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N. 3 MAGGIO-GIUGNO ANNO LX 2014 FONDATA E RETTA DA COMITATO DI DIREZIONE C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLI GIORGIO CIAN ANGELO FALZEA ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALE ANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO RODOLFO SACCO VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGER PAOLO SPADA VINCENZO VARANO E GUIDO CALABRESI ERIK JAYME DENIS MAZEAUD ÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano ISSN 0035-6093 ALBERTO TRABUCCHI (1968-1998) WALTER BIGIAVI (1955-1968) E www.edicolaprofessionale.com/RDC

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N. 3 MAGGIO-GIUGNOANNO LX 2014

FONDATA E RETTA DA

COMITATO DI DIREZIONE

C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLIGIORGIO CIAN ANGELO FALZEA ANTONIO GAMBARO

NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALEANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO

RODOLFO SACCO VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGERPAOLO SPADA VINCENZO VARANO

E

GUIDO CALABRESI ERIK JAYME DENIS MAZEAUDÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO

Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

ISSN 0035-6093

ALBERTO TRABUCCHI(1968-1998)

WALTER BIGIAVI(1955-1968)

E

www.edicolaprofessionale.com/RDC

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La Rivista fu fondata nel 1955, sotto gli auspici dell’Istituto di Diritto della Facoltà di Economia e Commercio di Bologna e dell’Istituto di Diritto Priva-to dell’Università di Padova, da:

Enrico Allorio, Walter Bigiavi, Luigi Carraro, Giorgio Oppo, Alberto Trabucchi.

Comitato di Direzione:C. MASSIMO BIANCA (Un. Roma «La Sapienza»); FRANCESCO D. BUSNELLI (Scuola Sup. S. Anna di Pisa); GIORGIO CIAN (Un. Padova – Dir. Resp.); ANGELO FALZEA (Un. Messina); ANTONIO GAMBARO (Un. Milano), NATALINO IRTI (Un. Roma «La Sapienza»); GIUSEPPE B. PORTALE (Un. Cattolica del Sacro Cuore - Milano); ANDREA PROTO PISANI (Un. Firenze); PIETRO RESCIGNO (Un. Roma «La Sapienza»); RODOLFO SACCO (Un. Torino); VINCENZO SCALISI (Un. Messina); PIERO SCHLESINGER (Un. Cattolica del Sacro Cuore - Milano); PAOLO SPADA (Un. Roma «La Sapienza»); VINCENZO VARANO (Un. Firenze)E GUIDO CALABRESI (Yale Law School, U.S.A.); ERIK JAYME (Un. Heidelberg); DENIS MAZEAUD (Un. Paris II – Panthéon-Assas); ÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO (Un. Autonoma di Madrid).

Comitato per la Valutazione Scientifica:GIUSEPPE AMADIO (Un. Padova); GIAMPIERO BALENA (Un. Bari); VITTORIA BARSOTTI (Un. Firenze); GIAN ANTONIO BENACCHIO (Un. Trento); REMO CAPONI (Un. Firenze); VINCENZO CARIELLO (Un. Cattolica del Sacro Cuore – Milano); DONATO CARUSI (Un. Genova); CLAUDIO CONSOLO (Un. Padova); GIOVANNI D’AMICO (Un. Mediterranea Reggio Calabria); GIOVANNI DE CRISTOFARO (Un. Ferrara); STEFANO DELLE MONACHE (Un. Padova); GIOVANNI DI ROSA (Un. Catania); BERNHARD ECCHER (Un. Innsbruck); MURIEL FABRE-MAGNAN (Un. Paris1 – Panthéon-Sorbonne); PASQUALE FEMIA (Seconda Un. Napoli); GREGORIO GITTI (Un. Milano); CARLO IBBA (Un. Sassa-ri); PETER KINDLER (Un. München); FRANCESCO MACARIO (Un. Roma Tre); MARCELLO MAGGIOLO (Un. Padova); GIORGIO MARASÀ (Un. Roma «Tor Vergata»); MASSIMO MIOLA (Un. Napoli «Federico II»); PIER GIUSEPPE MONATERI (Un. Torino); EMANUELA NAVARRETTA (Un. Pisa); MAURO ORLANDI (Un. Roma «Tor Vergata»); STEFANO PAGLIANTINI (Un. Siena); ENRICO QUADRI (Un. Napoli «Federico II»); MICHELE SESTA (Un. Bologna); PIETRO SIRENA (Un. Siena); GIANRO-

BERTO VILLA (Un. Milano); ALESSIO ZACCARIA (Un. Verona); ANDREA ZOPPINI (Un. Roma Tre).

Norme di autodisciplina:1. La pubblicazione dei contributi sulla Rivista di Diritto Civile è subordinata alla presentazio-

ne da parte di almeno un membro del Comitato di Direzione e al giudizio positivo di almeno un membro del Comitato per la Valutazione Scientifica, scelto per rotazione all’interno del medesimo, tenuto conto dell’area tematica del contributo.

2. Il singolo contributo è inviato al valutatore senza notizia dell’identità dell’autore.3. L’identità del valutatore è coperta da anonimato.4. Nel caso che il valutatore esprima un giudizio positivo condizionato a revisione o modifica

del contributo, il Comitato di Direzione autorizza la pubblicazione solo a seguito dell’adeguamento del saggio, assumendosi la responsabilità della verifica.

5. In caso di pareri contrastanti il Comitato di Direzione assume la responsabilità della decisione circa la pubblicazione del contributo.

Redazione:MATILDE GIROLAMI (Un. Padova - Redattore Capo); CLAUDIA SANDEI (Un. Padova - Segretario di Redazione); VITTORIO COLUSSI (Un. Padova - Redattore Capo Senior); RENATO PESCARA (Un. Padova); GIUSEPPE TRABUCCHI (Un. Verona).

Sede della redazione:Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto, Palazzo del BoVia VIII Febbraio, n. 2 – 35122 PadovaTel: 049 8273433 – 345 1086207 – Fax 049 8273433e-mail: [email protected]

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R I V I S T A D I D I R I T T O C I V I L E

I N D I C E D E L F A S C I C O L O 3o

(maggio-giugno 2014)

SAGGI

Vincenzo Scalisi, Il diritto civile nelle « prolusioni » del secondoNovecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 501

Giovanni D’Amico, La proprietà « destinata » . . . . . . . . . . . . . . » 525Emanuela Navarretta, Principio di uguaglianza, principio di non

discriminazione e contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 547Matteo Mattioni, Sul ruolo dell’equità come fonte del diritto dei

contratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 567Oriana Clarizia, Innovazioni e problemi aperti all’indomani del

decreto legislativo attuativo della riforma della filiazione . . . » 597Pietro Sirena, Il problema della trascrivibilità della domanda di

riscatto legale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 627Enrico Camilleri, Appunti sulla struttura dell’espromissione cu-

mulativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 645Paolo Spada, Paradigmi del pensiero giuridico e concezione del-

la società per azioni nei « Principi e problemi » di Carlo An-gelici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 667

OSSERVATORIO SULLE RIFORME LEGISLATIVE ALL’ESTERO

Piet Abas, Un nuovo diritto delle obbligazioni in Svizzera . . . . . » 675

COMMENTI

Francesco Paolo Patti, Il controllo giudiziale della caparra con-firmatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 685

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CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA

Bianca Checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato allaconoscenza delle proprie origini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 709

Amalia Chiara Di Landro, I vincoli di destinazione ex art. 2645ter c.c. Alcune questioni nell’interpretazione di dottrina egiurisprudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 727

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S A G G I

Vincenzo ScalisiProf. emerito dell’Università di Messina

IL DIRITTO CIVILE NELLE « PROLUSIONI »DEL SECONDO NOVECENTO (*)

Sommario: 1. Le prolusioni nella temperie della transizione dal « moderno » al « postmo-derno ». — 2. Le prolusioni del decennio 1940-1950: la « crisi » del diritto e la difficilericerca di un’affidabile àncora di salvataggio. — 3. Aperture e fermenti di rinnovamen-to nelle prolusioni degli anni ’50: tra istanze di revisione, « disgelo » costituzionale,nuova sistematizzazione dei fatti e rivisitazione delle situazioni giuridiche effettuali. —4. Il vento del cambiamento nelle prolusioni degli anni ’60: postulati moderni al tra-monto, Costituzione in azione, diritto privato al sociale, legislazione per principi, realtàpratica e valori in funzione esplicativa del senso normativo. — 5. Gli anni settanta e lafine di un genere letterario: l’appello per un « diritto civile costituzionale » e l’emergeredi un diritto legale « liquido » alle prese con integrazione europea e tensioni e conflittidella postmodernità.

1. — Nella efficace rappresentazione grossiana il Novecento non è il seco-lo « breve » di Eric J. Hobsbawm (1), ma è un secolo « lungo », un secolo cheoccupa gli altri secoli (in parte l’ottocento e anche l’attuale) (2), il secolo, nelcorso del quale prende progressivamente forma e consistenza una visionenuova e diversa del mondo, antifondazionista e disincantata, essenzialmentebasata sul « pensiero del molteplice », che si è soliti denominare « postmoder-nità », e che non è ancora un « approdo » (a una nuova e sicura riva), macertamente un « congedo », un distacco, una definitiva e irreversibile presa didistanza dai miti fondativi della Modernità.

Nei secondi anni quaranta del Novecento questo processo di graduale di-sfacimento dell’edificio categoriale moderno è in pieno svolgimento e rovesciasul terreno del diritto civile, come in ogni campo del « giuridico », tutto il suocarico di inquietudini e di insoddisfazioni, di incertezze e di contraddizioni,quali salenti dalla concreta e complessa realtà storico-sociale dell’esperienza,

(*) Lo scritto riproduce la relazione svolta al convegno organizzato dal prof. GiovanniFurgiuele su « Le prolusioni civilistiche dalla fine dell’ottocento al 1980: significato e valo-re di un’esperienza. A proposito de “Le prolusioni dei civilisti”, rist. ESI, Napoli, 2012 »(Firenze, 25 ottobre 2013). Sono state eliminate le parole di circostanza e aggiunte le note.

(1) Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-1991 (1994), trad. it. (con iltitolo, Il secolo breve. 1914/1991) di B. Lotti, 11a ed., Milano 2006.

(2) P. Grossi, Novecento giuridico: un secolo pos-moderno, Università degli Studi SuorOrsola Benincasa, Napoli 2011, p. 14; e in Id., Introduzione al Novecento giuridico, Roma-Bari 2012, p. 3; nonché, per più compiuti riferimenti alle nozioni e ai principi fondanti del-la modernità giuridica, Id., Mitologie giuridiche della modernità, 3a ed., Milano 2007.

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quelle stesse che la Modernità, invece, con il suo procedere per categorieastratte, decontestualizzate, atemporali, era stata molto abile a occultare (3).

La riflessione scientifica dei civilisti ha piena contezza della crisi di tran-sizione e si avvale della solenne liturgia della prolusione, a volte per dotare dipiù solide basi teoriche antiche categorie e istituti, o per proporre nuovi indi-rizzi metodologici o anche soltanto per additare nuovi sentieri di investigazio-ne, ma altre volte per illustrare l’impatto di nuovi principi e valori, oppureper segnalare l’irrompere sulla scena di nuovi conflitti e tensioni, o anche sol-tanto per fare il punto sul mutato volto di molte figure o di intere aree e setto-ri del diritto civile.

Quella delle prolusioni è stagione anch’essa assai lunga, che dall’ultimoquarto dell’ottocento giunge sino alla fine degli anni settanta del secolo appe-na decorso. Molte di tali prolusioni si collocano tra fine Ottocento e inizio No-vecento, la maggior parte nel periodo fra le due guerre, un numero minore neisecondi anni quaranta del Novecento, segno forse premonitore del progressivoaffievolimento e successivo declino di tale genere letterario. Si tratta di unfronte, assai rilevante, del pensiero civilistico italiano, rimasto sino ad oggi,salva qualche rara eccezione (4), pressoché sostanzialmente inesplorato nellasua globalità, quando invece, non foss’altro che per la statura di molti deisuoi protagonisti, già da tempo avrebbe dovuto formare oggetto di puntualeinvestigazione al fine di mettere a fuoco significato e valore, che questa espe-rienza ha rappresentato e continua a rappresentare, non soltanto dal punto divista della elaborazione teorica e concettuale, ma anche e soprattutto dal pun-to di vista di ciò che di vivo e vitale essa ancora testimonia in termini sia dirinnovamento e avanzamento degli studi sia di contributo offerto alla soluzio-ne dei molteplici problemi che anche nel tempo presente agitano la vita deldiritto civile.

Le riflessioni, che seguono, sono dedicate all’ultima stagione di prolusio-ni, quelle che si collocano nei secondi anni quaranta del Novecento (5), ma,perché il discorso non resti generico, una ulteriore periodizzazione s’impone eanche alcune distinzioni appaiono necessarie.

2. — Per quanto può qui interessare, tre grandi eventi dominano fonda-mentalmente la stagione del decennio 1940-1950, che si era appena lasciata

(3) Specialmente, S. Toulmin, Cosmopolis — The Hidden Agenda of Modernity (1990),trad. it. (Cosmopolis. La nascita, la crisi e il futuro della modernità) di P. Adamo, Milano1991, spec. pp. 54 ss., 112 ss.

(4) Il riferimento è, ancora, a P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico1860-1950, Milano 2000; Id., Le « prolusioni » dei civilisti e la loro valenza progettualenella storia della cultura giuridica italiana, Introduzione a Le prolusioni dei civilisti, rac-colta in tre volumi a cura della SISDIC, Napoli 2012.

(5) E precisamente quelle contenute nel vol. III (1940-1979) della già citata opera Leprolusioni dei civilisti.

502 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 3/2014

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alle spalle la storica polemica sui concetti giuridici (6): l’immane tragedia delsecondo conflitto mondiale, l’emanazione dell’attuale codice civile, l’entratain vigore il 1o gennaio 1948 della Costituzione italiana.

Le prolusioni di questo periodo tacciono della Costituzione, mentre unasola è dedicata al nuovo Codice, quella napoletana di Francesco Santoro-Pas-sarelli (7), per segnalare « l’apparizione all’orizzonte del diritto civile di unanuova costellazione », l’impresa, assurta a motivo sistematico dell’intera codi-ficazione e nel contempo rivelatrice anche di un metodo nuovo, il metodo del-l’economia, che esige corrispondenza tra forme giuridiche e sostanza econo-mica dei fenomeni regolati. Nel nuovo assetto normativo la riflessione santo-riana vi scorge il superamento di quegli schemi concettuali tradizionali, cheerano soliti ridurre l’intera fenomenologia del mondo reale o a « cose » o a« persone », mentre l’impresa non è cosa e neppure persona, in quanto, puratteggiandosi a vivente organismo della realtà economica e come tale iscri-ventesi in quel movimento ascensionale che dalle cose a volte porta alle perso-ne, non assurge tuttavia a soggetto di diritto, arrestandosi alla condizione di« centro di attività e di rapporti giuridici non personalizzato ». A siffatto fe-nomeno il codice si sarebbe limitato a dare veste giuridica, recependo un datod’esperienza.

Delle devastazioni della guerra non è parola nelle prolusioni, ma nellementi riflessive degli studiosi è ben presente che leggi inique e « insopporta-bilmente ingiuste » avevano inflitto al « diritto » una delle sconfitte più co-centi, tanto da costringere i giudici di Norimberga ad appellarsi agli insoppri-mibili principii di natura. La scienza giuridica ora si interroga sulla « crisi »del diritto (8), una crisi che ormai toccava e coinvolgeva anche se stessa (9).

Nella prolusione catanese del ’46, il filosofo del diritto Orazio Condorellinon esita ad additare la legge come principale responsabile, per essersi piega-ta ai fini dello Stato, scadendo a valore strumentale, a « mezzo attraverso ilquale lo Stato raggiunge i suoi fini », con singolare inversione di un rapporto,

(6) Ne erano stati protagonisti S. Pugliatti, A.C. Jemolo, G. Calogero, e W. CesariniSforza, i cui scritti possono ora leggersi nel volume a cura di N. Irti, La polemica sui con-cetti giuridici, nella collana Civiltà del diritto, vol. 71, Milano 2004.

(7) L’impresa nel sistema del diritto civile (1942), ora in Le prolusioni dei civilisti(1940-1979), cit., p. 2372 ss.

(8) « Il discorso e l’idea si fanno ripetuti, ossessivi, negli anni susseguenti alla catastrofebellica, alla caduta del Regime, al cambio istituzionale »: P. Grossi, Scienza giuridica ita-liana, cit., p. 275. Al tema è dedicato un intero volume La crisi del diritto, Padova 1953,rist. 1963, che raccoglie il corso di conferenze svoltesi per iniziativa della Facoltà giuridicapatavina dall’aprile al maggio 1951. Vi figurano i nomi di eminenti studiosi: G. Ripert, G.Capograssi, A. Ravà, G. Delitala, A.C. Jemolo, G. Balladore Pallieri, P. Calamandrei, F.Carnelutti.

(9) S. Pugliatti, Crisi della scienza giuridica (1948), in Id., Diritto civile. Metodo-teo-ria-pratica, Saggi, Milano 1951, p. 691 ss.; e ora in Id., Scritti giuridici, III (1947-1957),Milano 2010, p. 819 ss.

SAGGI 503

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in forza del quale dovrebbe invece lo Stato stare a servizio del diritto (10). Ese alcuno, autorevole civilista, come Luigi Cariota-Ferrara (11), aveva coltonella solennità di un cerimoniale accademico l’occasione per ridisegnare con-fini teorici e spazi operativi di controverse figure civilistiche, quale l’obbligodi trasferire, in altri i guasti prodotti dall’assolutismo potestativo di leggi la-sciate del tutto fuori controllo avevano suscitato l’impellente bisogno di ricer-care altrove un’affidabile àncora di salvataggio.

Nella prolusione romana del 1948 Emilio Betti (12), anticipando linee dipiù compiute e future ricerche (13), nonché percorsi e svolgimenti propri del-l’ermeneutica gadameriana (14), ravvisa nell’interpretazione lo strumento ingrado di garantire l’adattamento e l’adeguazione della norma alle esigenze eagli interessi reali della nostra vita presente (15), paragonando l’ordine giuri-dico a « un organismo in perenne movimento » (16), che come tale dev’esseredi continuo rielaborato attraverso il dispiegamento (da parte, appunto, del-l’ermeneutica) di una vera e propria funzione normativa mai definitiva (17),in grado di riportare in ogni momento il senso della norma al diritto che è« veramente vivo e vigente » nella esperienza di vita dei consociati (18).

Ma, come segnala lo stesso Betti, il problema, il vero problema di una in-terpretazione in funzione normativa e quindi inevitabilmente creativa, è quel-lo della difficile antinomia dialettica « tra l’inevitabile soggettività dell’inten-dere e la necessaria oggettività del senso » da attribuire alla norma (19), diffi-

(10) La crisi del diritto, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., pp. 2404 ss.,spec. 2409 ss.

(11) L’obbligo di trasferire, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2523ss., prolusione al corso di Istituzioni di diritto privato letta nell’Università di Napoli il 15gennaio 1949.

(12) Le categorie civilistiche dell’interpretazione, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2445 ss.; e in lingua tedesca, con il titolo Zur Grundlegung einer allgemeinenAuslegungslehre: ein hermeneutisches Manifest, in Festschrift für Ernest Rabel, II, Tübin-gen, 1954, p. 79 ss., con più ampi riferimenti di letteratura.

(13) E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale e dogma-tica), 2a ed. riveduta e ampliata a cura di G. Crifò, Milano 1971; Id., Teoria generale dellainterpretazione, I e II, ed. corretta e ampliata a cura di G. Crifò, Milano 1990.

(14) H.G. Gadamer,Wahrheit und Methode (1972), trad. it. (con il titolo Verità e metodo)e cura di G. Vattimo, Milano 1994; Id., Wahrheit und Methode — Ergänzungen — Register(1986/1993), trad. it. (con il titolo Verità e metodo 2. Integrazioni) e cura di R. Dottori, Mi-lano 1996. Ma v. L. Mengoni, La polemica di Betti con Gadamer, in Id., Diritto e valori, Bo-logna 1985, p. 59 ss.; e, da ultimo, G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazio-ne. Studi su ermeneutica e diritto, Torino 2014, p. 105 ss., spec. p. 118 ss.

(15) Le categorie civilistiche dell’interpretazione, cit., pp. 2462, 2464.(16) Op. ult. cit., p. 2473.(17) Op. ult. cit., p. 2475 s.(18) Op. ult. cit., p. 2477.(19) Op. ult. cit., p. 2455.

504 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 3/2014

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cile antinomia che è necessario riuscire a governare attraverso la individua-zione e applicazione di appropriati canoni ermeneutici, onde scongiurare nontanto il rischio di una legalità liquida e come tale perennemente fluida, quan-to piuttosto la ben più grave minaccia di un nuovo dispotismo rappresentatodell’arbitrio dell’interprete.

A siffatto compito dovrebbe attendere secondo Domenico Barbero, autoredella prolusione milanese del ’49 su « Empirismo e dogmatica del dirit-to » (20), la scienza giuridica, purché agente libera da ogni irriverente empiri-smo come pure da ogni astratto dogmatismo. Anzi, a suo dire, la legge nonfallirebbe ai propri scopi se solo si limitasse a « trasformare in norme pratichei risultati teoretici rintracciati dalla scienza nelle realtà naturali » (21). Fiduciailluministica nella infallibilità della scienza, ma da valutare non più che comeuna professione di fede, dal momento che neppure la scienza, in quanto parteessenziale e protagonista essa medesima del procedimento ermeneutico (c.d.inclusione del ricercante nella ricerca), può dirsi sicura garanzia di oggettivariproduzione dei dati di esperienza e come tale immune da soggettive applica-zioni.

Nella prolusione pavese su « Il sentimento del diritto soggettivo in Alexisde Tocqueville » Gino Gorla (22), da parte sua, esprime disagio ma anche av-versità nei confronti di una giuridicità tutta elargita e derivata dallo Stato econ riferimento al diritto soggettivo, nel quale — a suo avviso — si esprime-rebbe l’indipendenza e la dignità stessa della personalità dell’individuo nonpiù « astrattamente » ma « storicamente » e « realisticamente » considerato,egli esalta e condivide la concezione politico-giuridica di Alexis de Tocquevil-le, che del diritto soggettivo aveva difeso la intrinseca « originarietà », da in-tendersi non già in senso giusnaturalistico o razionalistico, bensì in un sensoeminentemente storico, in quanto, appunto, « istituzione storica », istituzionecioè radicata nella storia e nella tradizione, non concessione della legge delloStato, ma conquista e forza etica della personalità, frutto del travaglio dellacoscienza e dell’esperienza politico-giuridica dei cittadini.

Ampliare l’orizzonte oltre la legge, guardare a quella che il filosofo deldiritto Rodolfo De Stefano ha chiamato « legalità sociale originaria » (23), inquanto immediatamente calata e radicata nella concreta e storica esperienzadi vita dei consociati, attingere direttamente da questa giuridicità « altra » e« diversa » i necessari correttivi e dispositivi tecnici contro le insidie e le de-viazioni della legge, non dev’essere considerato un percorso proibito. D’altraparte connaturato al diritto, quello oggettivo, è anche un incontestabile fon-

(20) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1975), cit., p. 2500 ss.(21) Ivi, p. 2520.(22) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2416 ss.(23) L’accettazione della legge, in Id., Scritti sul diritto e sulla scienza giuridica, Milano

1990, p. 157 ss.

SAGGI 505

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damento etico-sociale (24) e di conseguenza non deve considerarsi ultroneoesigere che la stessa legge positiva resti vincolata al sistema di regole etico-so-ciali quali praticate dalla comunità, e nel contempo pretendere che anchel’agire dei privati, come del resto pure quello dei pubblici poteri, siano piena-mente e integralmente conformi ai corrispondenti e correlativi standards va-lutativi.

La massima « fraus omnia corrumpit » ha sostanzialmente questo signifi-cato e in quanto tale, spiega Luigi Carraro nella prolusione patavina del’49 (25), possiede anche valore di principio generale, oltre i casi di rilevanzadella buona fede, siccome fonte di exceptio doli e causa, ricorrendone i pre-supposti dell’art. 2043, anche di responsabilità extracontrattuale, pure in ipo-tesi di agire privato che dovesse risultare formalmente e sostanzialmente vali-do. La validità non può annullare la illiceità.

Ma restava intatto e sostanzialmente irrisolto, anche nella linea di pensie-ro di entrambe le prolusioni da ultimo considerate, il problema della fondabi-lità conoscitiva e della controllabilità oggettiva sia della legalità sociale origi-naria sia del sistema di regole etico-sociali praticate dalla comunità: un pro-blema, come vedremo, sempre ritornante, quando si tratta di non limitarsi alsistema positivo ma di immergersi nel fluire storico dell’ordinamento della vi-ta sociale (26).

Intanto però il decennio si chiudeva allo stesso modo in cui si era aperto.Si era aperto con la prolusione maceratese del romanista Giovanni Pugliese su« Diritto romano e scienza del diritto » (27); si chiudeva con la prolusione ge-novese di un altro insigne romanista Riccardo Orestano su « Il diritto romanonella scienza del diritto » (28). Concordi entrambi sull’importanza della disci-plina romanistica in funzione di studio dell’esperienza giuridica, discordi in-vece nel sostenere l’uno, il Pugliese, fautore del carattere unitario del fenome-no giuridico, la fondabilità sul diritto romano di concetti e principi e veritàcostanti da offrire anche al (progresso del) diritto del presente e nell’escludereinvece l’altro, l’Orestano, convinto assertore della intrinseca e integrale « sto-ricità » di tutti i fenomeni giuridici, ogni possibilità di « attualizzazione » deldiritto romano, attualizzazione resa improponibile da doppia storicità, quella

(24) S. Pugliatti, Gli istituti del diritto divile, I. Introduzione allo studio del diritto, 1.Ordinamento giuridico, soggetto e oggetto del diritto, Milano 1943, pp. 4, 8, 13, 15; e orain Id., Scritti giuridici, II (1937-1947), Milano 2010, pp. 728, 732, 739, 741.

(25) Valore attuale della massima « fraus omnia corrumpit », in Le prolusioni dei civili-sti, III (1940-1979), cit., p. 2552 ss.

(26) Per la distinzione tra sistema e ordinamento, il nostro Regola e metodo nel dirittocivile della postmodernità, ora in Id., Fonti — teoria — metodo. Alla ricerca della « regolagiuridica » nell’epoca della postmodernità, Milano 2012, p. 81 ss.

(27) Letta nella Università di Macerata per l’anno accademico 1940-1941, in Le prolu-sioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2327 ss.

(28) Letta nella Università di Genova il 16 dicembre 1950, in Le prolusioni dei civilisti,III (1940-1979), cit., p. 2575 ss.

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del dato e quella del soggetto. Anche il diritto romano si negava così a risolle-vare il diritto dalla profonda crisi in cui eventi storici e mutamenti socialisembrava lo avessero definitivamente precipitato.

3. — Il decennio 1951-1960 è chiamato a misurarsi con i problemi tipicie i mutamenti indotti, nelle condizioni di vita e nel costume, da una società —quale quella italiana — passata da agricola a industriale e ora in sempre piùrapido e crescente sviluppo, con la impresa ormai al centro del sistema pro-duttivo e i consumi ascesi a livello di fenomeno di massa.

Continuare a lavorare con i vecchi concetti non sembra più possibile eun’opera di revisione e aggiornamento dell’apparato concettuale preesistenteappare essenziale e ineludibile (29).

Ma la dottrina del diritto civile di questo periodo — secondo un giudiziolargamente condiviso (30) — sembrò starsene in disparte, indifferente, distac-cata, in una condizione di quasi « straniamento » persino rispetto alla stessaCarta costituzionale, fatta oggetto, con il pretesto di una supposta « program-maticità » delle sue disposizioni (31), se non di vero e proprio rifiuto, certa-mente di quasi indifferenza (32), e così dando vita, attraverso una sorta di co-stituzionalizzazione della normativa codicistica vigente, a quella che è statadefinita una vera e propria inversione della gerarchia delle fonti (33).

Sebbene non in termini di immediato nesso causale, di certo ebbe un pe-so anche il clima culturale dell’epoca. Il 1950, presentato come l’anno dellasvolta (34), segnò l’ingresso ufficiale nella cultura giuridica italiana della me-

(29) Sui problemi posti dalla società industriale e sul ruolo del giurista nel nuovo contesto,quale esperto della vita sociale in funzione non solo di dicere legem, ma soprattutto di dicere iuse come tale con compiti non solo di tecnico della normativitàma anche e specialmente dimedia-tore sociale tra conservazione e innovazione e quindi « anche dell’equilibrio sociale », richiama-va l’attenzione S.Cotta, Il compito del giurista nell’ora presente, in Iustitia, 1966, p. 165 ss.

(30) Per tutti, N. Irti, Una generazione di giuristi, in La civilistica italiana dagli anni’50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Congresso dei civilisti italiani (Venezia23-26 giugno 1988), Padova 1991, pp. 971, 973; Id., La filosofia di una generazione, inId., Diritto senza verità, Roma-Bari 2011, p. 91; e in P. Perlingieri e A. Tartaglia Polcini(a cura di), Novecento giuridico: i civilisti, Atti dell’omonimo Convegno svoltosi a TeleseTerme nei giorni 29-30 ottobre 2010, Napoli 2013, p. 335.

(31) Cfr. A. Pizzorusso, Il disgelo costituzionale, in Storia dell’Italia repubblicana, II,2, Torino 1995, p. 129.

(32) R. Nicolò, Diritto civile, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Attidel Convegno svoltosi a Messina-Taormina nei giorni 3-8 novembre 1981, Milano, 1982, p.68. Ma v. altresì, L. Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Roma-Bari1999, p. 56 ss.

(33) L. Campagna, Famiglia legittima e famiglia adottiva, Milano 1966, p. 46; nonché:L. Mengoni, La tutela dei figli nati fuori del matrimonio, in Sociologia, 1970, p. 135 ss.; M.Dogliotti, La Corte costituzionale estende il rapporto di parentela naturale, in F. it.,1980, I, c. 909.

(34) N. Irti, Una generazione di giuristi, cit., p. 972.

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todologia analitica nella teorizzazione che di essa aveva offerto NorbertoBobbio con il noto saggio « Scienza del diritto e analisi del linguaggio » (35). Eil nuovo indirizzo indubbiamente contribuiva anch’esso a distogliere l’atten-zione della dottrina giuridica dalle trasformazioni sociali in atto, accentuan-done la tradizionale deriva formalistico-legalitaria, in quanto, essendo fonda-mentalmente basato su rigore linguistico e coerenza logica, produceva — co-me è stato acutamente messo in rilievo (36) — de-storicizzazione, soggettiva,oggettiva e contenutistica delle proposizioni normative, e la scienza giuridicariduceva « a una sorta di algebrica frigidità » fuori dal tempo e dallo spazio.La penetrazione, in quegli anni, di formalismo e purismo kelseniani avrebbefatto il resto.

Non erano, tuttavia, mancate in quel medesimo torno di anni anche au-torevoli voci, dichiaratamente fuori dal coro, di aperto dissenso, rivolte a sol-lecitare un vero e proprio cambio di rotta sia nei metodi che nei contenuti, alfine di adeguare la ricerca scientifica ai nuovi dati della realtà. Era stata que-sta l’indicazione più intima che veniva dallo storicismo pragmatico e realisti-co di matrice ascarelliana, dalla concezione pugliattiana della giurisprudenzacome scienza pratica — assumente a nuovo principio sistematico organizzato-re dell’intero diritto positivo quello della massima attuazione possibile dellaCostituzione —, e ancora il metodo comparatistico nell’impulso che ad essoavevano già dato gli studi di Gino Gorla.

Le prolusioni di questo decennio riservano la rassicurante sorpresa di vo-ler raccogliere quest’ultimo, anche se non maggioritario, ordine di sollecita-zioni, e, se non proprio dissonanti, di sicuro appaiono disallineate, manifesta-mente disallineate rispetto al pensiero giuridico dominante.

In questa direzione, e non poteva essere diversamente, si era mossa laprolusione romana di Tullio Ascarelli del 1953 su « Teoria della concorrenzae interesse del consumatore » (37), la quale, nel quadro di un reinterpretatodiritto dell’economia e di una rinnovata teoria della concorrenza in senso siastrutturale che soprattutto funzionale e delle finalità da perseguire, pone alcentro della riflessione l’interesse dell’imprenditore, ma, con una impressio-nante visione anticipatrice, in fondamentale dialogo con l’esigenza di tuteladella figura del consumatore, quale categoria esponenziale non già di partico-lari interessi, sibbene di un vero e proprio interesse pubblico allo sviluppoculturale e industriale, cui si ritiene debba restare sempre e in ogni caso vin-colata ogni libertà di iniziativa economica, compresa quella di concorrenza.

(35) L. Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, cit., p. 84 ss.; V. Villa,Filosofia del diritto, in F. D’Agostini e N. Vassallo (a cura di), Storia della filosofia anali-tica, Torino 2002, p. 368 ss.; M. Barberis, Giuristi e filosofi. Una storia della filosofia deldiritto, Bologna 2011, p. 208 ss. Il saggio di N. Bobbio, al quale si fa riferimento nel testo,venne pubblicato in R. trim. d. proc. civ., 1950, p. 342 ss.

(36) N. Irti, La filosofia di una generazione, cit., pp. 93-94.(37) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2675 ss.

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Gli aveva fatto eco Rosario Nicolò nella prolusione romana del 1956 (38),con la invocazione del coraggio di chiudere la fase c.d. romanistica della dot-trina del diritto civile e di aprire un nuovo corso, la fase commercialistica, « ilcui substrato — egli scrive — sia rappresentato da quella che è la concretarealtà economico-sociale del tempo moderno, nelle sue articolazioni struttura-li e nei suoi aspetti funzionali » (39). E ciò a partire dalla figura dell’impresa,il cui più sicuro inquadramento sistematico (dal punto di vista della schema-tizzazione concettuale del fenomeno) l’autorevole civilista ritenne di indivi-duare nello schema del diritto soggettivo, inquadramento, che per quanto siapotuto sembrare — come in effetti lo era — asfittico e devitalizzante (40), ave-va tuttavia il merito di elevare il dato della realtà alla dignità del valore (41),con attribuzione di una tra le più forti tutele privatistiche, quale quella ap-punto rappresentata dal diritto soggettivo.

La Costituzione è ancora taciuta, ma a inaugurare la fase del « disgelo »costituzionale anche nel cerimoniale accademico delle prolusioni (42) sono laprolusione bolognese del ’56 di Michele Giorgianni su « I problemi attuali deldiritto di famiglia » e quelle, maceratese e pavese, di Pietro Rescigno rispetti-vamente del ’54 e del ’59, dedicate l’una a « Sindacati e partiti nel diritto pri-vato » e l’altra a « Gruppi sociali e lealtà » (43).

In Michele Giorgianni è la ferma denuncia del carattere discriminatorio deltrattamento riservato dal codice alla filiazione naturale, in quanto inficiato dainsanabile contrasto con la precettiva disposizione costituzionale dell’art. 30, ilcui limite (quello di cui al comma 3o) egli proponeva di considerare, con inter-pretazione restrittiva all’epoca sicuramente innovativa, siccome afferente allesole ipotesi di « concorrenza in concreto » di diritti di membri della famiglia le-gittima (44). Insostenibile per contrasto invece con il principio costituzionale diparità (art. 29 cost.) — a suo dire però programmatico — veniva giudicata an-che la disciplina codicistica dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi,ma di essa anche il giurista sensibile ai valori costituzionali ritenne di salvare la

(38) Riflessioni sul tema dell’impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina deldiritto civile, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2827 ss.

(39) Op. ult. cit., p. 2832.(40) P. Grossi, La cultura del civilista italiano. Un profilo storico, Milano 2002, p. 142;

Id., Le « prolusioni » dei civilisti e la loro valenza progettuale nella storia della cultura giu-ridica italiana, cit., p. XXXVIII.

(41) S. Rodotà, voce Nicolò Rosario, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XXsecolo), diretto da I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti, vol. II, Bologna 2013, p.1437.

(42) Sul fenomeno del c.d. disgelo costituzionale quale si sarebbe sviluppato sui diversifronti a partire soprattutto dagli anni sessanta, A. Pizzorusso, Il disgelo costituzionale, cit.,p. 113 ss.

(43) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., rispettivamente pp. 2777 ss.,2741 ss., 2868 ss.

(44) Ivi, p. 2780.

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riserva al marito della funzione direttiva del governo della famiglia (art. 144c.c.), in quanto — con discutibile valutazione — supposta a garanzia del prin-cipio, anch’esso costituzionale, di unità della famiglia (45).

Nelle pagine prolusive di Pietro Rescigno il riferimento alla Costituzioneacquista il senso pieno del superiore principio ordinante, anche se non sempreanche quello di finale criterio di giudizio e di valutazione. Suscita stupore nel-l’insigne giurista che entità, quali sindacati e partiti politici, assurte a rilievocostituzionale con una disciplina, scarna sì, ma essenziale nella enunciazionedi fondamentali principi regolatori (artt. 39 e 49 della Cost.), fossero invecegià allora sempre più attratte e trovassero più sicuro rifugio in schemi e con-cetti e tutele del diritto privato. Espressamente Rescigno parlò di « impegnocostituzionale tradito » (46). Alle formazioni sociali la Costituzione concedeampia garanzia e protezione, ma sempre in funzione dell’individuo che vi ètutelato e protetto quale soggetto storico concreto sociale, che svolge in quellela sua personalità (art. 2 Cost.). Al riguardo la fine e pensosa pagina del sen-sibile studioso delle comunità intermedie invita a riflettere sul tema della leal-tà e sui laceranti conflitti, che, in nome di un’etica a essa ispirata, assai spessoinsorgono tra individuo e gruppo sociale e tra i diversi gruppi sociali per sfo-ciare il più delle volte in dolorose e tragiche scelte. In questi casi — e la realtàodierna ci offre numerosi e significativi esempi (47) — non sempre al diritto,anche in versione costituzionale, è possibile venire in soccorso e l’essere uma-no resta in solitudine a vivere il dramma della scelta tra il tormento del dub-bio e l’angoscia della decisione.

Con le riflessioni di Pietro Rescigno, che ritroveremo anche nelle succes-sive prolusioni dello stesso autore, il discorso giuridico era prepotentementetornato a parlare all’individuo, all’individuo in carne e ossa, e nel contempo ainterrogarsi sulla condizione dell’uomo contemporaneo, ormai colto ed esplo-rato nei suoi bisogni, nelle sue inquietudini e intime contraddizioni, nelle sueangosce esistenziali.

Ma il nuovo ethos culturale e valoriale si espande, contagia, attraversaanche le prolusioni di questo periodo, più direttamente impegnate sul frontedella sistematizzazione dogmatica e concettuale di categorie e istituti del dirit-to civile.

Avviene così che il « fatto giuridico », da sempre considerato tale in quan-to « causa di effetti giuridici », a un certo punto si emancipa dalla efficacia periscriversi direttamente alla categoria della « rilevanza giuridica », quale fonteprimaria della propria qualificazione giuridica, come tale non più riconducibilea una investitura formale proveniente ab externo (quale, appunto, il ricollega-

(45) Ivi, p. 2798 ss.(46) Sindacati e partiti nel diritto privato, cit., p. 2763 ss.(47) Per una esemplificazione, il volume di G. Calabresi e Ph. Bobbit, Tragic Choices

(1978), trad. it. (con il titolo Scelte tragiche) a cura di C.M. Mazzoni e V. Varano, Milano1986.

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mento di effetti), sibbene immediatamente a una sua pretesa essenza o qualitàintrinseca, che Renato Scognamiglio, nella prolusione urbinate del 1954 (48),individua in una non meglio identificata importanza o « valore specifico » o ef-ficienza dinamica del fatto nel campo del diritto (49). Nella realtà non si tratta-va però di una assoluta novità, in quanto già anni prima la metodologia degliinteressi teorizzata da Angelo Falzea aveva consentito di individuare nell’inte-resse evidenziato dal fatto, e quindi in una intrinseca e oggettiva valenza assio-logica del fatto medesimo, il punto di incontro o, se si vuole, la sicura linea dimediazione tra il fatto e il diritto, istitutiva della rilevanza giuridica del primorispetto al secondo (50). Con l’avvertenza però che non l’interesse in sé ha valo-re fondativo, bensì soltanto in quanto riscontrato conforme all’interesse fonda-mentale della comunità giuridica, così scongiurandosi non solo il rischio di pos-sibili sopraffazioni del dover-essere sull’essere, ma anche l’opposto e non menoinquietante pericolo di inammissibili prevaricazioni « a rovescio » del fatto suldiritto, dell’essere sul dover-essere.

Anche nel diverso campo dei fatti illeciti, è pur sempre nell’interesse (ef-ficace o anche solamente rilevante), in quanto riscontrato oggetto di imme-diata e diretta lesione, da riporre il criterio della qualificazione normativa delfatto in termini di illiceità. Non anche però il fondamento della responsabilitàcivile. Quello tra illiceità e responsabilità è « gemellaggio » tutto moderno, unsodalizio imputabile alla Modernità, ma smentito dalla realtà dell’esperienza,perché a volte si dà responsabilità senza illiceità (c.d. responsabilità da attolecito) e altre volte illiceità senza responsabilità (in ipotesi di assenza di ingiu-stizia del danno) (51). E tutto questo perché sulla configurazione di responsa-bilità incide non soltanto la natura degli interessi giuridici lesi facenti capo al-la vittima dell’illecito, ma anche e soprattutto la valutazione comparativa del-la contrapposta posizione giuridica dell’autore del fatto illecito, valutazionealla quale è appunto finalizzata la clausola della ingiustizia del danno: unaclausola che ha la funzione di riscattare la responsabilità civile dall’appiatti-mento sulla qualificazione di illiceità, ma che nel contempo, quando non ri-mossa o addirittura dissolta nel concetto stesso di danno, è stata da sempre didifficile e controversa determinazione (52).

(48) Fatto giuridico e fattispecie complessa. Considerazioni critiche intorno alla dina-mica del diritto, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-979), cit., p. 2645 ss.

(49) Ivi, spec. p. 2670 ss.(50) A. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, p. 10 ss.;

e successivamente, e più diffusamente, Id., voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Mila-no 1965, pp. 457 ss., 481 ss.; Id., voce Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano 1967, p.941 ss.: entrambe ora in Id., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridi-ca, II. dogmatica giuridica, Milano 1997, pp. 64 ss., 125 ss., 331 ss.

(51) Cfr. il nostro Illecito civile e responsabilità: fondamento e senso di una distinzione,in questa Rivista, 2009, I, p. 663 ss.

(52) V. il nostro Danno e ingiustizia nella teoria della responsabilità civile, nonché, Id.,Ingiustizia del danno e analitica della responsabilità civile, entrambi ora in Id., Categorie e

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La prolusione milanese del 1960 di Piero Schlesinger (53) ha il merito diriportare l’anzidetta clausola sul terreno concreto storico reale, sul quale dasempre la tutela aquiliana insorge e si dispiega, il terreno cioè del conflittod’interessi tra danneggiato e danneggiante, con la illiceità sempre quale fatto-re scatenante del conflitto in quanto violazione del precetto dell’alterum nonlaedere, e la ingiustizia invece concepita quale criterio di risoluzione del con-flitto in favore del danneggiato per assenza nel danneggiante di uno specificodiritto che ne autorizzi e giustifichi il comportamento dannoso (54). Certo laidentificazione del danno ingiusto con il danno non giustificato (55) può sem-brare, e in effetti è, riduttiva e incompleta, in quanto di sicuro non esauriscela tipologia dei conflitti aquiliani, nella realtà assai più vasta e molto piùcomplessa, ma indubbiamente valeva ad assicurare alla responsabilità civileuna più convincente ed efficace linea di pensiero, direttamente ancorata allaconcreta e storica trama degli interessi umani incisi dal fatto illecito.

Quello tra essere e dover-essere, mondo dei fatti e mondo del diritto, èrapporto in costante tensione dialettica e il problema, con il quale la dottrinaè stata in ogni tempo chiamata a fare i conti e a misurarsi, è da sempre quellodella determinazione del criterio di decisione della partecipazione dei fatti allavita del diritto. Orbene, sembra potersi tranquillamente affermare che le pro-lusioni degli anni cinquanta hanno decisamente segnato un netto punto a fa-vore di una più rassicurante e conciliativa linea di pacificazione del mondodel diritto con il mondo della realtà storico-sociale, passante per la elevazionedel « fatto » a protagonista della vita del diritto piuttosto che spettatore inertee passivo alla mercé dell’ordine giuridico. E non è un caso se Domenico Rubi-no nella prolusione romana del 1957 (56) si sia appellato proprio alla catego-ria dei fatti per inquadrare anche la pubblicità, da lui qualificata come « fattogiuridico permanente ».

Ma appunto perché esposto alle continue sollecitazioni provenienti daiconcreti rapporti storico-reali della vita, un equilibrio instabile e sempre mu-tevole contraddistingue il mondo del dover-essere giuridico, la c.d. realtà ef-fettuale del diritto, sicché spetta alla elaborazione teorica sia dottrinale chegiurisprudenziale verificare in ogni momento i mutamenti, le deformazioni oanche le rotture prodottesi, al fine di apportare le revisioni e gli adattamentinecessari a riportare a nuovo equilibrio e a nuova sintesi e unità l’ordine giu-ridico turbato. Sotto questo aspetto, soprattutto il tema delle situazioni sog-

istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano 2005, rispettivamente pp.737 ss., 779 ss.

(53) La « ingiustizia » del danno nell’illecito civile, in Le prolusioni dei civilisti, III(1940-1979), cit., p. 2896 ss.

(54) Ivi, p. 2904.(55) Ivi, p. 2902.(56) La pubblicità come fatto permanente, in Le prolusioni dei civilisti, III (1940-

1979), cit., p. 2855 ss.

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gettive, dei diritti e dei doveri, aveva da sempre rappresentato un fronte caldoe alquanto problematico. Non vi avevano fatto eccezione la figura della obbli-gazione e la connessa situazione di credito, assai spesso formante oggetto dipensiero negativo sino alla stessa messa in dubbio della sua appartenenza allacategoria del diritto soggettivo (57), per la difficoltà che le diverse teorie per-sonali e patrimoniali della obbligazione avevano incontrato nell’assegnare alcredito un autonomo contenuto rispetto all’obbligo.

A siffatto ordine di questioni rivolgeva la sua attenzione Luigi Mengoninella prolusione triestina del 1951 su « L’oggetto dell’obbligazione » (58). Seb-bene fondamentalmente intesa a fissare definitivamente nel risultato del faceredebitorio l’oggetto della obbligazione, la riflessione mengoniana, attraversouna rigorosa messa a fuoco della complessa struttura del rapporto obbligatorio,svolge un discorso di più ampio respiro, volto proprio a riscattare l’autonomaconsistenza del diritto di credito, quale situazione dotata di proprio contenuto(il risultato appunto da realizzare, idest la soddisfazione dell’interesse credito-rio), contenuto che, sebbene legato da nesso di correlatività funzionale al con-tenuto dell’obbligo (rappresentato dal comportamento dovuto), non è perMengoni il precipitato intrinseco di questo e neppure si identifica con esso,stante la insostenibilità teorica e positiva di una loro simmetrica identità. Il cre-dito in questo modo non solo recuperava la sua piena autonomia concettuale,ma poteva anche marcare una netta differenza e distanza rispetto alle stesse si-tuazioni reali. Certo non era qui ancora il Mengoni che attinge dalla filosofiadei valori la forza dell’argomentazione giuridica, e però la critica bettiana diaver condotto « un’arida analisi formale » (59) appare senz’altro eccessiva (60),anche se già all’epoca la elaborazione dogmatica poteva contare su ricostruzio-ni dottrinali del rapporto obbligatorio rigorosamente condotte in termini di in-teressi ed esigenze reali di vita sottese al medesimo (61).

4. — Gli anni ’60 segnano un nuovo inizio. Scrive Paolo Grossi: « Saran-no gli anni sessanta il terreno storicamente fertile perché gli sparsi germi deldecennio precedente divengano una fruttificazione copiosa » (62).

(57) Per tutti, D. Barbero, Il diritto soggettivo, in Id., Studi di teoria generale del dirit-to, Milano 1953, p. 79 ss., costituente la prolusione triestina al corso di diritto civile letta il24 novembre 1938.

(58) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2614 ss.(59) E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano 1953, Prefazione, p. 6 e nt.

3, richiamato dallo stesso L. Mengoni, Diritto e valori, cit., Prefazione, p. 5.(60) Secondo A. Nicolussi (Luigi Mengoni e il diritto privato, in L. Nogler e A. Nico-

lussi (a cura di), Luigi Mengoni o la coscienza del metodo, Padova 2007, p. 37 ss.) la pro-lusione in questione sarebbe « forse lo scritto concettualmente più denso di tutta l’opera diMengoni » (ivi, p. 61).

(61) A. Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano 1947, spec.p. 31 ss.

(62) P. Grossi, La cultura del civilista italiano. Un profilo storico, cit., p. 145.

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È la Modernità che ormai velocemente corre verso il suo epilogo finale,sotto l’irrompere di un nuovo ordine storico-sociale sempre più pluralista ecomplesso: con il soggetto concreto, storico, reale, che prende il posto del-l’astratto, virtuale, seriale soggetto unico della modernità; con la centralitàdello Stato sempre più insidiata dalla diffusione di enti e formazioni interme-die, da monoclasse divenuto pluriclasse, da entità accentratrice ora costretto acedere poteri e funzioni; con il codice civile sempre più eroso nella sua funzio-ne di rappresentanza esclusiva della disciplina privatistica da una invasivamolteplicità di leggi speciali, istitutive di veri e propri statuti di gruppi; con ildiritto formalmente stabilito, che, dovendo assicurare, oltre alla eguaglianzaformale, anche e soprattutto quella sostanziale e la solidarietà tra i cittadini,chiama lo Stato a intervenire sempre più frequentemente nei rapporti econo-mico-sociali e che, per essere effettivamente eguale, si fa ora « diseguale »,cioè a misura dei concreti bisogni delle persone; con la Costituzione, non piùmisconosciuta e ora eretta a presidio di una « legalità » di tipo nuovo, basatanon solo sulla legge ma anche sul diritto che sta oltre la legge, ossia sulle ne-cessità reali di vita dei consociati, i c.d. « valori », quelli espressamente enun-ciati ma anche quelli che una società in movimento continuamente genera edesprime; con la cultura giuridica, infine, non più arroccata su posizioni stata-listiche e legalistiche, ma ormai disposta anch’essa a uscire, secondo la celebreformula kantiana, dal lungo « sonno dogmatico » e a ripensare categorie econcetti per farne, attraverso un’appropriata opera di « demitizzazione » e ve-ra e propria « demistificazione », degli strumenti elastici, storicamente condi-zionati, come tali capaci di assicurare rispondenza e coerenza tra ordine giuri-dico e mutamento sociale o, se si vuole, tra forme giuridiche e bisogni realidei consociati.

La dottrina del diritto civile partecipa al cambiamento e anzi del cambia-mento si rende protagonista anch’essa. Ne sono testimonianza viva proprio leprolusioni del nuovo decennio, attestate tutte su un fronte ancora più avanza-to, in posizione di avanguardia.

È ancora Michele Giorgianni con la prolusione napoletana del 1961 inti-tolata « Il diritto privato e i suoi attuali confini » (63) a segnalare la svolta e ilmutato volto del diritto privato che, perduto il suo originario significato « co-stituzionale » e il carattere di esclusiva tutela dell’individuo, andava semprepiù assumendo la fisionomia di un diritto privato « socializzato », funzionalecioè alla diretta tutela anche di interessi della intera società o di determinatecategorie o gruppi sociali quali enti esponenziali di interessi collettivi costitu-zionalmente garantiti ai commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost. L’analisi prendeva lemosse dal massiccio fenomeno « interventistico » dello Stato nell’economia,che aveva comportato incisive limitazioni alla libertà di iniziativa economicaprivata e a volte anche l’assunzione diretta di attività private da parte dellapubblica amministrazione, e si chiudeva con il perentorio invito rivolto alla

(63) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 2945 ss.

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dottrina privatistica ad adeguare i propri strumenti e le tradizionali categoriealla mutata realtà economica e normativa, pena il declino delle forme ordi-nanti del diritto.

E nel tempo che già, con singolare inversione storica, si apprestava a ce-lebrare pure il ritorno agli status (64), puntuale giunge, con la prolusione bo-lognese del 1961 su « Immunità e privilegio » (65), la voce critica e come sem-pre ammonitrice di Pietro Rescigno contro le disparità e le discriminazioniconnesse a un diffuso sistema di immunità e privilegi a diversi livelli (sociale,economico, individuale e di gruppi), immunità e privilegi che, in quanto co-stituenti vere e proprie esenzioni dal diritto comune, rappresentano un auten-tico vulnus non solo alla eguaglianza « giuridica », ma allo stesso sistema didemocrazia sostanziale quale delineato dell’art. 3, comma 2o, della Cost., e fi-nalizzato proprio ed espressamente alla rimozione di ogni ostacolo (sociale oeconomico) comunque limitativo di fatto della libertà e della uguaglianza deicittadini.

Nella stessa direzione è il recupero della dottrina dell’abuso del dirittoche Rescigno compie nella successiva prolusione bolognese del 1965 dedicataal tema (66). Solo un malinteso pensiero liberale aveva potuto giustificare il ri-fiuto del divieto di abuso per preteso contrasto con i principi di uguaglianzaformale e di esclusività dell’ordinamento statale, a supposta garanzia della li-bertà individuale e della certezza del diritto. Ma di fronte a una società, scriveRescigno, « dominata dall’egoismo e dalla disuguaglianza », sindacabilità econtrollo di libertà e atti di autonomia privata, di poteri e diritti, sulla base dicriteri anche extralegali, sono, più che una necessità, un’urgenza resa ineludi-bile ancora una volta dal sopra richiamato disposto costituzionale dell’art. 3,comma 2o, nonché dallo stesso art. 2. Anche se — annota Rescigno — non ba-sta certo il divieto di abuso a moralizzare il diritto, ma quanto meno forseservire ad arrestarne « la progressiva disumanizzazione ».

Anche un giurista, come Giuseppe Stolfi, convinto assertore dell’autono-mia della volontà e fautore di una visione marcatamente individualistica deldiritto, non esita, nella prolusione romana del 1964 su « Il principio di buonafede » (67), ad assegnare alle regole di correttezza una funzione integrativa epersino correttiva dell’ordine legale.

E la Costituzione? La Costituzione restava sempre lì, a indicare in rigi-da forma imperativa norme, principi, valori, costituenti ormai — come si

(64) Su cui, in particolare, G. Alpa, Status e capacità. La costruzione giuridica delledifferenze individuali, Roma-Bari 1993, p. 31 ss.; ma già, P. Rescigno, Situazione e statusnell’esperienza del diritto, in questa Rivista, 1973, I, p. 222 s.; nonché, N. Irti, L’età delladecodificazione, in D. e società, 1978, p. 631; e ora in Id., L’età della codificazione, 4a ed.,Milano 1999, p. 41.

(65) Op. ult. cit., p. 2911 ss.(66) Op. ult. cit., p. 3003 ss.(67) Op. ult. cit., pp. 2979 ss., spec. p. 2998 s.

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disse — « direttive interne di sistema » (68) e come tali esigenti una intensa esevera opera di rivisitazione e revisione dell’intero edificio privatistico. Ma aun certo punto troppo grande è dovuto apparire il gap accumulatosi tra or-dine legale e società reale per non suscitare il dubbio che non fosse proprioil codice, il codice civile, con la sua rigida disciplina regolamentare essen-zialmente basata su tipizzazione di comportamenti e fissità di ipotesi già de-finite, a rappresentare un serio ostacolo alla necessaria espansione dei prin-cipi costituzionali anche nella disciplina dei rapporti di diritto privato (69);che non fosse in altri termini proprio il codice a impedire quel necessariorinnovamento dell’ordinamento privatistico in grado di agganciare il diveni-re storico dell’esperienza e tracciare anche le linee direttive di una società intrasformazione.

Da qui la proposta lanciata da Stefano Rodotà, nella prolusione macera-tese del 1966 su « Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile » (70), diuna legislazione di tipo nuovo e diversa, una legislazione per principi espri-mentesi in clausole generali, reputata più idonea a garantire la penetrazionenell’ordine giuridico delle esigenze della vita sociale come pure a dettare rego-le prospettive della organizzazione sociale, con giudici e giuristi nel ruolo an-ch’essi di protagonisti, gli uni — i giudici — in funzione di equilibrio tra re-golazione giuridica e ricostruzione della realtà; gli altri — i giuristi — non piùin funzione di notai della storia, ma con compiti fondativi di una cultura giu-ridica nuova, diversa, « altra », non più soltanto ricostruttiva, bensì anchecreativa e riformatrice a un tempo.

Fiducia illuministica nella razionalità del legislatore, come scrisse Natali-no Irti (71), oppure necessità di un metodo nuovo di fare diritto, diritto sot-tratto, per intima aderenza a principi e valori costituzionali, alla indifferenzacontenutistica e come tale diritto legittimo e non più soltanto legale?

Sappiamo tutti com’è andata. Una massiccia proliferazione, come si ègià anticipato, di leggi speciali, assai spesso improvvisate, quasi sempre di-sorganiche e contingenti, a volte contrattate e — quel che è peggio — nellamaggior parte dei casi portatrici di esasperato particolarismo giuridico senon proprio di caos normativo, di sicuro non istitutive di generali linee di-rettive o regole prospettive della vita sociale né espressive di discipline che,per quanto conformi a corrispondenti principi costituzionali, potessero va-

(68) S. Rodotà, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Le prolusioni deicivilisti, III (1940-1979), p. 3094. Ma v. altresì, S. Cotta, Il giurista e la società in trasfor-mazione, in Iustitia, 1966, p. 297.

(69) Scrive G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari2000, p. 340: « quello (cioè il Codice civile del 1942) diviene un ostacolo alla diffusione ealla pratica applicazione dei nuovi valori costituzionali garantiti dalla Costituzione repub-blicana anche nei rapporti tra privati governati dal Codice civile ».

(70) Ivi, p. 3091 ss.(71) Una generazione di giuristi, cit., p. 38.

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lutarsi « in netta contraddizione con il sistema espresso dal codice » (72).Più che il proficuo dibattito suscitato dal tema delle « clausole genera-

li » (73), sarà piuttosto il processo di internazionalizzazione e complessifica-zione delle fonti del diritto, e soprattutto il processo di integrazione giuridicaeuropea — per tutto ciò che questo ha rappresentato e continua a rappresen-tare in termini di affermazione di nuovi valori, principi e diritti — a restituirerinnovato vigore a quella indicazione, non esistendo, a mio avviso, alternativevalide alla costruzione di un comune diritto privato europeo che non sia fon-dato sull’unità nella diversità: l’unità appunto di principi generali uniformi ela diversità di adattative regole nazionali di fattispecie (74).

Che poi spetti alla cultura giuridica un ruolo di primissimo piano anchenella edificazione di un coerente quadro di principi ordinanti dell’intero siste-ma è verità sicuramente incontrovertibile (75). Ma la constatazione è che, aparte il legislatore, neppure gli altri protagonisti coinvolti nel progetto si mo-strarono all’altezza del compito. La giurisprudenza, in funzione di mediazio-ne dei conflitti sociali, determinò esiti che vennero subito giudicati « del tuttosconfortanti » (76). La dottrina del diritto civile, a sua volta, quando non pre-ferì riaffermare i valori tradizionali (77), sembrò mancare anch’essa l’obietti-vo, come dimostra per tutti il rapido spegnersi del dibattito suscitato dallaproposta di Pietro Barcellona di un uso alternativo del diritto (78). E non è un

(72) R. Nicolò, Diritto civile, cit., p. 75.(73) Al riguardo, nella Prefazione (Quarant’anni dopo) alla ristampa di Ideologie e tec-

niche della riforma del diritto civile, Napoli 2007, S. Rodotà parla di « piccola battagliavinta » (p. 13), ma aggiungendo subito dopo che « non ci si può fermare a qualche soddi-sfatta constatazione » (p. 14).

(74) Per più ampi svolgimenti di tale assunto, V. Scalisi, Il nostro compito nella nuovaEuropa, ora in Id., Fonti — teoria — metodo. Alla ricerca della « regola giuridica » nel-l’epoca della postmodernità, cit., p. 329 ss.; nonché, Id., Per un diritto privato comune eu-ropeo (nel centenario della nascita di Alberto Trabucchi), ivi, p. 453 ss.

(75) Già verso la metà degli anni cinquanta pagine memorabili sulla importanza delruolo della cultura giuridica nel processo di realizzazione dei valori giuridici aveva scritto ilfine e sottile indagatore della cultura umana quale base della egemonia planetaria dell’uo-mo, R. De Stefano, Il problema del diritto non naturale, Milano 1955, pp. 245 s., 250 ss.,256 ss., nonché, con particolare riferimento alla cultura in generale, i due volumi dello stes-so A., Per un’etica sociale della cultura, I. Le basi filosofiche dell’umanesimo moderno, Mi-lano 1954; II. La cultura e l’uomo, Milano 1963.

(76) G.B. Ferri, La cultura del civilista tra formalismo e antiformalismo, in R. d.comm., 1993, I, p. 171; e in Id., Le anamorfosi del diritto civile attuale, Saggi, Padova1994, p. 99.

(77) G.B. Ferri, Antiformalismo, democrazia, codice civile, in R. d. comm., 1968, I, p.347 ss.

(78) Cfr. gli atti del noto incontro di studio, svoltosi a Catania nei giorni 15-17 maggio1972, per iniziativa di P. Barcellona, raccolti in due volumi a cura dello stesso, L’uso alter-nativo del diritto, I. Scienza giuridica e analisi marxista, II. Ortodossia giuridica e praticapolitica, Roma-Bari 1973, nonché le pagine introduttive redatte dallo stesso curatore. Perun’ampia disamina critica su ascesa e declino di tale movimento di pensiero: P. Costa,

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caso, se alla fine degli anni settanta, Pietro Rescigno potrà annotare che nonsono ancora « numerosi i contributi specifici sulle materie del diritto privatoin cui possa avvertirsi un rapporto immediato e immediatamente percettibiletra sistema costituzionale e diritto privato » (79).

Anche di qui, più attuale che mai, l’invito, formulato da Pietro Perlingie-ri nella prolusione camerte del 1969 (80), a evitare — oltre all’utopia dei soliprincipi — pericolose fratture tra produzione scientifica e realtà pratica (81),attraverso il ripudio di ogni concettualismo (sia dogmatico che sociologico) ela conseguenziale messa in campo di una necessaria e creativa attività di in-terpretazione in funzione di costante adeguamento e commisurazione dellanorma al fatto da regolare: adeguamento e commisurazione, che, in nessuncaso però, stante il rapporto di costante tensione dialettica tra norma e rap-porti economico-sociali, dovrebbero prescindere per un verso dalla storicizza-zione delle categorie giuridiche e per altro verso da una rilettura sistematicadi Codici e leggi alla luce dei principi costituzionali.

Poteva bastare? Può bastare ripristinare l’ordine dei fattori, anche diquelli costituzionali, per conseguire la piena corrispondenza della norma allavivente realtà della società?

Secondo Nicolò Lipari (prolusione barese del 1968 su « Il diritto civiletra sociologia e dogmatica » (82)) era ormai tempo di guardare oltre lo scher-mo formale del dato legale e cioè direttamente all’esperienza giuridica nellaconcretezza del suo storico divenire, all’esperienza — secondo la incisiva for-mula di Enrico Paresce (83) — in quanto « matrice feconda dei valori », perdare alla norma quel senso, che, appunto in chiave di valore, « è presente, se-condo le condizioni storiche e sociali del momento, nella totalità dell’esperien-za » e che spetterebbe all’interprete cogliere e ricostruire con procedimentonecessariamente creativo, secondo criteri non tecno-sistematici e formalistico-

L’alternativa « presa sul serio »: manifesti giuridici degli anni Settanta, in Dem. e d., 1987,n. 3, p. 15 ss., e ora ripubblicato in Dem. e d., 2010, n. 1-2, p. 242 ss., con una Nota dellostesso A., ivi, p. 279 ss.

(79) P. Rescigno, Diritti civili e diritto privato, in Aa.Vv., Attualità e attuazione dellaCostituzione, 2a ed., Roma-Bari 1982, p. 237.

(80) Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Le prolusioni deicivilisti, III (1940-1979), cit., p. 3181 ss.

(81) Nello stesso arco temporale a sollecitare il superamento di ogni frattura tra scienzae pratica del diritto è anche C.M. Bianca, Il principio di effettività come fondamento dellanorma di diritto positivo: un problema di metodo della dottrina privatistica, in Estudios dederecho civil en honor de Castàn Tobeñas, II, Pamplona, 1969, spec. p. 63 ss., secondo cuila norma va assunta « così come essa si presenta nella realtà dell’esperienza di un determi-nato tempo e di un determinato luogo », avuto riguardo alla giurisprudenza come indice dieffettività della stessa (ivi, p. 67 ss.). Dello stesso A., per analogo ordine di considerazioni,Interpretazione e fedeltà alla norma, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, I, 1, Milano1978, p. 147 ss.

(82) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 3137 ss.(83) Voce Dogmatica giuridica, in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 689.

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legalitari bensì anch’essi direttamente tratti dalla realtà storica e dal contestodel tessuto sociale, in modo da sociologizzare la dogmatica, ma dogmatizzan-do nel contempo la sociologia (84). In questo senso anche il rigido limite deldettato costituzionale, non meno della norma ordinaria, resterebbe ancoratoalla storia e ai mutamenti della realtà sociale.

La positività normativa cedeva così il posto alla positività della « realtàsociale » dei valori e questa, a sua volta, suscitava e poneva angosciose e in-quietanti domande, tra tutte quella della concreta e oggettiva conoscibilitàdella realtà sociale, e l’altra della concreta e oggettiva individuazione dei va-lori che quella manifesta e realizza. Il rinvio alla sociologia, proposto da Lipa-ri, non è la soluzione, ma la semplice trasposizione di un problema, che rima-neva e rimane aperto e sicuramente destinato ad aggravarsi, ove si volesse ri-tenere — come pure più recentemente proposto (85) — di utilizzare l’analisisociologica anche per risolvere la concorrenza tra fonti (legali e di fatto), conl’ulteriore rischio, che pure si dichiara di voler scongiurare, di fare della giuri-dicità la « mera registrazione di un accaduto », piuttosto che il limite all’acca-dere e alla mera fruizione di rapporti di forza.

Il richiamo ai valori, quali entità storico-reali dell’esperienza, non costi-tuiva né costituisce in realtà una novità per la dottrina italiana neppure perquella più recente (86). Ma non si può non convenire che l’applicazione cheora si proponeva di farne al diritto civile conferiva oggettivamente ulteriore epiù forte spinta al processo di definitiva affrancazione anche di questa vastaarea della giuridicità da quell’onda lunga di esasperato formalismo legalisticoe rigido dogmatismo che si trascinava dalla pandettistica, confermando ancheper il diritto civile il carattere di realtà vivente radicata nel profondo della so-cietà prima ancora che forma e decisum di un potere legislativo sovrano (87).E in tale assunto, ma solo in tale assunto, può anche riassumersi la cifra ditutto il pensiero civilistico quale si era venuto sviluppando nelle prolusioni deldecennio.

5. — Il decennio degli anni sessanta, che appena si chiudeva, aveva su-scitato, ma lasciato sostanzialmente irrisolti, inquietanti interrogativi: dalproblema della isolabilità e comprensione della esperienza giuridica a quello

(84) Scrive N. Lipari, op. ult. cit., p. 3175: « il giurista deve interpretare sociologica-mente la norma o il sistema e dogmaticamente la realtà o il dato sociale ».

(85) Dallo stesso N. Lipari, Diritto e sociologia nella crisi istituzionale del postmoderno,in R. crit. d. priv., 1998, p. 409 ss., spec. p. 421.

(86) Il riferimento è soprattutto all’opera del filosofo del diritto R. De Stefano, su cui ilnostro Assiologia e teoria del diritto (rileggendo Rodolfo De Stefano), ora in Id., Fonti —teoria — metodo. Alla ricerca della « regola giuridica » nell’epoca della postmodernità, cit.,p. 227 ss.

(87) In questo senso una sperimentazione innovativa poteva considerarsi il volume cu-rato dallo stesso N. Lipari, Diritto privato. Una ricerca per l’insegnamento, Roma-Bari1972.

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dei criteri decisori dei contenuti normativi della legge; dal problema dellasoggettività interpretante a quello della fondabilità conoscitiva e controllabili-tà dei valori (88); dal problema del politeismo e anomia di tali valori a quellodella relatività e storicità degli stessi principi e fondamenti costituzionali epersino della possibile conflittualità tra i medesimi (89).

Ma le prolusioni si spengono e il decennio degli anni settanta ne testimo-nia il definitivo tramonto. L’opera di rivisitazione e revisione prosegue, mapredilige altre sedi: il convegno, la rivista (90), il trattato, il commentario, lamonografia di alto impegno teorico-dogmatico. Dibattiti, all’epoca anchemolto accesi, come quello già ricordato sull’uso alternativo del diritto (91),sull’analisi economica del diritto (92), sulla politica del diritto (93), sulla deco-dificazione o l’esegesi come ultima razionalità rimasta al giurista (94), non la-sciarono particolari segni di svolta. Al convegno messinese sui Cinquant’annidi esperienza giuridica in Italia, svoltosi a Taormina nel novembre del 1981,Rosario Nicolò poteva dichiarare che quella appena decorsa non sembrava« una stagione felice » per gli studi civilistici e neppure forse per gli studi giu-ridici in generale (95). Eppure proprio in quegli anni nuovi orizzonti avevanoaperto anche allo studio del diritto civile l’assiologismo storico-realistico diAngelo Falzea (96) e il c.d. « pensiero per valori » o « dogmatica dei valori »

(88) In tema, G. Palombella, Si possono conoscere i valori nel diritto? Per un modelloepistemologico e pratico, in R. crit. d. priv., 1998, p. 7 ss.

(89) Sulla compresenza in Costituzione di « più valori e più principi che possono trovar-si in situazione di conflitto »: M. Fioravanti, Le dottrine dello Stato e della Costituzione, inR. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano. Dall’unità a oggi, Roma 1995, p. 421.

(90) È questo il periodo in cui si assiste a una crescita quantitativa e qualitativa delle ri-viste: S. Rodotà, in P. Grossi (a cura di), La « cultura » delle riviste giuridiche italiane, Attidel primo incontro di studio (Firenze, 15-16 aprile 1983), Milano 1984, p. 86.

(91) Supra, nt. 78.(92) Spec. P. Trimarchi, L’analisi del diritto: tendenze e prospettive, in Quadr., 1987,

pp. 563-582. E per applicazioni, Id., Rischio e responsabilità oggettiva, Milano 1961; non-ché: Aa.Vv., Interpretazione giuridica e analisi economica, Milano 1982; Aa.Vv., Analisieconomica del diritto privato, Milano 1998.

(93) Simbolo di tale movimento di pensiero la rivista, Politica del diritto, fondata nel1970, da Stefano Rodotà (v. l’editoriale che apre il primo numero della rivista). Tra i pro-tagonisti: G. Tarello, Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna 1988. Sul rapportopolitica-diritto, le illuminanti pagine di L. Mengoni, Diritto e politica nella dottrina giuridi-ca, in Iustitia, 1974, p. 337 ss., ora in Id., Scritti, I. Metodo e teoria giuridica (a cura di C.Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi), Milano 2011, p. 149 ss.

(94) N. Irti, L’età della decodificazione, cit., passim.(95) Diritto civile, cit., p. 76. Per una rivisitazione della cultura privatistica degli anni set-

tanta, L.Nivarra (a cura di),Gli anni settanta del diritto privato, Milano 2008; e ivi, il contri-buto dello stesso curatore del volume, Ipotesi sul diritto privato e i suoi anni settanta, pp. 1-27.

(96) In particolare, Introduzione alle scienze giuridiche, giunta alla 6a ed., Milano 2008;Voci di teoria generale del diritto, 3a ed., Milano 1985; Ricerche di teoria generale del dirit-to e di dogmatica giuridica, I. teoria generale del diritto, Milano 1999; II. dogmatica giuri-

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di Luigi Mengoni (97). Sono stati anche anni di importanti innovazioni legisla-tive, tra cui l’introduzione del divorzio, l’abbassamento della maggiore età, lalegalizzazione dell’aborto, la riforma soprattutto del diritto di famiglia e quel-la sulla locazione di immobili urbani, ma la dottrina, che pure si mostra sen-sibile e attenta a cogliere le novità ma anche i ritardi, è ormai attratta daquella che è stata definita la cultura giuridica del riflusso e del ritorno al pri-vato, con il diritto civile che « sembra risolversi in una tecnica difensiva eprotettiva » dell’individuo in quanto tale (98). La stessa rilettura costituziona-le di codici e leggi speciali accusa insufficienze e limiti di varia natura, per as-senza — come si disse (99) — di una puntuale e precisa individuazione dellarilevanza di norme e principi costituzionali nei singoli rapporti concreti.

In questo quadro di elaborazione scientifica « liquida », tipicamente po-stmoderna, che rifletteva a sua volta una stagione del diritto divenuto anch’es-so « liquido », e che tuttora si protrae, Pietro Perlingieri scrive l’ultima paginadi un genere letterario che pure — come si è visto — molto aveva contribuitoall’avanzamento degli studi civilistici e traccia il manifesto di un nuovo itinera-rio, che garantisca l’approdo a una nuova stagione del diritto civile, quella del« diritto civile costituzionale »: è la prolusione napoletana del 1979 intitolata« Norme costituzionali e rapporti di diritto civile » (100), avente del manifestoscientifico, a giudizio di Natalino Irti, « il pathos e la fertilità » (101).

dica, Milano 1997; III. scritti d’occasione, Milano 2010. Sull’assiologismo di Angelo Falzea,P. Grossi, Omaggio ad Angelo Falzea, in Giornate in onore di Angelo Falzea (15-16 feb-braio 1991), Milano 1993, p. 149 ss.; D. Farias, La teoria generale del diritto tra vita escienza, ivi, p. 2001 ss.; N. Irti, La filosofia di una generazione, cit., p. 97; nonché V. Sca-lisi, I professori del genere civilistico istituzionale a Messina (dalla tragedia del terremotoal secondo conflitto mondiale), e Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, en-trambi ora in Fonti — teoria — metodo. Alla ricerca della « regola giuridica » nell’epocadella postmodernità, cit., pp. 168 ss., 276 ss.

(97) Spec. Diritto e valori, cit.; nonché, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Saggi, Mila-no 1996.; ma v. altresì, La questione del « diritto giusto » nella società postliberale, in Fe-nomenologia e società, 1988, p. 9 ss.; Diritto e tecnica, in R. trim. d. proc. civ., 2001, p. 1ss. Per una puntuale ricostruzione nell’ottica dei valori: N. Lipari, Luigi Mengoni ovvero ladogmatica dei valori, in R. trim. d. proc. civ., 2002, p. 1063 ss.; e più in generale sul pen-siero di Luigi Mengoni: L. Nogler e A. Nicolussi (a cura di), Luigi Mengoni o la coscienzadel metodo, cit.; nonché gli Atti del Convegno « Luigi Mengoni dieci anni dopo » (Milano,21 ottobre 2011), in Europ. d. priv., 2012, p. 3 ss. (tra cui, per quanto può qui interessare,relazioni di P. Grossi, G. Zaccaria, G. Benedetti).

(98) N. Irti, Una generazione di giuristi, cit., p. 980 s.(99) P. Perlingieri, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Le prolusioni dei

civilisti, III (1940-1979), cit., p. 3213.(100) In Le prolusioni dei civilisti, III (1940-1979), cit., p. 3211 ss. Ma per la fondazio-

ne di un « diritto civile costituzionale », dello stesso A., Scuole civilistiche e dibattito ideolo-gico: introduzione allo studio del diritto privato in Italia, in questa Rivista, 1978, I, p. 414ss.; ora in Id., Scuole tendenze e metodi. Problemi di diritto civile, Napoli 1989, p. 83 ss.

(101) N. Irti, Quattro giuristi del nostro tempo, in Scuole e figure del diritto civile, 2a

ed., Milano 2002, p. 436.

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Al centro dell’intero edificio privatistico viene chiamato il principio di le-galità costituzionale, ma non più in funzione soltanto di « limite » ai fini del-l’incidente di incostituzionalità della norma ordinaria, bensì soprattutto qualeprincipio fondativo di un nuovo « giudizio di meritevolezza » degli enunciatinormativi. Vi fa riscontro la proposta di una nuova metodologia interpretati-va diversa da quella tradizionale, ossia una metodologia interpretativa « co-stituzionalmente orientata », in quanto rivolta a trasferire il precetto costitu-zionale direttamente nel contenuto della norma ordinaria. Fondamentale vie-ne giudicata in ogni caso la disposizione gerarchica dei valori costituzionalicon la persona umana e il suo libero sviluppo in posizione apicale e di vertice,quale Grundwert dell’intero sistema, e le situazioni patrimoniali conseguente-mente piegate a funzione strumentale di quelle esistenziali. Ma il principio dilegalità costituzionale risulterebbe depotenziato se non si riconoscesse imme-diata Drittwirkung, ossia diretta rilevanza applicativa, alla norma costituzio-nale, in quanto non soltanto regola ermeneutica ma anche e soprattutto nor-ma anch’essa di comportamento direttamente e immediatamente operativanei rapporti interprivati (102), quale necessaria conseguenza dei principi di le-galità, gerarchia e unitarietà del sistema (103).

Un nuovo inizio, che ha sicuramente prodotto frutti cospicui soprattuttonella formazione e nel lavoro delle giovani generazioni e che a oggi conservatutta intatta la sua attualità e validità (104).

Certo nel frattempo altri e imponenti fenomeni avrebbero intercettato lavita del diritto civile: il processo di integrazione giuridica europea con la con-seguente necessità di costruire un diritto privato comune europeo; la forzacrescente di una globalizzazione divenuta sempre più pervasiva e avvolgentecon il diritto fattosi inevitabilmente « sconfinato » (105); l’avvento postindu-striale e l’impetuoso esplodere della complessità sociale che, tra diversità econflitti, ha reso quasi impossibile la ricerca di nuove sintesi unitarie e dinuovi equilibri; l’inarrestabile dispiegarsi della potenza della tecnica, anchesul nascere e il morire, e ciononostante sempre meno remissiva e disponibile

(102) Su posizioni divergenti, P. Rescigno, Introduzione al Codice civile, 2a ed., Roma-Bari 1992, p. 62 ss.; C. Salvi, Norme costituzionali e diritto privato, in R. crit. d. priv.,2004, p. 241.

(103) Nel solco di tali enunciati i volumi dello stesso A., Il diritto civile nella legalità co-stituzionale, 1a ed., Napoli 1984; Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un siste-ma italo-comunitario delle fonti, Napoli 1992; e ora Il diritto civile nella legalità costituzio-nale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., del tutto rinnovata e corredatadi note, Napoli 2006 (sul cui pregio le lucide riflessioni di P.Grossi, Il diritto civile nella le-galità costituzionale, in Rass. d. civ., 2009, p. 914 ss.).

(104) Secondo M. Pennasilico, Legalità costituzionale e diritto civile, in P. Perlingieri eA. Tartaglia Polcini, Novecento giuridico: i civilisti, cit., p. 281: « la “costituzionalizzazio-ne” del diritto civile è un dato ormai interno alla scienza e all’esperienza giuridiche ».

(105) M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale,Roma-Bari 2006.

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ai controlli; il prepotente emergere di un nuovo idolo planetario, il mercato,con la sua insopportabile pretesa egemonica di dominio; la postmodernità conle sue inquietanti aporie decostruttive e antifondazioniste.

Tutti temi del nostro tempo presente, con i quali di certo anche la dottri-na del diritto civile è chiamata a misurarsi, ma per i quali forse il terreno del-la prolusione può apparire troppo angusto e inadatto. Resta, tuttavia, almenoin chi appartiene ormai ad altra generazione, un sottile filo di rimpianto perun cerimoniale liturgico, che nel tempo ha sicuramente saputo segnalare pro-blemi ma anche indicare sentieri di sincero rinnovamento degli studi.

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Giovanni D’AmicoProf. ord. dell’Università « Mediterranea » di Reggio Calabria

LA PROPRIETÀ « DESTINATA »

Sommario: 1. Premessa. La « destinazione » a uno scopo e i poteri (di godimento e di dispo-sizione) del proprietario. — 2. Destinazione e diritti dei terzi. La destinazione come attodi conformazione/funzionalizzazione del diritto di proprietà da parte del suo titolare. —3. La novità dello strumento introdotto dall’art. 2645 ter. — 4. Destinazione e interessimeritevoli di tutela.

1. — Nella letteratura, ormai copiosa, che si è formata sull’atto di desti-nazione ex art. 2645 ter, non si è mancato di evidenziare — tra le tante chia-vi di lettura che sono state proposte — il profilo per cui l’istituto in esame in-terferisce specificamente con il tema della proprietà (prima e più ancora checol tema della tutela del credito).

Dei due « effetti » che l’atto di cui parla l’art. 2645 ter produce — ossial’effetto di « destinazione » e l’effetto di « segregazione » (o creazione di unpatrimonio separato) — il primo è senza dubbio quello determinante, appa-rendo in un certo senso come un prius del secondo, sia dal punto di vista logi-co che dal punto di vista pratico.

Ora, se ci si interroghi su cosa significhi « destinare » un bene ad uno sco-po (ovvero — detto altrimenti — imporre ad un bene un vincolo di destinazio-ne), è agevole rispondere che ciò significa (comunque, e anzi tutto) limitare lafacoltà di uso e/o la facoltà di disposizione del proprietario di tale bene.

L’effetto di destinazione dovrà essere individuato, dunque, entro dettecoordinate.

Orbene, le limitazioni delle facoltà (di godimento e di disposizione) delproprietario di una cosa — a parte quelle che discendono dalla necessità di ri-spettare (e non ledere) diritti altrui, sia di natura pubblica (ad es. rispetto didistanze nell’interesse pubblico) che di natura privata (ad es.: divieto di im-missioni) — possono derivare o da « poteri » che un terzo soggetto (ancorauna volta: pubblico o privato) abbia in relazione a quella cosa (1), oppure da

(1) Si pensi, da un lato, a vincoli di tipo « pubblicistico » (come ad es. un vincolo diinedificabilità preordinato alla espropriazione di un terreno in vista della realizzazione diun’opera dichiarata di pubblica utilità); dall’altro, ai tradizionali diritti reali su cosa altrui(come un diritto d’uso, una servitù, un usufrutto). Oppure — passando ad esaminare le li-mitazioni e i vincoli al potere di disposizione del dominus — si pensi al vincolo di inaliena-bilità che può accompagnarsi per alcuni anni alla proprietà di beni ottenuti in virtù di age-volazioni pubbliche (come ad es. un alloggio di edilizia economica e popolare), o al « limi-te » che il proprietario subisca in relazione all’esistenza di un diritto di prelazione (legale oconvenzionale).

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una « conformazione » che la proprietà (o, se si preferisce, l’esercizio delle fa-coltà ad essa inerenti) subisce per la necessità di realizzare la funzione socialedi cui all’art. 42, comma 2o, Cost. (si parla, in questi casi, di un limite « inter-no »).

Le prime domande da porsi sono allora — direi — le seguenti:a) posto che l’effetto di destinazione di cui all’art. 2645 ter consiste —

come detto — nell’imposizione di un vincolo al proprietario della cosa, talevincolo riguarda il potere di godimento, quello di disposizione, oppure en-trambi?

b) in che termini (e con quale contenuto) può prospettarsi — a frontedel vincolo gravante sul proprietario (o sul gestore, cui il proprietario abbiaaffidato la « gestione » destinata della cosa) — un diritto e/o una (posizionecomunque di) « pretesa » dei terzi rispetto alla cosa?

Alla prima domanda è possibile rispondere alquanto agevolmente. Sem-bra, infatti, abbastanza sicuro che la « destinazione » del bene ad uno scoponon comporti — di per sé — limiti particolari al potere del proprietario ditrasferire (con atto inter vivos, o in virtù di una vicenda successoria mortiscausa) il bene a terzi (2). Lo dimostra il fatto che tra i « terzi » cui la trascri-zione rende opponibile l’atto di destinazione non si dubita che rientrino anchei c.d. « aventi causa » (il che presuppone che ci si trovi di fronte ad un beneche abbia formato oggetto di trasferimento); lo dimostra altresì — se si vuoleavere un riscontro testuale più immediato — la circostanza che è lo stesso art.2645 ter, laddove ipotizza una durata del vincolo di destinazione sino a 90anni (o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria), a prevedere(implicitamente) che il vincolo possa sussistere (durare) anche dopo la mortedel « conferente » (3), e dunque in capo a soggetti (eredi o legatari) ai quali ilbene sia stato trasferito mortis causa (in particolare attraverso un testamen-to) (4). E, se non sussistono limiti al trasferimento del bene (con il vincolo chelo connota) per effetto di una successione mortis causa, non si vede perché li-miti siffatti possano porsi (in considerazione della presenza del vincolo) conriguardo ad atti di trasferimento del bene inter vivos (5).

(2) Questo non esclude che il singolo, concreto, atto di destinazione possa anche preve-dere un divieto di alienazione. Con riferimento ad ipotesi siffatte (che — comunque — noncostituiscono probabilmente le ipotesi da assumere come « tipiche ») può esser vera l’affer-mazione che ravvisa la novità dell’art. 2645 ter nell’aver introdotto una deroga al principiodi cui all’art. 1379 c.c.: così Luminoso, Contratto fiduciario, trust e atti di destinazione exart. 2645 ter c.c., in R. not., 2008, p. 993 ss., pp. 997-98.

(3) Così la norma in esame chiama — con singolare espressione — l’autore dell’atto didisposizione.

(4) Sull’acquisto mortis causa (a titolo di eredità o di legato) del bene gravato da unvincolo di destinazione v., in generale, Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione: nuo-ve sfide per la pubblicità immobiliare, Padova 2012, p. 39 ss., nonché De Rosa, Atti di de-stinazione e successione del disponente, in www.scuoladinotariatodellalombardia.org.

(5) Semmai, il « potere di disposizione » del proprietario potrà risultare « limitato »

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Più complessa è invece la risposta al secondo quesito, come vedremo su-bito nel paragrafo che segue.

2. — Acclarato che la « destinazione » si traduce in una limitazione (so-prattutto, se non esclusivamente) della facoltà di godimento (6) che ineriscealla titolarità (proprietà) del bene, occorre chiedersi se a detta limitazione (incapo al proprietario) corrisponda un « diritto sulla cosa » che possa configu-rarsi in capo al beneficiario (o ai beneficiari) previsti dall’atto di destinazio-ne (7).

Ora, benché non sia da escludere che la « destinazione » del bene possaconsistere anche nell’attribuzione a terzi (i beneficiari) del potere di godimen-to diretto del bene medesimo (si pensi alla destinazione di un terreno privatoa « parco giochi » per i bambini di una scuola, o della parrocchia; o, ancora,alla destinazione di un fabbricato a « mensa per i poveri » (8), affidata allagestione del Comune), non può nemmeno escludersi per altro verso che la« destinazione » di un bene a vantaggio di uno o più soggetti prescinda affat-to dal godimento « diretto » di tale bene da parte del/dei beneficiario/i, ecomporti soltanto un obbligo di impiego delle « rendite » in suo/loro favo-re (9).

Del resto — a parte la considerazione che, volendo configurare la posizio-ne del beneficiario (di un atto di destinazione) in termini di « diritto reale »,ci si dovrebbe porre il problema di quanto ciò sia compatibile con il principiodel numerus clausus dei diritti reali — ad escludere la prospettiva qui consi-derata sta anche l’osservazione secondo la quale non bisogna confondere laopponibilità (ai terzi) del vincolo con la realità. Quest’ultima è una caratteri-stica della situazione giuridica e dipende dalla ricorrenza di una serie di ca-

dall’atto di destinazione, non tanto nel senso che quest’ultimo implichi un divieto di dispor-re della cosa, ma piuttosto nel senso che esso possa (esplicitamente o implicitamente) com-portare un obbligo di disporre per la realizzazione dello scopo (ad es. un obbligo di dare inlocazione il bene, per destinare le « rendite » al soddisfacimento dei bisogni del beneficiariodell’atto di destinazione).

(6) Anche nel senso, eventualmente, di escludere un godimento diretto del bene, e diimporre una sua utilizzazione « fruttifera » (= concessione del godimento a terzi, verso cor-rispettivo). V. testo e nota precedente.

(7) In altri termini, si tratta di stabilire se tali soggetti (terzi) acquistino, in virtù del-l’atto di destinazione, un diritto accostabile ai tradizionali diritti reali su cosa altrui (comel’uso, l’usufrutto, la servitù, ecc.), e quindi appunto qualificabile in senso proprio come undiritto sulla cosa.

(8) O a casa di riposo per anziani, per riprendere un esempio proposto da Cian, Rifles-sioni intorno ad un nuovo istituto del diritto civile: per una lettura analitica dell’art. 2645ter c.c., in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, I, Padova 2007, p. 83 ss.

(9) Si potrebbe sostenere che un diritto del beneficiario di far propri i « frutti » (rendi-te) della cosa, sarebbe analogo al diritto dell’usufruttuario. Ma, anche ammesso questo, ciònon basterebbe a far dire che ci troviamo di fronte ad un diritto « reale » (= sulla cosa), sedifetta (come qui supponiamo) il carattere della « immediatezza » del rapporto (con la co-sa).

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ratteri (inerenza del diritto alla cosa, immediatezza, ecc.) dai quali discendeanche la c.d. « assolutezza » (intesa come possibilità di far valere il diritto er-ga omnes); l’opponibilità, invece, prescinde — come tale — dalla natura(reale o personale) del diritto.

I terzi hanno dunque una « pretesa » (non sulla cosa, bensì) verso il pro-prietario al rispetto della destinazione impressa alla cosa, sia che ciò si tradu-ca in una possibilità loro concessa di utilizzazione della cosa stessa, sia checomporti un beneficio « mediato » (avente ad oggetto, cioè, i frutti della cosa,o — per meglio dire — la « pretesa » ad un certo impiego degli stessi).

Negare (come abbiamo appena fatto) che questa « pretesa » (recte: inte-resse) consista in un potere diretto e immediato sulla cosa (quale tipicamentesussiste nel caso dei diritti reali in re aliena) (10) non significa, peraltro, dovergiocoforza riconoscere che ci si trova di fronte ad un (semplice) diritto di cre-dito (11). L’opponibilità ai terzi della destinazione del bene, infatti, sta co-munque ad indicare l’esistenza di un quid che riguarda la cosa come tale, an-corché questa « pretesa » non si esprima — lo si ripete — nella forma di un(tradizionale) diritto reale.

E — se è consentito aprire una breve parentesi — proprio perché qui è la

(10) Per la tesi, invece, che ipotizza il sorgere in capo al beneficiario (del vincolo di de-stinazione) di un diritto reale (atipico), v. Bianca-D’Errico-De Donato-Priore, L’atto nota-rile di destinazione, Milano 2006, p. 45; D’Errico, Le modalità della trascrizione e i possi-bili conflitti che possono porsi tra beneficiari, creditori ed aventi causa del conferente, inAa.Vv., Negozi di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata,Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Il Sole-24 Ore, Milano 2007, p. 86 ss.Critiche a questa tesi si leggono ad es. in Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione,cit., p. 28 ss., spec. p. 31 ss. (ed ivi ulteriori riferimenti).

(11) Così invece Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. civ., 2006, p. 179(pur precisando che si tratterebbe di una « obbligazione » che attribuirebbe al creditorenon soltanto i tradizionali rimedi connessi all’inadempimento — in particolare il risarci-mento del danno ex art. 1218 c.c. —, ma altresì rimedi più efficaci — e, per così dire,« specifici » —, cui apre la porta la « opponibilità ai terzi » del vincolo di destinazione, se ein quanto trascritto).

Decisamente critico nei confronti di questa tesi è Spada, Il vincolo di destinazione e lastruttura del fatto costitutivo, cit., § 4, il quale scrive: « L’azione “popolare” (di qualsiasiinteressato alla realizzazione dell’interesse) è solo un prezzo legale della separazione: la se-parazione rende ex lege il comportamento funzionale e genera una specie di class action.L’idea di un creditore della destinazione (e, per di più, nella persona del beneficiario — co-me suggerisce Gazzoni) non ha senso alcuno. ... ».

