gli studenti riflettono sulla propria adole-
scenza, sulle dinamiche di relazione, sulla quali-
tà di comunicazione, sulla dimensione comunita-
ria;
2. attività di tirocinio e formazione presso alcune
istituzioni sul territorio cittadino (Centro cultura-
le, Scuola Materna, Scuola Primaria, Casa di
Riposo, Musei, Deputazione assistenza sociale,
Comunità, Sportello Prevenzione Usura, Diparti-
mento Educativo Giovani, Casa Famiglia, ecc.) al
termine del quale gli studenti lavorano per
ideare e realizzare un progetto da sviluppare
all’interno dell’ente.
PROGETTIAMO INSIEME: UN PROGETTO-INTERVENTO INTERISTITUZINALE RIVOLTO AGLI ADOLESCENTI di Lidia CALO’
CTA - O , Counsellor ACP
Formatrice Gordon TET PET ET
Direttore
Dipartimento
Educativo
Giovani CER
Pagina 31 I A T N E W S
IL TEMPO PER “PROGETTIAMO INSIEME”
della scuola: due ore in classe ogni due settimane;
degli studenti; due ore extrascolastiche a settimana nei tirocini;
delle istituzioni: due ore settimanali di accoglienza e tutorship dei tirocinanti;
del consulente: 8/10 ore settimanali.
LA RETE DI “PROGETTIAMO INSIEME”
Tale percorso ha mostrato molteplici ricadute positi-
ve, contribuendo a potenziare in maniera significati-
va diverse qualità degli studenti: crescita del senso
di responsabilità, sviluppo di specifiche competenze
progettuali, riflessione su alcune problematiche
sociali di particolare attualità, capacità di collegare
la propria esperienza scolastica con realtà esterne
alle aule.
Il mio intervento nella scuola ha avuto tra i suoi
effetti ulteriori la possibilità di potenziare il lavoro di
rete interistituzionale, tra la scuola e gli enti che
hanno dato la loro disponibilità ad accogliere gli
studenti nelle visite e negli stage interni.
Questo significa molto in termini di apertura e
confronto:
una scuola che si apre al mondo extra didattico
è un’istituzione che comprende quanto i ragazzi,
hanno bisogno di sentirsi ascoltati e accolti non
solo su un piano di prestazioni, ma anche su
quello umano;
un ente che manifesta aperture nei confronti di
settori e di gruppi non considerati fino ad allora,
un dirigente che scende dalla sua poltrona e
coinvolge gli studenti mettendoli in condizione di
capire, imparare e fare è un’organizzazione che
si mette in discussione, si ripensa, si ridisegna.
Sono profondamente riconoscente della collabora-
zione di ciascuno, a ogni livello di responsabilità,
che ha favorito il successo, di “Progettiamo Insie-
me”. È il caso di dire senza la rete non ci sono con-
nessioni, senza connessioni non ci sono relazioni,
senza relazioni non c’è contatto, senza contatto non
c’è energia. Per questo il mio intervento è diretto ai
diversi livelli micro e macro organizzativo del siste-
ma: lavorare con studenti, insegnanti, dirigenti,
psicologi, enti, personale ausiliario allo scopo di
concertare e sviluppare un’idea nuova. fig. 3
DARE/AVERE: UN BILANCIO PER GLI STUDENTI
Al termine del percorso “Progettiamo Insieme” gli studenti realizzano:
un album personale sull’esperienza di tirocinio;
serata conclusiva per la presentazione dei percor-si di tirocinio e dei progetti sviluppati;
Al termine del percorso “Progettiamo Insieme” gli studenti ricevono:
crediti formativi per l’ammissione e la valutazione dell’esame di maturità;
opportunità di lavoro presso gli enti dove hanno svolto il loro tirocinio.
LE RICADUTE DI “PROGETTIAMO INSIEME”
SULLA RETE
Scuola: gli insegnanti si mettono in gioco e lavorano
nel gruppo negli incontri in classe, anche i più rigidi
che non partecipano ascoltando cambiano i loro
comportamenti; le proposte di progetti extra curricu-
lari che prima “sonnecchiavano” ora sono molte e
varie da parte dei docenti e dalla segreteria.
Istituzioni: il lavoro degli studenti ha in qualche
modo modificato o influito sull’organizzazione inter-
na portando piccoli rinnovamenti e rottura degli
schemi abituali.
