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ROMA FEBBRAIO 2013 ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 6 SPECIALE IAT NEWS SOMMARIO Lettera del Presidente IAT Comitato di redazione IAT NEWS e WEB Managing editor Orlando GRANATI Cesare FREGOLA Editing Lidia CALO’ Web Master Patrizia VINELLA Cari soci, Questo numero monografico è dedicato interamente alla presentazione delle giornate IAT di Cortona. C’è una novità importante che riguarda le IAT news. A partire dal prossimo numero diventerà una rivista che sarà diretta da Cesare Fregola. Si concluderà così l’ultima tappa di un percorso evolutivo del nostro strumento di comunicazione. Vorrei cogliere quest’occasione per esprimere un ringraziamento particolare a Patrizia Vinella che in tutti questi anni ha fatto in modo di mantenere vivi gli scambi e i contatti con i soci attraverso una attività costante e il proprio investimento personale di tempo e lavoro. Senza di lei, probabilmente, molta della memoria storica professionale dell’IAT sarebbe andata persa. Attualmente il CD sta lavorando per raccogliere quanto è stato presentato nelle giornate IAT nel corso degli ultimi anni in modo da poter rendere fruibile a tutti i soci un patrimonio di riflessioni e lavori che meritano di essere condivisi. A questo proposito chiedo a tutti voi di collaborare a questa impresa che fa capo a Patrizia Vinella con Cesare Fregola e Cristina Innocenti, che si stanno occupando di raccogliere sia le presentazioni di Siracusa che quelle delle altre giornate degli ultimi anni. Stiamo anche costituendo un comitato di redazione. Chiedo quindi a chi è disponibile a offrire la propria candidatura di mettersi in contatto Cesare Fregola. Visto che questo è l’ultimo numero che esce in questo formato, voglio ringraziare Lidia Calò per il suo contributo all’evoluzione e al miglioramento delle IAT news di questi ultimi anni. Un ringraziamento anche a Marilla Biasci che si è occupata con pazienza di correggere le bozze di questo numero. Infine un’altra notizia: abbiamo deciso di tenere le prossime giornate IAT dal titolo “Dissonanze armoniche e collettività che curano” in Puglia a fine giugno. La data prevista da segnare in calendario è per i giorni 31 mag- gio, 1 e 2 giugno 2013. Un augurio di un ottimo 2013 a tutti, pieno di realizzazioni personali/professionali per ognuno di noi e per l’associazione. Eva Sylvie Rossi www.istitutoanalisitransazionale.it - LETTERA DEL PRESIDENTE pag 1 - INTERVENTO DI APERTURA pag 2 - IL CICLO DI SVILUPPO E IL CICLO DI ATTACCAMENTO pag 4 - LA NASCITA DI UN GENITORE pag 12 - BENESSERE E RELAZIONI pag 14 - EVOLUZIONE O LIQUIDAZIONE pag 16 - LA CRISI DELLA MATURITA’ E POSSIBILI EVOLUZIONI pag 18 - SALUTO A CARLA VERCELLINO pag 23 - GRUPPO BENESSERE E INTIMITA’ pag 24 - IL LIFELONG LEARNING pag 26 - LA PSICOTERAPIA COME UN VIAGGO pag 29 - PROGETTIAMO INSIEME pag 30 - NEWS DALL’AT pag 32 DIRETTIVO IAT Presidente: Eva Sylvie ROSSI [email protected] Vice Presidente e Tesoriere: Patrizia VINELLA [email protected] Segretario: Cesare FREGOLA [email protected] Consiglieri: Antonio FERRARA [email protected] Orlando GRANATI [email protected] Cristina INNOCENTI [email protected] Gaetano SISALLI [email protected] Soci fondatori e Past President: Carlo MOISO Michele NOVELLINO Gaetano SISALLI ASSOCIAZIONE IAT Via Piemonte, 117 00186 Roma tel/fax: 06.42013471 SEGRETERIA IAT Via A. Fleming, 2 70017 Putignano Bari tel/fax: 080.4055617 Cari soci, Si chiude un ciclo. IAT News cresce, diventando a tutti gli effetti una rivista. Questo numero, interamente dedicato alle Giornate IAT 2011, è l’ultimo nell’attuale formato. Dal prossimo, cambierà nome, avrà un riconoscimento formale e un inten- to scientifico più marcato e una redazione con una diversa composizione. Resterà lo spirito partecipativo e la volontà di rappre- sentare idee, di proporre stimoli e riflessio- ni, di riportare le esperienze di soci e non tra chi lavora nel nostro campo e con i nostri valori. Vi invitiamo quindi a far sì che la crescita della nostra rivista non si arre- sti, con le vostre proposte, i vostri contribu- ti e il vostro pensiero. La redazione NUMERO MONOGRAFICO “CICLI DI VITA”

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R O M A — F E B B R A I O 2 0 1 3

ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 6

SPECIALE IAT NEWS

S O M M A R I O Lettera del Presidente IAT

Comitato di redazione IAT NEWS e WEB

Managing editor

Orlando GRANATI

Cesare FREGOLA

Editing

Lidia CALO’ Web Master

Patrizia VINELLA

Cari soci,

Questo numero monografico è dedicato interamente alla presentazione delle giornate IAT di Cortona.

C’è una novità importante che riguarda le IAT news. A partire dal prossimo numero diventerà una rivista che

sarà diretta da Cesare Fregola. Si concluderà così l’ultima tappa di un percorso evolutivo del nostro strumento

di comunicazione.

Vorrei cogliere quest’occasione per esprimere un ringraziamento particolare a Patrizia Vinella che in tutti questi

anni ha fatto in modo di mantenere vivi gli scambi e i contatti con i soci attraverso una attività costante e il

proprio investimento personale di tempo e lavoro. Senza di lei, probabilmente, molta della memoria storica

professionale dell’IAT sarebbe andata persa.

Attualmente il CD sta lavorando per raccogliere quanto è stato presentato nelle giornate IAT nel corso degli

ultimi anni in modo da poter rendere fruibile a tutti i soci un patrimonio di riflessioni e lavori che meritano di

essere condivisi. A questo proposito chiedo a tutti voi di collaborare a questa impresa che fa capo a Patrizia

Vinella con Cesare Fregola e Cristina Innocenti, che si stanno occupando di raccogliere sia le presentazioni di

Siracusa che quelle delle altre giornate degli ultimi anni. Stiamo anche costituendo un comitato di redazione.

Chiedo quindi a chi è disponibile a offrire la propria candidatura di mettersi in contatto Cesare Fregola.

Visto che questo è l’ultimo numero che esce in questo formato, voglio ringraziare Lidia Calò per il suo contributo

all’evoluzione e al miglioramento delle IAT news di questi ultimi anni. Un ringraziamento anche a Marilla Biasci

che si è occupata con pazienza di correggere le bozze di questo numero.

Infine un’altra notizia: abbiamo deciso di tenere le prossime giornate IAT dal titolo “Dissonanze armoniche e

collettività che curano” in Puglia a fine giugno. La data prevista da segnare in calendario è per i giorni 31 mag-

gio, 1 e 2 giugno 2013. Un augurio di un ottimo 2013 a tutti, pieno di realizzazioni personali/professionali per

ognuno di noi e per l’associazione.

Eva Sylvie Rossi

www.istitutoanalisitransazionale.it - LETTERA DEL PRESIDENTE pag 1

- INTERVENTO DI APERTURA pag 2

- IL CICLO DI SVILUPPO E IL CICLO DI ATTACCAMENTO pag 4

- LA NASCITA DI UN GENITORE pag 12

- BENESSERE E RELAZIONI pag 14

- EVOLUZIONE O LIQUIDAZIONE pag 16

- LA CRISI DELLA MATURITA’ E POSSIBILI EVOLUZIONI pag 18

- SALUTO A CARLA VERCELLINO pag 23

- GRUPPO BENESSERE E INTIMITA’ pag 24

- IL LIFELONG LEARNING pag 26

- LA PSICOTERAPIA COME UN VIAGGO pag 29

- PROGETTIAMO INSIEME pag 30

- NEWS DALL’AT pag 32

DIRETTIVO IAT

Presidente:

Eva Sylvie ROSSI [email protected]

Vice Presidente e Tesoriere:

Patrizia VINELLA [email protected]

Segretario: Cesare FREGOLA [email protected]

Consiglieri:

Antonio FERRARA [email protected]

Orlando GRANATI [email protected]

Cristina INNOCENTI [email protected]

Gaetano SISALLI [email protected]

Soci fondatori e Past President:

Carlo MOISO

Michele NOVELLINO

Gaetano SISALLI

ASSOCIAZIONE IAT

Via Piemonte, 117

00186 Roma

tel/fax: 06.42013471

SEGRETERIA IAT Via A. Fleming, 2

70017 Putignano Bari

tel/fax: 080.4055617

Cari soci,

Si chiude un ciclo. IAT News cresce,

diventando a tutti gli effetti una rivista.

Questo numero, interamente dedicato alle

Giornate IAT 2011, è l’ultimo nell’attuale

formato. Dal prossimo, cambierà nome,

avrà un riconoscimento formale e un inten-

to scientifico più marcato e una redazione

con una diversa composizione. Resterà lo

spirito partecipativo e la volontà di rappre-

sentare idee, di proporre stimoli e riflessio-

ni, di riportare le esperienze di soci e non

tra chi lavora nel nostro campo e con i

nostri valori. Vi invitiamo quindi a far sì che

la crescita della nostra rivista non si arre-

sti, con le vostre proposte, i vostri contribu-

ti e il vostro pensiero.

La redazione

NUMERO MONOGRAFICO “CICLI DI VITA”

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I A T N E W S Pagina 2

Vorrei aprire il mio intervento sui cicli di vita

con una citazione di Ovidio da le Metamorfosi:

I cieli e tutto ciò che sotto vi si trova,

la terra e le sue creature,

tutto cambia,

e noi,

parte della creazione,

anche noi dobbiamo soffrire

il cambiamento.

Penso che come Analisti Transazionali pos-

siamo definirci “agenti di cambiamento” ricol-

legandoci a quanto indicato sul TAJ: “L’Analisi

Transazionale è una teoria completa di perso-

nalità e una psicoterapia sistematica per la

crescita personale e il cambiamento sociale”1.

E’ quindi nostra responsabilità avere uno

sguardo attento sulla realtà che ci circonda, in

tutti i suoi aspetti. La nostra epoca caratteriz-

zata dal pensiero debole, in cui l’accento posto

sull’interpretazione della realtà è stato un

aspetto centrale, richiede un passaggio, forse

attualmente già in corso, verso il cosiddetto

pensiero forte, che pone attenzione alla rileva-

zione dei dati di realtà in quanto tali, “nudi e

crudi”, indipendentemente dalle interpretazio-

ni che ognuno di noi ne può fare. Penso che

questo implichi per noi, in quanto Analisti Tran-

sazionali nei diversi campi di applicazione, la

necessità di prestare attenzione all’influenza

dei dati di tipo economico, sociale e tecnologi-

co che fanno da sfondo nelle “relazioni di

cura” e ”nelle relazioni di aiuto”.

Sappiamo per quel che ci riguarda che il nu-

mero globale, nel mondo, di persone sofferenti

di depressione è in continuo aumento, sappia-

mo che è aumentato nella congiuntura econo-

mica attuale il numero dei poveri in Europa e

negli Stati Uniti e che è aumentata notevol-

mente, nei paesi occidentalizzati, l’aspettativa

di vita (attualmente di circa 85 anni per le

donne e 83 per gli uomini); altro dato di realtà

rilevante è che il nuovo analfabetismo è, e

sarà, quello tecnologico.

Qual è l’influenza di questi fattori sui cicli di

vita? Partendo da quest’ultimo fattore, per

quelli di noi che hanno tra i 50 e i 60 anni,

significa che, tecnologicamente parlando, se

non si vuole essere fuori gioco, ci si deve alfa-

betizzare.

Abbiamo imparato da Piaget a prestare atten-

zione ai cicli di sviluppo e ai suoi stadi, quello

Senso motorio privo di oggetto, quello Preope-

rativo rivolto a sensazioni e riflessi, quello Ope-

rativo concreto rivolto alle percezioni e infine,

quello Operativo formale, incentrato sulla re-

versibilità.

Sappiamo di Kohlberg e dei suoi studi sugli

stadi di sviluppo morale, che rilevano il pas-

saggio dall’orientamento su punizione-

obbedienza, all’orientamento su principi uni-

versali il cui “oggetto” è la società istituziona-

le, attraverso i passaggi strumentale, interper-

sonale e sociale.

Conosciamo le fasi evolutive e le “crisi psicoso-

ciali” descritte da Erikson, che afferma che

l’adattamento biologico dell’uomo è una que-

stione di cicli di vita che si sviluppano

all’interno della storia della loro comunità in

cambiamento.

Qui in particolare cito gli ultimi: il sesto stadio

che è quello della giovane età adulta che ri-

guarda le possibilità di intimità contrapposta

all’isolamento - amore - , il settimo stadio che

ha a che fare con la generatività contrapposta

al ristagno, e che riguarda la cura -“care”-,

l’ottavo stadio che è quello dell’età anziana

che riguarda l’integrazione contrapposta alla

disperazione e che Erikson definisce come il

periodo della saggezza.

Come Analisti Transazionali conosciamo i cicli

evolutivi descritti da Pamela Levin,

Esistere - dalla nascita ai 6 mesi

Fare - circolare, esplorare (6/18 mesi)

Pensare - Scoprire, e scoprire anche i limiti,

potremmo dire (18 mesi/3 anni)

Identificarsi - Avere la propria opinione, cioè

essere ciò che si è, che ha a che fare con la

costruzione dell’identità (3/6 anni)

Riuscire - che riguarda il fare a modo proprio

secondo i propri principi

e poi gli ultimi due

Rigenerazione - che ha a che fare con il poter

essere del proprio sesso (13/18 anni)

Trasformazione - che riguarda “l’essere

qui” (collocarsi, situarsi), aver completato il

ciclo (20 +).

Ma qual è il significato psicologico

dell’esperienza di evoluzione attraverso i vari

cicli, si tratta solo di differenziazione e di au-

mento di autonomia? Di separatezza? E quan-

to sappiamo su come intervenire in queste

diverse tappe evolutive, come agenti di cam-

biamento?

La metafora di Berne della moneta storta nella

pila di monete, che determina una pila che

non può essere dritta finché non viene risiste-

mata la moneta storta all’interno della pila,

quindi l’intervento “riparativo”, rispetto alla

moneta che ha determinato a suo tempo la

“stortura“ successiva, in realtà non ci porta

molto lontano. Oltre che sull’aspetto ripartivo,

credo che il nostro orientamento dovrebbe

essere sull’acquisizione di competenze nuove,

all’interno di spazi ed ambienti che possano

favorirne lo sviluppo.

Le ricerche ci dicono che ci sono spazi fisici

che favoriscono nuove acquisizioni di compor-

tamenti. Kaizen verifica la “prova della teoria

delle finestre rotte” secondo la quale “in am-

bienti fisici trascurati, con segni di incuria, si

sviluppano più frequentemente comportamen-

ti antisociali “dimostrando gli effetti degli am-

bienti degradati sulle manifestazioni di razzi-

smo - in sale di aspetto disordinate e sporche

le persone si siedono lontane da persone di

etnia diversa, cosa che in una sala pulita e

ordinata non si manifesta – (“manifestazioni

inconsapevoli di razzismo”, Kaizen 2008).

Le ricerche ci dicono anche che ci sono emo-

zioni che favoriscono l’apprendimento di nuo-

ve competenze (Isen 2001, Kurosu e Kashi-

INTERVENTO DI APERTURA di Eva Sylvie ROSSI

TSTA P, O

Presidente IAT

GIORNATA DI STUDIO IAT

10 - 11 settembre 2011

“Cicli di Vita” Benessere individuale e sociale

Eva Sylvie Rossi Apertura Giornata

Maria Assunta Giusti, Maria Grazia Piergiovanni, Elena Bruni “Il ciclo di sviluppo e il ciclo evolutivo dell’attaccamento: un ponte tra teoria dell’attaccamento e AT”

Patrizia Vinella “La nascita di un genitore: riflessioni su percorsi di counselling per genitori”

Orlando Granati “Benessere e relazioni: un approccio alla promozione della salute”

Silva Niccolai “Evoluzione o liquidazione? Dal dubbio amletico infinite possibilità di esistere”

Antonio Ferrara “La crisi della maturità e possibili evoluzioni”

Gaetano Sisalli “Benessere e gruppi”

Cesare Fregola “Il lifelong learning: la relazione di apprendimento nella società della conoscenza”

Lidia Calò “Progettiamo insieme: un progetto-intervento interistituzionale rivolto agli adolescenti”

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I A T N E W S Pagina 3

mura 1995, Tractinsky, Katz e Ikar 2000).

Tornando al tema di queste giornate, vorrei sot-

tolineare alcune osservazioni che ho potuto

fare, nell’arco di questi anni, sulle caratteristi-

che con cui abbiamo attualmente a che fare nel

nostro lavoro, rispetto alle ”evoluzioni della vita

adulta”: un’assenza di confini - un esempio di

questo è la mancanza di linee chiare di demar-

cazione tra tempo libero e tempo personale,

l’assenza di una distinzione netta fra vita lavora-

tiva e collocamento a riposo, un sentimento di

vulnerabilità legato alla mancanza di punti di

riferimento che genera angoscia con il risultato,

in alcuni casi, di un vissuto di onnipotenza che

si rivela fragile (es: la percezione di inadeguatez-

za in assenza del possesso di alcuni oggetti o

qualità fisiche, o la percezione di onnipotenza,

ahimè di brevissima durata, di fronte ad un suc-

cesso), la ricerca di valori significativi attraverso

approcci alternativi - omeopatia, volontariato in

Africa, sostenibilità etica e attenzione alle tema-

tiche legate all’ambiente e all’energia, la con-

nettività per l’acquisizione di nuove conoscenze,

per la verifica di possibilità, per risparmiare

(Google, Groupon, E-bay), il fenomeno del cosid-

detto “successful aging” - invecchiamento co-

me tappa di vita significativa -. Nel 2050 ci sa-

ranno quasi due miliardi di ultrasettantenni,

quindi anziani, fortemente orientati verso una

propria autoaffermazione, che si traduce con-

cretamente in una vita vissuta come

“significativa”.

Tornando al tema dell’evoluzione della vita adul-

ta, esiste uno studio americano, “il Grant

Study”, che ha seguito un gruppo di individui per

tutto l’arco della loro vita adulta, dall’età di 18

anni fino all’età di 50, verificandone le evoluzio-

ni, nel corso degli anni, attraverso interviste di

psicologi, test e vari strumenti tratti da un ap-

proccio prevalentemente psico-dinamico; dal

risultato di questo studio longitudinale emerge

che non sono i traumi che danno forma al no-

stro futuro ma la qualità di relazioni significative

con persone vissute come importanti nel corso

della propria vita. Le vite cambiano e sono ca-

ratterizzate da discontinuità. Capire la psicopa-

tologia significa, oltre che capire i meccanismi e

i processi di adattamento che non hanno funzio-

nato, essere in grado di fornire lo spazio e il tipo

di relazione sicura che permetta ai pazienti/

clienti di individuare nuove opzioni e possibilità.

In quanto Analisti Transazionali ritengo che dob-

biamo prestare grande attenzione sia allo spa-

zio relazionale, esemplificato dagli studi

sull’attaccamento e sulla separazione (Bowlby,

Mahler, Mary Main), che allo spazio fisico, cioè

la collocazione del corpo nello spazio, negli am-

bienti e nelle relazioni. Berne ha prestato atten-

zione a questo, a suo tempo, come risulta evi-

dente da diversi suoi scritti; nella mia attività

professionale ho costantemente modo di verifi-

care quanto il rilevare gli elementi legati alla

valenza psicologica degli spazi, possa migliorare

significativamente la qualità e l’efficacia degli

interventi terapeutici, educativi, organizzativi e

di counselling .

1. Questa definizione dell’AT compare su

ogni numero del TAJ a partire dall’aprile del

1976, fino al 1984, poi misteriosamente do-

po quella data scompare, vedi articolo Per-

spectives on Theories of the Unconscious in

Transactional Analysis (TAJ - Transactional

Analysis Journal – Ottobre 2008 - Vol 3, n° 4).

Bibliografia

Erik H. Erikson

Childhood and Society

W. W. Norton & Company, NYC 1950

George E. Vaillantd

Aptation to Life

Little Brown and Company

Boston/Toronto 1977

Robert Kegan

The evolving self

Harvard University press, London 1982

Pamela Levin

Becoming the way we are

1th edition – Nora Gallagher 1974

Donald E. Norman

Emotional Design

Apogeo, 2004

Alice M. Isen

An influence of positive Affect

on decision Making in complex

Situations: Theoretical Issues with

pratical Implications

Journal of consumer psychology 11 (2),

pag. 75-85, 2001

Eva Sylvie Rossi, M.T. Tosi, E. Cassoni,

G. Cavallero, C. Moiso, M. Novellino,

L. Quagliotti, P. Scilligo

Perspective on Theories of the

Unconscious in Transactional Analysis

TAJ Transactional Analysis Journal –

Ottobre 2008 - Vol 3, n° 4

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Pagina 4 I A T N E W S

IL CICLO DI SVILUPPO E IL CICLO EVOLUTIVO DELL’ATTACCAMENTO: UN PONTE TRA L’AT E LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO

di

Maria Grazia PIERGIOVANNI1

Elena BRUNI2

Maria Assunta GIUSTI3

Nel corso degli ultimi anni numerosi autori hanno opera-

to interessanti correlazioni tra la Teoria

dell’Attaccamento e alcuni approcci psicoterapeutici

(Ammaniti e Stern, 1992; Fonagy, 2001; Onnis, 2010;

Cena, Imbasciati e Baldoni, 2010). Gli studi hanno

riguardato, in particolare, le possibili convergenze con

la psicoanalisi, i costrutti cognitivisti e l’ambito sistemi-

co-relazionale.

L’assunto che la Teoria dell’Attaccamento possa rappre-

sentare una teoria ponte (Onnis, 2010) per le psicote-

rapie, deriva oltre che dall’originale pensiero di Bowlby

(1949; 1958; 1969) orientato a stabilire una connes-

sione tra intrapsichico ed interpersonale, dall’esigenza

espressa nei diversi campi della psicoterapia, di analiz-

zare e studiare le analogie e gli aspetti di confronto tra i

vari orientamenti.

Riteniamo che questo “ponte fecondo tra

territori diversi”, come sottolinea Onnis

nella sua recente raccolta di scritti

“Legami che creano, legami che cura-

no“, possa essere edificato anche pen-

sando all’A.T., non solo per un confronto

creativo all’interno della comunità anali-

tico transazionale, ma anche e soprattut-

to per aprire una finestra e far conosce-

re alla comunità scientifica internaziona-

le la corrispondenza tra importanti costrut-

ti A.T. e Teoria dell’Attaccamento.

In particolare, riteniamo significativo ed originale pro-

porre l’analisi di interessanti analogie riscontrabili in

recenti studi, aventi a tema l’evoluzione concettuale

dell’assunto berniano di Copione e il Modello Dinamico

Maturativo dell’Attaccamento, proposto da Patricia

Crittenden.

In specifico, i contenuti della relazione si focalizzeranno

sulle tre tematiche di seguito elencate:

Teoria dell’Attaccamento, con particolare riguardo ai più

recenti aspetti neurobiologici e al Modello Dinamico

Maturativo della Crittenden;

Correlazioni tra AT Classica e Teoria dell’Attaccamento;

Teoria dell’Attaccamento e AT Integrativa.

Relazione dott.ssa Maria Grazia Piergiovanni

Teoria dell’Attaccamento, con particolare riguardo ai più

recenti aspetti neurobiologici e al Modello Dinamico

Maturativo della Crittenden.

La Teoria dell’Attaccamento delinea una cornice teorica

particolarmente fertile rispetto allo studio delle relazioni

precoci che il bambino sviluppa nei primi anni di vita,

contribuendo a chiarire come tali relazioni influenzino la

maturazione cognitiva ed emotiva del bambino negli

anni successivi.

Ad introdurre per primo il concetto di attaccamento,

intorno agli anni ‘50, è stato Bowlby, i cui assunti vengo-

no edificati a partire da tre fondamenti concettuali:

la psicologia cognitiva, l’etologia (a sua volta fondata

sulla biologia evoluzionistica) e alcuni costrutti della

teoria psicoanalitica sui rapporti oggettuali.

L’autore ha modificato la concezione secondo la quale il

legame di attaccamento materno è basato essenzial-

mente sulla fame e sulla nutrizione (motivazione secon-

daria), distaccandosi quindi dagli assunti della psicoa-

nalisi classica e sottraendo il bambino a una relazione

con l’altro dominata solo dalla soddisfazione di bisogni

fisiologici; Bowlby ha il merito di aver costruito un ponte

tra intrapsichico e relazionale, riconoscendo all’origine

della motivazione umana un sistema innato, genetica-

mente determinato, che porta l’individuo a ricercare, fin

dalla nascita, la relazione con altri significativi.

L’attaccamento è quindi una dimensione della mente

umana che si struttura a partire dalle prime relazioni

che il neonato instaura con chi si prende cura di lui e

include emozioni, processi cognitivi e comportamenti

che potranno influenzare la vita relazionale successiva.

La madre e la relazione con lei, forniscono una base

sicura dalla quale il bambino può allontanarsi per esplo-

rare il mondo e farvi ritorno. Sulla base del concetto di

imprinting, Bowlby afferma che i bambini molto piccoli

vivono periodi sensibili durante i quali apprendono e

fissano nella loro mente le caratteristiche della figura

accudente (solitamente la madre), che diviene un punto

di riferimento per la propria sopravvivenza. Il bambino è

predisposto a sviluppare legami di attaccamento con

chi si prende cura di lui, ciò significa che acquisisce un

ruolo attivo nello strutturarsi della relazione, attraverso

comportamenti che hanno lo scopo di mantenere il

contatto con la madre ed attivano in lei una serie di

comportamenti di risposta.

Il bambino sviluppa dei Modelli Operativi Interni (MOI/

IWM) che gli permettono di rappresentarsi mentalmente

il legame di attaccamento, consentendogli di tollerare

livelli di separazione progressivamente più lunghi e

tener presente, al contempo, le intenzioni degli altri,

formando legami più equilibrati e flessibili. Tali MOI, o

rappresentazioni mentali, comprendono sia componenti

emozionali che cognitive e si costituiscono gradualmen-

te, a partire dalle esperienze vissute dal bambino con le

figure di accudimento.

Il punto di vista di Bowlby è dunque profondamente

interattivo, poiché descrive il bambino come un indivi-

duo che apprende ad essere attraverso l’interazione

con il caregiver. L’autore, partendo dai costrutti sul

comportamento di attaccamento, ha sviluppato lo stu-

dio dei comportamenti di esplorazione a partire da una

base sicura, fino a teorizzare la formazione di modelli

operativi interni.

Contributi fondamentali per le successive applicazioni

della Teoria dell’Attaccamento sono stati quelli forniti

dalla M. Ainsworth (1978), con la Strange Situation e

dalla Main (1986), con l’Adult Attachment Interview

(AAI).

La Teoria dell’Attaccamento, grazie allo studio delle

prime interazioni madre-bambino, pone in evidenza

come la qualità dell’attaccamento mostri specifiche

differenze individuali in base al tipo di esperienza che il

bambino fa con le sue figure di riferimento primarie. In

particolare, vengono analizzati gli aspetti connessi alla

disponibilità e responsività materna. La valutazione

della qualità del legame diadico è stata studiata per

mezzo di una procedura osservativa standardizzata

chiamata Strange Situation, ideata da M. Ainsworth nel

1978 e volta a rilevare i comportamenti di attaccamen-

to e di esplorazione in bambini di circa un anno d’età.

Attraverso la strutturazione di un setting organizzato

intorno a una definita sequenza di fasi, è possibile

declinare le condotte attivate dai bimbi con le loro ma-

dri in situazioni lievemente stressanti che,

nell’accezione classica dell’autrice, permettono di iden-

tificare alcuni specifici stili di attaccamento (sicuro - B,

ansioso evitante - A; ansioso ambivalente - C), ai quali si

è aggiunto, in seguito, un quarto pattern definito disor-

ganizzato-disorientato da Main e Salomon nel 1986.

L’attaccamento ai caregivers si sviluppa sulla base di

Modelli Operativi Interni, sopra definiti, che maturano

progressivamente nella mente del bambino, costituen-

do un processo di generalizzazione delle esperienze

affettive fatte in relazione alle figure primarie di attacca-

mento; essi consentono, in primo luogo, la costruzione

delle rappresentazioni del legame di attaccamento, ma

costituiscono anche una guida del comportamento

relazionale del bambino e dell’adulto poi. Il concetto di

MOI è strettamente collegato a quello di transgenera-

zionalità, che esplora le relazioni di attaccamento che i

caregivers hanno avuto, a loro volta, con i propri genito-

ri: attraverso l’uso dell’AAI, intervista semistrutturata

costruita dalla Main e collaboratori, vengono anche

indagati i ricordi specifici sull’accudimento ricevuto e la

1. Neuropsichiatra Infantile, CTA Clinico

Dirigente Medico UFSMIA USL Arezzo

2. Psicologa e psicoterapeuta, in contrat-

to CTA - C

3. Psicologa e Psicoterapeuta

TSTA Clinico

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descrizione delle relazioni attuali.