E nella medesima logica — di non costruire una posizione soggettiva (quanto meno nonin termini di « diritto soggettivo ») in capo al beneficiario — sembra porsi chi ha richiama-to la categoria dell’« interesse legittimo alla corretta amministrazione dei beni » vincolatiad una destinazione (cfr. U. La Porta, L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibileai sensi dell’art. 2645 ter c.c., in Aa.Vv., Atti di destinazione e trust. Art. 2645 ter del codi-ce civile, a cura di G. Vettori, Padova 2008, p. 103, e anche in R. not., 2007, p. 1069 ss.; ev. anche Ghironi, La destinazione dei beni ad uno scopo nel prisma dell’art. 2645 ter c.c.,in R. not., 2011, p. 1130 ss.), oppure chi si è chiesto se non sia da valutare l’alternativa diconsiderare il beneficiario (anziché come un creditore) come « un semplice legittimato adagire ai sensi della norma in oggetto » (così Bullo, op. ult. cit., p. 34; corsivo aggiunto).

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trascrizione (del vincolo) a rendere possibile una opponibilità ai terzi che al-trimenti non sussisterebbe (mancando appunto — in ipotesi — un diritto« reale ») (12), hanno ragione — sembra da riconoscere — quelle posizionidottrinali che affermano il carattere costitutivo, che nella fattispecie in esamela pubblicità riveste (13). Né è persuasiva l’affermazione secondo la quale, inassenza della trascrizione, il vincolo di destinazione comunque varrebbe tra le« parti » (rectius: tra il proprietario e il beneficiario (14)): un semplice rappor-to « obbligatorio » — quale, allora, si potrebbe configurare — sarebbe infatticosa ben diversa (è appena il caso di evidenziarlo) da quel fenomeno « desti-natorio », che la disposizione in esame delinea, configurandolo come fatto

(12) Si accoglie qui, evidentemente, l’idea che l’opponibilità ai terzi sia connaturata« concettualmente » alla figura del diritto reale: ciò che corrisponde all’opinione forse mag-giormente diffusa, e tuttavia non incontestata, atteso che esistono posizioni dottrinali chericollegano l’opponibilità ai terzi, anche per i diritti reali, alla attuazione in concreto dellapubblicità (per una riflessione sul punto cfr. Comporti, Diritti reali in generale2, in Tratt.Cicu-Messineo, cont. da Mengoni e Schlesinger, Milano 2011, p. 95 ss.).

(13) Cfr., ad es. Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione, cit., spec. p. 105 ss.(14) Non è detto che questi due soggetti siano (o debbano diventare) « parti » di un

contratto. Sebbene non possa escludersi che la « destinazione » (della cosa) scaturisca daun « accordo » tra proprietario e terzo beneficiario (accordo che potrebbe financo assumerecarattere « oneroso »: così anche Lenzi, voce Atto di destinazione, in Enc. dir., Annali, V,Milano 2012, p. 61), nemmeno può escludersi che essa scaturisca (come, anzi, accadrà ilpiù delle volte) da un atto negoziale unilaterale.

Al più potrà discorrersi se questo atto (in tal caso, necessariamente, a titolo gratuito)— comportando un beneficio nei confronti di un terzo — richieda comunque un « con-senso » da parte di quest’ultimo (o, almeno, un non dissenso), onde possa parlarsi (se-condo uno schema concettuale ben noto) di un atto unilaterale con struttura a rilievobilaterale.

Deve comunque ritenersi (secondo l’opinione prevalente) che il vincolo di destinazione— anche se sorto in virtù di un atto unilaterale — non possa venir meno in virtù di unavolontà di « revoca » dello stesso successivamente manifestata dal « conferente », in parti-colare se questa volontà intervenga dopo che l’imposizione del vincolo sia stata comunica-ta al beneficiario, e ancor più se quest’ultimo abbia già dichiarato di volerne profittare(cfr. sul punto Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore,Milano 2007, p. 259 ss.; e Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione, cit., pp.51-52).

Peraltro, quando la costituzione del vincolo a favore di uno o più beneficiari sia avvenu-ta a titolo gratuito, si può porre — riteniamo — il problema di una applicazione analogicadi disposizioni come l’art. 1809, comma 2o (che prevede il diritto del comodante di richie-dere la « restituzione » immediata della cosa comodata se sia sopravvenuto un urgente eimpreveduto bisogno del comodante stesso) o come l’art. 803 c.c. (che prevede la revoca-zione della donazione per sopravvenienza di figli; norma la cui applicazione è estesa dal-l’art. 809 c.c. anche alle liberalità non donative).

Nella stessa logica (ma con soluzione tecnicamente diversa) qualche autore suggerisce diinserire nell’atto notarile di destinazione « una condizione risolutiva con la quale subordi-nare l’efficacia del contratto al sopraggiungere di una situazione esistenziale espressione diun interesse prioritario rispetto alla destinazione » (così G. Perlingieri, Il controllo di « me-ritevolezza », cit., p. 75). Soluzione che lascia aperto comunque il problema per le ipotesi incui una clausola siffatta non sia prevista nell’atto di destinazione.

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« oggettivo » (ossia relativo all’oggetto), e dunque in essenziale rapporto pro-prio con la « opponibilità ai terzi » (del vincolo) (15).

Tornando adesso alla linea principale del discorso, c’è — a questo punto— da porsi la (ulteriore) domanda: se l’atto di destinazione non crea in capoa terzi (beneficiari) un diritto reale sulla cosa, ma per altro verso non si ridu-ce nemmeno ad un mero vincolo « obbligatorio » che il proprietario assumanei confronti del beneficiario (o dei beneficiari), in che termini è descrivibilel’effetto di questo atto?

Un’idea alquanto suggestiva è che l’atto di destinazione sia espressione diun potere di conformazione della proprietà che sarebbe attribuito al proprie-tario stesso, e che consentirebbe di dar vita ad un modello proprietario atipi-co (16).

Sviluppando la suggestione, si potrebbe vedere nell’art. 2645 ter una sortadi delega allo stesso proprietario, titolare del diritto, del potere di funzionaliz-zare la proprietà, ossia di prevederne modalità di godimento (e di disposizione)tali da consentire di realizzare — non solo in via di fatto, ma in virtù di un as-setto giuridico acquisito dal bene — (anche) interessi di terzi ovvero interessisociali. Si invererebbe insomma, in tal modo — in una prospettiva di sussidia-rietà orizzontale, e dunque facendo ricorso alla stessa autonomia negoziale (17)

(15) Non avrebbe alcun senso considerare l’ipotetico (mero) « effetto obbligatorio » dicui si parla nel testo alla stregua di una specie di « effetto minore » che l’atto di destinazio-ne possa produrre, in caso di sua mancata trascrizione.

Quel che deve ribadirsi, insomma, è che atto di destinazione, ai sensi e per gli effetti dicui all’art. 2645 ter, è solo quello che risulti trascritto/trascrivibile. Un atto non destinatoalla trascrizione e/o non trascritto non integra il fenomeno di cui si occupa la norma inquestione, e andrà « qualificato » in base a norme diverse.

(16) Così Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione, cit., p. 31 ss., ove si richiamaaltresì la posizione di Benatti, Vincoli di destinazione, in Tratt. Gambaro-Morello, II, Mila-no 2011, p. 355 ss., spec. p. 385 ss.

Ante litteram, si veda La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Na-poli 1994, p. 79 ss. Prima dell’introduzione dell’art. 2645 ter c.c. è dubbio peraltro, a no-stro avviso, che un simile effetto di « conformazione » della proprietà (anche a tacere delproblema di come renderlo « pubblico », stante il principio di tipicità degli atti trascrivibili)potesse ritenersi conseguibile — in presenza di una regola del numerus clausus dei dirittireali — in applicazione del riconoscimento dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322c.c. (sarebbe, infatti, mancato l’interesse meritevole di tutela, nel significato in cui ne parlala disposizione in questione), e quale esplicazione del più ampio potere di disposizione spet-tante al proprietario (così, invece, Palermo, Contributo allo studio del trust e dei negozi didestinazione disciplinati dal diritto italiano, in R. d. comm., 2001, I, p. 391 ss.). Il poterericonosciuto all’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. avrebbe potuto infatti consentire(prima della introduzione dell’art. 2645 ter) di riconoscere al più (la legittimità di) un ne-gozio di destinazione con effetti esclusivamente obbligatori.

(17) Cfr., al riguardo, la formulazione dell’ult. comma dell’art. 118 Cost. (quale intro-dotto ad opera dell’art. 4 della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), alla stregua del quale « Stato,regioni, Città metropolitane favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e asso-ciati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidia-rietà ».

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— quel precetto della funzione sociale della proprietà (art. 42, comma 2o,Cost.), sin qui affidato per lo più (se non esclusivamente) ad interventi confor-mativi del diritto dominicale di matrice (eminentemente) eteronoma (18). Na-turalmente l’intervento « conformativo » riguarderebbe, in questo caso, nonuna tipologia di beni individuata (a priori) dal legislatore in considerazionedella idoneità a soddisfare interessi diversi da quelli del proprietario (e in parti-colare interessi di natura collettiva e/o sociale), bensì (e giocoforza, vista la ge-nesi « autonoma » del vincolo) uno o più beni singoli, sui quali lo stesso pro-prietario (e non potrebbe farlo se non rispetto a beni di sua spettanza) impri-merebbe un vincolo funzionale al soddisfacimento di interessi altrui (19).

Al di là della suggestione, non ci si può nascondere — tuttavia — che an-che questa idea deve fare i conti con il principio del « numero chiuso dei di-ritti reali », ossia col principio che riserva alla legge il potere di conformare laproprietà stabilendo quali vincoli e quali restrizioni possono limitare il conte-nuto del diritto dominicale (e, quindi, anche il valore di tale diritto).

Sotto tale profilo, peraltro, potrebbero acquisire un significato ben preci-so proprio le limitazioni che l’art. 2645 ter pone all’autonomia privata nellacreazione di vincoli sulla proprietà: la « meritevolezza » degli interessi che at-traverso questo strumento possono perseguirsi andrebbe pertanto intesa insenso pregnante, in quanto sarebbe indicativa di una tendenziale « ecceziona-lità » dei vincoli imposti alla proprietà (vincoli che — volenti o nolenti — col-locano, quanto meno di fatto, il bene fuori dal mercato, per di più per un pe-riodo di tempo che può essere anche molto lungo), i quali devono poter trova-re la loro giustificazione in effettive esigenze di natura « sociale », che possa-

In argomento si veda il contributo monografico di De Felice, Principio di sussidiarietà eautonomia negoziale, Napoli 2008 (il quale tuttavia non menziona specificamente l’istitutodi cui all’art. 2645 ter).

(18) Sulla clausola della « funzione sociale » della proprietà, cfr. da ultimo il dibattito apiù voci ospitato sul n. 4/2013 della Rivista critica di diritto privato (sotto il titolo « Il ri-torno della funzione sociale della proprietà »), con interventi di L. Nivarra, U. Mattei eM.R. Marella.

(19) Come vedremo più avanti, l’accoglimento di una tale « chiave di lettura » dell’art.2645 ter ha una evidente ricaduta sul tema (assai discusso) della natura e della consistenzadell’interesse meritevole di tutela che può supportare validamente l’imposizione di un vin-colo di destinazione sui beni.

È evidente, infatti, che dare dell’art. 2645 ter una lettura in termini di applicazione delprincipio di « sussidiarietà orizzontale » in materia di realizzazione della funzione socialedella proprietà, orienta verso una concezione dell’« interesse meritevole di tutela » in termi-ni decisamente di interesse non egoistico. Con la precisazione che, per interesse « egoistico »non va inteso soltanto quello individuale del proprietario del bene, ma anche l’interesse dicomponenti della sua famiglia. Non deve — sotto questo profilo — trarre in inganno il rife-rimento agli interessi di « persone con disabilità », che ben possono essere persone apparte-nenti alla cerchia familiare: quel che rileverebbe, infatti — anche in questo caso — è che la« destinazione » di uno o più beni al soddisfacimento dei « bisogni » di questi soggetti devein qualche modo porsi come attuazione privata (= attraverso beni privati) di quel valore di« solidarietà sociale », che dovrebbe primariamente essere realizzato dallo Stato (e, in gene-re, dai soggetti pubblici).

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no legittimare il sacrificio non solo di interessi privati (come quelli dei credi-tori « generali » del proprietario), ma anche dell’interesse pubblico racchiusonel principio di « libertà della proprietà », quale principio idoneo a favorire lapiù ampia circolazione della ricchezza (20).

Tali esigenze potranno anche riguardare persone determinate (e, al limi-te, persino una singola persona), ma non meno legittimamente (e anzi — sidirebbe — ancor più persuasivamente) esse potranno riferirsi a « categorie »di soggetti non previamente individuate (21) (gli allievi di una scuola, i poveridel quartiere, gli anziani del paese, e così via), che possano essere interessatiall’uso del bene (o dei beni) che il proprietario decida di vincolare per il sod-disfacimento (anche) di bisogni di altri (22).

3. — La percezione della « novità » dell’istituto introdotto dall’art. 2645ter è un dato che accomuna tutti gli interpreti che hanno analizzato la portatadella disposizione (23).

Quasi tutti gli autori insistono, al riguardo, sulla circostanza che la dispo-sizione dell’art. 2645 ter — pur inserendosi in un trend legislativo che (so-prattutto negli ultimi anni) si è mosso decisamente all’insegna dell’abbando-no del tradizionale principio della « universalità » della responsabilità patri-

(20) È in questa prospettiva che va letto anche il limite temporale che l’art. 2645 terpone al vincolo di destinazione (massimo 90 anni, o alternativamente per la durata dellavita del beneficiario), limite la cui ratio va, con tutta evidenza, ravvisata « nell’esigenza dinon svuotare la proprietà del suo contenuto economico in perpetuo ovvero per un lungo pe-riodo di tempo e correlativamente di evitare che i beni siano sottratti a finalità produttive »(così Bullo, Separazioni patrimoniali, cit., p. 51 e nt. 105, ove ulteriori citazioni).

Attesa la ratio ora indicata, dovrebbe escludersi la possibilità di un « rinnovo »/reitera-zione del vincolo se questo abbia operato per il tempo massimo previsto (90 anni o la dura-ta della vita del beneficiario), mentre non escluderemmo che un tale « rinnovo » sia possi-bile se la durata originariamente prevista fosse inferiore ai 90 anni e/o se alla scadenza delvincolo il beneficiario sia ancora in vita.

(21) La circostanza indicata nel testo conferma prima facie che l’apposizione del vincolodi destinazione non fa sorgere (o può non far sorgere) « diritti » in capo a terzi (che presup-pongono la individuazione di uno più « titolari »), ma non è decisiva per escludere definiti-vamente un simile esito, essendo noto che la configurabilità di una situazione giuridica sog-gettiva non richiede l’attuale esistenza (e individuabilità) del soggetto, ciò che diviene ne-cessario solo nel momento in cui si passi alla fase della realizzazione della situazione giuri-dica medesima.

(22) Si pensi — per proporre uno dei tanti esempi possibili — ad un vincolo che il pro-prietario privato di importanti opere d’arte imponga su detti beni allo scopo di consentirne(per un certo numero di anni e con determinate modalità) la fruizione da parte di terzi (ilvincolo potrebbe — ad es. — essere disposto a seguito e in esecuzione di un « accordo » conil Comune, interessato ad incrementare i flussi turistici sul proprio territorio, e disposto acontribuire — o addirittura ad accollarsi interamente — alle spese per la realizzazione delladestinazione programmata).

(23) Talora — come vedremo — criticando il legislatore, che non avrebbe sufficiente-mente ponderato il vulnus introdotto nel sistema della responsabilità patrimoniale; talaltra,apprezzando, invece, l’apertura alla autonomia privata che la disposizione realizza.

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moniale in favore di un opposto principio di « specializzazione » di tale re-sponsabilità (24) — segnerebbe tuttavia, in questa direzione, una « accelera-zione » (25), e anzi probabilmente il raggiungimento del punto di arrivo finaleche si sarebbe potuto (in astratto) immaginare: ossia l’attribuzione alla auto-nomia privata (con implicita abrogazione della « riserva di legge » contenutanell’art. 2740 c.c. (26)) del potere, in generale, di creare patrimoni separati, aiquali il titolare imprima una particolare « destinazione ».

Ad avviso di chi scrive, la suggestione di questo rilievo non deve essereenfatizzata. Da un lato, infatti — sul piano normativo — non devono esseresottovalutati i limiti che (come già accennato) l’art. 2645 ter pone alla tra-scrivibilità dell’atto di destinazione, e dunque anche all’effetto « reale » (op-ponibilità ai terzi del vincolo) che a tale forma di pubblicità consegue, specie

(24) Sul fenomeno cfr. la puntuale ricostruzione di Morace Pinelli, Atti di destinazione,cit., spec. p. 72 ss.

(25) Pericolosa, secondo alcuni.(26) Sul punto è bene spendere qualche considerazione. Di fronte all’art. 2645 ter, la

dottrina si è divisa, alcuni autori ritenendo che la disposizione sia « attuativa » della riservadi legge (in ordine alla creazione di patrimoni separati) prevista dall’art. 2740 c.c., altri in-vece — e all’opposto — ritenendo che detta riserva sarebbe stata (quanto meno dal puntodi vista sostanziale) « violata ».

Orbene, senza entrare specificamente in questa discussione (che potrebbe, per alcuniversi, rivelarsi come puramente « teorica » o accademica), ci sembra vada comunque osser-vato che la norma dell’art. 2740 c.c. che contiene la c.d. « riserva di legge » in materia, ècomunque una norma ordinaria (e non una norma costituzionale), onde essa può ben esserederogata/modificata (o addirittura abrogata) da una disposizione di legge (ordinaria) suc-cessiva. Dal che discende che l’assunto della « violazione » della riserva di legge da partedell’art. 2645 ter rimane privo di qualsiasi conseguenza pratica, posto che non si può certa-mente far discendere dalla (supposta) « violazione » la « illegittimità » della disposizionenormativa che l’ha prodotta (come avverrebbe se, invece, la « riserva di legge » avesse ran-go costituzionale).

Detto questo, bisogna comunque ammettere che è vero che l’introduzione dell’art. 2645ter infligge probabilmente il colpo più duro (almeno da un punto di vista « concettuale »)al principio di « universalità » della responsabilità patrimoniale, « principio » che potevaancora dirsi tale (nonostante il numero continuamente crescente delle « eccezioni » e delle« deroghe » ad esso apportate) sino a quando è rimasto riservato al legislatore il potere diapportarvi deroga, mentre una volta che questa possibilità sia riconosciuta (sia pure non il-limitatamente) anche all’autonomia privata, è evidente che non solo appare dubbia la pos-sibilità di continuare a parlare di un principio di « ordine pubblico » (e v., per una sottoli-neatura siffatta, già prima dell’introduzione dell’art. 2645 ter, Gambaro, Trust, in Dig. disc.priv. - sez. civ., XIX, Torino 1999, p. 467), ma diventa probabilmente sempre più difficileanche solo parlare di un principio « generale » (cfr. ad es. Lenzi, Atto di destinazione, cit.,pp. 58-59, ove si legge che il mutato assetto del diritto positivo consente di formulare « unrilievo di portata sistematica, carico di rilevanti ricadute applicative, e cioè di ritenere supe-rata la concezione secondo cui le figure tipiche di separazione da destinazione sarebbero daconsiderare di stretta interpretazione, in quanto fattispecie eccezionali »; ma v., all’opposto,per una valutazione che ribadisce — nonostante tutto — la natura di principio generale allaregola della responsabilità patrimoniale illimitatata, M. Bianca, Vincoli di destinazione epatrimoni separati, cit., pp. 243 ss., 252; in argomento cfr. anche Sicchiero, La responsa-bilità patrimoniale, in Tratt. Sacco, Torino 2011, pp. 67 ss., 229 ss.).

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sotto il profilo della c.d. « segregazione » del bene. Dall’altro — sul piano fat-tuale — va evidenziato che la decisione di imporre ad un proprio bene unvincolo di destinazione — proprio perché un tale vincolo pone sostanzialmen-te (come già si è accennato) il bene fuori mercato — è una decisione che ilproprietario non prenderà (è da supporre) troppo facilmente, anche quandodovessero sussistere in ipotesi tutti i presupposti richiesti dalla legge (e in par-ticolare l’« interesse meritevole di tutela », del quale si è già detto, e sul qualesi ritornerà fra poco) (27).

Sotto questo profilo, è agevole prevedere che l’art. 2645 ter (come purel’istituto del trust, che consente — con modalità diverse — di conseguire ri-sultati in parte analoghi) configuri uno strumento che sarà realmente appeti-bile solo a chi possiede un patrimonio sufficientemente ampio da consentirgli(senza eccessivo pregiudizio per il proprio interesse) di « staccare » uno o piùbeni per destinarli a finalità « sociali » (o comunque non egoistiche) (28).

Se quanto detto è vero, allora, non possono non apparire eccessive lepreoccupazioni di quanti hanno immaginato una corsa alla trascrizione divincoli di destinazione (corsa, non a caso, smentita — almeno sin qui — daifatti, che raccontano piuttosto di un ricorso ancora modesto, se non addirittu-ra esiguo, all’istituto in esame), probabilmente sulla base dell’assunto che lapossibilità di ottenere l’effetto « segregativo » (leggi: sottrazione del bene aipropri creditori, o a buona parte di essi) avrebbe spinto diversi soggetti ad

(27) Anche il requisito dell’atto pubblico, richiesto dalla legge, conferma l’idea della« gravità » degli effetti della destinazione del bene ad uno scopo, idea che ha spinto il legi-slatore ad esigere — attraverso il ministero del notaio — la garanzia di una indagine voltaad accertare la consapevolezza del « disponente » circa le conseguenze dell’atto che egli po-ne in essere, oltre che a consentire una corretta formulazione della volontà « destinatoria »(anche a tutela dei terzi — in funzione della eventuale circolazione giuridica del bene).Cfr., in proposito, Petrelli, La trascrizione, cit., p. 163 ss., e Ceolin, Destinazione e vincolidi destinazione nel diritto privato. Dalla destinazione economica all’atto di destinazione exart. 2645 ter c.c., Padova 2010, p. 197 ss.

(28) Chi, al contrario, dovesse disporre di un patrimonio esiguo — al limite costituito,essenzialmente, da un unico bene (immobile) — difficilmente si priverà della possibilità diesercitare (liberamente), rispetto a questo (unico) bene, i poteri di godimento e di disposi-zione che ineriscono al diritto di proprietà; e ciò non solo quando tale privazione dovesse ri-dondare a beneficio di soggetti « estranei » (verso i quali possano nutrirsi sentimenti di me-ra « solidarietà sociale », che troverebbero — verisimilmente — minor spazio di esplicazio-ne, nella situazione ipotizzata), ma anche quando essa fosse finalizzata a destinare il bene avantaggio di un soggetto appartenente alla propria cerchia familiare (ad es., un figlio disa-bile). La sottrazione del bene al mercato — che consegue all’imposizione del vincolo di de-stinazione — potrebbe infatti rivelarsi una scelta infelice, che non solo esclude ad es. lapossibilità di « smobilizzare » il bene (per convertirlo in danaro, come pur potrebbe — pervari motivi — sorgere l’esigenza di fare), ma impedisce (o comunque limita fortemente) an-che la possibilità di utilizzarlo come « garanzia » per possibili eventuali terzi creditori chepotrebbero profilarsi in relazione a « cause » estranee alla destinazione di cui trattasi (sipensi alla necessità di costituire un’ipoteca a garanzia di un prestito necessario per sotto-porre ad un costoso intervento chirurgico un membro della famiglia, diverso da quello a fa-vore del quale è stato costituito il vincolo di destinazione).

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utilizzare proprio per questa finalità lo strumento messo a disposizione dal le-gislatore.

C’è in questo modo di ragionare una notevole dose di ingenuità, in quan-to, a tacer d’altro, si tralascia di considerare: a) che i beni costituiscono « ga-ranzia » non soltanto dei creditori attuali, ma soprattutto di quelli « potenzia-li » (vale a dire di quelli che potrebbero « fare credito » al soggetto in futuro,a condizione naturalmente di trovare sufficiente capienza — e dunque garan-zia, sia pure solo generica, di soddisfacimento del credito — nel patrimoniodel debitore); e b) che rispetto ai creditori attuali (e in parte anche con ri-guardo a quelli futuri, ove ci si trovi di fronte ad una « dolosa preordinazio-ne ») operano comunque le norme sulla revocatoria di cui all’art. 2901c.c. (29), e questo dovrebbe escludere (in linea di principio, almeno) che possaritenersi consentito (e men che mai favorito) un uso « fraudolento » dell’attodi destinazione (30).Del resto, non meno ingenuo è pensare che il legislatorepotesse introdurre un istituto che si presti per sua natura (e in via, per cosìdire, di utilizzazione ordinaria e normale) ad un uso « fraudolento ».

Diverse (da quelle sin qui considerate) devono essere, dunque, le ragionisottese alla scelta effettuata con l’introduzione dell’art. 2645 ter. L’esame ditali ragioni aiuta anche ad individuare l’effettivo « spazio » che il nuovo isti-

(29) Sull’applicabilità dell’azione revocatoria anche rispetto all’atto di destinazione v.Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., p. 183, Meucci, La destinazione dei beni traatto e rimedi, Milano 2009, p. 458 ss., nonché Maltoni, il problema dell’effettività della de-stinazione, in Aa.Vv., Negozi di destinazione. Percorsi verso un’espressione sicura dell’au-tonomia privata, cit., p. 82 ss., e Bullo, Separazioni patrimoniali e trascrizione, cit., p. 53.

Gli ultimi due autori si occupano anche della possibile simulazione (assoluta) dell’attodi destinazione, desumibile in particolare dalla circostanza che la destinazione programma-ta non abbia in realtà ricevuto alcuna attuazione, rivelando in tal modo il suo carattere fit-tizio (e, presumibilmente, fraudolento).

Sembrerebbe invece limitare la possibilità di ricorso all’azione revocatoria (nei con-fronti di un atto di destinazione) ai soli casi in cui l’apposizione del vincolo si accompagniad una vicenda (anche) traslativa del bene, G. Perlingieri, Il controllo di « meritevolez-za », cit., p. 70 ss. Peraltro — e non senza contraddizione — lo stesso a. afferma piùavanti (op. cit., 79) che se in relazione ad un atto di destinazione (senza effetto traslati-vo) si accerta la prevalenza dell’interesse del terzo creditore rispetto all’interesse del bene-ficiario, ciò comporterà « l’inefficacia relativa della separazione patrimoniale e, quindi,l’esecutabilità dei beni vincolati » (ossia — si noti — gli stessi effetti che conseguirebberoall’esercizio vittorioso della revocatoria, e che qui sembrerebbero conseguire alla impu-gnazione di un vincolo di destinazione illegittimamente trascritto, e così reso indebitamen-te opponibile ai terzi).

(30) Proprio uno dei presupposti della revocatoria, e cioè il « pregiudizio » (potenziale)che il creditore può ricevere dal compimento dell’atto di disposizione, che potrebbe averereso il (residuo) patrimonio del debitore insufficiente a « garantire » l’adempimento delcredito (o la realizzazione dell’obbligazione risarcitoria, in cui lo stesso si converta in casodi inadempimento), conferma quanto dicevamo più sopra: e cioè che un atto di destinazio-ne che ambisca a non essere « impugnabile » dovrà (e potrà) verisimilmente essere posto inessere solo da chi disponga (anche) di altri beni (diversi da quello o da quelli che vengono« destinati »).

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tuto può legittimamente ambire a ritagliarsi (e l’effettiva novità che essoesprime).

a) La prima di tali ragioni ci sembra da individuare nella crisi della« soggettivazione » come tecnica per realizzare destinazioni particolari dei be-ni (31) (si pensi al classico istituto della fondazione, ma anche alla utilizzazio-ne del meccanismo della creazione di una nuova società allo scopo di convo-gliare nella stessa risorse che si vogliono riservate ad un determinato affare eai creditori coinvolti nello stesso). La creazione di un nuovo soggetto giuridicoha dei costi « transattivi », ma anche dei costi di « mantenimento » (organiamministrativi e direttivi del « soggetto »/persona giuridica; dipendenti, sedi,ecc.), che possono risultare eccessivi rispetto all’obiettivo da raggiungere, otali comunque da assorbire una parte consistente delle risorse destinate a undeterminato obiettivo.

b) La seconda di tali ragioni consiste nella remora che — in talune situa-zioni — si può avere a dismettere un proprio bene a favore di un terzo che loacquisti con il vincolo di destinarlo ad un certo scopo. Gli strumenti della do-nazione modale o anche del trust o di un negozio fiduciario — che si basanosu un meccanismo di questo genere — possono, ad es., e in taluni casi, risul-tare non del tutto « congeniali » e/o « appropriati », per varie ragioni: ad es.perché il soggetto a cui si affida il bene rischia di impiegare una parte del va-lore del bene stesso per mantenere la propria organizzazione (si pensi ad untrustee professionale; si pensi ad un soggetto pubblico che debba affrontaredelle spese ingenti per la gestione « dedicata » del bene o dei beni che gli sonotrasferiti); oppure perché il (potenziale) « disponente » non ha fiducia (piena)sulle effettive capacità del terzo di gestire il bene per realizzare la destinazio-ne programmata; o, ancora, semplicemente perché il soggetto vuole realizzarela destinazione per un certo periodo, ma senza privarsi definitivamente delbene (che egli vuole invece conservare nel proprio patrimonio, per dispornesuccessivamente inter vivos ovvero per trasmetterlo ai propri eredi). Ecco al-lora che l’imposizione di un vincolo di destinazione — opportunamente con-gegnato — può consentire di realizzare lo scopo, tenendo conto però al con-tempo degli elementi sopra richiamati.

4. — Il secondo « effetto » che l’art. 2645 ter ricollega all’atto di destina-zione è il c.d. effetto di « segregazione » (del bene o dei beni vincolati), chel’ultimo inciso della disposizione in esame esprime con la formula secondo cui« I beni conferiti e i loro frutti [possono essere impiegati solo per la realizza-zione del fine di destinazione e] possono costituire oggetto di esecuzione, salvo

(31) Come osserva (fra i tanti) Lenzi, Atto di destinazione, cit., p. 55, la preferenza ver-so la soluzione della « personificazione », fortemente radicata nella mentalità tradizionale,« può dirsi recessiva nel pensiero giuridico contemporaneo, come dimostra la presenza giànel nostro codice civile, ma soprattutto nella legislazione più recente, di istituti fondati sullaseparazione patrimoniale in senso stretto, nei quali all’effetto separatorio da destinazionenon si accompagna un contestuale mutamento del regime di titolarità del patrimonio ».

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quanto previsto dall’art. 2915, comma 1o, solo per debiti contratti per talescopo ».

L’effetto « segregativo » — così delineato — non sarebbe, di per sé, es-senziale alla realizzazione della « destinazione »; serve piuttosto (solo) a « raf-forzarla » (32). Non c’è dubbio, peraltro, che l’art. 2645 ter preveda questo ef-fetto come necessariamente collegato all’atto di destinazione trascritto, che (èbene ricordarlo) è il solo fenomeno (o, se si vuole, la fattispecie) a cui si riferi-sce la norma in esame (33), tanto che non sarebbe azzardato riferire l’interesse

(32) È chiaro, infatti, che anche se all’atto di destinazione non si accompagnasse l’effet-to di separazione patrimoniale (del bene o dei beni destinati), la destinazione potrebbe co-munque operare sub specie di limitazione dei poteri del proprietario (in part., del potere digodimento), con efficacia altresì — sempre che l’atto sia stato trascritto (e sia, pertanto, di-venuto « opponibile ») — nei confronti dei terzi aventi causa.

Per l’idea, invece, che ai fini del passaggio da una nozione « generica » di destinazione(quale ricorre in una serie eterogenea di fenomeni: dalle pertinenze, alle universalità, alleservitù, al mutuo di scopo, ecc.) ad una nozione « tecnica », sia necessario che la destina-zione del bene risulti dotata — quale « elemento integrativo qualificante » — della « sepa-razione » patrimoniale, v. M. Bianca, Atto negoziale di destinazione e separazione, in G.Vettori (a cura di), Atti di destinazione e trust, cit., e anche in questa Rivista, 2007, I, p.201 ss., § 2 (ove si legge anche che « Una destinazione del patrimonio che non comportasseun effetto di separazione sarebbe pressoché inutile in quanto la separazione è strumentalealla conservazione della destinazione »).

(33) Intendiamo con ciò ribadire che una destinazione senza trascrizione (e, dunque, ta-le da restare confinata nell’ambito di un mero rapporto obbligatorio tra disponente e bene-ficiario) è fenomeno che non ha nulla a che vedere con quello regolato dall’art. 2645 ter.

In questo senso, l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione (opponibilità che con-segue alla trascrizione), più che un effetto, è un elemento della fattispecie prevista e regola-ta dall’art. 2645 ter.

È equivoca, pertanto, e fonte di possibili fraintendimenti, la posizione di chi assume chesi possa dare un « atto di destinazione » (ai sensi dell’art. 2645 ter) anche senza la trascri-zione, ponendosi pertanto il problema se ci possa essere un « atto di destinazione » validoma non trascrivibile, e distinguendo pertanto una « meritevolezza » (dell’interesse) che po-trebbe essere sufficiente a far ritenere valido l’atto, ancorché inidoneo ad essere trascritto (edunque a conseguire l’effetto della « opponibilità ai terzi » del vincolo di destinazione): cfr.— fra i tanti che aderiscono a questa impostazione — Bullo, Separazioni patrimoniali etrascrizione, cit., p. 58, e, più di recente, G. Perlingieri, Il controllo di « meritevolezza » de-gli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in F. nap., 2014, p. 54 ss., specie p. 60 ss. (do-ve si legge che « il controllo di meritevolezza dell’art. 2645 ter c.c. è richiesto soltanto ai fi-ni della separazione patrimoniale, sì che il negozio di destinazione, già di per sé lecito emeritevole ex art. 1322 c.c. (e quindi valido e produttivo di effetti tra le parti), sarà ancheopponibile ai terzi creditori ed agli aventi causa, se supera il controllo dell’art. 2645 ter c.c.... Ne deriva che la conseguenza, in caso di mancato superamento del controllo ex art. 2645ter c.c., non è la nullità ma la sola inopponibilità ai terzi dell’effetto di destinazione e, quin-di, del vincolo gravante sui beni »).

Va qui ribadito che l’atto di destinazione ex art. 2645 ter, è solo quello (trascrivibile e)trascritto. Atti che non abbiano questa finalizzazione (o ai quali comunque non segua latrascrizione, perché risulti insussistente un « interesse meritevole di tutela ») non sono attidi destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter. Dopodiché non è neanche esatto dire che si trattadi atti nulli (per mancanza di causa) ai sensi della disposizione in esame (così, ad es., Ceo-lin, op. cit., p. 205): semplicemente si tratterà di atti che difettano dei requisiti per essere

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meritevole di tutela direttamente alla trascrizione (34). Il che — sia detto perinciso — avrebbe, fra l’altro, il vantaggio di rendere (più) evidente che il giu-dizio di meritevolezza va condotto avendo riguardo (come termini di confron-to) entrambi gli effetti che il legislatore riconnette (inscindibilmente) alla sud-detta trascrizione: e dunque non solo l’effetto « segregativo » (che coinvolge iterzi creditori), ma anche l’effetto di « destinazione » (che coinvolge diretta-mente il bene).

Proprio per quanto appena detto, lascia perplessi l’atteggiamento delladottrina, che ha invece concentrato l’attenzione pressoché esclusivamente sul-l’effetto segregativo, finendo — a nostro avviso — per porre la lettura dell’art.2645 ter sotto un angolo visuale non del tutto corretto (se non, addirittura,fuorviante).

Nella prospettiva della centralità dell’effetto segregativo (35) è stata infat-

ricondotti allo « schema » di cui all’art. 2645 ter, impregiudicata una loro possibile qualifi-cazione alla stregua dello schema di un negozio tipico (di cui eventualmente presentino i re-quisiti: es. una donazione modale, un atto con cui il proprietario costituisca sul proprio fon-do una servitus altius non tollendi, o un diritto reale di uso a favore di una determinatapersona, ecc. ecc.) ovvero al limite di uno schema « atipico », sempreché (in quest’ultimocaso) risulti superato il vaglio di « meritevolezza » ex art. 1322 c.c. (vaglio che — è appenail caso di sottolinearlo — dovrà essere condotto sulla base di parametri diversi da quelli uti-lizzati ai fini dell’art. 2645 ter, atteso che il richiamo che quest’ultima disposizione fa al-l’art. 1322 c.c. va inteso proprio nella prospettiva di una « specializzazione » del giudizio dimeritevolezza quando esso sia riferito ad un « atto di destinazione » che si voglia opponibileai terzi).

Un’ultima considerazione. Alla luce di quanto sopra affermato, ci sembra che risulti al-tresì evidente che l’« atto di destinazione » di cui parla l’art. 2645 ter debba considerarsiun atto « negoziale » tipico, atteso che esso trova nella disposizione in esame sia la descri-zione della « fattispecie » (seppure delineata in maniera alquanto ampia e generica) sia la« disciplina degli effetti » (effetto di destinazione ed effetto segregativo) (sulla « tipizzazio-ne » della causa dell’atto di destinazione ex art. 2645 ter cfr. Oberto, Atti di destinazione[art. 2645 ter c.c.] e trust: analogie e differenze, in Contratto e impr./Europ., 2007, p. 351ss.), sia la disciplina delle modalità (pubblicitarie) che devono necessariamente accompa-gnare l’atto (leggi: trascrizione).

Non bisogna, in conclusione, confondere la « atipicità »dell’effetto segregativo (« atipi-cità » che attiene al fatto che, adesso, questo effetto non richiede una specifica previsione dilegge, ma può conseguire anche ad un atto di autonomia privata), con una (pretesa e, per leragioni appena dette, insussistente) « atipicità » dell’atto negoziale che dà vita alla separa-zione patrimoniale.

(34) Si è giustamente sottolineato che, mentre nell’art. 1322 c.c. il giudizio di meritevo-lezza viene riferito direttamente all’atto « a prescindere dall’essere lo stesso trascrivibile omeno ed in concreto trascritto oppure no », nell’art. 2645 ter « la mancanza di meritevolez-za dell’interesse riferibile ai soggetti ivi indicati non consente la trascrizione stessa dell’at-to, e quindi non permette il prodursi né dell’effetto dell’opponibilità ai terzi del vincolo nél’effetto segregativo sui beni oggetto di destinazione » (così Bullo, Separazioni patrimonialie trascrizione, cit., pp. 58-59).

(35) In radicale controtendenza v., tuttavia, la posizione di Falzea, Introduzione e con-siderazioni generali, in Aa.Vv., Dal trust all’atto di destinazione patrimoniale. Il lungocammino di un’idea (a cura di M. Bianca e A. de Donato), Quaderni della Fondazione ita-liana del Notariato, Il Sole - 24 Ore, Milano 2013, p. 19 ss.

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ti pressoché interamente « assorbita » la questione (cruciale) della determina-zione di quali siano (e come debbano intendersi) gli « interessi meritevoli ditutela », di cui la norma parla come presupposto perché possa farsi luogo allaimposizione di vincoli di destinazione sui beni.

Premesso che nella valutazione complessiva del nuovo istituto la dottrinasi è sostanzialmente divisa in due « schieramenti » determinati proprio dallaposizione rispetto all’effetto di segregazione — vi sono stati autori che hannocriticato (o comunque espresso preoccupazione nei confronti del)la disposizio-ne dell’art. 2645 ter, accusando il legislatore di aver rimesso all’autonomiaprivata il potere di creare patrimoni separati, con correlativo « sacrificio » de-gli interessi dei creditori « generali » (e creando comunque un vulnus alla tu-tela del credito, nonostante il « rilievo » anche costituzionale che a tale tuteladeve riconoscersi (36)), mentre per converso altri autori hanno visto nella nor-ma in esame nulla più che l’epilogo (e, per così dire, la naturale evoluzione)di una tendenza ormai risalente alla erosione del principio di universalità del-la garanzia patrimoniale, guardando con favore (o, quanto meno, senza toni« allarmistici ») all’ampliamento degli spazi dell’autonomia negoziale che es-sa realizza (37) — è successo che i due descritti atteggiamenti si siano riflessi

L’illustre Maestro, partendo dalla distinzione tra limitazioni del patrimonio e limitazionidi responsabilità, arriva a negare qualsiasi contrasto dell’atto destinatorio (in quanto attoche non inciderebbe direttamente sulla responsabilità del soggetto, bensì — secondo l’a. —sul suo patrimonio) con la regola dell’art. 2740 c.c. Solo per le limitazioni di responsabilitàvarrebbe il principio di cui all’art. 2740 c.c., mentre per gli atti che incidono direttamentesul patrimonio troverebbe applicazione il rimedio dell’azione revocatoria (ragionando di-versamente — afferma Falzea — « tutti gli atti di alienazione, e, più in generale tutti gli at-ti di disposizione, dovrebbero considerarsi come limitativi della responsabilità patrimonialee cadere sotto il divieto posto indirettamente dall’art. 2740 c.c. E se non lo sono gli atti dialienazione a fortiori non possono neppure esserlo gli atti di separazione, che certamenterappresentano un minus rispetto ad essi »).

(36) In argomento cfr., fra gli altri: Barbiera, Responsabilità patrimoniale2, in Comm.Schlesinger-Busnelli, Milano 2010, p. 6 ss., e Roselli, Responsabilità patrimoniale. I mezzidi conservazione, in Tratt. Bessone, IX, t. 3, Torino 2005, p. 7.

Ma si veda, allora, quanto scrive Palermo, Configurazione dello scopo, opponibilità delvincolo, realizzazione dell’assetto di interessi, in M. Bianca (cur.), La trascrizione dell’attonegoziale di destinazione, Milano 2007, p. 79, laddove l’a. osserva che non si rinviene« nella Carta repubblicana una configurazione degli interessi del ceto creditorio, che possafar ritenere tali interessi — sia nell’ottica dell’art. 2 sia in quella dell’art. 41, comma 2o —in assoluto intangibili... mentre le esigenze del mercato ... non sembrano richiedere, in vistadi un miglior assetto dei rapportin intersoggettivi, un tale sacrficio del potere di disposizio-ne, che, condotto all’estremo limite, sia suscettibile di tradursi addirittura nel freno di quel-la stessa iniziativa privata, che l’art. 41 Cost. vuole libera, in linea di principio... ». Dellostesso a. v. anche il saggio I negozi di destinazione nel sistema del diritto privato, in Rass.d. civ., 2011, p. 83 ss.

(37) Si veda, ad es., Doria, Il patrimonio « finalizzato », in questa Rivista, 2007, I, pp.485 ss., 490, 498 (ove si legge che la disposizione dell’art. 2645 ter « piuttosto che un’epi-fania rivoluzionaria, rappresenta null’altro che il punto terminale di un particolare percorsoevolutivo della nozione di patrimonio del soggetto », spiegando che « la parabola normativaa cavallo di fine millennio, compendiata, oggi da una generale possibilità offerta al soggetto

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(come era facile, se non inevitabile, che avvenisse) sulla fondamentale que-stione relativa alla interpretazione del concetto di « interessi meritevoli di tu-tela » (decisiva per individuare quali possano essere — al di là della esempli-ficazione che fornisce lo stesso legislatore nella disposizione dell’art. 2645 ter— codesti interessi).

In particolare ciò ha comportato la formazione — anche a questo pro-posito — di due (correlativi) orientamenti contrapposti (38): il primo, chetende ad identificare la « meritevolezza » degli interessi in questione con lanon contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, ossia(e in una parola) con la (mera) liceità degli interessi medesimi; il secondo,invece, che assume il concetto di « meritevolezza » come espressivo di unaapprezzabilità sociale, che va al di là del semplice requisito (negativo) dellanon illiceità (39), e che — secondo i più — implica la necessità che l’interes-se che il vincolo di destinazione è preordinato a soddisfare (anche, eventual-

di selezionare autonomamente la sfera di interessi attorno ai quali ordinare, con funzionesegregante, una parte del proprio patrimonio, consegna, dunque, una nozione di patrimo-nio, per così dire, “capovolta”, perché quelle stesse esigenze di affermazione della persona,di tutela del credito e di ordinato sviluppo dell’economia, che, tradizionalmente, postulava-no l’unitarietà del patrimonio, spingono, oggi, verso una sua frantumazione »).

(38) È appena il caso di sottolineare che i due orientamenti di cui si parla nel testo rap-presentano, per altro verso, la riproposizione (scontata, e forse anche un po’ banale — perlo meno nella misura in cui sia praticata senza alcuno sforzo di « adattamento » del discor-so alla specificità della fattispecie di cui all’art. 2645 ter) delle discussioni che da tempo siagitano intorno al modo in cui intendere il requisito della « meritevolezza degli interessi »con riferimento ai contratti atipici (art. 1322 c.c.).

(39) Per l’identificazione dell’interesse meritevole di tutela ex art. 2645 ter con l’inte-resse « lecito » v., ad es.: Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in R. d. civ., II,2006, p. 179 ss.; Russo, Il negozio di destinazione di beni immobili e beni mobili registrati(art. 2645 ter c.c.), in Vita not., 2006, p. 1243 ss., Gentili, Le destinazioni patrimonialiatipiche. Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Rass. d. civ., 2007, p. 12 (e si veda anche Id., Ladestinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio della fatti-specie, in R. d. priv., 2010, p. 62), Vettori, Atto di destinazione e trascrizione. L’art. 2645ter, in Aa.Vv., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 176.

Nel senso invece che il giudizio di meritevolezza ex art. 2645 ter non possa esaurirsinella mera verifica della assenza di illiceità dell’interesse al cui soddisfacimento è preordi-nato il vincolo di destinazione si pronuncia, sia pure con varietà di accenti, la maggioranzadella dottrina: cfr. U. La Porta, L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile aisensi dell’art. 2645 ter c.c., in G. Vettori (a cura di), Atti di destinazione e trust (Art. 2645ter del codice civile), Padova 2008, p. 103 (e anche in R. not., 2007, p. 1069 ss.); MoracePinelli, Tipicità dell’atto di destinazione ed alcuni aspetti della sua disciplina, in questaRivista, 2008, II, p. 451 ss.; Gabrielli, Vincoli di destinazione, cit., p. 329; Gazzoni, Osser-vazioni, cit., p. 179; C. Scognamiglio, Negozi di destinazione, trust e negozi fiduciari, inScritti in onore di G. Cian, Padova 2010, t. 2, p. 2313 ss.; Nuzzo, L’interesse meritevole ditutela tra liceità dell’atto di destinazione e opponibilità dell’effetto della separazione patri-moniale, in Aa.Vv., Famiglie e impresa: strumenti negoziali per la separazione patrimonia-le, Milano 2010, p. 29; Id., L’evoluzione del principio di responsabilità patrimoniale illimi-tata, in Aa.Vv., Gli strumenti di articolazione del patrimonio. Profili di competitività del si-stema (a cura di M. Bianca e G. Capaldo), Milano 2010, p. 316 ss.; Lenzi, voce Atto di de-stinazione, cit., p. 57.

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mente, con sacrificio degli interessi creditori) abbia rilevanza costituzionale (40).A noi sembra che — al di là della parte di vero che ci possa essere in cia-

scuna di queste posizioni — un rilievo critico che a tutte può essere mosso ri-siede nel fatto che queste opinioni sono comunque accomunate dall’idea (noncondivisibile) che il « contraltare » dell’interesse che sta a base del vincolo didestinazione sia costituito (esclusivamente) dalla tutela degli interessi del cetocreditorio (41).

Se, invece, è vero quanto abbiamo cercato di evidenziare nelle pagineprecedenti — e cioè che la destinazione ad uno scopo si traduce, in primo luo-go, in una conformazione del diritto di proprietà che limita le possibilità digodimento e di disposizione che altrimenti sarebbero inerenti al diritto mede-simo — deve dirsi piuttosto che l’interesse che può fungere da « limite » degliatti di destinazione va ricercato, anzitutto, sul terreno della disciplina dei benie della loro circolazione nel mercato (42).

Ora, in questa disciplina, la possibilità di apporre limitazioni al diritto diproprietà (ossia alle facoltà di godimento e di disposizione del proprietario)— al di là dei limiti che sono imposti dalla coesistenza tra diritti dominicaliappartenenti a diversi soggetti — è, in base all’art. 42 Cost., legata all’esigen-

(40) Cfr., nella logica di un « bilanciamento » tra l’interesse perseguito attraverso il vin-colo di destinazione e gli interessi dei creditori, Gambaro, Appunti sulla proprietà nell’inte-resse altrui, in Trusts, 2007, p. 169 ss.

Il riferimento alla rilevanza « costituzionale » dell’interesse tutelato ex art. 2645 ter èfrequente: agli autori già citati nella penultima nota, adde — ad es. — Maggiolo, Il tipodella fondazione non riconosciuta nell’atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in R. not.,2007, p. 1153 ss.

(41) Esplicito nel senso che il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 2645 ter va con-dotto con riguardo all’effetto di separazione che consegue alla trascrizione dell’atto di desti-nazione, Di Raimo, Considerazioni sull’art. 2645 ter c.c.: destinazione di patrimoni e cate-gorie dell’iniziativa privata, in Rass. d. civ., 2007, p. 983.

(42) Del resto può darsi che la capienza del patrimonio del « conferente » sia tale danon lasciar presagire (ragionevolmente) alcun problema di eventuale compromissione degliinteressi dei suoi creditori (attuali e futuri). Forse che questo escluderebbe la necessità dieffettuare un controllo di meritevolezza circa l’imposizione sul bene di un « vincolo di desti-nazione »? Riteniamo di no, e pensiamo che questa risposta sia la migliore riprova del fattoche è (quanto meno) riduttivo concentrare l’attenzione esclusivamente sul profilo del « pre-giudizio » che l’atto di destinazione può apportare alle ragioni dei creditori, pregiudizio adevitare il quale — oltre tutto — sono già previsti altri tipi di rimedi, e segnatamente quellodell’azione revocatoria (v. anche retro).

Né si dica che l’azione revocatoria tutela adeguatamente i creditori anteriori all’atto didestinazione, ma non altrettanto quelli « successivi », che sarebbero costretti — per poterutilizzare questo strumento di tutela — a fornire la difficile prova della « dolosa preordina-zione ». In realtà, la migliore tutela di questi ultimi creditori sta nella attenta valutazione del-le condizioni del patrimonio del debitore al momento in cui sorge il loro credito, a confermadel fatto che il problema posto dagli « atti di destinazione » ex art. 2645 ter non è solo (o tan-to) un problema di tutela del credito, quanto un problema di tutela della proprietà (recte:della salvaguardia delle prerogative che ineriscono al diritto dominicale, e che ne definisconoanche la collocazione nel sistema di creazione e di circolazione della ricchezza).

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za di garantire la funzione sociale della proprietà, formula sintetica attraversola quale si intende evocare la possibilità che la regolamentazione legislati-va (43) di alcune categorie di beni si atteggi in maniera tale da consentire —in forme variamente individuabili — la realizzazione (attraverso i beni inquestione) di interessi ulteriori rispetto all’interesse del titolare del diritto (in-teressi, in senso lato, di carattere « sociale », in quanto riferibili a gruppi ocategorie di soggetti, portatori di bisogni meritevoli di tutela).

Non c’è dubbio che interventi del legislatore sulla proprietà privata in vi-sta della realizzazione della funzione sociale possono legittimamente limitarel’interesse allo sfruttamento economico e alla circolazione dei beni (con conse-guenze suscettibili di riverberarsi anche sugli interessi dei creditori del titolaredel diritto di proprietà, ma che sono — nella loro essenza — soprattutto limi-tazioni delle regole di mercato con le quali si coordina la disciplina ordinariadella proprietà) (44).

Orbene, l’introduzione dell’atto di destinazione di cui all’art. 2645 ter hal’effetto — a nostro avviso — di consentire oggi che una « funzionalizzazio-ne » della proprietà privata (e, quindi, una sua più o meno ampia sottrazioneal mercato — nel senso appena sopra chiarito) si possa verificare (con riferi-mento necessariamente — questa volta — a beni determinati, e non a catego-rie generali di beni) anche in virtù e come conseguenza di scelte (non del legi-slatore, ma) dell’autonomia privata, a condizione che — appunto — ricorra-no interessi (« meritevoli di tutela ») tali da poter giustificare un simile esito(che non si esaurisce solamente — si ripete — nella « segregazione » del bene,ossia nella sottrazione di esso all’azione esecutiva dei creditori, ma che impor-ta conseguenze più ampie, che riguardano il sistema generale della produzio-ne e della circolazione della ricchezza).

(43) Qui c’è veramente una riserva di legge nel senso proprio del termine, ossia una ri-serva di legge posta da una disposizione costituzionale.

Non diremmo però che l’art. 2645 ter — col consentire (secondo l’interpretazione quiaccolta) all’autonomia privata di conformare il diritto di proprietà (con effetto erga omnes)— violi la suddetta « riserva ». È infatti pur sempre il legislatore che — attraverso la dispo-sizione in esame (e, in particolare, attraverso il requisito della « meritevolezza » degli inte-ressi perseguiti) — ha dettato le condizioni essenziali di tale conformazione, sia nel senso diindividuarne la possibile « causa » (l’atto di destinazione), sia nel senso di definirne le con-seguenze (l’effetto « destinatorio » e quello « segregativo »), nonché — per finire — le mo-dalità attuative (la « trascrizione » dell’atto di destinazione, in maniera da rendere evidenteai terzi l’esistenza del vincolo relativo a quel bene).

(44) E così, ad es., le limitazioni (sia sul terreno della facoltà di godimento — con vin-coli, di vario genere, aventi l’obiettivo di « conservare » il bene, impedendone modificazionied alterazioni —, sia su quello della facoltà di disposizione) che vengano apposte alla pro-prietà privata di beni di interesse storico, artistico, archeologico, ecc.; le limitazioni di variogenere che in passato (e in parte ancora oggi) sono state poste al diritto di proprietà di im-mobili urbani, a tutela degli interessi dei locatari (sia ad uso abitativo che ad uso commer-ciale); e così via enumerando, sono esempi — tra i tanti che potrebbero farsi — di ipotesi incui sono emersi interessi che il legislatore ha ritenuto idonei a giustificare una (almeno par-ziale) sottrazione della proprietà alle (ordinarie) regole di mercato.

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È esatto, dunque, che solo interessi di rango « superiore » (e, tendenzial-mente, interessi aventi rilevanza costituzionale (45)) sono idonei a giustificarel’imposizione di « vincoli di destinazione » ex art. 2645 ter, ma ciò non in ba-se all’astratta (e frusta) disputa intorno alla questione se la « meritevolezza ditutela » si possa identificare oppur no con la (mera) « liceità » dell’interes-se (46), ma inserendo piuttosto il discorso nel contesto specifico che riguarda ilvalore « costituzionale » della proprietà (47) e la possibilità (e i limiti) entrocui la conformazione del diritto dominicale venga ad essere determinata dallaconsiderazione di interessi estranei alla « logica proprietaria » in quanto tale(perché espressivi di valori di « solidarietà sociale » (48), o comunque di valoriche trascendono la dimensione meramente « individualistica » ed « egoistica »di un diritto, la cui essenza da sempre è stata identificata proprio nello iusexcludendi alios).

L’« ordine pubblico » col quale deve confrontarsi la « meritevolezza degliinteressi », richiesta perché possa validamente porsi in essere un atto di desti-nazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645 ter c.c., è, dunque, primadi tutto, costituito da quell’insieme di « valori » che sono sottesi al principiodel numerus clausus dei diritti reali, quale principio che ingloba in sé (tradi-zionalmente) — oltre al divieto di creare nuovi diritti reali in re aliena — an-che il divieto (fuori dai casi e dai modi previsti dalla legge) di alterare loschema del diritto di proprietà, ad es. attraverso la creazione di proprietà « atermine », di proprietà « risolubili », di proprietà « fiduciarie », e così via.

È in questo contesto che va inquadrata anche la problematica della

(45) Interessi attinenti — ad es. — alla tutela del patrimonio culturale, paesaggistico,della ricerca scientifica, della salute, e così via enumerando.

Tra gli interessi in questione si possono annoverare anche gli interessi di tipo religioso.Un esempio di rilevanza ante litteram di un vincolo di destinazione a tutela di un interessedi culto è offerto dalla disciplina degli edifici (privati) destinati all’esercizio pubblico delculto cattolico, Dispone al riguardo l’art. 831, comma 2o, del codice civile che « Gli edificidestinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, nonpossono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a chela destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano ». In argo-mento cfr. A. Bucci, Brevi note sul vincolo della destinazione all’uso degli edifici di culto inItalia, in Caietele Institutului Catolic, VIII (2009, 2), p. 111 ss.

(46) Disputa sulla quale si è concentrata la dottrina (v. riferimenti retro, nelle note 38 e 39).(47) Non tanto — come si sarà ormai capito — con riferimento alla tutela delle prero-

gative del proprietario, quanto piuttosto per le implicazioni che sono sottese alla « riservadi legge » di cui all’art. 42, comma 2o, Cost. Riserva che sta ad indicare, con tutta evidenza,che la Costituzione ritiene la disciplina della proprietà un elemento essenziale della più am-pia costruzione delle regole del sistema economico, tanto da riservare al legislatore (e nonad altri, foss’anche lo stesso proprietario) il potere di dettare le regole che concernono laconformazione del diritto di proprietà.

(48) Per una elencazione orientativa di interessi che possono considerarsi « meritevoli »alla stregua di questo criterio di solidarietà sociale cfr., ad es., De Donato, Gli interessi rife-ribili a soggetti socialmente vulnerabili, in Negozi di destinazione: percorsi verso un’espres-sione sicura dell’autonomia privata, cit., p. 254.

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« proprietà destinata » (49) (formula che abbiamo, nel titolo del presente sag-gio, proposto per designare le ipotesi di apposizione su un bene di un « vinco-lo di destinazione » ex art. 2645 ter), fattispecie nella quale — ancor più chein quelle or ora richiamate (dove il vincolo si esprime, sovente, solo sul pianoobbligatorio, e dunque restando come tale « esterno » rispetto al nucleo deipoteri « proprietari ») — si assiste ad una conformazione del diritto domini-cale, suscettibile di alterare profondamente (sia pure con riferimento ad unbene determinato) il contenuto e il significato del diritto di proprietà (sia conriferimento ai poteri di godimento del proprietario, in sé considerati; sia nellasua proiezione di questi poteri nei rapporti con i terzi).

Né varrebbe osservare che una lettura che identifichi nel modo sopra vi-sto la « meritevolezza dell’interesse » (collegando tale meritevolezza al concet-to di utilità o funzione sociale) rischia di risolversi in una interpretazione« abrogante » (e, comunque, fortemente ridimensionatrice della portata ap-plicativa) dell’art. 2645 ter (50).

È vero che l’interpretazione proposta esclude che si possa far ricorso al-l’istituto di cui all’art. 2645 ter in numerose ipotesi che pur sono state (soven-te) considerate suscettibili di rientrare nel campo di applicazione di tale nor-ma (51). Ma ciò corrisponde — se sono vere le considerazioni sopra svolte — a

(49) Altri preferisce parlare di « proprietà nell’interesse altrui » (cfr. Gambaro, Trusts,2007, p. 169 ss.), o di « proprietà funzionale » (v. Stefini, La destinazione patrimonialedopo il nuovo art. 2645 ter c.c., in G. it., 2008, p. 1823 ss.; Id., Destinazione patrimonialeed autonomia negoziale: l’art. 2645 ter c.c.2, Padova 2010, p. 30 ss.).

(50) Cfr. ad es. Muritano, Trusts e atto di destinazione negli accordi fra conviventi mo-re uxorio, in Trusts, 2007, pp. 199 ss., p. 210.

(51) E così, a nostro avviso, lo strumento dell’art. 2645 ter non potrà essere utilizzato— ad es. — per la composizione dei rapporti patrimoniali tra coniugi (o tra genitori e figli)in occasione della crisi familiare (separazione, divorzio), perché in tal caso si tratta di inte-ressi meramente patrimoniali e « privati », che non sono sufficienti a giustificare una sot-trazione del bene alle ordinarie regole di mercato (ivi comprese le norme poste a tutela deicreditori).

Come pure esso non potrà essere utilizzato per costituire un « fondo patrimoniale » avantaggio dei componenti di un nucleo familiare « di fatto ».

In senso diverso da quanto qui sostenuto, v., ad es.: Trimarchi, Negozio di destinazionenell’ambito familiare e nella famiglia di fatto, in Notariato, 2009, p. 426 ss.; Oberto, Attidi destinazione, cit., p. 393 ss.; Bullo, Separazioni patrimoniali, cit., pp. 66-67 (secondola quale « uno dei campi nei quali può certo esplicare le proprie potenzialità la destinazionepatrimoniale ex art. 2645 ter è certamente la famiglia, intesa in senso ampio, settore in cuile manifestazioni di solidarietà, ancorché rivolte a soggetti determinati, svolgono al contem-po una più generale funzione sociale »; affermazione che, però, sembra ritornare all’idea,ormai superata, della famiglia come seminarium rei publicae).

All’estensione (qui criticata) dell’ambito di applicazione dell’art. 2645 ter c.c. può forseaver contribuito la considerazione delle motivazioni dichiarate che hanno accompagnato idisegni di legge da cui è scaturita poi la disposizione in esame (si veda, in proposito, Ceo-lin, Destinazione e vincoli di destinazione, cit., p. 142 ss., dove si parla di « un iter legisla-tivo frettoloso ed approssimativo »), ma è appena il caso di sottolineare che, una volta for-mulata la legge, è al suo oggettivo significato che l’interprete deve fare riferimento, non ai

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quella che è precisamente la portata della disposizione in esame, senza che sipossa accusare l’interpretazione proposta di essere (indebitamente, ossia incontrasto con la lettera e con la ratio della disposizione) « restrittiva » (52).

È da condividere, pertanto, l’idea secondo la quale « interessi merite-voli di tutela » ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645 ter possano con-siderarsi solo interessi « pubblici » (intesa peraltro l’espressione, semplice-mente, nel senso che deve trattarsi di interessi diversi dall’interesse « priva-to » del proprietario (53) che impone il vincolo di destinazione), e di inte-ressi che devono altresì qualificarsi per una impronta di « solidarietà socia-le » (54) (ove l’aggettivo intende, questa volta, non tanto sottolineare chenon possa trattarsi di interessi riferibili anche ad individui singoli, quantopiuttosto che debba comunque trattarsi di interessi non patrimoniali delsoggetto (55) o dei soggetti beneficiari dell’atto di destinazione) (56).

« motivi » (più o meno chiaramente delineati ed enunciati) che possano emergere dai lavoripreparatori (soprattutto quando questi motivi non risultino univoci).

Del resto è proprio al criterio appena enunciato che si è attenuta (correttamente) la dot-trina quando (a proposito di un altro profilo, emerso nell’interpretazione dell’art. 2645 ter)ha evidenziato come — al di là delle « intenzioni » sottese ai disegni di legge che hannoportato alla sua introduzione — la disposizione in esame non può assolutamente leggersicome disciplinante una versione « domestica » dell’istituto del trust (v. anche la nota se-guente).

(52) Una simile impressione può essere suggerita solo da una « precomprensione » chepretenda di leggere l’atto di destinazione di cui all’art. 2645 ter come una « alternativa »(domestica) al trust. Ma una simile « precomprensione » si rivelerebbe del tutto fuorviantenella interpretazione (ed applicazione) della disposizione in esame. L’atto di destinazionenon può svolgere (se non in parte, e con modalità comunque differenti) la funzione deltrust, si tratti pure della figura del c.d. « trust autodichiarato », che è quella che maggior-mente si avvicina alla fattispecie « tipica » di « atto di destinazione », che sarà di norma unatto che contempla l’imposizione del vincolo di destinazione senza trasferimento della pro-prietà del bene. E, in ogni caso, la maggiore ampiezza degli obiettivi perseguibili (e degliinteressi che possono essere soddisfatti) attraverso un trust (c.d. interno) sconta comunquela necessità di assoggettare la fattispecie ad una normativa straniera (e, comunque, con i li-miti di cui agli artt. 15 e 18 della l. 16 ottobre 1989, n. 364, di ratifica ed esecuzione dellaConvenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento).

Sulle differenze tra trust e atto di destinazione ex art. 2645 ter v., per tutti, Zoppini, De-stinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica, in R. d.priv., 2007, p. 721 ss., e Oberto, Atti di destinazione (art. 2645 ter c.c.) e trust, cit., p.351.

(53) Con la precisazione che — almeno secondo il nostro avviso (in dissonanza da unapressoché unanime diversa opinione, sul punto, della dottrina) — deve farsi rientrare nellasfera dell’interesse « privato » anche l’ipotesi in cui si intenda perseguire un interesse riferi-bile ad un membro della « famiglia », salvo che non si tratti di un « soggetto disabile ».

(54) Di « autonomia della solidarietà » parla — con formula suggestiva — P. Spada, Ilvincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, in Aa.Vv., Atti notarili di destina-zione di beni: art. 2645 ter c.c. (Atti del Convegno della Scuola di Notariato della Lombar-dia, Milano 19 giugno 2006), consultabile sul sito www.scuoladinotariatodellalom-bardia.org/relazioni/definitive.doc.

(55) È appena il caso di sottolineare che deve distinguersi il carattere « non patrimonia-

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Così individuata e ricostruita, la figura di cui all’art. 2645 ter c.c. po-trebbe rivelarsi uno strumento prezioso per consentire anche nel nostro ordi-namento un’articolazione (« dal basso ») delle forme d’uso dei beni, attraver-so meccanismi originali ed innovativi.

le » dell’interesse, dalle modalità attraverso le quali l’interesse stesso viene soddisfatto.Queste ultime modalità possono ben consistere in una prestazione « patrimoniale » (comel’erogazione di una rendita, o di fondi destinati al sostegno della ricerca scientifica in deter-minati settori, ecc.) o comunque valutabile patrimonialmente, purché essa sia diretta a sod-disfare un interesse non patrimoniale del beneficiario (ad es.: interesse alla ricerca scientifi-ca, interesse alla salute, interesse all’abitazione, interesse al sostentamento vitale; ecc. ecc.).

(56) L’idea espressa nel testo corrisponde a quella autorevolmente sostenuta da Ga-brielli, Vincoli di destinazione, cit., pp. 328, 331. Si veda, anche, in senso sostanzialmenteconforme, Cian, Riflessioni, cit., p. 88 (seguito da Ceolin, Destinazione e vincoli di destina-zione nel diritto privato, cit., p. 217 ss.), e Spada, Articolazione del patrimonio da destina-zione iscritta, in Aa.Vv., Negozi di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura del-l’autonomia privata, cit., p. 126 (nonché in R. d. soc., 2007, p. 17).

Nel senso invece che l’art. 2645 ter « non presuppone ... il perseguimento di interessipubblici, sociali o superindividuali », richiedendo invece soltanto che l’interesse sia « attua-tivo di valori fondamentali (salute, famiglia, impresa, lavoro, dignità e personalità umana,risparmio) » senza che peraltro debba trattarsi di « interessi pubblici o socialmente utili »,si pronuncia, da ultimo, G. Perlingieri, Il controllo di « meritevolezza », cit., p. 68.

A quest’ultima opinione sembra potersi obiettare che — così individuato — l’interesse« meritevole di tutela » ex art. 2645 ter finisce per essere del tutto indeterminato, in talmodo assumendo una estensione eccessiva e ingiustificata. Ancor meno condivisibile cisembra l’idea che l’atto di destinazione ex art. 2645 ter « possa essere utilizzato anche peril perseguimento di interessi, oltre che individuali, prettamente patrimoniali » e, addirittu-ra, « per finalità lucrativo-speculative » (così, ancora, G.Perlingieri, op. cit., p. 69). È il le-gislatore che può — per finalità siffatte — introdurre (eccezionalmente) deroghe al princi-pio di universalità della responsabilità patrimoniale (v. ad es. art. 2447 bis c.c., sui c.d.« patrimoni destinati ad uno specifico affare »), ma dubiteremmo che una simile possibilitàsia stata accordata in generale all’autonomia privata attraverso lo strumento dell’atto didestinazione previsto dall’art. 2645 ter.

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Emanuela NavarrettaProf. ord. dell’Università di Pisa

PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA,PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE E CONTRATTO (*)

Sommario: 1. Il principio di uguaglianza e la sua proiezione verticale sul contratto. — 2. Ildivieto di discriminazione: dalla ratio degli interventi normativi al dilemma sul contrat-to individuale. — 3. Principio di non discriminazione, responsabilità precontrattuale econtrollo sul contenuto del contratto individuale. — 4. La ratio del divieto di discrimi-nazione nell’offerta al pubblico: la proiezione verticale del principio di uguaglianza for-male in concreto e la prospettiva sistematica. — 5. Divieto di discriminazione e proie-zione orizzontale del principio di uguaglianza. — 6. Contratto e principio di uguaglian-za.

1. — La relazione fra principio di uguaglianza e autonomia privata ac-compagna la genesi e l’evoluzione dell’istituto del contratto.

Il concettualismo pandettistico e le codificazioni ottocentesche, specchiopiù o meno consapevole (1) del liberismo borghese e del liberalismo economi-co, avevano plasmato la categoria del contratto sul presupposto dell’astrattauguaglianza formale tra i contraenti (2), premessa di quella giustizia « postu-lata » (3) dall’accordo, che aveva abbandonato le riflessioni groziane in temadi giustizia contrattuale (4).

Solo agli albori del XX sec. illustri sociologi e filosofi iniziano a rilevare chel’accordo è basato su una « parità di fatto che di fatto molto spesso non c’è » (5)

(*) Il lavoro riproduce la relazione tenuta al XXII Incontro nazionale del Coordinamen-to Dottorati di Ricerca in Diritto Privato svoltosi a Trieste il 30 gennaio-1o febbraio 2014ed è dedicato al Prof. Giovanni Iudica.

(1) Wieacker, Storia del diritto privato moderno, II, Milano 1980, p. 140.(2) « Libertà di contratto ed eguaglianza formale dei contraenti apparivano [allorché

prevalevano le teorie economiche del laisser faire, laissez-passer] i presupposti non solo delconseguimento degli interessi particolari [dei contraenti], ma anche dell’interesse generaledella società » così Roppo, Il contratto, Bologna 1977, p. 34.

(3) Il noto aforisma « qui dit contractuel dit juste ».(4) Grozio, De iure belli ac pacis. Libri tres, Amsterdam 1625, cap. XII, par. XI, p.

159 sensibile alla filosofia aristotelico-tomista, concepiva il contratto come fondato su unanecessaria equivalenza sinallagmatica: « In ipso actu principali haec desideratur aequalitas,ne plus exigatur quam par est. [...] Quod enim promittunt aut dant, credendi sunt promit-tere aut dare tamquam aequale ei quod accepturi sunt, utque ejus aequalitatis ratione debi-tum ».

(5) Breccia, Che cosa è « giusto » nella prospettiva del diritto privato?, in Interrogativisul diritto giusto, a cura di Ripepe, Pisa 2001, p. 99.

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e che i contratti, pur « formalmente [...] liberi a tutti, di fatto non sono acces-sibili a molti » (6).

Ma la constatazione resta puramente fattuale e perché il diritto reagissealla distorsione fra la realtà e il modello, si sarebbe dovuto attendere non giàla rinascita di correnti più sensibili al dato reale (7) e tese a riversare sul con-tratto qualcosa di più di « poche gocce di olio sociale » (8), quanto gli inter-venti normativi di matrice europea ispirati al pensiero ordoliberista.

Il compito è spettato dunque all’Europa guidata da spinte solo apparen-temente antitetiche. L’obiettivo del mercato unico e la tutela delle libertà fon-damentali postulate dal Trattato hanno al tempo stesso rafforzato l’autono-mia contrattuale (9), ma l’hanno anche fortemente condizionata (10), nellaconsapevolezza dell’illusione della mano invisibile e dell’esigenza di costruirenormativamente i presupposti di una reale libera concorrenza. In tale conte-sto si è venuta a delineare la duplice esigenza della pari opportunità di acces-so al mercato e dell’esercizio effettivo del potere di autonomia.

Parallelamente, l’obiettivo di rimuovere ogni impedimento al mercato in-terno e di promuovere le libertà fondamentali ha posto in risalto l’esigenza diavversare ogni trattamento discriminatorio fra contraenti di diverse naziona-lità, dando origine ad un processo di progressiva incidenza del principio dinon discriminazione sul contratto (11). Tale principio, affrancandosi via via

(6) L’osservazione è sempre di Breccia, Causa, in Il contratto in generale, t. III, a curadi Alpa-Breccia-Liserre, Torino 1999, pp. 190 s. dove ricorda sia il pensiero di Max Webersecondo cui: « i contratti — se formalmente sono liberi a tutti — di fatto sono accessibilisoltanto a pochi » sia quello di Jürgen Habermas secondo cui « l’autonomia privata [...] im-plica un universale diritto d’eguaglianza, ossia un diritto alla parità di trattamento secondonorme che garantiscano un’eguaglianza giuridica sostanziale » [il corsivo è aggiunto].

(7) Nella fase — tra gli anni ’60 e ’70 — in cui è prevalsa la tendenza, attraverso iprincipi costituzionali, a funzionalizzare gli istituti del diritto privato non sono mancate leproposte — ma si è trattato solo di costruzioni dottrinarie (fra i vari contributi cfr. Nuzzo,Utilità sociale e autonomia privata, Milano 1975, p. 8) — volte ad utilizzare il paradigmadell’utilità sociale, di cui al comma 2o dell’art. 41 C. (norma nella quale si ravvisava il fon-damento dell’autonomia contrattuale), quale strumento per affermare « il progresso di tuttiin condizioni di eguaglianza » sostanziale (Nuzzo, op. cit., p. 43). L’obiettivo era quello diun controllo sostanziale e non solo formale sulle clausole vessatorie nei contratti unilateral-mente predisposti (Nuzzo, op. cit., p. 106 ss.).

(8) Wieacker, Storia del diritto privato moderno, II, cit., p. 412.(9) Leible, Fundamental Freedoms and European Contract Law, in Constitutional Va-

lues and European Contract Law, ed. by Grundmann, Kluwer, The Nederland 2008, p. 65ss.

(10) Wagner, Zwingendes Vertragsrecht, in Die Revision des Verbraucher-Acquis, Ei-denmüller et al. (a cura di), Tübingen 2011, p. 3 parla addirittura di una « pietrificazio-ne » dell’autonomia privata. cfr. sul punto Patti, Autonomia contrattuale e diritto privatoeuropeo, in Ragionevolezza e clausole generali, Milano 2013, p. 105.

(11) La sussistenza o meno di una discriminazione nella disciplina dei contratti tran-sfrontalieri rispetto a quelli nazionali è il più frequente parametro attraverso il quale si va-luta il contrasto di una legge o di un contratto con le libertà fondamentali. V. i seguenti casi

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dalla genesi mercantilistica, e venendosi a colorare di una valenza più pro-priamente assiologica, è divenuto quasi il paradigma dei nuovi obiettivi costi-tuzionali dell’Europa (12) che, dopo aver accolto al suo interno le tradizionicostituzionali comuni, è divenuta essa stessa fautrice del personalismo, conuna specifica vocazione a governare una società sempre più complessa, mul-tietnica e multiculturale.

In sostanza, per un verso, le nuovi visioni economiche e l’obiettivo delmercato concorrenziale hanno determinato una sorta di funzionalizzazionedell’autonomia contrattuale (13) che ha subìto a tal fine limitazioni e con-trolli.

Per un altro verso, l’affermarsi del personalismo quale ulteriore sostratocostitutivo dell’Unione europea ha assecondato la riscoperta dell’attitudinedel contratto a promuovere anche valori della persona (14) e del diritto civile acombattere fenomeni di razzismo e di discriminazione (15).

Con l’impatto dei suddetti avvenimenti, l’asse di riferimento del contrattoha cominciato a virare dall’uguaglianza puramente formale tra i contraentiall’uguaglianza anche sostanziale, aprendo l’ampio e complesso capitolo deicontratti asimmetrici e del controllo sulla giustizia contrattuale. Indici norma-tivi di tale orientamento sono tutte le disposizioni che colpiscono gli accordiiniqui: dalla disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumato-

della Corte di Giustizia: Société Générale Alsacienne c. Koestler, causa 15/78 del 24 ottobre1978; Alsthom Atlantique SA e/ Compagnie de Construction Mécanique Sulzer SA e a.,causa C-339/89 del 24 gennaio 1991; Angonese c. Cassa di Risparmio di Bolzano, causa C281/98 del 6 giugno 2000.

(12) L’apice di tale processo è segnato dal Trattato di Lisbona e dall’inserimento nelmedesimo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dalla previstaadesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(13) Parla di « definizione “funzionale” dell’autonomia contrattuale » Zoppini, Autono-mia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in Contratto e anti-trust, Roma-Bari 2008, p. 16.

(14) Cfr. Colombi Ciacchi, The Constitutionalization of European Contract Law: Judi-cial Convergence and Social Justice, in Eur. Review of Contract Law, 2006, p. 167 ss.;Ead., Party Autonomy as a Fundamental Right in the European Union, in Eur. Review ofContract Law, 2006, p. 303 ss.; Cherednychenko, The Constitutionalitation of ContractLaw: Something New under the Sun?, in Electronic Journal of Comparative Law, 2004, p.1 ss.; Grundmann, Constitutional Values and European Contract Law: An Overview, inConstitutional Values and European Contract Law, cit., p. 3 ss.; Kosta, Internal MarketLegislation and the Private Law of the Member States — The Impact of Fundamental Ri-ghts, in ERCL, 2010, p. 409 ss.; Mak, The Constitutional Momentum of European ContractLaw. On the Interpretation of the DCFR in the Light of Fundamental Rights, in EuropeanReview of Private Law, 2009, p. 513 ss.; Ead., Fundamental Rights in European ContractLaw, Kluwer, The Nederlands 2008.

(15) Cfr. Morozzo della Rocca, Gli atti discriminatori e lo straniero nel diritto civile, inPrincipio di uguaglianza e divieto di compiere atti discriminatori, a cura di Morozzo dellaRocca, Napoli 2002, p. 23. In generale, cfr. Schulze (a cura di), Non-Discrimination in Eu-ropean Private Law, Tubinga 2011, passim.

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ri (16), alla normativa sull’abuso di dipendenza economica (17), dalla disposi-zione sui ritardi di pagamento (18), alla normativa sulla cessione dei prodottiagricoli e agroalimentari (19), sino all’abuso di posizione dominante (20), checonsista in un abuso di sfruttamento, e all’ipotesi dei contratti a valle (21). Némanca un’attenzione privilegiata anche al tema delle c.d. asimmetrie mi-croeconomiche (22) sotto l’influenza dapprima di fonti fatto o fonti extra-or-dinem e poi con la loro attrazione nel circuito della disciplina dell’Unione, invirtù del progetto di CFR, poi confluito nel DCFR e, da ultimo, nella Propostadi CESL.

Al contempo, l’asse del contratto ha iniziato lievemente ad inclinarsi dal-l’uguaglianza formale in astratto all’uguaglianza formale in concreto.

Tale deve ritenersi il senso sotteso ai divieti di contemplare clausole di-scriminatorie che creino uno svantaggio per la concorrenza, previsti nell’am-bito dell’abuso di dipendenza economica (23); dell’abuso di posizione domi-nante (24) e della cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (25).

(16) Artt. 33 ss. del codice del consumo.(17) Art. 3, comma 2o, della l. 18 giugno 1998, n. 192 che così recita: « L’abuso può

anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condi-zioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitra-ria delle relazioni commerciali in atto ». [Il corsivo è aggiunto].

(18) Art. 7 del d.l. 9 ottobre 2002, n. 231, come modificato dal d.l. 9 novembre 2012,n. 192, secondo cui « 1. L’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritar-dato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla naturadella merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporticommerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo indanno del creditore ».

(19) Art. 62, comma 2o, lett. a), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con la l. 24marzo 2012, n. 27, come modificato dall’art. 36 bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, con-vertito con la l. 17 dicembre 2012, n. 221.

(20) Art. 102, comma 2o, lett. a) e d), del TFUE, in base al quale: « Tali pratiche abusi-ve possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzid’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; [...] d) nel subordinarela conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni sup-plementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nessocon l’oggetto dei contratti stessi ». [Il corsivo è aggiunto]. Del medesimo tenore è l’art. 3della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

(21) Ipotizza un’applicazione ai contratti a valle della disciplina sui contratti asimmetri-ci e, specificamente, di quella sull’abuso di dipendenza economica, Libertini, Ancora sui ri-medi civili conseguenti ad illeciti antitrust, II, in Danno e resp., 2005, p. 251. Sul punto cisia consentito rinviare a Navarretta, Abuso del diritto e contratti asimmetrici, in Annuariodel contratto, 2011, Torino 2012, p. 87.

(22) Si veda nel DCFR la disciplina degli artt. II.-7:101, II.-7:207 e IVH.-2:104 in ma-teria di unfair exploitation e nella Proposta di CESL l’art. 51 dell’Annex I.

(23) V. supra nt. 16.(24) L’art. 102, comma 2o, lett. c), del TFUE così recita: « Tali pratiche abusive posso-

no consistere in particolare: c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri con-

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E tale è altresì — come si dirà — il senso sotteso al divieto di discrimina-zioni per ragioni legate a profili personali del contraente: la razza, il colore,l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni o le pratiche religio-se (art. 43, comma 2o, d. legisl. 25 luglio 1998, n. 286); la razza o l’originerazziale (direttiva 2000/43/CE, attuata con il d. legisl. 9 luglio 2003, n.215); il sesso (direttiva 2000/113/CE, attuata con il d. legisl. 6 novembre2007, n. 196); la disabilità (l. 1o marzo 2006, n. 67); la religione o le convin-zioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (proposta di diret-tiva 2 luglio 2008 COM (2008) 426).

Dinanzi ad una tale evoluzione l’interprete non può più limitarsi a giustifi-care le limitazioni all’autonomia privata, sul presupposto dell’eccezionalitàdelle previsioni che derogano al modello tradizionale (26). Al contrario, la ten-denza della nuova disciplina a plasmare un nuovo modello e, al contempo, ilsuo attuarsi attraverso interventi di tipo settoriale impongono all’interprete uncompito decisamente più arduo: portare a sistema le disposizioni normative,senza l’illusione di un sistema monolitico (27) e senza addivenire alla distruzio-ne del contratto. È evidente, infatti, che se le diseguaglianze vanno combattute,è anche vero che, infranto il velo dell’uguaglianza formale, sono tali e tante lepossibili diversità reali che, ad assecondarle tutte, si rischia di rimettere costan-temente in discussione la vincolatività dell’accordo. Analogamente, se l’obietti-vo della parità in concreto nell’accesso al contratto deve indurre ad un sindaca-to sulla scelta negoziale, un controllo troppo dilagante e pervasivo potrebbe mi-nacciare la stessa autonomia che è a fondamento del contratto.

2. — Delle aree che risentono della tensione verso l’uguaglianza sostan-ziale o verso l’uguaglianza formale in concreto, nella loro proiezione verticalesul contratto, la più difficile da ricondurre a sistema è quella relativa al divie-to di discriminazioni per ragioni legate alle qualità del contraente, in quantoimmette nel circuito dell’esercizio dell’autonomia un valore fondante del si-stema: la dignità umana (28).

traenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimiuno svantaggio per la concorrenza » [il corsivo è aggiunto]. Identico alla norma del trattatoè il testo della l. 287/1990 dell’art. 3 lett. c) della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

(25) L’art. 62, comma 2o, lett. b), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con la l. 24marzo 2012, n. 27, come modificato dall’art. 36 bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, con-vertito con la l. 17 dicembre 2012, n. 221 stabilisce che: « Nelle relazioni commerciali traoperatori economici, ivi compresi i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei beni di cuial comma 1o, è vietato: [...] b) applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioniequivalenti » [il corsivo è aggiunto].

(26) « I limiti all’autonomia privata non costituiscono [più] norme eccezionali », scrive Sac-co, Il contratto, t. II, a cura di Sacco-De Nova, in Tratt. Sacco, 3a ed., Torino 2004, p. 309.

(27) Parla di « una pluralità di modelli, o meglio, di punti di riferimento » P. Barcello-na, voce Libertà contrattuale, in Enc. dir., XXIV, Milano 1974, p. 493.

(28) È concordemente riconosciuto che il divieto di discriminazione per ragioni che at-

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Il coinvolgimento di un valore di tale rango ha reso imprescindibile unariflessione in chiave sistematica sulla ratio sottesa ai divieti di discriminazio-ne. I dati normativi e le stesse fonti extra ordinem riferiscono infatti i divietitalora — come nella direttiva 2004/113/CE e nella relativa normativa di at-tuazione nonché nei Principi Acquis (29) e nel Draft Common Frame of Refe-rence (30) — alla mera offerta al pubblico, talora — come nell’art. 3 dellaProposta di direttiva 2 luglio 2008 COM (2008) 426 — a coloro che si rivol-gono al pubblico nell’esercizio di un’« attività commerciale o professionale »,talora, infine, — come nella direttiva 2000/43 e nella relativa normativa diattuazione — alla generica offerta di beni e servizi. Occorre, dunque, scioglie-re le perplessità sollevate dal diverso tenore dei testi normativi, specie quelliche tacciono in merito al presupposto dell’offerta al pubblico — anche se daipiù il silenzio è ascritto ad un mero errore nella traduzione (31) (32) —, e mi-surare in generale le potenzialità espansive di un principio intriso di una fortevalenza assiologica.

Orbene, se nelle differenti ricostruzioni dottrinarie comune è il riferimen-to alla dignità umana, il cui rango e valore apparentemente non giustifiche-rebbero una limitazione del divieto alla sola offerta al pubblico (33), tre sono

tengono alla persona del contraente si colleghi al valore della dignità. Cfr. fra gli altri C.M.Bianca, Il problema dei limiti all’autonomia contrattuale in ragione del principio di non di-scriminazione, in Discriminazione razziale e autonomia privata. Atti del Convegno di Na-poli del 22 marzo 2006, Roma 2006, p. 64 ss.; Gentili, Il principio di non discriminazionenei rapporti civili, in R. crit. d. priv., 2009, p. 228 ss.; Maffeis, Offerta al pubblico e divietodi discriminazione, Milano 2007, p. 44 s.; Marella, Il fondamento sociale della dignitàumana. Un modello costituzionale per il diritto europeo dei contratti, in R. crit. d. priv.,2007, p. 87 ss.; Morozzo della Rocca, Gli atti discriminatori e lo straniero nel diritto civile,in Principio di uguaglianza e divieto di compiere atti discriminatori, a cura di Morozzo del-la Rocca, Napoli 2002, p. 38; Strazzari, Discriminazione razziale e diritto. Un’indaginecomparata per un modello « europeo » dell’antidiscriminazione, Padova 2008, p. 258 ss.

(29) Maffeis, Il divieto di discriminazione, in I « principi » del diritto comunitario deicontratti. Acquis communautaire e diritto privato europeo, a cura di De Cristofaro, Torino2009, p. 265 ss.

(30) Tommasi, La non discriminazione nel « Draft Common Frame of Reference », in R.crit. d. priv., 2011, p. 119 ss. Il DCFR dedica al divieto di discriminazione il capitolo II, delII libro artt. 2:101-2:105. In particolare, l’art. II.-2:101 recita: « A person has a right notto be discriminated against on the grounds of sex or ethnic or racial origin in relation to acontract or other juridical act the object of which is to provide access to, or supply, goods,other assets or services which are available to the public ».

(31) Maffeis, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, cit., p. 409, nt. 33, ripre-so da Gentili, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, cit., p. 213.

(32) Contraria ad una lettura restrittiva della direttiva, motivata con l’errore di tradi-zione, B. Checchini, Divieto di discriminazione e libertà negoziale, in Diritto civile e princi-pi costituzionali, a cura di Salvi, Torino 2012, p. 264 s.

(33) Ma così non è, come diremo in seguito, poiché la tutela della dignità non può spin-gersi sino ad annientare la libertà contrattuale. In senso contrario, cfr. B. Checchini, op.cit., p. 268 secondo cui: « se [...] è in gioco la lesione della dignità della persona [...], nonv’è ragione per cui tali divieti di discriminazione non possano applicarsi anche ai rapporti

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state le principali rationes ravvisate a fondamento della restrizione del divietoproprio al campo della negoziazione pubblica.

La prima, accogliendo quale presupposto del ragionamento la normaleinsindacabilità delle scelte contrattuali, sostiene che il riferimento all’offertaal pubblico è dovuto all’esigenza di evitare che sia sfruttata la latitudine delmercato dal contraente che si avvale della sollecitazione al pubblico, se quelmedesimo soggetto frappone al mercato ostacoli contrastanti con i valori del-l’ordinamento (34). Questa prima tesi, per un verso, presuppone la dimostra-zione del postulato di base — la normale insindacabilità delle scelte contrat-tuali — e, per un altro verso, deve evitare la facile obiezione che solo l’accessoal mercato valorizzi un aspetto primario della persona, quale la dignità (35).

La seconda giustificazione del limite tracciato dall’offerta al pubblico èche in tal caso l’offesa alla dignità sarebbe esplicitata e non relegata in unasfera protetta dalla privacy: « la privacy [cessa di] costituire un ambito pro-tetto [...] quando l’autore della scelta discriminatoria decida lui stesso di far-ne partecipi altri, rinunciando alla propria sfera di riservatezza » (36). Perconverso, nella negoziazione individuale riemergerebbe il rilievo della privacye la sua capacità di prevalere, nel bilanciamento di interessi, nei confrontidella dignità. Questa seconda motivazione, non estranea al dibattito euro-peo (37), deve però giustificare come mai il divieto di discriminazione sia statoesteso — in dottrina (38) e dalla stessa giurisprudenza, a partire dal noto caso

contrattuali c.d. individualizzati ». Propone l’applicazione del divieto di discriminazione aldi fuori dell’offerta al pubblico anche Carapezza Figlia, Divieto di discriminazione e auto-nomia contrattuale, Napoli 2013, p. 201.

(34) Questa tesi serpeggia nel pensiero di Maffeis, Offerta al pubblico e divieto di discri-minazione, cit., p. 42 s. là dove scrive che: « il diritto contrattuale antidiscriminatorio [...]si ispira alla equal opportunity secondo il modello importato dagli Stati Uniti d’America[...] volto a garantire la massima efficienza del sistema degli scambi costitutivo del merca-to » e proprio sul punto viene criticato da Gentili, v. nota seguente. Va peraltro sottolineatocome l’Autore immediatamente dopo rimarchi che l’obiettivo del divieto è la pari dignità[Id., op. cit., pp. 44-45] e l’esigenza di coinvolgere i privati nel « realizzare una misura ditutela di diritti fondamentali ». Ma il riferimento alla sola dignità non basta, per l’appunto,a giustificare l’operare del divieto nella sola offerta al pubblico, il che — nella visione del-l’Autore — è un postulato di base [p. 215], utilizzato anche per giustificare l’attenuazionedell’attrito fra il divieto e la libertà contrattuale [p. 53 ss.].

(35) L’obiezione è chiaramente esplicitata da Gentili, Il principio di non discriminazio-ne nei rapporti civili, cit., p. 225 dove osserva che « una tesi che riduce una grave umilia-zione della dignità della persona ad essere proibita perché non giova al mercato, suscitaqualcosa di più di una perplessità ».

(36) Morozzo della Rocca, Gli atti discriminatori e lo straniero nel diritto civile, cit.,p. 43.

(37) Cfr. Pinto Oliviera & Mac Crorie, Anti-discrimination Rules in European ContractLaw, in Constitutional Values and European Contract Law, a cura di Grundmann, WoltersKluwer, The Netherland 2008, p. 115 ss. che distinguono tra « public and private spheresof the individual ».

(38) Sacco, Il contratto, t. II, cit., p. 307 s.

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milanese del 2000 (39) — anche all’offerta al pubblico che consti di un meroinvito a proporre seguito da un rifiuto discriminatorio, ipotesi nella quale laragione discriminatoria non è esposta al pubblico e non è esibita più di quan-to non lo possa essere in una negoziazione individuale che espliciti la discri-minazione.