Genitori: ridanno valore alle capacità dei figli, sor-
prendendosi di ciò che riescono a fare;
Fondazione: ha individuato una strada efficace per
promuovere la sua azione di sostegno alla scuola,
condividendone l’approccio, l’idea di apertura e
integrazione;
Studenti: sono cambiati, cresciuti, hanno integrato il
loro Genitore, Adulto e Bambino, manifestando
comportamenti e capacità nuove. Parlano ascoltano
si confrontano, s’innamorano, entrano in crisi, rido-
no, si cercano, vivono e sentono…sono pronti a
uscire dalla scuola;
Consulente: ho imparato a lasciar andare, ho capito
che la qualità della mia presenza vale molto,
ho fatto i conti con me stessa nei panni di genitore,
di adulto, di studentessa e con i sentimenti che ogni
ruolo mi suscita;
Compagni: gruppi classe inesistenti, demoliti,
ricostituiti, smembrati, s’incontrano, si trovano e
allora magicamente iniziano a interessarsi l’uno
dell’altro, come fosse la prima volta che si parlano.
I NUMERI DI “PROGETTIAMO INSIEME”
Nel 2010-11 ho iniziato a lavorare con una sola
classe pilota, il V° Liceo delle Scienze Sociali
(17 studenti).
Nel 2011-12 ho lavorato con sei classi
(149 studenti):
I° A Liceo Scientifico e I° B Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);
III°A Liceo Scientifico e III°B Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe;
IV°B/C Linguistico/Liceo delle Sciente Sociali per attività di formazione gruppo classe; (classe accorpata)
IV° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”;
V° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”.
Nel 2012-13 ho lavorato con sette classi
(175 studenti):
I° Liceo Scientifico e I° Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);
II° Liceo Scientifico e II° Liceo Linguistico per continuare il lavoro sul gruppo (sono due classi problematiche per la scuola);
III°Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);
IV°Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”;
V° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”.
OGGI “PROGETTIAMO INSIEME” E’ ARTICOLATO
VERTICALMENTE SUL QUINQUENNIO DEL LICEO
I° Liceo Scientifico, Linguistico e Scienze Sociali: progetto “T-Group”;
II°Liceo Scientifico, Linguistico e Scienze Sociali: progetto “T-Group”;
III° Liceo Linguistico e Scienze Sociali: progetto “Giovani Efficaci”;
IV° Liceo delle Scienze Sociali: “Progettiamo Insieme”;
(formazione e visite enti)
V° Liceo delle Scienze Sociali: “Progettiamo Insie-me” (formazione e tirocinio).
CONCLUSIONI
Mi sembra evidente che lavorare in termini di pre-
venzione, per gli studenti sia un obiettivo importan-
te del nostro lavoro. Non è facile sviluppare idee
e consensi, non è facile coinvolgere e appassionare
le persone, non è facile sopravvivere
in un’organizzazione dove molte culture entrano in
conflitto in una lotto per la sopravvivenze e/o
il potere. Tuttavia credo che le potenzialità insite
nell’individuo, la possibilità di individuare punti di
riferimento sani e presenti, rassicuri l’adolescente e
gli offra quei permessi necessari per divenire e
promuovere il proprio benessere e quello sociale. I
cicli di sviluppo in fondo servono per arrivare a
questa conquista, la capacità creativa di vivere le
nostre potenzialità e le nostre relazioni con gli altri.
“L’uomo comincia il suo sviluppo mentale dalla
nascita e lo effettua con maggiore intensità nei
primi tre anni di vita; a questo periodo più che ad
ogni altro è necessario sia data una vigile cura. Se
si agirà secondo questo imperativo, il bambino
anziché imporci una fatica, ci si rivelerà come la più
grande e confortate meraviglia della natura. Ci
troveremo allora di fronte al bambino non più consi-
derato un recipiente vuoto da riempire della nostra
saggezza; ma la dignità sorgerà dinanzi ai nostri
occhi, come l’essere che guidato da un maestro
interiore, lavora infaticabilmente in gioia e felicità,
secondo un preciso programma, alla costruzione di
quella meraviglia della natura che è l’Uomo.
Noi educatori possiamo soltanto aiutare l’opera già
compiuta come i servitori aiutano il padro-
ne.” (Maria Montessori, "La mente del Bambino")
Esiste un’energia intelligente che attua processi di
evoluzione, in modo perpetuo, dal quale vengono
fuori le potenzialità di ciascuno, la vita è fatta di
elementi interagenti di cui l’uomo è parte e cono-
scenza. Conoscenza vuol dire co-nascere cioè conti-
nuare a nascere: ogni evoluzione porta nuove possi-
bilità di cambiamento ed evoluzione secondo un
principio di non linearità, tanto che ogni ciclo di
sviluppo si apre e si chiude con caratteristiche pro-
prie e con rinnovamenti. In qualunque momento
della nostra vita possiamo in qualche modo decide-
re di rinascere e rigenerare permettendoci e per-
mettendo all’individuo di essere.
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