L’elemento interattivo diviene, dunque, struttura

portante nel corso del lavoro svolto con il bambino:

tale affermazione, sostenuta dalla maggior parte

delle teorie dello sviluppo, è attualmente avvalorata

anche da importanti ricerche effettuate nel campo

delle neuroscienze. Schore (2008), in particolare,

sostiene che la maturazione del sistema cortico-

limbico, preposto alla mediazione delle funzioni di

regolazione, fondamentali per la sopravvivenza

biologica, affettiva e sociale di ogni essere umano,

dipende dall’esperienza. Più in specifico, gli studi

illustrano che il cervello non solo è un sistema auto-

organizzato, ma che, nel corso dello sviluppo, in

particolare nei primi due anni di vita, tale auto-

organizzazione avviene nel contesto della relazione

con un altro sé, con un altro cervello; questo altro

sé, rappresentato dal caregiver primario, agisce,

attraverso la trasmissione dell’esperienza e in quali-

tà di regolatore psicobiologico esterno, sulla cresci-

ta del sistema nervoso del bambino, i cui compo-

nenti vanno rapidamente maturando nei primi anni

di vita. Bowlby riteneva la visione un elemento im-

portante per la strutturazione ed organizzazione di

un attaccamento primario alla figura materna;

l’imprinting veniva dunque a costituire il meccani-

smo di apprendimento alla base della formazione

del legame di attaccamento. Schore (2008) e Tre-

varthen (1997) hanno recentemente specificato,

attraverso i rispettivi lavori, che l’emisfero destro

del bambino, dominante per la processazione

dell’informazione visiva ed emotiva, oltre che per

l’identificazione del volto materno e per la percezio-

ne delle espressioni facciali materne che inducono

arausal, viene psicobiologicamente sintonizzato

all’output dell’emisfero destro della madre, che è

coinvolto nell’espressione e processazione

dell’informazione emotiva e nella comunicazione

non verbale. In altre parole, il lattante utilizza

l’output della corteccia destra materna, capace di

regolare le emozioni, come stampo per l’imprinting,

impianto base di circuiti nella corteccia destra del

bambino, che andrà a mediare le sue capacità

affettive in espansione. Schore descrive la dimostra-

zione neurologica del dialogo non verbale tra infan-

te e caregiver, riportando che zone corrispondenti

dell’emisfero destro della madre e del bambino si

illuminano alla PET nei momenti di interazione.

Contemporaneamente a Bowlby, Berne elaborò

negli anni 50 - a partire dagli studi di Federn, Pen-

field e Weiss e mutuando anche elementi dalle

ricerche di Spitz, Sackett e Haron - il modello teorico

fondamentale dell’Analisi Transazionale, il cui fulcro

è rappresentato dall’affermazione che esiste un

ponte tra gli aspetti strutturali, cioè intrapsichici,

della persona e quelli interpersonali, osservabili

attraverso le transazioni comunicative (Ligabue,

2001). Tale assunto, che in quegli anni poteva

essere accolto come intuitivamente vero, è ora

sostenuto - come sinteticamente riportato sopra -

anche dagli studi condotti nel campo delle neuro-

scienze: specifiche esperienze affettive di attacca-

mento, vissute nei primi anni di vita, regolanti lo

stress, sono iscritte nella corteccia orbito frontale,

centrale di comando del sistema limbico durante le

prime epoche di vita. Questa scoperta, rivoluziona-

ria per i saperi di allora, a fronte della classica teori-

a freudiana fondata sulle pulsioni intrapsichiche,

determinò un acceso dibattito e gradienti significati-

vi di resistenza all’interno della comunità scientifica

internazionale, che osteggiò e, per certi versi, svalu-

tò questi nuovi assunti, che portarono da una parte

Bowlby a definire il concetto di Modelli Operativi

Interni, e dall’altra Berne a declinare la sua teoria

del Copione.

Proporre un parallelo tra Bowlby e Berne nasce

dunque da motivazioni profonde, che attingono le

loro radici nel modo originale e creativo con cui i

due autori hanno saputo porsi di fronte al reale: per

entrambi l’osservazione ha rappresentato la chiave

di volta attraverso la quale declinare ciò che oggi, in

modo incontrovertibile, la neurobiologia conferma:

lo sviluppo non procede per processi maturativi

interni, ma tramite percorsi interpersonali, in altre

parole gli incontri intersoggettivi costruiscono le

funzioni psichiche.

Le osservazioni cliniche condussero Berne a com-

prendere che a stessa programmazione del copione

avviene nel periodo dell’allattamento sotto forma di

brevi protocolli che che possono diventare successi-

vamente drammi complessi. Il copione rappresenta,

dunque, la matrice su cui la persona forgia il proprio

piano di vita, le sue modalità relazionali, finendo per

costituire un definito programma di vita, costruito a

partire dall’esperienza con le figure primarie di

attaccamento, i caregivers, svolta nel corso delle

interazioni precoci.

Il concetto di copione, pur progressivamente am-

pliatosi grazie al contributo di nuovi autori A.T., ha in

questi fondamentali costrutti di Berne il suo signifi-

cato essenziale.

Queste analisi sono convergenti con i lavori di

Bowlby sui Modelli Operativi Intern, che l’autore

definisce come rappresentazioni interne della rela-

zione di sé con l’altro, basi per i comportamenti

relazionali futuri del bambino, che gli consentono di

fare previsioni e crearsi aspettative, a fronte di

quanto i suoi caregivers sapranno essere accessibili

e responsivi alle sue richieste; congruenze ed affini-

tà significative si evidenziano, inoltre, con uno dei

più recenti sviluppi della Teoria dell‘Attaccamento,

che andremo a descrivere di seguito: il Modello

Dinamico Maturativo della Crittenden ( 1995; 2002;

2008; 2010) (fig. 1 )

P. Crittenden, allieva di Bowlby e della Ainsworth, ha

elaborato una interessante prospettiva evolutiva,

declinata a partire dalla stesura di un Modello Dina-

mico Maturativo (DMM), dello sviluppo delle strate-

gie di attaccamento, nella quale l’assunto di matu-

razione è collocato in interazione dinamica con

quello di esperienza. L’autrice sostiene infatti che,

cambiamenti nella qualità dell’attaccamento si

possono registrare in specifici periodi dello sviluppo,

per una riorganizzazione dei processi affettivi, co-

gnitivi e quindi anche degli stili di attaccamento.

Grande rilievo assumono in questo modello la com-

petenza evolutiva o la distorsione delle informazioni

processate dal bambino, alla base della successiva

organizzazione dei percorsi evolutivi adattativi. Per

la studiosa l’attaccamento è: una relazione,

l’elaborazione delle informazioni e una strategia per

la gestione della relazione (Cena, Imbasciati e Bal-

doni, 2010). La Teoria dell’Attaccamento afferma

che le persone hanno una innata propensione ad

organizzare specifiche strategie di protezione del sé

e, successivamente alla pubertà, strategie sessuali.

Crittenden sostiene, in specifico, che le strategie

rappresentano il risultato di due fondamentali tipi di

informazione: l‘ordine temporale degli stimoli senso-

riali e la loro intensità; processati separatamente

dal sistema nervoso centrale per strutturare infor-

mazioni cognitive sulle relazioni causali e informa-

zioni affettive sulle sensazioni somatiche associate

ai contesti (Crittenden, 2008).

Come riferito nella parte iniziale dell‘intervento,

Ainsworth ha identificato tre configurazioni di attac-

camento, successivamente Main e Crittenden,

attraverso le rispettive ricerche, hanno ampliato il

modello originale, proponendo rispettivamente

il modello ABCD (Main e Solomon, 1990), e il mo-

dello Dinamico Maturativo (Crittenden, 1995;

2002).

La proposta di Main, categoriale, definisce sostan-

zialmente ciò che non può essere ricondotto alle

configurazioni di Ainsworth (ABC) come disorganiz-

zato o non classificabile, riducendo nell’ottica di-

mensionale i soggetti C, spesso assunti nella cate-

goria D (Crittenden, 2008)

copyright P. M. Crittendem, 2001

Analizzando il diagramma circolare del DMM, che

comprende tutte le strategie di protezione del sé

strutturabili in età adulta, è possibile rilevare quan-

to segue: i soggetti che utilizzano le strategie collo-

cate in alto nel modello non sono stati esposti a

pericoli, progressivamente scendendo verso il basso

l’esperienza di pericoli diventa più evidente. Inoltre,

osserviamo che nelle strategie di attaccamento di

tipo A sono in genere utilizzate informazioni cogniti-

ve e vengono inibiti gli stati affettivi negativi. Nelle

strategie di attaccamento di tipo C, vengono mostra-

ti, a gradienti progressivamente crescenti, stati

affettivi negativi intensi e contemporaneamente

inibite le informazioni cognitive. All’interno del grup-

po A, la sottoclasse compulsiva, non solo tende ad

inibire gli stati affettivi, ma esterna quelli falsamen-

te positivi. All’interno del gruppo C, la sottoclasse

coercitiva ipertrofizza le manifestazioni affettive

negative ed inganna l’altro rispetto a ciò che sta per

accadere o vuole fare. Questi esempi chiarificano

che i soggetti con strategie A e C operano, comun-

que, una distorsione nell’elaborazione delle infor-

mazioni, ricavando una rappresentazione non ade-

guata dell’esperienza. Crittenden specifica che la

persona non è consapevole di tale incongruenza ed

agisce in rapporto alle sue informazioni, scorporate

da tutti gli elementi ritenuti discrepanti. La strategia

B, viceversa, rappresenta l’integrazione di affettività

e cognitività, rivelandosi quindi la meno vulnerabile

alla psicopatologia.

Crittenden specifica che la gamma delle configura-

zioni si sviluppa a partire dall’infanzia, espandendo-

si durante l’età scolare e l’adolescenza, fino a com-

pletarsi in età adulta.

In questo modello le configurazioni A e C rappresen-

tano, dunque, opposti psicologici; tale affermazione

porta ad una duplice riflessione: la prima correlata

al fatto che probabilmente esse potranno beneficia-

re di forme diverse di trattamento, evidenziando

dunque il limite di raggruppare i pazienti solo per

categorie nosografiche basate sui sintomi, senza

tenere conto delle specifiche strategie psicologiche

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e comportamentali utilizzate; la seconda inerente la

stretta corrispondenza tra questo assunto e il co-

strutto AT di porte aperte e chiuse di Paul Ware

(1983).

Concludiamo la prima parte dell’intervento accen-

nando ad un filone di ricerca particolarmente inte-

ressante, avviato in un recente studio di Fonagy

(luglio 2010), nel quale l‘autore, a partire da

un’analisi confrontativa tra il modello della Main

- definito categoriale - e quello della Crittenden-

definito dimensionale - pubblica i primi risultati

riguardanti possibili complementarità nella trasmis-

sione delle strategie di attaccamento insicuro, che

aprono nuovi scenari sulla clinica degli interventi

precoci a favore della diade madre/bambino.

Relazione della dott.ssa Elena Bruni

Correlazioni tra AT Classica e Teoria

dell’Attaccamento

Il bambino trova un luogo di ascolto e risonanza tra

il suo mondo interno, fatto di bisogni, in relazione

con quello esterno. Questo Mondo esterno è Altro,

Spazio e Tempo di ascolto, ed è uno spazio in cui il

bambino trova un Riconoscimento di Sé, esiste

all’interno della dinamica della relazione, quindi la

relazione è l’unica situazione possibile nella quale il

bambino può esistere.

Nella relazione il bambino si forma quindi un con-

cetto di Sé attraverso il vissuto con l’Altro che, in

questa relazione, viene introiettato andando proprio

a mettere le basi per il concetto di sé. Le strategie

di attaccamento si formano, quindi, all’interno della

relazione con l’Altro.

A seconda della risposta che viene data

dall’ambiente il bambino introietta un vissuto di sé

nell’altro e di sé con l’altro, che va a gettare le basi

per la costruzione del sé e in Analisi Transazionale

costituisce il G1.

Questa introiezione va a sua volta ad influenzare la

percezione del proprio mondo interno, come una

sorta di sistema a feed-back che, influenzando la

percezione dei bisogni, ne condiziona poi la messa

in relazione successiva con il mondo esterno. Quindi

è come un circuito che si autoregola a seconda

della risposta che ottiene.

Il bambino impara, all’interno di questa relazione, a

regolare la tensione emotiva attraverso la disponibi-

lità emotiva della madre. E’ la madre che interpre-

tando gli stati affettivi del figlio da un riconoscimen-

to e questo riconoscimento dovrebbe essere dato

con una decodifica emotiva del messaggio del bam-

bino corretta; per far questo la madre dovrebbe

avere una buona competenza emotiva per poter

dare un riconoscimento. La disponibilità emotiva

della madre a regolare gli affetti del figlio e la sua

competenza emotiva sono fondamentali per la

costruzione del legame di attaccamento e per deter-

minare la qualità del legame di attaccamento

(Emde, 1988).

La madre opera quindi una Reverie, deve cioè avere

una capacità di accoglienza e di trasformazione

delle emozioni negative che il bimbo le sta proiet-

tando (Bion, 1962). Per cui la prima relazione della

diade è plasmata dalla rappresentazione e dalle

fantasie che la madre ha sviluppato nel corso della

vita a partire dalla propria infanzia: il primo legame

è caratterizzato dalle fantasie della madre relative

al bambino e dai propri vissuti di bambina con i

propri genitori; la madre quindi attribuisce al figlio

delle caratteristiche tramite il meccanismo

dell’identificazione proiettiva e proietta proprio sul

bambino il proprio sé e i propri oggetti interni

(Brazelton, Cramer, 1990).

Si parla quindi di una trasmissione da parte della

madre al figlio, riprendendo il concetto di trasmis-

sione transgenerazionale dei modelli relazionali per

cui le esperienze vissute dal genitore nel passato

vengono trasmesse al figlio e diventano proprio

bagaglio del figlio. Le esperienze che vengono pas-

sate possono essere positive ma anche esperienze

negative, pertanto i fantasmi del passato dei genito-

ri possono interferire nella relazione con i figli attra-

verso proprio una comunicazione distorta tra il

genitore e il bambino. Tutti questi messaggi vengo-

no denominati all’interno di una serie di studi psico-

analitici come matrice di trasmissione di caratteristi-

che psichiche dalla madre del bambino. L’utilizzo

del termine matrice richiama, a nostro parere,

la matrice di copione con tutti i suoi messaggi.

Le caratteristiche del funzionamento inconscio e

i contenuti inconsci della madre o comunque di un

determinato individuo vengono trasmesse alle ge-

nerazioni successive. Si parla di madre perché ha

un’influenza maggiore, ma è molto importante

anche il contributo del padre.

Alcuni autori parlano di una esperienza pre-verbale,

corrispondente a scambi obbligati e automatici tra

i membri della diade nel corso della quale i genitori

immettono inconsciamente nel bambino aspetti del

loro modello operativo interno (Lieberman et

al. 1997); per scambi obbligati si intende per esem-

pio quelli legati all’accudimento del bambino.

Altri autori parlano di aspettative che si trasmettono

dal mondo interno della madre a quello del bambi-

no (Cramer, Palacio-Espasa, 1993).

Altri ancora parlano di attribuzioni che i genitori

rivolgono al proprio bimbo e che questi assume;

attribuzioni positive favoriscono un buono sviluppo,

attribuzioni negative o contraddittorie possono

ostacolare lo sviluppo del senso di sé del bimbo

(Cena, Imbasciati, Baldoni, 2010).

Le aspettative, il mondo interno della madre che

passa nel bambino e le attribuzioni che la madre fa

nei confronti del figlio rimandano, secondo noi, ai

messaggi di copione. Riteniamo quindi che questa

possa essere considerata la prima correlazione che

è stata trovata tra la teoria dell’attaccamento e

l’analisi transazionale.

Per vedere come tutti questi messaggi e la relazione

influenzino la formazione del bambino, abbiamo

utilizzato il diagramma di flusso patologico di Weiss.

Attraverso questo strumento possiamo spiegare

come la risposta dell’ambiente alle richieste del

bambino, vada a innescare in lui due possibilità: un

circolo “positivo”, che va a confermare la naturale

posizione di Okness del bimbo alla nascita, oppure

un circolo “negativo”, che invece porta ad agire

tutta una serie di comportamenti quali giochi psico-

logici, emozioni parassite, relazioni simbiotiche e

tutto ciò che permette al bambino un soddisfaci-

mento almeno parziale dei suoi bisogni. Tutto que-

sto, secondo il modello AT, culmina con le decisioni

di copione, mentre, secondo la teoria

dell’attaccamento e il DMM, con la formazione delle

strategie di attaccamento A o C.

Tutti i bisogni, le emozioni, i desideri e i sentimenti

che vengono espressi dallo stato dell’Io Bambino

Libero possono essere soddisfatti o meno. Se ven-

gono soddisfatti si innesca un circolo virtuoso,

positivo, per cui il bambino conferma la sua posizio-

ne di essere Ok e passa all’espressione del bisogno

successivo. Se invece il bisogno non viene soddi-

sfatto, ha una prima reazione di rabbia, paura,

tristezza o frustrazione, e può decidere di dare se-

guito rinforzando la sua richiesta, aumentando ad

esempio l’intensità del pianto. In questi casi vi sono

due possibilità: il bambino ottiene una risposta

positiva e il suo bisogno viene soddisfatto, in modo

da sentire riconfermata la condizione di essere Ok e

poter passare al bisogno successivo, altrimenti, se

riceve di nuovo una risposta negativa, entrano in

gioco le decisioni di copione. Il bambino può pren-

dere una decisione di copione che lo porterà a met-

tere in atto una serie di strategie e comportamenti

volti ad appagare il proprio bisogno in modo non

sano né buono per sé.

Queste strategie vengono progettate e proposte dal

Bambino Adattato e consistono in tutta una serie di

comportamenti che comprendono, come già detto,

giochi psicologici, emozioni parassite, relazioni

simbiotiche e tutto quello che può portare il bambi-

no ad avere almeno un parziale soddisfacimento di

questi bisogni. Tutti questi comportamenti vanno

anche a confermare la posizione esistenziale di non

essere ok che, se rinforzata dall’ambiente esterno,

va a costituire un modello di risposta e uno schema

di comportamenti che, a sua volta, rinforza la deci-

sione di copione.

La stessa modalità porta al formarsi delle strategie

di attaccamento insicuro, quelle denominate A e C,

messe in atto dal bambino per adattarsi a soddisfa-

re il proprio bisogno di sicurezza, di protezione, di

essere amato.

Anche queste strategie si rinforzano in base alla

risposta che il bambino ottiene dall’ambiente ester-

no. Nel caso in cui egli non ottenga di soddisfazio-

ne, le sue reazioni possono essere di alzare

l’intensità della richiesta e, se funziona, strutturare

un modello orientato verso una strategia di tipo C,

di aggressione e sottomissione con alternanza di

richieste, espresse in maniera elevata e comporta-

mento di sottomissione o, invece, decidere di inibire

la propria richiesta, cessando di chiedere e andan-

do quindi verso una strategia di tipo A. Gli stimoli

ambientali e i messaggi genitoriali vengono utilizzati

parallelamente per formare le decisioni di copione,

il copione e le strategie di attaccamento.

Prendiamo adesso in considerazione le posizioni

esistenziali.

Abbiamo visto che questo meccanismo di soddisfa-

zione e frustrazione dei bisogni va a confermare la

posizione ok o non ok del bambino e abbiamo quin-

di pensato di associare proprio le strategie di attac-

camento con le posizioni esistenziali.

La posizione IO + TU + potrebbe essere quella di una

strategia di attaccamento di tipo B, quella IO - TU + di

tipo A, per cui io svaluto me stesso in favore

dell’altro, la strategia di tipo C invece corrisponde-

rebbe ad una posizione esistenziale opposta, di tipo

IO + TU - , quindi è più importante la mia richiesta e

la porto avanti a qualsiasi costo.

IO – TU – potrebbe rappresentare la strategia

tipo A/C

Andiamo ora ad analizzare le singole tipologie di

adattamento utilizzando le modalità diagnostiche

del linguaggio dell’Analisi Transazionale.

La strategia di attaccamento di tipo A

Le persone con attaccamento di tipo A, privilegiano

l’utilizzo di informazioni cognitive a scapito di quelle

affettive per orientare e organizzare i propri compor-

tamenti (Crittenden, 2008).

Utilizzando il diagramma strutturale possiamo ipo-

tizzare che ci sia una esclusione o una difficoltà

nell’entrare in contatto con il proprio stato dell’Io

Bambino e il vissuto di sentimenti negativi viene

inibito o non riconosciuto. Potrebbe anche trattarsi

di una contaminazione del Genitore sull’Adulto, il

che spiegherebbe tutta quella operazione di falsifi-

cazione e distorsione delle informazioni che agisco-

no le persone con strategia di tipo A.

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Con l’Egogramma di Dusay, strumento utilizzato per

rappresentare gli Stati dell’Io dal punto di vista

funzionale, vediamo che gli Stati dell’Io maggior-

mente energizzati sarebbero quello del Genitore,

più precisamente un Genitore Normativo rivolto

verso se stessi e un Genitore Affettivo rivolto

all’altro ma non a sé, così come un Bambino Adatta-

to a quelle che si ritiene siano le richieste

dell’ambiente.

Abbiamo provato a ipotizzare quale potrebbe essere

la matrice di copione di una persona con strategia

di attaccamento di tipo A.

Per quanto riguarda le spinte, sembrerebbero pre-

dominanti “Compiaci”, che porta la persona ad

adattarsi alle richieste esterne e “Sii Forte”, che

porta a negare i propri bisogni e il proprio sentire,

pur di rimanere in relazione con l’altro. Le ingiunzio-

ni “Non essere intimo” e “Non sentire”, mentre per

quanto riguarda il programma potrebbe essere

“Ecco come compiacere e ignorare i propri senti-

menti”. Ne seguirebbe una decisione di copione che

potrebbe essere del tipo “Non sono importante e/o

non sono degno di essere amato” , con una decisio-

ne di controcopione che è diversa a seconda

dell’indice di attaccamento che si va a considerare,

per esempio per l’indice A3-4, cioè Accudente com-

pulsivo e Obbediente compulsivo, potrebbe essere

“Farò tutto quello che posso per compiacere l’altro

così non sarò abbandonato” mentre per A5-6, Auto-

sufficiente o Compulsivamente promiscuo, “Non

entrerò in intimità con nessuno per non essere

ferito”. Quindi man mano che ci si sposta verso

indici più alti è più estrema la decisione.

Le persone con attaccamento di tipo A manifestano

dei falsi affetti positivi talvolta esagerati che inibi-

scono le loro vere emozioni. In questo senso anche

l’utilizzo della gioia potrebbe essere una emozione

parassita che va a coprire, a sostituire la rabbia o la

paura. Le emozioni parassite sono emozioni che il

bambino impara ad utilizzare per coprire le sue vere

emozioni, perché potrebbero spaventare la madre:

c’è proprio una sorta di spostamento, di sostituzio-

ne, che il bambino fa pur di mantenere la relazione.

Per esempio la rabbia o la paura sono emozioni che

possono spaventare la madre e, di fronte alla mi-

naccia di perdere la figura di accudimento, il bambi-

no può inibirle e sostituirle con emozioni diverse, ad

esempio la gioia, per fare in modo che la madre

provi più piacere a stargli vicino, dato che è felice e

contento. Naturalmente alla base c’è una svaluta-

zione del Sé: il tipo e la modalità di svalutazione

sono diversi a seconda della classe di attaccamen-

to, più alto è l’indice dei pattern di attaccamento,

più basso sarà quello di svalutazione nella matrice

di svalutazione degli Schiff (Schiff, 1975) e la svalu-

tazione sarà più profonda e radicata.

Il tipo e la modalità sono quindi differenti a seconda

del diverso indice di attaccamento e, per esempio,

una persona con attaccamento A3-4 potrebbe avere

una svalutazione in T4, una persona con un attacca-

mento A5-6 in T2.

Nella popolazione clinica è più frequente avere a

che fare con bambini con attaccamento di tipo C

che con quelli con attaccamento di tipo A; infatti

vengono generalmente portati in consultazione quei

bambini che i genitori non riescono a gestire proprio

perché utilizzano delle modalità di relazione che

prevedono dei comportamenti esagerati, soprattutto

per quanto riguarda l’espressione degli affetti nega-

tivi. I bambini con strategie di tipo A invece, sono

dei bambini estremamente tranquilli e apparente-

mente allegri che difficilmente vengono portati da

uno specialista, a meno che non producano un

sintomo che possa far trapelare la loro sofferenza.

Al contrario, per quanto riguarda invece la popola-

zione adulta, è più alta la percentuale delle persone

con strategie di tipo A; infatti queste persone posso-

no dover pagare il prezzo di questa forte sofferenza

che hanno mascherata, ma che ha raggiunto un

livello di dolorosità che non è più sostenibile.

E’ vero anche che la strategia di tipo A si consolida

in termini evolutivi intorno all’adolescenza, mentre

quella di tipo C è fisiologicamente presente già dai

due-tre anni. Si ha quindi una diversa distribuzione

delle differenti strategie di attaccamento, a seconda

delle fasce di età che andiamo a prendere in consi-

derazione.

I bambini con attaccamento di tipo A possono entra-

re in relazione simbiotica con la madre con una

simbiosi di secondo tipo, quindi una relazione molto

profonda.

C’è proprio una configurazione di attaccamento, il

tipo A3 che è etichettato come Accudente compulsi-

vo e la definizione del pattern dice sono bambini

detti accudenti compulsivi, sono cioè quei bambini

che per garantirsi la sopravvivenza hanno dovuto

mettere da parte i propri bisogni per occuparsi di

quelli della madre. C’è proprio una inversione di

ruoli perché il figlio non viene accudito dalla madre,

ma è lui stesso che si occupa di lei. (Crittenden

2008) Se vogliamo utilizzare il linguaggio analitico

transazionale, questa è proprio la descrizione della

simbiosi: una relazione nella quale il bambino è

portato a crescere in maniera precoce per occuparsi

dei bisogni del Bambino della madre. Una volta che

questo bambino sarà diventato adulto, tenderà a

riprodurre lo stesso modello di relazione e a istaura-

re quindi legami simbiotici, dove i propri bisogni

saranno sempre svalutati pur di avere quei ricono-

scimenti e quelle carezze che per lui sono familiari.

Abbiamo visto come le persone con strategia di tipo

A avessero una posizione esistenziale Io non sono

Ok, Tu sei Ok e apparentemente questo elemento è

in contrasto con il fatto che queste persone metta-

no in atto delle relazioni simbiotiche nelle quali

vanno proprio ad accudire l’altro mostrando quindi

una posizione Io sono Ok, Tu non sei Ok. Possiamo

quindi considerare questa seconda posizione come

quella sociale, la maschera che viene mostrata

all’esterno che va però a coprire la posizione esi-

stenziale psicologica che è quella depressiva, come

viene confermato anche dalla stessa Crittenden e

da Bowlby per cui questi bambini con accudimento

compulsivo, una volta diventati adulti sono significa-

tivamente più infelici degli altri perché non hanno la

capacità di accudire sé stessi e vanno più frequen-

temente verso aspetti depressivi. Si conferma quin-

di l’idea che una persona non abbia una sola posi-

zione stabile e fissa, ma che le due posizioni oppo-

ste si alternino nell’intrapsichico e

nell’interpersonale.

I comportamenti passivi che manterranno la simbio-

si nei rapporti adulti saranno l’astensione e

l’iperadattamento: io mi adatto a quelle che credo

siano le tue richieste e i tuoi bisogni e inibisco le

mie reazioni. Ci sarà una svalutazione di sé a livello

dell’importanza degli stimoli e della possibilità di

cambiamento: queste persone infatti sono convinte

di non avere gli strumenti e neanche la possibilità di

uscire da una situazione o modificarla.

La strategia di attaccamento di tipo C

Le persone con attaccamento di tipo C privilegiano

le informazioni di tipo affettivo per orientare il loro

comportamento escludendo le informazioni cogniti-

ve (Crittenden, 2008). Se consideriamo la struttura

di personalità di questi individui, utilizzando sempre

la diagnosi strutturale, vediamo che è presente una

contaminazione del Bambino sull’Adulto, per cui ciò

che la persona vive e sente viene da lei stessa

utilizzato per prendere decisioni e mettere poi in

atto comportamenti e richieste.

Dal punto di vista funzionale, continuando a utilizza-

re l’Egogramma, vediamo che gli stati dell’Io mag-

giormente energizzati sono il Bambino Ribelle e il

Bambino Iperadattato.

La strategia che possono mettere in atto le persone

con attaccamento di tipo C viene definita COY. Con-

siste in una alternanza di comportamenti di sotto-

missione e aggressione che, in termini analitico

transazionali, potrebbe essere spiegata attraverso

l’utilizzo del triangolo drammatico di Karpman

(Stewart, Joines, 1990).

Si tratta di uno strumento che in AT viene utilizzato

per spiegare i giochi psicologici e rappresentarli

graficamente: nel corso del gioco, una persona

inizia il gioco da una posizione che le è più conge-

niale per poi passare in un’altra posizione. In questo

caso, il bambino che utilizza un comportamento

COY (sottomissione e aggressione), fa una richiesta

partendo dalla posizione di Vittima, in modo da

attivare nell’altro la posizione di Salvatore e ottene-

re così la soddisfazione del proprio bisogno.

Nel caso non ottenga la risposta desiderata e vada

incontro a un vissuto di frustrazione, si va verso una

escalation della richiesta fino a passare dallo stato

di Vittima a quello di Persecutore. La persona che

utilizza un comportamento aggressivo da Persecuto-

re mette l’altro in una posizione di Vittima che, o

acconsente alla richiesta pur di far cessare il com-

portamento persecutorio, oppure subisce e soppor-

ta l’aggressività andando incontro ad una forte

sofferenza.

La svalutazione operata dalle persone con strategia

di tipo C è una svalutazione degli altri e della situa-

zione, si ritiene cioè che l’altro non sia in grado di

rispondere al proprio bisogno.

Anche le persone tipo C potrebbero istaurare rap-

porti di tipo simbiotico, come quelle tipo A, ma utiliz-

zando una simbiosi di primo tipo e ponendosi in una

posizione opposta rispetto a quella del tipo A, per

cui si pongono nella condizione di essere accuditi

mostrandosi incapaci mentre sarebbero in grado.

La posizione C4 viene etichettata proprio come

“Fintamente incapace”: la persona cioè si incapaci-

tà, nonostante sia in grado, affinché l’altro possa o

debba soddisfare il suo bisogno. Il bambino utilizza

quindi solo il suo B, escludendo completamente o in

parte i suoi stati dell’Io Adulto e Genitore e la pro-

pria capacità di risolvere la situazione andando ad

attivare il Genitore e l’Adulto nella madre. Nelle

relazioni da adulo questa persona riproporrà le

stesse dinamiche che ha avuto con la madre e

cercherà quindi qualcuno che possa “salvarlo” dalla

sua incapacità.