Infine, la terza motivazione a sostegno di un sindacato sulla scelta con-trattuale discriminatoria limitato all’offerta al pubblico adduce l’esigenza chericorrano i presupposti logici per una proiezione orizzontale del principio diuguaglianza. Mentre, infatti, nell’offerta al pubblico può attuarsi quel giudi-zio comparativo che è sotteso al concetto di disparità di trattamento (40) e checonsente — come è stato magistralmente spiegato (41) — una proiezione oriz-zontale del principio di uguaglianza, viceversa, nella contrattazione indivi-duale simile comparazione non è possibile o comunque non è giustificata.« Un caso per definizione singolo [...] non è il luogo di regole generali » (42).In altri termini, non si può porre a confronto una legge individuale con un’al-tra legge individuale, quando fra di esse non sussiste alcun collegamento senon sul piano dei motivi, o meglio, del confronto tra i motivi sottesi alle duenegoziazioni: un piano che la legge non va ad indagare neppure nell’ipotesidell’illiceità, se questa non ricade sul contenuto o sugli elementi essenziali delcontratto.

Questa terza argomentazione deve, però, a sua volta, confrontarsi con ilcaso in cui in una negoziazione individuale la parte esplicitamente rifiuti lacontrattazione dichiarando la ragione discriminatoria e in tal modo svelandola comparazione virtuale (43) fra il trattamento riservato al contraente discri-minato e quello che sarebbe stato riservato a terzi o alla stessa controparte, sequesta non avesse avuto la particolare connotazione personale che suscita ladiscriminazione.

Rispetto a tale caso non resta allora che interrogarsi sulla ragionevolezzadi una eventuale distinzione tra discriminazione dichiarata, in cui si esplicitila comparazione virtuale, e discriminazione sussistente, ma taciuta.

Orbene, al di là dell’ovvia incidenza che la dichiarazione può avere sulpiano probatorio — incidenza che però non ha un valore assoluto — una di-versità di trattamento fra la discriminazione dichiarata, considerata per ipote-

(39) Trib. Milano 30 marzo 2000, in F. it., 2000, I, c. 2040 ss.(40) Questa motivazione si deve a Gentili, Il principio di non discriminazione nei rap-

porti civili, cit., p. 221.(41) P. Rescigno, Il principio di uguaglianza nel diritto privato, in Persona e comunità.

Saggi di diritto privato, Bologna 1966, p. 346 ss. In termini analoghi cfr. Carusi, Principiodi uguaglianza, immunità e privilegio: il punto di vista del privatista, in Studi in onore diPietro Rescigno, Milano 1988, p. 227 ss.

(42) Gentili, op. cit., p. 223.(43) Gentili, op. cit., p. 222 non si sottrae all’ipotesi della comparazione virtuale, ma la

ritiene impossibile, un’impossibilità che tuttavia non sembra sussistere a fronte di una di-chiarazione esplicita.

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si fonte di responsabilità, e quella taciuta, considerata sempre per ipotesiesente dalla stessa, implicherebbe, sul terreno sostanziale, non soltanto unasoluzione ipocrita (44), ma soprattutto una soluzione irragionevole, poiché aparità di condizioni pregiudicherebbe chi negozia con trasparenza rispetto achi si avvale del silenzio.

Ma allora delle due l’una.O diciamo che, fintantoché il silenzio sulla scelta contrattuale è legittimo,

allora anche la dichiarazione di scelta, compresa quella discriminatoria, deveritenersi irrilevante, quanto meno rispetto all’esercizio dell’autonomia con-trattuale; o diciamo che la scelta discriminatoria dichiarata va sindacata, maallora, posto che anche il silenzio potrebbe celarla, andrebbe costantementeimposta una motivazione del rifiuto. In altri termini, ad evitare che il silenzionasconda la discriminazione si dovrebbe richiedere di motivare sempre e abinitio le proprie scelte contrattuali.

Sennonché quest’ultima ipotesi, cioè un vincolo di originaria e generaliz-zata motivazione della scelta che guida l’interesse individuale, significa con-vertire la libertà contrattuale in esercizio di un’attività costantemente soggettaad un sindacato di discrezionalità, il che equivale non ad una pura limitazio-ne, ma ad una radicale alterazione concettuale dell’autonomia, ossia ad unasua negazione (45).

Simile conclusione è inaccettabile se si condivide la tesi che l’autonomiacontrattuale abbia un fondamento costituzionale (46), il che vale sia che talefondamento venga ravvisato nel diritto all’autodeterminazione e nel liberosvolgimento della personalità (47), ex art. 2 C., sia che venga identificato —come pare più consono — nell’iniziativa economica privata (48). E, infatti,

(44) Lo stesso Morozzo della Rocca, op. cit., p. 44, riconosce che sia ipocrita differen-ziare la discriminazione dichiarata da quella taciuta, anche se reputa tale ipocrisia tollera-bile in termini di bilanciamento di interessi.

(45) È l’esito a cui conducono sia la tesi di B. Checchini, op. cit., p. 268 sia l’imposta-zione accolta da Carapezza Figlia, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale,Napoli 2013, p. 235, che parla di mera limitazione Id., op. cit., p. 195, quando in effetti sidetermina invece una sostanziale negazione.

(46) V. infra nt. 47. Ritiene invece auspicabile la presenza di una regola costituzionale« di garanzia dell’autonomia privata » Castronovo, Autonomia privata e Costituzione euro-pea, in Contratto e Costituzione in Europa, a cura di Vettori, Padova 2005, p. 48 s., men-tre a favore di una rilevanza costituzionale solo indiretta dell’autonomia contrattuale cfr.Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, p. 1 ss.

(47) È la tesi prevalente in Germania e in Portogallo. Cfr. Flume, Allgemeiner Teil delBürgerlichen Rechts. Das Rechtsgeschäft, Berlin 1992, p. 17 ss. e Pinto Oliveira and Mac-Crorie, Anti-discrimination Rules in European Contract Law, in Constitutional Values andEuropean Contract Law, cit., p. 113. Sul punto in senso critico rispetto all’orientamento te-desco, cfr. Carapezza Figlia, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, cit., p.139 ss.

(48) Individuano nell’art. 41 C. la fonte di riconoscimento diretto dell’autonomia con-trattuale G. Benedetti, Negozio giuridico e iniziativa economica privata, in Il diritto comu-

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tanto il diritto inviolabile, in sede di bilanciamento, quanto il diritto protettodalla garanzia di istituto, in sede di limitazione, non possono essere puramen-te negati né da una legge né da un’interpretazione della legge.

La conseguenza, a questo punto, è che, non potendosi imporre un obbli-go generalizzato di motivazione sulle scelte contrattuali, l’eventuale dichiara-zione, benché discriminatoria, non è sindacabile rispetto all’esercizio dell’au-tonomia contrattuale, fintantoché è considerato legittimo il silenzio. Ovvia-mente, altro problema è se la dichiarazione discriminatoria possa rilevare co-me manifestazione del pensiero offensiva della dignità della persona, con lerelative conseguenze sul piano risarcitorio.

In altri termini, non si può generalizzare in nome della dignità umana uncostante sindacato sulle scelte contrattuali, comprese quelle individuali, poi-ché l’obiettivo di tutelare tale valore non può spingersi sino al punto di acce-dere ad una interpretazione sostanzialmente abrogante della libertà contrat-tuale.

3. — Il ragionamento che induce ad escludere la possibilità di generaliz-zare un sindacato sulle scelte individuali sottese al contratto non equivale anegare che vi possano essere contesti e motivazioni che, viceversa, giustificanoun vaglio sull’esercizio dell’autonomia né che tali ambiti debbano connotarsiin termini di stretta eccezionalità.

Prima ancora di tornare a riflettere sulle previsioni dettate in materia diofferta al pubblico, occorre rilevare come una ragione generale che inducel’ordinamento a sottoporre l’autonomia contrattuale ad un controllo tale dacolorare il relativo esercizio in termini discrezionali è la circostanza che unaparte abbia, nelle relazioni precontrattuali, ingenerato nell’altra un affida-mento. Detta circostanza rafforza la relazionalità fra le due parti assoggettan-do l’esercizio della libertà a quel sindacato di correttezza, che certo non puòreputarsi impermeabile al principio della dignità.

Né vale obiettare che il rifiuto discriminatorio nulla aggiunga al rifiutoingiustificato tout court, poiché, mentre questo è sufficiente a far sorgere unaresponsabilità precontrattuale ma limitata al risarcimento del danno patrimo-niale, viceversa, il rifiuto o, più in generale, la condotta precontrattuale di-scriminatoria legittimano anche la pretesa del risarcimento del danno non pa-trimoniale. E neppure deve paventarsi il rischio che attraverso la responsabi-lità precontrattuale da conclusione del contratto valido ma sconveniente si

ne dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli 1997, p.97 s.; Id., Appunti e osservazioni sul seminario, in Persona e mercato, Milano 1996, p. 139;Mazzamuto, Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione Euro-pea, in Europ. d. priv., 2005, p. 54 e in Contratto e Costituzione in Europa, cit., p. 96;Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata, cit., p. 31 ss.; C. Scognamiglio, Principi genera-li, clausole generali e nuove tecniche di controllo dell’autonomia privata, in Annuario delcontratto, 2010, diretto da D’Angelo e Roppo, Torino 2011, p. 27. Ci sia consentito rinvia-re a Navarretta, Diritto civile e diritto costituzionale, in questa Rivista, 2012, p. 666 ss.

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possa costantemente pretendere un sindacato sulle scelte contrattuali, poichéab imis è doveroso escludere una generalizzazione tout court di tale fattispe-cie. La responsabilità precontrattuale da conclusione del contratto valido, masconveniente (49), prima ancora di produrre ricadute sulla disciplina del con-tratto discriminatorio, condurrebbe, infatti, all’inaccettabile esito di abrogaredi fatto la disciplina sui vizi del consenso, là dove qualunque vizio incompleto— finanche un banale errore sui motivi — consentirebbe con la prova dellascorrettezza di ottenere, tramite il risarcimento del danno, una sorta di corre-zione del contratto, che è più di quanto conceda il rimedio dell’annullamento.

Se poi dalla responsabilità precontrattuale si procede verso il contratto,oggetto di sindacato alla luce dei valori costituzionali, e, dunque, del princi-pio di non discriminazione e del valore della dignità, non è più in sé la sceltacontrattuale, ma quella porzione di scelta che le parti vogliono che divenga« legge privata » e che, pertanto, non può in alcun modo porsi in contrastocon i principi dell’ordinamento.

Questa progressione dalla scelta in sé alla porzione di scelta che chiede didivenire « legge individuale » spiega la discontinuità — autorevolmente dife-sa (50) e altrettanto autorevolmente criticata in dottrina (51) — fra limiti atti-nenti alle scelte sottese all’autonomia privata e limiti attinenti alla struttura eal contenuto del contratto: una discontinuità che è logica e non assiologica.

Da questa premessa discende un imprescindibile e costante vaglio sulcontenuto del contratto anche individuale alla luce del principio di non discri-minazione.

Si pensi al caso in cui il contratto contenga una condizione discriminato-ria, ad esempio che il conduttore non professi una particolare religione o cheil convivente del conduttore non sia dello stesso sesso. Tale clausola certa-mente deve reputarsi nulla: una nullità che colpisce il contratto sia che l’altra

(49) Il tema — com’è noto — ha animato il dibattito della dottrina specie dopo le pro-nunce: Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in F. it., 2006, c. 1105 ss., con nota di Scoditti;Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in Danno e resp., 2008, p. 525 ss.,con note di Roppo e di Bonaccorsi; nonché Cass. 8 ottobre 2008 n. 24795, in F. it., 2009, I,c. 440 ss., con nota di Scoditti. Contrario, in particolare, alla generalizzazione della re-sponsabilità precontrattuale da conclusione del contratto valido, ma sconveniente D’Amico,La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Roppo, V, Rimedi, Milano 2006, p. 1132 ss.

(50) Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 18 ss.(51) P. Barcellona, voce Libertà contrattuale, in Enc. dir., XXIV, Milano 1974, p. 491,

secondo cui « la distinzione fra limiti attinenti al potere privato di autodeterminazione e li-miti attinenti alla struttura del contratto lascia alquanto perplessi, giacché il contenuto del-la disciplina sulla struttura non può non riflettersi sul modo di essere del potere privato eviceversa ». L’osservazione è certamente acuta ma deve anche considerare che il modo diessere del potere privato affonda le proprie ragioni in una molteplicità di scelte e in quellasfera variegata dei motivi e degli interessi perseguiti dalle parti che il legislatore di regolanon indaga neppure nell’ipotesi dell’illiceità; viceversa, la struttura e il contenuto del con-tratto riguardano quella porzione della scelta che i privati intendono tradurre in vincologiuridico e che dunque non può contrapporsi ai valori dell’ordinamento giuridico da cuivuole trarre legittimazione.

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parte non rientri fra i soggetti discriminati — il che è il segno della sanzioneverso l’illiceità del contenuto — sia che l’altra parte rientri fra i soggetti di-scriminati, nel qual caso si affianca al rimedio della nullità quello del risarci-mento del danno, anche non patrimoniale.

Alle medesime conclusioni si può addivenire con riguardo a ulterioripossibili clausole discriminatorie. Si pensi alla clausola che autorizzi la su-blocazione, ma la vieti per gli extracomunitari o per tale ipotesi contempliun incremento del canone. Una simile clausola potrà, applicando il comma1o dell’art. 1419 c.c., determinare la nullità dell’intero contratto e allora aldiscriminato resterà il rimedio del risarcimento del danno non patrimonialeo la nullità della sola clausola e allora basterà rimuoverla dal contratto o,se necessario in relazione al suo contenuto, integrare il medesimo con lacorrispondente clausola non discriminatoria, che si inferisce dallo stesso at-to (52).

La prospettiva del controllo sul contenuto del contratto, se si volge losguardo dal contratto in generale alla molteplici possibili tipologie negoziali,apre due fronti non privi di criticità rispetto al principio di non discriminazio-ne: l’ambito dei contratti associativi, da una parte, e quello degli atti di libe-ralità e degli atti mortis causa, da un’altra parte.

Relativamente ai primi la loro stessa struttura implica la previsione di re-gole di ingresso di nuovi associati o soci, sicché ne discende l’interrogativosulla compatibilità fra il principio di non discriminazione e le clausole di gra-dimento o di mero gradimento. Orbene, la latitudine di tali previsioni nonconsente di accedere ad un giudizio aprioristico di illiceità, ma introduce cer-tamente l’esigenza — supportata dal raccordo fra la regola di correttezza e ilprincipio della dignità — di sottoporre la loro applicazione al vaglio della nondiscriminazione.

Ancora più complesso è misurarsi con l’ambito delle liberalità e degli attimortis causa rispetto ai quali l’orientamento prevalente esclude — anche nelcaso dell’offerta al pubblico — l’applicabilità delle leggi antidiscriminatoriesul presupposto dell’insindacabilità dello spirito di liberalità (53). Orbene, setale deduzione è accettabile sul fronte del vaglio relativo alla scelta negoziale,non pare, viceversa, porsi negli stessi termini il controllo inerente al contenutodell’atto che — vale la pena ribadirlo — consta della possibilità di tradurreun regolamento di interessi in legge privata, il che è subordinato al rispettodella liceità. Occorre, all’uopo, ricordare che, negli atti in esame, il regimeoperante nel caso dell’illiceità dell’onere, del motivo esplicitato o della condi-

(52) Né può escludersi che in una negoziazione individuale ricorrano anche i presuppo-sti di un contratto asimmetrico, nel qual caso risulterebbe precluso l’esito della nullità del-l’intero contratto, mentre non si deve cedere alla tentazione — come si dirà — deviante edingiustificata di reputare il discriminato automaticamente un contraente debole.

(53) Scarselli, Appunti sulla discriminazione razziale e la sua tutela giurisdizionale, inquesta Rivista, 2001, I, p. 823.

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zione, salvo qualche dubbio relativamente a quest’ultima (54), è quello dellaloro non incidenza sull’atto, a meno che il fattore illecito sia stato, oltre cheesplicitato nell’atto, il solo che abbia determinato il disponente a porre in es-sere il medesimo. Ma allora, ove ricorra tale circostanza, vi è da chiedersi perquale ragione l’offesa alla dignità realizzata attraverso una pattuizione discri-minatoria debba avere minore valore rispetto ad altre cause di illiceità dellaclausola (55).

Da ultimo, che il regolamento contrattuale in quanto « legge privata »debba essere compatibile con i valori dell’ordinamento e, dunque, con il valo-re della dignità sotteso al divieto di discriminazione viene confermato da unarecente sentenza della Corte d’Appello di Milano, che sottopone un contrattoindividuale ad una interpretazione ex fide bona ispirata al principio di nondiscriminazione. Il caso è quello deciso dalla pronuncia 29 marzo 2012 (56)che ha interpretato la clausola di un contratto di lavoro relativa all’assistenzasanitaria privata pagata con un contributo trattenuto in busta paga comeestesa, alla luce del principio di non discriminazione, anche al convivente mo-re uxorio dello stesso sesso.

In definitiva, la prima conclusione cui è dato giungere è che, essendo ilfondamento della discriminazione l’offesa alla dignità, il contratto individualenon può essere rispetto ad essa impermeabile.

Tuttavia, altro è sottoporre al rispetto di tale valore quella porzione discelta che le parti vogliono tradurre in legge individuale, ossia il contenuto delcontratto, altro è controllare in sé la scelta contrattuale, il che, se non si vuoleannientare la stessa autonomia, è ammissibile solo in particolari contesti e perparticolari ragioni.

4. — Tornando dal controllo sulla liceità del contratto al vaglio sullascelta contrattuale, occorre verificare quali ragioni, oltre a quelle sottese al-la disciplina generale sulla responsabilità precontrattuale, passano giustifi-

(54) Anche alla condizione parrebbe più ragionevole applicare la stessa regola dettataper l’onere e per i motivi.

(55) Chiaramente il punto sarà poi quello di accertare la natura effettivamente illecitadella clausola alla luce della ragionevolezza o non ragionevolezza della disparità di tratta-mento rispetto al contenuto dell’atto. Si immagini il caso in cui una comunità etnico-reli-giosa decida di effettuare una donazione con una precisa clausola di destinazione del bene asoggetti appartenenti a quella etnia o religione. In un’ipotesi del genere l’esigenza — sottesaalla clausola — di garantire una continuità di appartenenza di determinati beni ad una co-munità culturale non evidenzia certamente alcuna offesa alla dignità della persona. Diversosarebbe il caso in cui un datore di lavoro offrisse omaggi ai suoi dipendenti con l’esplicitaclausola che debba trattarsi di lavoratori non extracomunitari o quello nel quale l’anziananonna disponesse un lascito al nipote ponendo come imprescindibile condizione che eglinon vada a convivere con una persona dello stesso sesso. Né deve nuovamente paventarsiche la nullità svantaggi il discriminato, poiché tale rimedio resta sembra affiancato da quel-lo del risarcimento del danno non patrimoniale.

(56) La sentenza è inedita.

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care un sindacato di merito alla luce del divieto di discriminazione.Una tale riflessione riconduce al quesito iniziale sul significato e sulla ra-

tio del divieto di discriminazione nell’offerta al pubblico.Come abbiamo già anticipato, per giustificare l’operare del divieto nella

sola offerta al pubblico non basta addurre la presenza unicamente in tale am-bito di un termine di comparazione, posto che anche in una negoziazione in-dividuale la discriminazione dichiarata esplicita una comparazione virtuale.Parimenti, non basta prospettare l’argomento che invoca la copertura dellaprivacy nella negoziazione individuale e la vede dileguarsi nell’offerta al pub-blico, poiché altrimenti non potrebbe ricomprendersi nel raggio operativo deldivieto l’invito ad offrire non discriminatorio che rinvii al momento dell’offer-ta della controparte di palesare la discriminazione; all’inverso, dovrebbe du-bitarsi di poter sottrarre al divieto una negoziazione individuale che espliciti,magari anche in presenza di terzi, la ragione discriminatoria, poiché in talefattispecie risulterebbe arduo invocare la copertura della privacy.

Riemerge allora la terza motivazione, quella che vuole soccombente ri-spetto alla dignità la posizione di chi, offrendo al pubblico, sfrutta la latitudi-ne del mercato. Ma è di tutta evidenza lo stridere (57) di una logica di tipomercantile, che pure non è estranea alle spinte originarie dell’Unione euro-pea (58), rispetto ad un valore così alto quale la dignità.

Sennonché la lettura del fenomeno, alla luce delle direttive e della Cartadei diritti fondamentali dell’Unione europea, non risiede in tale logica di tipomercantile bensì nel bilanciamento di interessi che ha operato il legislatore fral’autonomia contrattuale del singolo, che sfrutta il vantaggio dell’offerta alpubblico con la quale può intercettare una pluralità di contraenti, e le pariopportunità di accesso al mercato di una pluralità di soggetti altrimenti estro-messi. Dunque, il sacrificio dei più rispetto all’interesse del singolo nell’eserci-zio dell’autonomia contrattuale è la ragione che induce il legislatore ad in-frangere il vincolo della normale insindacabilità delle scelte contrattuali, ilche immediatamente dà risalto al coinvolgimento della dignità e dà voce allapari dignità (59) di accesso all’esercizio dell’autonomia, realizzando — attra-verso il divieto — un’azione positiva a vantaggio dell’uguaglianza formale inconcreto.

Se questa è la ratio delle previsioni normative riferite all’offerta al pub-blico, è su di essa che deve misurarsi il quesito sistematico sulla possibileproiezione del controllo anche al di fuori del perimetro normativo.

(57) Gentili, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, cit., p. 225.(58) Per il raccordo fra libertà economiche fondamentali e divieto di discriminazione

per ragioni legate alla nazionalità si veda l’originario art. I-4, rubricato « Libertà fonda-mentali e non discriminazione », di cui al titolo I del Trattato che intendeva istituire unaCostituzione per l’Europa. Il testo si può leggere in Contratto e Costituzione in Europa, cit.,p. 275. Si veda altresì supra nt. 11 sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materiadi divieto di discriminazione e libertà fondamentali.

(59) Maffeis, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, cit., spec. p. 44.

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Orbene, com’è chiaro, il bilanciamento di interessi fra la libertà del sin-golo e le pari opportunità di esercizio dell’autonomia di una pluralità di sog-getti non può esportarsi al di fuori dell’offerta al pubblico, poiché proiettatosul conflitto individuale vede venir meno proprio l’elemento della pluralitàdegli esclusi. D’altro canto, neppure è possibile invocare in via automatica lalesione della libertà contrattuale del singolo rispetto ad un isolato comporta-mento discriminatorio, poiché questo di per sé non esclude la possibilità dinegoziare con terzi (60).

Questa medesima ragione impedisce di proiettare tout court al di fuoridella previsione normativa il divieto di discriminazione previsto rispetto al-l’accesso al contratto di lavoro, poiché se l’intervento normativo si giustificacome azione positiva — ma non imprescindibile — a favore dell’accesso adun valore di rango costituzionale, è anche vero che la singola discriminazionenon pregiudica in assoluto il diritto del singolo che può rivolgersi anche ad al-tri contraenti e, dunque, il modello normativo non basta nuovamente a sup-portare una proiezione sistematica al di fuori del campo operativo della legge.

Tali considerazioni, se impediscono l’automatica riproduzione del divietoal di fuori del suo campo operativo, non chiudono, tuttavia, le possibili impli-cazioni sistematiche.

Al contrario, nell’applicazione delle leggi antidiscriminatorie alla stessaofferta al pubblico, inducono a riflettere sul trattamento da riservare ai casinei quali la discriminazione attuata attraverso tale offerta sia così diffusa inuna determinata area o in un particolare mercato da impedire in concretol’esercizio dell’autonomia privata del singolo, che si trova a non avere alter-native sul mercato. Orbene, dinanzi alla prova di una effettiva diffusione delcomportamento discriminatorio in un ambito rilevante del mercato, non è daescludere la possibilità di invocare tutele poste a presidio della libertà contrat-tuale, a partire dall’obbligo a contrarre (61), rimedio assai più efficace del me-ro risarcimento del danno.

In una seconda direzione, ritorna il dilemma sulla capacità espansiva del-la ratio della legge e dei principi rispetto all’ipotesi in cui negoziazioni indivi-duali realizzino il risultato dell’esclusione del singolo dall’accesso a un bene.L’ipotesi è tendenzialmente più teorica che pratica, là dove si dovrebbe im-maginare l’impedimento all’accesso a un bene realizzato dalla condotta di

(60) È questa la ragione per cui non convince la tesi di Carapezza Figlia, Divieto di di-scriminazione e autonomia contrattuale, cit., spec. p. 194 ss. secondo cui il fondamento deldivieto di discriminazione sarebbe proprio il pari esercizio della libertà contrattuale, rile-vante, a suo parere, anche a fronte di una singola e isolata discriminazione.

(61) Sulla possibile applicazione di tale rimedio anche al di fuori delle espresse previsio-ni normative e, specificamente, nell’ambito della normativa antitrust, cfr. C. Osti, L’obbli-go a contrarre: il diritto concorrenziale tra comunicazione privata e comunicazione pubbli-ca, in Contratto e antitrust, cit., p. 34 ss. e Meli, Diritto « antitrust » e libertà contrattuale:l’obbligo di contrarre e il problema dell’eterodeterminazione del prezzo, in Contratto e an-titrust, cit., p. 55 ss.

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uno o più privati che non si avvalgano dell’offerta al pubblico. Sennonchédalla teoria può addivenirsi facilmente alla pratica se si passa da un concettodi impedimento assoluto alla negoziazione ad un concetto assai più relativo.Simile passaggio può giustificarsi non in generale, ma se l’autonomia privataè funzionale all’accesso ad un bene di valore fondamentale, come ad esempiol’abitazione (62). Si immagini il caso in cui in un’area delimitata dalla ragio-nevole raggiungibilità del posto di lavoro sia negato l’accesso al bene abita-zione da una medesima condotta discriminatoria di tutti i proprietari di caseche diano in locazione i loro immobili con negoziazioni puramente individualio dalla condotta dell’unico proprietario di case date in locazione a titolo indi-viduale nella zona. In tale ipotesi, non può dirsi negata in assoluto l’autono-mia privata rispetto all’accesso al bene abitazione, poiché il soggetto potrebbespostarsi in altra zona, ma proprio la rilevanza fondamentale del bene può le-gittimare un giudizio più relativo, che chiaramente non deve tradursi nell’as-secondare la convenienza o la scelta di comodo, ma deve giudicare l’oggettivaimpossibilità relativa di accedere al bene fondamentale.

Orbene, ove si verificassero tali condizioni limite, è da ritenere che l’in-terprete, sull’onda lunga della ratio normativa e dei principi, possa effettiva-mente ravvisare una ulteriore giustificazione ad un vaglio sull’esercizio del-l’autonomia privata anche al di fuori dell’offerta al pubblico. E infatti, men-tre nel caso del conflitto fra due libertà contrattuali non negate, l’offesa alladignità attuata nei modi di esercizio di una delle due non può spingersi sinoalla negazione della stessa autonomia privata, per converso dinanzi ad una li-bertà oggettivamente negata, in termini assoluti o anche in termini meno as-soluti ma oggettivamente e ragionevolmente rilevanti, non può invocarsi pro-prio il valore dell’autonomia che nei confronti della controparte risulta radi-calmente escluso. Dunque si riapre l’esigenza di un sindacato sul relativoesercizio.

5. — Se la ratio del divieto di discriminazione nell’offerta al pubblicoè stata ravvisata nell’esigenza di preservare la pari dignità di accesso diuna pluralità di soggetti all’esercizio dell’autonomia contrattuale e dunquenella proiezione verticale sull’esercizio dell’autonomia dell’uguaglianza for-male in concreto, va ulteriormente rilevato che il medesimo divieto tendead evocare anche una proiezione in senso orizzontale del principio di ugua-glianza.

Le previsioni normative nel dettare la parità di trattamento coordinatacon il divieto di discriminazione non si riferiscono invero ad un banale vinco-lo di applicazione delle medesime condizioni contrattuali, bensì realizzano perl’appunto una proiezione orizzontale del principio di uguaglianza ma solo nei

(62) Sul diritto all’abitazione cfr. per tutti Breccia, Diritto all’abitazione, Milano 1980,passim; Id., Diritto all’abitare, in Immagini del diritto privato, I, Teoria generale, fonti, di-ritti, Torino 2013, p. 539 ss.; Id., Itinerari del diritto all’abitazione, ibidem, p. 559 ss.

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limiti di un suo adattamento al contesto contrattuale e solo nei limiti del di-vieto di discriminazione.

Quest’ultima affermazione può apparire singolare ove si consideri che,nella loro valenza verticale, principio di uguaglianza e principio di non discri-minazione (63) sono l’uno la derivazione dell’altro ed entrambi sono sottopostial vaglio della ragionevolezza. Il legislatore non può operare trattamenti irra-gionevolmente differenziati né equiparare irragionevolmente situazioni diffe-renti (64). Ne discende che la violazione dei divieti di cui all’art. 3 C. lede ilprincipio di uguaglianza, salvo che la diversità di trattamento non si dimostriragionevole, così come diversità di trattamento irragionevoli possono risultarediscriminatorie e lesive dell’uguaglianza, anche al di fuori degli espliciti divie-ti di cui art. 3 C. (65), oggi integrati da quelli dell’art. 21 della Carta dei dirit-ti fondamentali dell’Unione europea.

Sennonché, il passaggio dalla valenza verticale a quella orizzontale delprincipio di uguaglianza implica evidentemente degli adattamenti.

In primo luogo, tale differente prospettiva comporta che il vaglio dellaragionevolezza debba essere plasmato non con riguardo alla legge ma con ri-ferimento al contenuto del contratto: si pensi al divieto di accedere a taluneprestazioni per persone con particolari disabilità, là dove ad esse possano de-rivare problemi di salute.

In secondo luogo, nella sua proiezione orizzontale il principio di non di-scriminazione non opera in tutta la latitudine che gli viene dall’esigenza di evi-tare irragionevoli disparità di trattamento rispetto alla legge, proprio perché ri-spetto al contratto non rileva, al di fuori del divieto di discriminazione, il prin-cipio di uguaglianza. Se, dunque, può convenirsi sull’opportunità che le ragionidiscriminatorie possano estendersi oltre quelle indicate dalle singole leggi e di-rettive (66), è, viceversa, da dubitarsi che esse possano oltrepassare quelle espli-

(63) I due principi sono contemplati unitariamente nell’art. 3 C., mentre sono stati arti-colati su due norme nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, artt. 20 e 21.Cfr. Ghera, Il principio di uguaglianza nella Costituzione e nel diritto comunitario, Padova2003, p. 20 ss.; Militello, Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costitu-zione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, WP C.SD.L.E. « Massi-mo D’Antona ». INT, 77/2010, p. 1 ss.

(64) Cfr. Barbera, Discriminazioni e eguaglianza nel rapporto di lavoro, Milano 1991,p. 34 ss.

(65) Tale posizione è stata affermata a partire dalla sentenza della C. cost. 29 marzo1960, n. 15, in G. cost., 1960, p. 147, con nota di Paladin.

(66) Il caso C-303/6 S. Coleman v. Attridge Law deciso dalla Corte di Giustizia il 10 lu-glio 2006, in European Antidiscrimination Law Review, 2007, p. 51 ha di recente prospet-tato il problema della discriminazione perpetrata nei confronti di un soggetto che non è di-rettamente portatore del carattere che suscita la discriminazione, nel caso specifico si trat-tava della disabilità, ma è uno stretto congiunto del disabile, nella specie si trattava dellamadre. Sul tema cfr. Waddington, Protection for Family and Friends: Discrimination byAssociation, ibidem, p. 13 ss. Il problema era già emerso nel caso « Six complainants v. apublic house », deciso dall’Equality Tribunal, 27 gennaio 2004, DEC-S/2004/009-014, di

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citate dall’art. 3 C. e dal più dettagliato art. 21 della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea sulla base unicamente di una presunta irragione-volezza del trattamento contrattuale, poiché una simile deduzione rischia di so-vrapporre alle ragioni delle parti le ragioni dell’interprete. Una diversità ditrattamento non riconducibile ai paradigmi normativi dettati dai principi co-stituzionali può rilevare in campo contrattuale non in base ad una irragionevo-lezza tout court, ma sul presupposto dell’offesa nei confronti della dignità (67).

6. — La breve disamina sul principio di non discriminazione mostra lasua valenza emblematica, non soltanto, nel palesare in che termini e limiti siaammissibile una proiezione orizzontale del principio di uguaglianza, ma so-prattutto nell’evidenziare alcuni aspetti peculiari della proiezione verticale delprincipio di uguaglianza nel suo graduale distacco da una concezione pura-mente astratta e formale.

Il primo elemento di rilievo è quello sistematico-istituzionale. Il principiodi non discriminazione dimostra come il superamento del monopolio del legi-slatore negli interventi limitativi dell’autonomia privata non possa condurre adun nuovo monopolio, questa volta dell’interprete, che rischia — attratto dallagiustizia del caso concreto — di rimettere costantemente in discussione i capi-saldi del contratto. Per converso, occorre accedere ad una sinergia fra legislato-re e interprete, che deve riempire i vuoti dell’approccio normativo settoriale,evitando irragionevoli disparità di trattamento ma senza accedere ad una di-struzione del modello. Il medesimo problema metodologico si pone anche al difuori del divieto di discriminazione con riguardo sia alle previsioni normative afavore dell’uguaglianza sostanziale (68) sia a quelle a favore dell’uguaglianza

Dublino che si era occupato dell’esclusione dall’accesso a un pub di un gruppo di clienti,tra i quali una persona con alcune disabilità.

(67) Diverso è solo il caso dei contratti con la pubblica amministrazione sulla cui faseconclusiva si riflette proprio la prospettiva pubblicistica di tutela dell’interesse generale e didifesa del principio di uguaglianza, tant’è che l’art. 2 del codice dei contratti pubblici pre-vede, al comma 1o, II parte, che « l’affidamento [...] di opere e lavori pubblici, servizi e for-niture deve [...] rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non di-scriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità in-dicate nel [...] codice ». Il corsivo è aggiunto.

(68) Ci sia consentito rinviare a Navarretta, Abuso del diritto e contratti asimmetri-ci, cit., p. 85 ss. [prima ancora Ead., Causa e giustizia contrattuale a confronto, in que-sta Rivista, 2006, p. 419 ss.] dove abbiamo rilevato che l’approccio ai contratti asimme-trici deve essere di natura tipologica, occorre cioè estrapolare dai dati normativi le tipo-logie di asimmetrie giuridicamente rilevanti — l’asimmetria informativa, da sola o abbi-nata alla mancanza di potere di negoziazione, la mancanza di alternative sul mercato —e i tipi di interventi e di controlli sui contratti che esse richiedono, avendo consapevolez-za dei ruoli sul mercato e dei diversi ruoli fra imprenditore e consumatore, ma senzache ciò debba determinare una netta cesura tra ruolo dell’imprenditore e ruolo del con-sumatore e l’impossibilità che siano condivise tipologie di debolezze e tipologie di inter-venti di tutela. Non è un caso che possa trovarsi in una situazione di mancanza di alter-native sul mercato non solo l’imprenditore, cui la disciplina sulla subfornitura è stata

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formale in concreto rapportata al mercato concorrenziale, ambiti che si devonoaffrontare con un approccio tipologico (69), solo apparentemente messo in crisidall’introduzione dell’art. 62 della l. 24 marzo 2012, n. 27 (70). Tale disciplina,infatti, — come quella sui ritardi di pagamento — nell’omettere il presuppostodell’asimmetria di potere, non intendono introdurre un puro e generalizzatocontrollo sull’esercizio dell’autonomia né si colorano di eccezionalità, bensìidentificano aree nelle quali sussiste, al di fuori di accordi o posizioni dominan-ti, un comportamento anticoncorrenziale talmente diffuso da giustificare laprevisione di un controllo sull’esercizio dell’autonomia. Dette ipotesi, dunque,non richiedono la dimostrazione di una dipendenza economica e neppure pos-sono automaticamente esportarsi al di fuori del loro campo applicativo, mapossono divenire modelli per ulteriori interventi sull’autonomia nei casi in cuila diffusione di taluni comportamenti — ad esempio dello stesso comporta-mento discriminatorio — giungano ad alterare l’esercizio dell’autonomia con-trattuale e a giustificare un controllo sulle relative scelte.

Oltre al profilo sistematico-istituzionale, il principio di non discrimina-zione è altresì paradigmatico in una seconda direzione: nel segnalare il rilievoche dimostra attualmente il riconoscimento costituzionale dell’autonomiacontrattuale. Se nella società di stampo liberale il valore ontologicamente ba-silare dell’autonomia era talmente radicato da far ritenere inutile il ricercareun tale fondamento nella Costituzione (71), il superamento di quel modello dàviceversa un significato pregnante a detta riflessione (72), consentendo al con-tratto, peraltro rafforzato dalle libertà fondamentali dell’Unione, di resistereall’impatto dei valori personali.

Il riferimento alla Costituzione, tuttavia, non va manipolato, non deve di-venire l’itinerario diretto a far calare sul contratto funzioni di giustizia socia-le, come in parte si è verificato nella giurisprudenza tedesca, a partire dai casi

applicata in una prospettiva generale dalle sez. un. Cass. 25 novembre 2011, n. 24906,in F. it., 2012, I, c. 805 ss., ma anche il consumatore che agisca a valle di intese anti-trust (così Libertini, Ancora sui rimedi civili conseguenti ad illeciti antitrust, cit., p.251); parimenti la mancanza di potere di negoziazione può riguardare non solo il con-sumatore ma anche l’imprenditore che aderisca a condizioni generali di contratto; o an-cora l’asimmetria informativa è riferibile non solo al consumatore ma anche al piccoloimprenditore, cui infatti sono state estese talune tutele proprie del consumatore sia darecenti direttive sia dalla recente legislazione che ha applicato loro la disciplina sullepratiche commerciali sleali (v. la l. 24 marzo 2012, n. 27, attuativa del d.l. 24 gennaio2012, n. 1.).

(69) V. nota precedente.(70) V. supra nt. 19 e 25.(71) Cfr. per tutti Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, cit., p. 1 ss. nonché le

considerazioni di Macario, Autonomia privata (profili costituzionali), di prossima pubblica-zione sugli Annali dell’Enciclopedia del diritto.

(72) Viene meno il rilievo di Schlechtriem, Grundgesetz und Vertragsordnung, in 40Jahre Grundgesetz, Heidelberg 1990, p. 39 secondo cui quello della rilevanza costituzionaledell’autonomia contrattuale sarebbe « tema ingrato e poco fecondo ».

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Handelsvertreter del 1990 (73) e Bürgschaft del 1993 (74), che hanno utilizza-to la Costituzione per infondere valori personalistici rafforzativi della libertàcontrattuale di una parte economicamente o socialmente debole (75), ondefarla prevalere sulla controparte (76). Una simile operazione ermeneutica ri-schia di far gravare sul contratto ogni problema di diseguaglianza e di ingiu-stizia anche sociale, che viceversa devono equamente essere distribuite sul si-stema; inoltre tale modello finisce per attribuire al giudice in via esclusiva il de-licato compito di decidere quali siano le differenze e le asimmetrie di poteregiuridicamente rilevanti. Per questa ragione non si può cadere nella tentazionedi reputare il soggetto discriminato automaticamente un soggetto debole: lo sa-rà soltanto se ricorreranno ragioni di effettiva debolezza contrattuale, legate oalla mancanza di alternative sul mercato o a fattori contingenti che inficiano lasua piena autonomia, secondo il modello dell’unfair exploitation (77).

Questi ultimo rilievi conducono alla terza ragione che rende importantela riflessione sul principio di non discriminazione. Il contratto non soltantonon deve confliggere con i valori della persona, ma può essere anche strumen-to per promuovere tali valori, a condizione che ciò avvenga entro il limite dibilanciamenti di valore che non possono eliminare o alterare nella sua essenzal’autonomia, ma devono preservare il contratto, essendo lo stesso funzionaleal benessere della persona. Simile chiave di lettura rende il contratto perfetta-mente coerente con la logica dell’economica sociale di mercato (78), ossia conl’idea che il mercato regolamentato produca benessere e possa anche promuo-vere la persona, ma sia ontologicamente limitato, non sia cioè in grado di ga-rantire tutta la giustizia necessaria e soprattutto non possa sostituirsi ai dove-rosi interventi di politica sociale generale, cui compete la funzione della giu-stizia distributiva.

(73) BVerfG, 7.2.1990, in BVerfGE 81, 242.(74) BverfG, 19.10.1993, in BVerfGE 89, 214.(75) Cfr. Colombi Ciacchi, The Constitutionalization of European Contract Law: Judi-

cial Convergence and Social Justice, cit., p. 167 ss.; Ead., Party Autonomy as a Fundamen-tal Right in the European Union, cit., p. 303 ss.; Cherednychenko, Subordinating ContractLaw to Fundamental Rights, in Constituzional Values and European Contract Law, cit., p.47; Lurger, Grundfragen des Vertragsrecht in der Europäischen Union, Wien, New York2002, p. 242. In tempi meno recenti cfr. Grunsky, Vertragsfreiheit und Kräftegleichgewicht,Berlin-New York 1995, p. 12 ss.

(76) Osservava opportunamente Mengoni, op. cit., p. 20 « Mi permetto soltanto di ma-nifestare l’impressione che l’enucleazione dall’art. 2 GG di una garanzia costituzionale di-retta della libertà di contratto sia servita al BVG solo per fondare il ricorso costituzionaledel contraente danneggiato, mentre non sembra indispensabile per fornire la premessamaggiore alla sua argomentazione in proposito ».

(77) Ci sia consentito rinviare a Navarretta, Causa e giustizia contrattuale a confronto,cit., p. 419 ss.

(78) Cfr. per tutti Libertini, A « highly competitive social market economy » as a foun-ding element of the European Economic Constitution, in Concorrenza e mercato, 2011, p.498 s.

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Matteo MattioniDottorando di ricerca

SUL RUOLO DELL’EQUITÀCOME FONTE DEL DIRITTO DEI CONTRATTI (*)

Sommario: 1. Premessa. — 2. La dottrina italiana sull’equità dalla codificazione al diritto diderivazione europea: una breve panoramica. — 3. Segue: gli anni Sessanta e Settantadel secolo scorso. — 4. L’equità come strumento di « giustizia contrattuale ». — 5.Equità e buona fede nei Principles of European Contract Law e nel Draft Common Fra-me of Reference. — 6. La vocazione del nostro tempo per l’equità in campo contrattuale.

1. — L’inclusione di una riflessione sull’equità nell’ambito di un discorsointorno alle fonti non legislative del diritto richiede un chiarimento prelimina-re, imposto dalla circostanza che — a fronte di un’antica e ormai superataopinione che scorgeva nell’equità una fonte di produzione del diritto (1) — siregistra oggi l’esclusione pressoché unanime di tale figura dal novero dellefonti normative (2). La ragione di questa esclusione può riassumersi nellaconsiderazione che, se il concetto di fonte normativa (3) postula quello di di-ritto oggettivo come complesso di norme (4), e se il concetto di norma implica

(*) Studio pubblicato nell’ambito della ricerca PRIN 2008 sul tema « Le fonti non legi-slative del diritto dei contratti ».

(1) Si tratta di un’opinione piuttosto risalente nel tempo (v. gli A. cit. da M. Rotondi,Equità e principii generali di diritto [estr. da questa Rivista], Milano 1924, p. 3, nt. 2, e inparticolare G. Maggiore, L’equità e il suo valore nel diritto, in Riv. int. fil. dir., 1923, p.256 ss.), in seguito ampiamente smentita (cfr. M. Rotondi, Equità, cit., p. 3; V. Frosini,voce Equità (nozione), in Enc. dir., XV, Milano 1966, p. 78 s.), benché autorevolmente ri-proposta in tempi più recenti (cfr. A. Trabucchi, Il nuovo diritto onorario, in questa Rivista,1959, I, p. 506 ss.: « [i]n un sistema che, essenzialmente costruito sulla legalità, tende tut-tavia ad una affermazione sempre più concreta di giustizia, l’equità resta fonte sussidiariadel diritto » [ivi, 507, corsivo aggiunto]).

(2) In tal senso è anche la letteratura istituzionale, ivi compresa la manualistica: v. pertutti Salv. Romano, voce Equità (dir. priv.), in Enc. dir., XV, Milano 1966, p. 78 s.; F. Gaz-zoni, Manuale di diritto privato16, Napoli 2013, p. 32 s.; P. Zatti, Manuale di diritto civile5,Padova 2012, p. 47.

(3) Si parla qui di fonte in senso materiale, identificandosi la fonte sulla base del suocontenuto o risultato normativo, e non già in senso formale (ossia mediante rinvio alle rego-le dell’ordinamento sulla produzione giuridica): cfr., per questa distinzione, R. Guastini,Teoria e dogmatica delle fonti, in Tratt. Cicu-Messineo, I, 1, Milano 1998, p. 57 ss., ove siosserva come la dottrina giuridica tenda, di fatto, a far propria una nozione mista di fonte(ivi, p. 68); amplius, F. Modugno, voce Fonti del diritto. I) Diritto costituzionale, in Enc.giur. Treccani, XVI, Roma 1989, p. 2 ss.

(4) In tal senso, V. Crisafulli, voce Fonti del diritto (dir. cost.), in Enc. dir., XVII, Mi-lano 1968, p. 947.

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il carattere della generalità (5), non può ritenersi che l’equità — la cui funzio-ne è, nel nostro sistema, quella di provvedere concretamente a situazioni de-terminate — costituisca una fonte in senso tecnico di norme giuridiche.

Sennonché, una volta acquisito che la nozione di fonte dipende concet-tualmente da quella di norma (6), occorre rilevare che quello connotato daicaratteri di generalità e astrattezza non è l’unico concetto possibile di nor-ma, essendo anzi diffusa l’opinione che di norma si possa parlare anche conriferimento a precetti singolari e concreti come, ad esempio, quelli statuitidall’autorità giudiziaria o posti dall’autonomia privata (7). Ne consegue cheanche la sentenza e il regolamento contrattuale potrebbero considerarsi fontidi produzione del diritto (8) e che, contribuendo l’equità a fondare la deci-sione del giudice (9) nonché — come subito si dirà — a determinare detto

(5) Così V. Crisafulli, Fonti, cit., p. 949, ove si legge che « risponde ad una esigenzalogica che la generalità sia carattere “naturale” delle norme costituenti il diritto oggettivo,poiché questo è ordinamento e non è concepibile ordinamento che non abbia un certo gradodi stabilità e permanenza nel tempo [...]. Non fa ordinamento un insieme seriale di precettiindividuali, esaurentisi ciascuno una tantum, né precetti di questo tipo sarebbero d’altron-de i più idonei a oggettivarsi distaccandosi dai fatti ed atti dai quali derivano ». L’A. forni-sce inoltre una dimostrazione, basata sul diritto positivo, del fatto che il nostro ordinamen-to non ha inteso discostarsi dalla nozione tradizionale di norma giuridica (v. sul punto pureId., voce Atto normativo, in Enc. dir., IV, Milano 1959, p. 245 s., cui si rinvia anche per ul-ter. riferim. dottrinali; più di recente, R. Guastini, Le fonti del diritto. Fondamenti teorici,in Tratt. Cicu-Messineo, Milano 2010, p. 11 ss. e spec. p. 15 ss.).

(6) Così, testualmente, R. Guastini, Teoria, cit., p. 63.(7) Questa impostazione può farsi risalire al pensiero di H. Kelsen, Teoria generale del

diritto e dello Stato (trad. it.), Milano 1994 (rist. 2000), p. 134 ss.; Id., La dottrina puradel diritto2 (trad. it.), Torino 1966, p. 260 ss. (e spec. p. 262, ove si legge che « [i]l rappor-to esistente fra la norma giuridica generale prodotta per statuizione o consuetudine e la suaapplicazione mediante tribunali o organi amministrativi, è sostanzialmente eguale a quelloche intercorre fra la costituzione e la produzione di norme giuridiche generali da essa deter-minate. La produzione di norme giuridiche generali costituisce applicazione della costitu-zione tanto quanto l’applicazione delle norme giuridiche generali da parte dei tribunali odegli organi amministrativi costituisce produzione di norme giuridiche individuali ») — egià Id., Lineamenti di dottrina pura del diritto (trad. it. della prima ed. della Reine Recht-slehre), Torino 2000, p. 104 ss. —; ulter. riferim. in R. Guastini, Teoria, cit., p. 63, nt. 21.Più di recente, v. A. Rentería Díaz, in G. D’Elia-A. Rentería Díaz, Teoria e pratica dellefonti del diritto, Roma 2008, p. 121 ss. e spec. p. 128 ss. sulla giurisdizione come fonte deldiritto; cfr. anche A. Pizzorusso, Comparazione giuridica e sistema delle fonti del diritto,Torino 2005, p. 20 ss.

(8) Tale conclusione — essendole estranea la suddivisione dei precetti « singolari » traquelli che, logicamente impliciti in norme preesistenti, costituiscono applicazione di questee quelli che, invece, derogano a norme preesistenti — è peraltro criticata da chi ritiene alie-ne al fenomeno della produzione del diritto sia la mera ripetizione di norme preesistenti, siala formulazione di precetti che di tali norme costituiscono mere conseguenze logiche (cosìR. Guastini, Teoria, cit., pp. 59 e 64).

(9) In ordine al giudizio di equità, sul quale non è possibile soffermarsi in questa se-de, v. almeno E. Grasso, voce Equità (giudizio), in Dig. disc. priv. - sez. civ., VII, Tori-no 1991, p. 470 ss., cui si rinvia anche per ulter. riferim.; F. Galgano, Diritto ed equità

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regolamento, anch’essa potrebbe riguardarsi alla stregua di una fonte mate-riale.

In ogni caso, non è dubbio che l’equità sia evocata dal legislatore italianotra le fonti d’integrazione del contratto (10), sia pure come fonte subordinatao di secondo grado, venendo in rilievo soltanto « in mancanza » di legge pun-

nel giudizio arbitrale, in Contratto e impr., 1991, p. 461 ss.; V. Frosini, Il giudizio diequità e il giudice di pace, in questa Rivista, 1996, I, p. 143 ss., cui fa seguito la repli-ca di F. Galgano, Dialogo sull’equità (fra il filosofo del diritto e il giurista positivo), inContratto e impr., 1996, p. 401 ss.; G. Tucci, L’equità del codice civile e l’arbitrato diequità, in Contratto e impr., 1998, p. 469 ss.; R. Calvo, Giurisdizione di equità e ge-rarchie assiologiche, in Contratto e impr., 2005, p. 118 ss.; ampiamente, C. TenellaSillani, L’arbitrato di equità. Modelli, regole, prassi, Milano 2006, passim; da ultimo,G. Iudica, Arbitrato di diritto e arbitrato d’equità, in Aa.Vv., Appunti di diritto dell’ar-bitrato2, Torino 2012, p. 79 ss.

(10) L’espressione è entrata nell’uso corrente a seguito del contributo di S. Rodotà, Lefonti di integrazione del contratto, Milano 1964 (rist. Milano 2004), cui si rinvia perun’ampia indagine circa il fondamento teorico dell’integrazione del contratto, ad esito dellaquale l’A. — rifiutati sia l’assunto che il regolamento contrattuale debba necessariamente« rispondere all’esclusiva logica dei privati » (ivi, p. 87), pur restando la fonte privata « ilmotore del contratto » (ibid.) e l’elemento qualificante la fattispecie, sia la contrapposizioneteorica tra contenuto ed effetti del contratto (ivi, p. 77 ss. e spec. p. 89 ss.), sia ogni sovrap-posizione tra interpretazione e integrazione (ivi, p. 105 ss.) — individua nel regolamentocontrattuale il prodotto di un « concorso di fonti » (ivi, p. 105): il problema dell’integrazio-ne viene così risolto in quello della costruzione del regolamento contrattuale, fermo restan-do che all’attività delle parti deve riconoscersi, come detto, valore qualificante la fattispe-cie, la quale conserva carattere negoziale (aprendosi, altrimenti, « prospettive di estremaincertezza »: ivi, p. 90).

Più di recente, sul punto, v. A. Giuliani, L’integrazione del contratto, in Aa.Vv., I con-tratti in generale, IV, p. 1, in Giur. Bigiavi, Torino 1991, p. 117 ss.; F. Galgano, in F. Gal-gano-G. Visintini, Degli effetti del contratto. Della rappresentanza. Del contratto per per-sona da nominare (Art. 1372-1405), in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1993, p.65 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, Milano 1998, p. 471 ss.; R. Sacco, in R.Sacco-G. De Nova, Il contratto3, II, in Tratt. Sacco, Torino 2004, p. 417 ss.; G.B. Ferri, Ilnegozio giuridico2, Padova 2004, p. 253 ss.; E. Capobianco, La determinazione del regola-mento, in Tratt. Roppo, II, Milano 2006, p. 389 ss., ove ampia bibliografia; in prospettivaeuropea, M.A. Livi, L’integrazione del contratto, in Tratt. Lipari2, III, Padova 2003, p. 380ss.; M. Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale, Torino 2006, p. 65 ss. (e giàId., Un breve commento sull’integrazione del contratto, in Quadr., 1988, p. 524 ss.); C.Scognamiglio, L’integrazione, in Aa.Vv., I contratti in generale2, 2, in Tratt. Rescigno-Ga-brielli, I, Torino 2006, p. 1147 ss.; A. Federico, Profili dell’integrazione del contratto, Mi-lano 2008, p. 29 ss. (per una sintesi, Id., Nuove nullità ed integrazione del contratto, inAa.Vv., Le invalidità nel diritto privato, Milano 2011, p. 329 ss.); U. Breccia, voce Fontidel diritto contrattuale, in Enc. dir., Ann., III, Milano 2010, p. 394 ss.; C.M. Nanna, Ete-rointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice, Padova 2010, pp. 1 ss. e 193 ss.Da ultimo, v. M. Franzoni, Degli effetti del contratto. II. Integrazione del contratto. Suoi ef-fetti reali e obbligatori2, in Comm. Schlesinger, Milano 2013, p. 3 ss., nonché — con pro-spettiva peculiare — S. Pagliantini, L’integrazione del contratto tra Corte di Giustizia enuova disciplina sui ritardi di pagamento: il segmentarsi dei rimedi, in Contratti, 2013, p.406 ss., e A. D’Adda, La correzione del « contratto abusivo »: regole dispositive in funzione« conformativa » ovvero una nuova stagione per l’equità giudiziale?, in Aa.Vv., Le invalidi-tà, cit., p. 361 ss. e spec. p. 380 ss.

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tuale (art. 1374 c.c.) (11). Dunque, anche a non volerle riconoscere il rango difonte di diritto oggettivo, non può negarsi che essa concorra — insieme con lalegge e gli usi normativi — alla determinazione del regolamento contrattualeobbligatorio (12). La peculiarità del fenomeno integrativo, che ha bensì peroggetto il contratto, ma al tempo stesso partecipa alla costruzione di que-sto (13), sembra quindi giustificare che dell’equità si discorra — sia pure, anon voler concedere di più, su un piano meramente descrittivo (14) — come diuna fonte del diritto dei contratti. E tale discorrere appare viepiù fondato —almeno sullo stesso piano descrittivo — ove dall’equità c.d. integrativa si pas-si a considerare le diverse modalità del richiamo all’equità da parte del dirittopositivo, vuoi in sede interpretativa (art. 1371 c.c.), vuoi in funzione « deter-minativa » (art. 1349 c.c.).

Tali considerazioni, peraltro, se — come sembra — possono valere aescludere la totale inconferenza del riferimento all’equità nell’ambito di undiscorso sulle fonti, non giustificano di per sé sole un ritorno sul tema inesame, già fatto oggetto (anche in anni vicini) di studî differenti per indoleed ambito disciplinare (15). Conviene subito segnalare, quindi, come una ri-flessione sull’equità non appaia del tutto priva d’interesse alla luce di talu-ni recenti interventi normativi, i quali sembrano suggerire la necessità diuna nuova meditazione (che in questa sede non può essere proposta chenelle sue linee essenziali) intorno al ruolo di essa nel diritto privato e alledifferenze fra tale ruolo e quello attribuitole dalla dottrina in tempi menorecenti.

Proprio da una sintetica ricostruzione dell’evoluzione del pensiero giuri-dico sul tema in esame conviene prendere le mosse: non per impostare un di-scorso di carattere storico intorno al concetto di equità (16), ma al solo fine —

(11) Che il riferimento alla legge, operato dall’art. 1374 c.c., abbia ad oggetto la leggepuntuale — non potendosi altrimenti ipotizzare, operando l’analogia legis e iuris, la « man-canza » di legge cui la stessa disposizione fa riferimento — è stato dimostrato da F. Gazzo-ni, Equità e autonomia privata, Milano 1970, p. 260 s., nt. 290, e p. 287; cfr. anche Id.,Manuale, cit., p. 787.

(12) Sulle ragioni che rendono preferibile discorrere di regolamento piuttosto che dicontenuto del contratto, v. S. Rodotà, Le fonti, cit., p. 76 ss. e spec. p. 88, ove ulter. rife-rim. sub nt. 148.

(13) L’osservazione è di S. Rodotà, Le fonti, cit., p. 12.(14) Del resto, lo stesso concetto di fonte del diritto è evidentemente un traslato: cfr., in

chiave storica, L. Mossini, Fonti del diritto. Contributo alla storia di una metafora giuridi-ca, in St. sen., 1962, p. 139 ss.

(15) Un’ampia e accurata bibliografia sul tema dell’equità (utile tanto allo storico quan-to allo studioso del diritto vigente, sia di common che di civil law, con particolare riguardo— quanto a quest’ultima area — agli ordinamenti italiano e tedesco), suddivisa per aree te-matiche, è posta a conclusione del saggio storico di O. Bucci, Il principio di equità nellastoria del diritto, Napoli 2000, p. 74 ss.

(16) Per cui v. almeno Salv. Romano, Equità, cit., p. 83 ss. e spec. p. 91 ss. e, più di re-cente, R. Calvo, L’equità nel diritto privato, in Studi Palazzo, I, Torino 2009, p. 91 ss. (di

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ben più limitato — di mostrare come l’interesse della nostra dottrina per taleconcetto e per il ruolo di esso nell’ordinamento — almeno a partire dal mo-mento in cui l’indagine in materia ha assunto l’aspetto di un problema di di-ritto positivo — si sia manifestato in modo ciclico, con l’alternarsi di periodid’intensa elaborazione teorica e momenti di sostanziale indifferenza. Un an-damento, questo, che conferma la validità dell’osservazione di chi, nel corsodi uno di quei « cicli », ebbe a osservare come l’interesse teorico per l’equità« si accompagn[i] a momenti di transizione nelle strutture socio-economiche enella cultura giuridica » (17).

2. — L’avvento delle codificazioni e il fiorire del positivismo giuridi-co (18) portarono con sé una più o meno latente ostilità della dottrina nei con-fronti dell’equità giudiziale (19), atteggiamento ben compendiato nel celebreditterio — frutto del rovesciamento, operato da Vittorio Scialoja, di un anticobrocardo (20) — « aequitas legislatori, ius iudici magis convenit » (21).

quest’ultimo A. v. ora anche L’autorevole codice civile: giustizia ed equità nel diritto priva-to, Milano 2013, p. 63 ss.). Da ultimo, cfr. M. Franzoni, Degli effetti, cit., p. 111 ss.

(17) S. Rodotà, Quale equità?, in Aa.Vv., L’equità, Milano 1975, p. 47 (il volume, cheraccoglie gli atti del convegno leccese del novembre 1973 organizzato dal Centro nazionaledi prevenzione e difesa sociale, è emblematico del fervore dottrinale sul tema in esame neglianni Settanta del secolo scorso; vi si ritrovano, fra l’altro, contributi di Vittorio Frosini, Ste-fano Rodotà, Nicolò Lipari, Adolfo di Majo, Cesare Salvi, C. Massimo Bianca, Guido Alpa,Mario Bessone ed Enzo Roppo).

(18) Se ne veda una solenne professione nelle parole conclusive della prolusione camer-te, pronunciata il 23 novembre 1879, di V. Scialoja, Del diritto positivo e dell’equità, inStudi giuridici, III, Roma 1932, p. 23 (ora anche in Le prolusioni dei civilisti, I, Napoli2012, p. 77 ss.).

(19) Di una vera e propria « guerra all’equità », con riferimento al pensiero di Scialoja,parla B. Biondi, Esistenzialismo giuridico e giurisprudenza romana, in Scritti Carnelutti, I,Padova 1950, p. 109, peraltro in senso critico: osserva, infatti, quest’ultimo A. che, « [s]e siritiene che [l’equità] sia una entità pericolosa, ciò dipende non dalla sua essenza né dallasua funzione, che sono insopprimibili, ma dal modo con cui si applica » (ibid.). In definiti-va, conclude Biondi, l’atteggiamento di Scialoja si giustifica in base non tanto a una diffi-denza verso l’equità in sé e per sé, quanto alla « diffidenza per il giurista o per il giudice;ciò vuol dire che l’uno e l’altro non sono all’altezza della loro funzione » (ibid.).

(20) Recentemente attribuito al giurista tedesco Marquard Freher, allievo di Cuiacio, daF. Petrillo, Interpretazione degli atti giuridici e correzione ermeneutica, Torino 2011, p.93, nt. 157 (per P. Bonfante, Lezioni di filosofia del diritto, Milano 1986, p. 34, si tratte-rebbe invece di un brocardo medievale).

(21) Il motto fu pronunciato dal giurista nella già citata prolusione (V. Scialoja, Del di-ritto, cit., p. 15), che oltre trent’anni più tardi veniva ancora annoverata dal filosofo Benve-nuto Donati, nella sua prolusione perugina del 7 dicembre 1912, tra « le migliori medita-zioni che a questo riguardo conti la nostra letteratura » (B. Donati, Sul principio di equità[estr. da Ann. fac. giur. Perugia], Perugia 1913, p. 10; v. pure, ancor più tardi, P. Bonfan-te, L’equità [estr. da Notiz. lav.], in questa Rivista, 1923, p. 192, il quale fa riferimento alcontributo di Scialoja come allo « studio più penetrante ed esatto che sia stato scritto sul-l’equità »).

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L’equità — vista come una forza magmatica e minacciosa, che spinge verso lamodificazione o, in mancanza, la sistematica violazione del diritto positi-vo (22) — fu relegata dagli studiosi negli angusti spazî riservati ad essa daipuntuali richiami di legge, volti perlopiù a « rinviare il giudice alla propriacoscienza ed al sentimento universale » (23). E se, a fronte di un simile ostra-cismo culturale, non mancò qualche accento di rammarico (24), la civilistica,ormai saldamente attestatasi su tale posizione, parve perdere comprensibil-mente ogni interesse per l’equità, nel cui campo d’indagine si trattenne sol-tanto qualche cultore di studî filosofici (25).

Una nuova ventata d’interesse scientifico per l’equità e un rinnovato fer-vore d’indagine percorse la dottrina privatistica del primo dopoguerra, river-sandosi in saggi d’indole teorico-generale (26). Lo stimolo a questo nuovo filo-ne d’indagine — destinato, per la verità, a esaurirsi nel breve volgere di unlustro — può rintracciarsi nel sorgere, durante il periodo bellico e postbellico,di numerose giurisdizioni speciali di equità, istituite — anche in materia civile— al fine di sottrarre alla giustizia ordinaria (e all’applicazione del diritto co-mune) le materie disciplinate dalla legislazione di guerra per far fronte alle

(22) « [A]ccanto al diritto positivo si manifesta l’azione di una forza, la quale, dappri-ma sottomessa al diritto stesso, a poco a poco gli si ribella, finché giunge il momento nelquale o il diritto viene modificato regolarmente, [...] ovvero [...] esso viene nella praticacontinuamente violato » (V. Scialoja, Del diritto, cit., p. 13 s.); soggiunge poco oltre l’A.che « nell’equità la materia giuridica si trova allo stato amorfo e non depurata, nel dirittopositivo invece essa è schietta e cristallizzata » (ivi, p. 14).

(23) V. Scialoja, Del diritto, cit., p. 22. Non mancarono, peraltro, posizioni di minorsfavore e diffidenza nei confronti delle spinte equitative al diritto positivo: cfr. V. Miceli,Sul principio di equità. Brevi considerazioni, in Studi V. Scialoja, II, Milano 1905, p. 81 ss.e spec. p. 86 ss.

(24) Si pensi alle parole di N. Coviello, Dell’equità ne’ contratti [estr. da Studi nap.],Napoli 1896, p. 15 (cit. da F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, in questaRivista, I, 2001, p. 538), il quale — pur saldamente inserito nel solco del positivismo giuri-dico (come chiaramente emerge dal suo Manuale di diritto civile italiano. Parte generale3,Milano 1924 [rist. Napoli 1992], p. 8 s.) — ebbe a dolersi della « troppo limitata e meschi-na e pressoché nulla efficacia che l’equità può avere. Bisogna pur dirlo con rammarico esconforto di quanti amano la giustizia ».

(25) Si vedano il saggio di A. Falchi, Intorno al concetto scientifico di diritto naturale ed’equità [estr. da Riv. fil. sc. aff.], Bologna 1903, nonché quello (cit. supra, nt. 21) di Ben-venuto Donati, in cui si ritrova una compiuta sistemazione teorica del concetto di equità,considerata come « il sistema dei giudizi di valutazione giuridica concreta », che sono« specificazione della giustizia » — definita, per converso, come « il sistema dei giudizi divalutazione giuridica astratta » —: una forza, dunque, « che si fa valere nella pratica giuri-dica » (B. Donati, Sul principio, cit., p. 19, donde sono tratte anche le citaz. prec. [cors.dell’A.]; l’opinione dell’A., sotto quest’ultimo aspetto, presenta singolari tratti di affinità ri-spetto all’idea vichiana, eminentemente pratica, dell’equità, su cui v. A. Falchi, Intorno alconcetto, cit., p. 21 ss.).

(26) V., per es., L. Raggi, Contributo all’apprezzamento del concetto di equità, in Fi-langieri, 1919, p. 31 ss.; G. Maggiore, L’equità, cit., p. 256 ss.; M. Rotondi, Equità, cit., p.1 ss., cui si rinvia anche per ulter. riferim.

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contingenze del momento (27). La più attenta dottrina si mostrò consapevoledi essere nel mezzo di una fase temporanea, tipica di « quei periodi di transi-zione in cui la società, oscillando tra i vecchi principî di un diritto che si crea,cerca affannosamente il suo nuovo stabile assestamento » (28); decisamentenegativo (anche a causa del retaggio positivista) fu, peraltro, il giudizio com-plessivo su tale tendenza legislativa, considerata alla stregua di un « fenome-no morboso, [...] un meschino ripiego adottato [...] da legislatori che vivonoalla giornata » (29).

Fu così che l’equità, com’è stato affermato, giunse alla codificazione del1942 « sostanzialmente screditata » (30). Ed è bensì vero che i richiami ad essada parte del codice vigente sono più numerosi di quelli contenuti nel codiceabrogato (31), ma — ciò che appare più significativo — mentre in questo al-l’equità integrativa era riservato un rango pari a quello di legge e usi (32), inquello — come già accennato — essa è, al pari degli usi, una fonte d’integrazio-ne subordinata alla legge (33). Di fronte a un tale depotenziamento dell’equità,relegata a un ruolo interstiziale, all’interprete non fu più possibile guardare adessa come a un mezzo per far breccia nell’ordinamento, introducendovi istanzecontrastanti con quelle già da esso desumibili (34); né quei richiami potevanoessere svalutati leggendovi niente più di un particolare invito al giudice a pren-dere in considerazione le esigenze del caso concreto, essendo già implici-

(27) V., in argomento, l’ampio saggio di P. Calamandrei, Il significato costituzionaledelle giurisdizioni di equità, in Opere giuridiche, III, Napoli 1968, p. 3 ss., cui si rinvia an-che per ulter. riferim. Sulle giurisdizioni d’equità v., inoltre, F. Gazzoni, Equità, cit., p. 65ss.

(28) P. Calamandrei, Il significato, cit., p. 48.(29) Così P. Calamandrei, Il significato, cit., p. 4. Emblematiche dell’atteggiamento del

tempo nei confronti dell’equità sono le parole di G. Piola, voce Equità, in Dig. it., X, Tori-no 1926, 503, secondo cui — nel solco del ricordato motto scialojano —, « se è desiderabileche, nel dettare le norme giuridiche il legislatore si ispiri all’equità, è desiderabile anche chel’uso della stessa sia il meno che è possibile lasciato a coloro che sono incaricati della appli-cazione della norma giuridica » (tal quale è il pensiero di C. Perris, Equità, in Nuovo dig.it., V, Torino 1938, p. 448).

(30) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 49.(31) Per una rassegna delle epifanie normative dell’equità, si rinvia a G. Salvi, « Accor-

do gravemente iniquo » e « riconduzione ad equità » nell’art. 7, d. lgs. n. 231 del 2002, inContratto e impr., 2006, p. 177 ss., e a V. Varano, voce Equità. I) Teoria generale, in Enc.giur. Treccani, XIV, Roma 1989, p. 13.

(32) Disponeva, infatti, l’art. 1124 c.c. abr. (su cui v. almeno C. Grassetti, L’interpre-tazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova 1983 [rist.], p.189 ss., ove ulter. riferim.) che « [i] contratti [...] obbligano non solo a quanto è nei mede-simi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l’equità, l’uso o la legge ne deri-vano ».

(33) Art. 1374 c.c.: « [i]l contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimoespresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancan-za, secondo gli usi e l’equità ».

(34) Lo osserva S. Rodotà, Quale equità?, cit. p. 50.

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ta nella stessa attività giudicante l’adesione piena alle peculiarità del caso (35).In effetti, com’è stato dimostrato sulla scorta di argomenti normativi,

l’equità codicistica non è altro che lo strumento grazie al quale penetrano nel-l’ordinamento privatistico le esigenze della razionalità economica e le regoledi esperienza desumibili dai rapporti di mercato (36). E ciò, in ambito con-trattuale, al fine non già di garantire l’equilibrio economico delle prestazio-ni (37), posto che il modello liberista già sconta la disparità di « forza » degliagenti economici, bensì « di fronteggiare situazioni abnormi [per es., l’appro-fittamento e la laesio enormis di cui all’art. 1448 c.c.], il cui indiscriminatoripetersi turberebbe il formarsi degli equilibri sul mercato » (38). Più che unampliamento dei poteri decisorî del giudice nel senso di una maggiore discre-zionalità, sembrò dunque corretto scorgere nei rinvii del codice all’equità unafinalizzazione di tali poteri a un risultato coerente con le logiche di mercato.

L’ideologia sottostante a tale impostazione è naturalmente quella, distampo liberista, secondo cui « il mercato è il luogo dove si formano gli equi-libri meglio corrispondenti agli interessi in giuoco e, quindi, per definizioneequi » (39), secondo la nota massima « qui dit contractuel, dit juste » (40). Es-

(35) In questo senso, v. già V. Scialoja, Del diritto, cit., p. 19 (« [c]he se finalmente que-sto concetto dell’equità significhi che il giudice debba aver presenti tutti gli elementi giuridiciche sogliono trovarsi nei casi da decidere, [...] a me pare che tra questa specie di equità e ilpuro diritto non vi sia differenza »); accenti analoghi in N. Lipari, in Aa.Vv., L’equità, cit., p.171 s. V. pure, sul punto, le considerazioni di F. Geny,Méthode d’interprétation et sources endroit privé positif2, I, Paris 1954, p. 212: « [e]n la supposant parfaite et complète, la loi nepeut, à elle seule, porter directement toutes les injonctions, de nature à satisfaire les besoinstout concrets de la vie juridique. Entre ces besoins, si complexes, si variés, si fuyants, et laformule rigide du texte légal, il faut un intermédiaire, qui puisse et sache adapter cette for-mule aux situations et circonstances, pour lesquelles elle est écrite. Cet intermédiaire, c’estprécisément l’interprète du droit, et, particulièrement, dans les litiges concrets, le juge ».

(36) V., in tal senso, S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 50 ss.(37) Basti leggere la Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile (rist. Roma

2010), n. 626, ove si avverte che con l’art. 1371 c.c. (secondo cui il contratto oscuro de-v’essere inteso, se a titolo oneroso, « nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli in-teressi delle parti ») « non si è voluto attribuire al giudice un potere generale di revisionedei contratti, né si è voluto introdurre il principio dell’equilibrio contrattuale » (cors. agg.).Più in generale, v. R. Lanzillo, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, Padova2003, p. 73 ss. Di recente, si è espresso nel senso dell’estraneità del controllo giudiziale sul-l’equilibrio contrattuale al sistema del codice del 1942 A. Federico, Profili, cit., p. 83.

(38) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 52. Un ulteriore esempio di tale indirizzo legisla-tivo può ritrovarsi nella disciplina del contratto di appalto (artt. 1660 e 1664 c.c.), laddovela legge intende garantire all’appaltatore una remunerazione adeguata alle variazioni delprogetto o all’onerosità e alla difficoltà di esecuzione dell’opera: cfr., in argomento, D. Ru-bino-G. Iudica, Appalto (Art. 1655-1677)4, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma2007, p. 273 ss. e p. 319 ss.

(39) Ancora S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 56.(40) Si tratta della celebre formula di A. Fouillée, La science sociale contemporaine,

Paris 1880, p. 410, ove — nell’illustrare il concetto di fraternité accostandolo all’idea dellacontrattualità — l’A. spiega che « [n]ous sommes frères parce que nous acceptons volontai-

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sendo pertanto l’equità, così intesa, immanente alle relazioni di mercato, nonvi era bisogno d’altro che di uno strumento — il rinvio normativo — che con-sentisse di traslare il medesimo concetto sul piano giuridico.

3. — L’avvento della Costituzione e — qualche lustro più tardi — il fio-rire dell’interesse della dottrina civilistica per i profili privatistici di essa e perla loro portata sistematica determinarono un ritorno al tema dell’equità giu-diziale e del suo ruolo nel diritto vigente. Sorse così l’interrogativo, forse an-cor oggi attuale, di Stefano Rodotà: « può davvero il vecchio strumento del-l’equità [...] costituire la risposta ai nuovi problemi che sorgono quando ogniillusione sulla concorrenza e la perfezione del mercato è venuta meno? » (41).

L’equità codicistica, infatti, si trovava di fronte a un mercato assai diver-so da quello, c.d. perfetto, vagheggiato dall’ideologia di riferimento delle co-dificazioni liberali (42): un mercato segnato da distorsioni e squilibrî ignoti aifautori del modello liberista, e dal quale s’innalzava la domanda di un’equitàdifferente. Si sarebbe potuto rispondere a tale istanza mediante un diversoutilizzo del criterio equitativo evocato dalla legge, nel segno di un’eterogenesidei fini orientata dal dettato costituzionale?

Ciò parve rappresentare, in realtà, un vero e proprio imperativo alla lucedell’art. 3 cpv. Cost., il quale — imponendo di « confrontare le posizioni giuri-dico-formali con le realtà di fatto » (43) — aveva determinato il definitivo supe-ramento dell’impostazione che, bandito l’apprezzamento dei concreti rapportisocio-economici di forza, legittimava soltanto il recepimento giudiziale deglisquilibrî esistenti nel mercato — salvo il limite, cui sopra si è accennato, del-l’abnormità. Quella stessa norma, però, indicava al contempo una via diversadal semplice recupero dell’equità intesa secondo il concetto pseudoaristotelicodi « giustizia del caso concreto » (44): la portata individualizzante del principionon poteva più essere riferita ai singoli rapporti, ma doveva esserlo alle situa-zioni collettive di conflitto sociale e richiedeva di esser posta alla base non già

rement un même idéal en entrant dans la société et que nous nous obligeons à former unemême famille; nous sommes frères aussi parce que nous sommes naturellement membresd’un même organisme, parce que nous ne pouvons vivre ou nous développer les uns sans lesautres, parce que notre moralité même est liée à l’état social et à la moralité de l’ensemble.En définitive, l’idée d’un organisme contractuel est identique à celle d’une fraternité régléepar la justice, car qui dit organisme dit fraternité, et qui dit contractuel dit juste » (enfasidell’A.). Recentemente, ha parlato di una « presunzione di giustizia del contratto » A. Ca-taudella, La giustizia del contratto, in Rass. d. civ., 2008, p. 627.

(41) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 57.(42) Su cui v. ora R. Calvo, L’equità nel diritto privato. Individualità, valori e regole

nel prisma della contemporaneità, Milano 2010, p. 63 ss., e, amplius, R. Lanzillo, La pro-porzione, cit., p. 1 ss.

(43) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 58.(44) Sull’impossibilità di attribuire tale costruzione ad Aristotele (come spesso, invece,

si vede fare), cfr. V. Frosini, Equità, cit., p. 69 ss.; Id., Il giudizio, cit., p. 146.

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di una giurisprudenza diseguale, bensì di una legislazione diseguale (45).Ne conseguiva la radicale inutilizzabilità a tale scopo dell’equità civilisti-

ca — principio eminentemente logico, contrastante con la tendenza generaliz-zante della legge, e non politico (46) —, che anzi occorreva superare mediante« più penetranti interventi legislativi e [lo] stesso impiego da parte del giudicedi strumenti foggiati sulla base di [...] principi costituzionali o riferiti ad alcu-ne clausole generali presenti nel codice » (47).

Secondo una diversa prospettiva, l’art. 3 cpv. Cost. avrebbe avuto essen-zialmente una valenza di criterio-guida per il giudice chiamato ad applicarela legge, non attenendo al momento legislativo e imponendo, invece, di ritene-re contraria al diritto ogni sentenza che, pur emessa in applicazione di legge,realizzi, di fatto, il risultato di limitare la libertà, l’eguaglianza e lo sviluppodella persona (48). In altre parole, la norma costituzionale porrebbe in capo algiudice, il quale rilevasse che una certa interpretazione del diritto conduce a

(45) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 58 ss. Esempio emblematico di tale modello di le-gislazione doveva essere quello consumeristico, l’interesse per il quale sorse nella dottrinaitaliana proprio in quegli anni: v. ora sul punto A. Nicolussi, I consumatori, in Aa.Vv., Glianni settanta del diritto privato, Milano 2008, p. 397 ss. Questa impostazione, come rileva-to da V. Varano, Equità, cit., p. 6, non implica « che l’equità scompaia dagli ordinamenticodificati [...]; significa invece che dell’equità si appropria il legislatore, che ne fa un suostrumento operativo ».

(46) V., in tal senso, A. di Majo, in Aa.Vv., L’equità, cit., p. 177.(47) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 60. Ciò in linea col pensiero dell’A., già espresso

nella sua prolusione maceratese del 18 dicembre 1966 (Id., Ideologie e tecniche della rifor-ma del diritto civile, in R. d. comm., 1967, I, p. 83 ss. [ora anche in Le prolusioni dei civili-sti, III, Napoli 2012, p. 3089 ss.]), in cui — constatati sia il superamento sul piano storico emetodologico della Begriffsjurisprudenz, sia l’emergere di nuove classi d’interessi sovraindi-viduali consacrati dalle costituzioni del XX sec. (ivi, p. 84 ss.) — egli propugna un nuovomodo d’intendere gli interventi riformatori, come volti a tracciare « le grandi linee secondocui la dinamica sociale vuol essere indirizzata », mediante una legislazione « concepita inopposizione allo schema corrente della legislazione regolamentare, articolata in massimegenerali, elastiche, feconde di conseguenze future » (ivi, p. 89, donde è tratta anche la citaz.prec.; è qui totale il mutamento di prospettiva rispetto al giuspositivismo di V. Scialoja, Deldiritto, cit., p. 20, secondo il quale « [u]na buona legge non pone i principii; essa detta co-mandi [...]. Da questi comandi si possono astrarre i principii »), costituenti l’« espansionedei principi costituzionali » (ivi, p. 95). Lo stesso A. avrebbe in seguito chiarito come la le-gislazione per principî, lungi dal determinare una mortificazione del momento legislativo,costituisca « il recupero da parte del legislatore, di quel potere di indirizzo globale rispettoai comportamenti della società, che [...] la legislazione minuta, frammentaria, [...] ha fattoperdere al parlamento » (S. Rodotà, in Aa.Vv., L’equità, cit., p. 248). Sull’attualità di que-sta impostazione, v. ora S. Patti, Arte e tecnica della legislazione civile (nel pensiero di Ste-fano Rodotà e di Justus Wilhelm Hedemann), in Diritto privato e codificazioni europee2, Mi-lano 2007, p. 37 ss. e spec. p. 54 ss. (ed ora pure in Ragionevolezza e clausole generali, Mi-lano 2013, p. 113 ss.); critico, invece, F. Gazzoni, Sancho Panza in Cassazione (come si ri-scrive la norma sull’eutanasia, in spregio al principio della divisione dei poteri), nota aCass. 13 ottobre 2007, n. 21748, in D. fam., 2008, I, p. 122 s., nt. 29, e Id., Manuale, cit.,p. 51.

(48) Così N. Lipari, in Aa.Vv., L’equità, cit., p. 172.

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un risultato iniquo sotto i profili della libertà, dell’uguaglianza, ecc., il doveredi ricercare una diversa interpretazione al fine di realizzare un risultato digiustizia sostanziale, rimanendo obbligato — ove tale interpretazione alterna-tiva non fosse possibile — a denunciare l’illegittimità costituzionale della nor-ma applicabile. L’art. 3 cpv. Cost., con la sua portata rivoluzionaria, avrebbequindi « trasferito il giudizio di equità dall’esterno all’interno del giudizio dilegalità, qualificandolo come momento [...] necessario dell’applicazione dellaregola al regolato » (49) e realizzando così il punto di congiunzione e di equili-brio tra i due fondamentali momenti dell’equità: quello della razionalizzazio-ne del sistema e quello del superamento del sistema stesso (50).

Non distante da quest’ultima impostazione (se non altro, per la dichiara-ta centralità del ruolo del giudice) è poi la teoria secondo cui sarebbe possibi-le, già sulla base del diritto vigente, un intervento cogente dell’equità sul re-golamento contrattuale: un intervento, cioè, operato dal giudice non già percolmare un vuoto regolamentare, bensì in funzione di ristrutturazione del re-golamento, ossia al fine di dichiarare l’invalidità — e segnatamente la nullità,con applicazione dell’art. 1419, comma 1o, c.c. — per iniquità di talune clau-sole eventualmente aggiunte dai privati allo schema tipico, o caratterizzantiquello atipico, le quali non potrebbero continuare a sussistere senza determi-nare l’iniquità del regolamento stesso (51). Ciò si giustificherebbe, sul pianodella ratio, in relazione allo sviluppo assunto dalla legislazione civile (special-mente in materia economica), cui non avrebbe corrisposto una adeguamentodegli strumenti giuridici di valutazione; mentre, sotto il profilo tecnico-giuri-

(49) N. Lipari, in Aa.Vv., L’equità, cit., p. 173.(50) Non si è mancato di osservare, in contrario, che l’equità viene così relegata al mo-

mento interpretativo e sostanzialmente appiattita su di esso, come obbligo d’interpretare lalegge secondo il dettato costituzionale: così C. Giannattasio, in Aa.Vv., L’equità, cit., p.250 s. Per altro verso, v. le considerazioni di P.G. Monateri, Interpretare la legge (I proble-mi del civilista e le analisi del diritto comparato), in questa Rivista, 1987, I, p. 585, secon-do cui « [i]l giurista italiano, orfano del sistema, cerca di ispirarsi ai valori costituzionali, ele ampie formule di una Costituzione moderna si prestano naturalmente a declamare queiprincipi interpretativi che l’animo umano è contento di ascoltare. Uguaglianza, ragionevo-lezza, ecc. consentono di avvalorare le opinioni di politica del diritto dell’interprete, per-mettendogli di ammantarle dell’aureo rispetto di cui tali principi godono ».

(51) F. Gazzoni, Equità, cit., p. 324 ss. Contra, A. De Cupis, Precisazioni sulla funzionedell’equità nel diritto privato, in questa Rivista, 1971, I, p. 638, nt. 8, secondo cui« un’esuberante applicazione dell’art. 1374 [...] contrasta colla manifesta e deliberata pru-denza del legislatore, il quale ha inteso reagire all’iniquità del contratto solamente in rela-zione a fattispecie ben delimitate » (il saggio si ritrova in Id., Studi e questioni di diritto ci-vile, Milano 1974, p. 93 ss.).

Un’anticipazione dell’impostazione ricordata nel testo può forse ritrovarsi nelle paroledi A. Trabucchi, Il nuovo diritto, cit., p. 506 ss., il quale aveva osservato come, nel contestonormativo del codice vigente, « se le parti sono autonome, pur nel rispetto della correttezza,il giudice, che sempre è chiamato a dare il suo contributo umano nell’adeguare la regola al-la vita, talvolta è invece investito del potere di applicare un suo criterio, per integrare, persupplire alle incompletezze o, in taluni casi, perfino alle incongruenze del regolamento al-trui » (ivi, p. 506, cors. agg.).

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dico, l’invalidità — la quale può risultare dal complesso della disciplina legalee dalla relativa terminologia — sarebbe prevista da una norma imperativaquale l’art. 1374 c.c. (contenente l’emblematica espressione « obbliga [...] atutte le conseguenze ») (52). Il giudice, in ogni caso, dovrebbe intervenire « fa-cendo salvi gli interessi fondamentali delle parti » (53), avendo come « puntodi riferimento di ogni sua attività ricostruttiva [...] la sostanziale attuazione eil raggiungimento dello scopo perseguito dai contraenti » (54), e come « diret-tive di giudizio » le disposizioni costituzionali di principio (55).

Ma se, da un lato, il legislatore si avviava ormai lungo la strada della« legislazione diseguale » invocata in nome dell’equità sociale (56), dall’altrolato il tramonto di quella stagione di studî — nei quali « la norma non segnal’ultimo orizzonte del giurista [...], ma è considerata un’opera aperta, un datoparziale e incompiuto, uno spiraglio, che permette di toccare una realtà piùintima e corposa » (57) — portava con sé una nuova caduta dell’interesse dot-trinale per l’equità privatistica, che ben si era prestata a quella « esplorazionemistica dell’interprete » (58) condotta dalla civilistica del tempo alla ricercadei valori sociali sottesi al diritto positivo.

(52) F. Gazzoni, Equità, cit., p. 334 ss.(53) F. Gazzoni, Equità, cit., p. 353.(54) F. Gazzoni, Equità, cit., p. 353. In ciò questo A. individua una fondamentale diffe-

renza rispetto all’incidenza pratica dell’intervento giudiziale operato in base alla clausolagenerale d’ordine pubblico.

(55) F. Gazzoni, Equità, cit., p. 359 ss.; contra, A. De Cupis, Precisazioni, cit., p. 635,nt. 3, nonché — più di recente — R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il contratto, cit., II, p.420. Cfr., sul punto, V. Varano, Equità, cit., p. 11 ss.

(56) Strada che avrebbe condotto a un diritto speciale, come osserva L. Nivarra, Ipotesisul diritto privato e i suoi anni settanta, in Aa.Vv., Gli anni settanta, cit., p. 17 s. Cfr. sulpunto A. di Majo, Libertà contrattuale e dintorni, in R. crit. d. priv., 1995, p. 5 ss. e spec.p. 17 (donde le citaz. seg.), a proposito dell’ondata di « paternalismo contrattuale » che haportato alla disciplina specifica di « contratti sociologicamente qualificati dalle persone deicontraenti ». V., inoltre, le considerazioni di F. Macario, L’autonomia privata, in Aa.Vv.,Gli anni settanta, cit., p. 193, in ordine alla difficoltà di comprendere se il legislatore abbiafatto propria la lezione degli anni Settanta, anche tenuto conto che « la maggior parte dellenovità legislative in materia provengono direttamente da Bruxelles, e tutte si allineano allalogica della correzione dei fallimenti del mercato ».

(57) Sono parole di N. Irti, voce Diritto civile, in Dig. disc. priv. - sez. civ., VI, Torino1990, p. 146. Per uno sguardo d’insieme sugli studî privatistici negli anni Settanta del se-colo scorso — incentrati, più o meno dichiaratamente, sui rapporti tra politica e scienzagiuridica —, v. pure Id., Esame di coscienza di un civilista e Una generazione di giuristi,entrambi in Scuole e figure del diritto civile2, Milano 2002, rispettivam. p. 116 ss. e p. 134ss. Per una più ampia ricognizione della dottrina privatistica del tempo, v. ora Aa.Vv., Glianni settanta, cit., ove sono raccolte le relazioni svolte al convegno palermitano del 2006,fra cui si segnalano particolarmente quella, di carattere generale, di L. Nivarra, Ipotesi suldiritto privato e i suoi anni settanta (p. 1 ss.) — ove si ritrovano (p. 3 s., nt. 2) considera-zioni critiche sul già ricordato saggio di N. Irti, Diritto, cit. — e quella di F. Macario, L’au-tonomia, cit., p. 119 ss. (e spec. p. 157 ss. in tema di equità e buona fede).

(58) Ancora N. Irti, Diritto, cit., p. 146.

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4. — Appare quantomeno singolare, ad ogni modo, che quella legislazio-ne, ispirata da istanze equitative ben distanti dall’equità civilistica evocatanei rimandi del codice, abbia finito col servirsi essa stessa del rinvio — direttoo indiretto — all’equità giudiziale, riponendovi talvolta addirittura la regoladi validità degli accordi.

È questo il caso dell’art. 7, comma 1o, d. legisl. 231/2002 (in tema di« lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali », attuati-vo della direttiva 2000/35/CE), il quale dispone che « [l]e clausole relative altermine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento peri costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sononulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore », con(eventuale) applicazione degli artt. 1339 e 1419, comma 2o, c.c. (59). Si è qui

(59) La disposizione è stata recentemente modificata dall’art. 1, comma 1o, lett. g, d. le-gisl. 192/2012, che — fra l’altro — ne ha soppresso il precedente comma 3o, il quale attri-buiva al giudice il potere di ricondurre ad equità il contenuto dell’accordo, una volta di-chiaratane la nullità (v., in proposito, M.C. Venuti, Nullità della clausola e tecniche di cor-rezione del contratto. Profili della nuova disciplina dei ritardi di pagamento, Padova 2004,p. 117 ss.; S. Monticelli, Considerazioni sui poteri officiosi del giudice nella riconduzionead equità dei termini economici del contratto, in Contratto e impr., 2006, p. 215 ss.; C.Chessa, Il potere giudiziale di ristabilire l’equità contrattuale nelle transazioni commercia-li, in questa Rivista, 2006, II, p. 443 ss.; C.M. Nanna, Eterointegrazione, cit., p. 140 ss. e p.229 s.; sulla portata della riforma, v. il recente contributo di S. Pagliantini, L’integrazione,cit., p. 414 ss.).

Il nuovo testo prosegue stabilendo che « [i]l giudice dichiara, anche d’ufficio, la nullitàdella clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamentodalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la naturadella merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogareal saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario do-vuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero » (comma 2o). Vengono inoltre fissatedue presunzioni di grave iniquità: l’una, assoluta, in relazione alla clausola che escludel’applicazione degli interessi moratorî (comma 3o); l’altra, relativa, per la clausola cheesclude il risarcimento dei costi di recupero delle somme dovute a titolo d’interessi moratorîe non tempestivamente corrisposte (comma 4o).

Su questa normativa v. almeno C. Chessa, Il potere, cit., p. 439 ss., cui si rinvia ancheper il ragguardevole apparato bibliografico; G. Salvi, « Accordo gravemente iniquo », cit., p.166 ss., ove si sottolinea come l’iniquità evocata dalla disposizione in esame non valga adaltro che a richiamare l’abuso contrattuale (ivi, p. 174 ss.); G. Amadio, Nullità anomale econformazione del contratto (note minime in tema di « abuso dell’autonomia contrattua-le »), in Letture sull’autonomia privata, Padova 2005, p. 233 ss.; A. Perrone, L’accordo« gravemente iniquo » nella nuova disciplina sul ritardato adempimento delle obbligazionipecuniarie, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 65 ss.; S. Zucchetti, sub art. 7, inAa.Vv., La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Nuove l.civ. comm., 2004, p. 571 ss.; A. Bregoli, La legge sui ritardi di pagamento nei contratticommerciali: prove (maldestre) di neodirigismo?, in R. d. priv., 2003, p. 715 ss.; D. Maffeis,Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, inContratti, 2003, p. 623 ss.; V. Pandolfini, La nullità degli accordi « gravemente iniqui »nelle transazioni commerciali, ivi, p. 501 ss.; E. Minervini, La nullità per grave iniquitàdell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, in D.banca e mer. fin., 2003, I, p. 189 ss.; R. Alessi, Transazioni commerciali e redistribuzionetra le parti del costo del ritardato pagamento: per una lettura del d. lgs. 231/2002 al ripa-

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di fronte a una peculiare figura di eterodeterminazione della regola di validitàdel contratto (60), di matrice non già normativa, ma giudiziale, basata sul cri-terio-guida dell’equilibrio contrattuale (61): il rinvio della norma all’equitàgiudiziale, secondo il dettato della stessa legge, è uno strumento volto ad ade-guare il contratto alle condizioni di mercato. Dispone, infatti, il comma 2o delcitato art. 7 che il giudice dichiari la nullità della clausola avuto riguardo, fral’altro, al « grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con ilprincipio di buona fede e correttezza »: a dover guidare il giudicante nell’ap-prezzamento dell’iniquità della clausola non è, dunque, il suo personale sensodi giustizia, ma la consuetudine del mercato di riferimento (per individuare ilquale la legge richiama « la natura della merce o del servizio oggetto del con-tratto ») e il rispetto della clausola generale di buona fede.

Al rinvio all’equità operato dal d. legisl. 231/2002, da un lato, sembranoattagliarsi le osservazioni dottrinali — più sopra ricordate — formulate qual-che decennio addietro in ordine all’equità codicistica: anche nella normativain esame — per espressa previsione della stessa — l’equità funge da tramiteper la conformazione del contratto in base alle norme di esperienza desumibi-li dai rapporti di mercato (62). Dall’altro lato, tuttavia, il riferimento della di-sposizione alle clausole generali di buona fede e correttezza, di cui il giudicedeve tener conto nel valutare lo scostamento della pattuizione dalla prassicommerciale, manifesta l’inclinazione del legislatore a sovrapporre tali strut-ture normative all’equità (63). Com’è stato osservato, ciò — di fatto — « si-gnifica abbandonare il canone equitativo e sostituirlo con il richiamo a clau-sole generali » (64) e — sul piano teorico — implica non tanto il riconosci-mento del ruolo integrativo della clausola di buona fede (65), né una commi-

ro dall’ambiguo richiamo all’« equità », in Studi Palazzo, III, Torino 2009, p. 1 ss.; C.M.Nanna, Eterointegrazione, cit., p. 118 ss.

(60) Non più, invece, dello stesso contenuto contrattuale, dopo la modifica operata dald. legisl. 192/2012, su cui v. nt. prec.

(61) V., in tal senso, G. Amadio, Nullità, cit., p. 234 s., il quale assimila l’ipotesi in esa-me a quella dell’eterodeterminazione in base alla normativa regolamentare delle Autoritàindipendenti (e segnatamente all’ipotesi di cui all’art. 117, comma 8o, d. legisl. 385/1993).

(62) Cfr. S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 50 ss.(63) Osserva G. Salvi, « Accordo gravemente iniquo », cit., p. 189, come sia « arduo [...]

comprendere se [...] l’equità è mero strumento [sic] della buona fede o risulta criterio do-minante ». Cfr. pure C. Chessa, Il potere, cit., p. 460 s., ove ulter. riferim. sul rapporto traequità e buona fede nella normativa in esame.

(64) Così G. Amadio, Nullità, cit., p. 244 (cors. agg.); sull’estraneità del richiamo opera-to dalla normativa in esame all’equità vera e propria, v. pure G. Salvi, « Accordo grave-mente iniquo », cit., p. 174 ss.

(65) Il dibattito sul punto è noto. L’opinione secondo cui la buona fede esecutiva di cuiall’art. 1375 c.c. (regola la cui area d’incidenza coinciderebbe con quella dell’art. 1175c.c.) deve ritenersi inclusa — pur nel silenzio dell’art. 1374, di cui la disposizione seguenterappresenterebbe lo sviluppo — nel novero delle fonti d’integrazione del contratto è statasostenuta da S. Rodotà, Le fonti, cit., p. 111 ss. e spec. p. 175 ss. In senso contrario, F.

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stione tra regole di validità e regole di comportamento (66), quanto piuttosto

Gazzoni, Equità, cit., p. 284 ss. (opinione successivamente confermata dall’A. nel suo Ma-nuale, cit., p. 801), fondamentalmente in base alla considerazione che il ruolo integrativodella buona fede si risolverebbe nella « svalutazione del criterio integrativo dell’equità e[nel]la sostituzione ad esso del criter[i]o della correttezza » (Id., Equità, cit., p. 289), dalmomento che « non può essere utilmente operata una contrapposizione tra correttezza edequità » (ivi, p. 288), riconducibili entrambe ad « un medesimo ordine di idee » (ivi, p.285) — cfr., in quest’ultimo senso, anche U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligato-rio, I, in Tratt. Cicu-Messineo, XVI, 1, Milano 1974, p. 7 ss. e spec. p. 12 ss., e già, nel sen-so della non eterogeneità delle due figure, C. Grassetti, L’interpretazione, cit., p. 211 ss.

Delle due opinioni è stata la prima — fondata sul superamento della distinzione teoricafra contenuto ed effetti del contratto (S. Rodotà, Le fonti, cit., p. 77 ss. e spec. p. 89 ss.; v.anche R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 421, e da ultimo C.M. Nan-na, Eterointegrazione, cit., p. 9 s.) — ad aver avuto storicamente la meglio (cfr. almenoC.M. Bianca, Diritto civile. 3, cit., p. 472 ss.; v., inoltre, A. di Majo, Libertà, cit., p. 21 ss.;M. Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contratto eimpr., 1999, p. 83 ss.; A. D’Angelo, Il contratto in generale, 4, La buona fede, in Tratt.Bessone, XIII, Torino 2004, p. 33 ss., cui si rinvia anche per ulter. riferim.; E. Capobianco,La determinazione, cit., p. 413 ss., ove pure ulter. riferim.; P. Gallo, Contratto e buona fe-de. Buona fede in senso oggettivo e trasformazioni del contratto, Torino 2009, p. 407 ss.,con ampia casistica giurisprudenziale; U. Breccia, Fonti, cit., p. 396 s.; da ultimo, M. Fran-zoni, Degli effetti, cit., p. 211 ss.; in chiave storica, G. Alpa, La completezza del contratto:il ruolo della buona fede e dell’equità, in Aa.Vv., Il contratto e le tutele. Prospettive di di-ritto europeo, Torino 2002, p. 219 ss.), al punto che può ben dirsi ormai smarrito il sensodella distinzione tra equità e buona fede, entrambe autorevolmente ricondotte — nel segnodi un agnosticismo quanto mai franco e realista (cfr. M. Franzoni, Buona fede, cit., p. 87)— entro il generico contenitore delle « regole di opinione » (R. Sacco, in R. Sacco-G. DeNova, Il contratto, cit., II, p. 431 ss., secondo cui « [l]e contrapposizioni fra un’equità dalcontenuto ineffabile, tutta legata al giudice e al giudizio, una correttezza oggettivizzata eben definibile, una buona fede come elemento di riferimento di una clausola generale, sonoil risultato di edificazioni teoriche che contrappongono i vari sistemi considerati in base acaratteristiche che poi in realtà emergono o scompaiono a seconda dell’ottica in cui la rego-la di opinione viene osservata » [ivi, p. 433]; contra L. Mengoni, Spunti per una teoria del-le clausole generali, in R. crit. d. priv., 1986, p. 16, il quale rileva come la diffidenza versole clausole generali e la distinzione di esse da altre strutture normative (principî generali,standards) sia destinata a perdurare « [f]ino a quando non saranno rimosse le difficoltà diuna discussione razionale sui valori » (una distinzione è stata recentemente tentata da E.Capobianco, La determinazione, cit., p. 417 ss.).

L’opinione minoritaria sopra ricordata, tuttavia, è stata ultimamente sostenuta da C.Scognamiglio, L’integrazione, cit., p. 1170 ss. e spec. p. 1173 ss., nonché, in termini piùnetti, da A. Federico, Profili, cit., p. 85 ss., e da M. Barcellona, Clausole, cit., p. 150 ss. espec. p. 166 ss., del quale — per inciso — è pienamente condivisibile la considerazione (dicui tener conto ai fini di una più approfondita indagine sul punto, e perfettamente riferibileanche allo studio dell’equità civilistica) che « [l]a vicenda interpretativa degli artt. 1374 e1375 [...] difficilmente si presta ad essere compresa nella dimensione decisamente pragma-tica e a-temporale, che talvolta si vorrebbe dare alla scienza giuridica » (ivi, p. 65, e già inId., Un breve commento, cit., p. 524).

(66) Infatti, i casi in cui la legge prevede l’invalidità del contratto iniquo sembrano ri-conducibili alla previsione di cui all’art. 1418, comma 3o, c.c.

In generale, sulla commistione tra i due ordini di regole nella giurisprudenza e nella le-gislazione, cfr. V. Roppo, Il contratto del duemila3, Torino 2011, p. 81 ss.; con particolareriferimento alla buona fede oggettiva, A. D’Angelo, Il contratto in generale, 4, cit., p. 249

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la tendenziale identificazione del canone equitativo con la clausola di corret-tezza. Non sembra potersi condividere del tutto, pertanto, l’affermazione« che al centro del c.d. giudizio di equità [...] altro non vi sia se non l’equili-brio economico » (67): se ciò vale per altri provvedimenti normativi (68), nonpuò dirsi altrettanto per l’art. 7 d. legisl. 231/2002, laddove al criterio quan-titativo si affianca, per espressa previsione di legge, quello relativo alla con-dotta delle parti.

A parte, tuttavia, quest’ultima norma, sembra che sull’equilibrio (o me-glio il riequilibrio) economico siano effettivamente imperniati i rinvii norma-tivi all’equità giudiziale (69) operati dalla legislazione speciale di derivazionecomunitaria. Il legislatore ha esteso così il presidio dell’adeguatezza econo-mica dello scambio — attivo già da tempo in materia di lavoro subordina-to (70) — a nuove e più ampie aree di contrattazione caratterizzate dal-l’asimmetria di potere contrattuale tra le parti (71), senza peraltro provvede-re alla puntuale definizione quantitativa di tale equilibrio (72). È questa latecnica mediante la quale si è scelto di realizzare la giustizia contrattuale (insenso normativo ed economico) (73), ponendo rimedio agli abusi dell’autono-

ss. In senso critico, v. in particolare E. Lucchini Guastalla, Obblighi informativi dell’inter-mediario finanziario e responsabilità nei confronti dell’investitore, nota ad App. Milano 19dicembre 2006, in Resp. civ., 2007, p. 1679 ss.; Id., Violazione degli obblighi di condotta eresponsabilità degli intermediari finanziari, ivi, 2008, p. 741 ss., ove ulter. riferim.; da ulti-mo, Id., Il contratto e il fatto illecito, Milano 2012, p. 323 ss., ove si osserva che « la nullitàvirtuale non può essere dichiarata che nei casi in cui la norma imperativa mira direttamen-te a impedire la conclusione del contratto, e non anche laddove essa tenda semplicementead evitare la conclusione di un contratto svantaggioso » (ivi, p. 324).

(67) Così, ancora, G. Amadio, Nullità, cit., p. 245 (cors. dell’A.). Sull’eversività dei vin-coli normativi che impongono l’equilibrio contrattuale (originario), cfr. V. Roppo, Il con-tratto, cit., p. 74 ss., il quale ne rileva il carattere « tendenzialmente recessivo nell’evoluzio-ne di un ordinamento sempre più informato a logiche di privatizzazione/liberalizzazione »(ivi, p. 75).

(68) Si pensi alla l. 192/1998, di cui si dirà tra breve.(69) Sui precedenti normativi in tema di congruità del corrispettivo contrattuale, v. le

sintetiche osservazioni di V. Roppo, Il contratto, cit., p. 77 s. Cfr. inoltre F. Galgano, Sul-l’equitas [sic] delle prestazioni contrattuali, in Contratto e impr., 1993, p. 419 ss.

(70) Si vedano, pur nella loro diversa portata e con differenti implicazioni, gli artt. 36,comma 1o, Cost. e 2125, comma 1o, c.c.

(71) Requisito, quest’ultimo, peraltro non sempre « formalizzato » dalle normative inesame: cfr. G. Amadio, Nullità, cit., p. 248 s.

(72) Per tali considerazioni, v., amplius, V. Roppo, Il contratto, cit., p. 78 s., e ivi, p. 79ss., circa l’estraneità a tale trend normativo della disciplina in tema di usura introdotta dallal. 108/1996 (sulla quale cfr. D. Russo, Sull’equità dei contratti, Napoli 2001, p. 135 ss.).

(73) V., per l’evoluzione del concetto anche nel diritto italiano e per i suoi rapporti colprincipio dell’autonomia privata, U. Breccia, in Aa.Vv., Il contratto in generale, 3, in Tratt.Bessone, XIII, Torino 1999, p. 71 ss.; G. Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in R.d. priv., 2000, p. 21 ss., ove ampia bibliografia sul tema; E.M. Pierazzi, La giustizia del con-tratto, in Contratto e impr., 2005, p. 647 ss.; E. Navarretta, Buona fede oggettiva, contratti

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mia privata (74) al fine ultimo di assicurare la struttura concorrenziale delmercato — « vero obiettivo del nuovo diritto europeo dei contratti d’impre-sa » (75). In questo modo, l’equità giudiziale è posta al servizio dell’idea digiustizia contrattuale, rinsaldando un legame che già era stato colto, quasitre secoli fa, da Pothier, il quale vide nei contratti di scambio il regno del-l’equità intesa come equilibrio economico (76).

In questo senso sembra doversi leggere le disposizioni del d. legisl. 206/2005 (c.d. codice del consumo), il cui art. 2, comma 2o, lett. e, contempla frai diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti quello « alla correttezza,alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali ». E che anche in talcaso l’equità debba intendersi come principio di giustizia contrattuale è parsoemergere dall’art. 33, comma 1o, del medesimo provvedimento, in base alquale « [n]el contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si con-siderano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano acarico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighiderivanti dal contratto » (77).

di impresa e diritto europeo, in questa Rivista, 2005, I, p. 507 e spec. p. 525 ss.; Ead., Causae giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Aa.Vv., Il diritto delle obbliga-zioni e dei contratti: verso una riforma? (atti del convegno per il cinquantenario di questa Ri-vista svoltosi a Treviso nel marzo 2006), Padova 2006, p. 411 ss., ove ulter. riferim.; più direcente, A. Cataudella, La giustizia, p. 624 ss. Sui rapporti tra buona fede oggettiva e giusti-zia contrattuale v. l’ampia analisi di A. D’Angelo, Il contratto in generale, 4, cit., p. 155 ss.

(74) Cfr. G. Amadio, Nullità, cit., p. 246 ss., il quale, rilevato il carattere paradossale ditale espressione con riferimento al paradigma codificato dell’autonomia, compie un tentati-vo di tracciare i limiti (de iure condito) del sindacato giudiziale sull’equilibrio contrattuale.V., inoltre, la relazione governativa al d. legisl. 231/2002 (cit. da E. Minervini, La nullità,cit., p. 198 s.), secondo cui « l’opzione normativa in favore della sanzione di nullità è siste-maticamente giustificata dalla considerazione che il legislatore comunitario reprime la vio-lazione di una norma imperativa di divieto di abuso della libertà contrattuale ». Osserva,infatti, G. Vettori, Autonomia, cit., p. 37, che « non è rilevante lo squilibrio in sé, ma inquanto frutto di un abuso o di un contegno in mala fede ».

(75) Così, ancora, G. Amadio, Nullità, cit., p. 252. Sul legame fra giustizia contrattuale econcorrenza v. R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il contratto, cit., I, p. 22 ss. e spec. p. 26 ss.

(76) R.J. Pothier, Traité des obligations, selon les regles tant du for de la conscience,que du for extérieur2, I, Paris-Orléans 1764, p. 45 s.: « [l]’équité doit regner dans les con-ventions, d’où il fuit que dans les contrats intéressés dans lesquels l’un des contractans don-ne ou fait quelque chose, pour recevoir quelqu’autre chose comme le prix de ce qu’il donneou de ce qu’il fait, la lésion que souffre l’un des contractans, quand même l’autre n’auroitrecours à aucun artifice pour le tromper, est seule suffissante par elle-même pour rendreces contrats vicieux. Car l’équité en fait de commerce consistant dans l’égalité, dès que cet-te égalité est blessée, et que l’un des contractans donne plus qu’il ne reçoit; le contrat est vi-cieux, parce qu’il peche contre l’équité qui y doit regner ». Una simile impostazione si ritro-va, nella nostra dottrina, nel pensiero di N. Coviello, Del caso fortuito in rapporto allaestinzione delle obbligazioni, Ranciano 1895, p. 190, ove ulter. riferim.

(77) V. in tal senso G. De Nova, Contratto: per una voce, in R. d. priv., 2000, p. 653, siapure con riferim. agli abrogati artt. 1, comma 2o, lett. e, l. 30 luglio 1998, n. 281, e 1469 bis,comma 1o, c.c., omologhi degli attuali artt. 2, comma 2o, lett. e, e 33, comma 1o, d. legisl.206/2005 (il saggio si ritrova in Id., Il contratto. Dal contatto atipico al contratto alieno, Pa-

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Significativa è pure la norma che, in tema di abuso di dipendenza econo-mica nei rapporti tra imprese, prevede la nullità del contratto attraverso ilquale l’abuso si realizzi, determinando « nei rapporti commerciali [...] un ec-cessivo squilibrio di diritti e di obblighi » anche mediante l’« imposizione dicondizioni contrattuali ingiustificatamente gravose » (art. 9, commi 1o, 2o e3o, l. 192/1998) (78). E sempre in quest’ultima normativa si ritrova la dispo-sizione che sancisce la nullità del « patto con cui il subfornitore disponga, afavore del committente e senza congruo corrispettivo, di diritti di privativa in-dustriale o intellettuale » (art. 6, comma 3o).

La tendenza legislativa in esame ha visto accrescere la propria portatacol recente art. 62 d.l. 1/2012 (79), il quale, pur non contenendo espressi ri-chiami all’equità (80), merita di essere qui segnalato per la sua affinità con lefattispecie normative poc’anzi evocate.

dova 2011, p. 1 ss.); F. Gazzoni,Manuale, cit., p. 799 s.; amplius, F. Camilletti, L’art. 2 delCodice del consumo e i diritti fondamentali del consumatore nei rapporti contrattuali, inContratti, 2007, p. 907 ss. e spec. p. 915, secondo il quale « la nozione di equità di cui all’art.2 va letta in relazione all’art. 33 comma 1o » (ibid.); ulter. riferim. sul punto in A.M. Manca-leoni, sub art. 2, in G. De Cristofaro-A. Zaccaria, Commentario breve al diritto dei consu-matori (Codice del consumo e legislazione complementare), Padova 2010, p. 63. Di diversoavviso appare G. Vettori, sub art. 2, in Aa.Vv., Codice del consumo annotato con la dottrinae la giurisprudenza, Napoli 2009, p. 13 ss. e spec. p. 15. Sulla questione se lo squilibrio rile-vante ex art. 33, comma 1o, d. legisl. 206/2005 debba intendersi in senso puramente norma-tivo o anche economico — come l’art. 34, comma 2o, del medesimo provvedimento parrebbeescludere —, v. per tutti S. Troiano, sub art. 33, in G. De Cristofaro-A. Zaccaria, Commen-tario, cit., p. 248 ss. (ove ulter. riferim.), il quale condivisibilmente rileva che « qualsiasiclausola del contratto [...] è potenzialmente in grado di incidere sulla convenienza anche eco-nomica dell’affare [...] in quanto il contratto è, per definizione, strumento per regolare la sfe-ra dei rapporti patrimoniali dei contraenti » (ivi, p. 249).

(78) V., sul punto, D. Russo, Sull’equità, cit., p. 81 ss.; D. Maffeis, Abuso, cit., p. 623ss., ove ulter. riferim.; C.M. Nanna, Eterointegrazione, cit., p. 150 ss.

(79) Il provvedimento, recante « Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppodelle infrastrutture e la competitività », è stato conv. con l. 27/2012. Le modalità applicati-ve dell’articolo in parola sono poi state specificate (come previsto dal comma 11o bis dellostesso) dalla normativa secondaria del Ministero delle politiche agricole, alimentari e fore-stali con d.m. 199/2012, recante il relativo « Regolamento di attuazione ». Su tale normati-va v. almeno l’ampio commento di L. Russo, I contratti di cessione dei prodotti agricoli ealimentari (e quelli di cessione del latte crudo): nuovi tipi contrattuali per il mercatoagroalimentare?, in Nuove l. civ. comm., 2013, p. 199 ss. (con ulter. riferim. ivi, p. 212, nt.36), e quello di S. Rizzioli, La disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessionedi prodotti agricoli e alimentari tra prospettive di diritto dell’Unione Europea e legislazionealimentare interna, ivi, p. 239 ss., nonché — da ultimo — A.M. Benedetti-F. Bartolini, Lanuova disciplina dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, in questaRivista, 2013, p. 641 ss., e S. Pagliantini, Il « pasticcio » dell’art. 62, l. n. 221/2012: inte-grazione equitativa di un contratto parzialmente nullo o responsabilità precontrattuale dacontratto sconveniente?, in G. D’Amico-S. Pagliantini, Nullità per abuso ed integrazionedel contratto. Saggi, Torino 2013, p. 171 ss., ove ulter. riferim.

(80) Può tuttavia condividersi l’opinionediL.Russo, I contratti, cit., p. 227, il quale ricostrui-sce la ratiodella normativa in parola con riferimento all’inadeguatezza del diritto comune a « ri-condurre ad una “equità sostanziale” i rapporti tra gli operatori della filiera agroalimentare ».

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L’articolo, rubricato « Disciplina delle relazioni commerciali in materiadi cessione di prodotti agricoli e agroalimentari », esordisce con una disposi-zione dedicata ai « contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodottiagricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore fina-le », prevedendone requisiti di forma e contenuto, e stabilendo che essi « de-vono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità ereciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai beni forniti »(comma 1o) (81). La norma prosegue con una previsione dall’ambito di appli-cazione apparentemente assai più ampio (82), secondo cui, « [n]elle relazionicommerciali tra operatori economici, ivi compresi i contratti che hanno adoggetto la cessione dei beni di cui al comma 1o, è vietato: a) imporre diretta-mente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizionicontrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattualie retroattive; b) applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioniequivalenti; c) subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la con-tinuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione diprestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi com-merciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre;d) conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura odal contenuto delle relazioni commerciali; e) adottare ogni ulteriore condottacommerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle re-lazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento »(comma 2o) (83).

La portata civilistica di tali disposizioni — e, in particolare, la loro ido-neità a determinare, se violate, la nullità del contratto (84) — potrebbe appa-rire dubbia, in primo luogo, per l’eliminazione, sopraggiunta dopo l’emana-

(81) Bisogna segnalare che tale comma è stato così modificato dall’art. 36 bis d.l. 179/2012 (conv. con l. 221/2012), il quale ha fra l’altro eliminato l’espressa comminatoria dinullità che accompagnava le prescrizioni contenutistiche di cui al primo periodo. Sull’effet-tiva portata di tale modifica, v. però le considerazioni di L. Russo, I contratti, cit., p. 218ss.

(82) Ma v. L. Russo, I contratti, cit., p. 220, secondo cui il comma 2o della disposizioneandrebbe letto « all’interno del contesto generale di riferimento, [...] intende[ndo] il riferi-mento agli operatori economici non in senso generale ma pur sempre limitato a coloro cheoperano all’interno delle filiere agroalimentari » (conf. S. Rizzioli, La disciplina, cit., p.261).

(83) Sui rapporti fra la normativa in parola e gli artt. 9 l. 192/1998 e 7 d. legisl. 231/2002, cui si è accennato più sopra, v. L. Russo, I contratti, cit., p. 223 ss., ad avviso delquale i commi 1o e 2o dell’art. 62 d.l. 1/2012 dovrebbero considerarsi norme speciali rispet-to al citato art. 9 l. 192/1998 (ivi, p. 225).

(84) Sul punto, cfr. ancora L. Russo, I contratti, cit., p. 221, il quale propende, seppuredubitativamente, per l’esclusione dell’invalidità (ivi, nt. 62), salvo prospettare la nullità exart. 9 l. 192/1998 delle clausole contra legem (ivi, p. 226; v. nt. prec.). Da ultimo, in sensonettamente contrario alla nullità virtuale, v. A.M. Benedetti-F. Bartolini, La nuova disci-plina, cit., p. 646 ss.

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zione della norma, dell’espressa comminatoria di nullità che accompagnava leprescrizioni contenutistiche di cui al primo periodo del comma 1o (85) e, se-condariamente, per la circostanza che la repressione della violazione dei com-mi 1o e 2o è affidata a sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, sulla cuiirrogazione è chiamata a vigilare l’Autorità garante per la concorrenza e ilmercato (commi 5o, 6o e 8o) (86). Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, deve ri-cordarsi come la previsione di una sanzione extracivilistica per il caso di vio-lazione di una norma non sia affatto idonea, di per sé, ad escludere l’invalidi-tà dell’atto, occorrendo pur sempre un’indagine circa l’incompatibilità o lacumulabilità di quella sanzione con l’altra, civilistica, dell’invalidità (87). Sot-to il primo profilo, invece, sembra difficile non scorgere nel comma 2o unanorma imperativa ai sensi dell’art. 1418, comma 1o, c.c. (88) — di talché lasua violazione determinerebbe la nullità (virtuale) del contratto —, sia che siaderisca all’impostazione per cui la nullità andrebbe esclusa quando, rico-struita la ratio della norma violata, questa appaia espressione d’interessi nongià generali, ma meramente settoriali (89), sia che si ritenga necessaria un’in-dagine condotta sulla scorta di criterî diversi, volta a « individuare la natura,indisponibile o meno, dell’interesse [...] protetto, e così valutare [...] se laconseguenza della nullità appaia congruente o si riveli invece esorbitante ri-spetto alla ratio della disposizione disattesa » (90): infatti, sembra fondato ri-tenere che l’obbiettivo di politica legislativa consistente nella garanzia del-l’equilibrio contrattuale — pur trovando i proprî punti di emersione in pecu-liari e ben determinati settori dell’ordinamento (peraltro sempre più numero-

(85) V. supra, nt. 81.(86) Ad avviso di L. Russo, I contratti, cit., p. 226, tale apparato sanzionatorio « segna-

la la sostanziale inadeguatezza del sistema della responsabilità civile [...] tutte le volte incui le norme di legge tendono a conformare il contenuto di contratti conclusi in serie ».

(87) Cfr. almeno G. Passagnoli, Il contratto illecito, in Tratt. Roppo, II, cit., p. 444.(88) V. in tal senso S. Pagliantini, Il « pasticcio », cit., p. 178 ss. Il « carattere cogente »

della normativa in esame è, inoltre, espressamente affermato da L. Russo, I contratti, cit.,p. 230. Fin troppo noto è il dibattito circa il fondamento dell’imperatività della norma ai fi-ni della nullità virtuale: sul punto, basti rinviare a G. Passagnoli, Il contratto, cit., p. 439ss., ove sono ricostruite (con dovizia di riferim.) le fondamentali posizioni della dottrina sulpunto — da quella che scorge il tratto distintivo dell’imperatività nell’inderogabilità a quel-la che ha riguardo al fondamento giuridico del divieto normativo (a seconda che vi si possascorgere, o no, una ratio d’interesse generale).

(89) Cfr. per tutti F. Gazzoni, Manuale, cit., p. 997: trattasi di un’impostazione ben ra-dicata nella giurisprudenza (v. almeno Cass. 3 settembre 2001, n. 11351, in Rep. F. it.,2001, Tributi in gen., p. 1178, secondo cui « le norme tributarie, essendo poste a tutela diinteressi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur es-sendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazioneche la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali, che si collo-chino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico »; numerosialtri riferim. in M. Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. Roppo, IV, Milano2006, p. 44 s.).

(90) Così M. Mantovani, Le nullità, cit., p. 47.

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si) — non possa più riguardarsi, oggi, come un’istanza di carattere meramen-te settoriale (91), e che la sanzione della nullità sia proporzionata alla violazio-ne di una disposizione — quale l’art. 62, comma 2o, d.l. 1/2012 —evidentemente volta a impedire un determinato « risultato » negoziale.

5. — L’equità compare anche nell’ambito dei Principles of EuropeanContract Law, elaborati dalla Commission on European Contract Law presie-duta da Ole Lando, in particolare nella disposizione dedicata all’eccessivaonerosità sopravvenuta dell’esecuzione del contratto per « Change of Circum-stances » (art. 6:111). È infatti stabilito che, in tale ipotesi, « the parties arebound to enter into negotiations with a view to adapting the contract or ter-minating it » (§ 2), e che, ove non intervenga un accordo delle parti « withina reasonable period », al giudice sono attribuiti due poteri fra loro alternativi:« the court may [...] end the contract at a date and on terms to be determinedby the court; or [...] adapt the contract in order to distribute between the par-ties in a just and equitable manner the losses and gains resulting from thechange of circumstances » (§ 3). Un riferimento all’equità può ritrovarsi an-che nei principî che fanno riferimento alla fairness del regolamento contrat-tuale: così — in chiave rimediale — nell’art. 4:109 in tema di « Excessive Be-nefit or Unfair Advantage » e nell’art. 4:110 in tema di « Unfair Terms notIndividually Negotiated », ma pure — in materia d’interpretazione — all’art.5:102.

Significativa, poi, è la previsione dell’art. 6:102 (rubricato « Implied Ter-ms ») in tema d’integrazione del contratto: la disposizione afferma che, « [i]naddition to the express terms, a contract may contain implied terms whichstem from [...] the intention of the parties, [...] the nature and purpose of thecontract, and [...] good faith and fair dealing ». La buona fede rientra a pie-no titolo, dunque, tra le fonti d’integrazione del contratto, accanto al fairdealing: può quindi ritenersi che nella soft law europea sia stata senz’altro su-perata, a favore di un’espansione dell’area d’influenza della clausola generaledi buona fede, la limitazione — sostenuta da una parte della dottrina italia-na (92) — della rilevanza di quest’ultima al solo momento esecutivo del con-tratto.

Nel più recente Draft Common Frame of Reference, che in parte costitui-sce l’evoluzione dei predetti Principles, vengono sostanzialmente conservatenumerose disposizioni contenute in questi ultimi. Si pensi, ad esempio, allaprevisione del potere giudiziale di « vary the obligation in order to make itreasonable and equitable in the new circumstances » (art. III. — 1:110, § 2,lett. a) — previsione estesa, nel Draft, all’obbligazione in generale, indipen-dentemente dalla fonte di essa. Viene conservata anche la regola dell’integra-

(91) Cfr. G. Vettori, Autonomia, cit., p. 33 ss., il quale reputa lecita la domanda sepossa parlarsi di un nuovo ordine giuridico in fase di formazione.

(92) V. supra, nt. 65.

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zione del contratto in base ai « requirements of good faith and fair dealing »(art. II. — 9:101), la cui portata appare — per converso — limitata rispettoai Principles, dal momento che l’integrazione sembra essere riservata al giudi-ce (§ 2: « [w]here it is necessary to provide for a matter which the parties ha-ve not foreseen or provided for, a court may imply an additional term [...] »)ed è espressamente esclusa nei casi in cui « the parties have deliberately left amatter unprovided for, accepting the consequences of so doing » (§ 4).

Ma ciò che appare più significativo è che il Draft riservi un’intera sezione(la quarta del capitolo IX — dedicato a « Contents and effects of contracts »— del libro II) agli « Unfair terms », ossia alle condizioni contrattuali inique,cui è riservata una disciplina articolata in dieci disposizioni di carattere inde-rogabile (come dispone l’art. II. — 9:401) (93).

Tale disciplina è riferita in prevalenza ai contratti conclusi tra un consuma-tore e un professionista, e proprio con riferimento a questi essa fonda anzituttouna presunzione d’iniquità sullamancata redazione e comunicazione delle condi-zioni predisposte unilateralmente (« terms not individually negotiated ») in for-ma semplice e chiara (« plain, intelligible language ») (art. II.— 9:402) (94).

Al di fuori di tale presunzione, l’unfairness delle condizioni dev’essere va-lutata alla stregua delle definizioni fornite dagli artt. II. — 9:403, II. — 9:404e II. — 9:405, relative rispettivamente ai contratti del consumatore, a quelliconclusi « between non-business parties » e a quelli « between businesses ».Nei primi, « a term [not individually negotiated] is unfair [...] if it is suppliedby the business and if it significantly disadvantages the consumer, contrary togood faith and fair dealing ». Nei secondi, invece, « a term is unfair [...] onlyif it is a term forming part of standard terms supplied by one party and signi-ficantly disadvantages the other party, contrary to good faith and fair dea-ling ». Infine, nei terzi, « [a] term [...] is unfair [...] only if it is a term for-ming part of standard terms supplied by one party and of such a nature thatits use grossly deviates from good commercial practice, contrary to good faithand fair dealing » (95).

Alla iniquità delle condizioni contrattuali consegue, ai sensi dell’art. II.— 9:408, l’inefficacia delle stesse per la parte che non le abbia predisposte,fermo restando che, « [i]f the contract can reasonably be maintained withoutthe unfair term, the other terms remain binding on the parties ». La sezione si

(93) Al di fuori di tale sezione, una norma particolare è dettata dall’art. III. — 3:711, intema di « Unfair terms relating to interest », ove si precisa che l’unfairness di un termine dipagamento degli interessi si riscontra laddove quest’ultimo « grossly deviates from goodcommercial practice, contrary to good faith and fair dealing » (§ 3).

(94) La disposizione in discorso, infatti, sancisce che, « [i]n a contract between a busi-ness and a consumer a term which has been supplied by the business in breach of the dutyof transparency imposed [...] may on that ground alone be considered unfair ».

(95) L’art. II. — 9:406 stabilisce alcune esclusioni dall’« unfairness test »: si tratta dellecondizioni basate su disposizioni della legge sostanziale applicabile, su convenzioni interna-zionali o sulle stesse regole del Draft.

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conclude con un lungo elenco di clausole che, nei contratti del consumatore,si presumono inique se predisposte dal professionista (art. II. — 9:410).

Coerentemente con la ricerca del rigore terminologico che ne ha animatola redazione, il Draft definisce in modo espresso good faith and fair dealing(art. I. — 1:103), unificandoli in un’endiadi che ricorda quella domestica dibuona fede e correttezza: il sintagma, infatti, « refers to a standard of conductcharacterised by honesty, openness and consideration for the interests of theother party to the transaction or relationship in question » (§ 1) (96).

6. — La dottrina italiana più recente appare saldamente attestata su unconcetto di equità corrispondente a quello di equilibrio contrattuale (97) e di« giusta proporzione delle prestazioni » (98). In un quadro normativo in cuil’iniquità sanzionata dalla legge corrisponde, in definitiva, all’abuso della li-bertà negoziale (99), l’equità — per converso — non rappresenta altro che ilcriterio del corretto esercizio di quella stessa libertà. Tale concetto finisce, co-sì, per coincidere con quello di buona fede oggettiva (100), al punto che non

(96) Il § 2 della disposizione soggiunge che « [i]t is, in particular, contrary to good faithand fair dealing for a party to act inconsistently with that party’s prior statements or con-duct when the other party has reasonably relied on them to that other party’s detriment ».

Può segnalarsi, infine, che l’importanza dell’equità nel Draft emerge con evidenza dallacircostanza che essa riveste un ruolo determinante anche in settori disciplinari estranei aquello contrattuale, divenendo per es. criterio decisivo al fine di fondare la responsabilitàdell’incapace naturale: v., infatti, l’art. VI. — 5:301 in tema di « Mental incompetence »,secondo cui « [a] person who is mentally incompetent at the time of conduct causing legallyrelevant damage is liable only if this is equitable, having regard to the mentally incompe-tent person’s financial means and all the other circumstances of the case [...] » (§ 1); si ve-dano, inoltre, gli artt. V. — 2:102, § 2, sulla responsabilità del gestor alieni negotii, V. —3:104, § 2, sui diritti del medesimo, VI. — 2:101, §§ 2 e 3, sull’individuazione dei dannirisarcibili in materia di responsabilità aquiliana, VI. — 6:103 sui limiti alla compensatiolucri cum damno e VI. — 6:202 sulla riduzione equitativa del risarcimento.

(97) V. almeno F. Benatti, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, in R. trim. d.proc. civ., 1999, p. 837 ss.; M. Franzoni, Buona fede, cit., p. 83 ss.; F.D. Busnelli, Note, cit.,p. 537 ss., cui si rinvia anche per i numerosi riferim.; D. Russo, Sull’equità, cit., p. 18 ss.; N.Lipari, Per una revisione della disciplina sull’interpretazione e sull’integrazione del contrat-to?, in R. trim. d. proc. civ., 2006, p. 726 ss.; da ultimo, U. Breccia, Fonti, cit., p. 418.

(98) Così R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 116, secondo cui perl’invalidazione di un accordo economicamente iniquo basterebbe ricorrere alla regola delbuon costume, posto che « [i]l legislatore ha condannato il contratto contrario al buon co-stume per salvaguardare l’esigenza di colpire i contratti immorali, e i contratti lesivi dellagiustizia, dell’equità e della buona fede sono immorali »; si richiama all’ordine pubblico,invece, U. Breccia, in Aa.Vv., Il contratto in generale, 3, cit., 195 ss. In senso contrario aentrambe le opinioni v. A. D’Angelo, Il contratto in generale, 4, cit., p. 222 ss.

(99) Cfr., in tal senso, S. Zucchetti, sub art. 7, cit., p. 578, ove ulter. riferim.(100) In tal senso cfr. R. Sacco, L’abuso della libertà contrattuale, in Aa.Vv., Diritto

privato 1997. III. L’abuso del diritto, Padova 1998, p. 217 ss., secondo cui « [r]egola dibuona fede e divieto di abusare della libertà non sono entità né diverse, né lontane, né in-compatibili » (ivi, 234).

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parrebbe avventato parlare di un ritorno a quell’antica fusione sostanziale diequità e buona fede nel segno di un’idea di giustizia commutativa (101) cheancora traspariva nel pensiero di Domat (102). Ciò, se da un lato conferma lavalidità dell’orientamento oggi prevalente in ordine alla tradizionale questio-ne dell’inclusione della buona fede nel novero delle fonti d’integrazione delcontratto (103), non sembra richiedere d’altro canto un ripensamento della di-stinzione tra regole di validità e regole di comportamento (104), posto che i ca-si in cui la legge prevede l’invalidità del contratto iniquo appaiono riconduci-bili alla previsione di cui all’art. 1418, comma 3o, c.c.

Possono rilevarsi, a questo punto, due generali linee di evoluzione del si-stema.

Da una parte, l’appiattimento del concetto di equità sulle regole di merca-to sembra aver condotto a una sostanziale trasmutazione della stessa in una

(101) Cfr. F.D. Busnelli, Note, cit., p. 537 s., ove riferim. sul punto.(102) J. Domat, Les loix civiles dans leur ordre natureln.e., I, Paris 1777, p. 24, dove si

legge che « c’est par l’équité naturelle que l’associé est obligé de prendre soin de l’affairecommune, qui est en ses mains », risolvendosi dunque l’equità in una fonte di obblighi dicorrettezza (conf. G. Alpa, La completezza, cit., p. 223).

(103) V. supra, nt. 65. Non è possibile soffermarsi in questa sede sui rapporti tra l’equità,la buona fede e il concetto di ragionevolezza, assunto come equivalente semantico della rea-sonableness di derivazione anglosassone, ossia come « indice di giustizia nell’applicazionedelle leggi » (A. Ricci, La ragionevolezza nel diritto privato: prime riflessioni, in Contratto eimpr., 2005, p. 630; cfr. anche U. Breccia, Fonti, cit., p. 397 s., che qualifica espressamenteil concetto come clausola generale). Tale concetto è stato recentemente fatto oggetto d’inda-gine da parte di una dottrina, al fine d’individuarne uno spazio di autonomia: si è affermato,così, che ragionevolezza e buona fede tenderebbero bensì al medesimo risultato di giustizia,ma che mentre questa costituirebbe una regola etica di condotta, quella si caratterizzerebbeper una più spiccata oggettività, rinviando alla razionalità umana e a criterî di normalità so-ciale (cfr. A. Ricci, La ragionevolezza, cit., p. 644; amplius, S. Troiano, La « ragionevolez-za » nel diritto dei contratti, Padova 2005, p. 458 ss. [per una sintesi, Id., « Ragionevolezza »e concetti affini: il confronto con diligenza, buona fede ed equità, in Obbl. contr., 2006, p.679 ss.]; peraltro, se già da tale sistemazione emerge la labilità del criterio distintivo tra ledue figure, ogni alterità sembra smarrirsi allorché si sostiene che, « [d]i fatto, la ragionevo-lezza è “misura” anche della buona fede, atteso che questa può essere invocata solo nei limitidi un suo ragionevole uso » [A. Ricci, La ragionevolezza, cit., p. 645]); che dal criterio delladiligenza la ragionevolezza si distinguerebbe per il maggior grado di discrezionalità che que-sta lascia all’interprete, « arresta[ndosi] ad uno stadio di specificazione anteriore rispetto aquello espresso dalla indicazione normativa di precisi gradi di diligenza » (così S. Troiano,La « ragionevolezza », cit., p. 335 ss. e spec. p. 354, donde è tratta la citaz.; ma anche questadistinzione viene sminuita dal rilievo che la ragionevolezza è talvolta un equipollente delladiligenza, mentre altre volte evoca un modello di condotta analogo a quello imposto dalla re-gola della buona fede [ivi, p. 189 ss.]); che, con riferimento all’equità, potrebbe parlarsi diuna sostanziale coincidenza dei concetti quantomeno nelle ipotesi in cui la ragionevolezza èassunta a criterio di garanzia dell’equilibrio contrattuale (ivi, p. 443 ss.). Da ultimo, sul pun-to, v. S. Patti, La ragionevolezza nel diritto civile, in R. trim. d. proc. civ., 2012, p. 1 ss., insenso critico circa l’inclusione della ragionevolezza nel novero delle clausole generali (spec.ivi, p. 10 s.; tale saggio si ritrova ora in Id., Ragionevolezza, cit., p. 7 ss.).

(104) Qualche essenziale riferim. sul punto è stato fornito sub nt. 66.

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clausola generale analoga a quella di buona fede (105). È ben nota la voce dot-trinale che, quasi trent’anni or sono, constatava l’esigenza di liberare la buonafede da ogni commistione con l’equità (106), marcando il confine tra le due figu-re, che hanno bensì entrambe « la funzione di promuovere la piena realizzazio-ne dello scopo del contratto » (107), ma mentre « questa funzione è adempiutadal giudice, quando è costituito dalla legge ministro di equità, integrando oadattando il regolamento negoziale per conformarlo a esigenze di giustizia pro-venienti da circostanze di fatto peculiari, [...] il giudizio secondo buona fedesvolge una valutazione del contratto alla stregua di tipi normali di comporta-mento riconosciuti come norme sociali, dai quali il giudice trae un criterio diinterpretazione del regolamento negoziale oppure un criterio di esplicitazionedi modalità esecutive » (108). Sennonché, l’aver adottato un concetto di equitàin gran parte svincolato da quello di « giustizia del caso concreto », ha finitocon l’investire la stessa equità della funzione — propria delle clausole generali— « di conservazione di aspettative fondate su modelli di condotta già consoli-dati dall’esperienza » (109) e, segnatamente, dalla pratica del mercato (110).

Per altro verso, può constatarsi come la legislazione, assumendo l’equità giu-diziale come regola di validità delle convenzioni, abbia fatto propria la tecnicasanzionatoria indicata da chi aveva delineato un intervento cogente dell’equità infunzione di ristrutturazione del regolamento contrattuale iniquo (111). È, quindi,attraverso lo strumento della nullità che il legislatore d’ispirazione comunitariava oggi alla ricerca del « punto di equilibrio tra la tutela del mercato e la garanziadella persona, due sfere che la cultura sottostante al nostro codice civile riteneva,salvo casi limite, del tutto indipendenti ed autonome » (112).

(105) A ciò si è già accennato sub nt. 65.(106) Si tratta, naturalmente, del pensiero di L. Mengoni, Spunti, cit., p. 8.(107) L. Mengoni, Spunti, cit., p. 13.(108) L. Mengoni, Spunti, cit., p. 13. Sulle clausole generali, v. inoltre — anche per ul-

ter. riferim. — A. Guarneri, Clausole generali, in Dig. disc. priv. - sez. civ., II, Torino 1988,p. 403 ss.; più di recente, V. Velluzzi, Le clausole generali. Semantica e politica del dirit-to, Milano 2010, ed E. Fabiani, voce Clausola generale, in Enc. dir., Ann., V, Milano 2012,p. 183 ss., ove ampia bibliografia. Da ultimo, S. Patti, L’interpretazione delle clausole ge-nerali, in questa Rivista, 2013, p. 263 ss. (nonché in Id., Ragionevolezza, cit., p. 33 ss.; mav. pure, dello stesso A., Clausole generali e discrezionalità del giudice, in R. not., 2010, I,p. 303 ss., e ora anche in Studi Cataudella, III, Napoli 2013, p. 1693 ss.).

(109) L. Mengoni, Spunti, cit., p. 14.(110) Il rilievo sembra essere condiviso da M. Franzoni, Buona fede, cit., p. 87, secondo il

quale, « [s]e è sulla base del mercato che l’integrazione del contratto secondo equità tende aduniformarsi, la differenza tra questa e le clausole generali [...] si assottiglia notevolmente ».

(111) Si tratta dell’opinione, più sopra riferita, di F. Gazzoni, Equità, cit., p. 324 ss.(112) Sono parole di N. Lipari, Per una revisione, cit., p. 735 s.; secondo tale A., il tema

del « contratto giusto » rappresenta « il nervo scoperto dell’esperienza giuridica del nostrotempo » (ivi, p. 735). In merito a tale utilizzo della nullità, v. E. Navarretta, Causa e giu-stizia, cit., p. 425 ss., ove ulter. riferim.; più in generale, per una critica al ricorso eccessi-

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Sempre più numerose sono le epifanie normative dell’equità nell’ambitodelle leggi speciali, anche fuori dal campo contrattuale. Per limitarsi ai prov-vedimenti più recenti — e a tacere delle disposizioni di carattere più marcata-mente pubblicistico, fra cui quelle in tema di equità dei conti pubblici (113) onell’accesso all’assistenza sanitaria (114), nonché di quelle (più prossime alterreno privatistico) informate al principio di equità retributiva (115) —, la fi-gura in esame è evocata dall’art. 2, comma 1o, lett. p, l. 180/2011 nell’ambitodell’elencazione dei « principi generali [...] che concorrono a definire lo statu-to delle imprese e dell’imprenditore ».

In particolare, quest’ultima disposizione sancisce « il riconoscimento e lavalorizzazione degli statuti delle imprese ispirati a principi di equità, solidarie-tà e socialità », anche al fine di « garantire alle imprese condizioni di equitàfunzionale operando interventi di tipo perequativo per le aree territoriali sot-toutilizzate » (art. 2, comma 1o) (116). E l’equità, sub specie di « equità socia-le », viene evocata in materia imprenditoriale anche dalla norma istitutiva delFondo per la crescita sostenibile, di cui all’art. 23 d.l. 83/2006 (117), volto a« favorire la crescita sostenibile e la creazione di nuova occupazione nel rispet-to delle contestuali esigenze di rigore nella finanza pubblica e di equità sociale,in un quadro di sviluppo di nuova imprenditorialità, con particolare riguardoal sostegno alla piccola e media impresa e di progressivo riequilibrio socio-eco-nomico, di genere e fra le diverse aree territoriali del Paese » (comma 1o).

In ciò può forse ritrovarsi un’ulteriore conferma della vocazione « mer-catista » dell’equità come strumento nelle mani del legislatore. Ma se ancheoggi — specialmente con riferimento a disposizioni come quella del già evo-cato art. 7 d. legisl. 231/2002 — si possono replicare le parole di chi, oltre

vamente « disinvolto » alla nullità da parte del legislatore, v. E. Lucchini Guastalla, Nulli-tà della compravendita immobiliare per contrarietà a norma regionale: il caso della certifi-cazione energetica, in Studi Lipari, I, Milano 2008, p. 1451 ss., nonché — da ultimo — Id.,Il contratto, cit., p. 325.

(113) Si veda, da ultimo, il d.l. 201/2011 (conv. con l. 214/2011) recante « Disposizioniurgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici ».

(114) Il riferimento è all’art. 5, comma 1o, d.l. 158/2012 (conv. con l. 189/2012) recan-te « Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livellodi tutela della salute ».

(115) Si veda la l. 233/2012 in tema di « Equo compenso nel settore giornalistico ».(116) Con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese situate in « aree

sottoutilizzate », l’art. 16, comma 4o, stabilisce che « lo Stato garantisce [...] l’adozione dimisure volte a garantire e rendere più effettivo il principio di equità e di libera concorrenzanel pieno rispetto della normativa dell’Unione europea ».

(117) Tale provvedimento, recante « Misure urgenti per la crescita del Paese », è statoconv. con l. 134/2012. Il Fondo da esso istituito è « destinato [...] al finanziamento di pro-grammi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitivitàdell’apparato produttivo », con riguardo — fra l’altro — alla « promozione di progetti di ri-cerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività delsistema produttivo » (comma 2o).

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trent’anni fa, rilevava come « l’idea di un’ampia ed autentica libertà del sin-golo imprenditore molto spesso sia più apparente che reale » (118), potendo ilgiudice sindacare l’equilibrio contrattuale raggiunto dagli agenti economicinell’esercizio della propria autonomia, non deve dimenticarsi che tale sinda-cato è ancora confinato entro ben precisi settori dell’ordinamento (119) e nel

(118) G. Iudica, Autonomia dell’imprenditore privato e interventi pubblici, Padova1980, p. 83.

(119) Nonmancano, peraltro, voci favorevoli a un’estensione della tutela dell’equilibrio con-trattuale a favore dei « contraenti deboli » oltre i settori specifici interessati dalla normazione inesame, per il tramite di un’interpretazione evolutiva dell’art. 1366 c.c.: così F.D. Busnelli,No-te, cit., p. 552; cfr. anche F.Criscuolo, Il giudizio dell’arbitro di equità e l’equità del contratto,nota ad Arb. Genova 31maggio 2001, in R. arbitrato, 2001, p. 762 ss. e spec. p. 768 s.

Più di recente, si è ipotizzata — peraltro con espressa riserva di ulteriore approfondi-mento — la configurabilità di « un’azione residuale, volta a punire con la nullità ogni con-tratto che palesemente non sia espressione di autonomia in senso sostanziale [...] non soloper le condizioni in cui è stato concluso, ma anche per lo squilibrio a danno della parte de-bole che esso esprime » (così A.M. Garofalo, La causa del contratto tra meritevolezza degliinteressi ed equilibrio dello scambio, in questa Rivista, 2012, II, p. 612). L’opinione si fon-da, sul piano normativo, sul combinato disposto degli artt. 1325, n. 1, e 1418, comma 2o,c.c. e, sotto il profilo teorico, su un concetto soggettivistico di accordo in base al quale « es-so dovrebbe ritenersi assente ogni qual volta uno dei paciscenti, stante la sua poca prepara-zione tecnica, non abbia realisticamente potuto formarsi un convincimento circa il regola-mento contrattuale che ha pur mostrato di approvare e che però risulta palesemente lesivo,senza che si possano applicare norme legislative volte a correggere la situazione di squili-brio creatasi » (ibid.). A tale impostazione, per quanto espressa in forma solo embrionale,sembra potersi muovere due fondamentali rilievi (e ciò a tacer d’altro, come la difficoltàd’immaginare un’azione di nullità esperibile soltanto in assenza di altri rimedî volti alla ri-mozione del vincolo, o di ricondurre lo squilibrio economico del contratto all’area dell’ac-cordo e non invece a quella della causa, come parrebbe forse più plausibile — e v. sul pun-to i già evocati contributi di U. Breccia, in Aa.Vv., Il contratto in generale, 3, cit., p. 71 ss.,ed E. Navarretta, Causa e giustizia, cit., p. 425 ss.).

In primo luogo, essa appare riportarsi — propugnando un assoluto soggettivismo nel-l’apprezzamento dell’accordo contrattuale — alla nota concezione volontaristica del nego-zio giuridico (sostenuta, nella sua accezione più « pura », da F.C. v. Savigny, Sistema deldiritto romano attuale [trad. it.], III, Torino 1900, p. 342, e da B. Windscheid, Diritto dellepandette [trad. it.], I, Torino 1930 [rist.], p. 203 s. [nel testo e in nt.]; per le origini di taleimpostazione — dall’emersione dell’elemento interiore nei documenti negoziali medievalifino alla scuola storica tedesca, passando attraverso il pensiero giusnaturalista —, v. F. Ca-lasso, Il negozio giuridico2, Milano 1959, p. 113 ss. e spec. pp. 122 ss. e 329 ss.), concezio-ne definitivamente superata dall’elaborazione dottrinale di tale figura e dallo stesso dirittovigente, in favore di una di tipo obbiettivo (v., anche per riferim., R. Scognamiglio, voceNegozio giuridico. I) Profili generali, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma 1990, p. 4 s.; V.Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano 1998, p. 14 ss.; amplius,G.B. Ferri, Il negozio, cit., p. 43 ss. e p. 200 ss.). In particolare, l’impostazione dell’A. sem-bra rievocare, aderendovi, la c.d. teoria della volontà, secondo cui la fattispecie negozialedovrebbe ricostruirsi alla sola stregua della volontà del soggetto e non già con riferimentoalla sua dichiarazione, che rappresenterebbe soltanto un segno accidentalmente necessariomediante il quale la volontà stessa — « unico elemento importante ed efficace » — vieneesteriorizzata (v., per tutti, F.C. v. Savigny, Sistema, cit., p. 342, donde è tratta la citaz.preced.; amplius, B. Windscheid, Wille und Willenserklärung, in Arch. f. d. civil. Praxis,1880, p. 72 ss. [di tale studio riferisce ampiamente V. Scialoja, Volontà e dichiarazione di

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volontà, in G. it., 1880, IV, p. 36 ss.]; celebre è la critica mossa a questa impostazione daE. Betti, Teoria generale del negozio giuridico2, Torino 1952 [rist. corr.], pp. 51 ss. e 166ss.; cfr. pure, sempre in senso critico, A. Passerin d’Entreves, Il negozio giuridico, Torino1934 [rist. Torino 2006], p. 77 ss. e spec. p. 95 ss.).

Sennonché, come detto, lo stesso diritto positivo, in un’ottica di tutela dell’affidamento,mostra di fondare l’accordo (e, più in generale, la fattispecie negoziale) sulla dichiarazione divolontà, limitando a poche ipotesi tassative la rilevanza del contrasto fra tale dichiarazione el’interno volere del soggetto, o fra l’interno volere correttamente dichiarato ma viziato e quel-lo che si sarebbe formato in condizioni corrette d’informazione e ponderazione (sul punto v.ampiamente V. Pietrobon, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova1990, p. 1 ss. e spec. p. 29 ss.): di fronte a ciò, la dottrina ha da tempo dovuto « rompere unsogno che si svolge così leggiadramente sulle ali del dogma » (D. Barbero, Empirismo e dog-matica nel diritto, in Scritti Carnelutti, I, cit., p. 264), riconoscendo il tendenziale sacrificiodel principio della volontà laddove la volontà dichiarata e quella interna non coincidano —ciò che non accade, peraltro, nei casi « normali » — (v. per tutti R. Sacco[-P. Cisiano], Il fat-to, l’atto, il negozio, in Tratt. Sacco, Torino 2005, p. 356 ss. e spec. p. 365 ss., ove il rapportofra i principî della volontà e della dichiarazione è delineato in termini non già di contrapposi-zione, ma di ausiliarietà del secondo rispetto al primo, in nome della tutela dell’affidamento edel coessenziale principio di autoresponsabilità), se non addirittura costruendo l’accordo, dicui all’art. 1325, n. 1, c.c., in termini di mera conformità tra le autonome dichiarazioni diproposta e accettazione (è il caso delle c.d. teorie analitiche del contratto, su cui v. per rife-rim. F. Realmonte, in Aa.Vv., Il contratto in generale, 2, in Tratt. Bessone, XIII, Torino2000, p. 6 s.). L’opinione in esame, in definitiva, sembra svalutare eccessivamente il generaleprincipio di solidarietà, in base al quale l’ordinamento impone al dichiarante l’assunzione delrischio per l’affidamento incolpevole del destinatario della dichiarazione (v. almeno, sulpunto, F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile9, Napoli 1966, p. 145 ss. espec. p. 148, ove si precisa che — trattandosi di un « rischio non per la dichiarazione in sé,sibbene per l’affidamento, che essa sia obiettivamente idonea a determinare [...] e determiniin concreto » [ivi, p. 148] —, se tale affidamento non sorga o sorga per colpa dell’interessato,non vi è ragione di sacrificare la volontà che sta dietro la dichiarazione [ibid., testualmente];tale considerazione, tuttavia, attiene al caso in cui tra volontà e dichiarazione sussista uncontrasto, e non al caso differente — cui fa riferimento la tesi qui in esame — in cui la volon-tà sia correttamente dichiarata, ma risulti « viziata » da scarsa informazione o ponderazione,o risulti economicamente sconveniente per il contraente).

In secondo luogo, l’opinione in esame finisce con l’attrarre nell’area della nullità anchefattispecie che, invece, appaiono sostanzialmente omogenee alla casistica normativa in temadi vizî del volere (in particolare, errore e dolo) e che, ove considerate a quest’ultima stregua,potrebbero non presentare nemmeno i requisiti necessarî a determinare l’annullabilità delcontratto (è il caso dei c.d. vizî incompleti, su cui cfr. M. Mantovani, « Vizi incompleti » delcontratto e rimedio risarcitorio, Torino 1995, p. 187 ss.), cosicché la tutela del contraente« svantaggiato » potrebbe risiedere soltanto nella responsabilità precontrattuale della con-troparte (oggi generalmente riconosciuta anche nel caso in cui le parti siano pervenute allaconclusione di un valido contratto: v. almeno, sul punto, G. Patti, in G. Patti-S. Patti, Re-sponsabilità precontrattuale e contratti standard [artt. 1337-1342], in Comm. Schlesinger,Milano 1993, p. 95 ss.; M. Mantovani, « Vizi incompleti », cit., p. 135 ss.; L. Rovelli, inAa.Vv., Il contratto in generale, 2, cit., p. 301 ss.; R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il con-tratto, cit., II, p. 248 s.; in senso critico, G. D’Amico, La responsabilità precontrattuale, inTratt. Roppo, V, Milano 2006, p. 1007 ss.), la quale abbia silenziosamente approfittato della« poca preparazione tecnica » della controparte (per usare le parole di A.M. Garofalo, Lacausa, cit., p. 612) violando il dovere d’informazione discendente dall’art. 1337 c.c. (su cuicfr. M. Mantovani, « Vizi incompleti », cit., p. 227 ss., ove ulter. riferim.; R. Sacco, in R. Sac-

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ristretto ambito dei puntuali richiami di legge all’equità giudiziale (120).Né appare opportuno, di fronte al dubbio nascente dall’interrogativo cir-

ca quale equità sia idonea a soddisfare la relativa domanda nell’attuale mo-mento storico (121), muovere verso un concetto di equità diverso da quello co-dicistico. Il modello economico liberista-concorrenziale, cui sono sostanzial-mente ispirati i numerosi rinvii normativi all’equità, non sembra infatti versa-re in una crisi di legittimazione tale da richiedere un radicale ripensamentodella portata sostanziale di essi: a prescindere dalle suggestioni della crona-ca (122), la dottrina economica non sembra giustificare, infatti, sguardi ecces-sivamente allarmati nei confronti del modello del libero mercato (123).

Pare quindi improbabile che la deflagrazione, vaticinata da chi aveva lettonei « sussurri e fremiti » dottrinali in tema di equità il « presagio di un’esplo-

co-G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 257 ss., secondo cui « la buona fede impone di illumi-nare la controparte » [ivi, p. 258]; contra G. D’Amico, La responsabilità, cit., p. 1025 ss.).Del resto, l’antica opinione che vedeva nelle regole di risarcimento un eccezionale correttivoalle regole di validità è oggi generalmente rifiutata, riconoscendosi anzi alle prime una porta-ta generale e alle seconde il ruolo di « limitazioni alla regola generale di correttezza, introdot-te per garantire la certezza sull’esistenza dei fatti giuridici » (così V. Pietrobon, Errore, cit.,p. 117 ss., donde è tratta anche la citaz. preced. [ivi, p. 118]; cfr. inoltre R. Sacco[-P. Cisia-no], Il fatto, cit., p. 369, ove nella regola di cui all’art. 1337 c.c. viene ritrovato il limite gene-rale alla possibilità d’invocare il principio dell’affidamento).

(120) In tal senso, da ultimo, cfr. M. Franzoni, Buona fede, cit., p. 89 (« l’equità si ponecome criterio residuale di integrazione del contratto solo quando il legislatore abbia espres-samente fatto ad essa riferimento »); conf. V. Varano, Equità, cit., p. 7. Non sembra potersiprendere troppo sul serio, quindi, la provocazione di G. Amadio, Nullità, cit., p. 253 s., ilquale ha paventato che il passo sia breve dal giudizio di iniquità avente ad oggetto una pat-tuizione riproduttiva della disciplina legale al diretto sindacato giudiziale dell’equità diquest’ultima — con sua conseguente disapplicazione — anche in difetto di una sua traspo-sizione pattizia: in contrario, infatti, è agevole osservare che la legge séguita a consentire ta-le sindacato con esclusivo riferimento ai prodotti dell’autonomia contrattuale.

(121) Il riferimento è, naturalmente, a S. Rodotà, Quale equità?, cit.(122) Sulla percezione psicologica della recente crisi finanziaria da parte dei cittadini

statunitensi, v. A.S. Deaton, The financial crisis and the well-being of Americans, in Natio-nal Bureau of Economic Research Working Paper Series, consultabile alla pagina internethttp://www.nber.org/papers/w17128; v. inoltre, sulla polarizzazione ideologica della popo-lazione come conseguenza della crisi, A. Mian-A. Sufi-F. Trebbi, Resolving Debt Overhang:Political Constraints in the Aftermath of Financial Crises, consultabile all’indirizzo http://faculty.arts.ubc.ca/ftrebbi/research/mst4.pdf.

(123) Anche di recente non si è mancato di rilevare, da un lato, gli influssi negativi sullacrescita economica dell’intervento pubblico in economia (sugli effetti nefasti della difesa deic.d. campioni nazionali, cfr. K. Fogel-R. Morck-B. Yeung, Big business stability and eco-nomic growth: Is what’s good for General Motors good for America?, in Journ. of FinancialEcon., 2008, p. 83 ss.) e, dall’altro lato, gli effetti benèfici sulla stessa crescita della libera-lizzazione dei mercati finanziarî e della loro concorrenzialità (R. Levine, International Fi-nancial Liberalization and Economic Growth, in Rev. of Intern. Econ., 2001, p. 688 ss.;R.M. Stulz, The Limits of Financial Globalization, in Journ. of Finance, 2005, p. 1595 ss.).In generale, circa l’incidenza delle istituzioni economiche sulla crescita, v. D. Acemoglu-S.Johnson-J.A. Robinson, Institutions as a Fundamental Cause of Long-Run Growth, inAa.Vv., Handbook of Economic Growth, 1A, Amsterdam, 2005, p. 385 ss.

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sione che, prima o poi, dovrà verificarsi » (124), avvenga in breve tempo. E,d’altra parte, l’equità giudiziale del nostro tempo non deve far temere pericolo-se « individualizzazioni giudiziarie » del diritto privato (125) — una deriva pa-ventata già dall’autore del celebre aforisma « optima est lex, quae minimumrelinquit arbitrio iudicis » (126). È ormai trascorso più di un secolo da che si èaffermato che « l’equità non è e non può essere un fatto puramente arbitrario,quantunque in casi singoli possa condurre ad arbitrî ed a confusioni » (127), etale osservazione vale oggi, a fortiori, per l’equità evocata dal nostro diritto po-sitivo, la quale si risolve nel rinvio alle regole del mercato (128). Se essa seguite-rà a costituire — come fu detto, non senza un tratto di affettuosa simpatia —« una specie di piccolo scandalo agli occhi del puro giurista » (129), ciò non po-trà dipendere che da un più o meno grave difetto d’inquadramento.

(124) S. Rodotà, Quale equità?, cit., p. 47.(125) L’espressione è di F. Geny, Méthode, cit., I, p. 213. Questo timore è stato espresso

da P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in G. it., 1999, c. 231, il quale ha evo-cato « lo spettro dell’introduzione nel nostro sistema di una figura generale di “contratto aprestazioni squilibrate”, con il rischio che i giudici si sentano legittimati a sindacare in viapregiudiziale la “equità” di qualsiasi pattuizione, per verificare se le prestazioni a carico delleparti possano o meno giudicarsi “proporzionate”, mettendo a confronto i sacrifici sostenuti opromessi da ciascuna di esse », ed ha auspicato una rapida e rigida tipizzazione del concettodi squilibrio, alla quale dovranno provvedere dottrina e giurisprudenza, « rifiutandosi co-munque di concedere rilievo a qualsiasi ipotesi di asserita mancanza di equivalenza economi-ca delle prestazioni sinallagmatiche, ove il supposto divario non raggiunga confini di partico-lare rilievo » (ibid.). Di diverso avviso appare N. Lipari, Per una revisione, cit., p. 736, secon-do il quale, « in un momento in cui il contratto tende sempre più a diventare modello di go-verno della società, [...] il diritto non può [...] limitarsi, negando se stesso, a ratificare i rap-porti di forza consumati nel mercato e deve farsi carico di una gerarchia di valori intorno aiquali ruota l’equilibrio stesso della convivenza civile » (cors. agg.); analogam. C.M. Bianca,Diritto civile. 3, cit., p. 494. Cfr. sul punto anche R. Sacco, L’abuso, cit., p. 232 s.

(126) F. Bacon, De dignitate et argumentis scientiarum, VIII, in The works of FrancisBacon, III, Boston s.a., p. 151. Il motto (collocato nella sez. De Curiis Praetoriis et Censo-riis dell’Exemplum Tractatus de Justitia Universali, sive de Fontibus Juris, in uno titulo, perAphorismos [aforisma XLVI]) prosegue con le parole « optimum judex, qui minimum si-bi ». Del resto, che l’equità sia « una specie di un genere più ampio che è il potere discrezio-nale » è stato affermato anche in tempi più recenti da C. Goretti, Il valore delle massime diequità, in Scritti Carnelutti, I, cit., p. 310.

(127) V. Miceli, Sul principio, cit., p. 87.(128) Anziché di « tecnica sanzionatoria individualizzante » (F. Gazzoni, Manuale, cit.,

p. 799) parrebbe quindi più corretto parlare di rinvio, ai fini della determinazione della re-gola di validità degli accordi, a criterî desumibili dalla prassi del mercato.

(129) V. Miceli, Sul principio, cit., p. 86, laddove per « puro giurista » ben potrebbe in-tendersi il giudice tratteggiato da H.U. Kantorowicz, La lotta per la scienza del diritto (trad.it.), Milano-Palermo-Napoli 1908, p. 57 (« un alto funzionario governativo, materiato di col-tura accademica, chiuso nella sua cella ed armato soltanto d’una finissima macchina pensan-te. Unico mobile, uno scrittoio sul quale gli sta davanti il Codice statale della legge. Càpita uncaso qualunque, autentico o soltanto immaginato; ed eccolo, in adempimento al dover suo,risolverlo mercé operazioni schiettamente logiche e d’una tecnica riposta, da lui solo intelligi-bile, conforme le decisioni del Codice stesso, predeterminate dal legislatore »).

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Oriana ClariziaRicercatore nell’Università « Federico II » di Napoli

INNOVAZIONI E PROBLEMI APERTI ALL’INDOMANIDEL DECRETO LEGISLATIVO ATTUATIVO

DELLA RIFORMA DELLA FILIAZIONE

Sommario: 1. L’unicità dello stato di figlio quale principio ispiratore della riforma. — 2. Se-gue: dall’esercizio della potestà alla nozione, più ampia ed unitaria, di responsabilità ge-nitoriale. Il novellato art. 317 bis c.c.: non più norma sull’esercizio della potestà neiconfronti dei figli naturali bensì precetto a tutela del diritto degli ascendenti di mante-nere rapporti significativi con i nipoti minorenni. — 3. Rimodulazione della disciplinadell’azione di disconoscimento della paternità e dei termini di decadenza per il suo eser-cizio nel segno di un progressivo ampliamento delle occasioni di accertamento della ve-rità biologica. Imprescrittibilità dell’azione in ipotesi di proposizione da parte del figlioe superamento del limite temporale di esercizio. — 4. La disciplina del riconoscimentodei figli nati fuori dal matrimonio (art. 250 c.c.): il procedimento di riconoscimento inipotesi di opposizione del genitore che abbia effettuato il riconoscimento. — 5. L’auto-rizzazione del giudice al riconoscimento della filiazione c.d. incestuosa e coordinamentocon la tutela dettata, in sede successoria, dagli artt. 580 c.c. e 594 c.c.: residua applica-zione ai figli riconoscibili ma non riconosciuti. — 6. Impugnazione del riconoscimentoper difetto di veridicità da parte dell’autore consapevole della sua falsità (art. 263 c.c.).Mancata scelta legislativa e soluzione in favore di un contemperamento tra esigenze dicertezza dello status filiationis e diritto del minore alla conoscenza della propria identitàbiologica. — 7. Accertamento della maternità e diritto all’anonimato materno ex art.30, comma 1o, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396. Pronuncia della Corte europea dei dirit-ti dell’uomo, 25 settembre 2012 (Godelli c. Italia): contrasto tra la normativa italiana inmateria di accesso dell’adottato alle informazioni relative alla propria madre e l’art. 8Cedu. Sentenza della Corte costituzionale, 22 novembre 2013, n. 278: diniego dell’ac-cesso alle informazioni sulle proprie origini e incostituzionalità del mancato accerta-mento concernente la persistenza della volontà materna di non essere nominata. Oppor-tunità di una riforma legislativa in grado di contemperare il diritto all’anonimato dellamadre biologica con la tutela dei diritti inviolabili del figlio.

1. — La recente riforma legislativa (l. delega 10 dicembre 2012, n. 219,« Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali » e d.lg. 28 di-cembre 2013, n. 154 — in vigore dal 7 febbraio 2014 — « Revisione delle di-sposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della l. 10dicembre 2012, n. 219 ») (1) segna il raggiungimento di importanti traguardi

(1) In aggiunta alla bibliografia citata nelle note successive, cfr. M. Bianca (a cura di),Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano 2014; R. Pane (a cura di), Nuove fron-tiere della famiglia. La riforma della filiazione, Napoli 2014; Aa.Vv., Modifiche al codicecivile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli 2014; Aa.Vv., La riforma del dirit-to della filiazione (l. n. 219/12), in Nuove l. civ. comm., 2013; T. Auletta, Diritto di fami-glia. Appendice di aggiornamento alla legge 10 dicembre 2012, n. 219, Torino 2013; P.

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nel percorso verso l’affermazione di una disciplina della filiazione attenta al-l’evoluzione sociale e non condizionata dalle modalità istitutive del vincolo fa-miliare (2). Fedele al perseguimento dell’obiettivo della piena attuazione delprincipio di eguaglianza, la novella sancisce, quale principio ispiratore del-l’intera riforma, l’unicità dello status di figlio (art. 315 c.c.) (3), a prescinderese il fondamento della filiazione consista nel matrimonio, in convivenze su diesso non basate (4) ovvero, ancóra, in vincoli affettivi conseguenti al ricorsoalla procedura della procreazione medicalmente assistita (5). Eloquenti, al ri-

Corder, Note in tema di procedimenti di famiglia e minorili alla luce dell’entrata in vigoredella legge n. 219/2012, in Rass. d. civ., 2014, p. 126 ss.; M. Dossetti, Finalità, struttura econtenuto della l. 10 dicembre 2012, n. 219, nonché Ead., Termini, strumenti, princìpi del-la delega, in Ead., M. Moretti e C. Moretti, La riforma della filiazione. Aspetti personali,successori e processuali, Bologna 2013, rispettivamente pp. 11 ss. e 74 ss. e G. Paesano,Brevi riflessioni a margine della legge n. 219 del 10 dicembre 2012, in Corti salernitane,2013, p. 51 ss.

(2) Per uno studio attento, critico e problematico dell’incidenza della giurisprudenzacostituzionale sulla disciplina delle azioni di stato e sul cammino verso la parità tra la filia-zione naturale e quella fuori dal matrimonio cfr., ampiamente, S. Pagliantini, Princìpi co-stituzionali e sistema della filiazione, in M. Sesta e V. Cuffaro (a cura di), Persona, fami-glia e successioni nella giurisprudenza costituzionale, Napoli 2006, p. 507 ss. Sulla pari di-gnità dei modelli familiari diffusi in Europa, con particolare attenzione alla giurisprudenzadelle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo, V. Scalisi, « Famiglia » e « famiglie » in Euro-pa, in questa Rivista, 2013, p. 7 ss., nonché Id., Le stagioni della famiglia nel diritto dal-l’unità d’Italia a oggi. Parte prima: dalla « famiglia-istituzione » alla « famiglia-comuni-tà »: centralità del « rapporto » e primato della « persona », ivi, p. 1043 ss. Sul tema, in ge-nerale, F. Prosperi, La famiglia nell’ordinamento giuridico, in D. fam., 2008, p. 790 ss.; G.Stanzione, Rapporti di filiazione e terzo genitore: le esperienze francese e italiana, in Fam.e d., 2012, p. 201 e A. D’Angelo, La famiglia nel XXI secolo: il fenomeno delle famiglie ri-composte, in D. Amram e A. D’Angelo (a cura di), La famiglia e il diritto fra diversità na-zionali e iniziative dell’Unione Europea, in I quaderni della Rivista di diritto civile, 2011, p.91 ss.

(3) Sul tema M. Mantovani, Questioni in tema di accertamento della maternità e siste-ma dello stato civile, in Nuova g. civ. comm., 2013, p. 323 e M. Bianca, La riforma della fi-liazione (l. 10 dicembre 2012, n. 219). Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, inAa.Vv., Riforma del diritto della filiazione, in Nuove l. civ. comm., cit., p. 507 ss. Sullaprioritaria esigenza, perseguita dalla riforma, di garantire la superiorità dell’interesse delminore ad un sano ed armonico sviluppo psico-fisico, G. Ballarani e P. Sirena, Il diritto deifigli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superioreinteresse del minore, ivi, p. 534 ss.

(4) Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, in F. it., 2013, I, c. 1193 ss., con nota di richiamidi G. Casaburi, esclude la preconcetta ammissione di pregiudizi per il minore che, in séguitoall’affidamento ad uno soltanto dei genitori, viva in una famiglia incentrata su un’unioneomosessuale, precisando che « alla base della doglianza del ricorrente non sono poste cer-tezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equili-brato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omo-sessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità diquel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello hapreteso fosse specificamente argomentata ».

(5) Con sentenza del 9 aprile 2014 (ad oggi in attesa di pubblicazione in Gazzetta Uffi-

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guardo: la novella dell’art. 315 c.c., rubricato « Stato giuridico della filiazio-ne » (6), che esplicita il principio secondo il quale « tutti i figli hanno lo stessostato giuridico » (7) e la disciplina dettata dal comma 11o dell’art. 1 della leg-ge delega, la quale elimina residue discriminazioni terminologiche precisandoche, nel codice civile, i sintagmi « figli legittimi » e « figli naturali », ovunquericorrono, sono sostituiti dall’espressione « figli ». A ciò si aggiunge la delega(ex art. 2, comma 1o, lett. a) conferita al Governo al fine di procedere allapredetta sostituzione in tutta la legislazione vigente (« salvo l’utilizzo delle de-nominazioni di “figli nati nel matrimonio” o di “figli nati fuori del matrimo-nio” quando si tratta di disposizioni ad essi specificamente relative »); delegaattuata da molteplici articoli del decreto legislativo che modificano le normedel codice civile (8) e di leggi speciali (9) sopprimendo, accanto alle parole

ciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecon-dazione eterologa (art. 4, comma 3o, l. 19 febbraio 2004, n. 40) e della sanzione ammini-strativa pecuniaria prevista da tale legge in ipotesi di utilizzo, a fini procreativi, di gametidi soggetti estranei alla coppia richiedente (art. 12, comma 1o, l. n. 40/2004). Osserva M.Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012. TheEquality of the Legal Status of Children under the Recent Law No. 219 of 2012, in Giust.civ., 2013, p. 207, che « l’uguaglianza dei figli proclamata nel 2012 appare definitivamentesganciata dallo status dei genitori o della famiglia, e proprio per queste ragioni si tratta diun’uguaglianza che riguarda esclusivamente lo status filiationis, quale status della personaumana, la cui situazione di parità non risulta più condizionata dall’appartenenza a questa oa quella comunità familiare, o a comportamenti che riguardano o hanno riguardato i geni-tori ».

(6) La precedente formulazione di tale articolo (rubricato « Doveri del figlio verso i ge-nitori ») così disponeva: « Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazionealle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convivecon essa ».

(7) Tale norma rappresenta « una svolta epocale nel diritto della filiazione », in quanto« realizza quella separazione tra filiazione e matrimonio in forza della quale la condizionegiuridica del figlio è tutelata in ogni ordine di rapporti come valore autonomo e indipen-dente dal vincolo eventualmente esistente tra i genitori » (così G. Ferrando, La nuova leggesulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, p. 527). È pur vero però — comeprecisato da L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova g. civ. comm., 2013,p. 207 — che, specie con riferimento alle diverse norme in materia di azioni di stato, la dif-ferenza tra filiazione legittima e naturale permane, pur nascosta da etichette nuove, sì che« l’unicità della categoria di “figlio” non è effettiva » (corsivo originale). In favore di unapiena equiparazione tra figli, F. Prosperi, sub art. 250 c.c., in Codice civile annotato con ladottrina e la giurisprudenza, a cura di G. Perlingieri, Napoli, I, 2010, p. 924; G. Morani,L’inadeguata tutela della prole nata fuori dal matrimonio nel nostro ordinamento, in D.fam., 2012, p. 478 ss. e C.M. Bianca, Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia,2012, p. 237 ss., nonché Id., La riforma della filiazione: alcune note di lume, in Giust. civ.,2013, p. 439 ss. Pone l’accento sullo status personae, piuttosto che sullo status familiae, G.Biscontini, La filiazione legittima, in Il diritto di famiglia, III, Famiglia e adozione, inTratt. Bonilini-Cattaneo, 2a ed., Torino 2007, p. 14 ss.

(8) Cfr. gli artt. del decreto legislativo numeri: 1, 7, 11, 23, 24, 25, 26, 27, 30, 31, 32,33, 34, 36, 37, 65, 67, 68, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 85, 87, 89.

(9) In tale direzione v., del recente decreto legislativo, gli artt.: 93 (« Modifiche al codi-

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« figlio o figli », le qualificazioni « legittimo-legittimi », « naturale-naturali »,prevedendo altresì, ove necessario, la sostituzione di tali espressioni con leformule « nato fuori del matrimonio » e « nato nel matrimonio ».

Affermata la piena eguaglianza, l’abrogazione sia dell’istituto della legit-timazione — per effetto dell’art. 1, comma 10o, l. n. 219 del 2012 (10) — sia,successivamente, dell’art. 261 c.c. (11) (per opera dell’art. 106, d.lg. 28 di-cembre 2013, n. 154) rappresenta una scelta coerente e condivisibile, stantel’esigenza di evitare, in ragione dell’affermazione dell’unificazione dello statodi figlio, la sussistenza di norme riferibili unicamente al legame tra genitori efigli nati al di fuori del matrimonio.

Conforme alla ratio sottesa all’intervento riformatore e alle finalità di pa-rità di trattamento si rivela il novellato art. 74 c.c. (12), il quale — di là dalleproblematiche legate al divieto del vincolo di parentela naturale in ipotesi diadozioni di persone maggiori d’età (13) — introduce la configurabilità di rap-

ce penale in materia di filiazione »); 96 (« Modifiche al regio decreto 30 marzo 1942, n.318 », recante Disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie),comma 1o, lettere e, f, g, h; 98 (« Modifiche alla legge 1o dicembre 1970, n. 898 », in mate-ria di Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), comma 1o, lettera c; 100 (« Mo-difiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 », concernente il Diritto del minore ad una fami-glia), comma 1o, lettere i, n, o, q, r, s, t, dd; 101 (« Modifiche alla legge 31 maggio 1995, n.218 », in tema di Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), comma 1o,lettere b ed e; 102 (« Modifiche alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 », recante Norme in ma-teria di procreazione medicalmente assistita); 103 (« Modifiche al decreto legislativo 3 feb-braio 2011, n. 71 », concernente l’Ordinamento e funzioni degli uffici consolari), comma1o, lettere a e b.

(10) In particolare: l’art. 1, comma 10o, l. n. 219 del 2012, abroga la sezione II del capoII del titolo VII del libro I del codice civile; l’art. 2, comma 1o, lett. b, sancisce, tra i princìpie i criteri direttivi concernenti la modifica del titolo VII, l’abrogazione delle disposizioni cherinviano all’istituto della legittimazione; l’art. 105, comma 4o, d.lg. 28 dicembre 2013, n.154, prevede che « le parole “figli legittimati”, “figlio legittimato”, “legittimato”, “legitti-mati” ovunque presenti in tutta la legislazione vigente, sono soppresse ». Dubbi sulla com-patibilità dell’istituto della legittimazione con l’assetto costituzionale, prima della riforma,in A. Ciatti, in Id. (a cura di), Famiglia e minori, Torino 2010, p. 273 s.

(11) Tale articolo (rubricato « Diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimen-to ») prevedeva che « il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tuttii doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi ».

(12) Secondo il quale « la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da unostesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nelcaso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo diparentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 eseguenti ». Sulle interpretazioni concernenti la precedente formulazione, M. Sesta, I disegnidi legge in materia di filiazione: dalla diseguaglianza all’unicità dello status, in Fam. e d.,2012, p. 962 ss. Sulle novità della riforma, A. Cagnazzo, Come cambia la parentela, inAa.Vv., Modifiche al codice civile e alle leggi speciali, cit., p. 63 ss.

(13) Sul punto A. Palazzo, La riforma dello status di filiazione, in questa Rivista, 2013,p. 258, nonché L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, cit., p. 203, il quale rilevache « la disparità di trattamento è in linea di principio ingiustificabile » soprattutto quandol’adozione avviene subito dopo il compimento del diciottesimo anno di età a conclusione di

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porti di parentela tra il figlio naturale e la famiglia del genitore, collegando laparentela al fatto procreativo e non già al matrimonio (14) e consentendo l’in-staurazione di vincoli giuridici per le persone discendenti da un medesimo sti-pite senza che il carattere legittimo oppure naturale della filiazione rilevi.

Risultati di tenore analogo si raggiungono in materia di estensione deglieffetti del riconoscimento ai parenti del genitore naturale che lo ha effettuato(art. 258 c.c.): l’art. 1 della legge delega, nel sostituire il primo comma del-l’art. 258 c.c., determina la costituzione di rapporti di parentela tra il figlionaturale e la famiglia del genitore che lo ha riconosciuto. Così facendo, la ri-forma esplicita i contenuti che autorevole dottrina, al fine di evitare una « let-tura “distorta” », desumeva implicitamente dalla previgente disciplina, rile-vando che « la definizione codicistica di “parentela”, anche prima della leggedel 2012, implicitamente ammetteva che anche i figli naturali avessero deiparenti » (15).

Quanto detto dimostra che l’introduzione del principio dell’unicità dellostato di figlio, se da un lato consente il superamento di arbitrarie discrimina-zioni tra figli legittimi e figli naturali, fondate su un preconcetto rilievo sol-tanto dei primi, dall’altro conferma l’esistenza, nel nostro ordinamento, di

una lunga vicenda di affidamento, risolta in adozione per i motivi più vari. La diversità ditrattamento appare invece giustificabile all’a. quando l’adottato svolge un’attività di aiutodell’adottante: « in questi casi si dovrebbe piuttosto riflettere, più in generale, sull’opportu-nità stessa di impiegare un istituto come l’adozione, ove il soggetto istituzionalmente ogget-to di protezione è l’adottato ».

(14) Sul tema, cfr. l’analisi di G. Frezza, Gli effetti del riconoscimento (art. 258 c.c., co-me modificato dall’art. 1, comma 4o, l. n. 219/12), in Aa.Vv., Riforma del diritto della filia-zione, cit., p. 493 ss. Esclude che il concetto di parentela si sovrapponga a quello di fami-glia legittima F. Prosperi, Àmbito di rilevanza della parentela naturale e successione trafratelli naturali, in Rass. d. civ., 1980, p. 1146 ss., nonché in P. Perlingieri, Rapporti per-sonali nella famiglia, Napoli 1982, p. 184. In favore della rilevanza giuridica della parente-la naturale, Id., La famiglia « non fondata sul matrimonio », Napoli 1980, pp. 115 ss. e 117s.; U. Majello, Filiazione naturale e comunità familiare, in D. e giur., 1983, p. 12, ove siprecisa che « il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. consente di garantire ai pa-renti naturali la stessa rilevanza giuridica della parentela fondata sul matrimonio. D’altraparte la parentela è un connotato sociale della persona, che unisce socialmente l’individuo atutte le persone che discendono da uno stesso stipite. Pertanto l’esclusione del connotato so-cio-giuridico della parentela costituirebbe una menomazione della personalità dell’indivi-duo, sempre che tale esclusione non sia giustificata dall’esigenza di tutela di interessi preva-lenti ». In analoga prospettiva G. Ferrando, Convivere senza matrimonio: rapporti persona-li e patrimoniali nella famiglia di fatto, in Fam. e d., 1998, p. 183 ss. e Ead., Il rapporto difiliazione naturale, in Il diritto di famiglia, III, Famiglia e adozione, in Tratt. Bonilini-Cat-taneo, cit., p. 128 ss.; F. Lazzarelli, Successione legittima e parentela naturale, in Rass. d.civ., 2001, p. 821 ss.; M.L. Chiarella, La parentela naturale: dal crinale sociale alla (ir)ri-levanza costituzionale, in M. Sesta e V. Cuffaro (a cura di), Persona, famiglia e successioninella giurisprudenza costituzionale, cit., spec. p. 928 ss.

(15) M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219del 2012, cit., p. 215. Nella medesima direzione, F. Prosperi, sub art. 258 c.c., in Codi-ce civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, I, cit., p. 956 s. (ivi ulteriore dot-trina citata).

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una pluralità di modelli familiari, non più identificabili unicamente nelloschema della famiglia legittima (16).

2. — L’abrogazione delle qualificazioni « figli legittimi » e « figli natura-li » rende palese che l’obbligo dei genitori di mantenere, istruire ed educareassume identico contenuto, indipendentemente dal fondamento della filiazio-ne (17). Avvalorano tale prospettiva le modifiche (18) alla rubrica del titolo IXdel libro I del codice civile, che muta la precedente formulazione — « Dellapotestà dei genitori » — nel più significativo e articolato sintagma « Della re-sponsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio » (19). Nella medesima

(16) Già P. Perlingieri, Sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, in Id., Rapportipersonali nella famiglia, cit., p. 15, avvertiva che « non esiste un concetto unitario di fami-glia. È quindi assurdo che si stabiliscano regole rigide e precise per la famiglia astrattamen-te considerata quando nella realtà esistono famiglie completamente diverse ed estremamen-te differenziate. E allora un discorso in tema di riforma del diritto di famiglia che non ten-da in primo luogo ad attuare un’omogeneizzazione della famiglia, eliminando le differen-ziazione che l’art. 3 prevede come ostacoli di fatto, che condizionano dall’esterno la stessafamiglia, rimarrà sterile ». Cfr., inoltre, Id., Sui rapporti personali nella famiglia, ivi, p. 20ss.; V. Scalisi, « Famiglia » e « Famiglie » in Europa, cit., p. 7 ss.; T. Auletta, La famigliarinnovata: problemi e prospettive e F. Galletta, I nuovi assetti familiari e l’interesse del mi-nore, entrambi in Scritti in onore di Cesare Massimo Bianca, II, Milano 2006, rispettiva-mente pp. 28 ss. e 261 ss. (in questo volume cfr., inoltre, F. Ruscello, Diritto alla famigliae minore senza famiglia, p. 470 ss., il quale esclude che la famiglia costituisca un valore insé, soffermandosi sull’esigenza che essa sia sempre sottoposta ad un giudizio di meritevolez-za); G. Giacobbe, Famiglia o famiglie: un problema ancora dibattuto, in D. e fam., 2009, p.305 ss.; P. Stanzione, Filiazione e « genitorialità ». Il problema del terzo genitore, Torino2010, p. 41 ss.; R. Pane, Il nuovo diritto di filiazione tra modernità e tradizione e A. Di Fe-de, La famiglia legittima e i modelli familiari diversificati: luci ed ombre, scenari e prospet-tive, entrambi in R. Pane (a cura di), Nuove frontiere della famiglia, cit., rispettivamentepp. 9 ss. e 41 ss.

(17) Il genitore naturale convivente con il figlio è legittimato, iure proprio, a chiedere ilcontributo per il mantenimento all’altro genitore naturale e « può agire nei confronti [di que-st’ultimo] per tutto il periodo di decorrenza dalla nascita del figlio, poiché l’obbligo di esseremantenuto sorge automaticamente per il fatto della filiazione » e « ha lo stesso contenuto del-l’analogo obbligo previsto per il figlio legittimo »: Trib. Salerno, 23 gennaio 2013 e, nellastessa prospettiva, Trib. Bari, 6 febbraio 2013, entrambe consultabili sulla banca dati dejureon line. Prima ancóra, secondo Cass., 10 aprile 2012, n. 5652, in G. it., 2013, p. 45 ss., connota di G.Malavenda, Responsabilità dei genitori per violazione dell’obbligo di mantenimen-to dei figli naturali non riconosciuti, se al momento della nascita il figlio è riconosciuto sol-tanto da uno dei genitori, non viene meno l’obbligo dell’altro al mantenimento per il periodoanteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale.

(18) Prima ex art. 1, comma 6o, l. 10 dicembre 2012, n. 219 e poi anche ex art. 7, com-ma 10o, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154.

(19) I commi 11o e 12o dell’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, hanno distinto, inol-tre, il Titolo IX in due Capi: Capo I, rubricato « Dei diritti e doveri del figlio » e Capo II,rubricato « Esercizio della responsabilità genitoriale a séguito di separazione, scioglimento,cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di pro-cedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio ».

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direzione si pone l’art. 315 bis (20) (introdotto dall’art. 1, comma 8o, della l.n. 219 del 2012), il quale, nel prevedere un vero e proprio statuto dei diritti edei doveri dei figli, sancisce il diritto dei minori di mantenere rapporti signifi-cativi con i parenti e di essere ascoltati nelle questioni e nelle procedure loroconcernenti (21), esplicitando così « diritti che avevano già trovato ingresso inleggi speciali ma che ora hanno una sistemazione unitaria e una portata gene-rale » (22).

Inoltre, in attuazione della delega (23)conferita al Governo per l’« unifica-zione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei con-

(20) Secondo il disposto normativo di tale articolo « il figlio ha diritto di essere mante-nuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità,delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in fami-glia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiutogli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essereascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i ge-nitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al pro-prio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa ». Cfr. la particolareg-giata analisi di M. Costanza, I diritti dei figli: mantenimento, educazione, istruzione ed as-sistenza morale (art. 315 bis c.c., inserito dall’art. 1, comma 8o, l. n. 219/12), in Aa.Vv.,Riforma del diritto della filiazione, cit., p. 526 ss.