Anche qui ne consegue quindi una riflessione ulte-

riore sulle Posizioni Esistenziali: la strategia di attac-

camento di tipo C era stata accostata alla posizione

esistenziale Io non sono Ok, tu sei Ok. Dobbiamo

precisare che questa posizione è di tipo sociale,

come se fosse una maschera, che va invece a copri-

re la vera posizione esistenziale, o posizione psico-

logica che è Io sono Ok e Tu non sei Ok, per cui io

mi mostro incapace e bisogno affinché tu possa

prenderti cura di me, ma per stimolarti devo usare

una richiesta esagerata perché è l’unica condizione

nella quale tu ti accorgi di me e soddisfi il mio biso-

gno. Se io non arrivassi ad esagerare la mia richie-

sta tu saresti sordo alle mie richieste e tra noi non

potrebbe esserci nessuna relazione.

La simbiosi verrebbe espressa utilizzando compor-

tamenti passivi di agitazione e incapacitazione o

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violenza che richiamano molto bene quei comporta-

menti che la Crittenden definisce aggressività e

sottomissione che caratterizzano la strategia COY.

Vorrei concludere presentando una definizione dei

disturbi emotivi che integra quelle di Berne e della

Crittenden:

I disturbi emotivi sono comportamenti appresi,

basati su decisioni dell'infanzia e rappresentano un

compromesso del bambino tra il soddisfare i propri

bisogni e l'andare d'accordo con le figure genitoriali.

Noi facciamo sempre tutto quello che possiamo per

aumentare al massimo il piacere e ridurre al mini-

mo il dolore (Wollams Brown, 1985), quindi potrem-

mo dire che facciamo tutto quello che possiamo per

mantenere uno stato di attivazione confortevole e

ridurre al minimo il pericolo.

Relazione dott.ssa Maria Assunta Giusti

Teoria dell’Attaccamento e AT Integrativa

Siamo partiti dalla teoria dell’attaccamento (Bowlby)

sottolineando la funzione protettiva del caregiver

per arrivare al modello dinamico maturativo

(Crittenden) che sposta l’accento sul funzionamento

e quindi sulle capacità adattive intese come com-

patibilità tra strategie e contesto che creano la

sicurezza. Abbiamo inoltre visto come l’accento sia

andato negli anni sempre più a centrarsi sulla rela-

zione di cui Berne intuitivamente aveva parlato

spiegando la differenza dalla fame biologica alla

fame di stimoli, struttura e riconoscimento

(successivamente Erskine parlerà di fame di relazio-

ne come motivazione principale nello sviluppo uma-

no). Quindi alla luce di quanto detto attualmente

possiamo considerare l’attaccamento come una

strategia per la protezione del Sé che viene appresa

e collaudata nell’interazione con le figure parentali

e con l’ambiente.

Da una teoria dell’attaccamento a carattere difensi-

vo passiamo a una co-costruzione contemporanea e

reciproca tra bambino e genitore, dove la capacità

stessa di attaccamento e protezione è sottolineata

come capacità di entrambi. E’ nella reciprocità che

si crea percezione di sé, dell’altro e della relazione,

con reciproca stimolazione e strutturazione

all’interno di un contesto di crescita di cui

l’individuo ha bisogno per esistere e apprendere.

Riteniamo che il bisogno di appartenenza sia alla

base dei bisogni umani e vada ad aggiungersi agli 8

bisogni relazionali di Erskine.

Se poi parliamo di strategie di relazione e sopravvi-

venza, che facilitano o favoriscono il bisogno di

appartenenza e quindi crescita dell’individuo, allora

dobbiamo anche modificare la nostra percezione di

fronte al sintomo che a questo punto può conside-

rarsi non tanto una caratteristica della patologia

quanto di una strategia di sopravvivenza con aspet-

ti funzionali al mantenimento della relazione. Il

sintomo diventa un “dono” cioè un segnalatore

della richiesta di aiuto, un discorso che narra la

sofferenza del singolo e del suo sistema, e che da la

possibilità ad entrambi (genitore e bambino) di

sopravvivere.

Tutto questo sposta la nostra attenzione da una

posizione di cura ad una posizione di avere cura.

Dalla patologia alla persona, dalla decisione copio-

nale e relativa ridecisione alla strategia di un piano

di vita e alla sua modificabilità per competenze

evolutive attraverso una relazione coinvolta che da

il supporto adeguato al cliente per arrivare ad un

processo di comprensione del sé. E’ attraverso il

contatto con se stessi che si riconoscono i propri

bisogni e si entra in una relazione sintonizzata che

permette di fare contatto anche con l’esterno, con

l’altro.

Per confermare il concetto sopra esposto, possiamo

leggere la definizione di Adulto Integrato di Erskine

che è traducibile come la possibilità di esercitare

una nuova strategia adatta al contesto e alla capa-

cità evolutiva, alla comprensione ed elaborazione

integrata del conflitto tra introietto e fissazione.

Il trattamento dovrebbe focalizzarsi sulla possibilità

di mettere i soggetti in grado di riflettere sulle condi-

zioni interne ed esterne che favoriscono il contesto

del loro comportamento, di esercitare una risposta

in condizioni non rischiose e imparare ad adattare

le strategie ai contesti, allo scopo di ottenere la

massima sicurezza e protezione (1).

(1) L’affermazione della centralità della relazione

per lo sviluppo sano della persona e dei suoi confi-

ni, porta Erskine ad abbandonare il modello concet-

tuale, strutturale e funzionale di Berne degli stati

dell’Io. Per Erskine c’è uno stato dell’Io Adulto inte-

grante, che accoglie ciò che accade, momento per

momento, sia all’interno sia all’esterno di sé, le

esperienze passate e i loro effetti conseguenti, le

identificazioni e le influenze psicologiche con altre

persone significative della vita; o c’è uno stato

dell’io adulto che a seguito di traumi relazionali non

riesce a integrare le esperienze e si difende incon-

sapevolmente attraverso l’introiezione dando luogo

alla creazione di stati dell’io scissi ovvero lo stato

dell’Io Bambino (fissazione) e lo stato dell’Io Genito-

re (introietto).

Con l’A.T.I. quindi c’è il superamento del sistema

egoico tripartito e con la teoria dell’attaccamento

(DMM) della Crittenden abbiamo il superamento da

stile di attaccamento a processo relazionale.

L’attaccamento quindi coincide con un processo di

apprendimento della regolazione basato sulla rap-

presentazione mentale. Gli stimoli (fame di stimoli)

forniti dell'esperienza creano una rete neuronale

che da la possibilità all’individuo di avere struttura

(fame di struttura) creando nella reciprocità (fame

di riconoscimento) delle rappresentazioni mentali.

L’attaccamento parla di M.O.I. e l’A.T. parla di Q.R.

entrambi predispongono l’individuo alla relazione

con l’altro partendo da una posizione strategica

spesso filtrante il contenuto reale.

Secondo la Crittenden le strategie di attaccamento

vengono incamerate attraverso passaggi preferen-

zialmente cognitivi o affettivi (emotivo o cognitivo

integrati). Il conflitto dipende da una condizione

temporale, cioè la successione temporale in cui

l’esperienza si è formata, l’affettivo dipende

dall’intensità. La condizione di equilibrio è quella

dove affettivo e cognitivo si mettono insieme. In A.T.

parliamo anche di canali preferenziali, porte aperte

o chiuse (Paul Were) a seconda del modo di relazio-

narsi e in A.T.I. parliamo di domini cognitivo, affetti-

vo, comportamentale e emotivo. Quando l’Adulto è

integrato ha un buon contatto con sé e con l’altro e

la sua energia fluisce nei quattro domini.

L’organizzazione delle esperienze e la creazione di

strategie rendono prevedibile l’ambiente e

l’esperienza (fame di struttura e organizzazione del

tempo di Berne).

Nella sua definizione del copione di vita Erskine

parla di un modello relazionale inconscio, basato su

reazioni di sopravvivenza, conclusioni esperienziali

implicite e decisioni esplicite e introiezioni autorego-

latorie prese sotto stress, in qualunque epoca dello

sviluppo, che inibiscono la spontaneità e limitano la

flessibilità nella risoluzione dei problemi, nel mante-

nimento della salute e nella relazione con le perso-

ne. Le “reazioni fisiologiche di sopravvivenza” e le

“conclusioni esperienziali implicite” di cui parla

Erskine non sono altro che i modelli sub-simbolici e

pre-simbolici che per Bowlby, e per gli studiosi suc-

cessivi focalizzati sul piano evolutivo, il bambino si

forma nel tentativo di gestire le mancate sintonizza-

zioni e le negligenze cumulative della prima infan-

zia.

Cosi come il punto di vista della Crittenden costitui-

sce un superamento della precedente lettura degli

attaccamenti per stili,fovorendone una spiegazione

per strategie legate alle competenze , così l’ A.T. ha

evoluto il concetto di copione di stampo determini-

stico in piano di vita che ne sottolinea la continua

maturazione e sviluppo e la possibilità del suo for-

marsi o liberarsi durante tutto l’arco della vita.

Il sistema di copione, come recita la definizione di

Erskine, è l’insieme complesso di modelli relazionali

inconsapevoli basati su reazioni fisiologiche di

sopravvivenza, conclusioni esperienziali implicite e

decisioni esplicite prese sotto stress ad ogni fase

dello sviluppo. Tale stress è la pressione causata

dai fallimenti di una co-creazione dell’esperienza

relazionale: il bambino soprattutto, ,ma ognuno in

ogni fase della vita, a causa della ripetuta perdita di

contatto con una persona significativa che ricono-

sce e convalida i bisogni, si trova a dover rispondere

alla domanda “che ci faccio io, così come sono, in

un mondo come questo, con persone come voi?”

nel tentativo di rispondere , e di difendersi dalla

perdita di senso che segue all’esperienza di vuoto

di contatto vissuta, la persona può introiettare quel-

la relazione interrotta di sé con l’altro all’interno del

sé e fissarla come un insieme relazionale rigido, in

modo da conservare un sentimento illusorio di inti-

mità. In questo modo la persona mantiene

l’equilibrio psicologico, e contro l’assenza di relazio-

ne e l’ansia, si garantisce uno pseudocontatto e la

prevedibilità, ma al caro prezzo di non poter più

sentire il suo bisogno relazionale originario, e di

adottare convinzioni e decisioni difensive che, men-

tre gli garantiscono quella prevedibilità, lo rendono

inconsapevole di sé e dell’altro e lo costringono ad

agire nel qui-e-ora con uno strato dell’Io Adulto

contaminato dagli stati dell’Io Genitore e Bambino.

Ci siamo sempre domandate: quando inizia la rela-

zione e la funzione di un piano di vita? Nella nostra

ricerca sottolineiamo la nostra convinzione che

l’inizio appartenga alla vita fetale. Il dialogo tra

madre e bambino incomincia nel dialogo sonoro,

emotivo e cinestesico che si ha durante la gravidan-

za, quando la madre inizia la sua rappresentazione

mentale del figlio e questi nasce nella mente della

madre anche prima di venire alla luce. Berne ha

parlato di Io fetale, di influenze parentali e di proto-

collo che al di là della definizione di copione vuol

dire marcatura, timbro. Berne aveva addirittura

parlato in termini transgenerazionali, affermando

che la nostra storia inizia dai bisnonni e che la sce-

na del concepimento ad esempio, può influenzare il

copione e il suo finale.

Cornell afferma che il protocollo ha a che fare con

l’implicito e la sua natura è non verbale; rappresen-

ta la matrice a partire dalla quale noi tutti organiz-

ziamo le nostre esperienze relazionali. E’ il luogo nel

quale sono depositati ricordi impliciti, non recupera-

bili a parole, di modelli relazionali primitivi , vissuti

attraverso l’esperienza corporea del Bambino So-

matico , che orientano i nostri rapporti interpersona-

li e le nostre relazioni intersoggettive (Cornell, Lan-

daiche, 2005, 2008; Pierini, 2006). Ci sembra al-

trettanto significativo lo scritto di Evita Cassoni: La

vita di ogni umano comincia con l’annidamento,

termine scientifico che spiega, immaginalmente, la

trasformazione contemporanea dell’uovo fecondato

e dell’utero della madre. Ogni soggetto comincia ad

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esistere determinando una relazione che trasforma

l’uno e l’altro; nella superficie di contatto zigote e

endometrio cambiano struttura per diventare altro e

insieme diventare ancora più quello che si è.

(Cassoni, 2008).

Anche Fanita English dice che Il neonato riceve

dalla madre un precocissimo imprinting di

“Benvenuto!” o di “Vattene!”

Maria Teresa Romanini dice che il bisogno primario

di attaccamento è stimolato dalle memorie di un

caldo spazio accogliente, di un divenire immediato

di stimoli mentali e sensoriali noti; in definitiva dalla

perdita di un “Altro” noto solo dalla sua accoglienza.

(Romanini, 1985). Il bisogno di attaccamento del

bambino nei confronti della propria madre nasce-

rebbe anche dalla ricerca di un “Altro” perduto che

contiene e completa ……..l’essere umano nasce

abituato a due funzioni: l’attenzione e l’intuizione in

relazione ad un altro già noto…. Possiamo parlare

quindi di una relazione pre-natale. Quando l’autrice

parla del protocollo dice che nel protocollo sono

custodite le memorie degli scambi primari tra ma-

dre e bambino, insomma una incubatrice relaziona-

le.

Vogliamo citare anche altri autori non A.T. che han-

no sottolineato questi concetti, come ad esempio

TREVARTHEN parla di una MUSICALITA’ COMUNICA-

TIVA di una proto – forma prenatale della confluen-

za dialogica madre - bambino, cioè del dialogo tra

madre e bambino. Tutto il metodo di Tomatis che

studia proprio la musicalità e il suono che si crea

all’interno del corpo madre e in cui il liquido amnio-

tico acquista acidità o basicità proprio per la condu-

zione di determinate sonorità.

Mancia e Milani Comparetti che avevano parlato di

feto competente partendo dalle funzioni motorie e

sensoriali e avevano scritto sulla trasmissione gene-

tica e sensoriale.

Ester Bick parla di Io-pelle, la funzione della pelle,

del confine tra il nostro interno e il nostro esterno.

Quante volte le somatizzazioni in risposta agli stress

più grandi, sono proprio quelle della pelle che è la

parte sensibile che da voce a questo colloquio che

sancisce il confine tra noi e l’altra persona.

E di nuovo TREVARTHEN – MELTZOFF – STERN

parlano di una mente condivisa e proprio di una

intelligenza neonatale dell’individuo e nell’Infant

Research si è studiato la predisposizione biologica

alla percezione, interazione ed espressione . Beebe

e colleghi con la videomicroanalisi hanno studiato i

movimenti all’interno dell’utero per vedere i giochi

diversi che il bambino fa specialmente nei primi

mesi di vita, quando ha ancora un grande spazio.Si

sono potuti osservare comportamenti completa-

mente diversi, tra chi salta, chi si sdraia, chi succhia

ed esplora il corpo madre con modalità completa-

mente diverse per ogni bambino.

Il protocollo primario rappresenta quindi il primo

substrato dell’esperienza relazionale individuale,

sviluppatosi prima della costruzione linguistica

verbale. E’ la sede delle esperienze protolinguisti-

che e preverbali. Nel protocollo sono custodite le

memorie degli scambi primari tra madre e bambino;

quelle esperienze relazionali primarie attraverso cui

il bambino è chiamato alla relazione con l’altro e

che porteranno alla costruzione del Sé e del mondo

esterno. Il neonato esplora il mondo utilizzando i

legami che ha costruito; abbiamo visto che anche il

feto esplora il suo mondo e gli oggetti presenti nel

contenitore materno .…. Il grembo materno rappre-

senta una prima “incubatrice relazionale” che per-

mette al feto di crescere all’interno di un universo

cinestesico e sonoro popolato di oggetti con cui

entrare in relazione ( Manola Unida, 2009)

Siamo d’accordo con Sonia Gerosa che nel 2009 ha

scritto l’articolo in cui ha preso in considerazione

non soltanto la matrice copionale, cioè da quando il

bambino nasce, ma la matrice protocollare, cioè

che cosa succede prima, quali sono i messaggi, la

relazione, la significatività che ha quell’elemento

madre con quel bambino.

Riassumendo dalla patologia, (patologico-normale),

siamo passati alla persona con il suo comportamen-

to, con le sue strategie; dal sintomo siamo passati

al segnale strategico, quindi dal sintomo come

problema al sintomo come dono che ci conduce a

capire l’altro; dalla struttura, fissazione, siamo pas-

sati al funzionamento. In altri termini adesso abbia-

mo una relazione che cura, una “negoziazione della

relazione” che il terapeuta deve fare con il suo

cliente e nella quale il terapeuta non puo che esse-

re coinvolto. Questo porta ad affermare che non

dobbiamo solo costruire una base sicura (tra la

madre e il bambino) all’interno della relazione pa-

ziente-terapeuta,ma dobbiamo intessere una VICI-

NANZA che è fatta di presenza e crea appartenenza:

il bisogno dei bisogni, cioè quello che da la sensa-

zione di quell’annidamento di cui parlava Cassoni.

Nella nostra ricerca, operiamo per prevenire, per

costruire un ambiente o luogo di accoglienza che

coincide con lo stesso caregiver. La madre diviene il

tempo e il luogo affettivo di stimolazione durante la

gestazione. Successivamente, ma ancora in un

periodo preverbale, più coscientemente e volonta-

riamente stimolerà il bambino e verrà accompagna-

ta dal ricercatore con il CARE-Index (Crittenden) e

con intervento analitico transazionale integrativo. A

questo verrà unito l’intervento con la video microa-

nalisi fino al 18° mese di vita

Quindi la vicinanza verrà costruita nella presenza

del caregiver al bambino e del ricercatore alla cop-

pia genitoriale.

Favoriamo quel concetto di cui parla la Crittenden

quando scrive sulla responsività sensibile materna.

Altri autori hanno parlato di capacità di rispecchia-

mento, di funzione del sé riflessivo, di reverie, della

sincronizzazione e sintonizzazione, cioè ognuno di

loro ha usato una lingua diversa, ma tutti per parla-

re della capacità della rappresentazione mentale

che è nella madre. La stessa cosa che deve avveni-

re tra terapeuta e cliente. Il terapeuta sta nella

relazione con il suo paziente co-involto, co-

costruttore, immersi dentro lo stesso luogo. Cambia

il paziente ma cambia anche il terapeuta, cambia il

figlio come cambia il genitore. Ognuno di loro è

influente, è influenzato ed è influenzante perché

soltanto in quella condizione in cui noi ci prendiamo

la responsabilità della relazione che andiamo a

creare si può veramente parlare di una base sicura.

Il concetto di base sicura non è quindi solo quello di

uno stile ma di una condizione relazionale.

Berne aveva parlato di tre P: la protezione di cui

parla anche Bowlby nella teoria dell’attaccamento,

la potenza e il permesso e io aggiungerei la presen-

za, perché è quella presenza coinvolta, sensibile,

responsabile che fa la differenza tra contratto Adul-

to-Adulto e un contratto-contatto che lo trasforma

immediatamente in luogo di relazione e co-

costruzione.

A questo punto descriviamo la nostra idea di “ co-

pione” che non è più un copione ma è appunto un

piano di vita: pensiamo che ci sia una Evoluzione e

costruzione continua di un Piano di vita individuale,

soggetto ad avere modifiche per esperienze e matu-

razione del soggetto, e/o battute di “arresto organiz-

zative” in stati di stress che riattivano strategie di

sopravvivenza difensive non adeguate alla realtà.

Avendo l’essere umano bisogno di continuità, stabi-

lità e prevedibilità (Base sicura protettiva) sia inte-

riore (intrapsichico) che interpersonale, crea piani di

riferimento (Q.R/M.O.I.) basati sulla propria espe-

rienza e co-costruiti con le figure parentali

(caregiver) che forniscono la percezione del Sé in

relazione, cioè di sé, dell’altro e della situazione,

che sono la condizione fondamentale per esperire

qualsiasi piano di vita e per qualsiasi forma di ap-

prendimento.

La co-costruzione del piano di vita inizia fin dalle

prime interazioni con il corpo materno (intrauterino),

contando su apprendimenti mentalizzati e non.

L’errore sembra puntare sulla modificabilità di

questi piani di vita in termini di decisione/

ridecisione, anziché di plasticità della nostra psiche

e mente.

Quindi noi non possiamo più parlare in termini di

guarire, ma dobbiamo parlare in termini di avere

cura. Dobbiamo considerare la RELAZIONE COME

SOSTANZA DI TUTTA L’UMANA INTIMITA’ E FIDUCIA,

IMPEGNO FONDAMENTALE PER LA SALUTE

MENTALE.

Abbiamo cinque possibili parole chiave:

Contemporaneità (neurobiologia- filosofia di Morin);

Co-costruzione (teoria dell’attaccamento fino a

Stern);

Co- responsabilità (contratto A.T.);

Coinvolgimento (A.T.Integrativa);

Continuità evolutiva trasformativa del Piano di vita

(DMM della Crittenden e A.T.).

Concludiamo con una bellissima immagine disegna-

ta da Leonardo da Vinci che rappresenta il feto e

dalle sue parole che tanti anni fa nella sua genialità,

aveva già pronunciato:

1. Già evidenziabile in alcuni lavori (Ligabue,2001;

Cassoni, 2008).

2. Tali concetti saranno trattati in modo più esteso

nel workshop del convegno di Roma.

3. Qui si intende un comportamento costante e

continuo nel tempo.

…..E una medesima anima

governa questi due corpi

elli desideri elle paure e i dolori

son comuni si a esse creature

come a tutti li altri membri animati;

e di qui nasce che elle cose

desiderate dalla madre

spesso son trovate scolpite

in quelle membra del figliolo…...”

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genitori ha vinto il premio Berne 1995.

Uno dei primi lavori italiani di counselling AT per

genitori è“Prendersi cura di sé per prendersi cura

dei propri figli” (Mastromarino, R., 1995). Questo

programma si basa sul concetto di cicli di sviluppo

della P.Lewin (1982) e si focalizza sui bisogni dei

genitori in relazione alle tappe evolutive dei propri

figli.

L’autore struttura un training al fine di stimolare i

genitori ad acquisire un metodo per risolvere quei

problemi che possono trovarsi ad affrontare

nell’allevare i propri figli e sviluppare un’autostima

tale da poter essere trasmessa.

Si evidenzia quanto sia importante per i genitori

essere consapevoli dei propri bisogni, in modo da

rispondervi senza caricare i figli di questo compito.

Avere un figlio porta a rivivere i bisogni e le angosce

proprie dell’età in cui si trova il bambino, con tutto il

dolore che ciò comporta. Se i genitori riconoscono

questi bisogni, hanno l’opportunità di affrontare i

problemi originali e di trovare una soluzione miglio-

re di quella trovata nel passato; se i genitori presta-

no attenzione ai bisogni del proprio stato dell’Io

Bambino e si nutrono, possono trovare l’energia

necessaria per prendersi cura dei figli.

Nel programma proposto da Mastromarino, si pro-

pongono una serie di esercizi finalizzati a favorire

competenze e consapevolezze sui bisogni propri

oltre che dei figli. L’idea è che solo prendendosi

cura dei propri bisogni ci si possa prendere cura in

modo adeguato dei propri figli.

I programmi citati sono solo alcuni esempi di una

molteplicità di proposte formative per le famiglie

che vedono coinvolti, ogni giorno, centinaia di psico-

logi e counsellor di diversi orientamenti, in progetti

pubblici e privati; questo dimostra come, nonostan-

te una letteratura sempre più ricca di percorsi e

proposte differenziate di counselling ai genitori, sia

in crescita il bisogno di attenzione, confronto e

ascolto sul delicato tema della relazione con i figli.

La nascita di un genitore

“La nascita di un genitore” è il nome di un progetto

di counselling AT, rivolto alle famiglie, che porto

avanti da diversi anni occupandomi, in setting diver-

si, di vari aspetti della genitorialità. In particolare ho

svolto percorsi formativi con coppie (durante corsi

di preparazione al parto), con ostetriche (le prime

figure presenti alla nascita di una madre e di un

bambino) e con i genitori di bambini di una scuola

materna.

Genitori in attesa

Durante gli incontri con le coppie nei corsi di prepa-

razione alla nascita, ho notato come i futuri genitori

avessero un notevole bagaglio di conoscenze teori-

che, acquisite attraverso una assidua lettura di testi

relativi alla nascita, ma si mostrassero piuttosto

spaventati ed insicuri sulla gestione emotiva dei

problemi della genitorialità, oppure a contatto con

una visione magica della risoluzione delle eventuali

difficoltà.

In questi incontri il mio intento è stato quello di

condurre i futuri genitori a:

esprimere le proprie fantasie relative al bambino

immaginato;

esprimere i propri timori sulla gestione e

l’assunzione del ruolo di genitori;

trovare insieme al partner strategie efficaci per

la risoluzione condivisa dei problemi;

accettare che si può chiedere aiuto, al partner in

primis, ma anche ad altre figure professionali.

Gli incontri, della durata di due ore per ogni gruppo,

sono stati un momento per riflettere su dubbi e

.Abstract

L’offerta di percorsi di counselling per genitori, dagli

anni ’70 ad oggi, si é notevolmente diversificata e

l’analisi transazionale offre un contributo significati-

vo allo sviluppo della genitorialità. Partendo da

alcune personali esperienze, si propone una rifles-

sione sulle strategie da adottare per rendere effica-

ci gli incontri di counselling alla famiglia, anche

sporadici e divulgativi, al fine di svolgere un impor-

tante lavoro di prevenzione del disagio e di acco-

glienza della complessità del ruolo di genitore in

una società in continua trasformazione.

Che cosa è il counselling AT per genitori?

Il Counselling AT è una relazione di aiuto su

base contrattuale in cui il professionista,

utilizzando la metodologia dell’Analisi Tran-

sazionale, facilita la consapevolezza Adulta

della coppia genitoriale o del gruppo di geni-

tori, con l’intento di favorire le consapevolezze

cognitive ed emotive in merito al proprio ruolo di

genitori, in funzione di una risoluzione di un proble-

ma.

Il setting del counselling AT per genitori può essere

vario: dal counselling di famiglia all’interno di uno

studio privato o di una istituzione, al counselling di

gruppo con percorsi di 8-10 incontri, a “spot”, coun-

selling caratterizzati da incontri sporadici miranti ad

interventi di tipo in-formativo (conferenze cittadine,

incontri all’interno di percorsi di preparazione al

parto e così via). Nel counselling per genitori

l’approccio è finalizzato alla prevenzione e alla

educazione alla salute, più che a situazioni

“patologiche”, per questo scopo si adattano bene

attività di gruppo.

E’ compito del counsellor competente costruire e

sperimentare percorsi diversificati che possano

fornire stimoli finalizzati a:

Facilitare processi di cambiamento attraverso

l’attivazione dell’Adulto;

favorire la consapevolezza dei problemi, il poten-

ziamento delle risorse, i cambiamenti focali;

promuovere capacità legate al benessere;

orientare a cambiamenti finalizzati al migliora-

mento della qualità della vita;

facilitare la competenza emotiva e la consape-

volezza, potenziando le abilità sociali, attraverso

tecniche di dialogo ed esperienze gruppali.

I percorsi formativi per genitori

“I figli sono tra i maggiori formatori dei genito-

ri” (Giovannoli Vercellino, 1996).

I percorsi formativi per genitori nascono negli anni

‘70 con i corsi di T. Gordon (Parent Effectivenes

Training), egli aveva proposto il suo programma già

negli anni ‘50 ma è del 1970 il suo testo “Genitori

efficaci”. Il libro intende proporre un metodo che,

attraverso le pratiche educative del rispetto,

dell’ascolto e della collaborazione nella soluzione di

conflitti e problemi, consenta alla famiglia di diveni-

re uno spazio di democrazia basato sul profondo

rispetto dell’essere umano e delle sue capacità

d’autorealizzazione.

Negli stessi anni si avviano corsi per genitori con

l’analisi transazionale: J.L. Clarke sviluppa il suo

modello di prevenzione e di educazione per i genito-

ri (Clarke, 1982). La caratteristica del percorso

della Clarke è quella di utilizzare una serie di eserci-

zi e di role playing con lo scopo di “aggiornare” i

contenuti dello stato dell’Io Genitore e superare,

attraverso la pratica in gruppo, quei pregiudizi che

determinano le difficoltà di comunicazione con i

propri figli (Clarke, 1982). Ricordiamo che J.L. Clar-

ke per il lavoro AT applicato alla educazione dei

LA NASCITA DI UN GENITORE: RIFLESSIONI SU PERCORSI DI COUNSELLING PER GENITORI

di Patrizia VINELLA

psicoterapeuta,

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I A T N E W S

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aspettative rispetto al diventare genitori, in un

clima di ascolto e accoglienza, attraverso uno spa-

zio di confronto e scambio in cui fosse possibile

riconoscere che è Ok esprimere le proprie paure e

chiedere aiuto.

Le ostetriche

Lo stesso progetto, “La nascita di un genitore”, si è

sviluppato con le ostetriche attraverso alcuni incon-

tri formativi all’interno di un corso di aggiornamen-

to sull’emergenza in sala parto. Le ostetriche in

contatto con le future madri, spesso si trovano di

fronte mamme spaventate e arrendevoli, più pro-

pense a scegliere il parto cesareo, indolore e sicu-

ro, piuttosto che affrontare il primo forte impatto

con la vita che è il parto naturale. Il percorso forma-

tivo, della durata di otto ore, è stato orientato a

favorire lo sviluppo di una competenza comunicati-

va che facilitasse l’accompagnamento alla nasci-

ta in un clima di fiducia e ascolto. La relazione

sana con l’ostetrica, durante quel momento unico e

simbolicamente significativo che è il parto, può

aiutare la madre ad essere pienamente protagoni-

sta e non passiva spettatrice della nascita del suo

bambino.