(21) Cfr., inoltre, l’art. 336 bis c.c. (rubricato « Ascolto del minore »), inserito dall’art.53, comma 1o, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154 e l’art. 98 del medesimo decreto, che modifi-ca l’art. 4, comma 8o, l. 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di Disciplina dei casi di scio-glimento del matrimonio. Sul diritto del minore all’ascolto, Cass., 2 agosto 2013, n. 18538,in Rep. F. it., 2013, voce Filiazione, n. 68. Per un quadro della dottrina, sia antecedenteche successiva alla riforma, E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari, Milano 2005,p. 205 ss.; O. Caleo, Il diritto di ascolto del minore nella crisi familiare, in Fam. pers. succ.,2011, p. 776 ss.; G. Campese, L’ascolto del minore nei giudizi di separazione e divorzio, trainteresse del minore e principi del giusto processo, in Fam. e d., 2011, p. 958 ss.; P. Perlin-gieri, Sull’ascolto del minore, in R. giur. Mol. Sannio, 2012, p. 125 ss.; G. Recinto, La si-tuazione italiana del diritto civile sulle persone minori di età e le indicazioni europee, in D.fam., 2012, p. 1295 ss.; F. Parente, L’ascolto del minore: i princìpi, le assiologie e le fonti,in Rass. d. civ., 2012, pp. 459 ss. e 465 ss.; P. Pazé, L’ascolto in famiglia e nelle procedure,in Aa.Vv., Modifiche al codice civile e alle leggi speciali, cit., p. 133 ss. L’interesse del mi-nore assume grande rilievo in àmbito sovranazionale: cfr., in particolare, la Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale tutela la vita privata efamiliare (art. 8) e sancisce il divieto di discriminazioni (art. 14); la Convenzione di NewYork, 20 novembre 1989, riguardante i diritti dei fanciulli (ratificata con l. 27 maggio1991, n. 176); la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: c.d. Carta di Nizza(cfr., in particolare l’art. 21, il quale vieta qualunque discriminazione basata sulla nascita);la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Euro-pa a Strasburgo il 25 gennaio 1996; le Linee guida del Comitato dei ministri del Consigliod’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei Ministri del Con-siglio d’Europa il 17 novembre 2010.

(22) C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in questa Rivista, 2013, p. 3. I di-ritti del figlio « vengono enunciati positivamente in modo esplicito, aggiungendo altresì ildiritto ad essere assistito moralmente, che attualmente non trova formale equivalenza neidoveri dei genitori (cfr. art. 30, comma 3o, cost. e art. 147 c.c.) »: così, nel commentare ildisegno di legge sulla filiazione, R. Carrano, Lo stato giuridico di figlio e il nuovo statutodei diritti e doveri, in Giust. civ., 2011, p. 187.

(23) Cfr. l’art. 2, comma 1o, lettera h, l. 10 dicembre 2012, n. 219.

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fronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio » e alfine di « delinea[re] la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto del-l’esercizio della potestà genitoriale » (24), l’art. 39 del più volte menzionatodecreto legislativo abbandona il concetto di potestà e, nel sostituire l’art. 316c.c., introduce — sebbene in assenza di una sua definizione (25) — la nozionedi responsabilità genitoriale (26), da esercitarsi, in considerazione delle capa-cità, delle inclinazioni e delle aspirazioni del figlio, da entrambi i genitori dicomune accordo oppure dall’unico genitore che ha effettuato il riconoscimen-to. Scompare l’indicazione del termine finale della responsabilità genitoriale,prima individuato, con riferimento alla potestà, nel compimento della mag-giore età o nell’emancipazione del minore (27). La scelta è particolarmente si-gnificativa, poiché rende manifesti gli ampi contenuti sottesi alla nozione di

(24) Sul tema, ampiamente, G. Recinto, Legge n. 219 del 2012: responsabilità genito-riale o astratti modelli di minori di età?, in D. fam., 2013, p. 1475 ss., il quale pone in evi-denza, incisivamente, le perplessità e i limiti derivanti dallo scopo, imposto dalla legge dele-ga, di modellare la responsabilità genitoriale « quale aspetto dell’esercizio della potestà ge-nitoriale ». Si veda, inoltre, G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 527, laquale sottolinea la necessità di coordinare la nuova disciplina con gli artt. 147 e 148 c.c.(successivamente sostituiti dagli artt. 3 e 4, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154) poiché il dove-re di mantenimento nei confronti dei figli « riguarda i genitori in quanto tali e non in quan-to coniugi » (Ead., o.c., p. 529). Discorre di « disarmonia » del sistema A. Palazzo, La ri-forma dello status di filiazione, cit., p. 261, precisando che la riforma avrebbe dovuto inci-dere, in maniera coerente, anche sugli articoli 147 c.c. (riguardante i doveri dei genitoriuniti in matrimonio nei confronti dei figli) e 261 (in materia di diritti e doveri in capo algenitore che ha effettuato il riconoscimento), non modificati dalla legge delega. Occorretuttavia precisare che tali modifiche sono intervenute, successivamente, ad opera del d.lg.28 dicembre 2013, n. 154, il quale, all’art. 106, ha abrogato l’art. 261 c.c. e, all’art. 3, hasostituito il previgente articolo 147 c.c., aggiungendo nel suo contenuto normativo sia l’ob-bligo di assistere moralmente i figli sia il richiamo all’art. 315 bis c.c., in materia di diritti edoveri di tutti i figli, a prescindere dalla loro nascita nel matrimonio ovvero al di fuori diesso. Il novellato art. 147 c.c., risultante dalle predette modifiche, così dispone: « Il matri-monio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assisteremoralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secon-do quanto previsto dall’articolo 315 bis ».

(25) La Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo esplicita la precisa scel-ta di non definire — come, del resto, già avvenuto per la nozione di potestà — il concetto diresponsabilità genitoriale, al fine di consentire un suo adeguamento all’evoluzione socio-culturale dei rapporti tra genitori e figli.

(26) Sul punto G. Sergio, Potestà versus responsabilità genitoriale. La sofferta evolu-zione della regolazione giuridica dei rapporti tra genitori e figli e F. Carimini, Il binomiopotestà-responsabilità: quale significato?, entrambi in R. Pane (a cura di), Nuove frontieredella famiglia, cit., rispettivamente pp. 81 ss. e 111 ss.; M. Velletti, Dei diritti e doveri deifigli e della responsabilità genitoriale, in Aa.Vv., Modifiche al codice civile e alle leggi spe-ciali, cit., pp. 83 ss. e 89 ss. e A. Palazzo, La Filiazione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano2013, p. 591 ss.

(27) Diversamente, per le norme che presuppongono l’incapacità di agire del minore, ildecreto legislativo (cfr. artt. 43, 44 e 48, che modificano, rispettivamente, gli art. 318, 320e 324 c.c.) individua, quale riferimento temporale per l’esercizio della responsabilità geni-toriale, la maggiore età o l’emancipazione.

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responsabilità genitoriale senza circoscrivere l’impegno dei genitori entro pre-definiti limiti temporali ma subordinandone la durata in ragione delle esigen-ze del singolo rapporto di filiazione. È tuttavia fatta salva, per ciascun genito-re, la possibilità di rivolgersi, in ipotesi di contrasto su questioni particolar-mente importanti, al giudice, il quale deciderà dopo aver ascoltato il minoredodicenne (oppure infradodicenne, se capace di discernimento). Al genitoreche non esercita la responsabilità genitoriale spetta il cómpito di vigilare sul-l’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio (testo prece-dentemente dettato dall’art. 317 bis, ult. comma, c.c. e ora confluito nel nuo-vo art. 316, comma 5o, c.c.). Analoga disciplina si rinviene nell’art. 337 qua-ter c.c. (introdotto dall’art. 55, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154 e rubricato« Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso »), ilquale, in ipotesi di affidamento ad uno soltanto dei genitori, consente a quellonon affidatario di ricorrere al giudice, se reputa siano state assunte decisionipregiudizievoli per l’interesse del figlio.

L’accoglimento della nozione di responsabilità genitoriale, in luogo del-l’ormai anacronistico concetto di potestà, sancisce in un’unica norma i conte-nuti dell’impegno dei genitori nei confronti di tutti i figli, a prescindere se na-ti nel matrimonio ovvero al di fuori di esso, e, al contempo, consente il supe-ramento delle perplessità concernenti, in séguito all’entrata in vigore dellalegge delega (n. 219/2012), la sorte dell’art. 317 bis. In attesa dell’emanazio-ne del decreto legislativo di attuazione, infatti, l’art. 317 bis, nella sua prece-dente formulazione — finalizzata ad attribuire l’esercizio della potestà sui fi-gli naturali ad entrambi i genitori conviventi oppure all’unico genitore convi-vente con il minore — assumeva un discusso significato poiché, specie in sé-guito all’esplicita affermazione dell’unicità dello stato di figlio (art. 315 c.c.),risultava alquanto contraddittorio conservare una norma dedicata precipua-mente all’esercizio della potestà sui figli naturali. Invero, già con l’affermazio-ne della bigenitorialità nell’esercizio della potestà, introdotta dalla legge sul-l’affido condiviso (l. 8 febbraio 2006, n. 54), la Cassazione (28) aveva attri-buito al principio che affida l’esercizio della potestà ad entrambi i genitori« efficacia pervasiva, e, pertanto, implicitamente abrogante di ogni contrariadisposizione di legge ». Su tali basi, l’art. 317 bis era considerato « tacita-mente abrogato », in quanto incompatibile con il principio della bigenitoriali-tà dettato dagli artt. 155 ss. c.c. e con il contenuto dell’art. 4, comma 2o, l. n.54/2006, poiché quest’ultimo, nel disporre l’applicabilità delle disposizioni intema di affidamento condiviso « anche in caso di scioglimento, di cessazionedegli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativiai figli di genitori non coniugati », sembrava perseguire lo scopo di disciplina-

(28) Pronuncia del 10 maggio 2011, n. 10265, in F. it., 2012, I, c. 822, con nota di G.De Marzo; di C. Sgobbo, L’esercizio della potestà sui figli naturali da parte dei genitori nonconviventi, in G. it., 2012, p. 790 ss., nonché di M. Sesta, L’esercizio della potestà sui figlinaturali dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?, in Nuova g. civ.comm., 2011, p. 1206 ss.

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re tutti i rapporti tra genitori e figli naturali, senza limitare la sua operativitàalle vicende caratterizzate da controversie in atto.

Tale orientamento è disatteso dalla più recente giurisprudenza di meri-to (29), favorevole all’applicazione dell’art. 317 bis ogniqualvolta non fosse incorso un procedimento giurisdizionale di regolamentazione della convivenza,sì da attribuire, anche in séguito alla l. n. 54/2006, l’esercizio della potestàsul figlio naturale ad entrambi i genitori soltanto se conviventi.

A fronte della legge delega n. 219 del 2012, che nulla ha previsto, sì dalasciare irrisolti i dubbi concernenti la tacita abrogazione dell’art. 317bis (30), il decreto legislativo ha modificato il contenuto di tale articolo: inluogo dell’esercizio della potestà sui figli naturali, la norma è ora espressa-mente dedicata alla legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto dimantenere rapporti significativi con i minori (31), sancendo la possibilità diadire l’autorità giudiziaria affinché prenda, ove tale diritto sia negato o osta-colato nel suo esercizio, i provvedimenti più opportuni nell’interesse dei mi-nori. La previgente formulazione dell’art. 317 bis, comma 2o, c.c., che attri-

(29) Trib. min. Bari, 17 novembre 2010, in Fam. dir., 2011, p. 722 ss., con commentodi I. Torre, Cessazione della convivenza nella famiglia di fatto: esercizio della potestà e af-fidamento condiviso; Trib. dei minorenni di Milano, decr. 7 febbraio 2012, in Nuova g. civ.comm., 2012, p. 736 ss., con commento adesivo di G. Mansi, L’art. 317 bis cod. civ. resta ilreferente normativo primario per l’esercizio della potestà sui figli naturali e di M. Sesta,Per l’esercizio comune della potestà dei genitori naturali occorre la convivenza, in Fam. ed., 2012, p. 609 ss. Contrari alla tacita abrogazione dell’art. 317 bis, E. La Rosa, Eserciziodella potestà, sub art. 317 bis c.c., in Comm. Gabrielli, Della famiglia, artt. 177-342 ter, acura di Balestra, II, Torino 2010, p. 874 ss.; M. Sesta, L’esercizio della potestà sui figli na-turali dopo la l. n.54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?, cit., p. 1206 ss.; Id. eM. Baldini, La potestà dei genitori, in Id. e Arceri (a cura di), L’affidamento dei figli nellacrisi della famiglia, Torino 2012, p. 136; G. Ferrando, L’adozione in casi particolari:orientamenti innovativi, problemi, prospettive, in Nuova g. civ. comm., 2012, p. 690, laquale, con riferimento all’esercizio della potestà sui figli naturali di genitori che non hannomai convissuto, nega che l’applicazione della regola della bigenitorialità possa costituire ilrisultato di una scelta del legislatore, essendo necessaria una valutazione caso per caso, ri-spettosa delle differenze tra le fattispecie nelle quali il bambino convive, sin dalla nascita,con entrambi i genitori (senza che rilevi se siano sposati) da quelle nelle quali il minore vivesoltanto con un genitore. « In questi ultimi casi l’affidamento condiviso non può costituirela “prima scelta”. Il genitore dovrà, per così dire, entrare in punta di piedi nella vita del fi-glio, sperando di essere accettato. Né potrà vantare un pari potere decisionale in forza deldiritto alla bigenitorialità che la legge gli riconosce. Quando manchi l’accordo tra i genitori,il giudice dovrà regolare in concreto l’esercizio della potestà tenendo conto dell’interesse diciascun bambino ».

(30) Sul tema, sia pure in diversa prospettiva, L. Lenti, La sedicente riforma della filia-zione, cit., p. 215, nonché V. D’Antonio, La potestà dei genitori ed i diritti e i doveri del fi-glio dopo l’unificazione dello status filiationis, consultabile sul sito www.comparazionedi-rittocivile.it e M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni fa-miliari, in Fam. e d., 2013, p. 238.

(31) Sulla positiva incidenza di tale rapporto sullo sviluppo della personalità del minorecfr., già prima della riforma, M. Bianca, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Studiin onore di Cesare Massimo Bianca, II, cit., p. 117 ss.

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buiva la potestà (oggi responsabilità genitoriale) ad entrambi i genitori chehanno effettuato il riconoscimento, è ora confluita nel nuovo art. 316, comma4o, c.c. Importante osservare che, diversamente rispetto al passato, non è piùprevista, ai fini dell’esercizio della responsabilità genitoriale, alcuna distinzio-ne basata sulla convivenza del genitore con il figlio riconosciuto: l’attuale art.316, comma 4o, c.c., infatti, afferma che « se il riconoscimento del figlio, natofuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità geni-toriale spetta ad entrambi » (32).

Le predette modifiche consentono di superare il ricorso a specifiche nor-mative per i figli nati fuori dal matrimonio e di riunire in un’unica norma ladisciplina della responsabilità genitoriale — a prescindere dalla convivenza edal fondamento della filiazione — confermandone il valore sistematico.

3. — In aggiunta alle innovazioni legislative sin qui analizzate — orientateall’affermazione del principio dell’unicità dello stato di figlio e alla sua influenzasull’atteggiarsi dell’impegno genitoriale nei confronti dei figli —molteplici sonole riforme, operate sia dalla legge delega sia dal decreto legislativo attuativo, cherealizzano un modello di disciplina della filiazione attuativa dei precetti del-l’eguaglianza e della dignità della persona. Tra queste, assumono particolarerilievo, al punto da meritare precise considerazioni in questa sede, le riformeche promuovono e tutelano, nel rispetto dei princìpi costituzionali, l’interessedei figli ad acquisire lo status filiationis. Il riferimento corre, in particolare,alla ridefinizione della disciplina in materia di disconoscimento della paterni-tà e dei termini per l’esercizio della relativa azione (artt. 243 bis e 244 c.c.);alle modifiche concernenti l’autorizzazione dell’infrasedicenne ad effettuare ilriconoscimento del figlio naturale (art. 250 c.c.) e alla riforma in materia diriconoscimento dei figli incestuosi (art. 251 c.c.) (33). Non mancano zone

(32) Il previgente art. 317, comma 2o, c.c., invece, così disponeva: « se il riconoscimentoè fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambiqualora siano conviventi ».

(33) Alle predette modifiche si aggiungono quelle in tema di legittimazione passiva alladichiarazione giudiziale di maternità e di paternità naturale (art. 276 c.c.). È agevole ricor-dare che l’art. 276 c.c., nella sua versione originaria, consentiva, in ipotesi di morte del ge-nitore, la proposizione della domanda giudiziale di paternità o di maternità naturale unica-mente nei confronti degli eredi del genitore. Su tali basi, la giurisprudenza (cfr. Cass., sez.un., 3 novembre 2005, n. 21287, in G. it., 2006, I, p. 54 e, nella stessa direzione, Trib. Mi-lano, 22 giugno 2009, in Fam. pers. succ., 2010, p. 108 ss., con nota di A. Buldini, La le-gittimazione passiva alla dichiarazione giudiziale di paternità dopo la morte del presuntogenitore) negava la possibilità di individuare negli eredi degli eredi i destinatari della do-manda, in aggiunta agli eredi legittimi o testamentari [sul tema, E. Carbone, sub art. 276,in L. Balestra (a cura di), Della famiglia, artt. 177-342 ter, cit., p. 620 s.]. Chiamata apronunciarsi sulla conformità dell’art. 276 c.c. agli artt. 3 e 24 cost. — nella parte ove nonprevedeva, allorquando fosse premorto sia il preteso genitore sia i suoi eredi, la possibilitàdi agire per l’accertamento della paternità o maternità naturale in contraddittorio con uncuratore speciale oppure con gli eredi dei defunti eredi diretti del preteso genitore — laConsulta (con sentenza del 29 ottobre 2009, n. 278, in G. cost., 2009, p. 3887; cfr. sul te-

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d’ombra e questioni non risolte dalla riforma: ad esse saranno dedicate piùampie riflessioni nel prosieguo del presente lavoro.

Con riferimento alla disciplina dell’azione per il disconoscimento dellapaternità, il principio di delega dettato dall’art. 2, comma 1o, lettera d), per-seguiva lo scopo di procedere alla « ridefinizione della disciplina del discono-scimento di paternità, con riferimento in particolare all’articolo 235, comma1o, numeri 1, 2 e 3, del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali ».In attuazione di tale norma, l’art. 106 del decreto legislativo ha abrogatol’art. 235 c.c. e all’art. 17 ha introdotto una nuova normativa: l’art. 243 bisdel Capo III (rubricato « Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di con-testazione e di reclamo dello stato di figlio ») del Titolo VII del Libro primodel codice civile (34). Analogamente a quanto già sancito dal precedente art.235 c.c., si nega la legittimazione attiva all’esercizio della predetta azione aiterzi estranei alla famiglia, consentendola unicamente al marito, alla madre eal figlio, aggiungendo altresì la legittimazione, nell’interesse del figlio minore,del curatore speciale nominato dal giudice (art. 244, comma 6o, c.c.). Perma-ne, in quanto non indicato tra i soggetti legittimati a proporre l’azione, l’im-possibilità per il padre naturale di agire in giudizio per far disconoscere la pa-ternità di altri (35).

Particolare rilievo assume la soppressione dell’analitica elencazione deipresupposti (mancata coabitazione, impotenza e adulterio della moglie) aiquali era subordinata l’azione di disconoscimento. Tale disciplina lascia spa-zio, nel nuovo art. 243 bis c.c., ad una normativa meno articolata, in grado disuperare le rigide condizioni prima imposte dall’art. 235 c.c., prevedendo che« chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filia-zione tra il figlio e il presunto padre » (36). L’introduzione di tale norma au-

ma, prima ancóra, Corte cost., 20 marzo 2009, n. 80, in Fam. e d., 2009, p. 545 ss. e, pre-cedentemente, Corte cost., 21 dicembre 2007, n. 450, in G. cost., 2008, p. 4879 ss.) ha di-chiarato la questione inammissibile, precisando che un’eventuale pronuncia additiva rien-trerebbe nella discrezionalità del legislatore, unicamente al quale spetterebbe « indicarequale legittimato passivo della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità o materni-tà naturale, in caso di premorienza del genitore e dei suoi eredi, un curatore speciale, ovve-ro [...] individuare i legittimati negli eredi degli eredi del preteso genitore ». Si conforma atale posizione il legislatore della riforma, il quale ha superato i limiti derivanti dal tenoreletterale del previgente articolo 276 c.c. aggiungendo nella sua novellata formulazione che,in mancanza di genitore e di eredi, l’azione può essere proposta « nei confronti di un cura-tore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso ».

(34) Tale Capo — in virtù dell’art. 7, comma 5o, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154 — sisostituisce all’originaria Sezione III del Capo I del Titolo VII del Libro I del codice civile.

(35) Secondo la giurisprudenza, l’intervento, nel processo di disconoscimento, del pre-sunto padre è inammissibile in quanto portatore di un mero interesse di fatto: cfr. Cass., 8febbraio 2012, n. 1784, in Foro it., 2012, I, c. 1033 ss., sulla quale v. A. Frassinetti, Giu-dizio di disconoscimento della paternità e difetto di legittimazione a intervenire dal pretesopadre naturale (e dei suoi eredi), in Fam. e d., 2012, p. 876 ss. e Cass., 12 marzo 2012, n.3934, in Rep. F. it., 2012, voce Filiazione, n. 47.

(36) Il terzo comma dell’articolo 243 bis, in maniera del tutto identica al precedente art.

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menta le occasioni di ricorso all’azione di disconoscimento al fine di rimuove-re lo status di figlio legittimo e di accertarne il concepimento in capo a perso-na diversa dal presunto padre (37), favorendo un ampliamento delle ipotesi diaccertamento della verità biologica nel segno di una prevalenza del favor veri-tatis sul favor legitimitatis (38).

Riguardo, invece, al connesso profilo concernente la previsione dei termi-ni di decadenza per l’esercizio dell’azione in questione, l’art. 18 del decretolegislativo sostituisce il disposto normativo del previgente art. 244 c.c. al finedi adeguarlo, sul piano tanto letterale quanto sostanziale, alle numerose pro-nunce della Corte costituzionale intervenute sul tema. In particolare, con sen-tenza del 14 maggio 1999, n. 170 (39), la Consulta aveva dichiarato l’incosti-tuzionalità dell’art. 244, comma 2o, c.c., là dove non sanciva che, nell’ipotesidi impotenza soltanto di generare (ex art. 235, comma 1o, n. 2, c.c.), il termi-ne per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità decorre-va tanto per il marito quanto per la moglie dal giorno nel quale si fosse avutaconoscenza dell’impotenza di generare. In attuazione di tale esito decisorio, ilcomma 2o del novellato art. 244 c.c. prevede che il termine di sei mesi per laproposizione dell’azione di disconoscimento decorre, per la madre, (dalla na-scita del figlio oppure) « dal giorno in cui è venuta a conoscenza dell’impo-tenza di generare del marito al tempo del concepimento ». Per il marito, inve-ce, il termine di un anno per la proposizione della domanda decorre, « se pro-va di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l’adulterio dellamoglie (40) al tempo del concepimento, dal giorno nel quale ne ha

235, comma 2o, c.c., sancisce che « la sola dichiarazione della madre non esclude la pater-nità ».

(37) In tale direzione già Corte cost., 6 luglio 2006, n. 266, in Corr. giur., 2006, p.1367 ss., con nota di V. Carbone, Basta la prova del dna e non più dell’adulterio per disco-noscere la paternità, la quale, nel disattendere l’orientamento giurisprudenziale che am-metteva l’esame ematologico e genetico, ex art. 235 comma 1o, n. 3, c.c., soltanto previa di-mostrazione dell’adulterio della moglie, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.235, comma 1o, n. 3, c.c., là dove subordinava l’esame delle prove tecniche, dalle quali ri-sultavano caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del pre-sunto padre, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.

(38) Con particolare attenzione al favor veritatis nell’esercizio dell’azione di disconosci-mento, R. Pane, « Favor veritatis » ed azione di disconoscimento di paternità, in P. Perlin-gieri, Rapporti personali nella famiglia, cit., p. 125 ss. Più in generale, sulle implicazionidel favro veritatis, F. Turlon, Nuovi scenari procreativi: rilevanza della maternità “socia-le”, interesse del minore e favor veritatis, in Nuova g. civ. comm., 2013, p. 712 ss.

(39) In Foro it., 2001, I, c. 1116 ss.(40) Con sentenza del 6 maggio 1984, n. 134, in Corr. giur., 1985, p. 783 ss., con nota

di V. Carbone, Il padre può disconoscere il figlio da quando sa che non è suo (cfr., inoltre,A. Amatucci, Disconoscimento per adulterio: effetti della sentenza additiva della Corte co-stituzionale, in F. it., 1985, I, c. 2532 ss. e A. De Cupis, Adulterio e decorrenza dell’azionedi disconoscimento della paternità, in G. it., 1985, I, p. 1153 ss.), la Corte costituzionaleha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24, comma 1o, cost., del-l’art. 244, comma 2o, c.c., nella parte ove non disponeva, per il caso previsto dal n. 3 del-

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avuto conoscenza » (41). Inoltre, diversamente rispetto alla disciplina antece-dente, ai figli è consentito conservare il proprio status là dove tanto la madrequanto il padre non abbiano promosso l’azione decorsi cinque anni dal giornodella nascita (art. 244, comma 4o, c.c.).

Significativa si rivela altresì l’introduzione dell’imprescrittibilità del-l’azione in ipotesi di proposizione da parte del figlio, là dove, prima della ri-forma, ciò era consentito « entro un anno dal compimento della maggiore etào dal momento in cui veniva successivamente a conoscenza dei fatti che ren-d[evano] ammissibile il disconoscimento ». La modifica si spiega in ragionedell’esigenza di realizzare una maggiore omogeneità con la disciplina in mate-ria di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, la quale, nelnovellato art. 263, comma 3o, c.c., conserva l’imprescrittibilità dell’azione ri-guardo al figlio (già sancita dalla precedente formulazione dell’art. 263, com-ma 3o, c.c.) ma aggiunge limiti di decadenza, prima non previsti, per gli altrilegittimati (42).

Riguardo, infine, alla promozione dell’azione da parte del curatore spe-ciale, l’ult. comma dell’art. 244 c.c. — in luogo della previsione che subordi-nava l’istanza del figlio al compimento del sedicesimo anno — sancisce l’ab-bassamento dell’età del minore al quattordicesimo anno, consentendo di pro-muovere l’istanza, in ipotesi di età inferiore, non soltanto al pubblico ministe-ro (come nella formulazione precedente) ma anche all’altro genitore.

4. — Con riferimento alla disciplina del riconoscimento di figlio naturale(art. 250 c.c.), in aggiunta alla modifica terminologica — che sostituiscel’espressione « figlio naturale » con « figlio nato fuori del matrimonio » —condivisibilmente si modifica, in ragione di un più ampio rispetto della perso-nalità e della capacità di autodeterminazione (43), l’età in presenza della qua-

l’art. 235 c.c., che il termine per proporre l’azione di disconoscimento decorresse dal giornoin cui il marito fosse venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie.

(41) Invece, come sancito anche dalla precedente formulazione dell’art. 244, comma 2o,c.c., il termine decorre « dal giorno della nascita quando [il marito] si trovava al tempo diquesta nel luogo in cui è nato il figlio ». Benché collocata in un contesto temporale antece-dente alle riforme segnate dal decreto legislativo, Cass., 30 maggio 2013, n. 13638, in Foroit., 2013, I, c. 2472 ss., ha chiarito che, in ipotesi di esercizio dell’azione di disconoscimen-to della paternità per adulterio della moglie, il termine annuale di decadenza per la propo-sizione della domanda decorre, per il marito, dalla data di acquisizione della conoscenzadell’adulterio e non già da quella nella quale si raggiunge (ad esempio in séguito ad indagi-ni ematologiche che escludono la paternità) la certezza negativa.

(42) Cfr. § 6.(43) Sul punto, V. Santarsiere, Le nuove norme sui figli nati fuori dal matrimonio. Su-

peramento di alcuni aspetti discriminatori, in G. mer., 2013, p. 522 ss.; S. Troiano, Le in-novazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio naturale (art. 250 c.c., come modifi-cato dall’art. 1, comma 2o, l. n. 219/12), in Aa.Vv., Riforma del diritto della filiazione, cit.,p. 451 ss. Sottolinea A. Palazzo, La riforma dello status di filiazione, cit., p. 262, che « sa-rebbe stato più opportuno sostituire le presunzioni basate sull’età con l’unica nozione di ca-

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le si richiede il consenso del minore, abbassandola dai sedici ai quattordicianni (44) e prevedendo, al di sotto di tale limite temporale, il consenso del ge-nitore che abbia effettuato il riconoscimento (45).

All’ult. comma permane, invece, per i genitori, il compimento dei sedicianni quale dies a quo per effettuare il riconoscimento. Tale limite « da rigidodiventa elastico » (46), consentendo al giudice di superarlo « valutate le circo-stanze e avuto riguardo all’interesse del figlio » (art. 250, comma 5o, c.c.).

Il comma 4o del medesimo articolo è interamente riscritto (47): si prevede,

pacità di discernimento — da accertare caso per caso — e rendere obbligatoria — in osse-quio alla giurisprudenza più recente della Cassazione — la motivazione del giudice in ordi-ne al mancato accoglimento della volontà espressa dal minore la quale sottolinea l’opportu-nità di presunzioni basate non sull’età ma sull’effettiva e concreta capacità di discernimen-to ».

(44) Sì che, in luogo dell’originaria previsione, dettata dall’art. 250, comma 2o, c.c. —secondo la quale « il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce ef-fetto senza il suo assenso » — il novellato comma 2o dell’art. 250 c.c. afferma che non pro-duce effetto, senza il suo assenso, il riconoscimento del figlio « che ha compiuto i quattordi-ci anni ».

(45) In particolare, secondo l’art. 250, comma 3o, c.c., « il riconoscimento del figlio chenon ha compiuto i quattordici anni » — e non già sedici, come nella precedente formulazio-ne — « non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il ri-conoscimento ». Prima della riforma, attribuisce rilievo all’interesse del minore infrasedi-cenne al riconoscimento della paternità naturale, in ipotesi di opposizione dell’altro genito-re, Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, in Giust. civ., 2008, p. 1116 ss., secondo la quale tale inte-resse « è definito dal complesso dei diritti che a lui derivano dal riconoscimento stesso, e, inparticolare, dal diritto all’identità personale nella sua precisa e integrale dimensione psico-fisica ».

(46) Così G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 530.(47) La norma è modificata dall’art. 1, comma 2o, lett. d, l. 10 dicembre 2012, n. 219.

Riguardo alla disciplina antecedente, la Corte costituzionale (con le pronunce 11 marzo2011, n. 83, in F. it., 2011, I, c. 1289 ss. e 10 novembre 2011, n. 311, in Giur. cost., 2011,p. 4215 ss.) aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.250, comma 4o, c.c. — sollevata per violazione degli artt. 2, 3, 24, 30, 31 e 111 cost. —nella parte ove non prevedeva, per il figlio che non avesse ancóra raggiunto i sedici anni dietà, « adeguate forme di “tutela” dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie diautonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti ». Laquestione è considerata non fondata dalla Consulta ben potendo il giudice a quo procederead un’interpretazione adeguatrice dell’art. 250 c.c., tale da individuare nel minore infrase-dicenne coinvolto nella vicenda sostanziale e processuale che lo riguarda « un centro auto-nomo di imputazione giuridica, essendo implicati nel procedimento suoi rilevanti diritti einteressi, in primo luogo quello all’accertamento del rapporto genitoriale con tutte le impli-cazioni connesse ». Al minore, pertanto, va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio diopposizione, ex art. 250, comma 4o, c.c. e, in ipotesi di conflitto di interessi, anche in viapotenziale, il giudice è tenuto alla nomina di un curatore speciale (Corte cost., 11 marzo2011, n. 83, cit.). Precisa che, nel giudizio di opposizione al secondo riconoscimento di fi-glio naturale (ex art. 250, comma 4o, c.c.), il minore di anni sedici deve necessariamenteessere sentito Cass., 13 aprile 2012, n. 5884, in Fam. e d., 2012, p. 653 ss., con commentodi V. Carbone, Opposizione al riconoscimento di figlio naturale: il minore infrasedicennenon solo dev’essere sentito ma è parte del processo.

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in ipotesi di consenso del genitore che abbia effettuato il riconoscimento, unmodello normativo basato sul silenzio-assenso, in virtù del quale il genitoreche voglia procedere al riconoscimento del figlio ricorre, in ipotesi di rifiutodell’altro genitore, al giudice, il quale fissa un termine per la notifica del ri-corso. Decorsi trenta giorni e in assenza di opposizione dell’altro genitore, ilgiudice emette una sentenza sostitutiva del consenso mancante. In ipotesi diopposizione, dopo aver disposto l’audizione del figlio che abbia compiuto idodici anni oppure, se capace di discernimento, di età inferiore, il giudiceemette sentenza sostitutiva del consenso mancante, indicando altresì i provve-dimenti opportuni in relazione all’affidamento, al mantenimento e al cogno-me del minore.

La novella ha il merito di superare i limiti sottesi alla precedente discipli-na e denunciati da attenta dottrina, la quale, con riferimento al compimentodei sedici anni quale presupposto indispensabile per superare (ex art. 250,ult. comma, c.c., antecedente alla riforma) la preclusione che impediva al mi-nore di effettuare il riconoscimento, opportunamente aveva posto in evidenzacome la « soluzione desta[sse] perplessità, impedendosi l’esercizio di una si-tuazione esistenziale garantita dalla Costituzione (art. 30, comma 1o) non aséguito dell’accertamento dell’inidoneità del genitore a svolgere i propri com-piti (art. 30, comma 2o, cost.), ma soltanto dell’incapacità legale a compierel’atto di riconoscimento (48) ». Il nuovo disposto normativo argina tale effettopreclusivo ammettendo la possibilità, per il genitore naturale infrasedicenne,di procedere al riconoscimento, purché sussista la previa autorizzazione delgiudice.

5. — Significative le modifiche concernenti il divieto di riconoscimentodella filiazione incestuosa (art. 251 c.c.). La riforma incide, in particolare,sulle condizioni — ignoranza da parte del genitore, al tempo del concepimen-to, del vincolo esistente oppure dichiarazione di nullità del matrimonio dalquale derivava l’affinità — in presenza delle quali la disciplina antecedenteconsentiva il riconoscimento. Il divieto — ancor più dopo l’intervento dellaCorte costituzionale (49) che, con una sentenza « connotata da una forte voca-

(48) F. Prosperi, sub art. 250 c.c., in Codice annotato con la dottrina e la giurispru-denza, I, cit., p. 926 s.

(49) Decisione del 28 novembre 2002, n. 494, in Fam. e d., 2003, p. 119 ss., con com-mento di M. Dogliotti, La Corte costituzionale interviene a metà sulla filiazione incestuosa[sul tema, v. anche C.M. Bianca, La Corte costituzionale ha rimosso il divieto di indaginisulla paternità e maternità di cui all’art. 278, comma 1, c.c. (ma i figli irriconoscibili ri-mangono), in G. cost., 2002, p. 4068 ss.; G. Di Lorenzo, La dichiarazione giudiziale di pa-ternità e maternità naturale dei figli nati da rapporto incestuoso, ivi, 2003, p. 446 ss.; G.Ferrando, La condizione dei figli incestuosi: la Corte costituzionale compie il primo passo,in Familia, 2003, p. 848 ss.; Ead., I diritti negati dei figli incestuosi, in Scritti in onore diCesare Massimo Bianca, II, cit., p. 222; R. Quadri, Filiazione naturale e diritto successorio,in M. Sesta e V. Cuffaro (a cura di), Persona, famiglia e successioni, cit., p. 886 s.] la qua-le dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 278, comma 1o, c.c., nella parte in cui

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zione sistematica » (50), ha considerato lesivo della dignità umana il tratta-mento discriminatorio riservato dal codice civile ai figli nati da genitori legatida vincoli di parentela — appariva in tutta la sua irragionevolezza (51), risul-tando « profondamente ingiusto che la condizione giuridica dei figli nati daincesto dipend[esse] da uno stato soggettivo (buona fede o mala fede) che ri-guarda i loro genitori » (52).

In séguito alla riforma, la buona fede dei genitori e la dichiarazione dinullità del matrimonio non assumono rilievo in quanto l’interesse dei figliprevale sulla ripugnanza dell’incesto. Nel rimuovere (ex art. 1, comma 3o, l.10 dicembre 2012, n. 219) « un’odiosa discriminazione che portava a discri-minare i figli solo in ragione delle colpe dei genitori » (53), la riforma muta larubrica dell’art. 251 c.c., sostituendo l’intitolazione « Riconoscimento dei figliincestuosi » con il sintagma « Autorizzazione al riconoscimento ». La predettamodifica anticipa, con eloquenza, il contenuto normativo del novellato artico-lo, il quale segna il raggiungimento di un importante traguardo di civiltà giu-ridica poiché supera il divieto previgente e ammette la riconoscibilità del fi-glio incestuoso previa autorizzazione del giudice (54), avuto riguardo all’inte-

escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relativeindagini, nei casi ove, a norma dell’art. 251, comma 1o, del codice civile, il riconoscimentodei figli incestuosi è vietato. Benché chiamata a pronunciarsi sia sull’art. 251 c.c. sia sul-l’art. 278 c.c., la Consulta circoscrive la sentenza di incostituzionalità all’art. 278 c.c., pre-cisando che tale accoglimento « non coinvolge il parallelo divieto di riconoscimento nellemedesime ipotesi ».

(50) E « che fa giustizia di alcune (preconcette) interpretazioni del passato e, nel con-tempo, si fa carico di leggere, in modo più confacente a Costituzione, il rapporto tra fami-glia (intesa come istituzione) ed i singoli membri che la compongono »: ampie riflessioni ri-guardo alla pronuncia n. 494/2002 della Corte costituzionale in S. Pagliantini, Princìpi co-stituzionali e sistema della filiazione, cit., p. 570.

(51) Perplessità nei confronti della scelta del legislatore del 1942, che riconduceva leipotesi dei figli incestuosi alla categoria dei figli irriconoscibili, sono manifestate da A.C. Je-molo, I figli incestuosi, in questa Rivista, 1976, II, p. 564 (nella sua celebre rubrica « Gliocchiali del giurista »). Prima ancóra, la filiazione incestuosa dovrebbe essere riconosciutaper F. Santoro Passarelli, La filiazione nel progetto di codice civile, in Saggi di diritto civi-le, I, Napoli, 1961, p. 463.

(52) F. Prosperi, sub art. 250 c.c., in Codice annotato con la dottrina e la giurispru-denza, I, cit., p. 937. Favorevole al riconoscimento, per il figlio naturale, del « diritto allapropria identità biologica e personale, anche se frutto di una relazione deprecabile tra i ge-nitori », V. Carbone, È costituzionalmente legittimo il divieto di riconoscere il figlio ince-stuoso?, in Fam. e d., 2002, pp. 474 ss. e spec. 479.

(53) M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del2012, cit., p. 220.

(54) L’articolo, già modificato dalla legge delega, è ulteriormente novellato dall’art. 22,d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, il quale ha sostituito al sintagma « tribunale per i minoren-ni » l’espressione più generica di « giudice », al fine di riservare alle disposizioni di attuazio-ne l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente. Riguardo all’età — se soltanto inipotesi di minore ovvero anche per il maggiorenne — in presenza della quale l’autorizzazionedel giudice si rivela necessaria, cfr. L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, cit., p. 206.

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resse del figlio e alla necessità di evitare pregiudizi (55). Nel rimuovere l’asso-luto divieto al riconoscimento e nel rimettere la decisione all’apprezzamentodel giudice, secondo il concreto interesse del figlio, la nuova disciplina distin-gue tra figli incestuosi il riconoscimento dei quali non sia stato chiesto o auto-rizzato e figli riconosciuti a séguito di autorizzazione giudiziale, ex art. 251c.c.

La riforma, sia nella legge delega sia nel decreto legislativo di attuazione,tace sull’incidenza del venir meno dell’assoluta preclusione al riconoscimentodei figli incestuosi sulla disciplina, dettata dagli artt. 580 e 594 c.c. e rimastaimmutata, che pone in una posizione di disfavore, in sede successoria, i figli(prima della riforma) non riconoscibili, i quali sono esclusi dalla successionea titolo universale ab intestato, avendo diritto unicamente ad un assegno vi-talizio commisurato alla rendita della quota di eredità spettante se la filiazio-ne fosse stata dichiarata o riconosciuta (56). Sorge spontaneo l’interrogativosu come coordinare la nuova disciplina dettata dal novellato art. 251 c.c. conil permanere della normativa successoria dei figli incestuosi.

A fronte del silenzio del legislatore, sembrerebbe, prima facie, che la vi-genza della normativa successoria che riserva ai figli non riconoscibili unica-mente l’assegno vitalizio determini una palese incongruenza nella disciplinadella filiazione, risultando — in virtù dell’affermazione del principio di unici-tà dello stato di figlio, affermato dal novellato art. 315 c.c. — priva dell’origi-naria ragione giustificatrice, stante l’eliminazione della categoria dei figli pri-ma reputati sempre irriconoscibili e la parificazione, anche sul piano succes-

(55) Cfr. G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizza-zione del giudice, in R. Pane (a cura di), Nuove frontiere della famiglia, cit., p. 57 ss.; T.Auletta, Riconoscimento dei figli incestuosi (art. 251 c.c., come modificato dall’art. 1, com-ma 3o, l. n. 219/12), in Aa.Vv., Riforma del diritto della filiazione, cit., p. 475 ss.; G. Palaz-zolo, Riconoscimento dell’incesto e induzione al reato nel nuovo art. 251 c.c.: sulla perdu-rante importanza dell’azione di mantenimento ex art. 279 c.c. e dei diritti alimentari e suc-cessori dei figli incestuosi, in Corti salernitane, 2013, p. 62 ss., nonché Id., Riconoscimentodell’incesto e induzione al reato, in R. Cippitani e S. Stefanelli (a cura di), La parificazio-ne degli status di filiazione, Atti del Convegno di Assisi 24-25 maggio 2013, Perugia-Ro-ma-México 2013, p. 219 ss.

(56) In luogo dell’assegno, il figlio ha diritto alla capitalizzazione in denaro ovvero, ascelta degli eredi legittimi, in beni ereditari (art. 580 c.c.). Dubbi sulla conformità a Costi-tuzione di tale disciplina in U. Majello, Intervento, in La riforma del diritto di famiglia, At-ti del I Convegno di Venezia del 30 aprile-1o maggio 1967, Padova 1967, p. 188; D. DeRobertis Scapinelli, La giurisprudenza costituzionale in tema di filiazione naturale: linea-menti e spunti critici, in R. trim., 1976, p. 344; C. Miraglia, Riconoscibilità dei figli ince-stuosi e tutela della personalità umana, in P. Perlingieri, Rapporti personali nella fami-glia, cit., p. 206 e A. Ambanelli, La filiazione non riconoscibile, in Il diritto di famiglia, III,Famiglia e adozione, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, 2a ed., cit., p. 236. In opposta direzione,esclude l’incostituzionalità della norma, rinvenendo nella peculiare condizione dei figli in-cestuosi la ragione del diverso trattamento, R. Scognamiglio, sub art. 580 c.c., in Comm.alla riforma del diritto di famiglia Carraro-Oppo-Trabucchi, t. 1, II, Padova 1977, p. 859s.

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sorio, tra figli nati nel matrimonio e figli nati al di fuori di esso (57). Ne conse-gue che, se si intendesse l’àmbito di applicazione degli artt. 580 e 594 c.c. li-mitato ai soli figli che — secondo la previgente disciplina — non potevanoproporre l’azione di stato in quanto incestuosi (58), l’abrogazione tacita dellanormativa concernente il loro trattamento successorio costituirebbe una sceltaobbligata.

Una diversa soluzione può essere argomentata riferendo l’applicazionedegli artt. 580 e 594 c.c. sia ai figli incestuosi tout court (ossia a quelli per iquali l’autorizzazione è negata) sia a quelli riconoscibili (in astratto) ma nonriconosciuti in concreto (59) o perché, in ipotesi di figlio incestuoso, sia statanegata l’autorizzazione del giudice ovvero per effetto dei limiti generali al ri-conoscimento del figlio naturale derivanti dall’art. 250 c.c.

In tali fattispecie, ancorché marginali, la soluzione dell’abrogazione taci-ta degli artt. 580 e 595 c.c. appare incongrua poiché permane l’esigenza di ri-correre alla tutela specifica dettata dalle norme in questione (60): si pensi alleipotesi di figlio ultraquattordicenne non riconoscibile stante l’assenza del pro-

(57) L’art. 71, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha abrogato la norma (art. 537, comma3o, c.c.) che consentiva ai figli legittimi il diritto di commutazione. Per un’analisi dei profilisuccessori, M. Paradiso, Status di filiazione e diritti successori nella riforma e R.D. Coglian-dro, Diritti successori e commutazione, entrambi in R. Cippitani e S. Stefanelli (a cura di),La parificazione degli status di filiazione, cit., rispettivamente pp. 239 ss. e 261 ss., nonchéA.P. Di Flumeri, Nuovi scenari e prospettive del diritto successorio alla luce della riformadella filiazione, in R. Pane, Nuove frontiere della filiazione, cit., p. 159 ss. e F. Delfini, Ri-forma della filiazione e diritto successorio, in Corr. giur., 2013, p. 545 ss.

(58) In tale direzione, L. Carraro, sub art. 594, in Comm. alla riforma del diritto di fa-miglia, cit., p. 871 s.

(59) In passato, per un’applicazione non limitata soltanto ai figli che non possono pro-porre l’azione di stato, G. Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, inTratt. Rescigno, 5, t. 1, 2a ed., Torino 1997, p. 480. Secondo L. Mengoni, Delle successionilegittime, sub artt. 565-586, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1985, p. 75, il ri-ferimento dell’art. 580 c.c. ai figli non riconoscibili « non ha un valore privativo nei con-fronti dei figli riconoscibili, ma soltanto un valore incrementativo: significa, cioè, che questifigli (non riconosciuti) non sono più, in nessun caso, ridotti al semplice assegno vitalizio,essendo loro consentito, senza più alcun limite, di provare la filiazione anche con una do-manda di accertamento di stato ». In favore dell’estensione della normativa dettata dagliartt. 279, 580 e 594 ai figli riconoscibili e dichiarabili, ma privi di stato, G. Marinaro, I di-ritti dei figli privi di stato, Napoli 1991, pp. 14 ss., 50 ss. e 58 ss. (sul quale v. G. Lisella,« I diritti dei figli privi di stato »: a proposito di un recente contributo, in Rass. d. civ.,1993, p. 356 ss.). Sul tema cfr., inoltre, G. Marinaro, Àmbito di operatività della normati-va di cui agli articoli 580 e 594 c.c., in tema di assegno successorio, in Rass. d. civ., 1981,p. 428 ss. La categoria dei figli naturali non riconoscibili aventi diritto all’assegno successo-rio non coincide con quella dei figli incestuosi per G.W. Romagno, La successione dei figliprivi di stato alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale, in questa Rivista,2003, II, p. 575 ss.

(60) Il tema è discusso da M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assettidelle relazioni familiari, cit., p. 238 s., secondo il quale gli articoli 580 c.c. e 594 c.c. con-servano piena validità, risultando applicabili a talune fattispecie di figli non riconoscibiliancora rientranti nell’àmbito di applicazione dell’art. 279 c.c.

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prio consenso (novellato art. 250, comma 2o, c.c.) ovvero al figlio inferiore dianni quattordici non riconoscibile per mancanza sia del consenso del genitoreche abbia già effettuato il riconoscimento (art. 250, comma 3o, c.c.) sia del-l’autorizzazione del giudice (art. 250, comma 4o, c.c.), nonché alla vicendadel figlio non riconoscibile in quanto nato da genitori che non abbiano com-piuto il sedicesimo anno di età e che, valutate le circostanze e avuto riguardoal loro interesse, non siano stati autorizzati dal giudice (art. 250, comma 5o,c.c.) (61). Del pari, in ipotesi di figlio riconoscibile, ma non riconosciuto, ilquale, piuttosto che agire per far accertare il proprio stato di figlio naturale,preferisca conseguire i soli diritti successori previsti dagli articoli 580 e 594c.c., appare irragionevole negare a priori la scelta tra accedere alla predettatutela ovvero agire per ottenere una dichiarazione giudiziale di paternità o dimaternità naturale (62).

6. — Il quadro normativo sin qui tracciato rende evidente che i contenutiinnovativi della riforma, « al di là dell’importanza tecnica, assum[ono] un va-lore culturale e simbolico di inestimabile portata » (63).

(61) In tale direzione V. Barba, Le successioni mortis causa dei figli naturali dal 1942 aldisegno di legge recante « Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali », inFam. pers. succ., 2012, p. 665 s., secondo il quale le ipotesi nelle quali l’autorizzazione al ri-conoscimento è negata dal giudice legittima la vigenza nel nostro ordinamento di uno « sta-tuto successorio dei figli non riconoscibili ». Pertanto, in tali fattispecie, le norme dettate da-gli artt. 580 e 594 c.c. « non po[ssono] essere toccate e il disegno di legge in parola, pur com-primendo, nei fatti, ancóra assai significativamente, l’area della loro applicazione, non puòdirsi che ne tolga il diritto a rimanere in vigore. Non vacilla, dunque, l’orizzonte di domande eproblemi sollevati dalle predette regole, pur nella consapevolezza della residualità del caso ».

(62) Così anche V. Barba, o.c., p. 666. Del pari, reputa inaccettabile la posizione di chipreclude il ricorso all’assegno vitalizio al figlio che volontariamente non abbia agito per ladichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, A. Ciatti, in Id. (a cura di),Fam. e min., cit., p. 272 s. Ulteriori approfondimenti in M. Dossetti, in V. Cuffaro e F.Delfini, Delle successioni. Artt. 565-712, 2, in Comm. Gabrielli, Torino, 2010, p. 70 ss.

(63) M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del2012, cit., p. 206. In favore della piena eguaglianza tra figli cfr., prima della riforma (e conesplicito riferimento a Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Nuova g. civ. comm., 1998,I, p. 678 ss., con nota di G. Ferrando, Crisi della famiglia di fatto, tutela dei figli naturali,assegnazione della casa familiare), Corte cost., 21 ottobre 2005, n. 394 — in Notariato,2006, p. 11 ss.; in Corr. giur., 2005, p. 1675 ss., con nota di V. Carbone, Anche il genitoreaffidatario di figli naturali può trascrivere il titolo di assegnazione della casa familiare —secondo la quale « la condizione dei figli deve essere considerata come unica, a prescinderedalla qualificazione del loro status, e non può incontrare differenziazioni legate alle circo-stanze della nascita: ciò perché il “principio di responsabilità genitoriale” di cui all’art. 30della Costituzione rappresenta il fondamento di “quell’insieme di regole, che costituisconol’essenza del rapporto di filiazione e si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istru-zione e di educazione della prole” [...], regole che debbono trovare uniforme applicazioneindipendentemente dalla natura, giuridica o di fatto, del vincolo che lega i genitori. Conse-guentemente, “il matrimonio non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti fra ge-nitori e figli — legittimi e naturali riconosciuti — identico essendo il contenuto dei doveri,oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri” ».

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Non mancano, tuttavia, perplessità tali da alimentare il sospetto di undeliberato silenzio del legislatore riguardo a talune ulteriori questioni non ri-solte dalla riforma.

Testimonianza eloquente di tale disagio si rintraccia nella perdurante in-certezza caratterizzante la controversa problematica concernente la possibilitàdi riconoscere il diritto, ex art. 263 c.c., di impugnare il riconoscimento delfiglio naturale al genitore che lo abbia effettuato nella consapevolezza dellasua falsità (64). La giurisprudenza, in passato (65), reputava ammissibile taleimpugnazione indipendentemente dalla situazione soggettiva dell’autore delriconoscimento, in quanto la corrispondenza tra gli stati familiari e la situa-zione reale era considerata rispondente ad un’esigenza pubblicistica superio-re, in grado di giustificare l’impugnazione di chiunque ne avesse interesse,compreso l’autore in mala fede della falsa dichiarazione di riconoscimento. Afronte della consapevolezza secondo la quale, così facendo, si consentirebbe achiunque di precedere ad un riconoscimento di figlio naturale non veridico,attribuendo perfino all’autore in mala fede la legittimazione ad impugnarlo inqualsiasi momento, si osservava — in aggiunta a quanto precisato in una del-le pronunce più risalenti, secondo la quale l’impugnazione del riconoscimentonon comporterebbe una deroga alla sua irrevocabilità (66) — che « solo un in-tervento correttivo dell’odierno legislatore potrebbe ovviare al grave inconve-niente di cui or ora si è detto » (67); ciò in ragione del principio di ordine su-periore di tutela della verità (68).

(64) L’art. 263 c.c. è sostituito dall’art. 28 del decreto legislativo n. 154 del 2013. Lariforma (sulla quale v. R. Rosetti, Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridici-tà, in Aa.Vv., Modifiche al codice civile e alle leggi speciali, cit., p. 46 ss.) non ha inciso sulproblema affrontato nel testo, essendo rimasto immutato il comma 1o, secondo il quale « ilriconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimen-to, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse ». Tra le innovazioniapportate dalla novella alla norma in questione si registrano: l’eliminazione della disposi-zione che consentiva il riconoscimento anche dopo la legittimazione; la precisazione secon-do la quale l’imprescrittibilità dell’azione opera esclusivamente riguardo al figlio; la possi-bilità per i soggetti legittimati (diversi dall’autore) di impugnare il riconoscimento entro iltermine di cinque anni dall’annotazione sull’atto di nascita; la previsione del termine, a de-correre dalla medesima circostanza, di un anno quale lasso temporale entro il quale è con-sentito all’autore di procedere all’impugnazione del riconoscimento. Riguardo a tale ultimoprofilo, la Consulta — chiamata a pronunciarsi sulla conformità a Costituzione della pre-detta norma, nella parte ove, prima della riforma, ometteva di sottoporre ad un termine an-nuale di decadenza il diritto del genitore di esperire l’azione di impugnazione per difetto diveridicità — aveva dichiarato la questione inammissibile, affermando che è cómpito del le-gislatore procedere all’indicazione delle modalità e dei termini per sollevare l’azione previ-sta dall’art. 263 c.c.: Corte cost., 12 gennaio 2012, n. 7, in Giur. cost., 2012, p. 45 ss.

(65) Cass., 24 maggio 1991, n. 5886, in F. it., 1992, I, c. 449 ss.(66) Cass., 16 luglio 1956, n. 2721, in Rep. F. it., 1956, voce Filiazione, n. 93.(67) Cass., 24 maggio 1991, n. 5886, cit.(68) Cfr. Cass., 16 luglio 1956, n. 2721, cit., secondo la quale « la legge, per i motivi di

ordine pubblico che prevalgono nelle questioni di stato, consente che l’autore del riconosci-

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In opposta direzione, un orientamento diffuso specie nella giurisprudenzadi merito più recente (69), ha precisato che l’interpretazione dell’art. 263 c.c.conforme ai princìpi fondamentali dell’ordinamento vigente « impone di con-siderare irretrattabile il riconoscimento avvenuto nella piena consapevolezzadella sua falsità », poiché « attribuire la legittimazione ad impugnar[lo] a chilo abbia in mala fede effettuato, o concorso ad effettuare, ha sul piano logicola stessa valenza di una revoca, vietata espressamente dalla legge (art. 256c.c.) » (70). Su tali presupposti e alla luce del parallelismo con la giurispru-denza in materia di fecondazione eterologa — la quale nega la legittimazioneall’azione di disconoscimento al marito che abbia prestato il proprio consensoalla fecondazione assistita (71) — il diritto di impugnare il riconoscimento difiglio naturale è negato all’autore consapevole della sua falsità.

Divergenze di pari rilievo si registrano in dottrina (72), ove alla ricostru-zione contraria all’impugnazione del riconoscimento per l’autore consapevole

mento provi di aver mentito » nel rendere la falsa dichiarazione. Si ispira al « principio diordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere » Corte cost., 18 aprile1991, n. 158, in G. cost., 1991, p. 1373, la quale considera non fondata — in riferimentoagli artt. 2, 3, 30 e 31 cost. — la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c.,nella parte ove non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minorenne perdifetto di veridicità possa essere accolta soltanto quando sia reputata dal giudice risponden-te all’interesse del minore stesso. Significativamente la pronuncia afferma che, « mentre afondamento della legittimazione all’impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicitàdel riconosciuto o del terzo sono individuabili posizioni di interesse personale, sia moralesia patrimoniale, nella legittimazione dell’autore del mendacio può residuare soltanto l’inte-resse disinteressato alla verità, mero pentimento per la falsità dichiarata ». In analoga dire-zione, Corte cost., 22 aprile 1997, n. 112, in Foro it., 1999, I, c. 1764 ss. e Trib. Genova,26 aprile 2012, consultabile sulla banca dati Pluris online.

(69) Trib. Roma, 5 ottobre 2012, in Rass. d. civ., 2013, p. 926 ss., con commento di P.Virgadamo, Falso e consapevole « riconoscimento » del figlio naturale o vero atto (illecito)comportante l’assunzione della responsabilità genitoriale? Per un’interpretazione non for-malistica dell’atto privato; Trib. Roma, 17 ottobre 2012, in Corr. giur., 2013, p. 343 ss.,con commento di F. Festi, Riconoscimento consapevolmente non veritiero di figlio nato fuo-ri dal matrimonio e ripensamento; M.G. Stanzione, Interesse del minore e verità biologicanel riconoscimento di compiacenza, in Nuova g. civ. comm., 2013, p. 349 ss.; S. Cherti,« Io non ti conosco, io non so chi sei... »: note sull’impugnazione per difetto di veridicità, inG. it., 2013, p. 849 ss.; F. Farolfi, Riconoscimento per compiacenza e legittimità dell’im-pugnazione, in Fam. e d., 2013, p. 911 ss. e L. Attademo, Mala fede nel riconoscimento delfiglio naturale e possibilità di impugnazione ex art. 263 c.c., in Corr. merito, 2013, p. 155ss. Cfr., inoltre, Trib. Napoli, 11 aprile 2013, in F. it., 2013, c. 2040 ss. e Trib. Napoli, 28aprile 2000, in G. napoletana, 2000, p. 277 ss. Con particolare attenzione alla giurispru-denza del Tribunale e della Corte d’appello di Napoli, M.R. Scotti, Status personae e impu-gnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, in Foro nap., 2014,p. 107 ss.

(70) Trib. Roma, 17 ottobre 2012, cit.(71) Per l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa (art. 4, comma 3o, l.

19 febbraio 2004, n. 40) cfr. Corte cost., 9 aprile 2014 (ad oggi in attesa di pubblicazionein Gazzetta Ufficiale).

(72) Per un’efficace sintesi delle diverse ricostruzioni, P. Virgadamo, o.c., p. 932 ss.

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della sua falsità (73), si oppone chi considera conforme all’interesse del minorel’accertamento di filiazione non veridica (74). Parimenti, plaude a tale impo-stazione la posizione che pone l’accento sull’esigenza di superare ogni falsaapparenza dello status filiationis (75) e chi sottolinea l’opportunità « di un’in-terpretazione evolutiva » che sappia affermare tale legittimazione e, al con-tempo, ricercare adeguate soluzioni contro riconoscimenti di figli naturali ef-fettuati — diversamente da quanto previsto in materia di adozioni — controppa facilità (76).

Una simile contrapposizione di opinioni e di esiti decisori avrebbe richie-sto una maggiore attenzione da parte del legislatore della riforma, imponen-dogli di prendere posizione in modo non equivoco per l’una o l’altra posizio-ne. Invero, il problema è oggi suscettibile di una nuova valutazione in ragionedelle recenti modifiche apportate all’art. 263 c.c. dall’art. 28, d.lg. 28 dicem-bre 2013, n. 154, le quali sembrano aprire la strada ad un’interpretazionedella disciplina in favore della legittimazione all’impugnativa all’autore inmala fede del falso riconoscimento. La riforma sancita dal decreto, nel sosti-tuire la formulazione del precedente disposto normativo, ha eliminato unadelle più evidenti e discusse differenze dell’impugnazione del riconoscimentoper difetto di veridicità rispetto all’esercizio dell’azione di disconoscimento, làdove quest’ultima, in quanto conforme al favor legittimitatis a fondamentodella filiazione nel matrimonio, è basata su brevi termini di decadenza per ilsuo esercizio; la prima, invece, non prevedeva alcun termine di decadenza abase dell’azione.

La nuova disciplina introduce, nel segno di una maggiore congruenza trale due normative, termini brevi di decadenza anche per l’impugnazione del ri-conoscimento, sia per l’autore — il quale può agire entro un anno dall’anno-

(73) L’impugnativa non può essere proposta dall’autore del riconoscimento, se non pro-vando la sua buona fede, per F.D. Busnelli, La disciplina dei vizi del volere nella confessio-ne e nel riconoscimento dei figli naturali, in R. trim. d. proc. civ., 1959, p. 1263 s., secondoil quale tale ricostruzione è compatibile con il rilievo generale che assume la buona fede neldiritto di famiglia e, più in particolare, nell’art. 263 c.c., nel quale « può riscontrarsi ap-punto una delle applicazioni più significative ed appropriate di quel principio ». Replica atale ricostruzione A. D’Antonio, Filiazione naturale (1950-1969), in questa Rivista, 1961,II, p. 369 s., secondo il quale la ragione giustificatrice dell’impugnativa per difetto di veri-dicità si rinviene nella necessaria corrispondenza tra realtà giuridica e realtà di fatto, sì danon poter condizionare la preminenza di siffatto interesse allo stato soggettivo dell’autoredel riconoscimento. Inoltre, riguardo al rilievo generale della buona fede, si precisa che« questa affermazione potrebbe essere accettata solo nel caso in cui la buona fede dovesseoperare a favore del soggetto, non contro; nel senso cioè di escludere una limitazione, nond’imporla » [Id., o.c., p. 370].

(74) Esclude che, ai fini dell’impugnazione del riconoscimento, rilevino gli stati sogget-tivi dell’autore E. Carbone, sub art. 263, in L. Balestra, Della famiglia, artt. 177-342 ter,cit., p. 586 s.

(75) G. Savi, L’impugnazione dello status filiationis per difetto di veridicità da partedell’autore del riconoscimento in mala fede, in G. it., 2013, pp. 1552 e 1549 s.

(76) F. Festi, Riconoscimento consapevolmente non veritiero, cit., pp. 349 ss. e 351.

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tazione del riconoscimento sull’atto di nascita — sia per gli altri legittimati(entro cinque anni dall’annotazione). Così facendo, la prevalenza del favorveritatis, a fondamento della filiazione al di fuori del matrimonio, non assumeun rilievo assoluto ma è mitigata, nel segno di una più ampia tutela del mino-re, dalle predette limitazioni temporali, al fine di evitare il rischio di rapportidi filiazione esposti sine die ad eventuali impugnazioni. Il ragionevole con-temperamento di interessi, in tal modo raggiunto, coniuga la preminenza deldiritto alla verità biologica (77) — ossia l’esigenza di far cadere ogni falsa ap-parenza di status nella filiazione non basata sul matrimonio — con il soddi-sfacimento delle esigenze di certezza e di stabilizzazione dello status filiationis(anche se non fondato sul vincolo matrimoniale), sì da rendere auspicabile unnuovo intervento legislativo che, nel tener conto di tale soluzione desunta inmaniera sistematica, attribuisca in maniera esplicita all’autore in mala fedel’impugnativa del riconoscimento c.d. per compiacenza. Ciò in quanto la pre-visione di un ristretto termine di decadenza per l’impugnativa ha un duplicemerito: da un lato, nei limiti dell’intervallo di un anno dall’annotazione, con-sente l’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica (78) eagevola la tutela del diritto alla verità circa le proprie origini; dall’altro, di làdagli stringenti confini temporali, stabilizza e conferisce certezza allo status difiglio naturale acquisito con il riconoscimento.

Una distinta riflessione investe la problematica concernente i pregiudizisubiti dal minore a causa del riconoscimento consapevolmente non veridico.Benché la riforma, introducendo brevi termini di decadenza, abbia circoscrit-to i danni per il minore alla sua prima fase di vita, non può tacersi che ilcomportamento in mala fede dell’autore del riconoscimento integri una con-dotta penalmente rilevante (79), tale da legittimare un’azione di risarcimento

(77) Sul rilievo del diritto alla verità, a fondamento dell’art. 263 c.c., G. Bonilini, Di-sconoscimento della paternità e dies a quo della decadenza dalla relativa azione, in Fam.pers. succ., 2012, p. 410 s.

(78) « Non vi può essere conflitto tra “favor veritatis” e “favor minoris”, ove si consideriche l’autenticità del rapporto di filiazione costituisce l’essenza stessa dell’interesse del mi-nore, quale inviolabile diritto alla sua identità »: Cass., 15 aprile 2005, n. 7924, in Fam. ed., 2005, p. 436 ss.

(79) Il riconoscimento in mala fede integra — secondo U. Majello, Della filiazione na-turale e della legittimazione, sub artt. 250-290, in Comm. Scialoja-Branca, 2a ed., Bolo-gna-Roma, 1982, p. 136 s. — un delitto contro la fede pubblica, ex art. 495 c.p. (« Falsaattestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali pro-prie o di altri »). In tale direzione, Cass. pen., 28 giugno 1994, n. 8996, in R. pen., 1995, p.1195 ss., la quale, dopo aver escluso che, in ipotesi di riconoscimento di figlio naturale, ilpubblico ufficiale che riceve la dichiarazione possa rispondere del reato previsto dall’art.479 c.p., stante l’assenza della sua attestazione circa la veridicità della dichiarazione, preci-sa che « commette, invece, il reato di cui all’art. 495 c.p. colui che dichiara falsamente alpubblico ufficiale la propria qualità di padre e l’altrui qualità di figlio, in relazione al rico-noscimento di paternità compiuto ». Si discute se tale condotta integri un’ipotesi di altera-zione di stato, ex art. 567, comma 2o, c.p.: il problema è accennato da U. Majello, o.c., p.137, nota n. 10. Lo esclude Corte cost., 10 novembre 1989, n. 500, in G. cost., 1989, I, p.

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dei danni patrimoniali e non patrimoniali ex art. 2059 c.c., stante la sussi-stenza non soltanto di una fattispecie penalmente rilevante quanto, soprattut-to, della lesione dei diritti inviolabili del figlio, il quale rimane privo dello sta-tus che fino a quel momento aveva contraddistinto la sua esistenza.

7. — Problematiche di eguale rilievo si annidano intorno alle differenzetra l’accertamento della maternità di donna coniugata e quello di madre nonconiugata, nonché, correlativamente, riguardo al diritto della madre biologicaall’anonimato (80).

È noto infatti che la filiazione da donna coniugata si instaura previo ac-certamento dell’ufficiale di stato civile che riceve la dichiarazione di nascitadai soggetti legittimati, sì che lo status di figlio della madre si costituisce conla menzione di quest’ultima nell’atto di nascita, salvo che si avvalga della fa-coltà di non essere nominata (espressamente prevista dall’art. 30, comma 1o,d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396) (81). Diversamente, la filiazione fuori delmatrimonio si accerta mediante l’atto di riconoscimento di ciascun genitore(art. 252 c.c.) ovvero, in mancanza, con dichiarazione giudiziale di maternitào di paternità naturale (artt. 269 ss. c.c.).

Il diverso sistema di accertamento — per impulso dell’ufficiale di statocivile, in ipotesi di donna coniugata; in séguito ad un atto di volontà delladonna, per il riconoscimento del figlio naturale (82) — è alla base dell’eviden-

2332 ss., la quale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimitàcostituzionale dell’art. 567, comma 2o, c.p., sollevata con riferimento agli artt. 3 e 30, com-ma 2o, cost., nella parte ove non prevede che il falso riconoscimento di figlio naturale suc-cessivo alla formazione dell’atto di nascita possa essere ricompreso nell’ipotesi di alterazio-ne di stato, piuttosto che in quella stabilita dall’art. 495 c.p. per il reato di falsa dichiara-zione a pubblico ufficiale sull’identità o qualità di altri. Per una sintesi riguardo alle diversefattispecie penali configurabili, M. Di Nardo, Venire contra factum proprium: applicabilitàdel principio in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, nota aTrib. Civitavecchia, 19 dicembre 2008, in G. mer., 2010, p. 1250 ss.

(80) Il tema è affrontato, ampiamente, da A. Renda, L’accertamento della maternità.Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008, p. 3 ss. (cfr., inoltre, Id., L’accerta-mento della maternità: anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. ed., 2004, p. 510 ss.) e da M.Mantovani, Questioni in tema di accertamento della maternità esistema dello Stato civile, cit., p. 323 ss. In passato, perplessità erano manifestate già da F.Santoro Passarelli, La filiazione naturale nel progetto di codice civile, cit., p. 443 s. Più ingenerale, A. Renda, Equiparazione o unificazione degli status filiationis? Proposte per una ri-forma del sistema di accertamento della filiazione, in questa Rivista, 2008, II, p. 103 ss.; G.Bonilini, Lo status o gli status di filiazione?, in La filiazione verso un unico status, Atti delConvegno di Como 23-24 giugno 2006, 2/2006, p. 11 ss., consultabile sul sito www.aiaf.av-vocati.it. Sul punto cfr., inoltre, M. Porcelli, Spunti per una riforma del sistema di accerta-mento della filiazione, in R. g. Mol. Sannio, 2012, p. 403 ss., nonché Ead., Note preliminariallo studio sull’unificazione dello stato giuridico dei figli, in Dir. fam., 2013, p. 654 ss.

(81) Secondo tale norma, « la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da unprocuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistitoal parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata ».

(82) Sul tema A. Palazzo, Atto di nascita e riconoscimento nel sistema di accertamento

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te incongruenza che legittima la madre a rimanere nell’anonimato e a mante-nere il segreto sulla sua identità, impedendo al figlio di venire a conoscenzadella propria storia parentale. Tale « posizione di preminenza della donna inordine alla costituzione dello status di figlio » (83) fa sì che, come lucidamenteavvertito da autorevole dottrina (84), la madre possa avvalersi del diritto al-l’anonimato non soltanto se il figlio sia nato in conseguenza di una relazioneextraconiugale quanto, addirittura, se concepito con il marito (85), osteggian-do la costituzione dello status di figlio legittimo, nonostante il rischio di in-correre nelle conseguenze previste in materia di delitto di alterazione di stato(art. 567 c.p.) (86).

della filiazione, in questa Rivista, 2006, p. 152 e M. Dossetti L’accertamento della filiazio-ne legittima tra automatismo e principio volontaristico, in Scritti in memoria di GiovanniCattaneo, II, Milano 2002, p. 817 ss. « Naturalmente è assurdo pensare che questa diffe-renza » — presupponendo un accertamento « “automatico” » per la filiazione nata nell’àm-bito del matrimonio; rispondente invece al principio « “volontaristico” », per quella fuoridal matrimonio — « possa essere eliminata con riguardo all’accertamento della paternità[...]. Viceversa una unificazione dei criteri legislativi è tutt’altro che assurda con riguardoall’accertamento dell’identità della madre. Tale unificazione potrebbe attuarsi [...] conl’estensione del criterio dell’accertamento automatico anche alla madre naturale, e cioè conl’accoglimento del principio mater semper certa est »: G. Cattaneo, Della filiazione legitti-ma, sub artt. 231-249, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 10. Sull’estra-neità al quadro dei princìpi costituzionali del principio volontaristico a base dell’accerta-mento della maternità, A. Renda, L’accertamento della maternità, cit., p. 256 s. (corsivooriginale), secondo il quale « se è vero che la madre che non riconosce il figlio pone in esse-re una scelta che determina una situazione conflittuale con il principio di solidarietà socia-le, è altrettanto vero che è l’ordinamento, nel predisporre una disciplina facoltizzante nei ri-guardi della maternità, a dar luogo ad un’inadeguata realizzazione del principio costituzio-nale di responsabilità e, correlativamente, del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2cost., che meriterebbe di essere corretta attraverso l’adozione di un sistema di accertamentoidoneo a garantire l’assunzione della responsabilità materna non intermediata da un atto divolontà » (corsivo originale).

(83) M. Mantovani, o.c., p. 328.(84) M. Mantovani, o.l.u.c., nonché Ead., Il primato della maternità nell’accertamento

dello status di figlio, in Liber Amicorum per Dieter Henrich, I, Torino 2012, p. 138 ss.(85) Per una sintesi dei diversi orientamenti riguardo al controverso problema se la fa-

coltà di non essere nominata spetti anche alla madre coniugata di figlio nato fuori del ma-trimonio, cfr. A. Zaccaria, M. Faccioli, R. Omodei Salè e M. Tescaro, Commentario all’or-dinamento dello stato civile. Aggiornato alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 (in materia diriconoscimento dei figli naturali), Santarcangelo di Romagna 2013, p. 185 ss.

(86) Cfr. M. Mantovani, o.c., pp. 329 e 332. Di recente, la Corte costituzionale — consentenza del 23 febbraio 2012, n. 31, in F. it., 2012, I, c. 1992 (sulla quale v. Mar. Manto-vani, La Corte costituzionale fra soluzioni condivise e percorsi ermeneutici eterodossi: il ca-so della pronuncia sull’art. 569 c.p., in G. cost., 2012, p. 377; D. Chicco, Se proteggere unfiglio diventa una condanna: la Corte costituzionale esclude l’automatismo della perditadella potestà genitoriale, in Fam. e d., 2012, p. 544 ss.) — ha dichiarato l’incostituzionali-tà dell’art. 569 c.p., nella parte ove prevede che, in caso di condanna pronunciata contro ilgenitore per il delitto di alterazione di stato, ex art. 567, comma 2o, c.p., debba conseguireautomaticamente la perdita della potestà genitoriale, precludendo al giudice ogni possibilitàdi valutazione dell’interesse del minore.

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La disciplina in esame assume un significato ancor più preoccupante inragione dell’evoluzione che si registra in àmbito sovranazionale in materia diaccesso dell’adottato alle informazioni relative alla propria madre. La Corteeuropea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 25 settembre 2012 (87), hasancito la violazione dell’art. 8 della Convenzione di Strasburgo da parte del-la normativa italiana — in particolare, l’art. 28, comma 7o, l. 4 maggio 1983,n. 184, poi sostituito dall’art. 177, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 — che nonconsente all’adottato l’accesso alle informazioni relative alla madre che allanascita abbia dichiarato di non volere essere nominata (88), in quanto la disci-plina in questione impedisce al figlio adulto, non riconosciuto e adottato daterzi, di accedere alle informazioni identificative delle proprie origini familiarie non consente di verificare la persistenza della volontà della madre biologicadi non essere identificata.

Dal suo canto, la giurisprudenza costituzionale, conformandosi a talepronuncia, segna il raggiungimento di un importante risultato con la decisio-ne del 22 novembre 2013, n. 278 (89), la quale ha dichiarato l’incostituziona-

(87) Sentenza Godelli c. Italia, pubblicata in Nuova g. civ. comm., 2013, p. 103 ss., concommento di J. Long, La Corte europea dei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa aoltranza dell’anonimato del parto: una condanna annunciata; sul tema cfr. V. Carbone,Corte Edu: conflitto tra il diritto della madre all’anonimato e il diritto del figlio a conoscerele proprie origini, in Corr. giur., 2013, p. 940 ss.; G. Currò, Diritto della madre all’anoni-mato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contem-peramento, in Fam. e d., 2013, p. 544 ss.; P.G. Gosso, Davvero incostituzionali le normeche tutelano il segreto del parto in anonimato?, ivi, p. 822 ss. (il quale, dopo alcuni rilievicritici alla sentenza, richiama l’attenzione sull’esigenza di rispettare il diritto della madrealla tutela della propria vita privata, evitando intrusioni finalizzate ad indagare su sceltepersonali fatte in contesti affettivi e personali di particolare gravità) e, prima ancóra, Id.,L’adottato alla ricerca delle proprie origini. Spunti di riflessione, ivi, 2011, p. 204 ss.

(88) Secondo l’art. 177, comma 2o, d.lgs. 30 giugno 2003, 196, « il comma 7o dell’arti-colo 28 della l. 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:“L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiara-to alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1o, del decretodel Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396” ». Sulla complessità di tale di-sciplina e sui numerosi interessi coinvolti, R. Pane, Favor veritatis e diritto dell’adottato diconoscere le proprie origini nella recente riforma delle adozioni, in Rass. d. civ., 2003, p.240 ss.; G. Lisella, Ragioni dei genitori adottivi, esigenze di anonimato dei procreatori eaccesso alle informazioni sulle origini biologiche dell’adottato nell’esegesi del nuovo testodell’art. 28 l. 4 maggio 1983, n. 184, in Rass. d. civ., 2004, p. 413 ss.; M. Petrone, Il dirit-to dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, Milano, 2004; L. Lenti, Adozione esegreti, in Nuova g. civ. comm., 2004, p. 241 ss.; L. Balestra, Il diritto alla conoscenza del-le proprie origini fra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitoribiologici, in Familia, 2006, p. 161 ss.

(89) In Fam. e d., 2014, p. 11 ss., con commento di V. Carbone, Un passo avanti del di-ritto del figlio, abbandonato ed adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimatomaterno, il quale auspica una riforma legislativa in grado di bilanciare il diritto all’anonima-to sia con la responsabilità per il fatto della procreazione sia con i diritti del figlio. Sul tema,incisivamente, M.R.Marella, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche.Contenuti e prospettive, in G. it., 2001, p. 1768 ss. Precedentemente, la Consulta (con sen-

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lità dell’art. 28, comma 7o, l. 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore aduna famiglia), come sostituito dall’art. 177, comma 2o, del decreto legislativo30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali),« nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare la persona adottata al-l’accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato lapersistenza della volontà di non volere essere nominata da parte della madrebiologica ». Sul presupposto secondo il quale « il diritto del figlio a conoscerele proprie origini — e ad accedere alla propria storia parentale — costituisceun elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona »,si contesta l’irreversibilità della scelta per l’anonimato, precisando che una si-mile decisione, se da un lato può comportare una « rinuncia irreversibile alla“genitorialità giuridica” », dall’altro « può [...] ragionevolmente non implica-re anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale” »,poiché se così fosse « risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divietodestinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione difatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost. ».Su tali basi la pronuncia invita il legislatore ad « introdurre apposite disposi-zioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta dellamadre naturale di non voler essere nominata » e, al contempo, « a cautelarein termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentaliche circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degliuffici competenti, ai dati di tipo identificativo » (90).

I nuovi scenari, dottrinali e giurisprudenziali, impongono di porre rimedioagli inconvenienti lasciati aperti dalla riforma e procedere ad una rimeditazio-ne del problema: « non si riesce infatti a capire » — come autorevolmente rile-vato prima della riforma, benché riguardo ad un problema affine (91) — « in

tenza del 25 novembre 2005, n. 425, in Familia, 2006, p. 161 ss., con nota di L. Balestra, Ildiritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezionedel riserbo dei genitori biologici; di L. Carletti, Informazioni sulle proprie origini: legittimo ildivieto ove la madre abbia dichiarato di non voler essere nominata, in Dir. fam., 2006, p.884 ss. e di F. Eramo, Il diritto all’anonimato della madre partoriente, in Fam. e d., 2006, p.130 ss. Sul rapporto con i precedenti della giurisprudenza della Corte europea dei diritti del-l’uomo, E. Lamarque, I diritti dei figli, in M. Cartabia, I diritti in azione, Bologna 2007, p.285 s., nonché, per un’analisi del problema nel contesto europeo, E. Bolondi, Il diritto dellapartoriente all’anonimato: l’ordinamento italiano nel contesto europeo, in Nuova g. civ.comm., 2009, p. 281 ss.) ha dichiarato la questione infondata, atteso che la norma impugna-ta è considerata « espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviola-bili dei soggetti della vicenda ». Cfr., inoltre, le ordinanze di inammissibilità e di restituzionedegli atti al giudice remittente: Corte cost., 22 giugno 2004, n. 184, in G. cost., 2004, p.1868 ss. e Corte cost., 16 luglio 2002, n. 350, ivi, 2002, p. 2636 ss.

(90) Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, cit.(91) S. Pagliantini, Princìpi e sistema della filiazione, cit., p. 555, con particolare atten-

zione al divieto, ex art. 9, comma 4o, r.d.lg. 8 maggio 1927, n. 798, per gli istituti assisten-ziali, di rivelare ai minori non riconosciuti e ospitati i risultati delle indagini condotti sullamaternità e alla pronuncia (Corte cost., 15 luglio 1975, n. 207, in F. it., 1975, I, c. 2677ss.) di infondatezza della questione di legittimità costituzionale di tale norma.

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che modo il segreto sull’identità anagrafica della madre dovrebbe giovare a chichiede, del tutto legittimamente, l’accertamento giudiziale del proprio status fi-liationis ». Del pari, non è chiaro come la predetta disciplina « possa coesisterecon una disposizione — l’art. 269 nuovo testo — che ammette la ricerca, dellapaternità e dellamaternità naturale, con ogni mezzo di prova » (92).

In ragione di tali precisazioni, contro l’ampio potere della donna di deter-minare la costituzione dello status di nato avvalendosi del diritto all’anoni-mato, convince la posizione di quella parte della dottrina che pone l’accentosull’esigenza di limitare la facoltà della donna coniugata di non essere nomi-nata nell’atto di nascita a fronte del diritto del nato alla propria identità per-sonale, sì da ammettere la predetta facoltà unicamente nelle ipotesi nelle qua-li il nato sia concepito ad opera di persona diversa dal marito e « non inveceal fine di privare il nato di uno stato legittimo che gli spetta, allorché sia statoeffettivamente concepito ad opera del marito della madre » (93). Consegue cheil diritto all’anonimato della madre, se riletto in funzione applicativa dei prin-cìpi costituzionali e in considerazione della tutela del diritto del minore allostatus di figlio legittimo, giammai può comportare un arbitrio della madre nelprecludere l’accertamento della filiazione legittima (94).

Al termine dell’analisi sin qui svolta, l’approfondimento dei contenutirealmente innovativi e delle lacune non colmate dalla riforma rende evidentile difficoltà derivanti dalla tensione tra le spinte emancipatrici — inclini a su-perare le disparità di trattamento tra figli — e le ricostruzioni tese a prospet-tare soluzioni del tutto disancorate da posizioni del passato, le quali ancórariecheggiano in talune problematiche non risolte dall’intervento riformatore.Il processo di rimeditazione non può dirsi concluso: valorizzare tale prospetti-va significa proseguire nel cammino verso l’evoluzione della disciplina dellafiliazione nel segno di un rinnovato equilibrio, finalizzato alla piena attuazio-ne dell’interesse del minore, alla concreta affermazione della responsabilitàgenitoriale per il fatto della procreazione e alla preminenza del favor veritatisin ogni vincolo familiare, a prescindere dalle circostanze del concepimento.

(92) S. Pagliantini, o.l.u.c.(93) M. Mantovani, Questioni in tema di accertamento della maternità e sistema dello

Stato civile, cit., p. 331. Cfr., inoltre, G. Ferrando, La filiazione: problemi attuali e prospetti-ve di riforma, in Fam. e d., 2008, p. 643 s. (nonché Ead., Libertà, responsabilità e procrea-zione, Padova 1999, p. 153) secondo la quale, tuttavia, l’obbligo di rispettare la volontà dellamadre all’anonimato non vincolerebbe il marito, il quale potrebbe comunque denuciare il fi-glio come legittimo, consentendogli di acquisire il relativo status anche nei confronti dellamadre. Del pari, esclude l’obbligo per il marito di rispettare la volontà della moglie di non es-sere nominata M. Dossetti, L’accertamento della filiazione legittima tra automatismo e prin-cipio volontaristico, cit., p. 835 (v., inoltre, Ead., Sull’accertamento dello status del figlio na-to in costanza di matrimonio, in Fam. e d., 2007, p. 84 ss.). Rilievi critici a tale posizione so-no espressi da A. Renda, L’accertamento della maternità, cit., p.149, nota n. 78.

(94) La prospettiva sistematica ed assiologica e l’attuazione del principio di solidarietà,nell’interpretazione dell’art. 30, comma 1o, d.p.r. n. 396/2000, è valorizzata da A. Renda,op. cit., pp. 131 ss. e 139 s.

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Pietro SirenaProf. ord. dell’Università di Siena

IL PROBLEMA DELLA TRASCRIVIBILITÀDELLA DOMANDA DI RISCATTO LEGALE (*)

Sommario: 1. La tesi tradizionale secondo cui la domanda di riscatto legale e la sentenzache l’accolga sarebbero trascrivibili ai sensi dell’art. 2653, n. 1, c.c. e, rispettivamente,dell’art. 2651 c.c. — 2. La posizione di coloro che hanno avuto causa dal riscattato pri-ma che fosse scaduto il termine per l’esercizio del riscatto legale. — 3. La posizione dicoloro che hanno avuto causa dal riscattato dopo che era scaduto il medesimo termine:la critica della tesi secondo cui la domanda di riscatto legale sarebbe allora trascrivibileai sensi dell’art. 2645 c.c. — 4. Segue: la critica della tesi secondo cui la domanda di ri-scatto legale sarebbe allora trascrivibile ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c. — 5. La coe-renza della tesi tradizionale dal punto di vista del sistema della pubblicità legale: il ter-tium comparationis della trascrizione della domanda di annullamento del contratto perl’incapacità legale della parte contraente ai sensi dell’art. 2652, n. 6, c.c. — 6. Segue: iltertium comparationis della trascrizione della domanda di devoluzione del fondo enfi-teutico ai sensi dell’art. 2653, n. 2, c.c.

1. — In alcuni precedenti in materia di prelazione agraria (1), la Corte diCassazione ha affermato che la sentenza la quale accolga la domanda di riscat-to legale di un immobile è un « valido titolo per la trascrizione ai sensi dell’art.2651 c.c., consistendo in una sentenza da cui risulta acquistato il diritto diproprietà su un bene immobile »: essa, infatti, « non deve contenere la condan-na degli acquirenti a trasferire il fondo ma solo constatare il già avvenuto tra-sferimento ». Affermata tale soluzione, non sussiste alcuna ragione per esclude-re che essa valga anche per le restanti ipotesi di prelazioni legale (2), nonostan-

(*) Il saggio è destinato agli Scritti in memoria di Giovanni Gabrielli.(1) Cass. 17 agosto 1988, n. 4957, in Giur. agr. it., 1989, p. 91 ss.; Cass. 26 ottobre

1979, n. 5606, in R. not., 1980, II, p. 515 ss.(2) Ai sensi dell’art. 732, comma 1o, c.c., qualora una quota della comunione ereditaria

(o parte di essa) sia stata alienata a un estraneo senza che la relativa proposta fosse statanotificata agli altri coeredi, ciascuno di costoro, in quanto è per legge prelazionario (c.d.prelazione ereditaria), può riscattarla dall’acquirente e da ogni successivo avente causa,finché dura la comunione ereditaria (c.d. retratto successorio). Tale disposizione legislativaè poi espressamente richiamata dall’art. 230 bis, comma 5o, c.c. a proposito della divisioneereditaria ovvero del trasferimento dell’azienda mediante la quale si eserciti un’impresa fa-miliare. Qualora soddisfi i requisiti di cui all’art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590 (Dispo-sizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice), l’affittuario di un fondo rustico, a paritàdi condizioni, ha diritto di prelazione (c.d. agraria) nella sua vendita ovvero nella sua con-cessione in enfiteusi (comma 1o). Nel caso in cui il proprietario abbia alienato il medesimofondo senza notificare la proposta all’affittuario prelazionario, quest’ultimo può, entro unanno dalla trascrizione del contratto di vendita, esercitare il diritto di riscatto nei confronti

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te essere possano considerate giuridicamente eterogenee da altri punti di vista.Premesso che la trascrizione delle sentenze di cui all’art. 2651 c.c. ha

l’effetto di una mera notizia (3), si deve pertanto ritenere che il riscattanteprevalga senz’altro su coloro che abbiano avuto causa dal riscattato, perquanto essi possano aver anteriormente trascritto (o iscritto) il loro acquisto.

Analogamente deve dirsi a proposito della domanda di riscatto legale, laquale, in quanto è diretta alla rivendicazione ovvero all’accertamento dellaproprietà di un bene immobile, deve considerarsi trascrivibile ai sensi dell’art.2653, n. 1, c.c. (4). Tale pubblicità legale può infatti produrre soltanto un ef-fetto di diritto processuale, ma, come si dirà meglio nel prosieguo, non è ido-nea sul piano del diritto sostanziale a far salvo l’acquisto di coloro che abbia-no avuto causa dal convenuto (ossia, dal riscattato) in base a un atto ante-riormente trascritto (o iscritto) (5).

Il capoverso dell’art. 2653, n. 1, c.c. statuisce infatti che, trascritta la do-manda diretta a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento subeni immobili ovvero diretta al loro accertamento (6), la sentenza pronunciata

del terzo acquirente e di ogni successivo avente causa (comma 5o). L’art. 7, comma 2o, n.2), della l. 14 agosto 1971, n. 817 (Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenzeper lo sviluppo della proprietà coltivatrice) ha successivamente previsto che, nel caso in cuiil fondo rustico non sia stato concesso in affitto, un’analoga prelazione legale spetta al pro-prietario di fondi confinanti che sia un coltivatore diretto: nel caso in cui sia stato preter-messo, anche quest’ultimo potrà pertanto esercitare il diritto di riscatto legale di cui si èdetto. L’art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urba-ni) statuisce che chi ha preso in locazione un immobile a uso non abitativo ha diritto diprelazione (c.d. urbana) nel suo trasferimento a titolo oneroso; nel caso in cui sia stato pre-termesso, l’art. 39, comma 1o, della medesima legge (ancor oggi c.d. sull’equo canone) può,entro sei mesi, riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni successivo avente causa. Aisensi dell’art. 3, comma 1o, lett. g), della l. 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle loca-zioni e del rilascio degli immobili adibiti a uso abitativo), la medesima prelazione legale èstata successivamente estesa anche a favore del locatario a uso abitativo, quanto, alla primascadenza quadriennale del contratto, il locatore intenda vendere l’immobile a un terzo enon abbia la proprietà di altri immobili a uso abitativo oltre a quello eventualmente adibitoa propria abitazione. Per un’ampia analisi di tali discipline giuridiche, v. recentemente Sir-giovanni, Prelazione legale e acquisto della proprietà, Milano 2012.

(3) Per tutti, v. Gazzoni, Trattato della trascrizione, 1., La trascrizione degli atti e del-le sentenze, II, Torino 2012, p. 439 ss.; Id., Manuale di diritto privato16, Napoli 2013, p.298 s. Anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, v. inoltre Zaccaria-Troiano, Gli effettidella trascrizione2, Torino 2008, p. 145 ss.

(4) Trib. Milano 21 giugno 1982, in R. not., 1983, p. 951 ss., sul quale v. infra, n. 4.(5) Natoli, sub art. 2653, in Comm. cod. civ., Della tutela dei diritti2, Torino 1971, p.

181; G. Gabrielli, La pubblicità immobiliare, in Tratt. Sacco, Torino 2012, p. 152; Trio-la, Della tutela dei diritti. La trascrizione3, in Tratt. Bessone, IX, Torino 2012, p. 283 ss.(e ivi, alla nt. 212, esaustive indicazioni giurisprudenziali).

(6) La trascrivibilità di tali domande giudiziali non era prevista dal codice civile previ-gente. L’art. 19, lett. h), del T.U. 30 dicembre 1923, n. 3272 (Approvazione del testo dilegge sulle tasse ipotecarie), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 117 del 17 maggio 1924,la introdusse nel nostro ordinamento giuridico, imponendola anzi come obbligatoria, masoltanto a fini fiscali. Ciononostante, la giurisprudenza dell’epoca non si peritò di ricono-

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contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anchecontro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto tra-scritto dopo la trascrizione della domanda (7), ivi compresi i creditori pigno-ranti e quelli che intervengono nell’esecuzione (8). Per evitare una disparità ditrattamento che sarebbe ingiustificata ai sensi dell’art. 3, comma 1o, Cost., sideve ritenere che la medesima soluzione sia applicabile anche nei confrontidei creditori ipotecari o separatisti in base a un atto iscritto dopo la trascrizio-ne della domanda di cui si tratta (9).

L’effetto giuridico di tale pubblicità legale è costituito pertanto da una

scere alla trascrizione della domanda di rilascio di un immobile acquistato con scritturaprivata non autenticata (e pertanto non trascrivibile) l’effetto sostanziale di precludere l’ef-ficacia delle trascrizioni posteriormente eseguite a favore di altri aventi causa dallo stessoautore (in senso favorevole, v. Venzi, La domanda diretta a rivendicare la proprietà e lasua trascrizione, in Studi in onore di Mariano D’Amelio, III, Roma 1933, p. 382 ss.; in sen-so contrario, cfr. L. Coviello, La domanda di rivendica e la sua trascrizione, in G. it.,1928, I, 1, c. 1347; Gorla, Revisione critica in tema delle nuove trascrizioni, in Ann. dir.comp., IX, 1934, III, p. 443; Stolfi, Sulla trascrizione di una c.d. domanda di rivendica, inGiur. compl. Cass. civ., 1944, p. 325 ss.). È stato notato da Nicolò, La trascrizione. Latrascrizione delle domande giudiziali. Dispense dal Corso di Diritto Civile tenuto dal Prof.Rosario Nicolò, III, Anno accademico 1972-1973, a cura di D. Messinetti, Milano 1973, p.6 che tale tesi era doppiamente erronea: da un lato, perché presupponeva che la trascrivibi-lità delle domande di rivendicazione ricomprendesse anche quelle di rilascio di un immobile(c.d. rivendicazione in senso improprio), laddove le une si basano sulla titolarità della pro-prietà (o di un altro diritto reale) e le altre su quella di un’obbligazione di consegna; dal-l’altro lato, perché quell’effetto preclusivo avrebbe dovuto essere semmai ricollegato allatrascrizione delle domande dirette a far verificare giudizialmente le sottoscrizioni, per lequali la legge fiscale non aveva tuttavia previsto l’obbligo della trascrizione (per ulterioriindicazioni bibliografiche, v. L. Ferri, Rilievi in tema di trascrizione della domanda di ri-vendicazione, in R. trim. d. proc. civ., 1948, p. 276 ss.).

(7) Ai sensi dell’art. 2653, n. 1, c.c., anche il legatario deve essere considerato come unavente causa dal convenuto. Se la trascrizione della domanda di rivendicazione nei con-fronti del de cuius è posteriore al momento in cui è stato trascritto l’acquisto del legatario,nei confronti di quest’ultimo non si produrranno quindi gli effetti della sentenza che la ac-colga. Il punto è tuttavia controverso (nel senso qui sostenuto, v. Nicolò, op. cit., p. 167;nel senso opposto, cfr. L. Ferri-Zanelli, Della trascrizione immobiliare3, in Comm. Scia-loja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma 1995, p. 310 s.). La tesi che, per quantoqui rileva, esclude i legatari dagli aventi causa dal convenuto si basa sul fatto che essi nonsono stati partecipi del loro acquisto; tale argomento non è tuttavia giustificato, poiché laformula « diritti acquistati da terzi in base a un atto trascritto » è idonea a ricomprendereanche il diritto acquistato dal legatario in base a un atto (ossia, la disposizione testamenta-ria), la cui trascrizione è preveduta dall’art. 2948 c.c. in funzione della pubblicità dell’ac-quisto mortis causa a titolo particolare (Mengoni, Gli acquisti « a non domino »3, Milano1975, p. 263, nt. 19; ma cfr. Id., Note sulla trascrizione delle impugnative negoziali, in R.d. proc., 1969, p. 393).

(8) Ferri-Zanelli, op. cit., p. 313, i quali, per quanto qui rileva, equiparano alla tra-scrizione del pignoramento quella del sequestro conservativo (arg. art. 2906, comma 1o,c.c.), della cessione dei beni ai creditori (arg. art. 2649 c.c.) e della sentenza di fallimento(arg. art. 45 l.fall.)

(9) Nicolò, op. cit., p. 191.

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deroga alla regola generale la quale disciplina i limiti soggettivi di efficaciadella sentenza quando si sia verificato il trasferimento a titolo particolare deldiritto controverso.

Premesso che il processo prosegue allora tra le parti originarie (art. 111,comma 1o, c.p.c.), la regola generale statuisce che la sentenza pronunciatacontro l’alienante spiega i propri effetti anche contro il successore a titolo par-ticolare (art. 111, comma 4o, c.p.c.) (10). Si tratta dunque di una sostituzioneprocessuale (11), la quale è preveduta dall’ordinamento giuridico nonostante ildivieto generale che è posto dall’art. 81 c.p.c.

Trascritta la domanda giudiziale, la suddetta regola generale è derogatadall’art. 111, comma 4o, c.p.c., nel senso che il momento a partire dal qualeopera la sostituzione processuale di cui si è detto è determinato non già dal-l’instaurazione del processo mediante la proposizione della domanda attorea,bensì dalla trascrizione di quest’ultima.

I terzi che, per quanto abbiano avuto eventualmente causa dal convenutoprima dell’inizio del processo (12), non abbiano trascritto (o iscritto) il loroacquisto dal convenuto prima della trascrizione della suddetta domanda sonovincolati dalla sentenza che la accolga, sebbene non abbiano partecipato alprocesso (13): tale sentenza varrà pertanto come titolo esecutivo anche nei loroconfronti (14), segnatamente per quanto riguarda la condanna del convenutosoccombente al rilascio ovvero alla consegna del bene (15).

(10) La tesi secondo la quale gli effetti contro il successore a titolo particolare sarebberospiegati dalla sentenza soltanto dopo il suo passaggio in giudicato, la quale era stata soste-nuta da Maiorca, in Codice civile. Commentario, diretto da D’Amelio, Libro della Tuteladei Diritti, Firenze 1943, p. 240, non ha più alcuna giustificazione normativa, se si consi-dera che, ai sensi dell’art. 282 c.p.c. vigente, la sentenza di condanna di primo grado èprovvisoriamente esecutiva (tra le parti).

(11) Cass. 13 aprile 1999, n. 3623; Cass. 2 maggio 1996, n. 4024; Cass. 7 agosto 1990,n. 7970. In dottrina v. Proto Pisani, sub art. 111, in Comm. Allorio, I, 2, Art. 69-162, To-rino 1973, p. 1235 ss.

(12) Nicolò, op. cit., p. 189.(13) Cass. 29 gennaio 2002, n. 1155, in G. it., 2002, p. 1582 ss., con nota di Caraffa

Braga (p. 1575 ss.).(14) Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22727; Cass. 13 marzo 2008, n. 2748. Ma sul

problema v., in generale, Colesanti, Processo esecutivo e trascrizione delle domande giudi-ziali, Milano 1968; Id., Fallimento e trascrizione delle domande giudiziali, Milano 1972, egià Id., Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, II, Milano 1967, p. 227, nt. 33. Più direcente, v. soprattutto Luiso, L’esecuzione ultra partes, Milano 1984, p. 219 ss., nonchéBalestra, Le restituzioni nel fallimento, in R. trim. d. proc. civ., 2012, numero speciale, Leazioni di restituzione da contratto, p. 51 ss.

(15) Nicolò, op. cit., p. 66 s.; Luiso, Le azioni di restituzione da contratto e la succes-sione nel diritto controverso, in R. trim. d. proc. civ., 2012, numero speciale, Le azioni direstituzione da contratto, p. 147. È peraltro noto che, secondo un orientamento dottrinaleparticolarmente rigoroso (Proto Pisani, La trascrizione delle domande giudiziali. Artt. 111c.p.c. e 2652-2653 c.c., Napoli 1968, p. 90 ss.; Id., Opposizione di terzo ordinaria, Napoli1965, p. 93 ss., p. 143 ss.), l’efficacia di tale sentenza nei confronti dell’avente causa dal

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Essi non saranno assoggettati invece alle obbligazioni personali che lasentenza impone al convenuto dal quale hanno avuto causa (16). Ciò non to-glie che, quando abbiano esercitato il possesso del bene, dovranno restituire ifrutti qualora siano stati fin dall’inizio in mala fede, fermo restando il rim-borso delle spese sostenute per la loro produzione e il raccolto ai sensi dell’art.1149 c.c.; in ogni caso, avranno diritto a essere rimborsati delle spese che ab-bia sostenuto per le riparazioni, i miglioramenti e le addizioni alla cosa, se-condo quanto statuisce l’art. 1150 c.c. (17). È stato peraltro escluso dalla dot-

convenuto non si estenderebbe alla statuizione di condanna alla restituzione del bene. Fa-cendo principalmente leva sull’art. 2038 c.c., si afferma al riguardo che l’obbligazione direstituire il bene al suo proprietario (ovvero al titolare di un diritto reale su cosa altrui),trovando il proprio titolo nel pagamento dell’indebito ovvero nell’azione generale di arric-chimento senza causa, è personale del convenuto, cosicché non succede nella sua titolaritàcolui al quale il convenuto attribuisca la proprietà ovvero il diritto reale di godimento sucosa altrui che sta esercitando: non verificandosi alcuna successione a titolo particolare, al-l’obbligazione di restituire il bene al proprietario ovvero al titolare del diritto reale di godi-mento su cosa altrui esercitato dal convenuto non sarebbe applicabile l’art. 111 c.p.c., conla conseguenza che la sentenza di accoglimento della domanda attorea non avrebbe effica-cia esecutiva nei confronti dell’avente causa dal convenuto, a meno che, com’è ovvio, que-st’ultimo non sia stato chiamato in causa ovvero non sia intervenuto (Proto Pisani, La tra-scrizione delle domande giudiziali, cit., p. 108 ss.; in senso critico, cfr. Mengoni, Note sullatrascrizione delle impugnative negoziali, cit., p. 375 ss.; Id., Gli acquisti a non domino, cit.,p. 265 ss., seguito da Pacia, La pubblicità degli atti simulati nei rapporti fra simulato alie-nante e creditori o aventi causa dal titolare apparente, in questa Rivista, 2011, I, p. 821ss.). Quest’ultima soluzione, la quale non ha trovato seguito in giurisprudenza, non sembratuttavia condivisibile, in quanto, se è indubbiamente vero che si tratta di un’obbligazionerestitutoria, è altresì vero che, proponendo la domanda di rivendicazione, l’attore non haallegato a fondamento del proprio diritto l’autonomo titolo del pagamento dell’indebito ov-vero dell’azione generale di arricchimento senza causa (domanda c.d. autodeterminata),come pure avrebbe ovviamente potuto, ma ha allegato la violazione del suo diritto di pro-prietà: a seguito di tale domanda (c.d. eterodeterminata), il « diritto controverso » che co-stituisce l’oggetto del processo è pur sempre costituito dalla proprietà, cosicché sussistonosenz’altro i presupposti per l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. (per uno studio approfonditodella questione, v. Chizzini, L’intervento adesivo, II, Struttura e funzione, Padova 1992, p.733 ss.). La tesi qui criticata è poi fin dall’inizio rifiutata da coloro i quali ritengono che ildiritto controverso di cui all’art. 111 c.p.c. sia costituito (non già da una situazione giuridi-ca sostanziale, ma) da una situazione processuale costituita dal diritto al provvedimento dimerito, favorevole o sfavorevole che esso sia (per tutti, v. Picardi, La trascrizione delle do-mande giudiziali, Milano 1968, p. 315 ss., spec. p. 343 ss.; ma in senso critico, cfr. Mengo-ni, Note sulla trascrizione delle impugnative negoziali, cit., p. 395 ss.). Occorre dare attoche la giurisprudenza si è decisamente orientata in quest’ultimo senso (ad es., v. Cass. 17luglio 2012, n. 12305 e Cass. 26 maggio 2003, n. 8316, le quali hanno statuito che l’acqui-rente di un immobile deve essere considerato ai sensi dell’art. 111 c.p.c. come successoredel diritto controverso nel processo sulla validità, la risoluzione o l’esecuzione di un con-tratto preliminare avente a oggetto lo stesso bene e precedentemente stipulato dal suo dantecausa con un terzo; in senso opposto, cfr. peraltro Cass. 27 gennaio 2012, n. 1233; su talecontrasto interpretativo, v. l’ordinanza di rimessione alle sezioni unite Cass. 4 maggio2010, n. 10747).

(16) Nicolò, op. cit., p. 192.(17) Nicolò, op. cit., p. 192 s.

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trina che, anche quando siano in buona fede, essi possano avvalersi del dirittodi ritenzione che è previsto dall’art. 1152 c.c. (18).

Sono invece processualmente salvaguardati i terzi che, per quanto abbia-no avuto eventualmente causa dal convenuto dopo l’inizio del processo, han-no trascritto (o iscritto) il loro acquisto prima della trascrizione della doman-da che lo ha introdotto.

Come si è già accennato, tuttavia, ciò significa soltanto che è loro assicu-rata una posizione processuale indipendente, ma non che il loro acquisto siafatto salvo sul piano del diritto sostanziale: essi potranno infatti essere pursempre convenuti autonomamente da colui che aveva già agito nei confrontidel loro dante causa, esercitando di nuovo l’azione di rivendicazione dellostesso bene (19). Dal punto di vista processuale, fra l’altro, se la sentenza cheha accolto la domanda di rivendicazione nei confronti del loro dante causa èdivenuta definitiva, essi non la potranno contestare nel giudizio instaurato neiloro confronti, nel quale sarà pertanto definitivamente accertato che hannoacquistato da chi non era legittimato a trasferire loro la proprietà o un altrodiritto reale di godimento (20): al fine di chiedere la reiezione della domandaattorea, essi non potranno pertanto invocare che il perfezionamento di un ac-quisto a non domino, e segnatamente dell’usucapione (decennale ovvero ven-tennale, a seconda che siano o meno in buona fede rispetto al difetto di titola-rità del loro dante causa) (21).

Per altro verso, se il bene non sia ancora stato loro consegnato, al fine diconseguirne il possesso gli aventi causa dal convenuto non potranno limitarsia far valere l’inefficacia nei loro confronti della sentenza che accoglie una del-le domande di cui all’art. 2653, n. 1, c.c., ma dovranno esercitare l’azione dirivendicazione nei confronti dell’attore che l’ha ottenuta, assoggettandosi cosìal relativo onere probatorio (22).

Resta peraltro fermo che nei confronti dei terzi che abbiano avuto causadal convenuto posteriormente alla pronuncia della sentenza mediante la qualesia stata accolta la domanda attorea (post rem iudicatam) opera quella esten-sione dei limiti soggettivi del giudicato che è specificatamente disposta dal-l’art. 2909 c.c. (23). Indipendentemente dal sistema della pubblicità legale, ta-le sentenza è pertanto efficace nei confronti di tali terzi, anche per quanto ri-

(18) Nicolò, op. cit., p. 192 s.(19) Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali6, Padova

2008, p. 535 ss.; Triola, op. cit., p. 287.(20) Cass. civ. 12 novembre 1997, n. 11153.(21) A tal fine, essi potranno unire al proprio possesso quello del loro dante causa, ai

sensi dell’art. 1146 c.c. (v. Nicolò, op. cit., p. 194).(22) Nicolò, op. cit., p. 189.(23) Cass. 28 ottobre 1981, n. 5597; Cass. 8 gennaio 1964, n. 19, in F. it., 1964, I, c.

801 ss. A proposito dell’acquisto del possesso, v. Cass. 14 giugno 2001, n. 8065.

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guarda la sua esecuzione (24). Non soggiacciono inoltre al giudicato gli acqui-sti a titolo originario (25).

2. — All’applicabilità degli artt. 2653, n. 1, e 2651 c.c. alla domanda diriscatto legale e, rispettivamente, alla sentenza che l’accoglie consegue pertan-to che il riscattante prevalga senz’altro su coloro che abbiano avuto causa dalriscattato, anche nel caso in cui essi abbiano trascritto o iscritto il loro acqui-sto prima della trascrizione della medesima domanda ovvero della sentenzache l’accoglie.

Tale soluzione è stata senz’altro approvata dalla dottrina laddove il be-ne sia stato subalienato prima che fosse scaduto il termine per l’esercizio delriscatto legale, in quanto, poiché il subacquirente ben sa, o dovrebbe sapere,che è allora assoggettato all’eventuale riscatto da parte del prelazionario le-gale (26), il suo eventuale affidamento sulla definitività dell’acquisto da partedel suo dante causa (ossia, il riscattato) è evidentemente irragionevole e nonpuò essere comunque ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamentogiuridico. Ne consegue che il riscattante prevale senz’altro nei confronti dicoloro che abbiano subacquistato il bene dal riscattato in base a un titoloanteriore alla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto legale, sebbenenel frattempo essi abbiano eventualmente trascritto o iscritto il loro acqui-sto (27).

Dal punto di vista della parità di trattamento, una conferma in tal sensoè stata ravvisata nel dato normativo dell’art. 2653, n. 3, c.c., il cui capoversostatuisce che, se le domande o le dichiarazioni di riscatto sono trascritte doposessanta giorni dalla scadenza del termine per l’esercizio di tale diritto, l’ac-quisto dei terzi (aventi causa dal riscattato) che sia posteriore alla scadenzadel medesimo termine è fatto salvo, purché sia stato trascritto o iscritto ante-riormente alla trascrizione della dichiarazione di riscatto.

Tale considerazione sembra prendere le mosse dall’assunto secondo cui latrascrizione delle dichiarazioni di recesso di cui all’art. 2653, n. 3, c.c. non

(24) V. ampiamente Zucconi Galli Fonseca, Note schematiche intorno al rapporto frapubblicità ed efficacia della sentenza contro gli aventi causa post rem iudicatam, in R.trim. d. proc. civ., 1968, p. 1420 ss., nonché G. Gabrielli, Pubblicità degli atti condiziona-ti, in questa Rivista, 1991, I, p. 35.; Id., La pubblicità immobiliare, cit., p. 125 s.; Natoli,op. cit., p. 181.

(25) Cass. 2 maggio 2011, n. 9643.(26) Gazzoni, Trattato della trascrizione, I, 1, cit., p. 500 s.; G. Gabrielli, Diritti di ri-

scatto attribuiti dalla legge e pubblicità immobiliare dell’atto di esercizio, in questa Rivista,2004, I, p. 697; Carpino, voce Riscatto (diritto privato), in Enc. dir., XL, Milano 1989, p.1116.

(27) In senso contrario, cfr. Carusi, La natura del riscatto urbano ex art. 39 l. 392 del1978 e il termine per il suo esercizio, in questa Rivista, 1990, II, p. 311, il quale ritiene in-vece che, se la dichiarazione di retratto non sia stata trascritta, i successivi aventi causa dalretrattato prevalgano mediante la tempestiva trascrizione del loro acquisto (ancorché siaavvenuto anteriormente alla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto legale).

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avrebbe alcuna rilevanza (né in senso positivo, né in senso negativo) nei con-fronti dei terzi che abbiano avuto causa dal compratore prima che fosse sca-duto il termine per l’esercizio del riscatto: dall’art. 1504, comma 1o, c.c. si de-sumerebbe infatti che essi non sarebbero in alcun modo tutelati dall’ordina-mento giuridico, così come non lo sarebbero coloro che abbiano acquistato undiritto assoggettato a una condizione risolutiva che si sia poi tempestivamenteavverata (28). L’art. 2653, n. 3, c.c. servirebbe piuttosto a tutelare i terzi cheabbiano avuto causa dal compratore dopo che sia scaduto il termine per eser-citare il diritto di riscatto, trascrivendo o iscrivendo per primi il loro acquisto:nei loro confronti il venditore recedente soccomberebbe infatti laddove, puravendo effettuato la dichiarazione di riscatto tempestivamente (29), l’abbiatrascritta tardivamente, ossia dopo la scadenza del termine di sessanta giorniposto dalla medesima disposizione legislativa (30). In altri termini, l’art. 2653,n. 3, c.c. porrebbe un argine alla illimitata retroattività dell’effetto risolutivodel riscatto (31).

Laddove sia invece tempestiva non solo la dichiarazione di riscatto, maanche la sua trascrizione, in quanto quest’ultima sia stata eseguita prima del-la scadenza del termine di sessanta giorni posto dall’art. 2653, n. 3, c.c., re-sterebbe ferma l’illimitata retroattività di tale effetto risolutivo, cosicché i ter-zi che abbiano avuto causa dal compratore dopo che sia scaduto il termineper l’esercizio del riscatto soccomberebbero, quantunque il loro acquisto siastato trascritto o iscritto per primo. Pertanto, chi abbia causa dal compratore(ormai divenuto non dominus a seguito della dichiarazione di riscatto) neisessanta giorni successivi alla scadenza del termine per l’esercizio del riscattonon consoliderebbe il proprio acquisto mediante la sua sola trascrizione oiscrizione, ma sarebbe destinatario di una fattispecie acquisitiva in corso diformazione, la cui efficacia reale (nei confronti del dominus) richiederebbe unulteriore elemento costitutivo, ossia la mancata trascrizione della dichiarazio-ne di riscatto nel medesimo termine di sessanta giorni che è posto dall’art.2653, n. 3, c.c. (32).

Si giunge così ad ammettere che sarebbe previsto dalla legge un periododi sessanta giorni durante il quale il criterio della priorità non funzionerebbe,poiché, trascrivendo la propria dichiarazione, il venditore riscattante prevar-rebbe in ogni caso su coloro che abbiano avuto causa dal compratore dopo la

(28) Nicolò, op. cit., p. 216.(29) Ossia, prima che scada il termine previsto dal patto di riscatto per esercitare tale

diritto. Laddove la dichiarazione di riscatto sia invece effettuata tardivamente (ossia, dopola scadenza del termine previsto dal patto per l’esercizio di tale diritto), il problema di tute-lare i terzi acquirenti dal compratore non si pone neppure, perché essi hanno allora acqui-stato a domino senz’altro (Nicolò, op. cit., p. 217).

(30) Nicolò, ibidem.(31) Nicolò, ibidem.(32) Nicolò, ibidem.

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scadenza del termine per l’esercizio del riscatto, anche quando essi abbianotrascritto o iscritto il loro acquisto per primi (33). Tale tesi è tuttavia inficiatada un gravissimo e, in definitiva, ingiustificato scostamento dai principî gene-rali in materia di pubblicità legale e, dal punto di vista della politica del dirit-to, compromette irragionevolmente la certezza della circolazione dei beniiscritti in pubblici registri.

Com’è ovvio, si può obiettare che il medesimo inconveniente si verifiche-rebbe a maggior ragione nei confronti di coloro che abbiano avuto causa dalcompratore prima della scadenza del termine entro il quale il venditore puòesercitare il riscatto, in quanto, pur avendo trascritto o iscritto il loro acquistoper primi, essi soccomberebbero illimitatamente, anche nel caso in cui la di-chiarazione di riscatto non sia stata trascritta affatto. Ma tale possibile obie-zione, proprio perché paradossale, dimostra a sufficienza non già che si deveallora accettare la tesi che si sta qui criticamente esaminando, bensì, proprioall’inverso, che occorre piuttosto abbandonare il presupposto generale dalquale essa ha preso le mosse, ossia che per sua natura l’effetto risolutorio delriscatto sarebbe illimitatamente retroattivo.

In realtà, l’art. 1504, comma 1o, c.c. statuisce sì che il venditore riscat-tante può ottenere il rilascio della cosa anche dai successivi acquirenti, maprecisa subito dopo che ciò ha luogo (non illimitatamente, ma) soltanto là do-ve il patto di riscatto sia a essi opponibile (34). L’opponibilità del patto di ri-scatto non è pertanto disciplinata dall’art. 2653, n. 3, c.c., il quale stabilisceinvece quando siano opponibili le dichiarazioni (giudiziali e stragiudiziali) diriscatto (35): movendo dalla riconducibilità di tale patto alla clausola dellacondizione risolutiva (meramente potestativa), si deve piuttosto ritenere che

(33) Nicolò, ibidem.(34) L’esigenza di distinguere l’opponibilità del patto da quella della dichiarazione di

riscatto è chiaramente affermata proprio da Nicolò, op. cit., p. 210 ss. e sviluppata sullabase dell’indubbia riconducibilità di tale istituto alla condizione risolutiva (meramente po-testativa). Si deve tuttavia fin d’ora rilevare che l’opponibilità del patto di riscatto costitui-sce una formula verbale di comodo, la quale non può essere intesa in senso rigorosamentedogmatico: se si vuole evitare di sdoppiare artificiosamente la realtà giuridica, si deve infat-ti ammettere che è proprio e solo la dichiarazione di riscatto a produrre l’effetto giuridicoche è suscettibile di essere opposto ai terzi subacquirenti, laddove il patto che attribuisce alvenditore il diritto di riscatto non può rilevare che come preparazione di tale effetto giuridi-co. Per quanto qui rileva, la pubblicità legale del patto di riscatto produce allora un quasi-effetto giuridico (secondo la terminologia di Falzea, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir.,XIV, Milano 1965, p. 484), il quale, come si vedrà meglio nel prosieguo del testo, è costi-tuito dalla prenotazione dell’opponibilità della dichiarazione di riscatto: una volta che que-st’ultima sia trascritta, essa è pertanto opponibile ai terzi dal giorno (non della sua trascri-zione, ma) della pubblicità legale del patto che attribuisce il venditore il diritto di compier-la.

(35) Il punto è messo in rilievo da Gazzoni, Trattato della trascrizione, I, 1, cit., p. 143,il quale non esclude tuttavia l’eventualità che, facendo riferimento all’opponibilità del pattodi riscatto, l’art. 1504, comma 1o, c.c. abbia potuto riferirsi invece a quella della dichiara-zione di riscatto.

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esso sia opponibile se e in quanto sia stato menzionato nella nota di trascri-zione, ai sensi dell’art. 2659, comma 2o, c.c. (36).

Laddove invece il patto di riscatto non sia stato annotato nella nota ditrascrizione del titolo di provenienza del loro dante causa, è conforme ai prin-cipî generali in materia di pubblicità legale che i terzi aventi causa dal com-pratore soccombano soltanto laddove non abbiano trascritto o iscritto il loroacquisto anteriormente alla trascrizione della dichiarazione di riscatto da par-te del venditore, ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c. (37).

La regola generale non è dunque che i terzi aventi causa dal compratoresoccombano sempre e illimitatamente nei confronti del venditore riscattante,ma che essi soccombono soltanto laddove nella nota di trascrizione del titolodi provenienza del loro dante causa sia stato annotato il patto di riscatto, aisensi dell’art. 2659, comma 1o, c.c. Tale soluzione è conforme ai principî ge-nerali in materia di pubblicità legale, posto che essi hanno allora trascritto oiscritto il loro acquisto posteriormente alla suddetta annotazione, la qualeprenota l’opponibilità della dichiarazione di riscatto che sarà a sua volta tra-scrivibile ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c.

Nonostante l’opinione contraria sia largamente diffusa, tale soluzione èaltresì conforme alla regola valevole per la condizione risolutiva, poiché, se èvero che, ai sensi dell’art. 1360 c.c., gli effetti del suo avveramento general-mente retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, è altresì veroche anche tale vicenda risolutoria, così come quella provocata dal riscatto dicui si tratta, deve essere intesa conformemente ai principî generali in materiadi pubblicità legale: ai terzi controinteressati la retroattività di tale risoluzionepotrà infatti essere pur sempre opposta nel solo caso in cui la condizione riso-lutiva sia stata menzionata nella nota di trascrizione del contratto, ai sensi

(36) Pugliatti, La trascrizione immobiliare, II, Messina 1946, p. 7; Luzzatto, Lacompravendita, ed. postuma a cura di Persico, Torino 1961, p. 457; Luminoso, La ven-dita con riscatto, in Comm. Schlesinger, Art. 1500-1509, Milano 1987, p. 402 ss. Nelsenso che la menzione (del patto di riscatto) di cui all’art. 2659, comma 2o, c.c. svolgauna funzione di mera notizia, cfr. Nicolò, op. cit., p. 211 ss.; Ferri-Zanelli, op. cit., p.76 ss. e già L. Ferri, Vendita (rassegna di giurisprudenza), in R. trim. d. proc. civ.,1947, p. 680. Più in generale si deve rilevare che, sebbene la soluzione esposta nel testopossa essere considerata come prevalente, la questione della pubblicità legale del pattodi riscatto ai fini della sua opponibilità è ampiamente controversa in dottrina. È stato inparticolare sostenuto che, quando sia contenuto in un documento separato da quello delcontratto di vendita, il patto di riscatto sia autonomamente trascrivibile (Ferri-Zanelli,op. cit., p. 362; ma in senso critico, cfr. Triola, op. cit., p. 51), ovvero che lo sia inogni caso, ossia anche quando faccia parte integrante del documento contrattuale (Gaz-zoni, Trattato della trascrizione, I, 1, cit., p. 145 ss.); tale trascrizione dovrebbe essereeffettuata contro l’acquirente e a favore dell’alienante, trattandosi di un vincolo di indi-sponibilità del bene.

(37) Rubino, La compravendita2, in Tratt. Cicu-Messineo, XXIII, Milano 1961, p. 1036s.; Luminoso, op. cit., p. 403 s.; Sirena, I recessi unilaterali, in Tratt. Roppo, III, Effetti, acura di Costanza, Milano 2006, p. 137.

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dell’art. 2659, comma 2o, c.c. (38); nel caso in cui invece non lo sia stata, essasarà opponibile soltanto dal momento dell’annotazione che è prevista dall’art.2655 c.c. (39).

Tornando ora all’art. 2653, n. 3, cpv., c.c., si deve rilevare che tale di-sposizione legislativa pone un controlimite alla regola generale che è stata so-pra enunciata, ricollegandolo alla tardività della trascrizione della dichiara-zione di riscatto. Se tale pubblicità legale è eseguita dopo sessanta giorni dallascadenza del termine per l’esercizio del riscatto, l’ordinamento giuridico, mo-vendo dal presupposto che essa sia tardiva, disconosce l’effetto prenotativodell’annotazione di tale patto nei confronti dei terzi che abbiano acquistatodal compratore dopo la scadenza del medesimo termine: poiché la dichiara-zione di riscatto è allora ordinariamente opponibile dal momento della suatrascrizione, tali terzi prevalgono se prima di essa abbiano trascritto o iscrittoil loro acquisto.

Per quanto qui rileva, l’art. 2653, n. 3, cpv., c.c. statuisce pertanto chenei confronti dei terzi che abbiano avuto causa dal compratore dopo la sca-denza del termine per l’esercizio del riscatto, l’effetto prenotativo dell’annota-zione del patto si estingue sessanta giorni dopo la scadenza del medesimo ter-mine.

Nei confronti degli aventi causa dal compratore prima della scadenza deltermine per l’esercizio del riscatto, questa limitazione dell’effetto prenotativodella pubblicità legale del patto che lo prevede non opera: poiché hanno ac-quistato dal compratore prima che scadesse in termine entro il quale il vendi-tore poteva esercitare il diritto di riscatto attribuitogli, e poiché ciò era a essinoto in virtù dell’annotazione del patto ai sensi dell’art. 2659 c.c., l’eventualeloro affidamento sul mancato esercizio di tale diritto è infatti irragionevole ecomunque non è ritenuto dall’ordinamento giuridico meritevole di essere tu-telato nei confronti del venditore riscattante.

Negli stessi termini, non è ragionevole che coloro i quali abbiano avutocausa dal riscattato prima che sia scaduto il termine per l’esercizio del riscattolegale facciano affidamento sulla definitività (del titolo di provenienza del lo-ro dante causa, e perciò) del loro acquisto. Posto che l’esistenza della prela-

(38) In tal senso, v. Pugliatti, op. cit., p. 7; R. Scognamiglio, Nota a Trib. Napoli, 22marzo 1948, in D. e giur., 1948, p. 282 ss. e, più recentemente, G. Gabrielli, Pubblicitàdegli atti condizionati, in questa Rivista, 1991, I, p. 25 ss., il quale, fra l’altro, premessa lasomiglianza tra il patto di riscatto e la condizione risolutiva, trae argomento proprio dal-l’art. 1504, comma 1o, c.c. per sostenere che l’annotazione di cui all’art. 2659, comma 2o,c.c. generalmente abbia efficacia dichiarativa, nonché, anche per ulteriori indicazioni bi-bliografiche, Carusi, Condizione e termini, in Tratt. Roppo, III, Effetti, a cura di Costanza,cit., p. 349. Le soluzioni esposte nel testo sono tuttavia ampiamente controverse in dottrina(v. al riguardo Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 946, nonché Baralis, La pubbli-cità immobiliare fra eccezionalità e specialità, Padova 2010, p. 72 ss., spec. nt. 37; Grandi,La retroattività della condizione: il problema e le prospettive, in Contratti, 2011, p. 289ss.).

(39) Sirena, op. cit., p. 137 s., ferme restando le avvertenze di cui alla nota che precede.

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zione legale è loro nota indipendentemente da qualsiasi pubblicità legale, odovrebbe esserlo, sarebbe infatti sistematicamente incoerente che essi fosserotrattati più favorevolmente di quanto l’art. 2653, n. 3, c.c. non faccia rispettoai subacquirenti dal compratore assoggettato al riscatto convenzionale (40), aiquali l’esistenza di tale patto è nota, o dovrebbe esserlo, a seguito della pub-blicità legale di cui all’art. 2659, comma 2o, c.c.

3. — In base al tertium comparationis dell’art. 2653, n. 3, c.c., la dottri-na ha peraltro avvertito l’esigenza di tutelare l’eventuale affidamento sulladefinitività del precedente acquisto da parte di coloro che abbiano subacqui-stato dal riscattato dopo la scadenza del termine per l’esercizio del riscatto le-gale, mettendoli al riparto da eventuali dichiarazioni di riscatto che, perquanto tempestivamente effettuate, siano rimaste occulte (41).

Movendo dal presupposto secondo cui la dichiarazione di riscatto legaledeterminerebbe ex nunc un ulteriore trasferimento della proprietà dal riscat-tato (o da un suo successivo avente causa) al riscattante, e che produrrebbepertanto l’effetto giuridico che è menzionato dall’art. 2643, n. 1, c.c., è statoallora ammesso che essa sia trascrivibile ai sensi dell’art. 2645 c.c.

A tale tesi è stato obiettato che, applicando senza correttivo il criterio se-lettivo di cui all’art. 2644 c.c., si sacrificherebbe ingiustificatamente il riscat-tante nei confronti di coloro che abbiano avuto causa dal riscattato subito do-po la scadenza per l’esercizio del retratto, in quanto, premesso che quest’ulti-mo è generalmente esercitato subito prima che tale termine scada, sarebbepraticamente impossibile che il riscattante possa provvedere alla trascrizionedella propria dichiarazione prima che i terzi abbiano trascritto o iscritto il lo-ro acquisto: si giungerebbe pertanto alla conclusione assurda secondo la qualechi eserciti un diritto di riscatto pattizio sarebbe tutelato più intensamente neiconfronti degli aventi causa dal riscattato di chi eserciti invece un diritto di ri-scatto previsto dalla legge (42).

(40) Contrariamente a quanto affermato da Carusi, La natura del riscatto urbano, cit.,p. 311, non si tratta quindi di un’espropriazione.

(41) Gazzoni, Trattato della trascrizione, I, 1, cit., p. 501; Gabrielli, La pubblicità im-mobiliare, cit., p. 155 s.; Id., Diritti di riscatto attribuiti dalla legge, cit., p. 700; Carpino,op. cit., p. 1116.

(42) Gabrielli, Diritti di riscatto attributi dalla legge, cit., p. 704, il quale fraintendetuttavia l’affermazione di Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I2, in Comm. Schlesinger,Milano 1998, p. 616, secondo cui « sarebbe infatti davvero assurdo che il riscattante fossepienamente tutelato in ipotesi di riscatto convenzionale e dovesse invece vedere consumatoil proprio potere anche nei confronti degli aventi causa dal terzo, i quali acquistassero du-rante lo spatium deliberandi e trascrivessero prima » (la sottolineatura è aggiunta): propriosulla base di questo inciso finale, infatti, è evidente che il fine di tale affermazione non èquello di sostenere che, onde evitare una contraddizione sistematica rispetto all’art. 2653,n. 3, c.c., il riscattante legale debba prevalere su coloro che abbiano avuto causa dal riscat-tato dopo la scadenza del termine per l’esercizio del retratto (sebbene essi abbiano trascrit-to o iscritto per primi il loro acquisto), bensì di sostenere che egli debba prevalere su coloro

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In realtà, la naturale retroattività del riscatto, a maggior ragione quandoesso sia legale, implica che, sostituendosi retroattivamente al riscattato, il ri-scattante si consideri al posto di quest’ultimo come acquirente ex tunc del be-ne in base al medesimo titolo di acquisto, così com’è peraltro sostenuto dallagiurisprudenza unanime e dalla dottrina largamente prevalente (43): non trat-tandosi di un ulteriore ritraferimento ex nunc della proprietà (o di un altrodiritto), non è pertanto applicabile l’art. 2643, n. 1, c.c., e a maggior ragioneneppure l’art. 2645 c.c.

4. Movendo da quest’ultima ricostruzione concettuale, è stato allora so-stenuto che, come si desumerebbe dall’art. 1403, comma 2o, c.c. a propositodel contratto per persona da nominare, la sostituzione retroattiva dell’acqui-rente di un bene sarebbe assoggettata alla stessa forma di pubblicità legaleche è richiesta per il contratto di alienazione originariamente stipulato (44).Ma gli effetti della trascrizione della dichiarazione di riscatto legale sarebberopur sempre quelli preveduti dall’art. 2653, n. 3, c.c., senza che ciò violi il di-vieto di applicazione analogica delle norme eccezionali che è posto dall’art.14 disp. prel., trattandosi piuttosto di una interpretazione estensiva della sud-detta disposizione codicistica (45).

che abbiano avuto causa dal riscattato prima della scadenza del medesimo termine. Pertan-to, l’esigenza di evitare tale contraddizione sistematica non può essere addotta come argo-mento a favore dell’applicabilità dell’art. 2653, n. 3, c.c. alle dichiarazioni di riscatto lega-le, poiché è indubbio che, escludendo tale pubblicità legale, il riscattante legale prevalesenz’altro su coloro che abbiano avuto causa dal riscattato anteriormente alla scadenza deltermine, così come il venditore riscattante, e anzi a maggior ragione (considerato che que-st’ultimo ha pur sempre l’onere di menzionare il patto di riscatto nella nota di trascrizione,ai sensi dell’art. 2659, comma 2o, c.c.); escludendo tale pubblicità legale, per altro verso,non può neppure ritenersi che il riscattante soccomba nei confronti di coloro che, avendoavuto causa dal riscattato posteriormente alla scadenza del termine per l’esercizio del ri-scatto, abbiano trascritto o iscritto per primi il loro acquisto. In altri termini, l’applicabilitàdell’art. 2653, n. 3, c.c. può essere teleologicamente prospettata soltanto in virtù dell’esi-genza di tutelare i terzi subacquirenti dal rischio di un riscatto occulto da parte di un lorodante causa mediato, ma non anche (o invece) in virtù dell’esigenza di tutelare il riscattan-te dalla tempestiva trascrizione dell’acquisto da parte di coloro che abbiano avuto causa dalriscattato posteriormente alla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto.

(43) In dottrina, v. Baralis, op. cit., p. 19 s.(44) Gabrielli, Diritti di riscatto attribuiti dalla legge, cit., p. 700 s. In senso analogo,

ma al precipuo fine di sostenere la generale compatibilità fra l’effetto retroattivo di un attoe la sua trascrivibilità, v. Baralis, op. cit., p. 71 ss., p. 94 ss. Sul controverso problema del-la pubblicità legale della dichiarazione di nomina (c.d. electio amici) di cui all’art. 1403,comma 2o, c.c., v. recentemente Mass. Nuzzo, Il contratto con riserva di nomina, Campo-basso 2012, p. 233 ss.; Pennasilico, La trascrizione del contratto per sé o per persona danominare, in Scritti in onore di Marco Comporti, III, a cura di Pagliantini, Quadri e Sinesio,Milano 2008, p. 2118 ss.

(45) Gabrielli, Diritti di riscatto attribuiti dalla legge, cit., p. 702 s.; Id., La pubblicitàimmobiliare, cit., p. 156. Cfr. tuttavia Petrelli, L’evoluzione del principio di tassativitànella trascrizione immobiliare. Trascrizioni, annotazioni, cancellazioni dalla « tassatività »

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In senso contrario, si rinviene un (non più recente) decreto del Presidentedel Tribunale di Milano, il quale, pronunciandosi ai sensi dell’art. 745 c.p.c.,ha deciso invece che la dichiarazione di riscatto a titolo di prelazione legale(quella agraria, nel caso di specie) sia trascrivibile ai sensi non già dell’art.2653, n. 3, c.c., ma dell’art. 2653, n. 1, c.c. (46).

Tale affermazione negativa è stata motivata anzitutto sulla base del det-tato letterale dell’art. 2653, n. 3, c.c., il quale, menzionando espressamente la« vendita di beni immobili », si riferirebbe al solo riscatto convenzionale. Unaconferma in tal senso sarebbe inoltre costituita dalla Relazione del MinistroGuardasigilli, nella parte in cui essa afferma che mediante la suddetta dispo-sizione legislativa è stata introdotta nell’ordinamento giuridico « la trascrizio-ne delle domande o delle dichiarazioni di riscatto nella compravendita immo-biliare » (47). È tuttavia evidente che si tratta di argomenti non decisivi.

Si deve infatti rilevare che, secondo un’acquisizione che può essere ormaiconsiderata come definitiva, il principio di tassatività della pubblicità legaledeve essere riferito non già alle fattispecie degli atti che sono stati elencati dallegislatore, bensì ai loro effetti giuridici. Al fine di escludere che anche il ri-scatto legale sia trascrivibile ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c., non è pertantodecisivo che tale disposizione legislativa abbia menzionato soltanto quelloconvenzionale.

Il richiamo dei lavori preparatori non costituisce inoltre notoriamente uncriterio insuperabile di interpretazione della legge, in quanto, pur esprimendoil convincimento dei redattori di un testo normativo, esso non vale di per sé aindividuare la « intenzione del legislatore » di cui all’art. 12, comma 1o, disp.prel.

Per quanto qui rileva, si deve piuttosto notare che le dichiarazioni di ri-scatto legale producono un tipo di effetto giuridico che è senz’altro differenteda quello delle dichiarazioni di riscatto previste dall’art. 2653, n. 3, c.c. Que-ste ultime determinano infatti la risoluzione del contratto di alienazione delbene, cosicché il venditore riscattante torna a essere l’originario titolare deldiritto che aveva trasferito al compratore assoggettato al riscatto; quelle di ri-scatto legale tengono invece ferma l’efficacia traslativa di tale contratto, fa-cendo piuttosto sì che il riscattante si sostituisca al riscattato come acquirentedel bene a titolo derivativo.

Tali rilievi possono indurre a dubitare che, contrariamente all’imposta-

alla « tipicità », Napoli 2009, p. 368, il quale, premessa l’impossibilità di escludere la tra-scrizione del riscatto sulla base del presunto (e, secondo l’a., inesistente) principio di tassa-tività degli atti trascrivibili, afferma che l’applicazione a tale fattispecie degli artt. 1403 e2653, n. 3, c.c. non sarebbe possibile in base a una loro interpretazione estensiva, trattan-dosi invece di fare ricorso all’istituto dell’analogia.

(46) Trib. Milano 21 giugno 1982, in R. not., 1983, p. 951 ss., sul quale v. anche supra,n. 1.

(47) Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, riproduzione anastatica a cu-ra del Consiglio Nazionale Forense, Roma 2010, n. 1086, p. 250.

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zione concettuale e terminologica più diffusa, il riscatto legale e quello con-venzionale costituiscano due specie dello stesso istituto, le quali si distingue-rebbero semplicemente dal punto di vista della fattispecie costitutiva del dirit-to esercitato dal riscattante (la legge ovvero l’accordo tra le parti); in ogni ca-so, essi sono sufficienti per escludere che le dichiarazioni di riscatto legale sia-no trascrivibili ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c., appunto in quanto produconoun effetto giuridico diverso da quello delle dichiarazioni menzionate da taledisposizione legislativa.

Ciò è confermato dal fatto che, per quanto qui rileva, le dichiarazioni diriscatto legale determinano un conflitto attributivo che è inequivocabilmentediverso da quello risolto dall’art. 2653, n. 3, c.c., in quanto è nella qualitàgiuridica di avente causa dal venditore che il riscattante si oppone al terzo su-bacquirente dal riscattato, laddove il venditore che eserciti il riscatto conven-zionale si oppone al terzo subacquirente dal compratore nella qualità giuridi-ca di originario titolare del diritto.

Tenendo fermo che la dichiarazione di riscatto legale non determina unritrasferimento ex nunc del diritto acquistato, ma la sostituzione ex tunc delriscattante al riscattato, si deve pertanto giungere alla conclusione che essanon sia trascrivibile ai sensi dell’art. 2653, n. 3, c.c., risultando dunque illi-mitatamente opponibile anche a coloro che abbiano avuto causa dal riscattatoposteriormente alla scadenza per l’esercizio del diritto di riscatto, sebbene ab-biano eventualmente trascritto o iscritto il loro acquisto.

5. — Per quanto possa essere criticabile dal punto di vista della politicadel diritto, in quanto assoggetta i terzi subacquirenti al rischio di un riscattoocculto da parte di un loro dante causa mediato, la conclusione che si è espo-sta non può essere ritenuta sistematicamente incoerente, né suscettibile di de-terminare una disparità di trattamento che risulti ingiustificata, o comunqueirragionevole.

Se infatti è indubbio che, com’è stato osservato (48), il sistema della pub-blicità legale generalmente consente all’acquirente di un immobile di accerta-re preventivamente se l’acquisto del suo dante causa non sia stato annullato,rescisso, risoluto o revocato, è altresì vero che ciò non è sempre assicuratoladdove tale vicenda caducatoria dipenda da un presupposto legale che è su-scettibile di essere oggettivamente e direttamente verificato dal terzo subac-quirente, indipendentemente da qualsiasi accertamento concreto dell’accordotra le parti contraenti ovvero di altre circostanze di fatto.

L’art. 1445 c.c. statuisce, in particolare, che la sentenza di annullamentodel contratto la quale dipenda dall’incapacità legale di una delle parti con-traenti è illimitatamente opponibile agli aventi causa dall’altra parte (49), fer-

(48) Gabrielli, Diritti di riscatto attribuiti dalla legge, cit., p. 701.(49) A tale proposito, v. per tutti G. Gabrielli, Invalidità e diritti dei terzi, in Le invali-

dità del contratto, a cura di Bellavista e Plaia, Milano 2011, p. 1 ss., nonché le classiche

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mo restando quanto è preveduto dal capoverso dell’art. 2652, n. 6, cpv., c.c.a proposito della trascrizione c.d. tardiva della domanda (50).

È stato obiettato che, poiché le sentenze di annullamento sono pubblicateai sensi dell’art. 133 c.p.c., i subacquirenti della parte che l’ha subìta potreb-bero pur sempre prenderne conoscenza, laddove al di fuori delle risultanzedei registri immobiliari non esiste alcuna possibilità, legalmente presidiata,che essi possano verificare se un diritto legale di riscatto sia stato esercita-to (51). Si tratta tuttavia di una argomentazione debole.

La pubblicazione delle sentenze che è prevista dall’art. 133 c.p.c. non co-stituisce infatti un mezzo di pubblicità legale che le renda conoscibili ai terzi,anche soltanto per la (pur banale) considerazione pratica secondo cui, stantela generale derogabilità della competenza per territorio che è preveduta dal-l’art. 28 c.p.c., esse potrebbero essere state pronunciate in un qualsiasi foro.

In realtà, gli artt. 1445 e 2652, n. 6, cpv., c.c. fanno chiaramente e illi-mitatamente gravare sul subacquirente l’incertezza che un precedente dantecausa abbia ottenuto una sentenza di annullamento del proprio atto traslativoper la sua incapacità legale (fermo restando sempre quanto è preveduto dal

pagine di Mengoni, Gli acquisti « a non domino », cit., p. 243 ss. Per la dottrina processua-listica, v. recentemente Carratta, Diritto e processo nelle azioni di restituzione, in R. trim.d. proc. civ., 2012, numero speciale, Le azioni di restituzione da contratto, p. 128 ss.

(50) Tale disposizione legislativa statuisce che, se la domanda (di annullamento) siatrascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione del contratto impugnato, la senten-za che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fe-de in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Èstato sostenuto che tale acquisto a non domino non si verifichi quando il contratto sia an-nullabile per l’incapacità legale dell’altra parte contraente, in quanto l’esigenza di tutelarel’incapace prevarrebbe pur sempre su quella di tutelare i terzi subacquirenti in buona fede(C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto2, Milano 2000, p. 675). La tesi si pone tuttavia(consapevolmente) in contrasto con il dettato letterale dell’art. 2652, n. 6, cpv., c.c., il qua-le nella sua prima parte fa senz’altro salvi i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi dibuona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione tardiva del-la domanda di annullamento, anche quando essa sia stata proposta in base all’incapacitàlegale di una delle parti contraenti (in tal senso, v. Ferri-Zanelli, op. cit., p. 344, i quali sirifanno al precedente di Cass., 19 novembre 1959, n. 3407, in F. it., 1960, I, c. 393 ss.);laddove la domanda di annullamento non sia stata tardivamente trascritta, l’art. 2522, n.6, cpv., c.c. riafferma invece nella sua seconda parte una regola analoga a quella dettatadall’art. 1445 c.c., secondo la quale l’acquisto dei terzi subacquirenti che pure abbiano an-teriormente trascritto o iscritto il loro titolo è fatto salvo soltanto se la medesima domandaè stata proposta per una causa diversa dall’incapacità legale, e sempre che sussistano i re-quisiti della loro buona fede e della onerosità del titolo. In definitiva, se la domanda di an-nullamento è proposta per l’incapacità legale della parte contraente, il regime è lo stessodella nullità: affinché il terzo subacquirente (a qualunque titolo) in buona fede sia tutelatonon sarà sufficiente la priorità della trascrizione dell’atto di acquisto rispetto alla trascrizio-ne della domanda, ma dovrà anche essere trascorso un periodo di almeno cinque anni (incaso di acquisto di diritti immobiliari) o di almeno tre anni (in caso di acquisto di diritti subeni mobili registrati) tra la trascrizione dell’atto annullabile e la trascrizione della doman-da giudiziale (così Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 1008).

(51) Gabrielli, ibidem.

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capoverso dell’art. 2652, n. 6, cpv., c.c. a proposito della trascrizione c.d. tar-diva della domanda); e ciò vale non soltanto nei confronti di coloro che ab-biano acquistato dalla parte soccombente prima della scadenza del termine diprescrizione dell’azione di annullamento (cosicché il loro eventuale affida-mento sul suo mancato esercizio non sarebbe senz’altro ragionevole e comun-que meritevole di essere tutelato dall’ordinamento giuridico), ma anche neiconfronti di coloro che abbiano subacquistato dopo.

6. — Per quanto qui rileva, è poi particolarmente significativa la discipli-na della devoluzione del fondo enfiteutico, segnatamente per quanto riguardala sua opponibilità nei confronti dei terzi.

Premesso che la relativa domanda è trascrivibile ai sensi dell’art. 2653,n. 2, c.c. (52), si deve rilevare che, secondo quanto è previsto dal capoverso diquest’ultima disposizione, la sentenza di devoluzione ha effetto anche neiconfronti di coloro che abbiano acquistato diritti dall’enfiteuta in base a unatto trascritto posteriormente alla trascrizione della domanda. Si ritiene per-tanto che tale pubblicità legale abbia propriamente ed esclusivamente l’effettoprocessuale di circoscrivere i limiti soggettivi di efficacia della sentenza pro-nunciata nei confronti del convenuto, secondo la regola che è dettata dall’art.111, comma 4o, c.p.c. (53): analogamente a quanto si è già detto a propositodella trascrizione della domanda diretta alla rivendicazione ovvero all’accer-tamento della proprietà (o di un altro diritto reale di godimento) (54), sul pia-no del diritto sostanziale non è invece fatto salvo l’acquisto di coloro che ab-biano avuto causa dall’enfiteuta in base a un atto trascritto prima della tra-scrizione della domanda di cui si tratta.

Premesso che, come risulta dagli artt. 972 e 973 c.c., la devoluzione delfondo enfiteutico presuppone la violazione degli obblighi che sono posti dal-l’art. 959 c.c. a carico dell’enfiteuta (55), si deve pertanto rilevare la trascri-zione della domanda di cui si tratta produce un effetto assai più limitato diquelli della trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione del contrattoper inadempimento: la sentenza che accoglie quest’ultima, non pregiudica in-fatti i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anterior-mente alla trascrizione della domanda (ma soltanto quelli da loro acquistimediante un atto trascritto o iscritto posteriormente), così com’è statuito dal-l’art. 2652, comma 1o, n. 1, cpv., c.c. In quest’ultimo caso, la pubblicità lega-

(52) La trascrivibilità di tali atti non era prevista dal codice civile del 1865. La disposi-zione legislativa vigente riprende quella che era stata già ipotizzata nel Progetto Scialoja epoi recepita nel Progetto Reale (a tale proposito, v. Nicolò, op. cit., p. 155 s.).

(53) Nicolò, op. cit., p. 196 ss., seguito da Mariconda, La trascrizione2, in Tratt. Resci-gno, XIX, Torino, 1997, p. 164; Ferri-Zanelli, op. cit., p. 358 s.

(54) V. supra, n. 1.(55) Al riguardo, v. C.M. Bianca, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano 1999, p. 579;

Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 257.

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le serve pertanto non solo come criterio di diritto processuale per stabilire se iterzi aventi causa del convenuto siano assoggettati all’efficacia della sentenzapronunciata nei confronti del loro autore (art. 111, comma 4o, c.p.c.), ma an-che come criterio di diritto sostanziale per stabilire se essi siano assoggettati aquel postulato del principio consensualistico che si riassume nel brocardo re-soluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis (56).

Ciò si spiega in quanto, mentre la risoluzione del contratto per inadempi-mento generalmente non pregiudica l’acquisto degli aventi causa dal convenu-to, a meno che la domanda giudiziale non sia stata appunto trascritta anterior-mente alla trascrizione o all’iscrizione del loro titolo (c.d. retroattività reale li-mitata), la devoluzione del fondo enfiteutico rimuove fin dall’inizio qualsiasidiritto che l’enfiteuta abbia attribuito a un terzo, indipendentemente dalla tra-scrizione del suo titolo. La maggiore intensità degli effetti giuridici della devo-luzione del fondo enfiteutico rispetto alla risoluzione del contratto per inadem-pimento è dovuta al fatto che gli obblighi posti dall’art. 959 c.c. a carico del-l’enfiteuta non rilevano come obbligazioni qualsiasi che egli si sia volontaria-mente assunto, ma gli sono imposti dalla legge come limiti interni del suo dirit-to reale di godimento, il quale, com’è noto, è per il resto equiparabile a quellodi proprietà (57): la violazione di tali obblighi legali non è pertanto trattata dal-l’ordinamento giuridico come un inadempimento qualsiasi, ma come un abusodel diritto dell’enfiteuta, a fronte del quale l’ordinamento giuridico dispone chesia ripristinata fin dall’inizio la proprietà del concedente sul fondo enfiteutico.

Si deve fra l’altro rilevare che la retroattività dell’effetto giuridico delladevoluzione del fondo enfiteutico nei confronti dei terzi è superiore non sol-tanto a quella che caratterizza l’annullamento del contratto costitutivo del-l’enfiteusi, il quale, se non dipende da incapacità legale, non pregiudica i di-ritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede (art. 1445 c.c.) (58), maaddirittura a quella che caratterizza la sua nullità: in tali casi, infatti, non so-no quanto meno pregiudicati i diritti che a qualunque titolo sono stati acqui-stati dai terzi in buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormen-te alla trascrizione tardiva della domanda (art. 2652, comma 1o, n. 6, cpv.,c.c.), laddove neppure questa ipotesi di acquisto a non domino può operare incaso di devoluzione del fondo enfiteutico.

Non è pertanto sistematicamente incoerente che la dichiarazione di riscat-to legale sia opponibile a coloro che abbiano avuto causa dal ritrattato dopo lascadenza per l’esercizio del diritto di riscatto, tenuto conto che essi erano oavrebbero comunque dovuto essere a conoscenza della precarietà del titolo diacquisto da parte del loro dante causa, così come ne sono o devono comunqueesserne a conoscenza coloro che abbiano avuta causa dall’enfiteuta.

(56) V. supra, n. 5.(57) Sulla questione, in generale, v. Bianca, op. ult. cit., p. 563 ss.(58) V. supra, n. 5.

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Enrico CamilleriProf. straord. dell’Università di Palermo

APPUNTI SULLA STRUTTURADELL’ESPROMISSIONE CUMULATIVA

Sommario: 1. L’espromissione tra linearità di statuto e fraintendimenti. — 2. Portata inno-vativa delle norme sulla espromissione e condizionamenti dogmatici. — 3. Le tesi con-trattualistiche e le distorsioni in sede applicativa. — 4. L’espromissione cumulativa ed imargini per l’impiego di congegni alternativi al contratto. — 5. Contratto con obbliga-zioni del solo proponente e semplificazione analitica della fattispecie: critica. — 6. Pro-messe unilaterali ed espromissione cumulativa.

1. — Tra i congegni negoziali che realizzano una modificazione del latopassivo del rapporto obbligatorio, l’espromissione è tradizionalmente reputatoil più lineare in punto di causa e struttura.

Di ciò è complice la lettera stessa dell’articolo 1272 c.c., che, al comma1o, fissa nell’assunzione del debito altrui — fatta dal terzo al creditore, pursenza delegazione da parte dell’obbligato — l’architrave dell’intera fattispe-cie, così traducendo quelle istanze di speditezza e praticità, enfatizzate già inseno alla Relazione al Codice civile al riguardo del più generale fenomeno del-la successione nel debito (1).

Non pare, in effetti, revocabile in dubbio che proprio l’assunzione dellaposizione passiva altrui, cui pure sono vocate anche le figure congeneri delladelegazione e dell’accollo (2), assurga a tipico sostegno causale dell’impegnodell’espromittente (3), vieppiù secondo tratti a tal punto definiti da presidiareil distinguo con la fideiussione, solo prima facie affine in quanto retta dalladiversa funzione di garanzia dell’altrui adempimento (4).

(1) Cfr. Relazione al Re, n. 584.(2) Cfr. per tutti Rescigno, Studi sull’accollo, Milano 1958, p. 1 e ss.(3) In giurisprudenza si veda, ad esempio, Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118, in Con-

tratti, 2004, p. 652 e ss. L’inquadramento del momento causale nei termini di cui al testopresiede, peraltro, al distinguo tra l’espromissione e la delegazione, rappresentata comeschema generale i cui due rapporti di base (quello di valuta e di provvista) possono benereggersi su profili causali molteplici: si vedano, in proposito, le osservazioni di Rescigno,voce Delegazione (dir. civ.), in Enc. dir., XI, p. 930, Cicala, Espromissione, Napoli 1995,91 e ss., Grasso, Delegazione, espromissione e accollo, in Comm. Schlesinger-Busnelli, Mi-lano 2011, p. 83; analoghe valutazioni sono già rinvenibili in Bigiavi, La delegazione, Pa-dova 1940, p. 3. Parimenti parrebbe doversi dire in relazione all’accollo c.d. esterno, per lomeno ove se ne accolga la ricostruzione nei termini di una applicazione dello schema gene-rale (e, per definizione, causalmente neutro) del contratto a favore di terzo: cfr. Rescigno,Studi sull’accollo, cit., 238, Cicala, op. ult. cit., p. 91 e ss., nonché p. 101 e ss.; La Porta,L’assunzione del debito altrui, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano 2009, p. 207 e ss.

(4) Cfr. Carpino, Espromissione cumulativa e fideiussione, in questa Rivista, 1969, I, p.

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Pacifico è poi che, sempre nella espromissione, il congegno negozialepreordinato all’assunzione del debito riguardi unicamente creditore e ter-zo (5), certo sull’orma del rapporto di valuta tra debitore e creditore (arg. exart. 1272, comma 3o, c.c.) ma, per lo meno sul piano formale, a prescindereda quello di provvista, in tesi persino eventuale (arg. ex art. 1272, comma 2o,c.c.) (6); per l’appunto, un ulteriore indice della cifra di maggiore « agilità »che contraddistingue lo schema espromissorio, a paragone delle complesse in-telaiature di posizioni soggettive e rapporti che ricorrono tanto nella delega-zione quanto nell’accollo (esterno) e che vedono in ogni caso direttamentecoinvolto il debitore originario (7).

Come bene ha, però, sottolineato la dottrina cui si deve il maggiore con-tribuito all’approfondimento teorico dell’istituto in esame, la linearità del-l’espromissione è stata talvolta foriera anche di una qualche approssimazio-ne nella compiuta comprensione della relativa fattispecie, quando non già diequivoci interpretativi intorno ad essa (8); equivoci tra i quali ci pare vadaannoverata anche la prevalente lettura della norma di riferimento (l’art.1272, c.c.) che alla dimensione del contratto — ed unicamente ad essa —

395 e ss.; Stella, Le garanzie del credito, Milano 2010, pp. 82-83; Briganti, L’espromis-sione, in Briganti-Valentino, Le vicende delle obbligazioni. La circolazione del credito edel debito, Napoli 2007, p. 335 e ss. In giurisprudenza cfr., ad esempio, Cass. 7 dicembre2012, n. 22166, in Mass. Giust civ., 2012, 12, p. 1388, nonché Cass. 16 febbraio 2004, n.2932, in Mass. Giust. civ., 2004.

(5) Seppure, come si dirà, con il primo soggetto non sempre necessariamente chiamatoa vestire i panni di « parte » in senso tecnico del negozio, ben potendo infatti essere ancheun mero destinatario della volontà impegnativa altrui. Descrive icasticamente l’espromis-sione come « l’unico schema negoziale destinato a regolare i soli interessi dell’assuntore edel creditore che si esauriscono nell’assunzione del debito in sé considerata » Grasso, Dele-gazione, espromissione e accollo, cit., p. 83.

(6) Mette appena conto sottolineare come l’estraneità del debitore espromesso sia da in-tendere in senso tecnico, ossia limitata al negozio terzo-creditore. Del resto — ed è opportu-na considerazione che si deve già alle riflessioni di Betti, Della differenza fra expromissio edelegatio con riguardo alla responsabilità del delegante per insolvenza del delegato, inAnn. di dir. comp., 1931, v. VI, Parte I, f. II, p. 577 e ss., ma spec. 584 — sebbene il com-ma 2o dell’articolo 1272 c.c. subordini ad una espressa convenzione tra espromittente e cre-ditore la possibilità che l’uno possa opporre all’altro le eccezioni relative al rapporto che lolega all’espromesso, è piuttosto irrealistico pensare ad un intervento del terzo che sia deltutto sganciato da un previo concerto con il debitore, accadendo anzi nella normalità deicasi che in tanto il terzo intervenga in quanto a ciò tenuto sulla base di precisi vincoli giuri-dici intercorrenti con il debitore, salva la residuale prospettiva di un intervento sorretto daspirito liberale. Le medesime considerazioni valgono a relegare più alla teoria che non allaprassi concrea la eventualità, pure formalmente non revocabile in dubbio, che il rapportoc.d. di provvista neppure esista.

(7) Vedi, in tal senso, le osservazioni di Rodotà, voce Espromissione, in Enc. dir., XV,Milano 1966, p. 783. Basti dire, al riguardo, della regola dettata dall’articolo 1274 c.c., cheunicamente al delegante ed all’accollato, in ragione del ruolo attivo da essi assunto nella vi-cenda modificativa, addossano il rischio della insolvenza del terzo.

(8) Cfr. Cicala, L’adempimento indiretto del debito altrui, Napoli 1968, 9.

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appiattisce la struttura del negozio da cui il rapporto può trarre titolo (9).Non soltanto, beninteso, laddove il dispositivo negoziale dia vita ad una

variante ab origine privativa, in cui in effetti il consenso del creditore, oltreche imprescindibile ai fini del prodursi dell’effetto liberatorio (arg. ex art.1272, comma 1o, c.c.), sta in rapporto sinallagmatico con l’assunzione del-l’impegno da parte del terzo ed implica dunque di necessità la cornice con-trattuale. Bensì pure allorché il titolo del nuovo vincolo sia scaturigine di unavariante solo cumulativa dell’espromissione, poco importa se poi seguita dalladichiarazione di affrancazione da parte dell’espromissario e tale dunque dadivenire essa stessa liberatoria (10).

In altri termini, quell’unitarietà del fenomeno espromissorio che opportu-namente si è ritenuto di dover valorizzare, in ragione del ricorrere comunque— privativa o meno che ne sia la versione — di una c.d. « minima unità effet-tuale » data dall’assunzione del debito altrui (11), ha finito col travalicare ilpiano causale, condizionando anche quello della struttura dell’atto di autono-mia privata (12), nel senso di accreditare la necessità dell’accordo pure laddo-ve la tipologia degli effetti prodotti (vincolo cumulativo) consentirebbe di far-ne a meno.

Si palesa, però, in tal modo una evidente precomprensione del momentostrutturale, tanto più marcata quanto solo si considerino due distinti fattori.

Il primo è costituito dalla eminenza che la stessa norma di fattispecie as-segna agli effetti giuridici, rispetto al titolo che li genera; l’articolo 1272 c.c.risulta infatti più vago nel mettere a fuoco le fonti del rapporto espromissoriodi quanto non sia nel tracciare i due diversi scenari (effettuali) in cui questopuò risolversi (13), cosicché la nettezza dell’indirizzo prevalente circa la fisio-

(9) Sul punto della fungibilità di diversi schemi negoziali (unilaterali oltre che contrat-tuali) quale possibile scaturigine degli effetti espromissori, a seconda che si abbia espromis-sione cumulativa o liberatoria, è tuttavia lo stesso Cicala, op. ult. cit., 5, nt. 2, ad abbrac-ciare una lettura estremamente schematica della fattispecie, giungendo a tacciare di incon-sapevolezza le opinioni (invero assai vaghe) espresse dai primi commentatori che si sonoespressi a favore di una possibile non esclusività dello strumento contrattuale: cfr. Pettiti,Rapporto cartolare ed espromissione, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1952, II, p. 1660; analo-gamente Striani, Sulla figura della espromissione condizionata e sulla sua disciplina comenegozio atipico, in F. it., 1956, I, cc. 1944-1947.

(10) Su cui si rinvia, sin d’ora, a Cicala, Espromissione, cit., p. 20; Grasso, Delegazione,espromissione e accollo, cit., p. 85.

(11) Così ancora Cicala, L’adempimento indiretto, cit., pp. 48, 64; Id., Espromissione,cit., p. 73 e ss.

(12) Vedi in tal senso già Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano 1936, p.244; con riguardo al Codice vigente netta appare sul punto la posizione di Rescigno, Studisull’accollo, cit., p. 4 ad avviso del quale « Il creditore è parte del contratto di espromissio-ne: su questo punto non può esservi incertezza ».

(13) Del resto, può aggiungersi, è giusto sulla scorta di questo primato della dimensioneeffettuale su quella genetica che è stato possibile annettere al paradigma dell’espromissionenumerose ipotesi di assunzione ex lege del debito altrui Si veda, in proposito, lo studio di

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nomia pattizia di quelle si radica di necessità su di un piano altro da quellomeramente positivo.

Il secondo risiede, invece, nella singolare « dissociazione » del metodo in-terpretativo, cui si è finito col dar luogo onde corroborare (rectius: non smen-tire) l’assunto di partenza della indefettibilità del contratto.

Metodo interpretativo, infatti, ora — in punto di ricostruzione della di-mensione causale e dell’oggetto del vincolo obbligatorio — ispirato all’analisisemantica del dettato positivo, così da valorizzare il significato più propriodell’espressione « assumere il debito altrui » e trarne tutti i corollari effettua-li (14); ora, invece — allorché orientato alla indagine strutturale — per l’ap-punto condizionato da una sorta di dogmatismo pancontrattualista (15) e di-sancorato da un dato letterale che viceversa, col menzionare il solo agire delterzo ed il tacere su qualsivoglia accettazione espressa da parte del credito-re (16), di certo lascia ampi margini per sostenere quanto meno la fungibilitàtra struttura unilaterale (rectius: promessa) e contratto, ai fini della genesi delvincolo obbligatorio in capo all’assuntore.

2. — La presenza stessa, nel corpo del Codice Civile, di una norma de-dicata alla espromissione costituisce, come noto, un elemento di discontinui-tà rispetto alla tradizione precedente, informata alla impostazione del codeNapoléon, che riconduce la modificazione soggettiva passiva del rapportoobbligatorio alla sola novazione, di questa configurando infatti tre diversevarianti (art. 1271) tra cui quella in cui « parl’effet d’un nouvel engage-ment, un nouveau créancier est substitué à l’ancien » (art. 1271, n. 3, cod.nap.).

Sarebbe, tuttavia, per lo meno corriva una lettura che pretendesse di at-tribuire portata meramente formale al nuovo corso inaugurato con la codifi-cazione del 1942.

Tomassetti, Assunzione unilaterale ed espromissione « ex lege », in R. trim. d. proc. civ.,1997, p. 29 e ss., ma spec. p. 43.

(14) Segnatamente la degradazione a sussidiaria della responsabilità dell’originario de-bitore. Vedi per tutti Cicala, Espromissione, cit., p. 29 e ss. nonché Campobasso, Coobbliga-zione cambiaria e solidarietà diseguale, Napoli 1974, p. 268 e ss. Sottolinea altresì l’identi-tà di oggetto tra il vincolo obbligatorio originario e quello assunto dal terzo espromittenteBriganti, L’espromissione, in Briganti-Valentino, Le vicende delle obbligazioni. La circola-zione del credito, cit., p. 329.

(15) Sul punto sono, ancora di recente, piuttosto paradigmatiche le argomentazioni im-piegate a sostegno da Cass. 7 dicembre 2012, n. 22166.

(16) Si vedano, sul punto, le incisive osservazioni di Bianca, Diritto Civile, 4, L’obbliga-zione, Milano 1993, pp. 665 (ed ivi anche nt. 10) - 666; analogamente Tomassetti, Assun-zione unilaterale ed espromissione « ex lege », cit., pp. 66-67. Diversamente, invece, Cicala,L’espromissione, cit., p. 11, il quale, pur essendo un fautore convinto della esclusività delcontratto quale congegno in grado di dar vita al rapporto espromissorio, ritiene però chenessun argomento, circa la composizione strutturale della fattispecie, sia dato inferire daltesto dell’articolo 1272 c.c.

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Vero è, infatti, che l’expromissio (17) è schema che affonda le proprie ra-dici sin già nel diritto romano e che il codice civile del 1865, sotto le insegnedella novazione soggettiva passiva, disciplinava (art. 1270 c.c. abr.) una fat-tispecie sostanzialmente riconducibile alla espromissione privativa (18), purtra le incertezze classificatorie legate alla disputa tra novazione e successionenel debito, che ancora riecheggia nella Relazione al Re (19).

Vero è del pari, tuttavia, che l’articolo 1272 c.c. codifica — ed eleva anzia modello ordinario — pure l’allotropo cumulativo della fattispecie, così tipiz-zando uno schema in passato al più prefigurato in chiave di atipicità (20); edancora, che l’effetto di degradazione a sussidiaria della responsabilità del de-bitore originario, non liberato dal creditore, ancorché dettato per la sola dele-gazione (art. 1268, comma 2o, c.c.) va reputato in realtà comune anche adespromissione cumulativa ed all’accollo esterno, siccome parimenti riconduci-bili alla categoria delle obbligazioni con solidarietà passiva diseguale (21).

Del resto, proprio alla luce delle novità introdotte con la codificazione, inprimis la rilevanza tipica attribuita alla distinzione tra i due tipi di espromis-sione, la migliore dottrina ha sollecitato una rimeditazione teorica di numero-se questioni relative alla fattispecie negoziale nel suo insieme, specie in puntodi struttura oltre che di causa (22).

Nondimeno, le indagini condotte in tale direzione non sono approdate aquegli esiti « eterodossi » che sarebbe stato forse lecito attendersi, in ciò pro-babilmente scontando due diversi ordini di condizionamenti.

Un primo, per così dire esogeno, esercitato dalla codificazione tedesca.Questa, infatti, pur non disciplinando autonomamente l’espromissione (23),bensì un più generale paradigma di accollo di debito (§§ 414-419), con-templa sì l’assunzione della posizione debitoria altrui (§ 414 BGB), ma informa unicamente liberatoria (privative Schuldübernahme) (24) e quale

(17) Si vedano al riguardo Betti, Della differenza tra « expromissio » e « delegatio »,cit., p. 9 e ss., nonché Masi, voce Expromissio, in Nov. D., VI, Torino 1960, p. 1092 e ss.

(18) Cfr. Bigiavi, La delegazione, cit., p. 35.(19) Cfr. Relazione al Re, n. 584, cit.(20) Attraverso il riferimento all’adpromissio: cfr. Rodotà, voce Espromissione, cit.,

782.(21) Sul punto vedi comunque infra. Sin d’ora appare comunque imprescindibile il rin-

vio a Rescigno, Studi sull’accollo, cit., pp. 66 e ss., 703 ss.; Campobasso, Coobbligazione,cit., p. 268 e ss.

(22) Così Rodotà, voce Espromissione, cit., p. 782.(23) Così come le altre fattispecie che inverano, secondo il nostro codice civile, modifi-

cazione del lato passivo del rapporto obbligatorio.(24) Invero la dottrina tedesca ammette da tempo anche una variante (atipica e) cumulati-

va di assunzione del debito altrui (kumulative Schuldübernahme): cfr. già Larenz, Lehrbuchdes Schuldrechts, Band I, Allgemeiner Teil, München-Berlin 1963, § 31, p. 357 e ss.; più am-pi riferimenti in Campobasso, Coobbligazione cambiaria e solidarietà diseguale, Napoli1974, p. 268, nt. 48 e Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli 1972, p.

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contratto tra terzo e creditore (Vertrag zwischen Gläubiger und Überneh-mer).

Un secondo, certo assai più pregnante e tutto interno al sistema, legatoinvece all’idea del primato indiscusso del contratto tra i congegni a disposi-zione dell’autonomia privata, ed alla correlativa minimizzazione dei marginioperativi assegnati alle promesse unilaterali.

Da qui, per l’appunto, il consolidarsi, tanto in dottrina quanto in giuri-sprudenza, dell’opinione secondo cui la fattispecie dell’articolo 1272 c.c.,metta capo o meno ad un effetto cumulativo, dovrebbe originare pur sempreda un contratto tra creditore e terzo (25).

Certo non è mancata qualche apertura nella direzione di modalità perfe-zionative meno canoniche rispetto allo scambio di promessa ed accettazioneconforme, postulandosi in particolare il ricorso al modello operativo dettatodall’articolo 1333, c.c. (26); ciò è tuttavia avvenuto pur sempre all’insegnadella conventio ad excludendum verso forme di assunzione puramente unila-terale del vincolo obbligatorio e più in generale verso una reale fungibilità tracontratto ed altre strutture negoziali (promesse in testa), quale modo di espli-cazione dell’autonomia privata.

Sostanzialmente minoritarie sono invece rimaste le voci inclini ad am-mettere una alternatività piena — in tema di espromissione cumulativa — trafonte pattizia e non, peraltro dovendosi ulteriormente distinguere tra coloro iquali si sono espressi a favore del possibile ricorso a vere e proprie promesseunilaterali (27) e quanti hanno invece prefigurato, più genericamente, la sem-

260, nt. 81. V., altresì, nella letteratura più recente, Lang, Die Kumulative Schuldübernahmein der Rechtsprechung des Reichsgerichts und in der zeitgenössichen literatur, Frankfurt amMain 2004, passim.

(25) Cicala, L’adempimento indiretto, cit., pp. 6, 43-45; Rescigno, Studi sull’accollo,cit., p. 4; Rodotà, voce Espromissione, cit., p. 783, il quale, in parte rifacendosi al pensierodi Nicolò (L’adempimento dell’obbligo altrui, cit., p. 270) circa la « fondamentale unifor-mità » di caratteri essenziali tra le varie figure negoziali che attuino interventi del terzo di-versi dall’adempimento della prestazione già dovuta dal debitore, condivide l’assunto se-condo cui tali figure hanno « in comune la natura contrattuale ». Nello stesso senso v. al-tresì Carpino, Espromissione cumulativa e fideiussione, cit., pp. 400-402; Ceci, La contrat-tualità dell’espromissione cumulativa, in Rass. d. civ., 1989, p. 289. In giurisprudenza cfr.,tra le pronunzie più recenti, Cass. 7 dicembre 2012, n. 22166, cit.; Cass. 10 novembre2008, n. 26863, in Obbl. e Contr., 2009, p. 500 e ss., con nota di Tomassetti; Cass. 13 di-cembre 2003, n. 19118, in Contratti, 2004, p. 652 e ss.; Cass. 5 aprile 2001, n. 5076, inMass. Giust civ., 2001, p. 716.

(26) Cfr. La Porta, L’assunzione del debito altrui, cit., p. 170 e ss. Una indicazione nel-la medesima direzione si coglie comunque già in Sacco, Il contratto, in Tratt. Vassalli, VI,2a ed., Torino 1975, p. 32. Ammette la possibilità di far ricorso, per la sola espromissionecumulativa, al modello di formazione dettato dall’articolo 1333 c.c. anche Nappi (Commen-to all’art. 1272, in Commentario del codice civile dir. da E. Gabrielli, Delle obbligazioni —artt. 1218-1276, a cura di V. Cuffaro, Torino 897), alla sola condizione, tuttavia che il ter-zo assuma il debito senza contrattare con il creditore alcun corrispettivo.

(27) Cfr. Bianca, Diritto civile, cit., pp. 665-666; Mancini, L’espromissione, in Tratt. Re-

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plice versatilità allo scopo di un paradigma (astratto) di negozio giuridicounilaterale recettizio (28).

Non può comunque sottacersi, e sul punto si tornerà nel prosieguo del-l’indagine, che i segnali più interessanti di discontinuità rispetto alla tralatiziaimpostazione contrattualistica si apprezzano oggi nella stessa giurisprudenzadella Suprema Corte di Cassazione, allorché nel 2006 (29), prima, e nel2009 (30), poi, ha esplicitamente preso posizione giusto a favore della fungibi-lità tra fonte bilaterale e meramente unilaterale, ai fini della genesi del rap-porto espromissorio. Indicazione, questa, che meriterebbe forse di venire va-lorizzata nell’ambito di una riflessione di più ampio respiro sulla diffusione ditecniche di formazione unilaterale del rapporto obbligatorio, già del resto evi-dente sul fronte delle garanzie personali (31).

3. — Centrale, nelle tesi contrattualistiche, è l’assunto del concorso ne-cessario del creditore ai fini del perfezionamento del negozio espromissorio,quale riflesso, in punto di struttura, della sostanza effettuale della fattispecie,sia privativa che cumulativa. Valutazione ineccepibile nel primo caso, assaimeno persuasiva nel secondo

In ordine alla variante liberatoria, è invero la lettera stessa dell’articolo1272 c.c. a richiedere il consenso espresso del creditore, ai fini della affranca-zione del debitore originario, coerentemente con il principio di relatività deglieffetti del negozio (32) e stante l’indole svantaggiosa del venir meno della ga-ranzia costituita dal vincolo obbligatorio in capo al soggetto passivo originario.

Escluso così che una semplice dichiarazione impegnativa del terzo possa

scigno, vol. 9, 2a ed., Torino 1999, p. 504. Sia, inoltre, consentito rinviare a Camilleri, Laformazione unilaterale del rapporto obbligatorio, Torino 2004, 39. Una posizione a sé vie-ne espressa da Di Giovanni, Le promesse unilaterali, Padova 2010, p. 175, il quale ritienepossa al più postularsi il ricorso ad una promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., il che pe-rò è altra cosa dal prefigurare una reale formazione unilaterale del rapporto obbligatorioche coinvolge il terzo: sul punto v. comunque infra.

(28) Cfr. Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli 1972, p. 258 e ss.,testo e note.

(29) Cfr. Cass. 12 aprile 2006, n. 8622, in Mass. Giust. civ., 2006, p. 4.(30) Cfr. Cass. 26 novembre 2009, n. 24891, in Mass. Giust civ., 2009, p. 1633, ove la

Corte, ai fini della configurazione strutturale dell’espromissione, giunge addirittura a rite-nere più appropriato il paradigma del negozio unilaterale rispetto a quello del contratto.

(31) In tema di fideiussione si vedano Cass. 13 febbraio 2009, n. 3525, in Banca, bor-sa, tit. cred., 2011, II, p. 300 con nt. di Cuccovillo; nonché Cass. 13 giugno 2006, n.13652, in Mass. F. it., 2006, p. 1286; in tema di patronage forte si veda Cass. 3 aprile2001, n. 4888, in G. it., 2001, p. 2254.

(32) Sulle condizioni per la cui possibile deroga si rinvia ai lavori di Benedetti, Dal con-tratto al negozio unilaterale, Milano 1969, passim, ma spec. p. 204; Moscarini, I negozi afavore del terzo, Milano 1970, 170; Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit.Nella letteratura più recente cfr. altresì Mazzarese, Invito beneficium non datur: gratuitàdel titolo e volontà di ricevere l’attribuzione, in R. crit. d. priv., 2001, p. 3 e ss.

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mettere capo ad una assunzione liberatoria del debito altrui, si è ritenuto nonpotersi avere altrimenti espromissione privativa che in dipendenza di un con-sensus ad idem di espromittente ed espromissario, perfezionativo di un con-tratto ad efficacia diretta (33).

Di più, che l’obbligarsi dell’espromittente e la disposizione liberatoriadell’espromissario siano avvinti da un preciso nesso di corrispettività, alla cuistregua — a parte le ricadute di più immediata evidenza, quali la risolubilitàdel contratto ex art. 1453 c.c. — la liberazione dell’originario debitore integriatto dispositivo del credito, compiuto dal suo titolare e dettato dalla volontàdi conseguire l’effetto satisfattivo che si riannoda alla assunzione del terzo(controprestazione) (34), donde la subordinazione dell’eventuale interessecontrario del debitore al mero apprezzamento del soggetto attivo, ai sensi del-l’art. 1180, comma 2o, c.c. (35).

Non diversamente, nel senso della indefettibilità del contratto, si è tutta-via opinato anche in merito all’allotropo cumulativo della fattispecie.

Come già anticipato, si deve ai contributi della migliore dottrina, e puòormai ben dirsi sicura acquisizione teorica, la ascrizione della stessa espro-missione al paradigma delle c.d. obbligazioni con solidarietà diseguale, nellequali cioè il vincolo solidale, in linea con quanto prevede l’articolo 1293 c.c.,si articola diversamente dall’ordinario e vede degradare a sussidiaria l’esposi-zione di uno dei soggetti passivi (36).

(33) Cfr. Cicala, Esromissione, cit., p. 22. Riporta l’espromissione liberatoria al para-digma del contratto a favore di terzo (il debitore espromesso), seppur con taluni adatta-menti rispetto al modello consueto, Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 238. Contro questalettura si è, tuttavia osservato come il prodursi degli effetti verso il terzo non risulterebbericollegabile, nella espromissione, ad un modo d’essere accidentale di una vicenda altrimen-ti circoscrivibile a stipulante (espromissario) e promittente (espromittente): vedi Briganti,L’espromissione, cit., p. 322.

(34) In tal senso già Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, cit., p. 262. Vigente ilcodice del 1942 cfr. Cicala, L’adempimento indiretto del debito altrui, cit., pp. 43-45; Id.,Espromissione, cit., pp. 22-23; Rodotà, op. ult. cit., pp. 784 e 787. Nel medesimo senso v.altresì Bianca, Il contratto, cit., pp. 671-672; Briganti, L’espromissione, cit., p. 317; Gras-so, Delegazione, cit., p. 85.

(35) Cfr. Cicala, Espromissione, cit., pp. 23-24; Nappi, Commento all’art. 1272, c.c.,cit., pp. 888-889. Contra tuttavia Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 116.

(36) Con riguardo all’espromissione v. già Quagliariello, L’espromissione, Napoli1953, p. 89 e ss. L’intuizione di questo primo A. è tuttavia poi stata ripresa ed ulteriormen-te sviluppata da Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 67 e ss.; Cicala, Espromissione, cit., p.29 e ss., ma spec. p. 37 e ss. La categoria delle obbligazioni con solidarietà passiva disegua-le, richiamata nel testo, è individuata e descritta da Campobasso, Coobbligazione cambia-ria, cit., p. 246 e ss. ed è ad essa che l’autore persuasivamente riconduce l’espromissionecumulativa (ivi, p. 268 e ss.). L’estensione dell’articolo 1268 c.c. all’espromissione è statainvero sottoposta ad articolata critica da Grasso, Assunzione cumulativa del debito, inScritti in onore di Falzea, Milano 1991, II, t. 2, p. 389 e ss.; lo stesso A. ha tuttavia mutatoopinione in un lavoro più recente, prendendo posizione a favore di una sussidiarietà atte-nuata: cfr. Id., Delegazione, cit., p. 94.

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Con particolare riguardo alla figura al nostro esame, ove pure la nozionedi solidarietà viene espressamente richiamata dall’articolo 1272, comma 1o,c.c., si è persuasivamente argomentato che il significato letterale da attribuirealla formula della assunzione del debito altrui importi, ad instar delle altrefattispecie congeneri della delegazione e dell’accollo, lo spostamento del pesoeconomico dell’obbligazione sul terzo assuntore, rendendo per l’appunto solosussidiaria la responsabilità a carico del debitore originario, attraverso il deli-nearsi di un beneficium ordinis a suo favore.

Alla espromissione sarebbe, in definitiva, applicabile analogicamente la di-sposizione dettata dall’articolo 1268, comma 2o, c.c. in tema di delegazione, don-de la imposizione al creditore dell’onere di richiedere (/attendere) il previo adem-pimento del terzo assuntore, prima di potersi rivolgere all’espromesso (37).

Ebbene, giusto in questa sorta di vincolo procedurale al più pieno enfor-cement del diritto di credito si è scorto un effetto svantaggioso o potenzial-mente tale per chi ne sia titolare; dal che, in una con l’interdizione del suoprodursi in dipendenza di una fonte semplicemente unilaterale quale la solamanifestazione di volontà del terzo assuntore, ancora una volta la ritenutanecessità del ricorso allo schema del contratto (38).

Di più, persino nell’ipotesi di espromissione cumulativa si è giunti a pre-figurare un nesso di corrispettività tra l’assunzione del vincolo da parte delterzo e la degradazione a sussidiaria della posizione passiva del debitore origi-nario, non ritenendosi, questa seconda, effetto « che possa prodursi senza ilconsenso del creditore » ed anzi scorgendovisi il contenuto della (contro)pre-stazione a carico del soggetto attivo del rapporto obbligatorio (39).

Senonché, a differenza di quanto non possa dirsi per la versione privativadella fattispecie che ci occupa, la tesi che accredita come indefettibile la cor-nice contrattuale anche per quella cumulativa mostra evidenti limiti, vuoi sot-to il profilo più squisitamente ricostruttuivo, vuoi sotto quello pratico.

Rinviando la disamina degli uni al prosieguo dell’analisi, può osservarsi,riguardo agli altri, come l’opzione contrattualistica accrediti in effetti una ri-gidità del momento genetico del rapporto espromissorio che tradisce gli obiet-tivi di speditezza perseguiti dal legislatore e che si presta vieppiù anche ad as-secondare esiti per lo meno iniqui, consistenti in ciò, che chi pure (il terzo)abbia ingenerato un affidamento ragionevole sulla impegnatività delle propriedichiarazioni si ritrovi poi nelle condizioni di poter invocare agevolmente la« insufficienza » di queste ultime ai fini della venuta ad esistenza di una ob-bligazione a proprio carico.

(37) Vedi chiaramente Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 66 e ss. Per la identificazionecome sussidiaria della responsabilità dell’accollato, in ipotesi di accollo (esterno) cumulati-vo si veda Cass. 24 maggio 2004, n. 9982, in F. it., 2004, I, c. 9405.

(38) Così, ad esempio, Cicala, Espromissione, op. e loc. ult. cit.(39) Cfr. Rodotà, voce Espromissione, cit., p. 788. In senso analogo già Di Giovine, Note

sulla causa del negozio di espromissione cumulativa, in D. e giur., 1965, p. 600.

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Rappresentativa di una situazione che pure si osserva costante nei variambiti di impiego della assunzione (espromissoria) del debito altrui può dirsila casistica in tema di assicurazione della responsabilità civile, regolata dal-l’articolo 1917 c.c., norma che ha conservato un significativo raggio d’azionepure all’indomani della entrata in vigore della legge sulla obbligatorietà dellaRCA (l. 24 dicembre 1969, n. 990) (40).

Premesso, infatti, come dalla stipulazione del contratto assicurativo nonderivi alcun rapporto giuridico diretto tra l’assicuratore ed il singolo danneg-giato (41), l’adesione all’idea della indefettibilità del contratto ai fini del sor-gere del rapporto di espromissione conduce ad escludere che l’iniziativa spon-taneamente assunta dal primo soggetto, il quale contatti direttamente il se-condo (creditore) e gli manifesti ad esempio l’intenzione di provvedere al pa-gamento diretto del risarcimento dovutogli dal danneggiante-assicurato —magari persino liquidando la relativa somma — possa costituire fonte idoneaal sorgere del vincolo espromissorio; e ciò pure ad onta delle condotte anchesolo omissive (ad esempio l’omissione di atti interruttivi della prescrizione)che il destinatario di quelle dichiarazioni possa aver tenuto, per l’appunto fa-cendo affidamento sulla loro impegnatività.

4. — Certo non v’è dubbio che le distorsioni appena descritte, cui minac-cia di mettere capo la prevalente ricostruzione circa la modalità perfezionati-va della espromissione, non sono di per sé sufficienti a confutare gli argomen-ti che a quella stessa impostazione sottostanno.

Sarebbe d’altronde fuorviante ritenere qui decisiva, ai fini dell’accredita-mento di eventuali fonti dell’obbligazione (del terzo) alternative al contratto,giusto la verifica di effettività, prevedibilità e ragionevolezza di quella relian-ce del creditore (42) che pure rischia di venire sovente frustrata. Come si dirà,infatti, una dichiarazione nella quale si menzioni l’obbligo già gravante su al-tri e si espliciti l’intenzione di farsene carico, ovvero addirittura si prometta diadempierlo, è da reputare autosufficiente sotto il profilo giustificativo, veico-lando, il suo stesso contenuto, una expressio causae (43); da qui il carattere

(40) Il cui art. 18, come è noto, ha introdotto il principio dell’azione diretta del danneg-giato nei confronti dell’assicuratore, per l’appunto derogando a quanto invece previsto dal-l’art. 1917 c.c., che non trova pertanto più applicazione nell’ambito della assicurazione ob-bligatoria sulla responsabilità civile da circolazione di autoveicoli.

(41) Cfr. Cass. 5 aprile 2001, n. 5076, cit.; contra v., comunque, Cass. 12 aprile 2006,n. 8622, cit.

(42) Queste, in punto causale, le principali « condizioni » per ammettere fattispecie ati-piche di promessa unilaterale: cfr. Camilleri, La formazione unilaterale del rapporto obbli-gatorio, cit., p. 71 e ss., p. 139 e ss.

(43) Tale promessa, in altri termini — analogamente alle altre ipotesi tipiche di promes-sa — soddisferebbe già sotto il profilo formale la prescrizione causale: per questa imposta-zione v., per tutti, Spada, Cautio quae indiscretae loquitur: lineamenti funzionali e struttu-rali della promessa di pagamento, in questa Rivista, 1978, I, p. 673 e ss. ma spec., p. 754.

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neutro dell’affidamento eventualmente riposto dal promissario, ai fini delpuntello di vincolatività della dichiarazione stessa.

È però per altra via che quella impostazione contrattualistica merita diessere attentamente riconsiderata, a vantaggio di una sostanziale fungibilitàtra accordo e promessa, per lo meno sul terreno della espromissione cumulati-va.

Non è, invero, controvertibile che l’espromissione assuma forma contrat-tuale allorché, liberatoria o cumulativa che sia, l’iniziativa della sua genesivenga assunta dal creditore. In tal caso sarà il soggetto attivo dell’originariorapporto obbligatorio a formulare una proposta all’indirizzo di un soggettoterzo, di talché la dichiarazione assuntiva che questi si determini ad emetterenon risulterà altrimenti inquadrabile che quale accettazione conforme dellaproposta rivoltagli.

Del pari può dirsi, poi, in relazione all’ipotesi in cui l’espromissione sia sìprivativa ma tale fin dal sorgere del relativo rapporto giuridico.

Essendo necessaria, già a mente dell’articolo 1272, comma 1o, c.c., unaespressa manifestazione di volontà del creditore, affinché il debitore possa es-sere affrancato dal vincolo a proprio carico, quella manifestazione di volontàammonterà ad accettazione conforme di una proposta del terzo, già orientataalla liberazione altrui; ovvero, senza che la cornice contrattuale ne venga peròminimamente intaccata, a controproposta dello stesso soggetto attivo, accetta-ta poi dal terzo, quante volte l’originario atto prenegoziale di quest’ultimo ri-sultasse anche solo muto circa le sorti del debitore espromittendo.

Diverse conclusioni sembra tuttavia legittimo trarre vuoi in presenza diespromissione cumulativa, vuoi a fronte di una espromissione che liberatoriadivenga solo successivamente e per autonoma iniziativa del solo creditore.