I genitori

Un’altra esperienza genitoriale significativa è stata

sviluppata in una scuola di infanzia in cui alcuni

genitori, prevalentemente madri, avevano scelto di

seguire un percorso di otto incontri dal tema

“Come e quando nasce un genitore” .

Il percorso era incentrato sul rapporto col proprio

Genitore e il proprio ruolo di madri.

La riflessione di partenza degli incontri si basava

su questa domanda:

“Che tipo di genitore sono io per me stesso e che

genitore sono con i miei figli?”

L’intento era stimolare una riflessione sullo stato

dell’Io Genitore per individuare permessi e spinte,

con l’intento di accrescere la consapevolezza ri-

spetto ai propri stili comunicativi, senza dimentica-

re il rapporto con se stessi e con il proprio Bambi-

no. Attraverso un lavoro in sottogruppi si sono così

confrontati sui propri stili genitoriali, ritrovando

somiglianze e differenze con le proprie figure geni-

toriali.

Riporto alcuni esempi di domande-stimolo propo-

ste al gruppo:

1. Il nostro essere genitori nasce con noi: prima di

diventare genitori, impariamo ad essere prima di

tutto genitori di noi stessi da quando siamo

molto piccoli: “che tipo di genitore sono per me

stesso?”. Mi manco di rispetto? Sono troppo

indulgente con me stesso? Pretendo troppo da

me? Mi tratto come mi trattavano i miei genitori?

2. Come i miei genitori mi hanno visto da bambino

determina come io vedo me stesso, i genitori

sono lo specchio che riflette che tipo di persona

sono io: se continuo a trattarmi come mi tratta-

vano i miei genitori rischio di continuare a soffri-

re come soffrivo allora; che posso fare di diver-

so?

3. “Ognuno nasce principe ma esperienze negative

precoci convincono a diventare ranocchi”.

(E.Berne) Quello che abbiamo deciso nella no-

stra infanzia possiamo modificarlo?

4. Gli errori sono inevitabili, ma gli sbagli possono

essere sanati rapidamente attraverso un contat-

to che ripara il conflitto. Quali strumenti posso

adottare per ripristinare il contatto?

Un breve cenno al copione e alle spinte ha favorito

la comprensione di alcuni atteggiamenti adottati

nei confronti dei figli che possono essere facilmen-

te modificati.

Ricordiamo che in questi percorsi di counselling

non ci si focalizza sulla patologia ma piuttosto su

un’educazione alla salute e al benessere, che

passa anche attraverso un forma blanda di consa-

pevolezza. Naturalmente, se si rilevano modalità

comunicative fortemente distorte o pericolose, è

compito del counsellor orientare e motivare ad un

approfondimento in una sede più opportuna.

Riflessioni sulla formazione dei genitori

Le esperienze riportate sono un esempio delle

tante modalità di approccio al counselling per geni-

tori. Il mio intento non è fornire un ulteriore model-

lo, bensì riflettere sulla responsabilità etica dei

professionisti di aiuto, in particolare dei counsellor,

come figure professionali che possono portare un

contributo altamente significativo alla prevenzione

del disagio, attraverso l’attenzione alla famiglia e

l’ausilio di un modello teorico di riferimento come

quello analitico-transazionale.

La relazione con i propri figli è qualcosa che coin-

volge i propri stati dell’Io arcaici, dei quali spesso

non si è consapevoli: si tratta di una continua

prova di equilibrio, di forza, di capacità di essere

genitori, e non sono sufficienti le consapevolezze e

le letture per gestire la rabbia e il conflitto che

naturalmente emergono all’interno della relazione.

Le emozioni scatenate dalle relazioni con un figlio

non sono facilmente gestibili anche per genitori

consapevoli e preparati: la rabbia può emergere

con forza e annullare in un attimo tanti buoni pro-

positi.

Nella mia esperienza ho notato che i genitori, più

che di informazioni, hanno bisogno di attenzione e

contenimento: la società cambia, il Genitore

(personale culturale) si trasforma con tutte le impli-

cazioni, le agenzie educative sono sempre più

complesse e talora in contraddizione con risultati e

metodi, i genitori sono confusi e richiedono aiuto in

modo diverso rispetto al passato.

Fra le mie tante riflessioni emerse in questi anni,

uno è l’aspetto che ritengo più significativo: per i

genitori è fondamentale imparare a trovare le

strategie per riparare le fratture relazionali, ripristi-

nando il legame emotivo con i propri figli.

La prevenzione più efficace, a mio avviso, nasce

dallo sviluppo della capacità di riparare e ri-

costruire il legame interrotto.

I genitori hanno bisogno di comprendere che è

umano sbagliare ma, soprattutto, che gli sbagli

possono essere sanati rapidamente con un contat-

to appropriato e con una riparazione efficace.

E’ fondamentale quindi fornire ai genitori gli stru-

menti per riparare, per ripristinare un contatto

(Erskine, R.,1999) in cui non si neghino i sentimen-

ti genuini (ad esempio con espressioni del tipo

“dai, non è successo niente...”) e si costruisca un

momento riparativo con il proprio figlio in cui, an-

che l’interruzione e il conflitto, possano essere visti

come opportunità per rafforzare il legame, in un

clima di ascolto dei bisogni propri e dell’altro.

L’intento del counsellor può quindi essere quello di

aiutare i genitori a riconoscere il significato del

conflitto e a trovare il modo per ripristinare il lega-

me attraverso una “relazione-che-cura”.

“Si possono aiutare i genitori ad ascoltare la pro-

pria sofferenza e ciò, da un lato, consente loro di

riconoscere e individuare la sofferenza del bambi-

no, dall’altro libera i figli da una sofferenza che non

appartiene loro, che non possono elaborare e che,

pertanto, li imprigiona” (Neri N.,Latmiral S., 2003).

I genitori hanno bisogno di accettare che non pos-

sono essere perfetti, ma possono fidarsi di più

delle proprie forze e delle proprie intuizioni, in una

attenzione aperta ai problemi dei figli: la vera area

di prevenzione del disagio resta la famiglia a cui

bisogna rivolgersi in modo ampio ed efficace.

Purtroppo le politiche sociali, soprattutto nel sud

Italia, penalizzano molto i percorsi alla genitorialità

e gli sportelli di counselling per famiglie, orientando

risorse più verso la “cura” che verso il “prendersi

cura”.

Ritengo comunque che valga la pena investire

risorse e idee per costruire approcci diversificati ai

problemi quotidiani della famiglia; le modalità di

intervento possono essere varie e in linea con le

competenze e lo stile del professionista, oltre che

con le risorse, i tempi e gli spazi a disposizione.

L’importante è costruire ambienti di apprendimen-

to diversificati, fuori dagli studi clinici ma presenti

nel territorio, che aiutino i genitori a sentirsi meno

soli e più ascoltati nei disagi e nei conflitti della

quotidianità.

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BENESSERE E RELAZIONI: UN APPROCCIO ALLA PROMOZIONE DELLA SALUTE di Orlando GRANATI

PTSTA, psichiatra,

psicoterapeuta

Nella mia vita professionale ho operato in contesti diver-

si, sia nel pubblico che nel privato. Nella mia esperien-

za, l’applicazione delle stesse tecniche e metodologie,

in contesti professionali differenti e in modo rigido, mi

lasciava spesso insoddisfatto. Ciò che funzionava bene

e senza problemi nel mio studio professionale, diventa-

va complesso o inadeguato quando lavoravo in altri

contesti, dal servizio di salute mentale, al servizio psico-

logico dell’Esercito o nei programmi territoriali per

problemi alcol correlati. Il “contratto”, ad esem-

pio, presenta difficoltà del tutto diverse

quando si ha a che fare con persone che

richiedono direttamente l’aiuto (come

avviene sempre nell’attività privata), ri-

spetto a quando lavoro con persone che

non chiedono assolutamente l’aiuto, anzi

lo rifiutano. Analogamente un lavoro orien-

tato alla introspezione, all’analisi del copione

o alle ridecisioni, richiede che la persona con

cui lavoriamo sia motivata, scolarizzata quanto

basta e abbia attitudine e volontà di conoscersi. Nel

contesto pubblico, una parte non trascurabile dei pa-

zienti con cui lavoro, non rientra affatto in una o in tutte

le categorie suddette. Berne si riproponeva, con un suo

slogan, di “strappare Freud dal lettino e portarlo a con-

tatto con le masse”; nelle sue prime opere parlava

dell’Analisi Transazionale come di un sistema di

“psichiatria sociale”, concetto che a mio parere si è

perso nella letteratura. Il mio obiettivo è stato quello di

individuare una metodologia di lavoro, diversa da quella

di una psicoterapia classica, che rispondesse maggior-

mente ai problemi che incontravo nel servizio pubblico.

Ciò che qui riporto sono alcune riflessioni basate sul

continuo confronto tra ciò che ho appreso e provato ad

applicare, e ciò che sono riuscito ad integrare tra cono-

scenze ed esperienze diverse. Io nasco professional-

mente come medico, mi occupo quindi di salute ma,

che cosa è la salute? La domanda può forse apparire

banale, ma non lo è. Nella costituzione della Organizza-

zione Mondiale della Sanità, risalente agli anni ’60, c’è

la seguente definizione di salute: “ uno stato di comple-

to benessere fisico, psichico e sociale, … non consiste

soltanto nella assenza di malattia ed infermità … è una

condizione ideale a cui tendere …”. L’aspetto davvero

rivoluzionario di questa definizione è che sembra com-

portare che la salute non esiste, perché nessuno ha

una condizione di completo benessere fisico, psichico e

sociale: la salute quindi è una condizione ideale, e in

quanto tale non esiste, nessuno sta “bene”. D’altra

parte, tutto questo significa anche il suo contrario,e cioè

che la malattia, come tale, non esiste, è solo una condi-

zione ideale. Non esiste nessuno che sia al 100%

“sano”, né al 100% “malato”. Questa concezione ha

modificato di fatto il senso del lavoro di medici e opera-

tori sanitari. Fino agli anni ’60, per secoli di storia della

medicina e di organizzazioni sociali, tutta la popolazione

veniva di fatto suddivisa in due grandi gruppi: coloro

che stavano “bene”, in salute, che non avevano bisogno

di medici o di aiuto, non avevano da fare nulla per la

propria salute. I programmi di prevenzione sanitaria nei

luoghi di lavoro erano orientati verso chi era già amma-

lato, con programmi previdenziali e categorie protette.

Di contro, chi era malato riceveva un aiuto finalizzato a

riportarlo nell’altra categoria. Se non era possibile, la

persona veniva detta incurabile o inguaribile. Secondo

questa diversa visione, invece, salute e malattia sono

due condizioni ideali che, come tali, non esistono: nes-

suno è sano al 100% e nessuno è malato al 100%.

Sono due condizioni ideali con un continuum di possibili

vie di mezzo, dove ognuna di queste vie di mezzo non è

fissa o determinata perché, anche per lo stesso singolo

individuo, il livello di benessere, fisico, psichico o socia-

le, cambia in continuazione [fig.1].

Mi prendo un raffreddore e, di conseguenza, il mio livello

di benessere si sposta in direzione della malattia; poi

guarisco dal raffreddore, sto meglio, e il mio benessere

si sposta di nuovo. Non c’è una posizione data una volta

per sempre, la mia salute non è fissa, non è qualcosa

per cui posso dire: l’ho raggiunta e non devo pensarci

più ma, al contrario, giorno per giorno devo pensare a

cosa posso fare per migliorarla, qualunque sia il mio

livello di salute. Ognuno di noi si sposta prevalentemen-

te in un’area ma, per quanto io possa stare bene, avrò

sempre un po’ di spazio per migliorare. Allo stesso modo,

per quanto una persona stia male, avrà sempre un poco

di benessere, delle risorse. Tutto questo orienta il con-

cetto di guarigione in senso completamente diverso. Da

un passaggio di stato on/off, bianco o nero, ad una

visione dinamica. Noi non avremo più degli eventi di

guarigione, ma dei processi di guarigione. Abbiamo una

direzione che va verso la salute, e questo sarà un pro-

cesso di guarigione, e abbiamo una direzione che va in

senso opposto. Alcune cose dipenderanno da me, io

potrò fare delle cose per stare meglio o peggio, e alcune

cose non dipenderanno da me: ad esempio, non può

esserci salute quando qualcuno attenta alla vita, né in

qualunque zona del mondo dove ci sia una guerra. Co-

struire percorsi di salute significa non solo preoccuparmi

del mio fisico, del mio assetto psicologico, delle mie

esperienze di vita, di mie emozioni e di ciò che noi chia-

miamo “copione” ma significa, altresì, occuparsi della

qualità delle relazioni che mi circondano e di ciò che

succede intorno a me, perché mi coinvolge. In altri termi-

ni il mio benessere dipenderà da una serie di fattori e

l’OMS-WHO ne aveva inizialmente descritti tre, quello

fisico, quello psicologico e il sociale: ultimamente è stata

aggiunta anche la dimensione spirituale o esistenziale. Il

termine spirituale viene usato in questo caso in senso

antropologico, non necessariamente religioso. Per stare

bene ognuno di noi ha bisogno anche di avere un ruolo,

uno scopo nel mondo, che faccia dire: sono qui, e questo

ha un senso. È noto l’episodio in cui un giornalista, inter-

vistando Sigmund Freud, gli chiese cosa dovesse fare

una persona “sana”, aspettandosi forse una risposta

articolata e complessa e lui, invece, rispose brevemente:

“lieben und arbeiten”, amare e lavorare. Vladimir Hudo-

lin parlava di disagio psichico come “non accettazione di

se stesso, del proprio comportamento e del proprio ruolo

nella comunità, della cultura sociale esistente. Questo

disagio è accompagnato da un senso di impotenza da-

vanti al problema e di impossibilità di capirlo … questi

problemi si esprimono con l’impossibilità di comunicazio-

ne ed interazione”. Ricordo ancora la definizione di Eric

Berne: “… per la sopravvivenza dell’organismo umano, la

fame di stimoli ha la stessa importanza della fame di

cibo”, a sottolineare l’importanza da lui attribuita alla

relazione come elemento cardine per il benessere

dell’individuo. Lo spazio relazionale può così essere

visto, indipendentemente dal tipo di approccio che si

segue nel lavoro, un

campo di intervento

fondamentale. Sem-

pre da Hudolin, lo

schema in fig. 2

descrive come il

c o m p o r t a m e n t o

umano sia determi-

nato da molteplici

fattori, di natura

biologica, psicologi-

ca, relazionale, socio

-culturale, spirituale,

oltre ad avere carat-

tere evo lut ivo .

I “sassi” di questo

immaginario muro

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Pagina 15 I A T N E W S

che rappresenta il nostro benessere, sono costituiti

da una infinita serie di eventi, esterni o interni, a loro

volta positivi o negativi e di varia natura che, nello

stratificarsi, contribuiscono a determinare l’esito

finale. La linea a lato indica la crescita. La prima

linea trasversale indica la nascita: innumerevoli

eventi prenatali sono già significativi, compresi quelli

di tipo biologico (malattie, assunzione di farmaci o

altre sostanze psicotrope da parte della madre,

alimentazione della madre stessa), psicologici (sono

ormai documentate le influenze sul feto degli stati

d’animo della madre), culturali (basti pensare al

diverso impatto, sulla gravidanza, di una cultura che

tuteli la maternità come diritto, rispetto ad una cultu-

ra dove le gestanti devono lavorare come sempre,

se non di più). La seconda indica il passaggio all’età

scolare: è ormai accettato che gli eventi più significa-

tivi per lo sviluppo della personalità sono quelli dei

primi 6 anni di età. Tuttavia gli eventi successivi non

perdono di importanza ed è utile sottolineare che,

mentre alcuni non sono controllabili dall’individuo

(come, ad esempio, nel caso suddetto di un attenta-

to), altri sono invece relativi a comportamenti che

possono essere scelti e avranno un impatto positivo

o negativo sulla salute e quindi, sposteranno la mia

posizione sull’asse salute-malattia in una direzione o

nell’altra. Alcuni di questi fattori riguardano diretta-

mente l’individuo stesso, altri riguardano la cerchia

più ristretta delle persone più significative, dal siste-

ma familiare, alle persone più vicine; altri ancora

riguardano i vari aspetti istituzionali, le condizioni di

vita e di lavoro, il tipo di casa che posso permetter-

mi, il tipo di servizi sanitari, la disponibilità di beni

come l’acqua, ad esempio. Tutte queste cose in-

fluenzano il nostro tipo di vita. Cosa può fare l’Analisi

Transazionale in questo senso? A mio parere, l’AT

può stabilire percorsi di cura, percorsi cioè che sti-

molino un processo di benessere attraverso quello

strumento fondamentale che è l’attenzione alle

relazioni, che tiene conto sia di ciò che la persona si

porta dentro, sia di ciò che la persona fa. Quando

penso al corpus teorico e metodologico dell’AT,

penso ad un’area triangolare in cui i tre vertici rap-

presentano gli approcci che maggiormente, nella

sua definizione, hanno influenzato la sua genesi:

l’area psicodinamica, la teoria della gestalt e

l’approccio cognitivo. La cornice comune a tutti gli

approcci AT è l’ottica relazionale che, a mio parere, è

il vero e proprio collante delle diverse aree in cui si è

sviluppata la ricerca e la prassi in AT (fig. 3).

Noi possiamo intervenire sulle

relazioni e lo facciamo, indipendentemente dallo

stimolare nel nostro paziente una riflessione su di sé

o dal raggiungere un insight. Molte persone che

arrivano alla nostra osservazione hanno scarsa

capacità, propensione o d isponib i l i tà

all’autointrospezione. Questo è particolarmente vero

per i pazienti che si incontrano nei servizi pubblici

(ma non esclusivamente), e non possiamo limitarci a

dire che non si può fare una psicoterapia. Quando

interveniamo sulla relazione che creiamo con i nostri

pazienti, modifichiamo il loro contesto relazionale,

offriamo alla persona occasione di sperimentare

delle relazioni affettivamente significative; attraver-

so gli strumenti di osservazione e di intervento sulla

relazione, offerti dalla nostra metodologia, possiamo

offrire delle occasioni di strutturare relazioni diverse,

che entrano in contrasto con quelle che sono le

convinzioni di copione. In altri termini, offriamo la

possibilità di sperimentare esperienze emozionali

correttive. Petruska Clarkson diceva che approcci

diversi possono essere facilmente integrabili, purché

condividano alcune posizioni di base fondamentali:

uno spartiacque a suo parere è il credere o no alla

possibilità di esperienze emozionali correttive. Pos-

siamo ancora intervenire con efficacia sul sistema

familiare e, a questo proposito, ricordo un paziente

del nostro servizio che aveva a lungo interrotto i

contatti con gli operatori e i cui genitori erano stati

inseriti in un programma di sostegno: nel tempo,

questa persona ha modificato in modo significativo il

suo comportamento e, dopo quasi due anni, è torna-

ta in cura senza mai essere vista direttamente per

molto tempo. Si può ancora intervenire, a livello

micro sociale, su quella rete di relazioni esistente

intorno alla persona: gli interventi di rete si basano

sulla possibilità di modificare il benessere agendo

sul microsistema sociale del paziente, e la metodolo-

gia AT si dimostra idonea a questo tipo di interventi.

Ogni persona ha bisogno di un certo sistema familia-

re intorno a sé e il numero di persone significative

che una persona ha abitualmente intorno a sé, risul-

ta inversamente correlato al grado di benessere

psichico: nelle fasi di malessere di tipo ansioso o

distimico si è valutato che questo numero si riduce a

circa la metà; nei disturbi più gravi, di tipo psicotico,

l’impoverimento delle relazioni è fortissimo, fino a

non più di due o tre relazioni significative. Lavorare

per riattivare la rete di relazioni interpersonali è un

altro modo di invertire quel processo di spostamento

verso il polo della salute. Possiamo ancora agire a

livello macrosociale, dando il nostro contributo per

realizzare ciò che viene definita una comunità com-

petente, capace cioè di rispondere ai bisogni com-

plessi degli individui che la compongono. Penso che

non si possa fare AT senza porsi il problema di parte-

cipare alla costruzione di una società attenta al

benessere, che consideri la solidarietà non solo

come un valore etico, ma anche come una efficace

strategia per la promozione e la protezione del be-

nessere. Ricordo un documentario naturalistico in

cui veniva mostrato il comportamento di una varietà

di pinguini: durante le tempeste di neve, tutta la

colonia si stringe a cerchio e ogni pinguino compie

un movimento circolare dall’esterno verso il centro e

viceversa. In questo modo ogni pinguino, a turno,

passa al centro per poi spostarsi verso lo strato più

freddo all’esterno. Se restassero fermi, i pinguini

all’esterno morirebbero presto, privando quelli più

interni del loro calore e, in breve tempo, tutta la

colonia si estinguerebbe. Con un comportamento

che invece potremmo definire solidale, ma che corri-

sponde ad una strategia di sopravvivenza, l’intera

colonia può sopravvivere sopportando ognuno una

p a r t e d i s o f f e r e n z a .

Quando parliamo di solidarie-

tà e di politiche sociali po-

trebbe essere utile ricordare

questo esempio. Infine, in fig.

4, è riportata la tabella di

Erikson: nel muoverci in

questi campi dobbiamo tene-

re conto dell’evoluzione dei

bisogni, non solo nell’età

evolutiva, ma anche nelle

diverse fasi della vita adulta.

Un paziente del nostro servi-

zio, affetto da una grave

psicosi e su cui da tempo è

attivo un importante pro-

gramma terapeutico e riabilita-

tivo, ha effettuato, tra l’altro, un certo numero di

inserimenti lavorativi (IST: inserimento socio-

terapeutico): i primi, con molte difficoltà, mentre

l’ultimo, parallelamente ad un miglioramento globa-

le, sta funzionando assai bene. Durante una riunio-

ne valutai fosse il momento di spingerlo verso la

ricerca di un lavoro vero e proprio e, solo al momen-

to di discutere, realizzai che in realtà il paziente era

ormai vicino all’età della pensione. Altro esempio è il

caso di pazienti con un delirio, dove facilmente la

richiesta più comune delle persone interessate

(familiari, medici, conoscenti) è che il delirio stesso

venga risolto: il delirio, come è noto, ha un significa-

to difensivo. Il suo trattamento avrà un senso assai

diverso in un giovane o in una persona di età avan-

zata, magari con una lunga storia clinica dietro di sé.

Nel primo caso, il delirio è il segnale di un sistema

difensivo che crolla e, in questo caso, l’abbandono

del delirio è importante per accedere ad un nuovo

equilibrio. Nel secondo caso, invece, può essere più

utile e realistico cercare il migliore adattamento

possibile, in cui il suo sistema difensivo non entri in

conflitto con il suo sistema di relazioni normali. In

altre parole, è essenziale che il paziente trovi un

equilibrio comportamentale in cui il suo eventuale

delirio mantenga il suo significato difensivo, senza

ostacolare un comportamento adattato. Gli interven-

ti di gruppo, infine, possono essere ancora focalizza-

ti in modo diverso rispetto alla fase evolutiva: il

“gruppo sedentario di adulti” berniano, per esempio,

è il setting più efficace per molte persone, per altre

no. Nei giovani che mostrano segni precoci di scom-

penso psicotico, ad esempio, la proposta di un set-

ting strutturato di tipo classico può essere molto

difficile da accettare, per il timore di stigma sociale e

per la tendenza difensiva alla negazione del disturbo

che porta, tanto spesso, a ritardare anche di molti

anni l’affidamento alle cure, con una stratificazione

delle esperienze psicopatologiche che orientano

verso la cronicità. Sappiamo invece quanto sia es-

senziale, per una buona riuscita della terapia, un

intervento il più possibile precoce. L’esperienza dei

programmi riabilitativi, nel servizio in cui opero, mi

ha portato a valorizzare l’efficacia dei gruppi parteci-

pativi di giovani adulti, all’interno dei programmi

delle strutture semiresidenziali. In questi gruppi i

giovani hanno la possibilità di stabilire delle relazioni

significativamente affettive, diverse da quelle abitua-

li, in cui possono fidarsi e dove possono rischiare di

aprirsi. Queste esperienze sono costantemente

monitorate e analizzate all’interno del gruppo degli

operatori, mentre la loro rielaborazione con i pazienti

avviene solo in un secondo tempo, e non sempre,

col terapeuta di riferimento. Nonostante ciò, risulta-

no agire in modo efficace indipendentemente dalla

possibilità di una elaborazione emotivo - cognitiva,

portando a s ign i f i cat iv i cambiament i

nell’adattamento e nello stile relazionale.

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Pagina 16 T I T O L O N O T I Z I A R I O

EVOLUZIONE O LIQUIDAZIONE: QUESTO E’ IL PROBLEMA! (dal dubbio amletico “infinite possibilità di esistere”)

di Silva NICCOLAI Architetto

Analista

Transazionale

in contratto per

CTA - O

E’ cominciata con questa domanda la mia consulenza

per una società di Roma che commercia stoffe e mani-

fatture tessili realizzate con antiche tecniche artigianali

provenienti dall’Europa, dall’India e da altri paesi del

nord est asiatico.

Al momento la società, una s.r.l., era in perdita da due

anni. L’unico altro socio, oltre la mia committente, era

da poco uscito dalla società per divergenze di opinioni.

La sola socia rimasta era confusa sul da farsi e

molto sfiduciata nei confronti della possibilità

di questa azienda di continuare a esistere.

Non manifestava speranze riguardo a una

possibile crescita e non vedeva alternati-

ve alla liquidazione della società, ma

nello stesso tempo non voleva mollare

perché ancora motivata dalla missione

per cui la ditta era nata: sviluppare cultura

e preservare il patrimonio tessile dell’India e

per far questo occorreva un cambiamento, una

evoluzione. Ma in quale direzione?

La storia della ditta

I.R. nasce come ditta individuale nel 1995 per dare uno

sbocco alla passione della Titolare di raccogliere stoffe

artigianalmente pregiate, lavorate con tecniche antiche

nei villaggi indiani che la stessa frequentava per inte-

resse culturale e per la sua altra attivi-

tà di documentarista. Allora le vendite

erano occasionali (servivano grosso

modo per recuperare le spese). Si

creavano appositamente eventi un

paio di volte l’anno e le spese erano

relativamente contenute. Inoltre il

parco clienti attendeva l’evento

dell’anno e in quell’occasione

comprava abbondantemente.

Nel 2002, su proposta di un amico

manager che aveva intravisto la

possibilità di uno florido sviluppo

aziendale, aveva trasformato la ditta

individuale in società a responsabilità

limitata, facendo entrare lo stesso

amico come socio al 30% e confidando

sulla di lui esperienza nel campo eco-

nomico finanziario e del marketing.

Viene aperto uno show room con attivi-

tà di vendita in Via Gregoriana vicino a

Trinità dei Monti con apertura giornalie-

ra, conservando gli eventi come occa-

sione speciale per presentare nuovi

tessuti e nuove collezioni e condividere

l’esperienza dei viaggi con una clientela

affezionata. Si predispongono anche

soluzioni amministrative e finanziarie

per uno sviluppo in grande di I. R.

Le cose non vanno però secondo le aspetta-

tive.

Le vendite dopo il primo anno sono in perdita, non si ha

un grande sviluppo del parco clienti e agli eventi dimi-

nuisce la partecipazione degli affezionati che si distri-

buiscono durante l’anno.

Per visioni aziendali diverse, scelte di problem solving

non condivise e differenti motivazioni si viene a creare

una situazione di sfiducia reciproca che porterà

all’uscita del socio.

La fondatrice riacquista le quote societarie del 30% che

propone di suddividere in equa parte tra le sue tre colla-

boratrici, che però rifiutano. Nessuna di loro sembra

interessata ad un impegno più concreto nella società. E’

in questo momento che ha inizio la mia consulenza.

La consulenza ha inizio con il lavoro di analisi fatto

durante il MasterOrg

Il quesito “evoluzione o liquidazione?” mi viene posto

durante il master in psicologia dell’organizzazione tenu-

to dalla dr.ssa Sylvie Rossi a Roma nel 2005/2006,

dove ho conosciuto la fondatrice della ditta. L’incarico

di consulenza mi è stato infatti affidato in proseguimen-

to di una prima analisi di questa organizzazione effet-

tuata per esercitazione nell’ambito del MasterOrg.

La prima analisi della situazione aziendale si è infatti

basata sulle risposte date dalla committente sui que-

stionari somministrati dalla dr.ssa Rossi durante

il Master, e successivamente sempre nella fase di eser-

citazione ho approfondito i vari punti con successivi

colloqui individuali sia con la titolare che con il persona-

le della ditta. Elementi fondamentali per capire

l’organizzazione sono stati raccolti durante le visite allo

showroom, utilizzando lo strumento dell’analisi dello

spazio e osservando le dinamiche di relazione titolare-

dipendenti-clienti, con variabili a più livelli.

L’analisi dello spazio come elemento fondamentale di

lettura della cultura organizzativa

L’analisi dello spazio si è mossa su due binari paralleli:

uno rivolto alla relazione del luogo con il contesto ester-

no, e l’altro rivolto alla configurazione del luogo stesso.

In base al primo ho analizzato la posizione rispetto ai

punti focali della città, il tipo di relazioni instaurate con

il contesto intorno, il tipo di percezione suscitata

(accoglienza o barriera), la fama acquisita presso i

vicini, la riconoscibilità in termini di esercizio pubblico e

di prodotto commerciato. L’analisi della relazione con

l’intorno (persone e luoghi) può far comprendere molte

cose riguardo alla cultura dell’azienda. In questo caso,

pur essendo vicino a luoghi di grande frequenza anche

turistica, gli elementi costruiti davano l’idea di uno

spazio privato, non si leggevano simboli commerciali,

quasi che la vendita, scopo prioritario dell’esistenza del

negozio, fosse una cosa più casuale che voluta. Lo

spazio vendita non aveva una vetrina, né vi si accedeva

direttamente dalla via. Il negozio si trovava al piano

terreno di un palazzo signorile a cui si accedeva da un

atrio con portiere. Sulla strada si affacciavano due

finestre che venivano aperte durante l’orario di apertu-

ra, e se un passante veniva attratto dai colori che si

intravedevano da fuori, per vedere qualcosa l’ipotetico

cliente doveva vincere l’imbarazzo di guardare attraver-

so le finestre di un palazzo. Non c’erano indicazioni che

spiegassero che quello era un negozio. All’interno

l’arredamento denunciava signorilità e buon gusto,

perfettamente in linea con i prodotti esposti. Dall’atrio

si entrava direttamente nella grande sala dello

showroom, su cui si affacciava una stanza più piccola

dove, oltre alla merce in saldo, venivano depositati i

nuovi arrivi da prezzare ed etichettare e dove si trovava

la scrivania dell’ufficio ed il computer. Non c’era nel

negozio un luogo di privacy, né idoneo a colloqui riserva-

ti. Amministrazione, magazzino, vendita, telefonate e

caffè avvenivano in questa stessa stanza. Aveva più

l’aspetto di un “salotto” che di un negozio.