Prendendo le mosse da questa ultima ipotesi giova richiamare l’autorevo-le insegnamento secondo cui la dichiarazione di liberazione dell’originariosoggetto passivo potrebbe anche intervenire autonomamente rispetto all’as-sunzione del vincolo obbligatorio da parte del terzo, atteggiandosi a mò dielemento autonomo, esterno allo schema negoziale e tale da rendere semmaicomplessa una fattispecie (quella dell’espromissione, appunto), altrimentisemplice (44).

Fatta allora questa premessa, mette conto rilevare come altro sia esclude-re, in ragione della necessità del consenso del creditore, che l’allotropo già aborigine privativo del rapporto giuridico possa discendere da un negozio unila-terale riferibile al terzo, ed anzi reputare che la manifestazione di volontà diquest’ultimo — poco importa se in veste di proposta o accettazione — non

Vedi però una penetrante critica a questo approccio formalistico in Scalisi, voce Negozioastratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano 1978, p. 52 e ss., ma spec. p. 88.

(44) Cfr. Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 113, nt. 5; Cicala, L’adempimento indiret-to, cit., p. 34 e ss.; Campobasso, Coobbligazione cambiaria, cit., p. 274 e ss. Di supplemen-to di fattispecie parla anche Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, Torino 1962,p. 226.

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possa che far corpo con la dichiarazione liberatoria resa dal creditore e dar vi-ta ad un contratto a prestazioni corrispettive; altra cosa è invece ritenere chela cornice contrattuale rimanga comunque indispensabile pure allorquando laliberazione del debitore semplicemente segua, cronologicamente, il sorgere delvincolo dell’espromittente, e ne resti distinta per titolo, discendendo da unmero negozio (unilaterale) remissorio, riconducibile al soggetto attivo del rap-porto obbligatorio.

Invero, la tesi del possibile carattere successivo della liberazione è statasottoposta a critica da quanti respingono l’idea di una graduazione delle re-sponsabilità tra debitore originario e terzo assuntore, ritenendo piuttostosussistere tra di essi un vincolo del tutto ordinario di solidarietà, in strettaaderenza con quanto espressamente evocato dallo stesso articolo 1272 c.c.(« il terzo ... è obbligato in solido... ») (45); da qui la supposta ripartizioneinterna pro quota tra i condebitori e, soprattutto, la prefigurazione degli ef-fetti di cui all’articolo 1301 cod civ. in dipendenza di una remissione che ilcomune soggetto attivo eventualmente rivolga a beneficio di uno solo deicoobbligati.

A confutazione di tale opinione è tuttavia sufficiente rifarsi ancora unavolta alla persuasiva dimostrazione circa il carattere in realtà solo sussidiariodella solidarietà che si instaura tra espromesso ed espromittente (46).

Detto già dello spostamento sul terzo assuntore del peso economico deldebito, può aggiungersi intanto come tra quest’ultimo ed il debitore originariodifetti quell’Interessengemeinschaft che presiede alla regola di ripartizione in-terna pro quota ex art. 1298 c.c., donde non a caso la simmetria tra l’incisofinale dell’articolo 1272, comma 3o (sui limiti alla eccezione di compensazio-ne) e l’articolo 1302, comma 1o, c.c.; ed inoltre, che le rispettive posizionipassive di entrambi i soggetti si riferiscono ad obbligazioni autonome, traentititolo da fonti distinte (47), sebbene l’esistenza dell’una concorra a definire ilsostegno causale dell’altra e vi sia identità d’oggetto tra di esse.

Corroboratane la piena ammissibilità gli è, però, che quante volte la di-chiarazione di affrancazione (48) per l’appunto segua la genesi del rapporto

(45) Cfr. Carpino, Espromissione cumulativa, cit., p. 400, alla cui analisi si rifà adesiva-mente anche Bianca, Diritto civile, cit., p. 671, nt. 25.

(46) Su cui si rinvia alle tesi già richiamate nel precedente paragrafo 3.(47) Cfr. Campobasso, op. cit., p. 274 e ss., traendo ulteriore conferma della analisi di

cui al testo anche attraverso il regime delle eccezioni opponibili ricavabile dall’art. 1272,comma 2o, c.c., siccome in effetti parzialmente divergente sia dall’art. 1247 che dall’art.1945, c.c.

(48) Che va inquadrata nell’ambito del negozio di remissione del debito ex art. 1236,c.c.: cfr. Grasso, Delegazione, cit., p. 86; Briganti, L’espromissione, cit, p. 332. Di dichia-razione di natura remissoria parla altresì Campobasso, op. cit., p. 275, nonché ivi nt. 61.Mette appena conto osservare come la dottrina prevalente assegni alla opposizione del de-bitore natura risolutiva, nel senso, più esattamente, che essa varrebbe a rimuovere re-troattivamente le conseguenze già prodottesi in dipendenza della dichiarazione del credi-

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espromissorio, accade che in una con l’obliterazione del nesso sinallagmaticotra di essa e l’assunzione del vincolo da parte del terzo venga fatalmente me-no anche il più solido argomento a sostegno della indole necessariamente con-trattuale del titolo da cui la nuova obbligazione origina.

Nulla, certo, impedisce che di contratto sia anche in tal caso dato discor-rere; ma, ed è questo il punto, quid iuris laddove l’intera fattispecie (comples-sa) prenda forma attraverso il susseguirsi di due distinte dichiarazioni unila-terali, quali quella con cui il terzo assume il debito altrui e quella, successiva,con cui il creditore dichiari di liberare il debitore originario?

Indiscussa la natura unilaterale del negozio remissorio, attuato dal credi-tore ex art. 1236 c.c. (49), l’interrogativo testè posto rimanda, a ben vedere,alla riflessione sulle possibili varianti di struttura del negozio che dia vita allaespromissione cumulativa. Ed è però su questo terreno che ci si imbatte inprese di posizione contrarie che appaiano più legate ai presunti ostacoli che sifrapporrebbero all’impiego di congegni alternativi al contratto, che non adelementi effettivamente comprovanti la indefettibilità di questo ultimo, tantopiù che la persuasiva confutazione di ogni nesso sinallagmatico tra vincolodell’espromittente e degradazione della responsabilità dell’espromesso (50)priva, anche qui, la tesi della necessità dell’accordo del suo principale puntel-lo.

Così, alle laconiche affermazioni di parte della dottrina, secondo cui lanecessità del contratto trarrebbe alimento dalla impossibilità di « far discen-dere effetti obbligatori dalla sola promessa », in ragione del « regime rigoro-so » previsto dall’articolo 1987 c.c. (51), fa in certo senso eco, ancor di recen-te, la Suprema Corte di Cassazione, allorché rileva come una eventuale di-chiarazione impegnativa del solo espromittente dovrebbe farsi, in tesi, rien-trare tra le promesse unilaterali, le quali tuttavia, a mente dell’articolo 1987c.c., sono inidonee a determinare effetti obbligatori giuridicamente tutelabi-li » al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, tra cui non rientre-rebbe quello di specie (52).

5. — Coerente con la direttiva interpretativa che tende a marginalizzareil ruolo delle promesse unilaterali può dirsi, d’altra parte, anche l’orientamen-to che, ai fini della genesi di una espromissione cumulativa, propone di guar-

tore, a mò di una condizione risolutiva legale: vedi, per tutti, Breccia, Le obbligazioni,Milano 1991, p. 710.

(49) Cfr. per tutti Benedetti, Struttura della remissione. Spunti per una dottrina del ne-gozio unilaterale, in R. trim. d. proc. civ., 1962, p. 1308 e ss.

(50) Si veda Cicala, Espromissione, cit., p. 17, secondo cui la degradazione a sussidiariadella responsabilità del debitore originario, lungi dal potere essere identificata come sacrifi-cio a carico del creditore, costituisce un effetto automatico della assunzione del debito al-trui, operata dall’espromittente.

(51) Così Rodotà, voce Espromissione, cit., p. 784.(52) Così Cass. 7 dicembre 2012, n. 22166, cit.

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dare (anche) all’articolo 1333 c.c. (53), seppur accreditando come unilateraleil negozio che vi è cristallizzato.

Secondo questa impostazione, infatti, il vincolo obbligatorio dell’espro-mittente potrebbe sì originare da un congegno altro da quello bilaterale, e piùesattamente da una manifestazione di volontà del solo assuntore, ma pursempre in presenza di quelle condizioni cui è legata la derogabilità del princi-pio di non interferenza delle sfere giuridiche altrui (54), ossia indole vantag-giosa dell’attribuzione patrimoniale (55) e possibilità, per il terzo, di scherma-re la propria sfera giuridica, mediante la rifiutabilità degli effetti attributiviche gli sono indirizzati.

È però questo secondo requisito che, sempre stando alla ricostruzione incommento, risulterebbe soddisfatto unicamente dal contratto con obbligazionidel solo proponente e non anche dalla promessa unilaterale.

Laddove, infatti, lo schema di struttura dell’articolo 1333 c.c. mostra diconciliare unilateralità dell’atto obbligatorio (dell’espromittente) e potere dirifiuto dell’oblato (espromissario), non altrettanto si ritiene possa dirsi in re-lazione ad una mera dichiarazione promissoria del terzo, della quale si assu-me anzi la netta alterità dal paradigma del negozio unilaterale soggetto a ri-fiuto, per via dell’attitudine « ad attribuire immediatamente un diritto di cre-dito (non rifiutabile) al destinatario », cui non rimarrebbe, infatti, che il ri-corso allo strumento della remissione ex art. 1236 c.c. (56).

Per altro verso, poi, delle promesse si rammenta ancora una volta la re-

(53) Cfr. già Sacco, Il contratto, in Tratt. Vassalli, VI, Torino 1975, p. 32; Nappi,Un’ipotesi discutibile di espromissione cumulativa mediante proposta tacita, in D. e giur.,1976, p. 745 e ss., ma spec. p. 747 e ss. La tesi viene da ultimo ripresa da La Porta, L’as-sunzione del debito altrui, cit., p. 170 e ss. e spec. p. 179; ancora Nappi, Commento all’art.1272, cit., p. 897, per l’ipotesi in cui il terzo assuma il debito altrui senza contrattare alcuncorrispettivo con il creditore. Tende ad escludere, invece, che l’espromissione possa prende-re vita mediante semplice proposta dell’espromittente seguita dal mancato rifiuto del-l’espromissario Rodotà, voce Espromissione, cit., p. 788, ma in ragione della asserita corri-spettività della fattispecie cumulativa; diversamente Cicala, Espromissione, cit., p. 18, ilquale si basa, infatti, sul presupposto della indole non puramente vantaggiosa dell’effetto diautomatica degradazione a sussidiaria della responsabilità dell’espromesso. Essendo, que-sto, uno dei principali argomenti contro l’eventuale impiego delle promesse unilaterali al-l’ambito che ci occupa se ne rinvia la disamina critica al paragrafo seguente.

(54) Si vedano, al riguardo, i lavori già citati supra in nt. 32.(55) La natura puramente vantaggiosa dell’effetto attributivo a favore del terzo viene

tuttavia ridimensionata nella prospettiva di quanti, in forza del distinguo tra corrispettivitàed onerosità, ammettono che l’effetto in capo al terzo possa comportare per quest’ultimodegli elementi di onerosità, quali ad esempio alterazioni sì negative della propria sfera pa-trimoniale ma funzionali all’esercizio o alla conservazione del diritto stesso che viene attri-buito: così al riguardo della compatibilità tra accollo e degradazione a sussidiaria della re-sponsabilità dell’accollato già Cicala, Saggi sull’obbligazione e le sue vicende, Napoli 1976,p. 98; la tesi è ripresa ed ulteriormente sviluppata da La Porta, L’assunzione del debito al-trui, cit., p. 176 e ss.

(56) Così La Porta, op. ult. cit., pp. 181-182 e spec. nt. 150.

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gola di tipicità legale, la quale ne restringerebbe il raggio d’azione a quelle so-le ipotesi — promessa di pagamento/ricognizione del debito — non già pro-duttive di rapporti obbligatori nuovi (tra i quali dovrebbe certamente farsirientrare anche quello tra espromittente ed espromissario), bensì dirette uni-camente alla semplificazione della fattispecie di quelli già esistenti (57).

Pur prescindendo per il momento dalle valutazioni strettamente attinentile promesse unilaterali, gli è che un’attenta analisi della posizione illustratarivela comunque l’essere non conducente, ai fini del ridimensionamento dellaindefettibilità dell’accordo contrattuale in sede espromissoria, il rinvio almeccanismo dell’art. 1333 c.c., alla stregua delle ben note obiezioni alla tesiche vi accredita la cristallizzazione positiva del negozio unilaterale soggetto arifiuto (58).

Anche a non voler ritenere dirimenti rubrica e testo della norma citata, ovepure si fa parola di contratto, milita, infatti, nella medesima direzione la di-stanza che si appalesa tra il meccanismo perfezionativo che in quella è tracciatoe quanto viceversa dettato dall’articolo 1334 c.c. in tema di atti unilaterali.

Altro è prevedere che il terzo debba avere la possibilità di mantenere lapropria sfera giuridica immune dagli effetti — pur vantaggiosi — che gli sonorivolti; altra cosa è ritenere che il vincolo del dichiarante si perfezioni solo lad-dove, entro un lasso di tempo determinato, non intervenga una dichiarazionedi rifiuto da parte del terzo medesimo. Il che è, nondimeno, quel che accade nelcontratto con obbligazioni del solo proponente, a misura che il silenzio (rectiusmancato rifiuto) dell’oblato condiziona il completamento della fattispecie ne-goziale, la quale dunque non potrà che dirsi in buona sostanza espressione delvolere di entrambe le parti, seppur diversamente manifestato (59).

L’opposto risulta, invece, nelle ipotesi anche solo tipiche di promessaunilaterale, quali ad esempio la promessa al pubblico, ove l’eventuale rifiutodell’oblato non può che atteggiarsi a rinunzia di un diritto già acquisito (60).

(57) Così ancora La Porta, op. cit., p. 182, il quale peraltro ritiene che la rigorosa tipi-cità delle figure di promessa — ridotte, come detto, a promessa di pagamento e ricognizio-ne del debito — si giustificherebbe in ciò, che la solo la preesistenza del vincolo obbligato-rio neutralizza il cennato rischio di interferenza nella sfera altrui, legato alla (supposta) nonrifiutabilità dell’effetto attributivo discendente dalla dichiarazione promissoria, che vicever-sa si profila in relazione a promesse « atipiche ». L’A. mostra, invero, di non contemplarenel novero delle promesse la fattispecie della promessa al pubblico; una impostazione delgenere è, tuttavia, irricevibile se non altro perché stride palesemente con il dettato legislati-vo, a meno di non ritenere che, con il passaggio citato, l’autore abbia inteso riferirsi solo al-le fattispecie promissorie individualizzate.

(58) La lettura dell’art. 1333 c.c. come norma che dia cittadinanza, nel sistema, al ne-gozio unilaterale soggetto a rifiuto si deve a Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale,cit., p. 121 e ss.

(59) In linea, del resto, con le ricostruzioni più critiche verso il dogma consensualistico:cfr. già Vitucci, I profili della conclusione del contratto, Milano 1968.

(60) Si vedano, in tal senso, già i rilievi di Castronovo, Problema e sistema nel dannoda prodotti, Milano 1979, pp. 287-287.

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Di più, poi, pur senza disconoscere la indubbia peculiarità del procedi-mento di formazione della fattispecie ai sensi dell’articolo 1333 cc. e la devia-zione cui esso mette capo rispetto al modello dell’accordo quale sintesi di duemanifestazioni di volontà, gli è che indubitabilmente contrattuale rimane co-munque il rapporto cui si dà vita: un contratto a formazione semplificata,certo, ma pur sempre un contratto (61).

Con il che, dalla prospettiva che ci occupa, se non si frappone certo alcunostacolo a che si possa fare impiego anche di questo schema semplificato ai finidel perfezionamento della fattispecie assuntiva del debito altrui, resta comun-que il fatto che l’apertura ad un negozio espromissorio realmente unilateralesbiadisce a mera petizione di principio, priva di riscontri concreti per lo meno amisura che si tengano ferme le valutazioni critiche riguardanti le promesse.

Né più fruttuosa, nella direzione segnalata, appare del resto la proposta di« stemperare l’affermata necessità della natura contrattuale dell’espromissione »accreditando la possibilità di una promessa di pagamento (del debito altrui) re-sa, ex art. 1988 c.c., dall’espromittente all’indirizzo dell’espromissario (62).

Anche a non voler ridurre, infatti, la promessa di pagamento al mero ef-fetto processuale della relevatio ab onere probandi (63) ed accogliendo, vice-versa, la teorica della c.d. semplificazione analitica della fattispecie, resta co-munque ferma la necessità che un vincolo giuridico tra promittente (terzo-espromittente) e promissario (creditore espromissario) preesista alla dichiara-zione del primo.

Vero è, infatti, che nella ricostruzione richiamata, la fonte originaria delrapporto degrada a causa o mera giustificazione di quella obbligazione che lapromessa medesima viene ad incorporare, facendosene essa stessa fatto costi-tutivo; e vero è del pari che ciò realizza di per sé un effetto che può già dirsisostanziale, in quanto sposta l’onere della prova (contraria), a carico del pro-missario, dal fatto costitutivo del vincolo alla mancanza della causa dell’attri-buzione patrimoniale (64).

Tuttavia, la dichiarazione impegnativa in tanto potrà mettere capo allaestrapolazione di un segmento obbligatorio di un pregresso (più articolato)rapporto, in quanto questo esista tra le medesime parti, poi coinvolte in veste

(61) Cfr. per tutti Sacco, Contratto e negozio a formazione unilaterale, in Studi in onoredi P. Greco, II, Padova 1965, p. 953 e ss.; Roppo, Il Contratto, Milano 2001, p. 127. L’attri-buzione di natura propriamente contrattuale alla fattispecie che pure prenda vita ai sensidell’art. 1333 è, di recente, condivisa anche da Rossi, Silenzio e contratto, Silenzio dell’obla-to e costituzione del rapporto contrattuale, Torino 2001, passim, ma spec. pp. 150-153; Da-miani, Il contratto con prestazioni a carico del solo proponente, Milano 2000, p. 174 e ss.

(62) Cfr. Di Giovanni, Le promesse unilaterali, Padova 2010, pp. 175-179.(63) Per una panoramica delle diverse posizioni in proposito cfr. ancora Di Giovanni,

ult. cit., p. 98 e ss.; Camilleri, Le promesse unilaterali, Milano 2002, p. 104 e ss., ma spec.p. 117 e ss.

(64) Cfr. Di Majo, voce Promessa unilaterale (dir. priv.), in Enc. dir., XXXVII, Milano1988, p. 59.

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di promittente e promissario; quanto dire, nella ipotesi al nostro esame, dellanecessità che il rapporto espromissorio trovi titolo aliunde rispetto alla even-tuale dichiarazione unilaterale del terzo-espromittente (65).

6. — L’analisi sin qui svolta dovrebbe consentire di isolare agevolmenteil doppio ordine di ostacoli usualmente addotti contro l’eventualità che laespromissione cumulativa tragga titolo da una mera dichiarazione impegnati-va del (solo) espromittente.

Da un canto ci si appunta sulla refrattarietà della stessa fattispecie espro-missoria a venire ricondotta entro il paradigma del negozio unilaterale, in ra-gione della supposta indole non esclusivamente vantaggiosa — per il creditore— del degradare a sussidiaria della responsabilità dell’espromesso.

Dall’altro si esclude ogni possibile ruolo delle promesse unilaterali, a cau-sa del principio di tipicità che discende(rebbe) dall’articolo 1987 c.c. e che necircoscrive(rebbe) il raggio d’azione alle sole ipotesi contemplate agli articoli1988 e 1989 c.c. D’altronde, non solo le promesse costituiscono una speciesdel negozio unilaterale, così da soggiacere alla medesime condizioni generaliche si danno in apicibus per la sua configurabilità (66); ma compendiano laquasi totalità delle figure che a quello stesso genus sono riconducibili, per lomeno sul terreno degli effetti obbligatori (67), sicché è fatale che ogni ipotesisu dispositivi alternativi a quello pattizio si appunti su di esse.

Contro l’assunto della non vantaggiosità (per l’espromissario) della di-chiarazione assuntiva del terzo, a cagione dell’arretramento in seconda lineadella responsabilità del debitore originario, basterebbe invero obiettare che ilrafforzamento della situazione soggettiva attiva, che consegue al delinearsi diuna nuova posizione debitoria ad essa contrapposta, fa in ogni caso premio suogni eventuale disagio legato all’imposizione del beneficium ordinis (68).

Di più, però, va osservato che giusto quest’ultimo, a differenza del piùpregnante beneficium excussionis, non importa alcun condizionamento signi-ficativo del modus operandi del creditore, cui non è infatti imposto di avviareuna procedura esecutiva contro un debitore, prima di poter agire in executiviscontro gli altri coobbligati, bensì soltanto « l’onere di chiedere l’adempimento

(65) Mette, peraltro, conto segnalare come ad avviso di parte della dottrina la semplifi-cazione analitica della fattispecie non potrebbe che riferirsi a rapporti fondamentali scatu-renti da contratti a prestazioni corrispettive: cfr. D’Angelo, Le promesse unilaterali, inComm. Schlesinger-Busnelli, Milano 1996, p. 548.

(66) Cfr. in tal senso le decisive osservazioni di Oppo, Dal contratto al negozio unilate-rale. Recensione a Giuseppe Benedetti, in questa Rivista, 1973, I, p. 372 e ss., il quale sot-tolinea il difetto di ogni attendibile ragione sistematica per dare luogo ad un diverso tratta-mento.

(67) Cfr. Graziani, Le promesse unilaterali, in Tratt. Rescigno, vol. 9, Obbligazioni econtratti, I, Torino 1999, p. 773 e ss., ma spec. p. 807 e ss.

(68) In questo senso ci pare si orienti Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali,cit., p. 259 ed ivi nt. 80.

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di uno dei condebitori; se la richiesta rimane infruttuosa, c’è la possibilità dirivolgersi all’altro » (69).

Ove solo si ponga mente al fatto che l’infruttuoso spirare del termine diadempimento — necessariamente accompagnato (obbligazioni querables) omeno (obbligazioni portables) dalla intimazione di pagamento (70) — costi-tuisce il prodromo indispensabile per l’attivazione dei rimedi satisfattivi delcredito, dovendo colui che agisce allegare pur sempre l’inadempimento altruiquale presupposto della propria azione, ci si avvede di come allora in nullapossa dirsi deteriore la posizione dello stesso creditore, allorché onerato di ri-spettare un beneficium ordinis a vantaggio di uno dei coobbligati (71).

Mancando l’adempimento del debitore principale (espromittente) —spontaneo o intimato, poco importa — ecco inverata la condizione che legitti-ma a promuovere ogni azione esecutiva anche contro il soggetto passivo origi-nario, senza che sia prefigurabile a carico del creditore l’onere di un supple-mento di attesa o di una ulteriore intimazione.

Ed è, d’altronde, in forza di questo dato che appare persuasivo il rilievoche assegna alla sussidiarietà il compito semmai di organizzare l’attività solu-toria dei condebitori, ponendo a carico di quello principale l’onere di assume-re l’iniziativa dell’adempimento, senza anche coartare in alcun modo, o modi-ficare negativamente, la libertà di azione del creditore (72).

Inoltre, nel solco dell’autorevole opinione secondo cui si avrebbe la messain non cale della sussidiarietà quante volte il responsabile in via principaleversi in una condizione di impossibilità giuridica di adempiere, ad esempioperché fallito (73), potrebbe giungersi a prospettare una eguale irrilevanza delbeneficium ordinis a fronte di quelle ipotesi in cui, stante una genesi per l’ap-punto non contrattuale del rapporto espromissorio (74), si delinei l’insolvenzacivile dell’espromittente, già sussistente al tempo della assunzione ovvero in-sorta successivamente ad essa (75).

(69) Così Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 68; analogamente Rodotà, voce Espromis-sione, cit., p. 788, Bianca, Diritto civile, cit., p. 670.

(70) L’esercizio della pretesa creditoria a mezzo intimazione dello stesso soggetto attivoè reputato essere il logico prius dell’attuazione del rapporto obbligatorio, e dunque ammes-so anche in presenza di obbligazioni portabili, da Natoli, L’attuazione del rapporto obbli-gatorio, t. 1, Milano 1974, p. 47 e ss.

(71) Cfr. Grassi, L’espromissione. Considerazioni sulla struttura e sulle eccezioni, Na-poli 2001, p. 8.

(72) Cfr. Grasso, Delegazione, espromissione, accollo, cit., pp. 92 e 94. La tesi della na-tura « affievolita » della sussidiarietà della responsabilità dell’espromittente è stata tuttaviaillustrata dal medesimo A. già in Assunzione cumulativa del debito, cit., p. 404 e ss.

(73) Cfr. Rescigno, Studi sull’accollo, cit., p. 69.(74) Dovendo, in caso contrario, prevalere l’autoresponsabilità del creditore che non si

sia avveduto della insolvenza del terzo espromittente con cui abbia concluso il contratto.(75) Ci si riferisce in tal caso alla insolvenza civile non già come inutile escussione del

patrimonio debitorio, nel qual caso il problema segnalato nel testo non avrebbe ragion d’es-

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Acquisito, così, che la solidarietà passiva diseguale non si traduce in una si-tuazione incompatibile con la indole vantaggiosa degli effetti che il negozio unila-terale attributivo deve di necessità generare, resta da chiarire in chemisura le al-tre « condizioni d’uso » che presiedono ai congegni strutturalmente alternativi alcontratto— vale a dire il potere del terzo di schermare la propria sfera giuridicadall’effetto attributivo dell’altrui impegno e la causalità del vincolo assunto —possano ugualmente dirsi sodisfatte nella materia che ci occupa.

Quanto dire di un’analisi che si sposta fatalmente sulla versatilità alloscopo da parte delle promesse. Sia perché queste si ritengono tali da esaurirela categoria stessa degli atti unilaterali produttivi di obbligazioni, specie unavolta fugati gli equivoci classificatori intorno all’articolo 1333 c.c. e risospintala relativa fattispecie entro l’alveo del contratto. Sia, soprattutto, perché iltravisamento della lettera dell’articolo 1987 c.c., su cui poggia il presuntoprincipio di loro rigorosa tipicità, affonda giusto nella supposta refrattarietàdel congegno promissorio a soddisfare i presupposti di ammissibilità dei ne-gozi unilaterali, prima richiamati (76).

Senonché, dal punto di vista della salvaguardia della sfera del promissa-rio è agevole rilevare come la soggezione delle promesse unilaterali alla regoladettata dall’articolo 1334 c.c., se individualizzate, o a quella di cui all’articolo1989 c.c., se a destinatario indeterminato, e l’essere dunque immediatamenteimpegnative per il promittente non appena giunte a conoscenza del destinata-rio ovvero rese pubbliche, nulla toglie alla piena legittimità di un atto per cosìdire eliminativo da parte del creditore il quale intenda « ridurre in pristino »la propria sfera soggettiva, espungendovi giusto il diritto di credito che per ef-fetto della promessa vi ha fatto ingresso.

A corroborare la plausibilità sistematica di una dinamica siffatta bastiosservare che identica situazione si palesa nella stipulazione a favore del ter-zo, laddove infatti « il terzo acquista il diritto (...) per effetto della stipulazio-ne » intervenuta tra promittente e stipulante (art. 1411, comma 2o, c.c.).

Nel caso della promessa unilaterale di espromissione cumulativa, la sal-vaguardia della sfera del promissario potrà dunque apprezzarsi non solo invirtù dell’effetto vantaggioso in cui si è visto risolversi l’acquisizione di altra

sere, bensì quale lesione della garanzia patrimoniale e dunque quale situazione di pericolo,alla cui stregua risulti messa a rischio la soddisfazione spontanea o coattiva della pretesacreditoria; situazione, questa, la cui fenomenologia si arricchisce oggi alla stregua del feno-meno del sovraindebitamento del debitore civile, inquadrato e regolato dalla l. 27 gennaio2012, n. 3: per una accurata disamina del concetto di insolvenza civile (anche) quale pro-dromo di una più complessa nozione di « crisi » del debitore v. Modica, Profili giuridici delsovraindebitamento, Napoli 2012, passim ma spec., p. 110 e ss.

(76) Tra i primi a denunciare l’equivoco interpretativo sorto intorno all’art. 1987 c.c. G.Ferri, Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca, borsa, tit. cred., 1960, p. 482 ess. Per una ricostruzione del retroterra ideologico del principio di tipicità delle promesseunilaterali, nonché per la disamina gli argomenti di ordine tecnico che quel principio hannofinito con l’alimentare: cfr. Camilleri, La formazione unilaterale del rapporto obbligatorio,cit., p. 27 e ss.

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situazione soggettiva passiva, contrapposta a quella creditoria; ma vieppiù al-la stregua della disponibilità di un congegno abdicativo cui eventualmente fa-re ricorso onde « rifiutare » il (rectius: rinunziare al) « nuovo » vincolo del-l’espromittente, già comunque perfezionatosi.

Apparentemente più complicato si direbbe il profilo della causalità del-l’attribuzione, vero punto critico delle promesse ed argomento principe dellaloro supposta tipicità (77).

La struttura unilaterale, infatti, implica l’assenza di uno scambio in sen-so economico e di un accordo, l’uno e l’altro, peraltro, neppure surrogati daprescrizioni di forma ovvero dalla necessità di traditio rei; da qui la carenzadi garanzie sufficienti circa la serietà dell’intento di obbligarsi e la giuridicitàdell’impegno assunto (78).

È tuttavia nel solco delle letture più avanzate sulla causa degli sposta-menti di ricchezza (79), che gli studi più recenti si sono incaricati di dimostra-re la versatilità delle promesse a veicolare gli eterogenei interessi che si collo-cano tra l’area dello scambio propriamente detto e la gratuità pura di tipo do-nativo e che possono ricondursi vuoi a funzioni tipiche quali quella solutoriao di garanzia, vuoi ad altre propriamente atipiche (80).

Fissata questa cornice, non vi può essere allora dubbio sulla causalitàdella promessa che dia vita ad una espromissione cumulativa, tanto più chel’interesse perseguito dal promittente e la funzione associabile al vincolo cheegli assume sono non soltanto oggettivati nella dichiarazione di assumere ildebito altrui, ma vieppiù già positivamente apprezzati dal legislatore, che in-fatti, contrariamente a quanto talora affermato in giurisprudenza (81), questaipotesi di promessa tipizza giusto attraverso l’articolo 1272 c.c. (82).

In altri termini, se in quanto « interessate », dal punto di vista del pro-mittente, e tali da ingenerare un affidamento ragionevole nel promissario, lepromesse mostrano di soddisfare appieno la direttiva causale e di riuscire aguadagnare anche la dimensione della atipicità (83), a maggior ragione dovràreputarsi « causata » la fattispecie promissoria al nostro vaglio, in cui la giu-

(77) Cfr.DiMajo, voceCausa del negozio giuridico, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma 1998,p. 3.

(78) Cfr. Di Majo, Delle obbligazioni in generale, cit., p. 221.(79) Nella vasta letteratura in argomento è d’obbligo il riferimento ai lavori di Gior-

gianni, voce Causa (dir. priv.), in Enc. dir., vol. VI, 1960, p. 537 e ss., ma spec. p. 563,specie riguardo alla causa delle prestazioni isolate, e G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoriadel negozio giuridico, Milano 1968, p. 251 e ss., in ordine alla composizione dei momentisoggettivo ed oggettivo.

(80) Di Majo, Le promesse unilaterali, Milano 1989, p. 74.(81) Si veda Cass. 7 dicembre 2012, n. 22166, cit.(82) Per la qualificazione della promessa di espromissione cumulativa quale ipotesi tipi-

ca cfr. già Mancini, L’espromissione, cit., p. 504.(83) Ci sia consentito di rinviare ancora al nostro La formazione del rapporto obbliga-

torio, p. 71 e ss.

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stificazione dello spostamento patrimoniale e la serietà del vincolo assunto ri-sultano già tipicamente apprezzati dal legislatore e consistenti nella assunzio-ne di debito.

Affermare la tipicità della promessa di espromissione cumulativa val pe-raltro quanto dire della ininfluenza — in senso contrario — dell’argomento ditassatività dei congegni promissori, che si pretende di trarre dall’articolo1987 c.c.

Mette tuttavia conto precisare, in termini generali, come giusto l’accerta-ta uniformazione delle promesse unilaterali alle direttive sistematiche di cau-salità delle attribuzioni patrimoniali e derogabilità circostanziata del princi-pio di relatività degli effetti del negozio offra buon gioco nel rileggere la for-mula stessa dell’articolo 1987 c.c., così da scorgere dietro il riferimento ai« casi ammessi », non già il rigido ripiegamento del sistema sulle sole ipotesitipiche, peraltro più numerose rispetto a promessa di pagamento e promessaal pubblico, come l’articolo 1272 c.c. si incarica bene di dimostrare. Bensì lasemplice subordinazione del giudizio sulla validità delle fattispecie atipiche alsoddisfacimento delle condizioni di ammissibilità prima considerate.

La ricostruzione che si è provato ad argomentare in queste pagine, ossiaquella tendente ad evidenziare una sostanziale fungibilità tra contratto e pro-messa ai fini della venuta ad esistenza della espromissione cumulativa, ha pe-raltro ricevuto indiretto avallo in alcune recenti prese di posizione della Su-prema Corte, allorché i giudici di legittimità hanno ammesso esplicitamenteche l’impegno dell’espromittente possa perfezionarsi, nei confronti del credi-tore, al momento in cui questi ne venga a conoscenza e senza necessità alcunadi un atto di accettazione (84). Al che può poi aggiungersi, riprendendo un piùdatato spunto giurisprudenziale, che non sarebbe da escludere neppure il ri-corso ad una variante in incertam personam per il medesimo vincolo del ter-zo, ossia sotto forma di promessa al pubblico, quante volte la fattispecie con-creta — ad esempio l’elevato numero di creditori — mal si concili con una di-chiarazione a destinatario determinato (85).

Il processo di emersione di ipotesi — tipiche o atipiche, poco importa —di formazione unilaterale del rapporto obbligatorio si arricchisce così di unulteriore tassello, oltre a quelli già evidenziatisi sempre in tema di modifica-zioni del lato passivo del rapporto obbligatorio, nell’impegno assunto dal de-legato verso il delegatario (delegatio promittendi) (86) e, soprattutto, sul terre-no delle garanzie personali. Con il che, però, simmetricamente, il totem dellaindefettibilità del contratto fa mostra sempre più di sbiadire ad anacronisticoretaggio di Begriffjurisprudenz.

(84) Cfr. Cass. 26 novembre 2009, n. 24891, cit.(85) Cfr. Cass. 17 settembre 1983, n. 5625, in G. it., 1984, 1, c. 1634, con nota di Vella.(86) Cfr. Bianca, Diritto civile, cit., pp. 636-637.

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Paolo SpadaProf. emerito dell’Università di Roma « La Sapienza »

PARADIGMI DEL PENSIERO GIURIDICO E CONCEZIONEDELLA SOCIETÀ PER AZIONI NEI « PRINCIPI

E PROBLEMI » DI CARLO ANGELICI (*)

Sommario: 1. Parte generale del diritto azionario e « concezione » della società per azioni.— 2. Le « categorie » del diritto privato, come figure riferibili al comportamento indivi-duale, e la società per azioni, come fenomeno metaindividuale. — 3. Segue: origini cul-turali delle « categorie » e loro rimodulazione nello studio del diritto azionario. — 4. Ol-tre il dialogo tra fenomeno azionario e « categorie » del diritto privato. — 5. Segue:scomposizione funzionale del fenomeno e le « risposte » del diritto positivo. — 6. Dub-bia utilità conoscitiva della « concezione ».

1. — Nel presentare al pubblico il Libro di Carlo Angelici, l’Editore, daun lato, rivendica un’articolazione innovativa del Trattato Cicu-Messineo,della quale il volume sarebbe la prima epifania; e, dall’altro, attrae l’attenzio-ne sulla selezione e sulla progressione tematiche del testo.

« Per la prima volta — si legge nella scheda di presentazione — il Trat-tato Cicu-Messineo non è riservato alle classiche monografie di singoli mae-stri, ma si apre a una trattazione della materia in un’insolita pluralità di vocie di volumi ». D’onde il numero uno che, in cifra romana, compare sotto il ti-tolo « La società per azioni ».

Il primo dei volumi sulla società per azioni (tre lo seguiranno) non si de-nomina « Parte generale », bensì — per una scelta di understatement dell’au-tore, suppongo — « Principi e problemi »; l’obiettivo delle oltre 500 pagine èdi orientare il lettore nella « comprensione » (il termine è usato più volte) diun fenomeno della coesistenza regolata (ed, in questo senso, di un fenomenogiuridico) e di condividere con il lettore una « concezione » del fenomeno. Edè su questo terreno — quello della « concezione » del fenomeno società perazioni — che il libro ha cominciato ad essere discusso: alludo al saggio di De-nozza, pubblicato nel 3o numero del 2013 di Giurisprudenza Commercialecon il titolo Quattro variazione sul tema « contratto, impresa e società nelpensiero di Carlo Angelici ».

« Il punto di vista — dichiara l’autore (p. 50) nel motivare un passocruciale del suo pensiero sul fenomeno — ... è quello del giurista » e « de-ve perciò avvalersi degli strumenti analitici di esso propri ... ». Carlo Ange-

(*) Intervento all’Incontro di studio su La Società per Azioni oggi – presentazione delvolume La società per azioni, Principi e problemi di Carlo Angelici (Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Piero Schlesinger, Giuffrè, Milano 2013) – Roma, Accademia Na-zionale dei Lincei, 13 gennaio 2014.

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lici non esplicita quale sia, per lui, il punto di vista del giurista e quali nesiano gli strumenti analitici, ma la progressione tematica che risulta dal-l’indice svela che l’autore sviluppa il suo progetto facendo dialogare un fe-nomeno storicamente colto nell’ambivalenza funzionale « industria » e « fi-nanza » (v. l’Introduzione) con « le categorie (culturali e poi giuridiche)come il “diritto soggettivo”, la “persona” e il “patrimonio” e, soprattutto, il“contratto” » (parole, queste, che si leggono nella citata presentazione del-l’opera da parte dell’Editore). Categorie (o « paradigmi » — come son cer-to preferirebbe esprimersi Angelici che molto ascolta la lezione di Kuhn),che, naturalmente, sono rivisitate e rimodulate attingendo a molteplici regi-stri: quello giurisprudenziale (pratico e teorico), quello economico-finanzia-rio, quello politico-istituzionale, tutti ragguagliati ad un’esperienza insoffe-rente di tempi e di spazi; in un approccio olistico alla realtà esaminata, di-rei, più che globale.

Il risultato conoscitivo del dialogo tra fenomeno e paradigmi è fondamen-talmente questo: che « diritto », « persona », « patrimonio », « contratto » so-no figure parametrate al comportamento individuale ed inter-individuale e,pertanto, insuscettibili di essere proficuamente utilizzate, tali e quali la tradi-zione del pensiero giuridico le ha conformate, nel ricercare, attraverso l’appli-cazione di regole promananti da fonti legali, sub-legali e private (stavo perdire negoziali, se non m’avesse trattenuto la consapevolezza di parlare ancorail linguaggio parametrato al comportamento individuale), composizioni plau-sibili degli interessi mobilitati da un fenomeno che è « industria e finanza »(la società per azioni, appunto) e rispetto al quale l’identità degli individui(degli « uomini nati da ventre di donna » — avrebbe detto Ascarelli) è unavariabile di marginale importanza.

2. — Per chi condivida, almeno in parte, le congetture sugli intenti del-l’autore e sugli obiettivi dell’opera che ho appena tentato di esporre, la sor-presa generata dall’indice si attenua fino a dissolversi e il piacere intellettualedel confronto delle idee la rimpiazza.

La comparsa dei termini (non a caso virgolettati) « proprietà » e « perso-na » nella intitolazione dei primi due capitoli — termini che l’ordine del V li-bro del codice civile non saprebbe legittimare e che non troverebbero una ra-dice conoscitivamente persuasiva neppure per coloro (e chi vi parla vi si an-novera) che optassero per analizzare il materiale regolamentare movendo daquella sintesi tra « industria e finanza » che coglie l’immagine di lunga duratadella società per azioni — rende evidente la scelta del dialogo tra fenomenometaindiviale e paradigmi individuali del pensiero giusprivatistico ed avviauno sforzo ammirevole di modulazione e di rinnovazione dei paradigmi cheprobabilmente si lascia compendiare nella transizione dal « diritto soggetti-vo » — come astrazione delle regole sull’appartenenza e sulla pretesa dell’in-dividuo — al « potere » — come astrazione dei « modi giuridicamente rile-vanti per la produzione di un’azione » (p. 55, nt. 85).

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La declinazione dei temi del « patrimonio » e del « contratto » — ai qualisono dedicati i capitoli III e IV — mi sembra tutta, in potenza, nella teoriadelle situazioni soggettive dell’azionista; questa sviluppandosi — tra acquisitidogmatici e realismo socio-economico — ragionando su « proprietà » e « per-sona ».

3. — Qui dirò che la (vera e propria) passione che Angelici coltiva per lastoria della rivoluzione francese (della quale è divenuto uno specialista e sullaquale ha tenuto corsi universitari) e la suggestione (che di quella passione sialimenta) sul suo pensiero esercitata dalla codificazione, in coeva formazione,possono averlo convinto ad eleggerne il manifesto gius-politico come prospet-tiva d’avvio dell’analisi del fenomeno azionario. Non è un caso, credo, chenella Introduzione si citino le parole usate da Cambacérès nel presentare ilprogetto del codice civile del 1795. Queste: « Tre cose sono necessarie e ba-stanti all’uomo in seno alla società: essere padrone della propria persona;possedere beni per soddisfare i propri bisogni; poter disporre ... della propriapersona e dei propri beni » (p. 15, nt. 30); parole dalle quali Angelici ricavache, in allora, al centro del sistema del diritto privato sulla via della codifica-zione il problema necessario e sufficiente fosse (come certamente era) quellodei « modi giuridici in cui il privato potesse, appropriarsi, godere e disporredella ricchezza » (p. 15): « dunque, i paradigmi della persona, dei suoi dirittie del contratto » (ivi). Suppongo — e azzardo — che in quella passione ed inquella suggestione si radichino la scelta di far dialogare la realtà meta-indivi-duale della società per azioni (istituzione industriale e finanzaria insensibileall’avvicendamento degli individui) con i paradigmi individuali, e la ricercadi una modulazione di questi piuttosto di un loro radicale rimpiazzo.

4. — Grande è l’utilità di questo approccio per la storia della cultura giu-ridica. Più opinabile mi sembra che lo sia quando si colga — come chi vi par-la ha, da molto tempo ormai, fatto e dichiarato — lo specifico del pensierogiuridico nella ricerca delle regole vigenti in un dato tempo ed in dato spazio,delle condizioni d’applicazione di queste e dei loro destinatari, con l’obiettivoprimario di contribuire alla validità persuasiva della motivazione di un dispo-sitivo che conclude una lite. E solo in seconda battuta alla progettazione dinuove regole. Naturalmente scelte « apicali » di quest’ordine scaturisconodalla storia personale e dal personale gusto di chi pensa studiando e, quindi,sono nobilmente « arbitrarie ».

Ma il più convinto omaggio all’opera sulla quale qui riflettiamo credoscaturisca non tanto dal censimento dei passi dell’opera sui quali si consente(e sono la maggior parte), quanto dal vaglio dei contributi dei quali essa è ca-pace anche a beneficio di chi si dia un obiettivo diverso da quello del dialogotra realtà azionaria e paradigmi immaginati per governare le regole del com-portamento individuale in termini di interessi appagati o negati (regole che,sul lungo periodo, ben possiamo denominare « diritto privato »). Ed è un

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conciso campionario di questi contributi che qui mi propongo di condividerecon voi; accettando consapevolmente il rischio che mi si addebiti — come undotto Amico che ha letto anticipatamente questa traccia già mi ha addebitato— di parlare non tanto delle idee dell’Autore del libro che qui si presentaquanto delle idee dell’autore di un libro che ancora non c’è. Insomma dellemie idee.

5. — Un impegno con il medesimo Editore del volume di Carlo Angelici,infatti, mi attende; e, forse, proprio oggi comincio ad adempierlo. Anch’io miaccingo a scrivere una Parte Generale della società per azioni. Ed è più o me-no così che l’ho pensata.

5.1. L’immagine di lungo periodo (il fenomeno) della società per azioni,come momento della coesistenza regolata dal quale partire, è quella che An-gelici ci addita, adottando il binomio « industria e finanza ». Nihil sub solenovi, potrebbe dirsi; ma l’opera di Angelici sa coniugare in modo convincentele testimonianze della storia (sulle quali mi sono non poco intrattenuto an-ch’io) con le declinazioni argomentative dell’analisi economica del diritto. Equesto è un primo, fondamentale contributo alla selezione consapevole e mo-tivabile del materiale normativo da esaminarsi, in ragione della sua pertinen-za alla realtà regolata.

5.2. Per chi guarda alle regole, alle condizioni d’applicazione di questeed ai loro destinatari al fine di propiziare motivazioni retoricamente corrette,quest’immagine si lascia scomporre nei seguenti « fotogrammi », da pensarsiin sequenza:

a) provvista di risorse da destinare all’esercizio di una produzione du-ratura di beni o servizi, funzionalmente molteplice (lucrativa, consortile —secondo il diritto comune — e via elencando secondo il diritto speciale e sin-golare);

b) decisioni (impieghi delle risorse destinate nello sviluppo del pro-gramma);

c) dichiarazioni (contegni che, avvalendosi di simboli — per antono-masia del lessico di una lingua istituzionale — e/o di segni « esternano » ledecisioni, provocando attribuzioni reali — alienazioni — o personali — as-sunzione di obbligazioni; o, ancora, ulteriori destinazioni);

d) provvista di risorse altrui per alimentare finanziariamente la pro-duzione;

e) circolazione delle unità di partecipazione all’iniziativa (suscettibiledi istituzionalizzarsi in un mercato, in flussi regolamentati di domanda e diofferta delle unità di partecipazione);

f) remunerazione della destinazione a servizio dell’iniziativa e rischio.5.2.a) Al primo « fotogramma », corrisponde, per l’analisi giuridica, il

regime dei conferimenti — da intendersi, come anticipato, quali destinazionialle quali corrisponde, al termine della produzione, una riappropriazione delsaldo patrimoniale da parte dei destinanti o dei loro aventi causa o una de-

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voluzione del saldo stesso (ciò dipendendo dalla funzione della destinazio-ne);

5.2.b) e c) a questi due « fotogrammi » (decisioni e dichiarazioni) ap-partiene la teoria dell’organizzazione — da intendersi come insieme di regolesui procedimenti decisionali e dichiarativi (nel linguaggio corrente: organizza-zione, controllo e rappresentanza);

5.2.d) questo terzo « fotogramma » (provvista finanziaria) stimola l’ana-lisi giuridica dell’indebitamento finanziario della società, individuale e collet-tivo — dunque anche i processi di indebitamento obbligazionario e le misuredi tutela degli obbligazionisti;

5.2.e) al penultimo « fotogramma » appartiene il regime di circolazionedelle unità di partecipazione all’iniziativa: dunque delle azioni e delle tecni-che di trasferimento immediato (di diritto comune o cartolare) e intermediato(c.d. dematerializzazione) delle stesse; non senza una qualche apertura ad unterreno normativo ormai tanto vasto da raccomandare una specializzazioneconoscitiva, quello del mercato delle unità di partecipazione e di debito, so-prattutto con l’intento di coglierne la retroazione sull’organizzazione della so-cietà (nel senso giuridicamente « forte » che qui si è attribuito e vuolsi conser-vare al termine « organizzazione »);

5.2.f) l’ultimo (remunerazione e rischio) ferma i problemi della remune-razione periodica della destinazione (dell’investimento, come è corrente dire)e degli antidoti alla traslazione del rischio sui creditori: dunque, innanzi tutto,impone l’esame delle regole sul capitale nominale.

5.3. Chi voglia rispettare quello specifico dell’analisi giuridica che ho orora enfatizzato (regole, condizioni d’applicazioni di queste, loro destinatari —con l’obiettivo di motivare correttamente un dispositivo che ponga termine aduna lite, reale o potenziale) si avvede che i paradigmi della « proprietà », del-la « persona », del « contratto » stesso non sono producenti ai fini di un’anali-si utile. Insomma: dei paradigmi del comportamento individuale può farsi —io credo che possa farsi — a meno senza danni conoscitivi ed applicativi.L’analisi giuridica della società per azioni come realtà meta-individuale nonè, allora, impacciata da un repertorio concettuale concepito a misura di indi-viduo e di relazioni tra individui.

Mi provo a fare qualche proposta che mi sembra particolarmente pro-bante tra quelle che, nell’economia di una riflessione non condizionata daltempo di un intervento come il mio in questa sede prestigiosa, potrebberoconcepirsi:

5.3.1. da parte la dialettica tra interesse dell’azionista e proprietà deimezzi di produzione, sembra utile (stavo per dire: necessario) evidenziare chenella disposizione di chi sviluppa l’iniziativa produttiva (collettività, ma —oggi — anche individuo o ente, privato o pubblico) si coglie non già un’attri-buzione ma una destinazione: e questo sopprime la necessità di gerarchie de-scrittive (e per me ingannevoli) tra creditori che tali sono per un titolo traitanti che scandiscono il divenire dell’attività sociale e azionisti, definiti questi

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ultimi (infelicemente) creditori residuali (pretendenti al saldo attivo patrimo-niale all’esito dell’attività); perché mentre all’attribuzione corrisponde — nelmondo degli affari — un debito dell’attributario, alla destinazione corrispon-de una aspettativa di riappropriazione del saldo dell’iniziativa. Spostandol’obiettivo sul piano oggettivo della disposizione, l’indagine fa a meno del pa-radigma individuale del diritto soggettivo.

5.3.2. Le decisioni e le dichiarazioni (quando procedimentalmente sepa-rabili dalle prime) sono certamente manifestazione di autonomia privata (fareo non fare qualcosa e come); ma le decisioni che scandiscono lo sviluppo del-l’iniziativa produttiva che si atteggi come società per azioni costituiscono —diversamente da quelle che si sommano nel quotidiano di ciascuno di noi —una variante dell’autonomia privata che proposi molti anni fa di qualificarefunzionale per contrapporla all’autonomia libera. L’autonomia funzionale —diversamente da quella libera — è ancorata ad un interesse precostituito —intendendo per « precostituito » che esso è, non già isolabile nel fluire degliinteressi di questo o di quell’individuo ma, oggettivato dalla legge o dall’attogiuridico nel quale l’iniziativa produttiva si manifesta — ed in ragione diquell’interesse scrutinabile (diversamente da quanto accade per l’autonomialibera della quale sono predicabili soltanto la rilevanza/irrilevanza e la liceità/illiceità). Il lessico di Angelici è diverso dal mio ma la sua critica, garbata-mente scettica, alla nozione di « interesse sociale » declina una visuale tantosimile da essere sovrapponibile.

In questa prospettiva (quella dello scrutinio delle manifestazioni dell’au-tonomia funzionale), è e resterà ammirevole il « colpo d’ala » di Angelici, lad-dove prospetta (p. 57 ss.) una concorrenza tra rimedi invalidanti e rimedi ri-sarcitori, guardando alle irritualità procedurali delle decisioni non meno cheall’infedeltà di quanto deciso all’interesse precostituito. Angelici continua adar fiducia alla prospettiva delle situazioni soggettive (laddove suggerisce cheil diritto trascolori in potere) e non evoca — se non incidentalmente — quelladimensione funzionale dell’autonomia che a me sembra conoscitivamente de-cisiva; ma ciò che conta è il risultato rimediale: irritualità ed infedeltà funzio-nali possono essere rimediate (i) sia rimuovendo la decisione che (ii) stral-ciando dal conteggio del risultato dell’attività ragguagliato alla partecipazioneazionaria l’onere economico dell’atto irrituale o funzionalmente infedele. Lalegge parla di risarcimento, ma Angelici (guardando agli artt. 2377 e 2497c.c. [p. 74]) avverte che il risarcimento ha, in questa prospettiva, una curva-tura indennitaria. Curvatura che prescinde dalla ripartizione legislativa traaliquote del rapporto (o del capitale, come è corrente dire avvalendosi del ca-pitale quale metafora del rapporto sociale) che legittimano l’azionista assente,dissenziente o astenuto alla rimozione dell’atto viziato e aliquote che lo legitti-mano ad una pretesa detta risarcitoria (art. 2377, commi 3o e 4o).

5.3.3. Venendo al rischio, se si dà per acquisito — e tale è ancora, allaluce del principio di civiltà giuridica dell’autoresponsabilità — che il compor-tamento debba sempre gravare su chi lo tiene si tratta poi di comportamento

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che si atteggia come manifestazione di autonomia libera o funzionale), i rime-di al sovraindebitamento sono tendenzialmente di due ordini: o del coinvolgi-mento dei patrimoni personali di quanti adottano l’iniziativa nella garanziapatrimoniale delle obbligazioni che segnano il divenire dell’attività (immedia-tamente o attraverso la mediazione di un’obbligazione risarcitoria); ovverodell’interruzione della produzione, del rimpiazzo della produzione con la me-ra conservazione dell’esistente patrimoniale in vista della soddisfazione delleragioni dei creditori (e dunque non dei soci, che hanno non già una pretesascaturita da un’attribuzione ma un’aspettativa di riappropriazione di quantohanno destinato a servizio dell’iniziativa).

Nella società per azioni il rimedio è — allo stato del diritto positivo — delsecondo ordine e si avvale del congegno, imperfetto e discusso, del capitalenominale. Naturalmente non c’è nulla di necessario o di immutabile e la com-parazione offre esemplari di gestione alternativa del rischio (primo, fra tutti,quello dei test di solvenza). Ma ad oggi le cose stanno così.

Anche qui l’analisi del fenomeno società per azioni, orientata a quel posi-tivismo giudiziario che ho prescelto come specifico dell’analisi giuridica econcisamente illustrato, non passa utilmente attraverso i paradigmi delle si-tuazioni soggettive: parlare di un diritto alla responsabilità limitata serve apoco o nulla.

6. — Che ne è, nella prospettiva che qui ho condiviso, della « concezio-ne » della società per azioni, alla quale pure Angelici dichiara di tenere? Nul-la: contratto, istituzione, organismo (come da ultimo propone Denozza, ce-dendo ad un linguaggio metaforico difficile a de-metaforizzarsi) non rendono,per me, utili servizi nel trovare regole appropriate alla congiuntura degli inte-ressi isolabili in una lite e nel trasformare correttamente le parole della legge— alle quali sole la nostra Costituzione proclama soggetti i giudici — nelleparole di un dispositivo plausibile.

Molto, per contro, servono la storia, l’analisi dei costi e dei benefici, gliesemplari di esperienze comparabili e comparate: e di questa ricchezza cono-scitiva il libro di Angelici è straordinariamente prodigo.

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OSSERVATORIO SULLE RIFORME LEGISLATIVE ALL’ESTERO

Piet AbasProf. emerito dell’Università di Amsterdam

UN NUOVO DIRITTO DELLE OBBLIGAZIONI IN SVIZZERA

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. — 2. Il diritto civile in Svizzera. — 3. Obiettividel progetto di riforma OR/CO2020. — 4. La struttura di OR/CO2020. — 5. Analisi dialcuni articoli del progetto OR/CO2020. — 6. La Svizzera e l’Europa. — 7. La fattibili-tà del progetto OR/CO2020.

1. — Negli ultimi tempi tutta l’Europa è pervasa da progetti ed istanze diricodificazione; nell’attesa di un non peraltro imminente codice europeo, innumerossi stati sono stati avviati progetti di riforma; il punto di partenza èovviamente costituito dall’ordinamento tedesco, dove nel 2002 è stato profon-damente riformato il diritto delle obbligazioni (Schuldrechtsreform); in segui-to anche in area francese sono stati pubblicati ben tre progetti di riforma delcodice Napoleone, i quali hanno suscitato un intenso dibattito, i cui esiti nonsono peraltro ancora del tutto prevedibili; non diversa è la situazione in Spa-gna, dove è stato pubblicato un progetto di riforma del codice civile; in questoquadro occorre infine ricordare un recente progetto di riforma del codice sviz-zero delle obbligazioni (1), alla cui analisi sono dedicate le seguenti pagine.

2. — Per ragioni storiche in Svizzera non esiste un unico codice civile. Inparticolare sono stati emanati due differenti codici; il Zivilgesetzbuch (ZGB)/Code Civil che regola il diritto civile, fatta eccezione per il diritto delle obbli-gazioni; nonché l’Obligationenrecht (OR)/Code des obligations. Entrambi so-no entrati in vigore il 1o gennaio 1912. In particolare l’OR consta di due parti:l’Erste Abteilung, Allgemeine Bestimmungen/Partie première, Dispositionsgénérales (art. 1-183); nonché la Zweite Abteilung/Partie deuxième (art. 184ss.), la quale disciplina i contratti tipici. Il progetto di ricodificazione si riferi-sce soltanto alla parte generale. Il titolo del progetto è: OR2020/CO2020. No-nostante l’ampiezza del titolo, il progetto di riforma si riferisce soltanto allaparte generale, con conseguente sostituzione degli articoli esistenti con quelliprevisti dal progetto (artt. 1-220 OR/CO 2020).

3. — Nelle premesse vengono in primo luogo indicate le finalità della ri-forma: « die im Laufe der letzten hundert Jahre verloren gegangene Über-sichtlichkeit wieder herzustellen und damit das Auffinden der gesuchtenNorm zu erleichtern » (RZ1). (Per restituire la trasparenza perduta nel secolo

(1) Consultabile on line al seguente indirizzo: http://or2020.ch/.

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scorso e facilitare la ricerca della norma ricercata (2)). A questo proposito vie-ne enunciato il seguente motto: « Bewährtes ist zu erhalten — Neuem istRaum zu schaffen ». (Conservare il valido - dare spazio al nuovo).

Il progetto è il risultato della collaborazione di tutte le università dellaSvizzera: Basel, Bern, Fribourg, Genève, Lausanne, Luzern, Neuchâtel. St.Gallen, Zürich. In particolare hanno collaborato al progetto 23 persone, sottola presidenza di Claire Huguenin e Reto M. Hilty; i lavori si sono svolti a Zu-rigo. La commissione era sostanzialmente bilingue, dato che 16 membri era-no di lingua tedesca e sette di lingua francese; in questo modo è stato possibi-le elaborare un testo bilingue, in tedesco e francese; in seguito è stata aggiun-ta una versione in lingua italiana, tenuto conto del fatto che l’italiano è la ter-za lingua ufficiale della Svizzera, nonché una versione in inglese per consenti-re una maggior diffusione del progetto anche all’estero (RZ6-12).

Uno degli obiettivi avuti di mira dalla commissione è stata la chiarezza ela concisione (clarté et concision) del testo. Per questa ragione si è cercato dinon superare i tre commi per ogni articolo ed una frase per ogni comma. Il ri-sultato è la straordinaria leggibilità del progetto in ciascuna lingua in cui èstato redatto. Anche altri legislatori dovrebbero seguire questo esempio!

Il progetto ha cercato di colmare le lacune presenti nel testo originariodel codice delle obbligazioni; si segnala in particolare l’adeguamento del con-tratto in caso di sopravvenienza, nonché la disdetta nei contratti di durata(artt. 19 e 145 OR/CO2020); notevole interesse riveste altresì la nuova disci-plina dell’inadempimento e della prescrizione (RZ31-32).

I lavori della commissione sono iniziati il 1o ottobre 2007 e sono finiti nelcorso del 2012. La restante parte del 2012 è stata utilizzata per redigere i« Motivi » dei singoli ariticoli.

4. — La struttura del progetto OR/CO2020 è la seguente:Titolo 1: Della formazione delle obbligazioni.Capitolo 1: Delle obbligazioni derivanti da contratto (art. 1-45).Capitolo 2: Delle obbligazioni derivanti da atti illeciti (art. 46-63).Capitolo 3: Dell’indebito arricchimento (art. 64-72).Capitolo 4: Delle obbligazioni derivanti dalla gestione d’affari senza

mandato (art. 73-84).Titolo 2: Dell’adempimento e dell’inadempimento delle obbligazioni.Capitolo 1: Dell’adempimento (art. 85-117).Capitolo 2: Dell’inadempimento (art. 118-134).Titolo 3: Dell’adempimento delle obbligazioni e della disdetta dei con-

tratti di durata.Capitolo 1: Dell’adempimento delle obbligazioni (art. 135-143).

(2) Per ragioni di onestà scientifica e tracciabilità i motivi del progetto sono riportati inversione originale. Segue tra parentesi la traduzione in lingua italiana realizzata dall’auto-re.

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Capitolo 2: Della disdetta dei contratti di durata (art. 144-147).Titolo 4: Della prescrizione e della perenzione.Capitolo 1: Della prescrizione (art. 148-161).Capitolo 2: Della perenzione (art. 162).Titolo 5: Della cessione di crediti e dell’assunzione dei debiti.Capitolo 1: Della cessione di crediti (art. 163-177).Capitolo 2: Dell’assunzione di debito (art. 178-186)Titolo 6: Speciali rapporti obbligatori.Capitolo 1: Della rappresentanza (art. 187-197).Capitolo 2: Della solidarietà (art. 198-208).Capitolo 3: Delle condizioni (art. 209-220).

L’impianto appare a prima vista molto solido, anche se non mancano al-cune perplessità. In particolare, forse sarebbe stato preferibile collocare la di-sdetta dei contrati di durata nel titolo secondo invece che nel terzo; in secondoluogo anche la rappresentanza avrebbe forse dovuto essere collocata nei primititoli, in quanto istituto di generale applicazione.

5. — Ovviamente non intendo prendere in considerazione tutte le dispo-sizioni contenute nel progetto OR/CO2020. Mi limiterò dunque ad esaminarealcuni aspetti che rivestono particolare interesse anche in una prospettiva eu-ropea; in particolare soffermerò la mia attenzione sugli artt. 19, 41, 47, 54,55, 145 e 220 OR/CO2020.

a) Art. 19 OR/CO2020: « Ove le circostanze siano mutate in manieraimprevedibile dopo la conclusione del contratto, sicché non è più ragionevoleaspettarsi, riguardo alle regole della buona fede, che un contraente adempiala propria prestazione, il tribunale può adattare il contratto o porvi fine ».

I « Motivi » di questo articolo sono stati scritti da Hans-Ueli Vogt (pro-fessore dell’Università di Zürich) e sono piuttosto articolati. Quest’articolo inparticolare regola in modo specifico la clausola rebus sic stantibus che nel di-ritto svizzero vigente è fondata sull’art. 2, comma 2o, ZGB/CC: « Il manifestoabuso del proprio diritto non è protetto dalla legge ». Questa disposizione tro-va applicazione in caso di mutamento delle circostanze dopo la conclusionedel contratto. In caso di squilibrio originario, trova viceversa applicazione ladisciplina del « Grundlagenirrtum » / « l’errore che concerne una determinatacondizione di fatto » ai sensi dell’art. 24 OR/CC; disciplina che in presenza dideterminati presupposti, come per esempio l’errore de futuris, potrebbe trova-re applicazione anche con riferimento a circostanze sopravvenute (RZ2). Ilmutamento può essere imprevidibile sia in modo oggettivo che soggettivo(RZ4). Il criterio non è peraltro più costituito da una « gravierende Äquiva-lenzstörung » (un grave disturbo del rapporto di equivalenza tra le prestazio-ni reciproche) ma semplicemente dalla contrarietà alla buona fede. Contrastoche di per sé può costituire la ragione per l’adeguamento (RZ5). La scelta serisolvere o adeguare è peraltro rimessa alla prudente valutazione del giudice.Salva ovviamente la facoltà per i contraenti di scongiurare l’intervento del

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giudice modificando il regolamento contrattuale, cosa che è sempre possibile:« wobei die Parteien selbstverständlich auch ohne Mitwirkung des Gerichtsden Vertrag ändern können ». (RZ7). (Per cui le parti possono modificare ilcontratto ovviamente senza la collaborazione del tribunale.) Per evitare l’in-tervento del giudice, le parti hanno in altre parole sempre la facoltà di rag-giungere una nuova intesa: « Eine entsprechende Verhandlungspflicht wird je-doch bewusst nicht vorgesehen, (...) » (RZ10). (Una tale obbligazione di ne-goziare non è peraltro prevista espressamente). La rinegoziazione può addirit-tura aver luogo prima del verificarsi della sopravvenienza. In conclusione citoi « Motivi » integralmente: « Das geltende Recht enthält keine ausdrücklicheRegelung der clausula rebus sic stantibus, doch ist sie geltendes (Richter-)Recht. Mit Art. 19 OR2020 werden die grundlegenden Voraussetzungen, wel-che Lehre und Rechtsprechung aufgestellt haben, kodifiziert. An ihnen willArt. 19 OR2020 nichts ändern. » (Il diritto codificato non prevede in modoesplicito la clausola rebus sic stantibus che è peraltro accolta da parte dellagiurisprudenza; con l’art. 19 OR2020 viene codificato l’istituo della presup-posizione, così come delineato da dottrina e giurisprudenza; a questo proposi-to l’art. 19 OR2020 non aggiunge nulla). Si tratta di conclusioni ovvie; colpi-sce peraltro che questa sintonia con la giurisprudenza non viene illustrata fa-cendo riferimento all’ultima sentenza-standard in questa materia: ATF 24aprile 2001, RO 127 III 300 (Jolieville); si veda per questa pronuncia PierreTercier, Le droit des obligations, Zürich 2009, nr. 971 ss.

In conclusione, l’art. 19 costituisce una disciplina moderna della soprav-venienza, che dovrebbe costituire un esempio anche per altri legislatori.

b) Art. 41 OR/CO2020:1. « Chi è vittima di una lesione al momento del contratto può invali-

dare l’accordo ».2. « Si verifica lesione quando una delle parti abusa dei bisogni, della

leggerezza o dell’inesperienza dell’altra, o di qualsivoglia altra compromissio-ne della libertà di decisione per farsi promettere una controprestazione insproporzione manifesta con la propria prestazione ».

Il nucleo di questo articolo è costituito dalla lesione, la quale deve consi-stere in una sproporzione manifesta. Lo svantaggio deve in altre parole assu-mere la consistenza di uno squilibrio di carattere patrimoniale tra le presta-zioni. Sotto questo profilo, la norma appare meglio formulata rispetto all’art.3:44, comma 4o, BW olandese in cui è stata cancellata in extremis la necessitàche il danno sia patrimoniale (questo in base ad una lettura non corretta diuna sentenza della Corte Suprema olandese del 1964). I « Motivi » sono statiscritti da Wolfgang Ernst (professore all’Università di Zürich), il quale consi-dera come la nuova disciplina corrisponda a grandi linee con quanto previstodall’art. 21 OR (RZ2). Aggiunge inoltre che: « Sprachliche Änderungen zielenauf einen zeitgemässen Wortlaut, nicht auf einen anderen materiellen Rege-lungsgehalt. Es muss eine beeinträchtigte Entscheidungsfreiheit vorliegen(beispielshaft, aber nicht abschliessend genannte Ursachen: Notlage, Uner-

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fahrenheit oder Leichtsinn); diese muss vom anderen Teil ausgenutzt werdensein, sodass sich zwischen Leistung und Gegenleistung ein offenbares Missver-hältniss ergibt. Auf die Judikatur zu Art. 21 OR kann zurückgegriffen wer-den. » (Innovazioni linguistiche hanno come obiettivo l’uso del linguaggiocontemporaneo, non necessariamente anche l’innovazione del diritto materia-le. Deve risultare provata una compromissione della libertà di decisione (peresempio, in via esemplificativa: stato di bisogno, inesperienza o leggerezza);di questa compromissione deve aver abusato l’altra parte, con conseguentemanifesta sproporzione fra prestazione e controprestazione. Con riferimentoall’art. 21 OR è sufficiente far riferimento all’elaborazione giurisprudenziale).Benché questo testo sia chiarissimo per un giurista professionista, più dubbioè se l’espressione « beeinträchtigte Entscheidungsfreiheit » / « compromissio-ne della libertà di decisione » sia facilmente comprensibile per i non addetti ailavori. Problemi analoghi potrebbe peraltro porre anche l’espressione inglese:« impairment of freedom of decision »; in questa prospettiva sarebbe stata for-se auspicabile la scelta di una terminologia più accessibile.

In caso di abuso delle circostanze (« undue influence »), ai sensi dell’art.43, comma 2o, OR/CO2020 l’invalidità può essere anche soltanto parziale(RZ3). Il progetto svizzero OR/CO2020, diversamente da quanto previstodall’art. 3:54 BW olandese, non contempla viceversa la possibilità di mante-nere in vita il regolamento contrattuale, salve le necessarie modifiche per ri-condurlo ad equità; fattispecie che peraltro non ha trovato molte applicazionianche nel diritto olandese.

c) Art. 47 OR/CO2020: « Il danno consiste in una perdita patrimoniale oin un’altra perdita ». Il danno può dunque consistere in una perdita patrimo-niale o anche semplicemente nella perdita di una chance, o altro ancora(RZ2).

I « Motivi » sono stati scritti da Walter Fellmann (professore all’Universi-tà di Luzern), Christoph Müller (professore all’Università di Neuchâtel) eFranz Werro (professore all’Università di Fribourg). Il successivo art. 48 at-tribuisce al giudice la facoltà di quantificare il danno « avuto riguardo all’or-dinario andamento delle cose »; l’art. 49 disciplina il risarcimento del dannoalla persona e l’art. 50 il danno da morte (RZ1).

d) Art. 54 OR/CO2020: « La maniera e la misura del risarcimento per ildanno prodotto sono determinate dal tribunale avuto riguardo alle circostan-ze ».

Art. 55 OR/CO2020: « Il giudice può ridurre o finanche negare il risarci-mento, se circostanze, per le quali il danneggiato è responsabile, hanno con-tribuito a cagionare o ad aggravare il danno ».

I « Motivi » di questi due articoli sono stati scritti dalle stesse persone in-dicate nel commento dell’articolo precedente; in particolare secondo questiautori: « L’art. 54 et l’art. 55 CO2020 traitent de la fixation de l’indemnitéet de sa réduction. L’unité de la matière abordée justifie de traiter ces deuxdispositions ensemble. Fixer l’indemnité, c’est au besoin la réduire. » (RZ1).

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(L’art. 54 e l’art. 55 CO2020 trattano la determinazione del risarcimento deldanno e la sua riduzione. L’unità della materia giustifica un trattamento uni-tario di queste disposizioni. Determinare il risarcimento può significare, oveoccorra, ridurlo). Sempre secondo questi autori: « D’une manière générale,l’art. 54 et l’art. 55 CO2020 n’apportent pas de modification substantielle aurégime de l’art. 43 et de l’art. 44 CO. Avec le même laconisme, l’art. 54CO2020 reprend les principes de l’art. 43 CO, l’art. 55 CO2020, ceux del’art. 44 CO » (RZ2). (In modo generale l’art. 54 e l’art. 55 CO2020 noncomportano una modifica sostanziale del regime dell’art. 43 e dell’art. 44 CO.Con la medesima concisione l’art. 54 CO2020 riprende i principi dell’art. 43CO, l’art. 55 CO2020 quelli dell’art. 44 CO). Seguono le seguenti considera-zioni: « L’art. 54 et l’art. 55 CO2020 suppriment à juste titre la référence àla faute, qui n’est plus énoncée à l’art. 46 CO2020 » (RZ3). (L’art. 54 e l’art.55 CO2020 sopprimono giustamente ogni riferimento alla colpa, la quale nonè stata più inserita nell’art. 46 CO2020). Si noti in particolare che nel proget-to di riforma la determinazione dell’entità del risarcimento è del tutto sgan-ciata dalla gravità della colpa. Gli autori spiegano le ragioni che rendono au-spicabile questa soluzione: « Dans l’art. 54 CO2020, la référence à la gravitéde la faute de l’art. 43 al. 1 CO n’est pas reprise. Dès lors que la faute est ab-sorbée dans la notion de manquement au devoir général de comportement, ilne se justifie pas de la mentionner séparément » (RZ4). (Nell’art. 54 CO2020il riferimento alla gravità della colpa non è più ripreso. Perché la colpa è as-sorbita nella nozione di un mancato dovere di comportamento non è più giu-stificato nominarla separatamente). In senso diverso dispone viceversa l’art.43 al. 1 CO vigente, ai sensi del quale il giudice in sede di quantificazione deldanno è tenuto a prendere in considerazione la « gravité de la faute ». Princi-pio che nel diritto svizzero trova ancora regolare applicazione. Il progetto OR/CO2020 innova peraltro radicalmente sotto questo profilo, anche se gli autorici tengono a precisare che: « Rien ne doit empêcher le tribunal de tenircompte du peu de gravité du manquement pour atténuer l’obligation de répa-rer. Il pourra se fonder à cette égard sur l’ensemble des circonstances ». (Nul-la impedisce al tribunale di tener conto della scarsa gravità della violazioneper alleggerire l’obbligazione di risarcire. A questi fini si dovrà tener contodell’insieme delle circostanze).

Per il resto vien confermato il regime vigente, salva ancora l’abrogazionedi un’altra norma palesemente desueta: « Pour le reste, l’art. 54 et l’art. 55CO2020 ne modifient pas le régime mis en place par l’art. 43 et l’art. 44 CO.Néanmoins, compte tenu de sa désuétude, l’art. 44 al. 2 CO, qui codifie la ré-duction de l’indemnité due en cas gêne, a finalement été abandonné » (RZ6).(Per il resto, l’art. 54 e l’art. 55 CO2020 non modificano il regime degli art.43 e 44 CO. Tuttavia a ragione della sua desuetudine è stato finalmente abro-gato l’art. 44, comma 2o, CO che codifica la riduzione del risarcimento deldanno, ove il risarcimento potrebbe ridurre in stato di bisogno la persona re-sponsabile). L’attuale art. 44, comma 2o, CO prevede ancora il potere del giu-

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dice di ridurre l’entità del risarcimento ove l’adempimento potrebbe ridurrein stato di bisogno il debitore; regola che appare peraltro ormai desueta.

e) Art. 145 OR/CO2020:1. « Un contratto di durata può essere disdetto per motivi gravi; vale

segnatamente motivo grave ogni circostanza che non permette ragionevol-mente di esigere da chi ha dato la disdetta che abbia a continuare nel contrat-to ».

2. « Mancando un motivo grave, la disdetta di un contratto di duratasi presume disdetta ordinaria ».

I « Motivi » sono stati scritti da Reto M. Hilty (professore all’Universitàdi Zürich) e Tina Purtschert (avvocato). Mentre l’art. 144 OR/CO2020 disci-plina la didetta ordinaria, l’art. 145 OR/CO2020 disciplina la disdetta straor-dinaria, la quale può aver luogo solo in presenza di un grave motivo; in parti-colare si è in presenza di un grave motivo ogniqualvolta l’adempimento nonpotrebbe più essere esigibile. Piuttosto ci si potrebbe interrogare circa i rap-porti con la disciplina della sopravvenienza (art. 19). Si consideri tuttavia chementre l’art. 19 del progetto si riferisce ad ogni mutamento sopravvenuto del-le circostanze, l’art. 145 si riferisce ad ogni motivo che può rendere inesigibilela prestazione; il che non vale peraltro a fugare del tutto i dubbi circa i rap-porti tra le due norme in questione, che per lo meno in parte si sovrappongo-no; la sopravvenienza legittima in altre parole la risoluzione o la revisionegiudiziale del contrattto o viceversa il recesso stragiudiziale? In quali casi siapplica la prima soluzione ed in quali casi la seconda? Ovviamente sarebbeauspicabile che venissero chiariti meglio i rapporti tra questi due istituti; unapossibile soluzione potrebbe consistere nel ritenere che occorre rivolgersi algiudice ogniqualvolta vi sono ancora margini per la revisione del contratto, ele parti non riescono a raggiungere una nuova intesa, mentre negli altri casi ilrapporto può essere terminato in virtù del recesso; si consideri ancora la pos-sibilità di raggiungere all’incirca i medesimi risultati in applicazione del prin-cipio di buona fede e del divieto dell’abuso del diritto (art. 2, comma 2o, CC).

f) L’art. 220 OR/CO2020:1. « L’ammontare della pena convenzionale è lasciato all’arbitrio delle

parti; il tribunale deve ridurre le pene convenzionali che ritiene eccessive ».2. « Essa è invalida quando sia destinata a convalidare un’obbligazio-

ne contraria al diritto imperativo o all’ordine pubblico ».3. « Essa non è dovuta ove il debitore provi che l’inadempimento deri-

va da una circostanza di cui non è responsabile ».I « Motivi » sono stati scritti da Pascal Pichonnaz (professore all’Univer-

sità di Fribourg), il quale considera che: « L’art. 220 CO2020 ne modifie pasl’art. 163 CO sur le fond; néanmoins, la forme a été adaptée pour tenircompte du régime différent de l’inexécution dans le projet (al. 2 et al. 3). Enoutre, la liberté des parties et le devoir de tribunal de réduire les peines ex-cessives ont été mis dans le même alinéa (al. 1) pour bien montrer la limite dela liberté des parties. » (RZ1). (L’art. 220 CO2020 non cambia nella sostan-

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za l’art. 163 CO. Tuttavia la forma è stata adattata al differente regime del-l’inadempimento così come disciplinato nel progetto (commi 2o e 3o). Inoltrela libertà delle parti ed il dovere del tribunale di ridurre le pene eccessive sonocollocati nello stesso comma (1o) per dimostrare che sussiste un limite alla li-bertà delle parti). Inoltre: « Le montant de la peine conventionnelle ne dé-pend pas du montant du dommage (art. 219 al. 1 CO2020); partant, c’estbien l’accord des parties qui en détermine l’ampleur. L’art. 220 CO2020commence ainsi par rappeler ce principe qui découle de la disposition précé-dente. » (RZ2). (L’ammontare della pena convenzionale non dipende del-l’ammontare del danno (art. 219, comma 1o, CO2020); ma dall’accordo delleparti. L’art. 220 CO2020 inizia col ricordare questo principio che deriva dal-la disposizione precedente). Ne consegue che: « Conformément à l’art. 163 al.3 CO l’art. 220 CO2020, in fine, limite la liberté des parties en imposant autribunal de réduire une peine conventionnelle excessive. Une peine excessiven’est toutefois pas nulle, mais seulement réductible. » (RZ3). (In conformitàcon l’art. 163, comma 3o, CO, l’art 220 CO2020, in definitiva, limita la liber-tà delle parti obbligando il tribunale a ridurre una pena convenzionale ecces-siva. Tuttavia una pena eccessiva non è nulla ma soltanto suscettibile di ridu-zione). A questo proposito si consideri tuttavia che La Corte di Giustizia UEnella sentenza del 30 maggio 2013 (oss. 60) ha espresso un diverso parereper quanto riguarda i contratti dei consumatori. Ancora diversa è la questionecirca la rilevabilità d’ufficio (RZ4); il punto di partenza è molto chiaro: « Letribunal ne doit pas examiner d’office le caractèr excessif d’une peine conven-tionnelle. » (Il tribunale non può esaminare d’ufficio il carattere eccessivo diuna pena convenzionale). Questo principio viene però subito ridimensionato:« Toutefois, l’obligation de réduire la peine s’impose au tribunal en ce sensque si la partie affectée par la peine conventionnelle la rejette et allège desfaits qui permetteraient d’opérer une réduction, le tribunal n’a pas besoind’une requête spécific, mais doit déjà opérer cette réduction. Selon le Tribu-nal fédéral, il s’agit d’une norme d’ordre public, donc impérative, que le jugedoit appliquer même si le débiteur n’a pas demandé expressément de réduc-tion (ATF 133 III 201 c. 5.2). Le fardeau de preuve du caractèr excessif restetoutefois à charge du débiteur de la peine conventionnelle. » (Tuttavia l’ob-bligazione di ridurre la pena s’impone al tribunale ogniqualvolta la parte gra-vata dalla pena convenzionale la rigetti ed avvanzi fatti che permetterrebberouna sua riduzione, in queste circostanze il tribunale non ha bisogno di una ri-chiesta specifica, ma deve applicare d’ufficio la riduzione. Secondo la CorteSuprema si tratta di una norma d’ordine pubblico, dunque imperativa, allaquale il giudice si deve attenere anche nel caso in cui il debitore non ha invo-cato espressamente la riduzione (ATF 133 III 201 oss. 5.2). L’onere dellaprova del carattere eccessivo resta comunque sempre a carico del debitoredella pena convenzionale).

Nei « Motivi » si legge ancora: « Le groupe a finalement renoncé à établirune liste de critères à prendre en compte pour déterminer si une peine

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conventionnelle est ou non excessive. En effet, les tribunales doivent pouvoirapprécier la situation principalement au regard du cas concrete. Jusqu’à pré-sent le Tribunal fédéral a toujours refusé de fixer des critères stricts ou unpourcentage spécifique. » (RZ6). (Il gruppo infine ha rinunciato ad indivi-duare una lista di criteri da prendere in osservazione per determinare se unapena convenzionale sia eccessiva oppure no. Praticamente i tribunali devonoapprezzare la situazione del caso concreto. Fino ad oggi la Corte Suprema hasempre rifiutato di fissare criteri rigidi od una percentuale determinata). Inquesta prospettiva: « Une intervention du tribunal n’est nécessaire que si lemontant fixé est si élevé qu’il dépasse toute mesure raisonnable, au point den’être plus compatible avec le droit et l’équité. Il faut ainsi se demander s’il ya une disproportion crasse entre le montant convenu et l’intérêt du créancierà maintenir la totalité de sa prétention, mesuré concrètement au moment dela violation contractuelle » (RZ7). (Un intervento del tribunale sarà necessa-rio soltanto se l’ammontare è talmente elevato da oltrepassare ogni misura ra-gionevole, a tal punto da non essere compatibile con il diritto e l’equità. Oc-corre poi verificare se sussista una sproporzione rigorosa tra l’ammontareconvenuto e l’interesse del creditore al mantenimento della sua pretesa inte-grale, misurata concretamente al momento della violazione contrattuale). Conla conseguenza che: « Malgré l’insistance du Tribunal fédéral sur le caractèrecasuistique de l’approche et le fait qu’il ne faut pas adopter un approcheabstraite du caractère excessif, celui-ci a toutefois retenu qu’une peineconventionnelle supérieure à 10% de la créance globale peut être considéréecomme très élevée, et soupçonnée d’être excessive (cf. Art. 227, comma 1o, OR/CO, P.A.). Il n’en reste pas moins que l’analyse doit se faire dans chaque casconcret. » (RZ9). (Malgrado la tenacia della Corte Suprema nel ribadire lanecessità di un approccio casistico, ed il fatto che non si può adottare a questoproposito un approccio astratto, la S.C. ha sempre ritenuto che una pena con-venzionale superiore del 10% rispetto al credito totale può essere consideratacome troppo elevata, con conseguente presunzione di eccessività. L’unica cosache resta da fare è dunque un’analisi di ogni caso concreto).

6. — All’inizio di questo lavoro ho citato il motto: « Bewährtes ist zuerhalten — Neuem ist Raum zu schaffen ». Qualche perplessità suscita in par-ticolare il secondo inciso: « dare spazio alle innovazioni ». A questo propositooccorre premettere che per ragioni di varia natura la Svizzera nel 1993 haoptato per non far parte della Comunità europea; sul piano del diritto privatoquesta decisione ha avuto conseguenze enormi, specie sotto il profilo della re-cezione delle direttive della Comunità europea; basti ricordare a questo pro-posito che nel 1993 il governo svizzero ha proposto l’approvazione di ben 90regolamenti CE, dei quali solo 23 sono stati convertiti in leggi interne. Nonesiste quindi una disciplina dei contratti del consumatore comparabile a quel-la degli altri ordinamenti europei, salvo il diritto di recesso nei contratti con-clusi a distanza disciplinato dall’art. 40a ss. OR/CO. Questo articolo è consi-

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derato un provvedimento fondamentale a tutela dei consumatori, ma a partequesto in Svizzera non c’é nulla in tema di clausole vessatorie, e così via. Inquesta prospettiva è inevitabile concludere che: « Rechtlich sind die Restrik-tionen, welche dem allgemeinen Teil des OR aus dem europäischen Gemein-schaftsrecht bzw. — privatrecht gesetzt werden, also minimal » (RZ44).(Giuridicamente, le restrizioni che il diritto europeo (privato) impone allaparte generale del diritto delle obbligazioni svizzero sono dunque minimali).Questo non impedisce peraltro alla Commissione di ribadire che: « Ziel undZweck des Entwurfs ist die Umsetzung der “Idée Suisse”, wie sie dem 21.Jahr-hundert entspricht » (RZ8). (Gli obiettivi del disegno di legge sono l’adegua-mento dell’idea Svizzera a come come viene intesa nel 21o secolo).

7. — Per quel che riguarda la fattibilità del progetto occorre prendere inconsiderazione due differenti profili, quello giuridico e quello politico. Perquel che riguarda il profilo giuridico, il progetto è sicuramente largamentecondiviso dalla comunità scientifica svizzera; esso è dovuto all’iniziativa didue professori universitari che hanno coinvolto molti altri docenti provenientida tutte le otto università del paese; sicuramente appropriata è stata inoltre lascelta di realizzare un progetto bilingue; peccato soltanto che il contributoscientifico della Svizzera-italiana sia assente; del resto nel canton Ticino nonc’è un’università e la componente italiana costituisce solo il 10% della popo-lazione.

Tenuto conto del grande supporto scientifico, la commissione avrebbeforse potuto andare molto più avanti e non limitarsi a fare un progetto so-stanzialmente conservativo. A ben vedere il contenuto innovativo è infattipiuttosto limitato. In particolare sarebbe stato forse opportuno prestare piùattenzione alla tutela del consumatore, prendendo come esempio l’AGB-Ge-setz tedesco (1976) ed il Konsumentenschutzgesetz austriaco (1979). Questonon è però avvenuto a causa della decisione presa nel 1993 di non far partedella Comunità europea.

Per quel che riguarda la fattibilità politica, non è facile azzardare ipotesi;non è infatti del tutto chiaro se sussista effettivamente una volontà di rinno-vamento; il mio auspicio è ovviamente che questo possa avvenire.

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C O M M E N T I

Francesco Paolo PattiDottorando di ricerca

IL CONTROLLO GIUDIZIALEDELLA CAPARRA CONFIRMATORIA

Sommario: 1. I dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 1385, comma 2o, c.c. — 2. Il pro-blema della riduzione giudiziale della caparra confirmatoria nella giurisprudenza e nelladottrina: il divieto di applicazione analogica della norma eccezionale. — 3. L’assimila-zione della « caparra confirmatoria » alla « clausola penale ». — 4. Il controllo giudizia-le fondato sul dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. e la clausola generale di buona fede.— 5. Gli effetti dell’illegittimità costituzionale e il confronto con l’esperienza giuridicatedesca: il controllo sull’equilibrio contrattuale per mezzo delle clausole generali.

1. — A differenza di quanto è stabilito per la clausola penale dall’art.1384 c.c., la legge non prevede la riduzione giudiziale della caparra confir-matoria. In caso di inadempimento, appare certo, peraltro, che l’assenza delpotere di riduzione possa pregiudicare la posizione del tradens o la posizionedell’accipiens, quando l’ammontare pattuito risulti manifestamente eccessivo.

Il Tribunale di Tivoli ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, in ri-ferimento all’art. 1385, comma 2o, c.c. nella parte in cui non dispone che il giudi-ce possa equamente ridurre la somma da ritenere, nell’ipotesi in cui il contraenteche ha dato la caparra confirmatoria sia inadempiente, o quella pari al doppio darestituire, nell’ipotesi inversa in cui sia inadempiente il contraente che l’ha rice-vuta, ove risulti la manifesta sproporzione o sussistano giustificati motivi (1).

Con l’ordinanza n. 248 del 24 ottobre 2013, la Consulta ha dichiarato lainammissibilità della questione sollevata in via incidentale per difetto di moti-vazione, in punto di manifesta infondatezza e di rilevanza (2).

In questa sede interessa il profilo della rilevanza e conviene riportare ipassaggi della decisione nei quali la Corte indica due distinte ragioni per cuila motivazione si presenta carente: in primo luogo, il Tribunale rimettente ha

(1) Cfr., sulla base del principio di ragionevolezza, ex art. 3, 2o comma, Cost., Trib. Ti-voli, ord. 10 ottobre 2012, in F. it., 2013, I, c. 1023 ss., con osservazioni di A. Palmieri.Nella specie, in adempimento di un contratto preliminare di compravendita relativo ad unimmobile, il promissario acquirente ha consegnato una caparra confirmatoria di P150.000,00, a fronte del prezzo complessivo pari a P 510.000,00. Nel rimettere la suddettaquestione di legittimità alla Corte costituzionale, il Giudice di Tivoli ha rilevato, aderendoall’indirizzo giurisprudenziale che verrà esaminato infra, n. 2, il divieto di applicazione del-l’art. 1384 c.c., alla luce del carattere eccezionale della norma.

(2) In F. it., 2014, I, c. 382 s. Negli stessi termini, sulla medesima questione di legitti-mità costituzionale, ancora una volta a seguito di rimessione del Tribunale di Tivoli, v. C.cost., ord. 2 aprile 2014, n. 77, ined.

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trascurato di « indagare compiutamente la reale portata dei patti conclusidalle parti contrattuali, così da poter esprimere un necessario coerente giudi-zio di corrispondenza del nomen iuris rispetto all’effettiva funzione della ca-parra confirmatoria »; in secondo luogo, il Tribunale di Tivoli non ha tenutoconto « dei possibili margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte diuna clausola negoziale che rifletta [...] un regolamento degli interessi nonequo e gravemente sbilanciato in danno di una parte. E ciò in ragione dellarilevabilità, ex officio, della nullità (totale o parziale) ex articolo 1418 cod.civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’articolo 2 Cost.,(per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) che en-tra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buo-na fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto ob-bligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura incui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato” ».

In altri termini, da un lato, la Corte afferma che, al di là del nomen iurisadoperato dalle parti, il giudice rimettente avrebbe dovuto valutare la naturadel patto, potendosi profilare l’eventualità di una qualificazione diversa ri-spetto a quella attribuita in via contrattuale. Dall’altro lato, lo stesso giudicedel merito avrebbe dovuto tener conto di ciò che appare una vera e propriaDrittwirkung del dovere di solidarietà desumibile dall’art. 2 Cost., chiamatoad operare assieme alla clausola generale di buona fede, e della circostanzache la violazione delle suddette norme configurerebbe un’ipotesi di nullità(virtuale) totale o parziale.

Dopo aver ricordato, sia pur brevemente, le posizioni della giurispruden-za e della dottrina sul problema della riduzione giudiziale della caparra con-firmatoria (n. 2), si indicheranno le ragioni che inducono a ritenere il vulnusdi tutela della parte inadempiente, nel caso di una caparra di ammontare ec-cessivo, risolvibile in via ermeneutica, qualificando la clausola in modo diver-so rispetto a quanto deciso dai contraenti (n. 3). Di seguito, verranno esami-nate le questioni relative all’applicazione dell’art. 2 Cost., della clausola gene-rale di buona fede e delle norme sulla nullità contrattuale (n. 4). In conclusio-ne, il confronto con un intervento della Corte suprema tedesca, in tema diclausola penale, consentirà di mettere in luce possibili incertezze applicativederivanti dal ricorso ai principi e alle clausole generali (n. 5).

2. — Secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di merito e dilegittimità, il potere del giudice di riduzione della penale previsto dall’art.1384 c.c. non può essere esercitato nel caso della caparra confirmatoria. Sor-prendentemente, alla luce del cospicuo ammontare delle caparre oggetto dellecontroversie, nelle decisioni più recenti non si indugia sulla motivazione postaa base del diniego e ci si limita ad un rinvio alle decisioni precedenti (3).

(3) Si limitano a richiamare i precedenti di segno negativo nell’escludere il potere giudi-ziale di riduzione della caparra confirmatoria stipulata nell’ambito di contratti preliminari,

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Le sentenze più risalenti fanno invece perno su diversi argomenti per ne-gare l’applicazione analogica della norma sulla riduzione. Tra le ragioni indi-viduate, rileverebbe che, pur essendo la clausola penale e la caparra confir-matoria disciplinate nella medesima sezione, soltanto per la prima è previstala riduzione giudiziale, circostanza percepibile come una scelta precisa del le-gislatore e non alla stregua di un’involontaria omissione (4). Inoltre, si osservache la norma dell’art. 1384 c.c. avrebbe carattere eccezionale e non sarebbeapplicabile analogicamente « oltre l’ambito della clausola penale, cui testual-mente si riferisce, né, in particolare, in tema di caparra confirmatoria » (5).