La permanenza presso lo showroom per diverse ore al

giorno mi ha permesso di farmi un’idea chiara

sull’affluenza e sul tipo di clientela. Difficilmente entra-

vano persone casuali, la maggior parte erano clienti

affezionati o amici della titolare. Era interessante notare

le dinamiche relazionali tra i vari soggetti nelle varie

situazioni, dal rapporto fra loro al rapporto con clienti e

amici. Se la titolare era presente, l’attività di vendita si

poggiava totalmente sulla sua competenza in materia di

tessuti e di lavorazioni, acquisita per vera passione

durante gli innumerevoli viaggi in India. Le tre persone

che all’epoca si occupavano della ditta, tutte di sesso

femminile, si caratterizzavano per svolgere ruoli di sup-

porto, e nessuna aveva ruoli di totale responsabilità in

quello che faceva. Almeno due di esse, dichiaravano di

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avere ambizioni diverse. Stare a contatto con il personale mi ha permesso di

conoscere la loro opinione, le loro aspettative, le loro idee, non sempre colli-

manti con quelle della titolare.

La consulenza e l’evoluzione

Il contratto di consulenza è arrivato dopo circa un anno dalla prima proposta di

intervento in due direzioni: culturale e commerciale, in affiancamento con un

consulente esperto nel campo commerciale-organizzativo.

Tenuto conto che la mission era caratterizzata da una cultura d’impresa orien-

tata a valorizzare e conservare, attraverso l’uso, il patrimonio tessile euroasiati-

co sia come risorsa che come valore di scambio economico e culturale, vengo-

no individuate di comune accordo due modalità operative tra loro interconnes-

se e interagenti:

Approccio CULTURALE attraverso azioni strategicamente consone

alla mission.

Approccio COMMERCIALE basato su attività di business development

strategicamente idonee a consentire l’implementazione della mission.

I primi mesi ci troviamo di fronte ad una fase che possiamo definire di SABO-

TAGGIO delle proposte e delle iniziative. Iniziative per migliorare la comunica-

zione e acquisire nuovi clienti, pubblicizzare il punto vendita, trovare nuovi

fornitori di tessuti, strutturare l’azienda ed eliminare gli sprechi, adeguare il

personale alle esigenze aziendali, vengono osteggiate, non considerate o accol-

te solo formalmente. Iniziative per contattare musei o enti con cui iniziare

collaborazioni

passano in secondo piano rispetto ad altri impegni.

Gli appuntamenti registrano abbondanti tempi morti di attesa e sembra che

niente possa generare un cambiamento. Il programma di azioni formulato dai

consulenti non trova sostegno costante da parte della titolare e

delle dipendenti.

Nei mesi successivi si ha il passaggio alla fase dell’ASCOLTO. Viene abbando-

nata la strada inizialmente strutturata per la crescita aziendale programmata

dai consulenti ma condivisa dal committente solo apparentemente, e si passa

all’ascolto dei messaggi nascosti. Come superare questi ostacoli? Come man-

tenere la direzione condivisa fino alla realizzazione? Quali risorse possiamo

utilizzare per provocare un cambiamento? La soluzione è riuscire a captare i

bisogni e tradurli in pratica a piccoli passi.

Ha inizio una serie di AZIONI di stimolo nella direzione percepita possibile:

contatti e incontri con il Museo del Tessuto, un nuovo Catalogo dei prodotti,

nuovi biglietti da visita, una Brochure di presentazione della Titolare e del suo

lavoro di ricerca, filmati dei documentari dei viaggi in India e degli Eventi in vari

luoghi. C’è empatia nelle soluzioni grafiche per cataloghi, filmati, proposte di

eventi e di luoghi. L’operatività produce un avanzamento nella fase

dell’ALLEANZA. I piccoli passi nel campo della direzione culturale producono

un cambiamento e un interesse rinnovato. Si instaura un rapporto di fiducia.

A fine anno si prende atto della impossibilità di procedere verso una direzione

commerciale di sviluppo dell’azienda per implicazioni di tipo:

Macro sociale ((importazioni a basso costo, concorrenza, crisi del mercato

tessile)

Macro organizzativo (c’era una adesione apparente al modello societario

a responsabilità limitata ma non una vera adesione. Il desiderio

di investimento emotivo di G. non corrispondeva all’immagine di I. R.

come srl. Serviva una nuova organizzazione ad “hoc”)

Micro sociale (rapporti tra le persone basati su aspettative disat-

tese da entrambe le parti e allontanamento di due collabo-

ratrici).

Non è una cosa facile. Si registrano tutte le “Fasi del lutto”

per il passaggio da una situazione vecchia a quella nuova.

La cosa fondamentale è accettare di vedere questo tema

della possibile fine. Se si accetta di elaborare il

lutto, è possibile vedere una possibilità all’orizzonte.

Il desiderio di investimento emotivo della Titolare era

rivolto più alla conoscenza e divulgazione che alla com-

mercializzazione. Quest’ultima poteva solo essere uno

strumento per consentire la prima.

La consapevolezza della inadeguatezza del tipo di organizzazio-

ne fino ad allora scelto, porta a guardare verso soluzioni no-profit.

La titolare decide di trasformare la società in associazione culturale, che

si prefigge di creare servizi per il recupero, la conservazione e il sostegno

delle attività delle culture dell’immateriale in Eurasia.1

Riguardo al tessile, il desiderio è di “potenziare la conoscenza dei tessuti

come trame ‘storiche’ da difendere e diffondere”,puntando a un fatturato

che si basi più sui servizi che sui prodotti.

Le azioni sono indirizzate alla:

conquista di un ruolo culturale e di una rete sociale. Cinema e documentari,

conferenze;

verso fibre vecchie che nuove;

allargare i propri spazi ad altre espressioni tessili da ospitare nell’emporio;

il contenimento del magazzino con la presentazione di altre espressioni

e collezioni tessili in alternativa alla produzione e raccolta proprie

dell’associazione.

Puntando a fare dello spazio fisico un luogo di incontro e di dialogo

tra diversità, con meno magazzino e più alterità.

Il primo evento come associazione culturale è stato la Mostra dei tessuti e

delle architetture del Nord Est Indiano, nel 2009 al Museo nazionale del Tessu-

to di Prato, a cui ne sono seguiti tanti altri.

1. “Si intendono per “patrimonio culturale immateriale” pratiche, rappresenta-

zioni, espressioni, conoscenze e saperi – così come gli strumenti, gli oggetti,

i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e,

in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio

culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in

generazione è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati

in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro

storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità promuovendo così il

rispetto per la diversità culturale e la creatività umana” Conferenza generale

dell’UNESCO – 32° sessione art. 2 convenzione per la salvaguardia del

PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE

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Pagina 18 I A T N E W S

LA CRISI DELLA MATURITA’ E POSSIBILI EVOLUZIONI di Antonio FERRARA

Psicologo, Psicoterapeuta

della Gestalt e

Didatta–Supervisore,

Analista Transazionale,

Didatta-Supervisore TSTA,

Counsellor Formatore

La struttura che rassicura

Per molto tempo, centinaia di anni secondo alcuni autori

di pedagogia, si è parlato di adulto come meta dello svi-

luppo umano ed educativo. Essere adulto era considerato

un punto di arrivo e veniva negata ogni forma di ulteriore

modificazione. 1 La parola adulto viene dal participio di

adolescere e vuol dire “cresciuto”, fatto grande 2, persona

giunta a completo sviluppo fisico e psichico.3 Con G. La-

passade, nel 1963, termina il mito di un adulto definito

come «un macigno che ha pesantemente condizionato la

pedagogia occidentale». 4 Oggi si parla di psicologia dello

sviluppo, corso di vita, cicli di vita e non più di età o periodi

rigidamente suddivisi in “compartimenti. 5 Ne consegue

che la psicologia dello sviluppo si riferisce a tutto l’arco

della vita 6, mentre quando si parla di psicologia

evolutiva, la crescita psichica è parallela a quella

organica, cioè ad un processo di maturazione

biologica. Con Lapassade, quindi non da

molto tempo, essere giunti al culmine della

crescita fisica, non significa avere raggiun-

to il culmine della crescita psicologica. Ne

deriva che l’età adulta non è un “prodotto

finito” ma, al contrario, i processi sono in

continuo “movimento” durante tutto l’arco

della vita. Si può dire che ciascuna fase

risponde e si organizza secondo logiche

dettate dalle esigenze sia del corpo sia della

psiche, adattandosi o resistendo alle nuove

necessità. Durante l’infanzia e l’adolescenza

prevale la formazione di importanti strutture su cui

mettere le basi per un programma di vita, un copione. In

età successive gli schemi originari e i modi di utilizzarli

vengono elaborati in direzione di ulteriori e diversi adatta-

menti e possono, con la crescita e le nuove esperienze di

vita, assumere forme meno rigide rispetto a quelle neces-

sarie nelle prime fasi dell’esistenza. Inizialmente la ripetiti-

vità del modello permette di orientarci rispetto al come

stare nel mondo, funge da guida, offre struttura, è rassicu-

rante per la sua continuità e risponde alle richieste

dell’ambiente. Permette di esistere e anche di far parte. E’

frutto di un istinto di conservazione che secondo la tradi-

zione della Quarta Via, insegnamento di G.I. Gurdjieff, si

trasmette attraverso il cervello arcaico 7. Come tale ha

scopo conservativo e permette la sopravvivenza. La strut-

tura è protettiva e offre nella prima infanzia, ma anche in

seguito, riferimenti e linee guida che ci permettono di

conoscere e orientarci nel mondo. Sono protocolli copiona-

li che costituiscono un sostegno certo e contengono, an-

che se in seguito riadattati, gli stimoli che vengono dal

mondo dei grandi, cioè, come ci insegna Berne, i messaggi

incorporati. Di solito assumono anche carattere difensivo,

diventando introiezioni di realtà esterne che non possiamo

assimilare, fare nostre, ma neanche espellere. Lascereb-

bero un vuoto. Infine promuovono visioni del mondo e

comportamenti che tendono a stabilizzarsi e a persistere

anche quando non più congruenti con le realtà effettiva-

mente vissute, replicandosi in maniera automatica e ripe-

titiva. Quando la paura, ad esempio, diventa un’emozione

dominante, aumenta il bisogno di certezze. Ci si limita

nell’azione, paralizzati dal dubbio, non si guarda alle alter-

native, c’è troppo rischio, e si forma un carattere fobico -

evitante. L’eccesso di struttura soffoca i potenziali creativi

e le risposte che si danno a stimoli interni ed esterni sono

sempre le stesse, quelle già note. Fisiologicamente si sono

formate catene neuronali, depositi di memorie, dapprima

appena abbozzate e poi rafforzate dall’accumulo di rispo-

ste ad uno stesso stimolo, sempre uguali a se stesse, che

così diventano comportamenti stabili nel tempo. Questo è

il modo in cui si organizza in generale la rigidità e

l’automatismo del carattere. Con la crescita e lo sviluppo

verso la maturità, programmi così rigidamente costituiti,

se seguissero la loro naturale evoluzione, avrebbero meno

necessità di continuare ad esser tali. Ma la struttura

cognitivamente fissata e passionalmente alimentata 8,

continua a seguire le tracce abituali, come nell’esempio

sopra accennato. In maniera provocatoria a volte parlo

dell’ uomo marionetta e spesso, lavorando con il Teatro

Trasformatore 9, riporto l’esempio dei caratteri della Com-

media dell’Arte. Arlecchino, Colombina, Pantalone, posso-

no cambiare i loro discorsi, gli ambienti, le relazioni, ma

sostanzialmente il costume, le forme espressive, la ge-

stualità, i toni e le cadenze, restano sempre gli stessi. Il

carattere non si modifica e di conseguenza neanche il

copione che lo sostiene. Quindi le persone continuano a

comportarsi, indipendentemente dall’età, sempre più o

meno alla stessa maniera, anche se non serve più, anche

se diventate più mature, più adulte, anche se hanno avuto

tante esperienze. E’ difficile lasciare gli schemi profondi

che guidano l’esistenza.

Riflessioni sull’adulto e i suoi possibili sviluppi

Freud definiva la condizione adulta come quella in cui si è

in grado di amare e lavorare. 10 Certamente ci sono svaria-

ti altri fattori che fanno un adulto o la persona che cresce.

In ogni caso apprendere ad amare e impegnarsi nel lavo-

ro, soprattutto se quello che si fa lo si è scelto e piace,

aiuta a crescere. Altri autori definiscono un adulto come

una persona che è in grado di far fronte alle difficoltà e sa

adattarsi. Altri ancora parlano di autonomia, indipenden-

za, stabilità e dicono che l’adulto ha equilibrio ed è in

grado di sostenere il cambiamento. Gould e Levinson 11

fanno una ricerca approfondita sulle diverse fasi dell’età

adulta o matura. Individuano una mezza età, 45/65 anni;

parlano di anziani, fino agli 80 anni e di grandi anziani,

dagli 80 in poi. Non si parla di vecchi. E’ interessante

vedere l’evoluzione che ebbe Piaget circa l’età matura.

Nelle sue prime ricerche il “tetto evolutivo”era raggiunto

con l’adolescenza, dopo questa epoca della vita, non si

sarebbero più create strutture cognitive (1955). 12

Lo sviluppo si concludeva con il raggiungimento delle

strutture logiche necessarie al processo formale. In segui-

to, dopo diversi anni, parlò dello sviluppo “come di una

continua dinamica costruzione di strutture”(1975). 13

“Un modello a ventaglio aperto”, si disse. Il pensiero si può

espandere in più direzioni e con modalità diverse. Quindi

le strutture cognitive possono cambiare. In seguito si parla

di processi di strutturazione nell’adulto. Questo permette

di specializzarsi in varie aree. Per Bassechez e Koplavitz

(1984) 14, “i problemi di vita reale con cui si misura

l’adulto, appartengono a sistemi aperti, interdipendenti e

in continua trasformazione, e non a sistemi chiusi”. Parla-

no di esperienza di contraddizione, le scelte possibili sono

molte, con una loro coerenza interna, “ma in reciproca

opposizione”. Potremmo definirle delle polarità conflittuali.

E ancora, Labouvie – Vief (1982) 15 parla di “relativismo

logico” e afferma che “la progressiva inclusione di incer-

tezza nel proprio programma logico è il meccanismo attra-

verso il quale procede lo sviluppo”. C’è stato un notevole

cambiamento nella riflessione dei pedagogisti che cedono

il passo alla possibilità e all’incertezza, a fronte delle vec-

chie definizioni che vedevano l’adulto fissato inesorabil-

mente ad una certa età, senza più possibilità di evoluzio-

ne. A partire da quanto precede, che riporto per tener

presente il percorso della ricerca sul tema evolutivo negli

ultimi decenni, gli autori più vicini all’Analisi Transazionale,

ritengo possano essere gli ultimi citati. Mettere

“incertezze” nelle strutture copionali in diverse fasi di vita,

congruentemente con quanto lo sviluppo naturale preve-

de, produce cambiamento. In genere in una fase matura

dell’età adulta, dai 30/40-45 anni, chi è più attento alla

conoscenza di se stesso guarda ai significati più profondi

della vita, tende a perdere la fissità dello schema e il co-

pione incomincia a vacillare. La fame perde forza e la

struttura non è più così condizionante da venir vissuta

come una protezione per l’esistenza, e così diminuendo

queste necessità passano in secondo piano l’istinto con-

servativo e le paure connesse, e cresce la disponibilità a

rischiare nuove vie, perlomeno idealmente, perché nei

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Pagina 19 I A T N E W S

fatti le cose vanno in maniera diversa. In ogni caso,

seguendo la natura, con il crescere dell’età dovreb-

bero aumentare l’autonomia e allo stesso tempo la

consapevolezza della finitezza dell’essere umano.

Quando questo non succede, non è perché lo svilup-

po dell’uomo si ferma definitivamente ad una certa

età, come si pensava, ma piuttosto perché si prefe-

risce nascondere a se stessi, anche se note, le

verità sulle leggi dell’esistenza che procurano dolo-

re e paura. Si produce una forma di pigrizia dello

spirito, un dimenticarsi di sé, che intorpidisce

l’animo. Al contrario, quando il pensiero della morte

diventa più presente e si incrina l’aspettativa magi-

ca per la quale, pur sapendo che succederà, ci

comportiamo come se toccasse solo agli altri e mai

a noi, allora è più facile rendersi conto che di fatto

la vita è sempre sospesa ad un filo e la fine può

avvenire anche tra poco. Dimenticandolo si ha

l’illusione che si viva meglio. Ma è solo con

l’accettazione della nostra finitezza che si aprono

spazi per una maggiore flessibilità e per una mag-

giore pienezza di esperienza, favorita da un certo

distacco dalla quotidianità e non dalla voglia di

possedere persone perché si ‘amano’, o avere cose

perché soddisfano e rassicurano. Niente nella vita

ha valore assoluto, i fenomeni sono mutevoli, preca-

ri e relativi. Comprenderlo ha come effetto che ci si

apre alla creatività, aumenta la capacità di scelta e

si scoprono le alternative. Ma tutto questo non

avviene per caso. Ci vuole impegno e coraggio,

bisogna “correre un rischio”, come diceva F. Perls. Il

limite che le persone si danno ha una propria linea

di confine, oltre la quale non si va. Quello che c’è al

di là è lo sconosciuto, e spesso la fantasia sul cosa

si possa trovare dall’altra parte, è catastrofica.

Quando si va oltre il confine, anche se simbolica-

mente rappresentato, come si fa in alcune esperien-

ze terapeutiche, magari tracciando una linea da

poter superare, è facile scoprire che il pericolo im-

maginato era frutto di pura fantasia. Compiendo

un’azione, mai sperimentata prima, è possibile

incontrare il nuovo e recuperare capacità adulte,

rischiando, ma in maniera protetta.

La giovinezza e la virtù dell’amore

Le prime basi della maturità trovano le loro radici

nella fase precedente, nella giovinezza, secondo D.

J. Levinson tra i 20 e i 30 anni 16, epoca in cui au-

menta l’autosostegno, crescono l’autonomia e la

capacità di fare da sé. Il giovane è più centrato

dell’adolescente. E’ più in contatto con il mondo

adulto e mette da parte l’atteggiamento critico e

conflittuale fine a se stesso. In verità questo pas-

saggio da adolescenza a giovinezza oggi avviene

anche in età più avanzata. Le richieste della società

post moderna, sia in termini affettivi che in termini

di preparazione al mondo del lavoro, producono una

dipendenza dalla famiglia più prolungata nel tempo.

In ogni caso, in questo periodo aumenta

l’autonomia di pensiero e la capacità di guardare la

realtà alla propria maniera. Quello che il giovane

pensa, le sue idee e le sue visioni del mondo, sono

frutto di maggiore consapevolezza e di confronto. Si

ascolta di più l’altro e diventa più presente il deside-

rio di un partner stabile. Agli innamoramenti adole-

scenziali subentrano delle esperienze affettive

mirate a instaurare una vita di coppia. E. Erikson 17,

ritiene che nella giovinezza ci sia il pieno sviluppo

dell’Io, in pratica della propria identità. Ci si chiede:

‘io chi sono’. Al di là dei messaggi di copione, i

‘devi’, i ‘non’ e i ‘modelli’ che lo strutturano, si incre-

menta la capacità di assimilare la realtà e di farla

propria, indipendentemente dai messaggi incorpo-

rati dal bambino. Con lo sviluppo dell’ identità au-

menta anche la capacità di amore verso l’altro.

Sempre secondo Erikson 18 la giovinezza è l’età in

cui oltre a svilupparsi pienamente l’Io, emerge la

virtù dell’amore. Nelle tradizioni spirituali si parla di

amore altruistico, la compassione, che permette alti

livelli di crescita, fino all’autorealizzazione. L’amore

è strettamente connesso con l’intimità, che secon-

do Berne è un fattore per l’autonomia. Erikson la

contrappone all’isolamento, che per Berne, è una

maniera per strutturare il tempo, quindi, a differen-

za dell’autonomia, una forma rigida di organizzare

l’esistenza. Trattando di amore, non ci riferiamo

soltanto all’amore di coppia o verso i figli o i genito-

ri, ma in maniera più ampia e secondo la visione

gestaltica mutuata da M. Buber, anche all’amore

compassionevole, quello verso l’altro in generale,

quando l’altro diventa un tu. Nella definizione di

Erikson, l’intimità “prevede di accettare una parziale

fusione con l’altro, senza temere la perdita della

propria identità” 19. In pratica si mantengono i pro-

pri confini, senza finire nella confluenza, e si conser-

va la capacità di separarsi e di operare scelte. La

persona capace di intimità può accettare la differen-

za perché non si sente minacciata, ha già un suo

modo di essere e può rischiare di fluire con

l’esperienza. Può stare con quello che è senza for-

zare la realtà per costruirsi certezze a sua misura. Al

principio dello sforzo subentra quello

dell’accettazione 20. A fronte degli sviluppi indicati

non bisogna dimenticare che si tratta di primi con-

tatti, che porteranno frutti più stabili con la maturi-

tà, altrimenti si coltivano illusioni. E’ un po’ come

assaporare il nuovo sapendo che il copione ha

ancora forti radici che legano al passato. D’altro lato

le potenzialità scoperte e le competenze che si

vanno acquisendo possono crescere e dare frutti. Al

di là dei conflitti e del perenne dualismo che carat-

terizza la nostra esistenza, i giovani sono più aperti

al nuovo e nel mondo del lavoro spesso ricoprono

ruoli di responsabilità e d’altro lato la loro dipenden-

za, come già visto, si prolunga nel tempo e la loro

energia viene frenata.

L’importanza di una guida

Levinson ritiene che nell’età giovanile siano impor-

tanti quattro fattori: trovare un consigliere, intra-

prendere una carriera, stabilire relazioni intime,

avere un sogno 21. Guarderò solo ad alcuni di questi

punti per qualche commento. Partendo dall’ultima

proposta, l’idea dell’autore è che un sogno anche se

irrealizzabile è capace di dare una spinta,

un’energia per raggiungere risultati. Ha una funzio-

ne motivazionale e poi con il tempo si troverà anche

la forma più realistica per ottenere risultati concreti.

Per Berne affidarsi ai sogni è un po’ come perdersi

negli ideali e quindi stare nel mondo delle illusioni.

Diversa è invece l’aspirazione, che consente di

mantenere i piedi per terra e di produrre effetti

reali, se c’è un impegno. Comunque, che sia sogna-

re o aspirare, ai giovani occorrono stimoli che apra-

no orizzonti, e permettano di guardare avanti, piut-

tosto che starsene inerti a galleggiare nella vita. In

questo senso la nostra società è carente,

l’educazione scolastica è carente. Sono davvero

pochi gli stimoli che danno senso e portano valori.

Manca nel mondo dell’istruzione un’educazione

all’affettività e all’importanza della crescita interio-

re. Ciò che conta è formare persone che funzionino

per fini produttivi, in una società che mira essenzial-

mente al potere economico e all’affermazione so-

ciale. Andiamo ora al primo fattore che Levinson

propone come importante per i giovani: trovare un

consigliere. E’ utile avere un maestro, una guida o

un terapeuta, un ponte tra i genitori ed altri adulti

con i quali apprendere a sviluppare relazioni parita-

rie per entrare nel mondo dei grandi. In generale i

giovani vengono lasciati a se stessi e spesso si

perdono, magari in un clima di competizione o nelle

frustrazioni, che infine portano alla rinuncia. Para-

frasando un po’ Levinson immagino il maestro, la

guida, come una figura genitoriale che, alternativa a

quella reale, possa rispondere a un insieme di ne-

cessità e bisogni che non furono assolti dai genitori

naturali. Una persona dotata di sufficiente distacco

e assertività, ma anche affettiva e accogliente.

Levinson ci ricorda anche che quando c’è un rap-

porto con un consigliere, mentore, o terapeuta dico

io, spesso si finisce con una rottura. Le motivazioni

sono tante. Tuttavia, ciò che importa è che pure una

separazione traumatica può essere un momento di

crescita, sia per il giovane che per il paziente, ma

anche per chi ha svolto il ruolo di guida. In questa

epoca storica la figura più vicina a fare da mentore

sembra sia proprio quella del terapeuta, inteso non

solo come colui che cura sintomi e situazioni proble-

matiche, ma anche come qualcuno capace di guida-

re verso una ristrutturazione profonda della perso-

na, che comprenda una crescita dell’essere, fonda-

ta su valori esistenziali e spirituali. Spesso i terapeu-

ti di AT ma anche di Gestalt disdegnano la visione di

scuole che si aprono ad un approccio che includa

anche aspetti spirituali nella terapia. Questi temi

peraltro sono da tempo già presenti anche in AT 22.

Si confonde spiritualità con religione. Spesso sento

dire: “Ma noi siamo clinici non ci competono queste

tematiche”, in nome di una ortodossia che franca-

mente sento fuori tempo. Clinica e sviluppo perso-

nale non sono mai stati in conflitto, è sempre più

utile trovare integrazioni che tendano ad unire piut-

tosto che a settorializzare. Ritengo che questo pas-

so ulteriore dovrà caratterizzare l’età più matura,

anche della terapia.

La virtù del prendersi cura

Levinson mette l’età matura tra i 30 e i 45 anni 23.

E’ su questa fase che voglio focalizzare la mia atten-

zione. L’autore ritiene che sia il periodo in cui si

dovrebbero portare a termine i principali compiti

evolutivi. Sono anni in cui si raggiungono risultati in

campo affettivo, relazionale e lavorativo. Secondo

Erikson 24 è il periodo della procreatività o genera-

tività, mentre la fase precedente è soprattutto

legata alla genitalità. Si è più pronti ad assumere

responsabilità verso gli altri in generale e non solo

verso i bambini. E’ una generatività intesa in senso

ampio, espressa non solo diventando madre o pa-

dre, ma anche nel dare vita, in vari campi, a idee,

opere d’arte o impegno sociale. A me sembra che in

queste fasi, quando il processo di crescita segue

uno sviluppo naturale e non viene interrotto da

rigidità copionali, che ancora insistono nel determi-

nare visioni e comportamenti, si affievolisca il biso-

gno di stimolo o riconoscimento e che si sviluppi in

senso più arricchente l’istinto sociale. Un istinto che

porta a guardare l’altro, non per ottenerne vantaggi

personali ma per un più soddisfacente desiderio di

relazione e condivisione. Gli autori, relativamente a

questo periodo, parlano del raggiungimento di una

completa autonomia. Ritengo che si tratti comun-

que di un’autonomia limitata, sono ancora molti i

condizionamenti anche nell’età matura. I freni per

raggiungere un reale distacco vengono ancora da

tante dipendenze, non solo affettive, ma anche

legate a necessità e bisogni, spesso costruiti, e

quindi superflui, frutto di una cultura dominata da

principi mercantili. L’ autonomia si perde anche

quando si è coinvolti nella competizione e nella

voglia di affermarsi o in interessi legati al potere e al

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prestigio. Tutto questo produce dipendenza.

L’autonomia economica o organizzativa poco ha a

che fare con quella alla quale fanno riferimento l’AT

e la Gestalt, per le quali è autonoma la persona che

ha raggiunto risultati relativi ad una crescita interio-

re ed anche a livello sensoriale, emotivo e cognitivo.

Accanto alle nuove capacità di realizzare progetti

già avviati, di essere genitori, di affermarsi nelle

professioni, Erikson, oltre a quella dell’amore, dà

spazio ad un’altra virtù, quella “del prendersi cura”

che si manifesta nell’ “accudimento di persone e

cose”, ma anche di idee. Accanto al prendersi cura

è frequente un altro fenomeno, che Erikson consi-

dera il suo contrario e definisce stagnazione. Una

sorta di concentrazione narcisistica che porta ad

una esagerata preoccupazione per se stessi e a

situazioni di falsa intimità. Ciò che più conta è affer-

mare la propria immagine. Si è molto focalizzati su

di sé e poco disponibili verso gli altri, o ad occuparsi

della crescita e del miglioramento della società 25.

Ci sono fissazioni copionali ancora molto attive e

quello che è un naturale istinto sociale, aprirsi

all’altro, continua ad essere soprattutto una fame,

una fame di riconoscimento e quindi un insieme di

falsi bisogni, egoicamente centrati. Per il bambino il

riconoscimento è stato per un tempo una necessità

vitale, gli è servito per poter dire: ‘ci sono’. Se que-

sta attitudine permane al tempo della maturità, è il

risultato di una deviazione parassitaria verso un

surrogato che possiamo definire passione di vanità

26, di chi, per antico retaggio, ancora si spende solo

per esser visto.

Crisi e nuove possibilità

E poi segue la crisi di mezza età. E’ difficile definire i

suoi tempi. Si parla di un’età tra i 35 e i 40 anni, ma

anche di una tra i 45 e i 50 anni. Levinson 27, in

particolare, si focalizza su due periodi, 40, 45 anni,

ma anche 45, 50 e 45, 60 anni. La mezza età è

strettamente connessa alla fase della maturità ed è

difficile definire i confini tra un tempo e l’altro, varia

molto da individuo a individuo. Ancora Levinson 28

divide il periodo dai 40 ai 50 anni in due fasi distin-

te. La prima fase, 40, 45 anni caratterizza un mo-

mento della vita in cui vengono messe in discussio-

ne le proprie aspettative, i valori, e le relazioni affet-

tive. Si fa un bilancio, ci si chiede cosa si è realizza-

to e cosa resta ancora da fare. Sono anni che spes-

so coincidono con la separazione dai propri figli. La

seconda fase, 45, 50 anni, è un tempo di crisi mani-

festa, si profila una discesa, un declino, fenomeni

che possono anche favorire la crescita personale. Si

possono consolidare le relazioni e la coppia si evol-

ve verso forme amorose meno appassionate ma più

mature, grazie ad una reciproca comprensione e

accettazione dei limiti, sempre presenti nei rapporti

umani. E’ un passaggio importante. Diminuisce la

conflittualità. D’altro canto è anche un tempo in cui

i legami si rompono definitivamente. E’più frequen-

te la perdita di persone care o a noi vicine e sempre

più si assiste al decadimento fisico degli anziani. In

sintesi si prende più coscienza della finitezza e della

precarietà dell’esistenza umana. E’ facile entrare in

stati depressivi, di incapacitazione o sfiducia, fino

alla disperazione. Si chiede aiuto, si ricorre ai far-

maci e più di rado alla terapia. C’è chi reagisce e

copre la sofferenza interna con maggiore attivismo,

dandosi sempre più impegni, e magari realizzando

qualcosa di nuovo. E’ un atteggiamento che può

essere utile, a volte davvero dà spazio a nuove

visioni. Ma più spesso è solo una reazione difensiva

che allontana dal farsi domande più profonde su se

stessi e sul senso della propria esistenza. In questa

epoca di crisi, che in modo diverso colpisce uomini

e donne, in maniera implicita o esplicita, si mette in

discussione la propria vita e a volte si regredisce

anche assumendo comportamenti adolescenziali. Si

imitano i figli: innamoramenti, trasgressioni, ribellio-

ne, ma dietro c’è sofferenza. E’ da questo star male

che può nascere il nuovo. Può essere un’epoca di

trasformazione che porta dalla crisi ad una più

profonda maturità. Nella disperazione si perdono i

riferimenti, c’è bisogno di aggrapparsi a qualcosa o

qualcuno. Paradossalmente aumenta la creatività e

la capacità di guardarsi dentro e forse anche di

scoprire i molteplici potenziali che si nascondono

nei meandri della coscienza, oscurati dalla cecità

dell’ego che si è impegnato solo in poche direzioni,

molto poche, e sempre uguali a se stesse. E’ possi-

bile nel tempo dello smarrimento aprirsi ad altre

realtà che infine vengono alla luce, magari insospet-

tate. L’intero copione entra in crisi. Anche in questa

fase è importante la presenza di un mentore, un

maestro, un terapeuta. E’ il momento della vita,

anche se gli anni di riferimento sono cambiati, che

corrisponde a quello che Dante definiva con i ver-

si :“ Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai

per una selva oscura”. E’ da lì che iniziò il suo viag-

gio di conoscenza. La sua guida fu Virgilio. Molti

artisti, Mozart, Modigliani e altri, sono morti intorno

a questa età, dopo aver realizzato grandi opere

d’arte e dopo aver vissuto molta sofferenza. L’ esi-

stenza umana si è interrotta ma la loro ricerca inte-

riore è stata sublimata nella bellezza della loro arte.

Simon De Beauvoir nella sua fase di crisi così si

racconta: “Mi sembra di non avere più niente da

fare … adesso lavorare a maglia, cucinare, leggere,

ascoltare un disco, tutto mi sembra inutile. L’amore

di Maurizio dava un’importanza ad ogni movimento

della mia vita. Adesso è vuota, tutto è vuoto … il mio

errore più grande è stato di non capire che il tempo

passa” 29. Le cose cambiavano e lei continuava a

restare legata all’immagine giovanile del suo uomo,

alla sua casa, alle sue bambine e così via. Nella

mezza età comincia a profilarsi la fine del cammino.

Il corpo cambia e così le prestazioni fisiche. Anche

la mente diventa meno lucida. C’è una sindrome da

nido vuoto quando i figli se ne vanno e dà sofferen-

za, senso di perdita, non si sa che fare. E’ il tempo

del climaterio, maschile e femminile. Proprio in

contrasto con questo può emergere dallo sfondo la

polarità nascosta, una spinta per nuove esperienze

e nuova vitalità.

Evoluzione dell’adulto che matura

Tutto quanto precede è una sintesi di come si mani-

festa un adulto che matura e delle sue forme di

crisi. Mi sono ispirato ad autori specialisti in psicolo-

gia dello sviluppo e a mie elaborazioni personali.

Ora voglio dedicarmi a cosa sarebbe utile per un

adulto affinché superi i momenti difficili e continui

ad evolversi. Nella prefazione ad un testo di M. L.

De Natale si legge: “L’Unesco raccomanda

l’educazione dell’adulto per costruire un dialogo per

una cultura di pace”. E poi sottolinea: “E’ un concet-

to potente per incoraggiare lo sviluppo ecologica-

mente sostenibile, per promuovere la democrazia,

la giustizia, la parità tra i sessi e lo sviluppo sociale

e per costruire un mondo … in cui il conflitto violen-

to sia sostituito da una cultura del dialogo” 30. Ma

nulla dice su cosa si intenda per educazione

dell’adulto. Secondo la pedagogia occorre mettere

in discussione: “Stili cognitivi, relazionali, affettivi,

comportamentali, convinzioni e orientamenti valo-

riali che alimentano la personalità adulta” 31. Ha

senso. Dal nostro punto di vista sarebbe come dire

che per educare un adulto come primo passo occor-

re rimettere in gioco la propria organizzazione copio-

nale, che contiene e porta avanti un modello esi-

stenziale fissato nel tempo, con matrici organizzate

sulla base di una visione infantile. Sono programmi

legati al passato, incongruenti con il qui e ora, che

vanno aggiornati secondo le necessità e l’emergere

di temi esistenziali tipici dell’età matura. La crisi si

propone come guida. Suggerisce che è tempo di

guardare ad altro. Abbiamo scotomizzato o svaluta-

to le domande sul chi sono, sul senso della vita, non

abbiamo ascoltato il sé sottile, quello profondo, che

comunque è parte fondante della nostra coscienza.

E poi viene il momento in cui questa coscienza

chiede attenzione, reclama spazio. L’equilibrio abi-

tuale è rotto, ora c’è qualcosa da cambiare. Se gli si

dà voce, allo sconosciuto che si nasconde dietro il

malessere, oltre alle storie già note sulla madre

carente o il padre severo, che facilmente vengono in

primo piano, è possibile scoprire insoddisfazioni di

altro genere, che riguardano il significato e il valore

dell’esistenza. I vecchi messaggi di copione perdono

sempre più senso. La realtà dell’oggi, il qui e ora è

altra cosa, e già da tempo. Se ci si guarda un po’

dentro è evidente che è tutta un'altra storia. L’età

matura è il momento di dare spazio a quanto di

sconosciuto appartiene all’essere. Il richiamo, come

per la nevrosi, si presenta sotto forma di sintomi di

ogni genere e anche se si tratta di aspetti più sottili,

possono manifestarsi nel corpo. Fanno male e tutta-

via sono forme creative, come insegna la Gestalt.

Contengono in sé la soluzione. Bisogna solo appren-

dere ad interrogare il sintomo e poi ascoltarlo.

Quando ci parla, chiede di percorrere altre vie e

sempre propone alternative che spingono ad espe-

rienze di vita più vicine alla spontaneità naturale.

Quando si sa cosa manca per chiudere la Gestalt,

allora bisogna passare all’azione e ci vuole corag-

gio, ma anche la curiosità del bambino che esplora

alla ricerca del nuovo. La crisi richiama a cercare il

senso delle cose e questo include il guardare in

maniera più realistica alle effettive necessità. Forse

è tempo di un viaggio interiore che dia spazio a

visioni, comprensioni e valori che siano più coerenti

con i processi di crescita di un uomo che si evolve.

In questa direzione non c’è, come già visto, il conse-

guimento di un risultato che rappresenti la fine della

maturazione o la formazione ultima di un adulto,

per il quale non ci sono spazi ulteriori. La crescita

effettiva non ha termine. Ma l’atteggiamento della

cultura comune, non ha questa apertura. Si consi-

dera normale il degrado e lo svilimento cui sono

soggetti i vecchi del nostro tempo. La persona,

anche attraverso una forzata sopravvivenza fisica,

magari grazie alla tecnologia della salute, di fatto

perde valore e dignità. Ma questo è frutto di una

resa, frutto di ignoranza direbbe il saggio. Il poten-

ziale di crescita non si spegne per decadimento

fisico quando si coglie l’essenza dell’essere e

l’intera vita può essere dedicata alla propria evolu-

zione. Come analisti transazionali siamo anche figli

del periodo degli anni 60’ quando ci fu una grande

attenzione agli aspetti umanistici della psicologia. Si

parlava di sviluppo del potenziale umano. E. Berne

e F. Perls, pur non facendo direttamente parte di

questo movimento, ne furono entrambi influenzati.

Il fenomeno si respirava nell’aria e tutta la cultura

del tempo ne assorbì i valori. E poi ci fu di nuovo la

caduta. La estrema professionalizzazione della

terapia ha stabilito tante regole, tanti schemi, tante

metodologie e tanti copioni sul cosa si deve fare. La

spontaneità creativa, la capacità di stare come

persona con la persona nella relazione terapeutica,

ha perso centralità. Per fortuna non per tutti. La

Teoria del Copione o degli stati dell’Io, dei Giochi o

delle Transazioni non permettono di trattare le

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svariate necessità e problematiche di fronte alle

quali si trova un terapeuta del nostro tempo. Berne

e diversi suoi successori hanno preferito non guar-

dare ai valori dello spirito. Questo interesse profon-

do, sepolto sotto tante sovrastrutture nevrotiche,

viene molto prima della sua negazione o della sua

banalizzazione in forme religiose prive di un vero

sentire. Le strutture copionali sono frutto di adatta-

menti che provengono da un accordo tra mondo

interno e mondo esterno. Sono risultato di tante

voci che nelle diverse fasi evolutive hanno avuto

spazio nella dura lotta tra un Super Io che domina e

un bambino naturale sopraffatto da una cultura

nemica della spontaneità, degli istinti e del piacere,

a favore dei devi genitoriali e culturali. Sono i princi-

pi fondanti della ricerca di Freud. Nella vita di cia-

scuno di noi ci sono tanti padroni che oscurano la

matrice originaria dell’essere. Questo avviene a

livello della quotidianità, quello che il Buddhismo

definisce la dimensione relativa, che si contrappone

agli aspetti più profondi dell’esistenza, alla ricerca

del chi sono e al mistero dell’origine stessa della

vita. Il più delle volte l’esperienza spirituale viene

descritta nei termini di una incomprensibile filosofi-

a, e diventa oggetto di discorsi colti che non hanno

effetti concreti e quindi non insegnano nulla. Basi-

camente tutti seguiamo un istinto conservativo e a

fronte di conflitti o pericoli scegliamo la protezione

dell’esistenza e la valutazione è fatta da un piccolo

adulto creativo che si chiede: “Come ottengo il mag-

gior vantaggio con il minor rischio possibile?” E

opera una scelta, che poi verifica e, se funziona, la

ripete e la ripete, fino a che resta fissata nella co-

scienza e come già visto in specifiche fasce neuro-

nali, che in maniera automatica si riattivano ogni

volta che serve. Naturalmente in questo caso, dietro

la scelta ci sono un insieme di reazioni e comporta-

menti interconnessi. I nuclei di copione sono il risul-

tato tradotto in schema di un grande gioco di equili-

bri. La mente organica sosterrà il sistema psichico

dando vita ad una unica organizzazione. Ma quando

le fasi dello sviluppo, infanzia, adolescenza, giovi-

nezza sono trascorse e subentra il tempo della

maturità allora sono altre le esigenze, meno note e

comprensibili di quelle delle epoche precedenti.

Come già detto le domande sul senso dell’esistenza

si fanno più pressanti. Anche in epoche anteriori ci

sono state, è ovvio, caratterizzano l’essere umano.

Ma con la maturità, espresse o no, si fanno più

incalzanti e cresce l’ansia di risposte.

Verso la maturità

La crisi della maturità è stata più volte trattata nella

letteratura e vissuta da molti grandi artisti. Uno dei

maggiori esempi è la Divina Commedia in cui Dante,

a metà della sua vita , si ritrova in un inferno, nel

quale entra in contatto con stati di coscienza, i vizi

capitali, che governano la vita umana. Per uscire dai

limiti che non permettono di accedere ai livelli supe-

riori, bisogna conoscerlo questo inferno e sperimen-

tarlo. Dante ebbe come vizio o passione dominante,

come preferiamo dire nella cultura della psicologia

degli Enneatipi, quello dell’invidia, che lo teneva

perennemente in contatto con la sua carenza, con

ciò che manca, che da un lato costituisce motivo di

sofferenza e dall’altro stimola la ricerca di nuove

possibilità e permette di raggiungere, nel suo caso,

qualcosa di più santo, fino alla contemplazione del

divino, perlomeno nella sua opera. Alla fine del

viaggio c’è il Paradiso. Gli stati infernali sono forme

di essere e comportarsi che tutti gli umani condivi-

dono, più specializzati in una o in altra condizione.

Danno vita a copioni ripetitivi, strutture fondate su

passioni e fissazioni relative a nove tipologie basi-

che 32, nove caratteri che guidano le nostre esisten-

ze, e assumono ulteriori connotazioni secondo che

seguano l’istinto conservativo, sociale, o sessuale,

dando vita a 27 sub tipi. Poi viene la purificazione, il

purgatorio, uno stato in cui si incontrano le virtù,

forme meditative che attraverso l’assimilazione di

parole guida sostengono il cambiamento secondo

direzioni non preordinate ma virtuosamente rag-

giunte. E infine il paradiso, luogo dove si giunge per

distacco dal mondo delle passioni e si assurge alla

contemplazione del divino e alle forme ultime

dell’amore compassionevole. E’ il viaggio che, con le

debite differenze, propone anche la cultura

dell’Enneagramma, che sembra influenzò lo stesso

Dante. Dalla crisi, quindi, si trascende a livelli più

alti di coscienza e matura l’amore. L’eterna soffe-

renza per le carenze infantili vissute in un passato

che non c’è più e che oggi danno vita alle forme di

nevrosi più disparate, si trasforma. All’amore per sé,

l’amore egoico, tutto centrato sul ricevere, comincia

a subentrare l’amore compassionevole. E’ l’amore

per il quale il centro diventa l’altro e l’‘Io’ va sullo

sfondo. Paradossalmente soddisfa di più. Ma non è

tutto, il viaggio verso la propria realizzazione è com-

plesso. Miti, illusioni, principi e comportamenti che

hanno guidato l’esistenza, incisi nella nostra storia

e nella nostra genealogia, valori portanti della cultu-

ra, secondo Freud frutto di una “civiltà” condizio-

nante, nella maturità subiscono uno scossone.

Perdono credibilità e non hanno più senso. Suben-

tra incertezza e smarrimento. A cosa credere, a

cosa dare valore? Diventa più incalzante, implicita o

esplicita che sia la domanda sul “Chi sono”?. Cado-

no i riferimenti e le certezze ad attaccamenti e

bisogni che hanno stabilmente guidato la vita. Tutto

diventa più effimero. Si fa più presente il timore

della morte ed è più viva la consapevolezza di quan-

to ogni cosa sia destinata a finire. Il Bhuddha parla

di impermanenza e per la psicologia buddhista

questo principio è centrale. Ci si rende conto che

ogni cosa che si è fatta, che si è costruita, finirà o è

già finita. Per un tempo lascerà dietro di sé il ricordo

e poi più niente, il vuoto. Angoscia? Depressione?

Panico? E chi sono io? Dove finisco io? Non c’è

risposta. E’ l’angoscia esistenziale di Sartre, per il

quale il vuoto è un nulla, un non essere. C’è da

lavorare per afferrare il senso. Che senso ha questa

vita? E’ solo esercitare un mestiere, produrre, so-

pravvivere, affermarsi, essere riconosciuti? Soldi,

casa al mare, vestiti? Il potere? O soddisfare l’uno

dopo l’altro catene di bisogni che non si esaurisco-

no mai, perché sono falsi bisogni? Certo, l’amore.

Sembra il toccasana che non arriva mai. Ma quale

amore? Quello al quale generalmente si pensa è

sempre un amore egoistico, ci si avvale di ogni

forma di manipolazione per ottenerlo e alla fine non

soddisfa, resta sempre una carenza. Ancora più

difficile è darlo questo amore. Spesso è frutto di

falsa bontà e lo si dà per ottenere qualcosa, non è

amore gratuito. Forse lo si dà per ricevere riconosci-

mento o gratitudine. E dov’è l’altro? Ben venga

allora la crisi, ci dice che il desiderio non sarà appa-

gato, è una mancanza d’essere quella che fa soffri-

re, il “chi sono”, e la risposta viene da una effettiva

conoscenza di sé. Jung parla di un “bambino divi-

no”, sepolto nella coscienza che non riesce a rie-

mergere. In fondo anche Freud si riferisce a questo

quando parla di un Super Io dominante che reprime

la naturalezza, l’istintualità, di cui il bambino è por-

tatore, a cui Berne ha dato uno spazio specifico

nell’organizzazione della personalità. E’una funzio-

ne molto importante che spesso viene oscurata

dalla intellettualità razionale. C. Naranjo lo assimila

al principio dionisiaco, che manifesta la spiritualità

attraverso il piacere, frutto di un principio vitale,

eros, che trascende la sessualità e dà sapore alla

vita. È quanto propose nel mondo della terapia la

Gestalt di F. Perls. Dare spazio alla spontaneità

creativa e alla trasparenza, come antagonista di un

Super Io repressore, che impone e castiga, il Top

Dog. Naranjo, dal canto suo, fa riferimento al Picco-

lo Principe di Saint-Exupery, nel suo lavoro El niño

divino y el héroe 33. Ricorda che il principino si sen-

te soddisfatto e felice quando può bere l’acqua

fresca di un pozzo al termine di un lungo viaggio di

esperienza e scoperta e coglierne l’unicità al di

sopra ogni cosa. Questa è una via diretta per giun-

gere alla conoscenza. Al contrario, il cammino

dell’eroe, segue la via dello sforzo, come Gilgamesh

o Mahabharata ad esempio, che cercano la loro

realizzazione nelle grandi imprese. Rischiano la vita,

sfidano mostri e infine sconfiggono il drago. In que-

sto caso il viaggio è più lungo. Sono vie differenti e

anche se con tempi diversi, entrambe portano a

risultati.

Il programma SAT

I programmi SAT, creati da C. Naranjo e oggi diffusi

in molti paesi del mondo, sono particolarmente

congruenti con il nostro discorso. Si rivolgono allo

sviluppo della conoscenza di sé, attraverso un insie-

me di ingredienti che vanno dalla terapia alla medi-

tazione, con attenzione al corpo, all’energia e alla

mente. Il programma si svolge attraverso moduli

residenziali di nove giorni ciascuno, secondo un

modello che si sviluppa negli anni in un clima in cui,

tra l’altro, vige la trasparenza e la spontaneità.

Tante persone si incontrano e apprendono a darsi

sostegno reciproco, alla pari, guidati da esperti

supervisori, condividendo l’interesse per la crescita

personale e praticando modalità più vere e autenti-

che di stare insieme. Attraverso esercizi di consape-

volezza e utilizzando tecniche terapeutiche adegua-

te, si scopre come funziona il proprio mondo interno

e i modi di entrare in relazione con gli altri. E’ cen-

trale il lavoro sul proprio carattere e sulle forme

copionali che lo sostengono. La maggiore facilità dei

rapporti e l’accettazione reciproca, favoriscono la

caduta delle difese e permettono di guardare a

nuove maniere di stare al mondo e soprattutto a

metterle in atto. Tutto ciò è facilitato da una cultura

dell’accoglienza e del rispetto per la diversità. Il SAT

è un percorso di conoscenza e di sviluppo continuo

che, dalla presa di coscienza delle limitazioni pas-

sionali, crea attaccamento alle proprie posizioni

esistenziali, guida verso gli aspetti più sottili della

coscienza. Ossia, detto in altri termini, all’incontro

con la pienezza della propria natura originaria, diffi-

cile da descrivere in parole, ma che si può speri-

mentare. E’ questo l’oggetto di una ricerca spiritua-

le, incontrare la propria essenza. Un cammino che

dà forza e fiducia grazie alla scoperta che si posso-

no incontrare livelli più evoluti del proprio sé, non

soggetti alla mutevolezza della quotidianità. Questa

consapevolezza sostiene, permette di andare avanti

e di affrontare i tempi di crisi, come ad esempio le

fasi della maturità. A questo scopo, sono fondamen-

tali quegli insegnamenti che vengono da antiche

tradizioni, in particolare buddhiste, come la Vipassa-

na, lo Zen, il Vajrayana o altre. Sono scuole di sag-

gezza che oltre a dare una visione dell’uomo utiliz-

zano pratiche meditative di vario tipo che permetto-

no di entrare in comprensioni profonde ma anche in

esperienze concrete. La psicoterapia ne è stata

influenzata in particolare a partire dagli anni 60, ma

anche prima. Nel programma SAT si fa riferimento a

più approcci, non ad una sola scuola. Sono tanti i

contributi che vengono da più direzioni, non c’è chi

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è specialista in tutto. Va bene integrare in maniera

congruente.

L’adulto integrato

Tornando all’Analisi Transazionale ritengo che anche

Berne faccia riferimento ad uno sviluppo e ad una

crescita ulteriore. Forse è una condizione che preve-

de l’uscita dal copione o forse può rientrare in una

idea di copione positivo o ancor meglio non ha biso-

gno di essere incasellata. Mi riferisco all’Adulto inte-

grato. Si è detto molto poco in proposito e lo stesso

Berne ha lasciato un discorso aperto. Secondo alcuni

corrisponderebbe al saggio, una sorta di Bodhisattva,

tipico della tradizione buddista. Nell’Adulto integrato

34, com’è noto, convergono tutti e tre gli stati dell’Io.

In questo caso, a mio parere, non si tratta di struttu-

re ben definite e rigidamente costruite. C’è maggiore

flessibilità e ciascuna di esse si arricchisce di qualità

che appartengono a sfere superiori di coscienza. Chi

raggiunge questo stato è una persona che si distin-

gue tra gli altri. Berne parla di Ethos, Technos e Pa-

thos, Genitore, Adulto e Bambino che, sviluppandosi,

vanno a formare un adulto più evoluto. Tra gli stati

integrati dell’Io non c’è ovviamente contaminazione,

ma un fluire insieme. Così personalmente lo immagi-

no, non avendo Berne lasciato particolari indicazioni.

Però è evidente che il maestro avesse in mente ulte-

riori sviluppi per l’essere umano. Passo ora ad una

breve descrizione dei tre stati, integrata da mie ela-

borazioni. Il Genitore etico, Ethos, non ha nulla a che

vedere con la morale, i principi o le regole, che ven-

gono da norme, leggi o costumi di specifiche comuni-

tà. L’etica riguarda valori più alti e non impone obbli-

ghi. E’ frutto di maturazione e consapevolezza, quali-

tà che vengono dalla saggezza dell’uomo che cre-

scendo, abbassa il livello dei desideri ed è quindi

meno egoicamente teso a soddisfare i propri bisogni,

consapevole che molti di essi sono superflui e frutto

di attaccamento. L’Ethos guida verso l’amore altrui-

stico: la compassione. E’ una forma di amore che

non ha uno specifico oggetto, si dirige verso

l’umanità. L’Ethos raggiunge portata universale e chi

lo sperimenta ha coraggio, si offre per il benessere

altrui, sviluppa lealtà e autenticità. Il Pathos è del

Bambino che ha capacità di sentire con l’altro, di

condividere emozioni naturali, profonde, sia di gioia

che di dolore. L’adulto che integra il Pathos ha fasci-

no e spontaneità che ricordano le qualità di un bam-

bino naturale ed è anche responsabile verso il resto

del mondo. Technos è un insieme di caratteristiche

che appartengono all’Adulto. L’evoluzione porta ad

una sempre maggiore capacità di valutare in manie-

ra obiettiva i dati, e di calarsi pienamente nel qui e

ora, con attenzione al presente effettivo, concreto.

Può compiere o organizzare opere in favore di terzi e

a vantaggio della collettività, al di là dell’interesse

personale. L’Adulto integrato è la persona capace di

piena autonomia e quindi di spontaneità, consapevo-

lezza e intimità. Berne si ferma qui. Dice che non sa

come spiegare l’Adulto integrato in termini teorici e in

termini di stati dell’Io 35. Queste integrazio-

ni sono forse delle “influenze”, ma come entrino

nelle strutture o in altro non sa. Forse lo potrà com-

prendere in seguito, dice. Per quello che ne so non

ha ripreso il tema in maniera più articolata. Nella mia

visione un tale tipo di Adulto è frutto di stati di co-

scienza che per loro natura difficilmente si struttura-

no in forme rigide e organizzate. O meglio, certamen-

te questo Adulto conserva la sua logica e le sue

capacità di valutazione. Sa selezionare e scegliere, e

contemporaneamente sa di esprimersi e manifestar-

si attraverso un continuo di esperienza, guidato da

consapevolezza, si direbbe in Gestalt, che orienta al

contatto con il qui e ora, e a dare risposte creative e

congruenti con la realtà effettivamente vissuta. Se-

gue principi e valori rivolti all’autenticità e a cogliere

la vera natura delle cose, piuttosto che giudizi e

valutazioni che condizionano. E. Erikson 36 considera

l’intimità, per Berne elemento fondante

dell’autonomia e quindi dell’Adulto integrato, un

fattore caratterizzante dell’età matura. E’ la capacità

di stabilire contatti profondi senza divenire fusionali.

Ha le qualità dell’amore e permette di intendere

profondamente l’unitarietà di coscienza che intercor-

re nell’incontro con l’altro. Con nomi differenti C.

Naranjo la propone come frutto di pratiche meditati-

ve rivolte a cogliere la propria natura reale e a favori-

re la solidarietà umana. E’ il contrario dell’isolamento

nel quale si mette chi caratterialmente e come forma

difensiva sceglie la distanza e diventa osservatore

dell’esistenza piuttosto che partecipe. Secondo la

psicologia degli enneatipi, questo carattere che ten-

de al ritiro, una sorta di avarizia psichica, ha un co-

pione che lo porta ad organizzare l’esistenza in forme

egocentriche e ad allontanarsi dall’altro che diventa

un mero oggetto di osservazione. Come già accenna-

to, nella persona che cresce e avanza nella maturità

la necessità di copione o di organizzazione della

personalità in forme molto strutturate diventa sem-

pre meno necessaria. Occorre una maggiore libertà

di seguire il proprio potenziale creativo,

di inventare nuove maniere di stare al mondo, che

rispondano ad esigenze più ampie, a ‘fami’, che ad

una età matura, vadano oltre la necessità di struttura

e di riconoscimento. Se integrato, l’Adulto aggiunge

alle qualità descritte anche quelle recuperate dalla

sua natura originaria, che possiamo assimilare a

quelle del bambino istintivo e spontaneo e di un

genitore capace di amore altruistico, che darebbero

alle prime fasi dello sviluppo umano un sapore più

naturale e meno traumatico. Berne 37 parla di un

bambino eidetico, che guarda un fiore e si incanta.

Ma quando ne saprà il nome, il colore, o altre carat-

teristiche, finirà la percezione spontanea, senza

valutazione. I primi elementi che verranno alla mente

saranno quelli cognitivi, che descrivono il fiore.

La via della saggezza

L’uomo è limitato e, paradossalmente, il non volerlo

accettare gli produce sofferenza: d’altro lato, è pro-

prio la sofferenza che lo spinge alla crescita e, per

seguire il nostro discorso, a sviluppare un adulto

evoluto. Un adulto che concretamente, con le sue

azioni, abbia un’effettiva attenzione per l’altro, maga-

ri attraverso i suoi impegni umanitari o come tera-

peuta, che al centro della propria attività metta un

interesse per l’uomo, piuttosto che limitarsi alla

tecnica, alla metodologia o alle indagini sulla patolo-

gia. Educare a forme più sagge di esistenza produce

un effetto positivo per il benessere della collettività.

La terapia può avere una grande funzione sociale

quando la cura del malessere psichico si associa alla

comprensione dei valori dell’esistenza e le dà signifi-

cato. Il lavoro nei gruppi SAT, formati anche da centi-

naia di persone, sta dando risultati importanti,

e relativamente in breve tempo. Tramite il mio contri-

buto, nel SAT è presente anche l’Analisi Transaziona-

le. A partire dall’eredità ancora inesplorata dell’idea

di Adulto integrato, a me sembra che l’AT abbia in sé

l’implicita visione che lo sviluppo personale possa

durare per tutta l’esistenza. Nella nostra epoca, nella

quale tanti valori sono caduti e quelli nuovi stentano

ad emergere, sembra quasi sincronico che maestri di

saggezza vengano dall’oriente in occidente. Le con-

tingenze storiche hanno favorito questo movimento,

anche se a costo di drammi che hanno coinvolto il

Tibet e le sue popolazioni. Maestri tibetani e non solo

ci portano le loro millenarie esperienze, patrimonio

prezioso per raggiungere la conoscenza di sé oltre i

limiti dell’ignoranza sul chi siamo 38. Ma anche ci

insegnano come superare gli attaccamenti passionali

ad una realtà effimera, che cambia di continuo, sen-

za certezze, e che tuttavia ci appare assoluta. Di

fatto non ci rendiamo conto che ogni cosa, ogni vita,

e tutte le esperienze si esauriscono e terminano.

Questi stessi maestri hanno speso le loro esistenze

per conoscere e insegnare l’amore altruistico, verso

gli esseri tutti. La compassione.

NOTE:

1. (De Natale Maria Luisa, 2001)

2. (Farneti Alessandra, 1998)

3. Definizione in Enciclopedia Treccani

4. (De Natale Maria Luisa, 2001)

5. (De Natale Maria Luisa, 2001)

6. (Farneti Alessandra, 1998)

7. (Ouspensky P.I., 1976)

8. Stati emozionali incongruenti ed esagerati,

(Naranjo Claudio, 1996)

9. (Ferrara Antonio, Febbraio 2012)

10. (Farneti Alessandra, 1998)

11. idem

12. idem

13. idem

14. idem

15. idem

16. Idem

17. Idem

18. Idem

19. Idem

20. (Beisser A.R., 1983)

21. (Farneti Alessandra, 1998)

22. (Schmid Bernd, 2010)

23. (Farneti Alessandra, 1998)

24. Idem

25. Idem

26. (Naranjo Claudio, 1996)

27. (Farneti Alessandra, 1998)

28. Idem

29. Idem

30. Introduzione: Unesco V Conf. Intern. Amburgo,

1997 (De Natale Maria Luisa, 2001)

31. Idem

32. (Naranjo Claudio, 1996)

33. (Naranjo Claudio, 1994)

34. (Berne Eric, 1964)

35. (Berne Eric, 1970)

36. (Farneti Alessandra, 1998)

37. (Berne Eric, 1964)

38. (Namkhai Norbu, 1987)

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De Natale Maria Luisa. (2001). Educazione degli adulti.

Brescia: Ed. La Scuola.

Farneti Alessandra. (1998). Elementi di psicologia dello sviluppo.

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Ferrara Antonio. (Febbraio 2012). Teatro Trasformatore.

IAT News n.5 .

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Namkhai Norbu. (1987). Il cristallo e la via della luce.

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Naranjo Claudio. (1996). Carattere e nevrosi - L'enneagramma dei tipi

psicologici. Roma: Astrolabio Ubaldini Edizioni.

Naranjo Claudio. (1994). El niño divino y el heroe. Malaga: Sirio.

Ouspensky P.I. (1976). Frammenti di un insegnamento sconosciuto.

Roma: Astrolabio.

Schmid Bernd. (2010). Il concetto di ruolo in Analisi Transazionale.

Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane

n.54-2010 .

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Saluto a Carla Giovannoli Vercellino

El viaje definitivo

E io me ne andrò. E resteranno gli uccelli a cantare e resterà il mio giardino, col suo verde albero e col suo pozzo bianco …

Juan Ramón Jiménez

Voglio ricordarti attraverso le parole di Edgar Morin, filosofo a te caro, che tanto aveva colpito il tuo intelletto e il tuo spirito. Credo che le sue parole ti definiscano perfettamente quando parla di insegnamento educativo. “La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero”. (Morin 1999)

Questa era la tua forza e la tua capacità più grande, quella di andare oltre il sapere, di andare verso le persone e con loro camminare in modo umile alla ricerca di un senso ulteriore.

Ti ricordo nel coraggio di avere curiosità e voglia di sperimentare con l’entusiasmo e la meraviglia di un bambino.

Ti ricordo nella precisione e nella fermezza etica con cui rispettavi te, gli altri e l’A.T., a cui hai dedicato la vita.

Il tuo “giardino” verrà sicuramente coltivato perché tu lo hai lasciato a tutti noi come dono ricco di opportunità … tuttavia sentiremo la mancanza di quella tua mano attenta e sicura che sapeva distribuire carezze e limiti con la stessa dolcezza, fermezza e amore..

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Pagina 24 I A T N E W S

GRUPPO BENESSERE E INTIMITA’ di Gaetano SISALLI

Psichiatra

AnalistaTransazionale

PTSTA P

Il “benessere” è un concetto che, in modo particolare nel secolo passato, è stato oggetto di attenzio-

ne e ha subito diverse modifiche ed ampliamenti. Il dibattito relativo a questo concetto ha coinvolto

anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha capovolto l’assunto secondo il quale il benes-

sere rappresenterebbe l’assenza di patologia, per affermare che il benessere è caratterizzato da uno

stato complessivo di buona salute fisica, psichica e mentale.

L’OMS indica come benessere lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere

che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società.

I cinque aspetti, emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale, è opportuno siano equilibrati tra loro e

da questo equilibrio, dipende il miglioramento del benessere individuale.

Il concetto di benessere si estende oltre l’individuo per comprendere l’ambiente (per cui si

parla di benessere ambientale), le organizzazioni (per cui si parla di benessere nelle organiz-

zazioni) e così via.

In questo lavoro il mio scopo è individuare cosa possiamo intendere per benessere in un

gruppo di terapia e come questo si realizza.

Quando parliamo di benessere non possiamo fare a meno di ricordare la piramide di Ma-

slow. Nel 1954 Maslow pubblicò "Motivazione e personalità", testo storico della psicologia

umanistica, dove espose una sua teoria delle motivazioni. Egli individuò una gerarchia di motiva-

zioni rappresentate attraverso la figura di una piramide, alla base della quale si trovano le motiva-

zioni umane più basse, che originano da bisogni primari/fisiologici, per arrivare a quelle più alte,

volte alla piena realizzazione del potenziale umano: l’autorealizzazione. L’idea di Maslow era che, via

via che i bisogni di base vengono soddisfatti, l’individuo passa per gradi alle motivazioni di livello più

elevato: dai bisogni connessi alla sopravvivenza (primo livello), passa a quelli connessi alla necessità

di protezione e tranquillità (secondo livello), all’esigenza poi di sentirsi parte di un gruppo, di essere

amato e di amare (terzo livello), per arrivare al bisogno di essere rispettato e approvato (quarto livel-

lo) e, infine, approdare all’esigenza di realizzare la propria identità e occupare una posizione soddi-

sfacente nel proprio gruppo.

Questi elementi sono stati individuati da Maslow nel secolo scorso e potrebbero sembrare superati

se consideriamo l’evoluzione sociale e tecnologica avvenuta in questi sessant’anni nel mondo occi-

dentale. A questo proposito, utilizzando le nuove tecnologie, in particolare internet, sono andato a

cercare quali cambiamenti nei bisogni e nelle motivazioni fossero stati individuati. Con mia sorpresa

e interesse ho trovato un autore, Luca De Felice, che, partendo dalla scala di Maslow, ha costruito la

Piramide di COSMA, una nuova scala di bisogni adattata al nostro periodo storico.

La proposta di De Felice prevede:

1) Bisogno di Connessione (Bisogni fisiologici): PC; Cellulare – necessità di essere presenti, connessi

con il mondo. Senza PC non si può lavorare, senza Cellulare non si può addirittura uscire di casa.

2) Bisogno di Orientamento sensoriale (Bisogni di sicurezza): GPS; e-mail; Wi-Fi; iPod; chiave dati

USB – piccoli oggetti che sono ormai diventati scontati, delle vere e proprie commodity, che ci per-

mettono di orientarci e organizzarci nel mondo che ci circonda, dandoci sicurezza.

3) Bisogno di Socialità: strumenti di Social Networking (e. g. MySpace, LinkedIn); Social Software (e.

g. Twitter); Mobile Social Software (Mo. So. So., come Jaiku); Game Console (e. g. Wii; Xbox 360;

PS3) – tutti quei SW e HW che permettono di crearsi una community, appartenere ad un gruppo ed

interagire con altre persone.

4) Bisogno di Medialità: Blog; Do It Yourself (DIY) Media (e. g. YouTube) – necessità edonistica di

essere visibili, di partecipare attivamente tramite strumenti cross-mediali.

5) Bisogno di Autocelebrazione: Home Theatre; TV LCD Full HD; Vivavoce bluetooth integrato

nell’auto – strumenti che danno alla persona, oltre che piacevolezza nel loro utilizzo, un senso di

appagamento e realizzazione.

Se mettiamo le due scale a confronto, ciò che mi è parso interessante è il fatto che i bisogni non

hanno più a che fare con percorsi evolutivi personali e di integrazione sociale, ma piuttosto con il

possesso e l’utilizzo di oggetti tecnologici. La “persona” è sostituita dal “possesso o uso di oggetti

tecnologici” via via sempre più sofisticati: sono questi oggetti tecnologici che diventano oggetti del

“desiderio”. In breve, la “persona” diventa funzione della tecnologia ed è questa ad avere bisogno di

evolversi per costruire nuovi bisogni.

Sembra che l’autorealizzazione che diventa autocelebrazione, rappresenti in modo straordinario un

inno al narcisismo, che può fare a meno della relazione.

Nella mia ormai lunga esperienza di psicoterapeuta e di conduzione di gruppi, ho visto quanto il

benessere sia legato a bisogni che muovono da desideri inconsci, strettamente correlati alla relazio-

ne con “l’altro” da sé e non con oggetti tecnologici che creano dipendenza.

Partendo dai concetti che mi appartengono come analista transazionale, ho immaginato che il be-

nessere sia collegato ai cicli di vita attraverso la possibilità di darsi permessi, in particolare ho osser-

vato che:

nell’ infanzia è importante il permesso di esistere;

in adolescenza prevale il permesso di appartenere e di individuarsi;

in fase di giovane adulto o post-adolescenza è importante darsi il permesso di separarsi per vivere relazioni interpersonali;

in età adulta si passa al permesso di trasformare una parte delle proprie illusioni in realtà;

infine nell’anziano un buon permesso è collegato all’ accettazione dei propri risultati e dei propri fallimenti e della morte come parte fondante della propria vita.

Ciò che è trasversale a tutte le età e che favorisce i permessi necessari al benessere nei vari cicli di

vita, è il bisogno di “essere compresi” e “amati”, il bisogno di amare e di sentirsi importanti per sé e

per gli altri.

A questo bisogno si contrappone, nel nostro periodo storico, il “sospetto” che agli altri non interessi

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proprio nulla di noi e che la vita sia una competizione con gli altri per la soprav-

vivenza.

Si realizza la “presenza” di un “mancante”. Il “mancante”, come è evidente

nella piramide COSMA, è l’altro: a questo “mancante” corrisponde l’angoscia

annichilente della solitudine, che ci costringe a riempire il nostro tempo

nell’acquisizione di competenze necessarie al funzionamento della tecnologia.

La società attuale, infatti, si caratterizza per l’acquisizione di competenze e

non di conoscenze.

La competenza è orientata al “fare” e chiaramente al “saper fare”:

vedi piramide di Cosma (per utilizzare gli strumenti descritti nella piramide

bisogna avere competenze nell’uso della apparecchiatura, non è necessario

sapere come sono state realizzate);

La conoscenza è orientata all’essere: vedi piramide di Maslow (per arrivare

all’apice della piramide bisogna costruire significati, relazioni, consapevolez-

ze, tutti elementi in cui il “fare” è in funzione dell’ “essere”).

Il concetto di benessere, per E. Berne, sembra essere collegato al concetto di

intimità:

“l’intimità è il modo di strutturare il tempo insieme più rischioso, per il coinvolgi-

mento emotivo che comporta, ma anche più vantaggioso, perché contribuisce

alla stabilità psichica individuale e al rafforzamento delle relazioni, ma in senso

non copionale e senza incorrere in sentimenti spiacevoli, come nel caso dei

giochi”… “L’intimità comprende il condividere sentimenti, pensieri o esperienze

in una relazione aperta, onesta e fiduciosa.

L’intimità dunque è una relazione disinteressata, priva di giochi e dunque di

scopi ulteriori, al di fuori del dare e dell’avere e senza sfruttamento reciproco”.

“L’intimità è una franca relazione Bambino-Bambino aliena da giochi e dallo

sfruttamento reciproco. Viene stabilita dagli stati dell’Io Adulto delle parti inte-

ressate, in modo che essi capiscano bene i mutui contratti ed impegni, a volte

senza che sia detta un sola parola su questa questione. Man mano che

l’accordo si delinea sempre più nettamente, l’Adulto si ritira gradualmente dalla

scena e, se il Genitore non interferisce, il Bambino diventa sempre più emanci-

pato e libero. Le autentiche transazioni intime avvengono tra i due stati dell’Io

Bambino. L’Adulto, però, rimane sempre presente come soprintendente, per

controllare il rispetto degli impegni e delle limitazioni. Inoltre l’Adulto ha il com-

pito di impedire al Genitore di intromettersi e di guastare la situazione. Infatti la

possibilità di una relazione intima dipende dalla capacità dell’Adulto e del Bam-

bino di tenere a bada, se necessario, il Genitore; ma è preferibile che il Genitore

dia il suo benevolo consenso alla continuazione della relazione o –meglio anco-

ra – che l’incoraggi. L’incoraggiamento parentale aiuta il Bambino a perdere la

sua paura dell’intimità (…). Una volta che il Bambino è libero dalla circospezio-

ne adulta e dalle critiche parentali, prova un senso di esultanza e consapevolez-

za. (…). Egli é libero di reagire direttamente e spontaneamente a ciò che vede,

ascolta e sente. Grazie alla loro fiducia reciproca, le due parti si rivelano libera-

mente i loro mondi segreti di percezione, esperienza e comportamento e non

chiedono nulla in cambio fuorché la soddisfazione di aprire senza paura i can-

celli di questi domini privati.”

Nella terapia di gruppo l’intimità si raggiunge dopo diverso tempo e nel ciclo di

vita del gruppo rappresenta per Berne il momento in cui si è raggiunta una

imago di gruppo secondaria. In breve l’intimità si raggiunge quando la pressione

transferale, manifestata attraverso i giochi, si riduce o non ha motivo di essere

e possiamo vedere l’altro come altro da sé.

Come sappiamo, una caratteristica del setting di gruppo in AT è quella di consi-

derare il gruppo come gruppo di lavoro, in cui c’è spazio per individuarsi nel

gruppo. Questa caratteristica lo differenzia dal gruppo psicoanalitico che rimane

prigioniero dentro gli assunti di base che paralizzano proprio il processo di indi-

viduazione.

Il processo di individuazione è correlato nella scala evolutiva al benessere

e questo, come abbiamo detto, in AT è correlato al raggiungimento dell’intimità.

Io penso che il raggiungimento del benessere sia correlato ad un processo

trasformativo in cui l’altro è agente attivo di questa trasformazione.

Nella psicoterapia l’altro è rappresentato dai derivati del suo mondo psichico,

che nella terapia di gruppo corrispondono agli esiti relazionali delle imago

interne.

Per questo motivo ritengo importante prendere in considerazione i processi che

nella terapia di gruppo avvengono tra i confini del gruppo, non solo tra i confini

principali interni, come sosteneva Berne, ma anche tra i confini secondari e con

l’ altro importante confine del gruppo in quanto gruppo.

Nella teoria Berniana sembra che bisogna arrivare alla imago differenziata

perché si realizzi una intimità nel gruppo. Questo modello è coerente alla tecni-

ca berniana in cui si privilegiava una terapia individuale in gruppo e la dinamica

del gruppo, per quanto descritta, veniva lasciata sullo sfondo.

L’intimità in questo caso sembra far riferimento al singolo soggetto e il benesse-

re sembra essere individuale. Ma nel setting di gruppo ritengo che i due tipi di

“benessere” si influenzino a vicenda.

Come ho affermato prima, se

il benessere è associato ad un

processo trasformativo in cui

l’altro è agente di questa trasfor-

mazione, nella terapia di gruppo,

il gruppo è coinvolto nel benesse-

re dei singoli componenti e del

gruppo nel suo insieme, attraver-

so gli eventi psichici che interes-

sano i tre confini che lo caratte-

rizzano. A questo proposito trovo

più semplice un modello di

confini nel gruppo che prevede:

Un confine intrapersonale=

esito di un dialogo interno.

Un confine interpersonale=

risultato di una transazione tra

componenti del gruppo, tra cui è

compreso anche il terapeuta.

U n c on f i ne d i g r upp o =

risultato di una transazione che

il gruppo condivide a livello trans

personale.

Ritengo che si raggiunga un livello di intimità nel gruppo quando i tre confini che

lo caratterizzano entrano in risonanza.

Quando i mondi psichici dei componenti del gruppo si incontrano senza filtri,

superando le paure distruttive connesse all’incontro con l’altro.

L’esperienza caratteristica del raggiungimento di una intimità in gruppo è

confermata quando i componenti del gruppo inconsapevolmente sentono

il bisogno di affermare e condividere con gli altri “oggi è stato un buon gruppo”

il cui senso è “oggi mi sono sentito parte del gruppo, compreso e amato e ho

amato e compreso gli altri che sono usciti dallo stigma del loro copione per

entrare a far parte del mio mondo psichico” contaminandolo in un processo

trasformativo. “Ho la sensazione di essere cresciuto”.

La manovra terapeutica che favorisce il processo di risonanza tra i tre confini

può essere una “chiarificazione” o “esplicitazione” di un processo inconscio che

coinvolge più componenti del gruppo attraverso una interpretazione relazionale.

Questa manovra ha la funzione di rendere esplicito un accadimento implicito

emotivamente, rilevante nella relazione tra i componenti del gruppo: in AT

diremmo quando si rende esplicito il livello psicologico della transazioni

transpersonali.

E’ una manovra effettuata dall’A del terapeuta che è diretta a tutti e tre gli stati

dell’Io dei componenti del gruppo (manovra al centro del bersaglio), che ha per

effetto l’introiezione nell’imago di gruppo del singolo componente di un nuovo

elemento . Questo nuovo elemento non ha a che fare solo con l’imago chiarifica-

ta del componente del gruppo ma probabilmente con l’introiezione del gruppo in

quanto tale come parte del proprio mondo psichico.

Per concludere penso che vivere un momento di intimità nel gruppo favorisce

il processo di individuazione attraverso due meccanismi:

il primo collegato al processo che conduce ad una imago differenziata,

il secondo attraverso l’introiezione di una nuova imago che riguarda il gruppo in

quanto gruppo, quel gruppo a cui in quel momento “appartengo” e che rimarrà

fissato nella mia memoria come evento emotivamente trasformativo.

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IL LIFELONG LEARNING E LA RELAZIONE DI APPRENDIMENTO NELLA SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA di Cesare FREGOLA

PTSTA in Campo Educativo,

membro del Consiglio direttivo

dell’IAT, Coordinatore del

Master in Counselling

Analitico Transazionale in

Campo Educativo e

Formativo Performat,

sede di Roma.

Premessa

Come è noto, l’apprendimento è un insieme complesso

di fenomeni caratterizzato da dimensioni biologiche,

sociali e culturali, che si sviluppa per ogni individuo con

delle specificità e intensità che scandiscono il passaggio

di ogni fase del ciclo di vita, in funzione delle interazioni

relazionali e di quelle che caratterizzano le situazioni, i

contesti e l’ambiente in cui si svolge la quotidianità.

Da sempre, è rimasto nell’implicito e nell’immaginario

collettivo che si impara per tutta la vita, che si acquisi-

scono saperi e si formano competenze relazionali in

ogni fase dello sviluppo, in ogni transizione ecologi-

ca (Brofenbrenner, U., 1979)1 che scandisce i

ruoli sociali dalla nascita come figlio a scolaro,

studente, studente universitario, laureato; nel

primo lavoro, nei ruoli lavorativi e nei ruoli che

definiscono gli sviluppi di carriera e poi … il

matrimonio, essere moglie, marito, la nascita

dei figli, l’età anziana (Erikson, H., 1950,

1959)2. Ci sono apprendimenti che si acquisi-

scono, si sviluppano e si consolidano traman-

dandosi insieme alla cultura che li veicola (Berger

P. L., Luckmann T., 1969)3.

Di fatto, nella società industriale e post industriale, che

ha caratterizzato lo scorso secolo fino all’avvento

dell’era dell’accesso (Rifkin, J.,1999)4, è come se si

fosse stabilito anche per la definizione delle esperienze

e dei luoghi e modi dell’apprendimento, un approccio

tipico dei processi produttivi di tipo tayloristico, che si

riconducono a un paradigma5 meccanicista (Campagna,

L., Pero,L., 2000)6.

Un paradigma che nell’educazione, nella formazione e

nell’insegnamento, si può leggere come un approccio

predefinito in modo lineare, prevedibile, strutturato in

sequenze preordinate, ciascuna delle quali si specializza

e approfondisce alcuni aspetti con il rischio che, in as-

senza di visione d’insieme e di sintesi, possa esserci

una frammentazione delle conoscenze. Quello che e-

merge da un paradigma meccanico-razionalista è un

modello di apprendimento basato sull’arricchimento di

un patrimonio dato, che cresce linearmente e progressi-

vamente fino a stabilizzarsi nelle forme esperienziali del

patrimonio conoscitivo.

Su questo presupposto si parla di aggiornamento e

formazione ricorrente più che di apprendimento per

tutta la vita.

La metafora della società della conoscenza (Alberici, A.,

2002)7, o dell’apprendimento, invece, può essere as-

sunta come immagine descrittiva ed evocativa della

nuova condizione umana, che si è determinata, e si sta

determinando, in funzione di:

tecnologie dell’informazione e della comunicazione-

TIC, la rete, che hanno dato all’economia, come fon-

damento ‘strutturale’, una interconnessione reale e

virtuale che impatta nei luoghi e nei modi della comu-

nicazione interpersonale (da facebook a twitter, dalla

posta elettronica ai portali di internet …);

sviluppo individuale e sociale in un villaggio globale 8

in cui vivono, lavorano e si organizzano donne e uomi-

ni che, si incontrano o si scontrano, ogni giorno, con

un nuovo capitale delle conoscenze e delle interazioni

multietniche e interculturali.

Man mano che si procede nel confronto tra il paradigma

meccanico-razionalista e quelli che si sono succeduti 9,

si nota che l’apprendimento diviene più complesso,

soprattutto a causa della crescente esigenza di flessibili-

tà, dinamicità e obsolescenza di molti contenuti e prassi

che rappresentano gli oggetti dell’apprendere.

Nel paradigma taylorista, il modello di gestione delle

conoscenze è quello tradizionale, teso come è noto, a

cogliere e a definire le abilità necessarie a svolgere i

ruoli sociali e quelli professionali che erano prerogativa

esclusiva della famiglia, della scuola, delle arti e dei

mestieri, oltre che delle professioni. I processi di ap-

prendimento si potevano sviluppare prevalentemente

per modeling e per affiancamento con gli esperti, a

partire da una base fondante i saperi minimi comuni di

tipo trasversale. Il grande movimento di formalizzazione

ed esplicitazione delle conoscenze che ha percorso il

‘900, è stato a sua volta un rivolgimento di paradigma

rispetto alla prima industrializzazione e ai mestieri in

essa confluiti. Il cambio di paradigma nella gestione

delle conoscenze, a partire dagli anni novanta del seco-

lo scorso, è innanzi tutto collegato al cambiamento, sia

dei contesti socio-economici, sia dei contesti cognitivi, in

quanto si è modificato il baricentro rispetto alle determi-

nanti principali delle conoscenze, passando da un mo-

dello basato sullo sfruttamento della conoscenza a un

modello basato sulla esplorazione, ricerca, assimilazio-

ne e integrazione di nuove conoscenze e competenze

(Campagna, L., Pero,L., 2000)10.

Nel passaggio da un ambiente relativamente stabile a

un ambiente continuamente sollecitato da processi

d’innovazione, oltre a rinnovati e continui confronti con

le risorse economiche e culturali, i contesti

dell’apprendimento si sono via via ridefiniti 11.

Le principali caratteristiche rilevate, rispetto a questo

processo, riconducono i contesti a:

riorientare l’innovazione tecnologica da strumento

da apprendere a elaboratore di sistemi di cono-

scenze individuali, organizzative e sociali;

spostare l’attenzione dalla curva di esperienza alla

relazione risultati/obiettivi/risorse;

integrare gli aspetti del saper fare a quelli conosci-

tivi del Know-how, piuttosto che mantenere la

netta separazione fra i due mondi, introducendo

alla contrapposizione del sapere vs. il saper fare,

quella del sapere essere vs. il saper divenire.

Si può dire, più in generale, che il passaggio dal fordi-

smo al post-fordismo sia stato caratterizzato da un insie-

me di mutamenti di tipo logico, come per esempio:

la varietà di luoghi di applicazione delle conoscenze;

la centralità delle conoscenze che, da essere deposi-

tate presso i ruoli di potere, si sposta sui ruoli capaci

di dare valore alle conoscenze;

la gestione delle proprie competenze come un siste-

ma, in cui la persona è posta al centro di un appren-

dimento, funzionale a mettere in atto le capacità che

consentono di esprimere il meglio di sé personale e

sociale.

Uno dei rischi che ne conseguono, per la relazione che

ogni individuo ha con il proprio apprendimento, è quello

di focalizzarsi su sistemi di convinzioni, usi consueti e

rassicuranti, o su aspettative magiche o comunque

irrealistiche, rispetto alle configurazioni che invece è

necessario delineare per esprimersi mantenendo la

propria identità e il senso di appartenenza, in un conte-

sto evolutivo sollecitato da istanze di innovazioni conti-

nue. Spesso le azioni necessarie a fronteggiare le situa-

zioni comunicative che si vanno a determinare, sono

messe in rapporto con l’entropia informativa, che non

può essere ricondotta al paradigma meccanicista senza

una revisione del senso e dei significati, che si sono

trasformati o mantenuti e, almeno, ricontestualizzati.

Il rischio, in altre parole, è l’effetto della Torre di Babele,

dove tutto è comunicato, ma è sempre più difficile capi-

re e, soprattutto, capire il senso di ciò che è agito. Una

Torre di Babele della complessità, laddove con le stesse

parole si intendono portatori di significato differenti 12

mentre, nella Torre di Babele della linearità, con parole

diverse si indicavano le stesse cose e gli stessi significa-

ti.

Il paradigma di riferimento che ha preceduto quello

della Società della Conoscenza, è quello simbolico cultu-

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rale. Secondo questa lettura della realtà, l’interazione è terreno di incontro/

scontro tra vari sottogruppi sociali o tra coalizioni di interessi in competizione

per l’egemonia; viene osservata dal punto di vista del conflitto tra diverse cultu-

re e tra diversi valori simbolici e ogni nucleo sociale e di interessi, esprime un

singolare modo di vedere i problemi mediante un linguaggio tipico 13.

Il lifelong learning

Sulla base della premessa, si possono ipotizzare i riferimenti che danno senso

al concetto di lifelong learning. Quando si parla di lifelong learning, infatti, i

contenuti che entrano in gioco, oltre all’area cognitiva, interessano anche le

altre aree dell’apprendimento: quella affettiva, quella socio-relazionale oltre a

quella comportamentale. L’esito dell’apprendimento può diventare attivatore

principale di quei processi emotivi che influenzano la percezione della comuni-

cazione sociale, all’interno della relazione che consente di abitare i propri ruoli

organizzativi, professionali, privati (Napper, 2011) 14. L’apprendimento, per

quanto si tenti di ricondurlo a una matrice cibernetica di tipo razionale, di fatto,

è un processo governato da aspetti dinamici di natura psicologica e sociale,

poco misurabili, sui quali esercitare un controllo sociale consapevole è cosa

assai complessa, ammesso che possa essere possibile, oltre che necessario.

Inoltre, proprio poiché relativo all’interazione fra ruoli e contesti che cambiano,

mutano, si trasformano, l’apprendimento si muove con la storia delle persone

e sembra più aderente a una concezione simbolico-culturale. Così la relazione

fra la persona e il proprio apprendimento può essere intesa come un nesso, un

legame che si stabilisce fra l’individuo, lo sviluppo nel proprio ciclo di vita e i

ruoli che andrà a ricoprire e a svolgere all’interno di un contratto, che si deter-

mina in modo esplicito e implicito con l’ambiente.

Il lifelong learning sancisce il passaggio da un sapere utile per tutta la vita, che

si poteva immagazzinare nelle prima fasi dell’esistenza e dell’ingresso nel

mondo del lavoro, orientato al saper fare e al saper essere, a un sapere utile

per apprendere per tutta la vita, che oltre al saper fare e al saper essere, è

orientato al saper divenire, in funzione di comportamenti instabili che possono

riferirsi almeno ai seguenti tre principi (Alberici. A., 2002):

una concezione dello sviluppo umano contrassegnato da processi dinamici

all’interno dei poli continuità-discontinuità;

un concetto di sviluppo che, di norma, viene utilizzato per indicare un proces-

so che ha un inizio e una fine nell’età evolutiva e che ora, va oltre, pervaden-

do anche le altre età della vita;

un concetto di cambiamento che si presenta di contro al concetto di svilup-

po, come interpretativo della possibilità continua di cambiamenti in tutte le

fasi della vita umana e definisce, quindi, la complessità e la dimensione

plastica della vita adulta nel continuum dell’esistenza.

L’età adulta si presenta così non come fase conclusiva dello sviluppo evolutivo

ma come fase di un processo continuo.

L’AT e la relazione di apprendimento

Il Campo Educativo dell’AT può offrire un contributo rilevante in quanto può

dare supporto nel presidiare la generazione di sapere contestuale e situaziona-

le, quello qui e ora (inteso rispetto al momento sociale e culturale del presen-

te), attingendo dal mondo esterno i saperi necessari e trasformandoli in un

sapere che può essere definito sapere dinamico, in quanto interagisce con il

mondo interno, con il sistema di riferimento 15, allo scopo di integrare innova-

zione e tradizione 16, facilitando la rielaborazione dell’identità in una rinnovata

prospettiva multiculturale.

Come è noto fra addetti ai lavori, Pearl Drego 17, analista transazionale india-

no, ha introdotto il costrutto del Genitore Culturale riprendendo la descrizione

di Berne della cultura di gruppo, riferita ad aspetti tradizionali (group etiquette

o Etiquette), aspetti tecnici razionali (technical culture o Technicalities), aspetti

emozionali (group character o Character). Il Genitore Culturale viene introietta-

to nel G2 e va a caratterizzare alcuni stereotipi culturali risultanti dalla interna-

lizzazione di modalità culturali di risposta. Come dire che per ogni situazione

c’è la risposta giusta, socialmente accettata, culturalmente condivisa. Ora, per

definizione, le risposte “automatiche”, se non sono protettive per sé, per l’altro

e per il contesto, se non sono correlate al qui e ora con la guida dell’Adulto,

possono appartenere alla contaminazione del Genitore sull’Adulto.

A riguardo, in una ricerca che abbiamo in atto presso la cattedra di Pedagogia

Sperimentale del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

dell’Università Roma Tre 18, si intende validare la seguente ipotesi: poiché il

Genitore Culturale è cambiato ed è cambiato il modo in cui l’Adulto può proces-

sare le informazioni che provengono dall’ambiente, si può lavorare sulla rela-

zione di apprendimento nella prospettiva del lifelong learning, all’interno di un

contratto in cui le dimensioni cognitive, meta-cognitive e affettive

dell’apprendimento, diventano “oggetto” di counselling pedagogico per lo svi-

luppo dell’Autoefficacia e il progresso dell’Autonomia.

Va da sé che le competenze relative all’AT, da sviluppare in chi svolge ruoli

educativi e formativi, rappresentano un repertorio rispetto al quale tracciare

confini, conoscenze, responsabilità e punti di equilibrio fra il Sistema di Riferi-

mento personale e il Sistema di Riferimento Sociale. I primi risultati della ricer-

ca hanno condotto a individuare 5 definizioni di Genitore Culturale che dimo-

strano che si stanno delineando forme di comunicazione necessarie per costru-

ire o ricostruire modalità di incontro, di confronto, di scambio, di collaborazio-

ne, finalizzate a contribuire alla elaborazione di adeguate relazioni educative.

Figura 1. La relazione di apprendimento è un contratto fra l’individuo e

i propri ruoli privati, professionali, sociali, nell’interazione fra il conte-

sto“interno”-Persona e il contesto“esterno”-Ambiente socio-culturale.

In particolare, nel contesto esterno, una difficoltà che si presenta è caratteriz-

zata dal fatto che sia necessario utilizzare nuovi e rinnovati codici della comu-

nicazione sociale e che, questi codici, vadano rapportati alle caratteristiche dei

luoghi reali e virtuali nei quali si sviluppano processi di comunicazione specifici.

Con lo sguardo dell' Analisi Transazionale, il costrutto del Genitore Culturale, di

fatto, consente di ampliare il campo di osservazione a fenomeni interni, intrap-

sichici, che possono attivare possibili azioni pedagogiche che intervengono nel

processo di comunicazione didattica. Nella comunità dell’AT “l’educazione e/o

la crescita della personalità, così come lo sviluppo all’interno della cornice

sociale di riferimento”, è lo scopo del campo educativo (EATA). Così si intende

contribuire a rendere attive le indicazioni dell’EATA che, per ciò che riguarda

l’ambito educativo, propone nuove prospettive su come le persone apprendono

e su come l’educazione e la formazione possono essere più efficaci; nuove

intuizioni sugli approcci educativi, inclusi l’apprendimento esperienziale,

l’education centrata sullo studente, l’apprendimento auto-diretto e gli stili di

apprendimento; modalità di operare in modo differente quando le cose vanno

male o si bloccano; una teoria “libera-da-paure” che renda l’insegnamento e

l’apprendimento più godibili 19.

Nella Figura 2 sono indicati i macro-contenuti della formazione in AT, integrata

ai processi di apprendimento e di insegnamento, che si sta sviluppando nella

formazione dei ruoli educativi e formativi.

Cesare Fregola

CONTESTO SOCIALE E CULTURALE

SAPERE DELL’INNOVAZIONE

SAPERE

DELL’ESPERIENZA

SAPERi DELLA FAMIGLIA

SAPERE DEI

RUOLI EDUCATIVI

SAPERE DEGLI

ALLIEVI

CONTESTO PERSONA

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Figura 2. Le macro-aree di contenuto della formazione integrata in AT

per i ruoli educativi e formativi.

Per concludere, con l’intenzione di avviare un percorso di riflessione, intendo

condividere due frasi: una di Gaetano Filangieri, fra le più citate nei manuali di

storia della Pedagogia 20, e una da Le Città Invisibili di Calvino.

“Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione; per formare un

popolo io preferisco la pubblica. L’allievo del magistrato e della legge, non sarà

mai un Emilio; ma senza l’educazione del magistrato e della legge, vi sarà forse

un Emilio, vi sarà una città, ma non vi saranno i cittadini”.

Le città nascoste

A Olinda, chi ci va con una lente e cerca con attenzione può trovare da qualche

parte un punto non più grande d’una capocchia di spillo che a guardarlo un po’

ingrandito ci si vede dentro i tetti, le antenne, i lucernai, i giardini, le vasche, gli

striscioni attraverso le vie, i chioschi nelle piazze, il campo per le corse dei

cavalli. Quel punto non resta lì: dopo un anno lo si trova grande come un mezzo

limone, poi come un fungo porcino, poi come un piatto di minestra. Ed ecco

che diventa una città a grandezza naturale, racchiusa dentro la città di prima e

la spinge verso fuori. Olinda non è certo la sola città a crescere in cerchi con-

centrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano di un giro. Ma

alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da

cui spuntano rinsecchiti i campanili, le torri, i tetti d’embrici, le cupole, mentre i

quartieri nuovi si spanciano intorno come da una cintura che si slaccia. A Olin-

da no: le vecchie mura si dilatano portandosi con sé i quartieri antichi, ingrandi-

ti mantenendo le proporzioni su un più largo orizzonte ai confini della città; essi

circondano i quartieri un po’ meno vecchi, pure cresciuti di perimetro e assotti-

gliati per far posto a quelli più recenti che premono da dentro; e così via fino al

cuore della città: un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conser-

va i tratti e il flusso di linfa della prima Olinda, e di tutte le Olinde che sono

spuntate una dall’altra; e dentro a questo cerchio più interno già spuntano -ma

è difficile distinguerle- l’Olinda ventura e quelle che cresceranno in segui-

to” (Calvino I., 1972) 21.

Una finalità rilevante del lavoro sulla relazione di apprendimento è quella di

definire e via via strutturare una zona franca, da intendere come una sorta di

anticamera di elaborazione, protetta e che protegge dall'agito, quando questo

è mosso da schemi che inconsapevolmente organizzano i comportamenti se-

condo schemi predefiniti; può trattarsi di un modo che consente di dare forma

e struttura intenzionalmente ai luoghi dell'interazione educativa per sentirli,

viverli, esperirli come ambienti di apprendimento, che consentano

l’espressione autentica delle emozioni, quelle che non disinnescano il senso

critico e possono rendere l'apprendimento un'avventura del Bambino Libero e

dell’Adulto Integrante.

Cesare Fregola

CON T RIBU T I DELL’AT del Campo Educat ivo

1

2

3

4

5

6

POTENZIAMENTO DEI PROCESSI METACOGNITIVI CON UNA DIDATTICA METACOGNITIVA NELLA COSTRUZIONE DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO

DEFINIZIONE DELLA PROGETTAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA CON L’APPROCCIO CONTRATTUALE DI BERNE

GESTIONE DELLA RELAZIONE EDUCATIVA E QUELLA DIDATTICA IN MODO INTEGRATO CON I TEMI DELLA RELAZIONALITA’

CONDIVISIONE E SVILUPPO DI COMPETENZE RELATIVE AI COSTRUTTI DI BASE: SDI, TRANSAZIONI, REGOLE DELLA COMUNICAZIONE, CAREZZE, SPINTE

CONDIVISIONE E SVILUPPO DI SENSIBILITA’ E CONOSCENZA RELATIVE AI COSTRUTTI DI COPIONE, GIOCHI, SVALUTAZIONE

INTEGRAZIONE DELL’ORIENTAMENTO ALL’AUTOEFFICACIA NELLA FILOSOFIA DELL’OK-NESS

NOTE

1. Brofenbrenner, U., Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, il Mulino,

1979.

2. Erikson, E. H., Childhood and Society, New York & London, Norton &

Company, 1993; Identity and the Life Cycle, New York & London,

Norton & Company, 1980.

3. Berger P. L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Bologna,

Il Mulino, 1969.

4. Rifkin, J., L'Era dell'Accesso, La rivoluzione della new economy,

Oscar Mondadori, 2000. L’Era dell’Accesso potrebbe essere considerata

una metafora con cui Rifkin intendeva sintetizzare la rivoluzione

della new economy, agli inizi del nuovo secolo, con l’aspettativa che

l’economia, pur dominata dal mercato, spostasse l’asse dell’attenzione

dai concetti di bene e proprietà ai valori della cultura, dell’informazione

e delle relazioni.

5. Il termine paradigma è utilizzato nell’accezione di concetto che indica

aggregazioni di idee, concezioni esplicite e implicite, fondamenti

elementari di pratiche e tecnicità che hanno assunto un ruolo

di riferimento cognitivo dominante, facilmente comprensibile

dalla maggior parte dei membri di una comunità e, quindi,

può consentire un adeguato livello di generalizzazione.

6. Campagna L., Pero L., Conoscenza organizzativa,

«Sviluppo e Organizzazione», n°180, pp. 99-115, 2000.

7. Alberici A., Imparare sempre nella società della conoscenza,

Milano, Bruno Mondadori, 2002.

8. La locuzione villaggio globale è quella di Marshall McLuhan,

Understanding Media: The Extension of Man, Routledge, 2004.

9. cfr. Fregola, C., La formazione e i suoi sistemi, Roma, Monolite, 2010.

10.Campagna, L., Pero,L., 2000, Op.cit.

11. Il temine ridefiniti è utilizzato in accezione pedagogica. Cfr. Fregola, C.,

Analisi Transazionale e processi educativi. Esplorazioni per curiosare

nel Campo Educativo nella complessità sociale e culturale del nostro

tempo, in Tangolo E. Vinella P. (A cura di), Professione Counsellor,

Competenze e prospettiva nel counselling analitico transazionale, Pisa,

Felici Editore, 2011.

12. Fregola C., 2010, Op. Cit.

13. cfr. Fregola, C., 2010. Op. Cit.

14. Napper, R., (2011), Il Genio di Berne e l’ampiezza della portata dell’AT:

Esplorazione del quadro culturale e del contesto del setting, IAT News,

Roma.

15. Miglionico A., Sistema di Riferimento, spazio personale e rapporto copio-

nale. Atti del Convegno Nazionale SIAT98, Torino, 1998. Miglionico A.,

Manuale di Comunicazione e Counselling, CSE, Torino, 2000.

16. Si può dire che questo ha a che fare con la neo-psiche in azione. Cfr.

Moiso C., Novellino M., Stati dell’Io, Astrolabio, Roma, 1982.

17. Drego P., The cultural Parent, TAJ, 13,224-227, 1983; Berne E.,

The Structure and Dynamics of Organization and Group, Grove Press,

New York, 1966.

18. Cesare Fregola e Daniela Olmetti Peja. Il titolo della ricerca finanziata

dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione è: “La comunicazione

didattica e la comunicazione sociale degli studenti”, A.A. 2011 – 2012.

19. Nadine Emmerton and Trudi Newton, Il viaggio dell’Analisi Transazionale

educativa dai suoi inizi ad oggi, TAJ, vol. 34, number 3, july 2004

(pp: 283-289).

20. In particolare si fa riferimento a Calò G., Antologia Pedagogica,

Sansoni, Firenze, 1924.

21. Calvino I., Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972.

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Pagina 29 I A T N E W S

“La psicoterapia come un viaggio:

i pazienti si raccontano”

di Bruna De Rubeis

Ho ricevuto e letto con piacere il libro scritto da Bruna De Ru-

beis che, con una scrittura chiara, mi ha permesso di rivedere

il viaggio di tanti miei pazienti.

L’autrice, dopo una chiara e concisa introduzione iniziale dei

concetti base dell’AT, subito ci presenta il suo lavoro attraverso

le storie di alcuni suoi pazienti. Con grande rispetto ci narra il

suo racconto e i racconti dei pazienti, dando vita a un unico e

straordinario intreccio quale è quello della relazione terapeuti-

ca. Il percorso terapeutico viene descritto come un viaggio,

una esplorazione all’interno di sé, che richiede un tempo non

stabilito dal terapeuta.

Bruna fa parlare i suoi pazienti in prossimità della fine

dell’analisi, invitandoli a scrivere e descrivere il proprio percor-

so. Questa metodologia si è rivelata particolarmente efficace,

sia al fine di consolidare un proprio personale percorso, sia nei

casi in cui si riprenda una terapia per osservare i cambiamenti

realizzati. L’utilizzo della metafora, della favola, della narrazio-

ne, diventa uno strumento straordinario anche per comprende-

re il processo terapeutico.

Il libro, attraverso la narrazione di storie, ci aiuta a comprende-

re cosa accade nella stanza della terapia .

Le favole narrate nella seconda parte del testo vogliono rap-

presentare particolari copioni di vita, mirabilmente composti:

troveremo il copione da “lupo luno”, da “farfalla”, da “riccio

miope” e molti altri che vogliono dimostrarci come ogni sogget-

to abbia un suo originale copione.

Bruna ci trasmette la sua scelta di essere psicoterapeuta -

accompagnatrice dei suoi pazienti, in un viaggio “non breve”,

fatto anche di soste come parti inevitabili e importanti durante

il viaggio stesso.

Come dice Michele Novellino, nella sua prefazione al libro,

“Bruna si sofferma su un fenomeno largamente trascurato e,

aggiungerei, ingiustamente rimosso, quello della “sosta”… lei

ha il coraggio di dare voce a questa dimensione”.

Il libro inizia, non casualmente, con la poesia di Kavafis,

“Itaca”, a voler sottolineare l’importanza del percorso attraver-

so cui si compie il viaggio oltre che del raggiungimento della

meta.

Buona lettura e buon viaggio.

E’ possibile acquistare il libro presso Feltrinelli o richiederlo

direttamente all’autrice sul sito www.brunaderubeis.it.

Recensione

di

GAETANO

SISALLI

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Pagina 30 I A T N E W S

Pamela Levin, premio Eric Berne 1984, sostiene

che la crescita umana è un ciclo di sviluppo compo-

sto da stadi che iniziano nell’infanzia e si ripetono

continuamente nel corso della vita, nei quali le

persone possono soddisfare o non soddisfare spe-

cifici bisogni utilizzando diverse modalità. Se que-

sto è vero ogni professionista impegnato nelle

relazioni di aiuto e in percorsi formativi, ha una

grande risorsa nelle sue mani definita prevenzione.

Siamo tutti qui a ragionare sul tema “Cicli di Vita”

Benessere individuale e sociale, è scontato che

così facendo stiamo dando valore all’uomo e al

contesto in cui è inserito, per questo se com-

prendiamo i meccanismi di funzionamento

dell’individuo possiamo contribuire allo svilup-

po di un clima favorevole ai processi di cam-

biamento, evoluzione e creazione che porte-

ranno la persona a vivere pienamente sotto

l’aspetto psico-fisico e anche spirituale la sua

esistenza.

Nella mia vita professionale, tre anni fa, ho

avuto il privilegio di incontrare sulla mia strada la

Fondazione O. R. le cui finalità sono promuovere la

solidarietà sociale nell’ambito dello studio, della

ricerca, della formazione e dell'assistenza; promuo-

ve l’impegno per la vita, la cultura e sostenere gli

studi di giovani consentendo la più ampia divulga-

zione delle conoscenze acquisite, che sono impor-

tanti per il benessere e lo sviluppo dell'uomo.

La Fondazione opera già da alcuni anni in un ples-

so scolastico (scuola secondaria di primo e secon-

do grado) e insieme al Preside, promuove progetti

di valorizzazione dei corsi di studi in particolare del

Liceo delle Scienze Sociali, il meno “apprezzato” e

vissuto dai ragazzi, dai professori e dai genitori,

come un corso di "serie C" perché svalutato nella

sua specificità. Per questo l’impegno della Fonda-

zione vuole essere anche quello di coadiuvare la

scuola nell’erogazione di servizi diversi per natura,

come sportelli di potenziamento per studenti, tutor-

ship, attività culturali, di orientamento, ecc.

La richiesta di consulenza che ho ricevuto, dopo

uno scambio d’intenti iniziali, mi ha permesso di

sviluppare un progetto nuovo di ampio respiro

nell’ambito delle attività scolastiche. Emerso il

desiderio di investire sui giovani che non sembrano

avere oggi grandi opportunità di realizzazione per-

sonale e professionale, abbiamo voluto prima di

tutto offrire loro dei mezzi per supportare la fiducia,

la speranza e aiutarli a sviluppare le competenze

necessarie per realizzare dei progetti all’interno del

loro contesto di riferimento (scuola, quartiere,

comunità, città), nel campo dell’integrazione,

dell’assistenza, della cultura e dell’educazione. E’

nata così l’idea di intraprendere la sfida di

“Progettiamo Insieme” un progetto-intervento inte-

ristituzionale rivolto a liceali che frequentano il VI°

e il V°.

La scelta che ha permesso al mio intervento di

avere ricadute inaspettate, è stata quella di partire

dai bisogni e aspettative dei ragazzi e della scuola

stessa, mettendo i giovani al centro di una prospet-

tiva di realizzazione delle proprie capacità, scom-

mettendo sulla loro creatività e sulla loro intrapren-

denza. Ho lavorato con classi di adolescenti in

percorsi di Training-Group, per la formazione, crea-

zione e collaborazione di un gruppo, con l’obiettivo

di stimolare negli studenti autostima, autodetermi-

nazione e autonomia necessaria a pianificare i loro

futuri progetti. Quello che ho fatto è cercare di

soddisfare specifici bisogni come sentirsi ascoltati,

progettare, fare, valutare utilizzando diverse moda-

lità, pensandolo come un lavoro di prevenzione

necessario per accompagnare gli studenti nel ciclo

di sviluppo dove confermare il loro “potere di rige-

nerazione” fig. 1.

Credere nei ragazzi, nelle loro risorse e provare ad

aprire la dimensione didattica tradizionale al con-

fronto con la realtà sociale, ha permesso ai giovani

attraverso lo sviluppo di un percorso di elaborare

un pensiero critico e di realizzare concretamente

una serie d’iniziative specifiche a sostegno della

propria comunità con intraprendenza.

I CONTRATTI PER “PROGETTIAMO INSIEME”

L’intervento che ho progettato per la Fondazione,

richiedeva il coinvolgimento e l’alleanza di più

partner, l’articolazione capillare di un percorso

e una visibilità che si riflettesse sui diversi livelli di

lavoro all’interno e all’esterno del mondo scolasti-

co, per creare i presupposti a un necessario ricono-

scimento e valorizzazione dell’impegno dei vari

professionisti coinvolti nel progetto, attraverso

la condivisione degli obiettivi, per la scelta delle

strategie di lavoro. fig. 2

GLI OBIETTIVI DI “PROGETTIAMO INSIEME”

- della scuola: sviluppare le competenze

degli studenti;

- della fondazione: investire in percorsi di potenzia-

mento scolastico;

- degli studenti: accumulare crediti formativi che

la partecipazione a “Progettiamo Insieme” ricono-

sce loro; portare il percorso fatto nell’esperienza

di tirocinio come tesi per l’esame di Maturità;

- delle varie istituzioni coinvolte nel progetto: coin-

volgere i giovani per sviluppare nuove iniziative e

contribuire al processo formativo adolescenziale;

- del consulente: formare il gruppo classe; accom-

pagnare gli studenti in una fase di passaggio negli

ultimi anni di liceo; sviluppare sinergie dentro e

fuori la scuola; valorizzare il liceo delle scienze

sociali; stimolare lo sviluppo del progetto sul

quinquennio di studio.

STRUTTURAZIONE DI “PROGETTIAMO INSIEME”

Per il IV° Liceo delle Scienze Sociali due piani

sviluppati in parallelo:

1. Uscite mensili per visite presso enti d’interesse

sociale per il percorso di studi (Case Famiglie,

Scuole, Archivi, Museo della Mente, Case di

Riposo, Centri Culturali, Biblioteche, Sportelli

Antiusura, Centri Sociali, Istat, Comunità, ecc.);

2. incontro mensile in classe di due ore per parlare

dell’esperienza fatta nella visita mensile all’ente

e T-Group.

Per il V° Liceo delle Scienze Sociali due piani

sviluppati in parallelo:

1. attività in classe, due ore del monte orario curri-

colare con cadenza bisettimanale durante le

quali gli studenti riflettono sulla propria adole-

scenza, sulle dinamiche di relazione, sulla quali-

tà di comunicazione, sulla dimensione comunita-

ria;

2. attività di tirocinio e formazione presso alcune

istituzioni sul territorio cittadino (Centro cultura-

le, Scuola Materna, Scuola Primaria, Casa di

Riposo, Musei, Deputazione assistenza sociale,

Comunità, Sportello Prevenzione Usura, Diparti-

mento Educativo Giovani, Casa Famiglia, ecc.) al

termine del quale gli studenti lavorano per

ideare e realizzare un progetto da sviluppare

all’interno dell’ente.

PROGETTIAMO INSIEME: UN PROGETTO-INTERVENTO INTERISTITUZINALE RIVOLTO AGLI ADOLESCENTI di Lidia CALO’

CTA - O , Counsellor ACP

Formatrice Gordon TET PET ET

Direttore

Dipartimento

Educativo

Giovani CER

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Pagina 31 I A T N E W S

IL TEMPO PER “PROGETTIAMO INSIEME”

della scuola: due ore in classe ogni due settimane;

degli studenti; due ore extrascolastiche a settimana nei tirocini;

delle istituzioni: due ore settimanali di accoglienza e tutorship dei tirocinanti;

del consulente: 8/10 ore settimanali.

LA RETE DI “PROGETTIAMO INSIEME”

Tale percorso ha mostrato molteplici ricadute positi-

ve, contribuendo a potenziare in maniera significati-

va diverse qualità degli studenti: crescita del senso

di responsabilità, sviluppo di specifiche competenze

progettuali, riflessione su alcune problematiche

sociali di particolare attualità, capacità di collegare

la propria esperienza scolastica con realtà esterne

alle aule.

Il mio intervento nella scuola ha avuto tra i suoi

effetti ulteriori la possibilità di potenziare il lavoro di

rete interistituzionale, tra la scuola e gli enti che

hanno dato la loro disponibilità ad accogliere gli

studenti nelle visite e negli stage interni.

Questo significa molto in termini di apertura e

confronto:

una scuola che si apre al mondo extra didattico

è un’istituzione che comprende quanto i ragazzi,

hanno bisogno di sentirsi ascoltati e accolti non

solo su un piano di prestazioni, ma anche su

quello umano;

un ente che manifesta aperture nei confronti di

settori e di gruppi non considerati fino ad allora,

un dirigente che scende dalla sua poltrona e

coinvolge gli studenti mettendoli in condizione di

capire, imparare e fare è un’organizzazione che

si mette in discussione, si ripensa, si ridisegna.

Sono profondamente riconoscente della collabora-

zione di ciascuno, a ogni livello di responsabilità,

che ha favorito il successo, di “Progettiamo Insie-

me”. È il caso di dire senza la rete non ci sono con-

nessioni, senza connessioni non ci sono relazioni,

senza relazioni non c’è contatto, senza contatto non

c’è energia. Per questo il mio intervento è diretto ai

diversi livelli micro e macro organizzativo del siste-

ma: lavorare con studenti, insegnanti, dirigenti,

psicologi, enti, personale ausiliario allo scopo di

concertare e sviluppare un’idea nuova. fig. 3

DARE/AVERE: UN BILANCIO PER GLI STUDENTI

Al termine del percorso “Progettiamo Insieme” gli studenti realizzano:

un album personale sull’esperienza di tirocinio;

serata conclusiva per la presentazione dei percor-si di tirocinio e dei progetti sviluppati;

Al termine del percorso “Progettiamo Insieme” gli studenti ricevono:

crediti formativi per l’ammissione e la valutazione dell’esame di maturità;

opportunità di lavoro presso gli enti dove hanno svolto il loro tirocinio.

LE RICADUTE DI “PROGETTIAMO INSIEME”

SULLA RETE

Scuola: gli insegnanti si mettono in gioco e lavorano

nel gruppo negli incontri in classe, anche i più rigidi

che non partecipano ascoltando cambiano i loro

comportamenti; le proposte di progetti extra curricu-

lari che prima “sonnecchiavano” ora sono molte e

varie da parte dei docenti e dalla segreteria.

Istituzioni: il lavoro degli studenti ha in qualche

modo modificato o influito sull’organizzazione inter-

na portando piccoli rinnovamenti e rottura degli

schemi abituali.

Genitori: ridanno valore alle capacità dei figli, sor-

prendendosi di ciò che riescono a fare;

Fondazione: ha individuato una strada efficace per

promuovere la sua azione di sostegno alla scuola,

condividendone l’approccio, l’idea di apertura e

integrazione;

Studenti: sono cambiati, cresciuti, hanno integrato il

loro Genitore, Adulto e Bambino, manifestando

comportamenti e capacità nuove. Parlano ascoltano

si confrontano, s’innamorano, entrano in crisi, rido-

no, si cercano, vivono e sentono…sono pronti a

uscire dalla scuola;

Consulente: ho imparato a lasciar andare, ho capito

che la qualità della mia presenza vale molto,

ho fatto i conti con me stessa nei panni di genitore,

di adulto, di studentessa e con i sentimenti che ogni

ruolo mi suscita;

Compagni: gruppi classe inesistenti, demoliti,

ricostituiti, smembrati, s’incontrano, si trovano e

allora magicamente iniziano a interessarsi l’uno

dell’altro, come fosse la prima volta che si parlano.

I NUMERI DI “PROGETTIAMO INSIEME”

Nel 2010-11 ho iniziato a lavorare con una sola

classe pilota, il V° Liceo delle Scienze Sociali

(17 studenti).

Nel 2011-12 ho lavorato con sei classi

(149 studenti):

I° A Liceo Scientifico e I° B Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);

III°A Liceo Scientifico e III°B Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe;

IV°B/C Linguistico/Liceo delle Sciente Sociali per attività di formazione gruppo classe; (classe accorpata)

IV° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”;

V° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”.

Nel 2012-13 ho lavorato con sette classi

(175 studenti):

I° Liceo Scientifico e I° Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);

II° Liceo Scientifico e II° Liceo Linguistico per continuare il lavoro sul gruppo (sono due classi problematiche per la scuola);

III°Liceo Linguistico per attività di formazione gruppo classe (T-Group);

IV°Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”;

V° Liceo delle Sciente Sociali per “Progettiamo Insieme”.

OGGI “PROGETTIAMO INSIEME” E’ ARTICOLATO

VERTICALMENTE SUL QUINQUENNIO DEL LICEO

I° Liceo Scientifico, Linguistico e Scienze Sociali: progetto “T-Group”;

II°Liceo Scientifico, Linguistico e Scienze Sociali: progetto “T-Group”;

III° Liceo Linguistico e Scienze Sociali: progetto “Giovani Efficaci”;

IV° Liceo delle Scienze Sociali: “Progettiamo Insieme”;

(formazione e visite enti)

V° Liceo delle Scienze Sociali: “Progettiamo Insie-me” (formazione e tirocinio).

CONCLUSIONI

Mi sembra evidente che lavorare in termini di pre-

venzione, per gli studenti sia un obiettivo importan-

te del nostro lavoro. Non è facile sviluppare idee

e consensi, non è facile coinvolgere e appassionare

le persone, non è facile sopravvivere

in un’organizzazione dove molte culture entrano in

conflitto in una lotto per la sopravvivenze e/o

il potere. Tuttavia credo che le potenzialità insite

nell’individuo, la possibilità di individuare punti di

riferimento sani e presenti, rassicuri l’adolescente e

gli offra quei permessi necessari per divenire e

promuovere il proprio benessere e quello sociale. I

cicli di sviluppo in fondo servono per arrivare a

questa conquista, la capacità creativa di vivere le

nostre potenzialità e le nostre relazioni con gli altri.

“L’uomo comincia il suo sviluppo mentale dalla

nascita e lo effettua con maggiore intensità nei

primi tre anni di vita; a questo periodo più che ad

ogni altro è necessario sia data una vigile cura. Se

si agirà secondo questo imperativo, il bambino

anziché imporci una fatica, ci si rivelerà come la più

grande e confortate meraviglia della natura. Ci

troveremo allora di fronte al bambino non più consi-

derato un recipiente vuoto da riempire della nostra

saggezza; ma la dignità sorgerà dinanzi ai nostri

occhi, come l’essere che guidato da un maestro

interiore, lavora infaticabilmente in gioia e felicità,

secondo un preciso programma, alla costruzione di

quella meraviglia della natura che è l’Uomo.

Noi educatori possiamo soltanto aiutare l’opera già

compiuta come i servitori aiutano il padro-

ne.” (Maria Montessori, "La mente del Bambino")

Esiste un’energia intelligente che attua processi di

evoluzione, in modo perpetuo, dal quale vengono

fuori le potenzialità di ciascuno, la vita è fatta di

elementi interagenti di cui l’uomo è parte e cono-

scenza. Conoscenza vuol dire co-nascere cioè conti-

nuare a nascere: ogni evoluzione porta nuove possi-

bilità di cambiamento ed evoluzione secondo un

principio di non linearità, tanto che ogni ciclo di

sviluppo si apre e si chiude con caratteristiche pro-

prie e con rinnovamenti. In qualunque momento

della nostra vita possiamo in qualche modo decide-

re di rinascere e rigenerare permettendoci e per-

mettendo all’individuo di essere.

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2013 EATA CONFERENCE 4th-6th July 2013

Holmenkollen Park Hotel Rica

Oslo, Norway

The Mystery and Facts of Human Encounter

What happened to the Norwegian people when terror struck us July 22?

What happens when different ideologies, cultures, races and religions meet?

What are the elements of a constructive encounter?

www.taoslo.com

NEWS DALL’AT

ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 6

Dates for 2013 and Venues of COC oral TA examinations and TEW’s

Type of exam Date Venue Local exam supervisor

2013

TEW March 24/26th Nice - France Coordinator: Matthias Sell:

[email protected]

CTA / TSTA July 2/3rd Oslo

TEW July 8/10th Oslo Coordinator: Matthias Sell:

[email protected]

TEW - For CTA trainer 28 november - 01 december Palermo, Sicily Coordinator: Matthias Sell:

[email protected]

TEW - only for the participants

of the TPW in Barcelona 2010

CTA

03 - 05 december

12-13 december

Palermo, Sicily

Firenze, Toscana

Coordinator: Matthias Sell:

[email protected]

www.istitutoanalisitransazionale.it

XI° edizione

ALBEROBELLO

DAL 31 MAGGIO AL 2 GIUGNO 2013