Parte della dottrina non si pone in termini critici rispetto al descrittoorientamento, rilevando che l’eventualità di una caparra di ammontare ecces-sivo sarebbe da escludere poiché il valore della caparra corrisponde necessa-riamente soltanto ad una parte della prestazione dovuta (6).

Cass. 1o dicembre 2000, n. 15391, in Rep. F. it., 2000, voce Contratto in genere, n. 488(caparra L. 27.000.000; prezzo complessivo dell’immobile L. 80.000.000); Cass. 23 agosto1997, n. 7935, ivi, 1997, voce cit., n. 429 (caparra L. 21.000.000; prezzo complessivo del-l’immobile L. 91.000.000). Nella specie, il tradens ha sostenuto la tesi, non accolta dallaSuprema Corte sulla base dell’inequivocabile tenore letterale della clausola, che soltantouna parte dell’ammontare era stato corrisposto a titolo di caparra, mentre l’altra parte co-stituiva un acconto da restituire; Cass. 23 maggio 1995, n. 5644, ivi, 1995, voce cit., n.368 (caparra L. 30.000.000; prezzo complessivo dell’immobile L. 63.990.000).

(4) Cass. 10 novembre 1977, n. 4856, in R. d. comm., 1978, II, p. 176 ss., con nota diA. Marini, Caparra confirmatoria e reductio ad aequitatem: « L’aver previsto la riduzione“ope iudicis” della penale ma non della caparra è significativo dell’intento di disciplinare inmodo diverso le due fattispecie perché, altrimenti, sarebbe necessario postulare la manche-volezza, da cui nasce l’esigenza di far ricorso all’analogia, proprio in sede di contestuale re-golamentazione dei due istituti: il che è, quanto meno, azzardato ». Ulteriori argomenti ad-dotti dalla sentenza per negare l’estensione analogica dell’art. 1384 c.c. sono la strutturabilaterale della caparra che, ponendo in capo ai contraenti la stessa prestazione, eviterebbesituazioni di iniquità e la facoltà di scelta tra caparra e risarcimento del danno (art. 1385,commi 2o e 3o, c.c.), « inammissibilmente soppressa con l’ammettere la riduzione ».

(5) Cass. 24 febbraio 1982, n. 1143, in Rep. F. it., 1982, voce Contratto in genere, n.208; Cass. 10 dicembre 1979, n. 6394, ivi, 1979, voce cit., n. 244. Nella giurisprudenza dimerito, v. Trib. Monza 25 agosto 2005, in G. mer., 2006, p. 931; App. Cagliari 16 gennaio1998, in R. g. sarda, 1999, p. 399 ss., con nota di A. Chelo, Brevi considerazioni in temadi caparra confirmatoria e clausole abusive; Trib. Cagliari 9 marzo 1989, ivi, 1992, p. 373ss., con nota di A. Angioni, Questioni varie in tema di responsabilità per inadempimento ecaparra confirmatoria; App. Napoli 6 luglio 1963, in F. it., 1963, I, c. 2253.

L’unico precedente contrario, a quanto consta, è App. Roma 13 marzo 1959, in Giust.civ., 1959, I, p. 584 s., il quale ammette la riducibilità giudiziale della caparra sulla basedel divieto di arricchimento senza causa. Nello stesso senso v. anche Arb. Milano 29 marzo2006, in R. arbitrato, 2006, p. 385 ss., con nota di F. Criscuolo, Principio di proporziona-lità, riduzione ad equità della penale e disciplina della multa penitenziale: « per analogiaalla ratio di tutela del contraente vittima di uno squilibrio dell’assetto negoziale non voluto,espressa dalla recente interpretazione della suprema corte sull’art. 1384 c.c., è riducibiled’ufficio dal giudice (o dall’arbitro) la caparra penitenziale ritenuta manifestamente ecces-siva riguardo all’interesse del creditore all’adempimento ».

(6) A. Marini, Caparra confirmatoria e reductio ad aequitatem, cit., p. 180; F. Roselli,Clausola penale e caparra, in Tratt. Bessone, XIII, Torino 2002, p. 465, secondo cui « Il fatto

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In realtà, dal momento che, ai sensi dell’art. 1385, comma 2o, c.c., il di-ritto di ritenere la caparra o di ottenere la somma pari al duplum postulanonecessariamente la risoluzione del contratto al quale il patto accede, non puòescludersi — com’è dimostrato dalla fattispecie sottoposta al Tribunale rimet-tente — la sussistenza di esigenze di tutela analoghe a quelle che si presenta-no nel caso della clausola penale, in quanto il tradens o l’accipiens perde unammontare pari al valore della caparra, senza avere diritto ad alcuna contro-prestazione.

Pertanto, al fine di valutare se la caparra sia eccessiva, sembra che l’ammon-tare non debba essere posto in rapporto soltanto con il valore della prestazioneinadempiuta, ma altresì con il danno subito dal contraente non inadempiente, ilquale in assenza della pattuizione avrebbe diritto al risarcimento del danno dainadempimento, conseguente alla risoluzione del contratto (7).

Con riguardo al rapporto tra clausola penale e caparra confirmatoria, daun lato, e il risarcimento del danno, dall’altro lato, in epoca antecedente, eimmediatamente successiva all’entrata in vigore del codice civile del 1942,era diffusa la notazione secondo cui, in genere, rispetto al danno la penale haun ammontare superiore, mentre la caparra, viceversa, un ammontare infe-riore (8). Sul piano normativo, per questo motivo, diversamente dalla discipli-

che la caparra equivalga solo ad una parte della prestazione dovuta impedisce che sorgano que-stioni di riduzione giudiziale ». Nello stesso senso, affermando che l’ammontare della caparracostituisce una parte del prezzo e che si debba escludere che il giudice possa sindacare « la libe-ra valutazione del contenuto economico dell’accordo operata dalle parti », V. Pescatore,Clau-sola « di irriducibilità » della penale ed estensione analogica dell’art. 1384 c.c., nota a Cass. 28settembre 2006, n. 21066, in Obbligazioni e contratti, 2007, p. 905; E. Lucchini Guastalla,Riflessioni in tema di clausola penale, in questa Rivista, 2014, p. 102.

(7) In questo senso, C.M. Bianca,Diritto civile, 5, La responsabilità2, Milano 2012, p. 390,nt. 11: « al pari della clausola penale, la caparra espone l’inadempiente al pericolo di una prede-terminazione eccessiva » (il qualemodifica l’opinione espressa ne Il divieto del patto commisso-rio, Milano 1957, p. 235 s.); e, nella dottrina più recente, M. Bellante, La caparra, Milano2008, p. 109: « la sproporzione del risarcimento va valutata in rapporto al danno concretamen-te subito »; S.Cherti, La risoluzione mediante caparra, Padova 2012, p. 133.

(8) Secondo l’indirizzo prevalente nel vigore del codice del 1865, il contraente non ina-dempiente, analogamente a quanto previsto in materia di clausola penale (ma v. L. Coviel-lo jr., Clausola penale e risarcimento del danno, in F. it., 1933, I, c. 1696 ss.), poteva« chiedere niente più che l’importo della caparra », salvo che avesse in precedenza agito in-fruttuosamente per l’adempimento dell’obbligazione: V. Polacco, Le obbligazioni nel dirit-to civile italiano2, I, Roma 1915, p. 637. Nello stesso senso, G. Giorgi, Teoria delle obbli-gazioni nel diritto moderno italiano7, IV, Firenze 1925, p. 598; A. Butera, La caparra co-me limite al risarcimento del danno, in G. it., 1926, I, 1, c. 189 ss. La norma era ritenutain contrasto con la prassi del mercato secondo cui la penale era il più delle volte superioreall’ammontare del danno, mentre la caparra aveva normalmente un valore minore e potevadeterminare un « indebolimento dell’obbligazione » nei casi in cui l’adempimento non erapossibile: L. Coviello, voce Contratto preliminare, in Enc. giur., III, III, Milano 1902, p.134 s.; V. Polacco, loc. cit.; E. Pacifici-Mazzoni, Isitituzioni di diritto civile italiano5, IV,Firenze 1920, p. 432. Nello stesso senso, già N. De Crescenzio e C. Ferrini, voce Obbliga-zione, in Enc. giur., XII, I, Milano 1900, p. 369. All’indomani dell’entrata in vigore del co-dice del 1942, rilevano che generalmente l’ammontare della caparra è esiguo rispetto a

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na della clausola penale, l’art. 1385, comma 3o, c.c. prevede, in ogni caso, lafacoltà di chiedere il risarcimento del danno; opzione preferibile per il con-traente non inadempiente quando la caparra presenta un ammontare irrisorioe sussistono elementi probatori sufficienti per dimostrare il danno subito (9).Inoltre — ma ciò è soltanto presumibile —, l’esiguità del valore normalmenteassunto dalla caparra confirmatoria ha indotto il legislatore a ritenere super-flua una disposizione sulla riducibilità della caparra.

In epoca attuale, non si rinvengono valutazioni analoghe in merito airapporti tra gli istituti in esame e il risarcimento del danno, ma, soprattuttoin considerazione delle rationes poste a fondamento degli interventi della Su-prema Corte in tema di riducibilità d’ufficio della penale manifestamente ec-cessiva (sui quali si avrà modo di tornare), un numero crescente di studiosiesprime favore per la soluzione dell’estensione analogica del potere di riduzio-ne del giudice. Ciò perché anche la caparra confirmatoria si sostanzia in unaforma di liquidazione convenzionale del danno, che sottrae al giudice la com-petenza riconosciuta in questo campo dalle norme legali (10). Nell’ambito delmedesimo indirizzo, una parte della dottrina si basa sul « principio di propor-zionalità », del quale il controllo della clausola penale ex art. 1384 c.c. costi-tuirebbe una delle forme di manifestazione, per affermare il carattere non ec-cezionale della norma, la quale sarebbe applicabile per analogia a clausole di-verse rispetto alla clausola penale (11).

quello oggetto di una clausola penale, L. Barassi, Teoria generale delle obbligazioni2, III,L’attuazione, Milano 1948, p. 489 s.; N. Stolfi e F. Stolfi (a cura di), Il nuovo codice civi-le commentato, Libro IV, Delle obbligazioni, 1, Napoli 1949, p. 204. Secondo G. Bavetta,La caparra, Milano 1963, p. 177 nt. 22, la somma corrisposta a titolo di caparra sarebbedi regola « talmente di scarsa entità da far ritenere inconcepibile che la fattispecie possa co-stituire, nella previsione normativa e nella stessa intenzione delle parti, liquidazione pre-ventiva del danno ». In tempi recenti, v. S. Mazzarese, Clausola penale, in Comm. Schle-singer, sub Artt. 1382-1384 c.c., Milano 1999, p. 51.

(9) Il dato riceve conferma nei lavori preparatori: « poiché la caparra è di regola confir-matoria, la parte inadempiente può far valere i suoi diritti in via ordinaria » (Relazione alRe del Ministro Guardasigilli, n. 633).

(10) Cfr. A. Zoppini, La pena contrattuale, Milano 1991, p. 287 s.; Id., La clausola pe-nale e la caparra, in Trattato dei contratti2, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, I, 2, IContratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino 2006, p. 1025 s. Nello stesso senso, A.Riccio, È, dunque, venuta meno l’intangibilità del contratto: il caso della penale manifesta-mente eccessiva, in Contratto e impr., 2001, p. 101 ss.; M. Bellante, op. cit., p. 112 s.; S.Cherti, op. cit., p. 127 ss.; M. Dellacasa, Inadempimento e affidamento del contraente de-luso: una riflessione su risarcimento e caparra, in R. d. priv., 2013, p. 240 ss. Affermano lariducibilità della caparra ex art. 1384 c.c., ritenendo esistente un nucleo comune di disci-plina della clausola penale e della caparra stabilito dagli artt. 1382 ss. c.c., V.M. Trimar-chi, voce Caparra (dir. civ.), in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 202 nt. 46; M. Polastri Men-ni, Se la caparra confirmatoria sia suscettibile di riduzione equitativa da parte del giudice,in R. trim. d. proc. civ., 1965, p. 1197 ss.

(11) P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, inRass. d. civ., 2001, p. 342 ss., il quale ritiene applicabile « il principio [di proporzionalità]che ispira la riduzione » a clausole tipiche, come la caparra confirmatoria o penitenziale, e

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La casistica alla quale si è fatto cenno, in cui effettivamente risultano sti-pulate caparre di ammontare esorbitante, e l’orientamento della dottrina, ne-gli ultimi tempi propensa ad ammettere la riduzione giudiziale della caparra,confermano l’esigenza del controllo giudiziale. Come emerge dalla ordinanzadi rimessione e dalla decisione della Corte costituzionale, dove non è posta indiscussione l’interpretazione offerta dai precedenti giurisprudenziali, l’appli-cazione analogica dell’art. 1384 c.c. alla caparra confirmatoria si pone peròin contrasto con il carattere eccezionale da tempo riconosciuto alla nor-ma (12).

A fronte della situazione simile in cui versa il soggetto inadempiente nelcaso di penale o caparra avente ammontare eccessivo, già sulla base di unaprima riflessione, l’appiglio « formale » all’Analogieverbot, per negare il con-trollo giudiziale della caparra confirmatoria, non sembra insuperabile. Quan-to detto trova conferma in contributi che nel vigore del codice civile previgen-te mettevano in luce l’« assurdità » del divieto di applicazione analogica, atte-so che anche la norma eccezionale ha una propria ratio, idonea a ripetersi insituazioni diverse rispetto a quelle avute di mira dal legislatore (13). In altri

atipiche, come le clausole di liquidazione dei danni; Id., Il diritto civile nella legalità costi-tuzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti3, Napoli 2006, p. 383 ss. Studiositedeschi ritengono ammissibile l’applicazione analogica della norma sulla riduzione dellapenale ex § 343 BGB, sulla base di una operazione ermeneutica fondata sul principio diproporzionalità: v. C.-W. Canaris, Gesamtunwirksamkeit und Teilgültigkeit rechtsgeschäft-licher Regelungen, in Festschrift Steindorff, Berlin 1990, p. 519; M. Stürner, Der Grundsa-tz der Verhältnismäßigkeit im Schuldvertragsrecht. Zur Dogmatik einer privatrechtsimma-nenten Begrenzung von vertraglichen Rechten und Pflichten, Tübingen 2010, p. 435 s., ilquale, tuttavia, afferma l’applicabilità in via analogica della norma sulla riduzione soltantocon riguardo a clausole accessorie aventi carattere sanzionatorio (ad esempio, clausole pe-nali atipiche). In prospettiva storica, v. F. Wieacker, Geschichtliche Wurzeln des Prinzipsder verhältnismäßigen Rechtsanwendung, in Festschrift Fischer, Berlin-New York 1979, p.869 ss.

(12) Nella massima (redazionale) di Cass. 18 novembre 2010, n. 23273, in G. it., 2011,p. 1522, si legge: « La riducibilità della penale non è norma di carattere eccezionale, bensìespressione di un più generale potere-dovere del giudice di controllo sulla congruità di qua-lunque clausola contrattuale atta a predeterminare la pena gravante sulla parte inadem-piente, così da garantire la sua proporzionalità e la sua eventuale riconduzione ad un am-montare tale da essere meritevole di tutela (nel caso di specie, la corte ha ritenuto applica-bile in via analogica l’art. 1384 c.c. agli interessi di mora convenzionalmente stabiliti dalleparti ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1224 c.c.) ». Tuttavia, il principio riportato noncorrisponde alla motivazione della sentenza, in cui appare evidente che la Suprema Corteha applicato l’art. 1384 c.c. aderendo al consolidato indirizzo secondo cui gli interessi mo-ratori stabiliti in via convenzionale configurano una clausola penale (cfr., ad esempio, M.Libertini, voce Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano 1972, p. 129, ad avviso del quale laconvenzione sulla misura degli interessi moratori rientra « letteralmente nella previsionedell’art. 1382 c.c., che quindi si applica direttamente ad essa »; O.T. Scozzafava, Gli inte-ressi monetari, Napoli 1984, p. 112).

(13) Così N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, Torino 1938, p. 170 ss., il qualerileva che l’estensione analogica della norma eccezionale, alla luce del carattere della nor-ma, destinata a disciplinare fattispecie particolari, non si verifica « con la stessa frequenza

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termini, si segnalavano fattispecie che non cadono nel campo di applicazionedella norma eccezionale, ma per le quali si pongono le medesime ragioni percui il legislatore prevede una deroga alla norma generale. Nello stesso ordinedi idee, in mancanza di un divieto espresso, la dottrina tedesca ammette l’ap-plicazione analogica delle norme eccezionali, intendendo il principio « singu-laria non sunt extendenda », nel senso che se una norma è prevista per un ca-so eccezionale, essa non può essere applicata in via analogica a casi che nonpresentano la stessa situazione di eccezionalità (14). Al medesimo risultato siperviene, in tempi recenti, con riguardo al diritto dell’Unione europea (15).

Nelle pagine che seguono l’attenzione sarà rivolta soltanto ai difetti dellamotivazione del giudice a quo. Tuttavia, preme ribadire che il divieto di ana-logia della norma eccezionale non configura un argomento incontrovertibileper negare l’applicazione analogica dell’art. 1384 c.c. alla caparra confirma-toria. Anzitutto, è un dato acquisito quello secondo cui « l’eccezionalità diuna norma non è un carattere assoluto della norma stessa, ma un carattererelativo, soggetto a mutamenti nell’ambito stesso di un sistema » (16), di tal-ché la norma considerata come eccezione, in un dato momento, a seguito dicambiamenti di vario genere (interni al sistema o a esso esterni: ad esempio,di tipo sociale, economico, ecc.), può assumere nell’ordinamento i connotatidella « regola » o del « principio ». Inoltre, ponendo l’accento sul fondamentodella norma sul controllo giudiziale della penale, così come rinvenuto dai giu-dici di legittimità, potrebbe affermarsi che essa non ha natura « eccezionale »,bensì « speciale » poiché costituisce il « prolungamento » o la « continuazio-ne » del principio di solidarietà nel contesto delle clausole di forfetizzazione

con cui si verifica nella norma non eccezionale ». Nello stesso senso, F. Carnelutti, Teoriagenerale del diritto, Roma 1940, p. 149 s., secondo cui il divieto di applicazione analogica« riposa su un equivoco », in quanto « nulla vieta che l’eccezione sia, nel pensiero del legi-slatore, applicazione di un principio, il quale comprenda anche altri casi in una più ampiaeccezione alla regola espressa ».

(14) K. Engisch, Einführung in das juristische Denken5, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz1956, p. 147: « Wenn eine Vorschrift für einen bestimmten Ausnahmefall oder eine Grup-pe solcher Fälle erlassen ist, so darf sie selbstverständlich nicht analog angewendet werdenauf Fälle, in denen diese Ausnahmesituation nicht gegeben ist ». Nello stesso senso, K. La-renz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft6, Berlin-Heidelberg-New York 1991, p. 355 s.,il quale afferma che attraverso l’applicazione in via analogica non deve però giungersi adun risultato opposto rispetto a quello voluto dal legislatore. Sulle origini storiche della mas-sima « singularia non sunt extendenda » e sulla sua progressiva erosione, a partire dal XXsecolo, v. S. Vogenauer, Die Auslegung von Gesetzen in England und auf dem Kontinent, I,Tübingen 2001, p. 516 ss. In merito all’uso dell’argomento teleologico nell’applicare normein via analogica, cfr. R. Zimmermann, Statuta sunt stricte interpretanda? Statutes and theCommon Law: A Continental Perspective, in 56 Cambridge L. J. (1997), p. 320 s.

(15) Sulla base di alcune pronunce della Corte di giustizia, S. Martens, Methodenlehredes Unionsrecht, Tübingen 2013, p. 320 s., secondo cui, in linea di principio, nel diritto eu-ropeo non sussiste un divieto di applicazione analogica delle norme eccezionali.

(16) N. Bobbio, op. cit., p. 165.

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del risarcimento del danno (17). L’applicazione analogica della norma alla ca-parra confirmatoria sarebbe esclusa soltanto dall’esistenza di un principio incontrasto con quello di solidarietà, da ritenersi prevalente rispetto a quest’ul-timo (18).

In definitiva, sebbene esuli dall’obiettivo di questo studio l’esame criticodell’indirizzo della giurisprudenza — probabilmente, frutto del timore cheun’apertura possa con il trascorrere degli anni determinare un’applicazionegeneralizzata dell’art. 1384 c.c. (19) —, appare evidente che, allo stato, sussi-stono utili argomenti per modificare il consolidato orientamento che negal’applicazione analogica della norma sulla riduzione giudiziale.

3. — Enunciate le posizioni della giurisprudenza e della dottrina in meri-to alla questione della riduzione giudiziale della caparra confirmatoria, è pos-sibile procedere all’esame dei motivi che hanno indotto la Corte costituzionalead emettere l’ordinanza di inammissibilità. Come si è indicato in apertura, ilgiudice rimettente ha omesso di valutare se l’effettiva funzione della clausola,denominata dalle parti « caparra », corrisponda a quella dell’istituto discipli-nato dall’art. 1385 c.c. Ma non è dato sapere con quale clausola — aventeuna funzione non coincidente con quella della caparra confirmatoria — possaidentificarsi, a parere della Corte, la pattuizione sottoposta all’esame del Tri-bunale di Tivoli.

La giurisprudenza ha spesso affrontato problemi interpretativi connessiall’utilizzazione del termine « caparra » e l’elevato numero di controversie si

(17) Cfr. ancora N. Bobbio, op. cit., p. 168, il quale precisa che il diritto eccezionale co-stituisce una deroga a una norma più generale (rapporto regola-eccezione), mentre il dirittospeciale ne costituisce la sua specificazione (rapporto genere-specie). Sebbene riconoscache, da un punto di vista dogmatico, in virtù del divieto, le norme eccezionali non sono su-scettibili di applicazione analogica, afferma che attraverso la loro applicazione si svolge « lapratica evoluzione del sistema giuridico », T. Ascarelli, Il problema delle lacune e l’art. 3disp. prel. cod. civ. (1865) nel diritto privato, in Id., Studi di diritto comparato e in tema diinterpretazione, Milano 1952, p. 224 s. nt. 33, ad avviso del quale la distinzione tra dirittoeccezionale e diritto speciale consente di superare la descritta antinomia. In senso critico,sostiene che la specificazione dei principi « non si risolve in altro che nella loro deroga », F.Modugno, voce Norme singolari, speciali, eccezionali, in Enc. dir., XXVIII, Milano 1978,spec. p. 513 ss. Più in generale, sui problemi teorici cui dà luogo l’art. 14 disp. prel., v. G.Tarello, L’interpretazione della legge, in Tratt. Cicu-Messineo, I, 2, Milano 1980, p. 297ss.

(18) Nel senso che l’applicazione analogica di una norma pone l’esigenza di un bilancia-mento tra principi o valori dell’ordinamento, v. K. Larenz, op. cit., p. 384 s.; C.-W. Cana-ris, Die Feststellung von Lücken im Gesetz, München 1983, p. 97 ss.

(19) Del resto, il divieto di applicazione analogica delle norme eccezionali (sul quale,come visto, si esprimono in termini negativi autorevoli studiosi) poggia sulla preferenza ac-cordata « ai principi della certezza e della staticità rispetto a quelli dell’equità e del rinno-vamento » e ha lo scopo di evitare che una disciplina storicamente anomala venga estesa« al di fuori dei tempi e dei modi specificamente e direttamente da essa previsti »: L. Caia-ni, voce Analogia (teoria gen.), in Enc. dir., II, Milano 1958, p. 371 s.

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deve principalmente al significato « atecnico » che il termine assume nel lin-guaggio comune, idoneo a generare nei contraenti (o quantomeno in uno diessi) una errata rappresentazione degli effetti del patto. I problemi di delimi-tazione della caparra confirmatoria rispetto ad altri istituti hanno prevalente-mente investito figure affini, quali la caparra penitenziale, l’acconto e la cau-zione. Tali istituti, pur presupponendo, alla stregua della caparra confirmato-ria, la dazione di una somma di denaro o altre cose fungibili, svolgono funzio-ni diverse rispetto a quest’ultima, non essendo destinati a forfetizzare in viaanticipata il danno da inadempimento (20).

Nonostante le difformità sotto il profilo della struttura e degli effetti, ri-spetto alle indicate pattuizioni sovente esaminate dalla giurisprudenza, il pat-to che si avvicina maggiormente alla funzione spiegata dalla caparra in casodi inadempimento è la clausola penale. In questa prospettiva, ad avviso di chiscrive, il problema interpretativo da risolvere relativamente a casi come quel-lo sottoposto al giudice rimettente sembra concernere il potere, da parte delgiudice, di qualificare la caparra in termini di clausola penale, a prescinderedal nomen iuris accolto dai contraenti, nelle ipotesi in cui l’ammontare tra-smesso sia nettamente superiore al danno prevedibile in caso di inadempi-mento. La descritta operazione ermeneutica si fonderebbe sull’assunto — che,come visto supra, n. 2, sembra supportato sotto il profilo normativo (dall’art.1385, comma 3o, c.c. e dalla mancanza di una norma sulla riduzione dell’am-montare) e, si direbbe, storico (alla luce del dibattito dottrinale antecedente eimmediatamente successivo all’entrata in vigore del codice) — secondo cui lacaparra confirmatoria, consistendo generalmente in un importo inferiore ouguale a quello del danno prevedibile, in caso di inadempimento svolge esclu-sivamente la funzione di liquidazione preventiva del risarcimento (21).

Ebbene, sulla base delle indicate premesse circa la funzione « tipica »della caparra confirmatoria, non sembra azzardato affermare che ove la som-

(20) Com’è noto, a differenza della caparra confirmatoria, la caparra penitenziale costi-tuisce il prezzo per il recesso; l’acconto configura soltanto un adempimento parziale dellaprestazione; e la cauzione garantisce la corretta esecuzione della prestazione o il risarcimen-to del danno. Per maggiori approfondimenti, v. W. D’Avanzo, voce Caparra, in Nov. D., II,Torino 1958, p. 894 ss.; G. Bavetta, op. cit., p. 212 ss. e p. 227 s.; F. Messineo, Il contrattoin generale, in Tratt. Cicu-Messineo, XXI, 1, Milano 1968, p. 220 s.; A. Marini, voce Ca-parra I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, V, Roma 1988, p. 2; M.S. Scardigno, Sullaqualificazione giuridica della caparra confirmatoria, in Contratti, 2004, p. 987 ss.; M.Bellante, op. cit., p. 9 nt. 10 e p. 123 ss. (con particolare riguardo ai criteri interpretativiadottati dalla giurisprudenza).

(21) Nel senso che la caparra confirmatoria non svolge una funzione sanzionatoria, co-me la clausola penale, ma esclusivamente una funzione risarcitoria, v. Cass. 16 maggio2006, n. 11356, in Rep. F. it., 2006, voce Contratto in genere, n. 513; nella giurisprudenzadi merito, Trib. Pescara 19 aprile 2012, ined. Nella stessa direzione, da ultimo, I. Tardia,Funzione confirmatoria della caparra e alternatività recessiva, in Rass. d. civ., 2009, p.807 ss. In senso difforme, affermano che la caparra confirmatoria ha carattere sanzionato-rio, W. D’Avanzo, op. cit., p. 895, il quale discorre di « pena civile »; A. Marini, voce Ca-parra I) Diritto civile, cit., p. 2.

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ma di denaro o la quantità di beni fungibili sia talmente eccessiva da doversiritenere che la caparra non abbia il solo scopo di risarcire il danno, essa nonsvolge una funzione corrispondente a quella dell’istituto disciplinato dall’art.1385 c.c., ma integra una delle funzioni della clausola penale. Infatti, secon-do l’indirizzo ormai prevalente in dottrina, la clausola penale disciplinata da-gli artt. 1382 ss. c.c. è in grado di esplicare diverse funzioni: può avere lo sco-po di risarcire in via forfetaria il risarcimento del danno o, inducendo il debi-tore ad adempiere mediante il pagamento di una somma nettamente superio-re all’ammontare del risarcimento del danno che spetterebbe al creditore inbase alle regole legali, assumere un carattere marcatamente sanzionato-rio (22).

Proprio quando la clausola svolge una funzione sanzionatoria, funzioneche nelle intenzioni del legislatore non sembra competere alla caparra confir-matoria, viene in considerazione il controllo giudiziale della somma prevista atitolo di penale e non si vede perché il medesimo trattamento non debba esse-re riservato alla « caparra » avente lo stesso obiettivo. In questi casi, per assi-curare il controllo giudiziale dell’ammontare stabilito in via forfetaria, senzamettere in dubbio la natura eccezionale della norma dell’art. 1384 c.c., appa-re necessario qualificare la caparra confirmatoria in termini di clausola pena-le.

In proposito, occorre osservare che la « tipizzazione » legale — intesa co-me predisposizione di una disciplina specifica riservata a manifestazioni dellavolontà privata frequentemente ricorrenti nella pratica — non è un fenomenodiffuso con riguardo a singole clausole e, generalmente, persegue in primoluogo l’obiettivo di limitare l’autonomia contrattuale a tutela di specifici inte-ressi ritenuti meritevoli. Il regime della clausola penale contiene un nucleoimperativo fatto proprio da quasi tutte le codificazioni che, apprestando vin-coli e cautele, in particolare, attraverso la norma sul controllo giudiziale, è

(22) Secondo l’indirizzo ormai prevalente, la clausola penale può svolgere diverse fun-zioni, in particolare quella risarcitoria e quella sanzionatoria o punitiva: cfr. G. Gorla, Ilcontratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, I, Linea-menti generali, Milano 1955, p. 240 ss. In epoca più recente, v. G. De Nova, voce Clausolapenale, in Dig. disc. priv. - sez. civ., II, Torino 1988, p. 377; A. Zoppini, La pena contrat-tuale, cit., p. 16 nt. 34; V. Roppo, Il contratto2, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2011, p. 928;P. Iamiceli, Effetti della clausola penale, sub Art. 1382, in Commentario del codice civile,diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale, II, Torino 2011, p. 961 ss.; A. Orestano,Danno contrattuale e autonomia privata: la clausola penale, in Le tutele contrattuali e ildiritto europeo. Scritti per Adolfo di Majo, Napoli 2012, p. 413 ss. Nella giurisprudenza,cfr. Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, in F. it., 2005, I, c. 2985 ss.: « Nel disci-plinare l’istituto la legge ha ampliato il campo normalmente riservato all’autonomia delleparti, prevedendo per esse la possibilità di predeterminare, in tutto o in parte, l’ammontaredel risarcimento del danno dovuto dal debitore inadempiente (se si vuole privilegiarel’aspetto risarcitorio della clausola), ovvero di esonerare il creditore di fornire la prova deldanno subito, di costituire un vincolo sollecitatorio a carico del debitore, di porre a caricodi quest’ultimo una sanzione per l’inadempimento (se se ne vuole privilegiare l’aspetto san-zionatorio) ».

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destinato a rispondere all’esigenza di protezione di interessi ritenuti di parti-colare rilievo (23). In questo quadro, il mancato intervento del giudice, volto arettificare l’erronea qualificazione attribuita dai contraenti, non conforme allafunzione della clausola, vanificherebbe l’obiettivo di politica del diritto avutodi mira dal legislatore (24).

Peraltro, anche prescindendo dal profilo funzionale o causale, general-mente utilizzato quale criterio per qualificare i contratti, il solo dato normati-vo sembra sottendere che la tipizzazione legale operata per la clausola penale,in virtù della norma sulla riduzione giudiziale, riguardi altresì forfetizzazionidel risarcimento di valore superiore al danno prevedibile; mentre quella rela-tiva alla caparra confirmatoria, in presenza dell’art. 1385, comma 3o — checonsente, in assenza di specifica pattuizione, di agire per il risarcimento deldanno secondo le regole legali —, appare ideata per forfetizzazioni del risarci-mento di valore inferiore al danno prevedibile.

Sulla base dei suddetti rilievi sembra possibile, facendo ricorso al metodotipologico, affermare che, con riguardo alla fattispecie dell’inadempimento, iltratto distintivo tra clausola penale e caparra confirmatoria è dato dall’am-montare del risarcimento stabilito in via forfetaria (25). Nei casi in cui la clau-sola abbia per oggetto un ammontare superiore al risarcimento del dannoprevedibile essa deve essere ricondotta alla disciplina di controllo della clau-sola penale (26).

(23) Cfr. la ricostruzione storica, incentrata sul controllo giudiziale della clausola penalenelle codificazioni giusnaturalistiche e nel BGB, di R.-P. Sossna, Die Geschichte der Be-grenzung von Vertragsstrafen. Eine Untersuchung zur Vorgeschichte und Wirkungsgeschi-chte der Regel des § 343 BGB, Berlin 1993, p. 138 ss.

(24) V. C. Scognamiglio, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del contratto, di-retto da V. Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Vettori, Milano 2006, p. 198 s., il qualetuttavia afferma che non può negarsi ogni rilevanza alla scelta dichiarata dai contraenti.Nel senso che la tipizzazione legale talvolta non ha lo scopo di fissare diritti ed obblighi del-le parti, ma di limitare la portata delle pattuizioni a tutela di interessi esterni, v. V. Roppo,Il contratto2, cit., p. 398. Sulla rilevanza che il processo di tipizzazione del giudice assumein ordine all’applicazione di norme imperative, cfr. G. De Nova, Il tipo contrattuale, Pado-va 1974, p. 24 ss.

(25) Sul metodo tipologico, con ampi riferimenti alla dottrina tedesca, v. G. De Nova, Iltipo contrattuale, cit., p. 121 ss., il quale afferma che, a parte il caso dei contratti a titolo gra-tuito, il modo di perfezionamento del contratto non assurge a elemento distintivo tra tipi (p.109 ss.). In argomento, v. anche M. Costanza, Il contratto atipico, Milano 1981, p. 223 ss.

(26) Sulla questione si tornerà in chiusura, ma occorre sottolineare fin d’ora come, neicasi in cui la penale risulti manifestamente eccessiva, la soluzione proposta corrisponda nel-la sostanza a quella che discenderebbe dall’applicazione in via analogica dell’art. 1384 c.c.,esclusa dalla giurisprudenza in virtù della natura eccezionale della norma. Sui problemi delricorso all’analogia, dati dalla presenza di norme eccezionali, per estendere parte della di-sciplina di un tipo legale a un contratto non sussumibile nello stesso tipo legale, v. G. DeNova, Il tipo contrattuale, cit., p. 170 ss. Sotto il profilo metodologico, v. da ultimo D. Ca-rusi, La legge e il tempo, in Rass. d. civ., 2013, p. 329: « Quante volte — solo per fare unesempio evidente — applichiamo a contratti atipici norme riferentisi a qualche tipo o sot-

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La soluzione descritta è stata accolta in altre esperienze giuridiche carat-terizzate da un quadro normativo simile a quello italiano, poiché è prevista lariduzione della penale, ma non della caparra.

Ad esempio, dai lavori preparatori del codice civile tedesco si evince che, allaluce del potere del giudice di qualificare la caparra in termini di clausola penale,indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti, la previsione di una di-sposizione sulla riduzione della caparra (Draufgabe, disciplinata dai §§ 336-338BGB) è stata ritenuta inutile in virtù della presenza della norma sulla riduzionedella penale « sproporzionatamente eccessiva » (§ 343 BGB) (27). Ne deriva che,nei casi in cui l’ammontare della caparra risulta eccessivo, il giudice è tenuto adapplicare il regime giuridico della clausola penale.

Nell’Obligationenrecht svizzero la caparra (Haftgeld) corrisposta al mo-mento della stipulazione del contratto, in caso di inadempimento, ai sensi del-l’art. 158, comma 2o, resta alla parte che l’ha ricevuta e assume la funzione diKonventionalstrafe, il cui ammontare è soggetto a riduzione giudiziale in baseall’art. 163, comma 3o (28).

Ragioni analoghe hanno indotto la giurisprudenza portoghese, in due ce-lebri sentenze, ad estendere il controllo giudiziale previsto in materia di clau-sola penale (art. 812 Código Civil) alla caparra confirmatoria (sinal) manife-stamente eccessiva, disciplinata dall’art. 442 Código Civil (29). I giudici porto-ghesi hanno rilevato che anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice,

totipo regolato e facenti eccezione ad altre più generali? Lo facciamo in nome del contrattomisto, della combinazione delle cause, del metodo tipologico — sovrastrutture in buonaparte figlie della cattiva coscienza ispirataci dall’art. 14 delle preleggi —, ma lo facciamo— questa è la verità — ragionando analogicamente ».

(27) Cfr. V. Rieble, sub § 338 BGB, in J. von Staudingers Kommentar zum Bürgerli-chen Gesetzbuch, Berlin 2009, p. 242, Rn. 3, secondo cui la norma sulla riduzione giudi-ziale verrà applicata alla caparra, quale vera e propria penale; P. Gottwald, sub § 338BGB, in Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch6, München 2012, p. 2294,Rn. 1, il quale riprendendo i dibattiti svolti nel corso dei lavori preparatori, fa notare l’inu-tilità di una specifica previsione in materia di caparra, atteso che, nel caso in cui essa siasproporzionatamente eccessiva, il patto verrà qualificato come clausola penale; D. Medicuse S. Lorenz, Schuldrecht, I, Allgemeiner Teil20, München 2012, Rn. 543.

(28) F.R. Ehrat, sub Art. 158, in H. Honsell, N.P. Voigt e W. Wiegand (Hrsg.), BaslerKommentar. Obligationenrecht5, I, Basel 2011, p. 874, Rn. 5: « Bei Nichterfüllung der Ver-tragsschuld durch den Schuldner wird das Haftgeld funktionell zu einer zum voraus entri-chteten und kumulativ (neben einer allfälligen Schadenersatzpflicht) geschuldeten Konven-tionalstrafe umgewandelt ».

(29) Acórdão do Supremo Tribunal de Justiça de 8 Março de 1977 e de 1 de Fevereirode 1983. Sulle pronunce v. amplius A. Pinto Monteiro, Cláusula penal e indemnização,Coimbra 1990, rist. 1999, p. 215 ss. In termini critici, N.R. Bernardo, Sinal - Da sua Irre-dutibilidade por Equidade (Um problema de aplicação do artigo 812o do Código Civil aosinal), in Rev. da Ordem dos Advogados, 1996, I, p. 411 ss., secondo cui l’applicazione del-la norma sulla riduzione alla caparra ha l’effetto di limitare eccessivamente l’autonomia deicontraenti. Ad avviso dell’Autore, nel caso della caparra eccessiva, mezzi di tutela adeguatisarebbero offerti, al contraente inadempiente, dalla disciplina dei vizi della volontà, dal di-vieto di usura e dal divieto di abuso del diritto.

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attesa l’analogia da un punto di vista funzionale, la caparra era consideratauna vera e propria clausola penale; l’assenza di una norma ad hoc sulla ridu-cibilità sarebbe dovuta soltanto alla non frequente evenienza nella prassi dicaparre di ammontare eccessivo (30).

Nell’esperienza giuridica spagnola, al fine di rendere applicabile il regimedella clausola penale alla caparra confirmatoria, i giudici di legittimità, in viainterpretativa, hanno coniato la categoria della « caparra penale », soggetta alpotere di riduzione stabilito dall’art. 1154 Código Civil (31).

La tendenza segnalata si riscontra anche nell’orientamento della giuri-sprudenza francese, la quale, ponendo l’accento sul profilo funzionale, è incli-ne a qualificare come clausola penale la clausola di immobilizzazione, con laquale la parte venditrice si obbliga a mantenere ferma un’offerta per un de-terminato periodo di tempo contro il pagamento di una somma di denaro, neicasi in cui la pattuizione alla luce dell’ammontare stabilito eserciti un’effica-cia compulsoria nei confronti dell’acquirente (32).

A completamento della breve indagine comparatistica si segnala che, di-versamente da quanto avviene negli ordinamenti finora presi in considerazio-ne, in Austria il problema della caparra confirmatoria eccessiva (Angeld, di-sciplinata dal § 908 ABGB) viene generalmente risolto mediante l’applicazio-ne analogica della norma sulla riduzione della clausola penale (Konventio-nalstrafe, disciplinata dal § 1336 ABGB) (33), ma la giurisprudenza in alcunicasi ha affermato che la pattuizione di una somma di ammontare eccessivonon può corrispondere alla volontà di ritenere la caparra o trasmettere il dop-pio dell’importo in caso di inadempimento (34) e, in decisioni molto risalenti,ha dichiarato la nullità della pattuizione per contrarietà al buon costume ex §

(30) Cfr. A. Pinto Monteiro, op. loc. cit.(31) Cfr. Tribunale Supremo 10 ottobre 2006 e 27 ottobre 2010: su cui v. I. Marín Gar-

cía, Enforcement of Penalty Clauses in Civil and Common Law: A Puzzle to be Solved bythe Contracting Parties, 5, 1 EJLS (2012), p. 92 s.; A. Valiño, La cláusula penal nel códi-go civil, in La pena convenzionale nel diritto europeo, a cura di S. Cherti, Napoli 2013, p.104. Il termine « caparra penale » o « clausola penale impropria » ha spesso trovato ingres-so in contributi risalenti della nostra dottrina: cfr., ad esempio, V.M. Trimarchi, voce Ca-parra (dir. civ.), cit., p. 197; e, nel vigore del codice civile del 1865, A. Scevola, voce Ca-parra, in Dig., VI, I, Torino 1888, p. 727, i quali affermavano l’applicabilità delle normedella clausola penale alla caparra confirmatoria.

(32) Sul punto, v. le rassegne giurisprudenziali di J.S. Borghetti, La qualification declause pénale, in RDC, 2008, p. 1158 ss. e Retour sur la qualification de clause pénale,ivi, 2009, p. 88 ss. La c.d. « indemnité d’immobilisation » non è disciplinata dal Code ci-vil, ma risulta sovente utilizzata, a tutela della parte venditrice, nell’ambito di vendite im-mobiliari.

(33) R. Reischauer, sub § 908 ABGB, in P. Rummel (Hrsg.), Kommentar zum Allgemei-nen bürgerlichen Gesetzbuch3, I, Wien 2000, p. 1604, Rn. 12.

(34) OGH 29.9.1981, 4 Ob 543/81, in JBl, 1982, p. 255 ss. Nella specie, la somma cor-risposta era pari al 13,5% del prezzo dei beni compravenduti e la Corte austriaca, sovver-tendo l’esito del giudizio di merito, ha qualificato l’atto in termini di « acconto ».

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879 ABGB (35).

4. — Il secondo difetto della motivazione dell’ordinanza del Tribunale diTivoli si sostanzia, a parere della Corte costituzionale, nel non tenere contodella possibile rilevabilità ex officio della nullità (totale o parziale) della ca-parra, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con l’art. 2 Cost., che entre-rebbe « direttamente nel contratto », in « combinato contesto » con il canonedella buona fede.

Sebbene il significato del passaggio della decisione si presti a diverse let-ture, la tecnica interpretativa adottata dalla Corte costituzionale nel delinearei rapporti tra principio fondamentale e clausola generale sembra implicarel’efficacia diretta del precetto costituzionale nei rapporti tra privati (36). Dif-forme appare la risalente teoria tedesca della mittelbare Drittwirkung accoltadal Bundesverfassungsgericht, secondo cui, com’è noto, le norme costituzio-nali vincolano i consociati nei loro rapporti giuridici di natura privata attra-verso le clausole generali e le altre norme del diritto privato, interpretate allaluce dei diritti fondamentali (37).

Per suffragare la suddetta interpretazione, la Corte costituzionale richia-ma alcuni celebri precedenti della Corte di Cassazione: in particolare, la sen-tenza che ha deciso il « caso Fiuggi » (38), due interventi in tema di riducibili-

(35) Cfr. R. Dittrich e H. Tades (Hrsg.), Das Allgemeine bürgerliche Gesetzbuch36, II,Wien 2003, p. 1188.

(36) Il suddetto convincimento si ricava anche dalla tesi che l’estensore della riporta-ta ordinanza ha sostenuto in altra sede: M.R. Morelli, Materiali per una riflessione sul-la applicazione diretta delle norme costituzionali da parte dei giudici, in Giust. civ.,1999, II, p. 3 ss. Nel senso invece che il dovere di solidarietà esige « la mediazione dellalegge », v. N. Irti, Concetto giuridico di mercato e dovere di solidarietà, in questa Rivi-sta, 1997, I, p. 189; G.B. Ferri, Autonomia privata e poteri del giudice, in D. e giur.,2004, p. 8.

(37) Cfr. il noto « Lüth-Urteil » del 1958, che, ad avviso di molti, ha dato inizio al pro-cesso di « costituzionalizzazione » del diritto privato tedesco: BVerfG15.1.1958-1 BvR400/57, in NJW, 1958, p. 257 ss., secondo cui: « nel diritto civile il contenuto giuridico deidiritti fondamentali si dispiega indirettamente attraverso le disposizioni di diritto privato.Esso concerne soprattutto norme inderogabili ed è per il giudice eminentemente realizzabileattraverso le clausole generali ».

(38) Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, in F. it., 1995, I, c. 1296 ss., con osservazioni diC.M. Barone: « La clausola, inserita nei contratti “per la conduzione e l’esercizio delle con-cessioni delle sorgenti di acqua minerale” e “per la locazione degli stabilimenti termali”conclusi dal comune di Fiuggi con un privato, che, attribuendogli “la piena libertà” di de-terminare il prezzo in fabbrica delle bottiglie, consente al medesimo privato di bloccare taleprezzo nonostante la svalutazione monetaria, impedendo allo stesso comune di conseguireanche l’adeguamento del canone correlato al ripetuto prezzo, è contraria al principio dibuona fede che, per il suo valore cogente, concorre a formare la regula iuris del caso con-creto, determinando, integrativamente, il contenuto e gli effetti dei contratti e orientando-ne, ad un tempo, l’interpretazione e l’esecuzione ».

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tà d’ufficio della penale manifestamente eccessiva (39), e la recente pronunciasull’abuso del diritto (40).

Se le sentenze citate applicano la clausola generale di buona fede e, in al-cuni casi, nelle motivazioni compare il riferimento al dovere inderogabile disolidarietà ex art. 2 Cost., a differenza di quanto avviene nell’ordinanza dellaCorte costituzionale, esse non ricorrono all’istituto della nullità.

Il profilo dell’applicazione del precetto costituzionale merita attenzioneperché l’argomentazione fondata sulla norma costituzionale e sulla clausola dibuona fede è questa volta utilizzata dal giudice delle leggi. Inoltre, con il ri-corso a una norma di rango costituzionale ritenuta direttamente applicabilenei rapporti tra i privati, essa si inserisce in un orientamento della giurispru-denza che, attraverso l’uso dei principi e delle clausole generali, riconosce aisoggetti una forma di tutela nel caso concreto, anche nell’ambito di situazioninon espressamente disciplinate dalla legge per garantire, limitando l’autono-mia privata attraverso l’intervento del giudice, un risultato « equo » o, secon-do una terminologia ormai in voga, « giusto » (41).

(39) Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, cit., pubblicata anche in Corr. giur.,2005, p. 1534 ss., con nota di A. di Majo, La riduzione della penale ex officio; in Obbliga-zioni e contratti, 2006, p. 15 ss., con nota di V. Pescatore, Riduzione d’ufficio della penalee ordine pubblico economico; in Europ. d. priv., 2006, p. 353 ss., con nota di G. Spoto, Laclausola penale eccessiva tra riducibilità di ufficio ed eccezioni di usura; Cass. 24 settem-bre 1999, n. 10511, in F. it., 2000, I, c. 1929 ss., con nota di A. Palmieri, La riducibilità« ex officio » della penale e il mistero delle « liquidated damages clauses »; in Contratti,2000, p. 118 ss., con nota di G. Bonilini, Sulla legittimazione attiva alla riduzione dellapenale.

(40) Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, in F. it., 2010, I, c. 85 ss., con nota di A. Pal-mieri-R. Pardolesi, Della serie « a volte ritornano »: l’abuso del diritto alla riscossa; inContratti, 2010, p. 5 ss., con nota di G. D’Amico, Recesso ad nutum, buona fede e abusodel diritto; in Nuova g. civ. comm., 2010, I, p. 231 ss., con note di C. Scognamiglio, Abusodel diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della pretesa funzione corretti-va dell’interpretazione del contratto?), e F. Viglione, Il giudice riscrive il contratto per leparti: l’autonomia negoziale stretta tra giustizia, buona fede e abuso del diritto; in Resp.civ., 2010, p. 345 ss., con nota di A. Gentili, Abuso del diritto e uso dell’argomentazione(commentata altresì da F. Macario, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei con-tratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur., 2009, p.1577 ss.; M. Orlandi, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass. 18 settembre 2009, n.20106), in questa Rivista, 2010, II, p. 147 ss.; F. Galgano, Qui suo iure abutitur neminemlaedit?, in Contratto e impr., 2011, p. 311 ss.), secondo cui si ha abuso del diritto quandoun potere od una facoltà, attribuiti ad un soggetto dal contratto, vengano esercitati con mo-dalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, con uno spro-porzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte, ed al fine di conseguire risultati di-versi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti; ricorren-do tali presupposti, è consentito al giudice di merito dichiarare inefficaci gli atti compiuti inviolazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato delproprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescin-dere dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere.

(41) Il problema della « giustizia contrattuale », già affrontato dagli studiosi della mate-ria (cfr., ad esempio, F. Galgano, Libertà contrattuale e giustizia del contratto, in Contrat-

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I rapporti tra il principio di solidarietà e la clausola generale, così comedelineati dalla ordinanza della Corte costituzionale, corrispondono alle opi-nioni espresse dall’estensore del provvedimento in uno scritto della fine delsecolo scorso, al quale conviene attingere per chiarire il significato della for-mula, accolta dalla Corte, secondo cui il principio di solidarietà e la clausolagenerale opererebbero in « combinato contesto » (42).

Nella prospettiva del citato studioso, la norma costituzionale avrebbe lafunzione di « integrare » la clausola generale, creando un « effetto sinergicodelle due regole in combinazione », sicché « all’un tempo, per un verso la di-sposizione ordinaria si completi e si definisca, in senso evolutivo attraversol’introduzione di valori costituzionali nel suo nucleo precettivo e, per altroverso e reciprocamente, quei “valori”, attraverso il presidio della sanzione of-ferta dalla norma codicistica, passino dallo stadio del valore enunciato a quel-lo del valore attuato » (43).

Diversamente, com’è noto, autorevole dottrina ha affermato che il princi-pio costituzionale in tale contesto possiede « più un valore retorico-persuasivoche una funzione argomentativa fondante », in quanto la clausola della buonafede « esprime già di per se stessa, come proprio fondamento etico, un doveredi solidarietà tra le parti del rapporto — nel senso specifico [secondo una lo-cuzione spesso proposta dalla giurisprudenza] di dovere di ciascuna parte diassicurare l’utilità dell’altra nella misura in cui ciò non comporti un apprez-zabile sacrificio a proprio carico — » (44).

L’Autore da ultimo richiamato dà però atto che l’art. 2 Cost. ha contri-buito ad una rivalutazione della clausola generale che, in contrasto conl’orientamento dominante all’indomani dell’entrata in vigore del codice civile,ha indotto gli studiosi a considerare la clausola di buona fede una delle prin-cipali innovazioni del codice civile del 1942 (45).

Il riferimento ovviamente è ai noti studi che, nel periodo in cui la civili-stica era impegnata a chiarire i rapporti tra diritto civile e Costituzione, defi-nito stagione del « disgelo costituzionale » e identificabile con gli anni Sessan-

to e impr./Europ., 2005, p. 509 ss.; V. Roppo, Giustizia contrattuale e libertà economiche:verso una revisione della teoria del contratto?, in Pol. d., 2007, p. 451 ss.) ha assunto unrilievo tale da aver spinto all’elaborazione di un’apposita voce enciclopedica: v. R. Sacco,voce Giustizia contrattuale, in Dig. disc. priv. - sez. civ., Agg., Torino 2012, p. 534 ss.

(42) M.R. Morelli, op. cit., p. 3 ss.(43) M.R. Morelli, op. cit., p. 5.(44) Le espressioni citate sono di L. Mengoni, Autonomia privata e costituzione, in Ban-

ca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 9, il quale conclude in merito al rapporto tra buona fede edovere di solidarietà ex art. 2 Cost., affermando che « il contenuto assiologico della clauso-la della correttezza e della buona fede è sempre in grado, per chi sappia (e voglia) leggerla,di tradursi in giudizi di dover essere appropriati al caso concreto, senza bisogno di stampel-le costituzionali ». Sul pensiero dell’Autore, v. L. Nivarra, Clausole generali e principi ge-nerali del diritto nel pensiero di Luigi Mengoni, in Europ. d. priv., 2007, p. 411 ss.

(45) L. Mengoni, op. cit., p. 10.

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ta e Settanta del secolo trascorso (46), hanno individuato nei principi costitu-zionali, e in particolare nel principio di solidarietà, il criterio al quale orien-tarsi per determinare il contenuto della « correttezza » nei rapporti obbligato-ri, assicurando in questo modo un più elevato grado di effettività alla clausolagenerale (47).

In epoca attuale, nonostante il breve periodo trascorso, la giurisprudenza,sulla scorta di interventi del legislatore europeo e indirizzi dottrinali volti amettere in luce le esigenze di tutela di fronte a condotte sleali della contropar-te contrattuale, sembra aver maturato una nuova consapevolezza con riguar-do all’uso della clausola generale come strumento di controllo dell’autonomiaprivata, riscontrabile nelle innumerevoli sentenze in cui trova applicazionel’obbligo di comportamento secondo buona fede ma non viene menzionato ilprincipio di solidarietà (48).

Il mutamento degli ultimi anni induce a porsi l’interrogativo se la spintapropulsiva del processo di rivalutazione della clausola generale, operata permezzo della norma costituzionale, debba ormai ritenersi conclusa senza cheresiduino ulteriori esigenze alle quali, in materie in cui sono esclusivamente ingioco interessi patrimoniali, il richiamo all’art. 2 Cost., assieme alla clausolagenerale della buona fede, potrebbe rispondere. In proposito, la Corte costitu-zionale, affermando nell’ordinanza che il principio di solidarietà costituisceun limite applicabile in via diretta (assieme alla clausola generale di buonafede) nei rapporti tra privati, esprime la necessità di rilevare il nesso funzio-nale tra le due norme, evidenziando che la clausola generale deve essere con-cretizzata nel rispetto delle istanze sociali e politiche ricavabili dal principio

(46) Cfr. P. Rescigno, Introduzione al codice civile, Roma-Bari 1991, 56 ss.; F. Maca-rio, L’autonomia privata, in Gli anni Settanta del diritto privato, a cura di L. Nivarra, Mi-lano 2008, p. 119 ss.; F. Macario-M. Lobuono, Il diritto civile nel pensiero dei giuristi. Unitinerario storico e metodologico per l’insegnamento, Padova 2010, p. 109 ss.

(47) S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano 1964, rist. 1970, p. 151s.; A. di Majo, L’esecuzione del contratto, Milano 1967, p. 373 s. Nel senso che l’art. 2Cost. costituisce una direttiva fondamentale per l’attuazione degli istituti civilistici nell’am-bito dei rapporti tra privati, già R. Nicolò, voce Diritto civile, in Enc. dir., II, Milano 1964,p. 909. Individua nel principio di solidarietà una « direttiva costituzionale alla specificazio-ne giudiziale dell’equità », F. Gazzoni, Equità e autonomia privata, Milano 1970, p. 391 ss.Nella prospettiva indicata, sebbene muova da riflessioni ideologicamente orientate, v. ancheF. Lucarelli, Solidarietà e autonomia privata, Napoli 1970, p. 175 ss., spec. p. 197 ss.

(48) Tra le sentenze recenti che applicano la clausola generale della buona fede senzarichiamare il precetto costituzionale dell’art. 2 Cost. nell’ambito di diversi settori del dirittoprivato, cfr. Cass., sez. lav., 7 maggio 2013, n. 10568, in Mass. F. it., 2013, 349; Cass. 21dicembre 2012, n. 23823, in Contratti, 2013, p. 553 ss., con nota di M. Della Chiesa, Ina-dempimento e risoluzione anticipata del contratto; Cass. 27 novembre 2012, n. 21004, inArch. locaz., 2013, p. 163; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Ravenna 11 maggio2011, in D. maritt., 2013, p. 642, con nota di T. Capurro, La rinegoziazione secondo buo-na fede del contratto di noleggio di nave; Trib. Bari, ord. 31 luglio 2012, in F. it., 2013, I,c. 375 ss., che fondano sulla clausola generale di buona fede l’obbligo di rinegoziare il con-tenuto del contratto in caso di sopravvenienze non previste dalle parti.

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costituzionale (49). Per determinare il contenuto della clausola generale si do-vrà però necessariamente avere riguardo agli elementi economici del singolorapporto contrattuale (50).

Peraltro, a completamento del quadro, giova ricordare che l’argomenta-zione presente nella motivazione non è nuova, in quanto, per mano dello stes-so estensore della ordinanza, essa aveva fatto ingresso sotto forma di obiterdictum nella giurisprudenza di legittimità per dare fondamento, medianteun’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1384 c.c., alla tesidella riducibilità d’ufficio della penale (51). Le vivaci critiche rivolte alla deci-sione (52), che hanno preceduto quelle riservate alla sentenza sull’abuso del

(49) Sul significato del principio di solidarietà, cfr., in prospettiva diacronica, F.D. Bu-snelli, Il principio di solidarietà e « l’attesa della povera gente », oggi, in R. trim. d. proc.civ., 2013, p. 413 ss., il quale, con riguardo all’utilizzazione del principio in materia con-trattuale, sembra esprimersi in termini critici su giudizi negativi emessi da alcuni studiosi(p. 417).

(50) Per questi svolgimenti, v. G.M. Uda, La buona fede nell’esecuzione del contratto,Torino 2004, p. 70 ss., il quale, come strumento di concretizzazione del principio generaledi solidarietà sociale nell’ambito della singola fattispecie contrattuale, ricorre al concetto di« solidarietà contrattuale », che si sostanzia in un obbligo di condotta della parte che abbiain considerazione anche l’interesse dell’altro contraente. Nello stesso senso già C.M. Bianca,La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in questa Rivista,1983, I, p. 209. Ritiene che la concretizzazione della clausola generale debba rinnovarsi inogni applicazione, alla luce delle esigenze di regolamentazione della singola fattispecie, S.Patti, L’interpretazione delle clausole generali, ivi, 2013, p. 274.

(51) Ci si riferisce a Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, cit. (est. M.R. Morelli) in cui irapporti tra dovere di solidarietà e clausola generale di buona fede sono delineati in modoanalogo rispetto all’ordinanza in commento, al fine di risolvere il problema esegetico del-l’art. 1384 c.c., nel senso di scegliere « tra due interpretazione possibili [...] quella confor-me, o più conforme a Costituzione », ossia quella secondo cui la penale è riducibile ex offi-cio. Per una rassegna delle principali pronunce che hanno portato all’affermazione, da par-te delle Sezioni unite, della riducibilità d’ufficio della penale, v., da ultimo, G. Smorto, voceClausola penale, in Dig. disc. priv. - sez. civ., Agg., Torino 2013, p. 144 ss.

(52) Cfr. soprattutto G.B. Ferri, op. cit., spec. p. 8 ss., il quale contesta in particolar mo-do la « filosofia » eccessivamente funzionalista da cui — a parere dell’Autore — muovereb-bero gli « inutili obiter dicta » di Cass. 1999/10511 ove, in definitiva, si afferma l’esistenzadi un potere di intervento modificativo del giudice al fine di realizzare un « interesse oggetti-vo dell’ordinamento » (così l’affermazione contenuta in Cass. 23 maggio 2003, n. 8188, inD. e giur., 2004, p. 104 ss.). Un giudizio positivo è invece offerto da F. Galgano, La categoriadel contratto alle soglie del terzo millennio, in Contratto e impr., 2000, p. 925 s., il quale rile-va come la Suprema Corte abbia accolto una visione moderna del contratto, basata sulle con-cezioni oggettivistiche volte a garantire la congruità dello scambio contrattuale. In meritoagli argomenti adoperati dal giudice di legittimità, cfr. anche il contributo ricco di riferimentidottrinali di M. Grondona, Buona fede e solidarietà; giustizia contrattuale e poteri del giudi-ce sul contratto: annotazioni a margine di un obiter dictum della Corte di cassazione, in R. d.comm., 2003, II, p. 242 ss. Nel medesimo periodo si esprime in senso contrario nei confrontidi un generalizzato intervento del giudice, P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limi-ti, in G. it., 1999, p. 231: « in linea di principio [...] il giudice “non può mettere i piedi nelpiatto” e modificare d’imperio le condizioni dello scambio, neppure quando lo faccia alloscopo di assicurare la “giustizia” sostanziale della transazione ».

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diritto, inducono a ritenere che il problema avvertito in via preminente daglistudiosi, con riguardo al tema in esame, non concerne strettamente il rappor-to tra principio costituzionale e clausola generale, ma la delimitazione dei po-teri di intervento del giudice sul regolamento contrattuale. All’affermarsi diuna tecnica interpretativa del dato normativo orientata ad indici assiologiciconsegue la preoccupazione che il frequente riferimento al dovere di solidarie-tà, o a ulteriori norme costituzionali, venga adoperato dai giudici come baseargomentativa per fondare interpretazioni innovative, idonee a ridurre in ma-niera eccessiva l’autonomia dei contraenti (53). Di qui, l’esigenza in punto dimetodo di risolvere il « problema dell’individuazione dei valori », attraversola ricerca di criteri che consentano il controllo del procedimento interpretativofondato su principi generali (54).

5. — Con riferimento al profilo degli effetti scaturenti dalla violazionedel precetto costituzionale, la Corte, nel dichiarare la nullità della clausola le-

(53) In proposito, i « segni del declino del metodo » (del richiamo alla norma costituzio-nale nell’ambito dei rapporti contrattuali) sono avvertiti da E. Navarretta, Diritto civile ediritto costituzionale, in questa Rivista, 2012, I, p. 651 s., riguardo ad un obiter dictumdella menzionata sentenza sull’abuso del diritto. In effetti, in Cass. 18 settembre 2009, n.20106, il frequente riferimento al dovere di solidarietà sembra adoperato dai giudici perfondare interpretazioni innovative, volte a consentire un intervento del giudice sul regola-mento contrattuale: cfr., ad esempio, il passaggio della sentenza in cui si afferma che « Ilprincipio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve accompa-gnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, e, essendo espressio-ne del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rap-porto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a pre-scindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche » e se ne traela conseguenza che « Il criterio della buona fede costituisce, quindi, uno strumento, per ilgiudice, finalizzato al controllo — anche in senso modificativo o integrativo — dello statutonegoziale; e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi ». Sulla stessa li-nea, v. Cass. 1o aprile 2011, n. 7557, in G. it., 2012, p. 543 ss., la quale, nel valutare se uncontratto atipico sia diretto a perseguire interessi meritevoli di tutela, utilizza come para-metro le norme costituzionali per verificare l’equilibrio tra le prestazioni contrattuali. Sullapronuncia, v. A.M. Garofalo, La causa del contratto tra meritevolezza degli interessi edequilibrio dello scambio, in questa Rivista, 2012, II, p. 606 ss.

(54) Cfr. N. Lipari, Valori costituzionali e procedimento interpretativo, in R. trim. d.proc. civ., 2003, p. 865 ss., il quale, posto che i principi costituzionali, utilizzati dai giudiciordinari, si sostanziano in « criteri-forza cui ancorare, in chiave di valore, la soluzione con-creta dei conflitti » descrive due criteri « per una corretta individuazione dei valori »: il cri-terio della « totalità », secondo cui l’interprete deve considerare l’esperienza giuridica nellasua globalità, e quello della « cronologia critica », in base al quale è necessario avere pre-sente il contesto storico di riferimento. Afferma che il nesso tra diritto privato e Costituzio-ne si risolve in una « costruzione mentale dei giuristi », P. Barcellona, Lo spirito dei tempi,in Contratto e Costituzione in Europa, a cura di G. Vettori, Padova 2006, p. 37. Sull’utiliz-zazione dei principi come base per un’interpretazione evolutiva del diritto, già J. Esser,Grundsatz und Norm in der richterlichen Fortbildung des Privatrechts, Tübingen 1956, p.242 ss., secondo cui il principio nasce nella prassi e la dottrina ha il compito di dargli for-ma (p. 248).

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siva del dovere di solidarietà e del canone della buona fede, non si è sofferma-ta sui rapporti tra regole di validità e regole di comportamento. Sul punto,con un noto intervento a Sezioni unite, la Suprema Corte, aderendo all’indi-rizzo tradizionalmente accolto in dottrina, ha affermato che, ove non altri-menti stabilito dalla legge, soltanto la violazione di norme inderogabili con-cernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità « enon già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comporta-mento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità » (55).

Con tutta probabilità il riferimento al regime della nullità è preordinatoalla invalidazione (totale o parziale) della caparra in contrasto con il precettocostituzionale (56). L’orientamento appare rivolto al raggiungimento del me-desimo risultato ottenibile in materia di clausola penale ex art. 1384 c.c. peril tramite di norme di carattere generale e, posto che sul piano dogmatico, di-versamente — come si vedrà a breve — da quanto avviene nell’esperienzagiuridica tedesca, la violazione della clausola generale di buona fede rilevasoltanto sotto il profilo della responsabilità, il ricorso al regime della nullità sirende necessario per espungere dal contratto la clausola considerata iniqua ein contrasto con il dovere di solidarietà (o parte di essa, come sembra potersiricavare dall’ordinanza in commento). La soluzione che emerge dalla ordi-nanza della Corte costituzionale in tema di caparra si discosta così da quellageneralmente accolta per la clausola che preveda una penale di ammontareeccessivo, considerata valida sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, an-corché la penale sia soggetta a riduzione (57).

(55) Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Rep F. it., 2008, voce Intermedia-zione finanziaria, n. 200, e n. 26724, in F. it., 2008, I, c. 784, con nota di E. Scoditti, Laviolazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite.Sulle pronunce, v. C. Scognamiglio, Regole di validità e di comportamento: i principi ed irimedi, in Europ. d. priv., 2008, p. 599 ss., il quale rileva che la soluzione « tradizionale »accolta dalla Suprema Corte corrisponde all’impostazione di L. Mengoni, op. cit., p. 9: « Innessun caso comunque, secondo la dogmatica del nostro codice civile, la violazione del do-vere di buona fede è causa di invalidità del contratto, ma solo fonte di responsabilità per idanni ».

(56) Argomentazioni analoghe a quelle presenti nell’ordinanza in commento si trovano inM.R.Morelli, op. cit., p. 11 ss., secondo cui il precetto costituzionale consente di « attribuirealla clausola di correttezza anche la vis imperativa del precetto costituzionale, con la conse-guenza che l’introduzione nello statuto negoziale di regole contrastanti con la buona fede vaad integrare la violazione di norme imperative sanzionate di nullità dall’art. 1418 c.c. ».

(57) Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, cit.; Cass. 23 maggio 1985, n. 3120,in Rep. F. it., 1985, voce Contratto in genere, n. 195; App. Milano 23 luglio 2004, in Con-tratti, 2005, p. 1113 ss., con nota di A. Maniàci, Clausola penale eccessiva: « inefficacia » oriducibilità?. In dottrina, sulla stessa linea, v., tra gli altri, V.M. Trimarchi, La clausola pe-nale, Milano 1954, p. 136; A. Zoppini, La pena contrattuale, cit., p. 245 ss.; G. Bonilini,Sulla legittimazione attiva alla riduzione della penale, cit., p. 124; contra, nel senso che lapenale eccessiva deve considerarsi nulla: T. Febbrajo, La riducibilità d’ufficio della penalemanifestamente eccessiva, in Rass. d. civ., 2001, p. 612 ss.; D. Russo, Il patto penale trafunzione novativa e principio di equità, Napoli 2010, p. 196 ss.

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Allo scopo di comprendere le difficoltà che potrebbero incontrare i giudi-ci nell’applicare il tipo di controllo prospettato dalla Corte costituzionale —che sembra dar vita ad una riduzione del risarcimento determinato in via for-fetaria posta in essere « sulla base di clausole generali » —, è opportuno esa-minare una soluzione di recente adottata dal Bundesgerichtshof (BGH), cheha spesso affrontato problemi connessi alla clausola penale adoperando laclausola generale di buona fede (Gebot von Treu und Glauben, ai sensi del §242 BGB). Sotto il profilo dogmatico, nell’ordinamento tedesco la violazionedella clausola generale può produrre effetti più ampi rispetto a quelli che daun comportamento scorretto possono scaturire nell’esperienza giuridica italia-na e, financo, determinare l’inefficacia di una clausola contrattuale.

In un caso che ha suscitato notevole interesse in dottrina, il BGH, postodi fronte ad una penale di ammontare eccessivo contenuta in un contratto traimprenditori (Kaufleute) — la quale, ai sensi del § 348 dell’Handelsgesetzbu-ch (HGB), non è soggetta al potere di riduzione del giudice previsto dal § 343del Bürgerliches Gesetzbuch (BGB) —, ha affermato la riducibilità dell’am-montare direttamente sulla base della clausola generale del § 242 BGB (58).Nell’occasione, i giudici tedeschi hanno chiarito che il controllo della penaleoperato attraverso la clausola generale di buona fede, pur basandosi sui me-desimi criteri elaborati dalla giurisprudenza nell’applicazione della normasulla riducibilità della penale, è meno incisivo rispetto a quello attuato in for-za di quest’ultima disposizione. Infatti, il punto di riferimento di una penalerispettosa del canone della buona fede consiste nel doppio dell’ammontareche sarebbe considerato congruo in seguito all’esercizio del potere di riduzio-ne del giudice. Ove la penale superi tale limite, il giudice deve ridurre l’am-montare in base alla clausola generale (59).

Le critiche mosse nei confronti della sentenza del BGH attengono, in sin-

(58) Si tratta del noto caso « Kinderwärmekissen »: BGH 17.7.2008-I ZR 168/05(Hamburg), in NJW, 2009, p. 1882 ss. Nella specie, la penale era collegata a singole vio-lazioni di un’obbligazione negativa di astenersi dal distribuire in un settore del mercato undeterminato tipo di cuscini per bambini. Il soggetto obbligato ha venduto 7000 cuscini, edincorrendo in altrettante violazioni idonee a determinare gli effetti della clausola penale,era tenuto a corrispondere circa P 53 milioni a titolo di penale. Il creditore, consapevoledell’eccessività dell’ammontare e per evitare in caso di soccombenza di dover sostenere ele-vati costi processuali, ha agito in giudizio soltanto per una parte ridotta della somma (P 1milione), ulteriormente diminuita dal BGH, in base alla clausola generale di buona fede, a P200.000,00.

(59) In altre ipotesi, è stato precisato che il comportamento contrario a buona fede, de-finito « rechtsmissbräuchlich » dai giudici tedeschi, può sostanziarsi nell’aver indotto il de-bitore alla condotta inadempiente che ha determinato gli effetti della clausola penale: BGH1.6.1983-I ZR 78/81(Celle), in NJW, 1984, p. 919 ss.; BGH 23.3.1971-VI ZR 199/69(Hamm), in NJW, p. 1971 ss., 1126, dove si legge « Ist der Schuldner durch das Verhal-ten des Gläubigers veranlaßt worden, vertragswidrig zu handeln, so steht der Geltendma-chung derVertragsstrafedurch den Gläubiger der Einwand des Rechtsmißbrauchs entge-gen »; o nel pretendere il pagamento della penale a fronte di un inadempimento di lieve en-tità: BGH 23.1.1991 - VIII ZR 42/90 (Koblenz), in NJW-RR, 1991, p. 568.

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tesi, a due profili: in primo luogo, si è rilevato che il potere di riduzione dellapenale ha natura eccezionale e che ai giudici non sarebbe concesso aggirare il§ 348 HGB, sulla base della clausola generale; in secondo luogo — e ciò inte-ressa più da vicino l’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale — sicontesta la scelta del tutto arbitraria di definire una misura specifica di pena-le « congrua » in base alla clausola generale di buona fede (nella specie, comedetto, un ammontare pari al doppio di quello che risulterebbe dall’applicazio-ne della norma sulla riduzione della penale) (60). Sul punto, evidentemente,l’esigenza avvertita dai giudici tedeschi, attraverso l’indicazione di un para-metro preciso, era quella di garantire certezza per le future applicazioni.

Quest’ultimo aspetto induce a riflettere sulla soluzione privilegiata dallaConsulta, poiché l’ordinanza non indica elementi precisi per stabilire quandola pattuizione debba ritenersi nulla per contrarietà al dovere di solidarietà« in combinato contesto » con la clausola generale di buona fede. La questio-ne ovviamente non attiene soltanto alla caparra di ammontare eccessivo, inquanto, alla luce del tenore dei passaggi salienti della motivazione, il princi-pio affermato sembra applicabile a qualsiasi tipo di contratto.

Per quanto concerne il problema della caparra di ammontare eccessivo,al fine di garantire maggiore certezza in ordine alle modalità di controllo, siritiene preferibile qualificare la pattuizione in termini di clausola penale allastregua di quanto visto supra, n. 3, in modo da consentire l’applicazione del-l’art. 1384 c.c., norma specificamente preordinata al controllo giudiziale delleclausole di forfetizzazione anticipata del danno e anch’essa espressione deldovere di solidarietà nei rapporti tra privati. Nel valutare la caparra, il giudi-ce potrebbe così servirsi dei precedenti giurisprudenziali sul controllo dellaclausola penale, come, ad esempio, quelli recenti relativi al momento in cuicompiere la valutazione e al parametro di riferimento in tema di manifestaeccessività (61).

Non si vuole affermare che il ricorso al criterio ermeneutico proposto as-

(60) Cfr. V. Rieble, sub § 343 BGB, in J. von Staudingers Kommentar zum Bürgerli-chen Gesetzbuch, cit., p. 499 ss., Rn. 154 ss.; W.F. Lindacher, in JR, 2009, p. 336 s., ilquale ritiene che, sotto il profilo dogmatico, il BGH avrebbe dovuto adoperare l’istituto del-la nullità per contrarietà al buon costume ex § 138 BGB.

(61) Per ciò che riguarda specifiche questioni applicative concernenti l’art. 1384 c.c.,Cass. 6 dicembre 2012, n. 21994, in F. it., 2013, I, c. 1205 ss., con osservazioni di A. Pal-mieri, Art. 1384 c.c. e sopravvenienze: ulteriore arretramento della funzione sanzionatoriadella clausola penale, ha affermato che per stabilire se la penale sia manifestamente ecces-siva, la valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento non può prescindere dallecircostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto. Ritiene che, nell’esercitare ilpotere di riduzione ex art. 1384 c.c., il giudice deve utilizzare un criterio oggettivo, nel sen-so che deve tener conto non già della posizione soggettiva del debitore e del riflesso che lapenale può avere sul suo patrimonio, ma soltanto dello squilibrio tra le posizioni delle parti,essendo altresì irrilevante l’indagine sul pubblico interesse che dovrebbe giustificare la ri-duzione dell’ammontare convenuto, Cass. 10 maggio 2012, n. 7180, in Giust. civ., 2012, I,p. 2336 ss.

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sicuri, in ogni caso, un risultato migliore rispetto a quello ottenibile mediantel’applicazione della clausola generale, posto che anche il processo di qualifi-cazione o tipizzazione del giudice implica un ampio margine di discrezionali-tà, paragonabile a quello relativo alla concretizzazione delle clausole genera-li (62). Tuttavia, all’utilizzo della norma sulla riduzione, predisposta dal legi-slatore per il controllo giudiziale di una clausola di liquidazione anticipata deldanno, consegue certamente il non trascurabile vantaggio di poter usufruiredel bagaglio di esperienza maturato in materia di clausola penale.

Atteso che la caparra confirmatoria trova sovente ingresso nel campo del-le vendite immobiliari, nell’odierno periodo di crisi economica, oltre ad esi-genze di giustizia, si avvertono esigenze di certezza, da soddisfare con indica-zioni sicure per la pratica degli affari.

(62) Così G. De Nova, Il tipo contrattuale, cit., p. 56 s., riprendendo la nota opinione diR. Sacco, Autonomia privata e tipi, in R. trim. d. proc. civ., 1966, p. 800.

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CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA

Bianca ChecchiniAssegnista di ricerca

ANONIMATO MATERNO E DIRITTO DELL’ADOTTATOALLA CONOSCENZA DELLE PROPRIE ORIGINI

Sommario: 1. Introduzione. — 2. La disciplina dell’accesso alle informazioni dell’adottato eil parto anonimo tra legge sull’adozione, Ordinamento dello stato civile e Codice dellaPrivacy. — 3. Le argomentazioni della Consulta: verso la configurazione di una autono-ma situazione giuridica soggettiva. — 4. L’« ininfluenza » della Corte di Strasburgo ver-sus la diversificazione delle informazioni per l’adottato. — 5. Riflessioni conclusive.

1. — Una recente decisione della Corte costituzionale (1) sembrerebbeaver posto fine al delicato problema circa gli effetti della scelta di non esserenominata nella dichiarazione di nascita (2) effettuata dalla partoriente al mo-

(1) Corte cost. 18 novembre 2013, n. 278 (in Gazz. Uff., 27 novembre, n. 48), in Nuo-va g. civ. comm., 2014, I, p. 285 ss. con nota di commento di V. Marcenò, Quando da undispositivo d’incostituzionalità possono derivare incertezze e di J. Long, Adozione e segreti:costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto; nonché in Fam. ed., 2014, p. 11 ss. con nota di V. Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbando-nato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno; in Guida aldir., 2013, n. 49-50, p. 20 ss., con nota di G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde ilcarattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anonimato; in F. it., 2014,I, c. 4 ss., con nota di G. Casaburi, Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto allaconoscenza delle origini. Con tale pronuncia additiva di principio, la Corte ha stabilito che« È costituzionalmente illegittimo l’art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184(Diritto del minore ad una famiglia), nel testo modificato dall’art. 177, comma 2, del de-creto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati persona-li), in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede — attra-verso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza — la pos-sibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere no-minata, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione ».

(2) Art. 30, comma 1o, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 (in Suppl. ordinario alla Gazz.Uff., 30 dicembre, n. 303), - Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordina-mento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n.127. Per un commento, cfr. diffusamente, P. Stanzione, Il nuovo ordinamento dello statocivile, Milano 2001; S. Arena, Le nuove procedure dello stato civile, Minerbio (BO), 2002.A seguito della l. 10 dicembre 2012 n. 219, Disposizioni in materia di riconoscimento delfiglio naturale, e dell’entrata in vigore del d. legisl. 28 dicembre 2013, n. 154 (in Gazz.Uff., 8 gennaio 2014, n. 5), Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, anorma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, si attendono le modifiche alladisciplina regolamentare in materia di ordinamento dello stato civile che dovrebbe essereattuate entro sei mesi dall’entrata in vigore della normativa delegata, come illustrato anchedalla Circolare 27 dicembre 2012, n. 33, cfr., G. Casaburi, Il completamento della riformadella filiazione,(d. leg. 28 dicembre 2013 n. 154), in F. it., 2014, V, c. 1 ss.

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mento del parto, allorquando il figlio adottato sia divenuto adulto e richiedainformazioni sulle proprie origini genetiche e familiari.

Con una pronuncia additiva di principio, la Consulta ha dichiarato l’ille-gittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7o, della l. 4 maggio 1983, n. 184(Diritto del minore ad una famiglia), nel testo modificato dall’art. 177, com-ma 2o, del d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezionedei dati personali), nella parte in cui non prevede, attraverso un procedimen-to, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilitàper il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler esserenominata, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichia-razione.

L’attenzione dell’interprete e del legislatore nazionale deve, quindi, vol-gersi ad una rinnovata disciplina del parto anonimo nell’ipotesi in cui il natoda genitori ignoti, poi adottato e divenuto ultra venticinquenne, chieda infor-mazioni sulle proprie origini e l’identità dei genitori biologici, attraverso undelicato processo di armonizzazione di principi e di diritti che sorreggono daun lato, la ratio della disciplina sul parto anonimo e, dall’altro, la tutela deldiritto all’identità personale dell’individuo.

Prima di detta pronuncia, e nonostante la precedente condanna proprioper tale lacuna normativa all’Italia da parte della Corte europea dei dirittidell’uomo (3), la disciplina applicabile all’ipotesi testé descritta non consenti-va all’adottato di età maggiore dei venticinque anni di accedere alle informa-zioni genetiche e familiari della propria madre biologica che avesse optato almomento del parto per l’anonimato, stante il generale divieto opposto dalcomma 7o dell’art. 28 l. adozione; divieto ribadito anche dall’art. 93 del c.d.Codice della Privacy nella parte in cui consente il rilascio dei documenti (4)identificativi della partoriente che abbia scelto l’anonimato al momento delparto solo decorsi cento anni dalla formazione del documento (5).

L’unica strada percorribile per l’adottato ultra venticinquenne che desi-deri conoscere l’identità della madre biologica, stante il combinato dispostodelle disposizioni richiamate, potrebbe essere, a questo punto, l’improbabiledecorso temporale di cento anni tra la formazione del documento identificati-

(3) Corte eur. dir. uomo 25 settembre 2012, ric. n. 33783/09 (Godelli c. Italia), cit. in-fra sub 4, e nt. 42.

(4) Si tratta della cartella clinica e del certificato di assistenza al parto ex art. 93 d. le-gisl. 30 giugno 2003, n. 196, (in Suppl. ordinario n. 123 alla Gazz. Uff., 29 luglio, n. 174),Codice in materia di protezione dei dati personali.

(5) La giurisprudenza amministrativa per tale profilo è ondivaga: così esclude l’accessoai documenti identificativi, Cons. St., sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3402, in Fam. e d., 2004,p. 74 ss. con nota di S. Merello, Diritto di accesso ai documenti amministrativi e dirittodella madre al segreto della propria identità; lo consente purché non sia indentificata lamadre, Cons. St., sez. V, 17 settembre 2010, n. 6960, in Dejure; lo ammette estensivamen-te per le informazioni genetiche, sanitarie e identificative della madre in ragione del dirittoalla salute, Trib. Min. Perugia 4 dicembre 2001, in Rass. giur. umbra, 2002, p. 417 ss.

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vo della partoriente e la « curiosità qualificata » del figlio, divenuto, nel frat-tempo, a tutti gli effetti, figlio di altri genitori adottivi (6).

La scelta dell’anonimato al momento del parto, quindi, in uno con il per-fezionamento del procedimento di adozione legittimante, dettava l’irreversibi-lità definitiva del ripudio della genitorialità da parte della madre biologica ela preclusione per il nato del diritto di conoscere le proprie origini (rectius,l’identità della madre biologica), quale tassello fondamentale del diritto al-l’identità personale (7).

La pronuncia della Consulta, per altro da più voci auspicata ed atte-sa (8), offre lo spunto per una ricostruzione degli istituti e dei diritti sottesi,che apre l’orizzonte a nuovi scenari giuridicamente significativi in una mate-ria molto delicata anche sotto il profilo umano.

2. — Preliminare ed opportuna è la ricostruzione della cornice normativache regola l’accesso dell’adottato alle informazioni sulle origini genetiche e fa-miliari nel caso di parto anonimo della madre, che ci riporta ad una riflessio-ne sulla ratio dei diversi istituti giuridici coinvolti (9), tra legge sull’adozione

(6) L’art. 93 d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196 prevede « 1. Ai fini della dichiarazione dinascita il certificato di assistenza al parto è sempre sostituito da una semplice attestazionecontenente i soli dati richiesti nei registri di nascita. Si osservano, altresì, le disposizionidell’art. 109. 2. Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi deidati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler esserenominata avvalendosi della facoltà di cui all’art. 30, comma 1, del decreto del Presidentedella Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chivi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del docu-mento. 3. Durante il periodo di cui al comma 2 la richiesta di accesso al certificato o allacartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato dinon voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima siaidentificabile ». Per un commento v. G. Casiraghi, in Codice della Privacy, Commento alDecreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 aggiornato con le più recenti modifiche legisla-tive, Milano, I, 2004, p. 1309 ss.; C.M. Bianca, in La protezione dei dati personali. Com-mentario al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy) a cura di C.M. Bianca eF.D. Busnelli, II, Padova 2007, sub art. 93, p. 1392.

(7) M.R. Marella, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche. Con-tenuti e prospettive, in G. it., 2001, c. 1768 ss. (ivi, p. 1769), ma altresì in tono dubitativo(ivi, p. 1773).

(8) G. Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delleproprie origini. Verso nuove forme di contemperamento, in Fam. e d., 2013, p. 544 ss.; F.Eramo, Il diritto all’anonimato della madre partoriente, in Fam. e d., 2006, p. 130; J.Long, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzionalmente legittimi i li-miti nel caso di parto anonimo, in Nuova g. civ. comm., I, p. 549 ss.; D. Paris, Parto anoni-mo e bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, del Con-seil constitutionnel e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Quad. cost., 2012.

(9) In dottrina, S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto euro-peo della famiglia: il « dilemma » del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Par-te generale e persone, nel Liber amicorum per Dieter Henrich, I, Torino 2012, p. 172 ss.;M. Mantovani, Il primato della maternità nell’accertamento dello status di figlio, ivi, p. 138

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legittimante, disciplina del parto anonimo e diritto di accesso ai documen-ti (10).

Punto di partenza di questa ricostruzione e, per ora, di arrivo dell’evolu-zione legislativa sul punto, è la stessa disposizione censurata dalla Corte costi-tuzionale, cioè il comma 7o dell’art. 28 della c.d. legge sull’adozione (11), chesi inserisce in un contesto normativo di più ampia portata volto a disciplinareil tema dei rapporti tra il minore adottato con adozione legittimante e la suafamiglia di origine (12).

ss; L. Lenti, Adozione e segreti, in Nuova g. civ. comm., 2004, II, p. 229 ss.; A. Renda,L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino 2008; D.Paris, Parto anonimo e bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza della Corte costi-tuzionale, del Conseil constitutionnel e della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.

(10) Ampiamente, L. Lenti, Adozione e Segreti, op. cit., p. 242; come è noto il diritto diaccesso agli atti amministrativi e la relativa procedura così come quella per impugnare il ri-fiuto è contenuta nella l. 7 agosto 1990, n. 241 (in Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192), Nuovenorme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti am-ministrativi.

(11) Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini è previsto e disciplinato dallac.d. legge sull’adozione (l. 4 maggio 1983, n. 184) modificata una prima volta dalla l. 28marzo 2001, n. 149. Cfr. E. Palmerini, Commento all’art. 24, commi 4-8, in Nuove l. civ.comm., 2002, p. 1016 ss.; nonché L. Lenti, Adozione e segreti, in Nuova g. civ. comm.,2004, II, p. 229 ss. L’art. 28, comma 7o, censurato dalla Consulta è stato quindi ulterior-mente modificato dall’art. 177 d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di pro-tezione dei dati personali). L. Fadiga, L’adozione legittimante, Il diritto di sapere, nelTratt. Zatti, Milano 2012, II, p. 934 ss.; M.R. Marella, Il diritto dell’adottato a conoscerele proprie origini biologiche. Contenuti e prospettive, in G. it., 2001, c. 1768; G. Lisella,Ragioni dei genitori adottivi, esigenze di anonimato dei procreatori e accesso alle informa-zioni sulle origini biologiche dell’adottato nell’esegesi del nuovo testo dell’art. 28 l. 4 mag-gio 1983, n. 184, in Rass. d. civ., 2004, p. 413 ss. Il diritto all’identità personale ed alla ri-cerca delle proprie origini è tutelato da disposizioni di diritto internazionale pattizio ed inparticolare gli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 ratificatacon l. 27 maggio 1991, n. 176 (ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fan-ciullo, New York 20 novembre 1989) e dall’art. 30 della Convenzione de L’Aja del 29 mag-gio 1993, ratificata con l. 31 dicembre 1998, n. 476, Ratifica ed esecuzione della Conven-zione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale; perun commento a tale ultimo citato provvedimento si v. P. Morozzo della Rocca, voce Ado-zione internazionale, nel Dig. disc. priv. - sez. civ. Agg., Torino 2000, p. 26 ss.; M. Do-gliotti, Genitorialità biologica, genitorialità sociale, segreto sulle origini dell’adottato, inFam. e d., 1999, p. 406 ss.

(12) Art. 28. 1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adot-tivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. 2. Qualunque atte-stazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione delnuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità delminore e dell’annotazione di cui all’articolo 26, comma 4. 3. L’ufficiale di stato civile, l’uf-ficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio deb-bono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possacomunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giu-diziaria. Non è necessaria l’autorizzazione qualora la richiesta provenga dall’ufficiale distato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali. 4. Le informazioni con-cernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali

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Come è noto, l’opzione di fondo da cui muoveva il legislatore in meritoall’adozione legittimante era quella di configurare per l’adottato, attraversouna sorta di fictio juris, una nuova famiglia da sostituire in toto a quella diorigine per cui era imprescindibile non solo recidere qualsiasi legame giuridi-co e biologico del minore con la famiglia d’origine, ma segretare qualsivogliainformazione circa l’identità dei genitori biologici.

Senza alcuna pretesa di esaustività (13), è interessante ricordare che ladottrina e finanche la giurisprudenza costituzionale erano pressoché concordinel sostenere tale scelta con l’obiettivo principale di preservare la serenità delminore e dei nuovi genitori adottivi da possibili interferenze esterne dei geni-tori biologici nella convinzione che il rapporto di filiazione, — e quindi anchequello adottivo per il principio della imitatio naturae — , dovesse fondarsi sulcarattere di esclusività del modello genitoriale.

In seguito, solo nel 2001 (14) la l. n. 149, innovando l’art. 28 della l. 4maggio 1983, n. 184 ha riconosciuto il diritto di accesso alle informazionidell’adottato attraverso una disciplina equilibrata in relazione ai « molteplici

esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solose sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia precedu-ta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni pos-sono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sani-tario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo perla salute del minore. 5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a in-formazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farloanche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla suasalute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo diresidenza. 6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritengaopportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine divalutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento al-l’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenniautorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste. 7. L’accesso alle informazioni non èconsentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere esserenominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3novembre 2000, n. 396. 8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizza-zione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono decedutio divenuti irreperibili.

(13) Si rinvia per gli approfondimenti a C. Restivo, L’art. 28 L. ad. tra nuovo modellodi adozione e diritto all’identità personale, in Familia, 2002, I, p. 691 ss; A. Finocchiaroe M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori. Commento alla nuova disciplina (l.28 marzo 2001, n. 149 e d.l. 24 aprile 2001, n. 150), Milano 2001; M. Dogliotti, Com-mento alla l. 28 marzo 2001, n. 149, in Fam. e d., 2001, p. 247 ss.; C.M. Bianca, La re-visione normativa dell’adozione, in Familia, 2001, p. 525. V. anche G. Cattaneo, voceAdozione, in Dig. disc. priv. - sez. civ., I, Torino 1987, p. 94 ss.; M.R. Marella, voce Ado-zione, in Dig. disc. priv. - sez. civ., Agg., Torino 2000, pp. 18-22; P. Morozzo Della Roc-ca, Adozione « plena, minus plena » e tutela delle radici del minore, in R. crit. d. priv.,1996, p. 683 ss.

(14) L. 28 marzo 2001, n. 149 (in Gazz. Uff., 26 aprile, n. 96), Modifiche alla legge 4maggio 1983, n. 184, recante « Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori »,nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile.

CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA 713

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interessi coinvolti » (15); in primis si è stabilito il diritto dell’adottato di essereinformato di tale sua condizione ed il correlativo obbligo/dovere dei genitoriadottivi di informarlo (16), se pure nei tempi e modi ritenuti più opportuni,nonché, per quel che qui rileva, il diritto dell’adottato che abbia raggiunto ilventicinquesimo anno di età di accedere alle informazioni che riguardano leproprie origini e l’identità dei propri genitori biologici (a prescindere dall’esi-stenza di gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psicofisica) esempre previa autorizzazione del Tribunale (17) (18).

Con una nuova norma, del 2003 (19), il diritto dell’adottato alle informa-zioni viene addirittura escluso allorquando la preventiva decisione della par-toriente di rimanere anonima precluda irreversibilmente e senza eccezioni laconoscibilità del rapporto genitoriale ex latere matre.

Tale divieto posto al comma 7o dell’art. 28, così come sostituito dall’art.177 del d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196, infatti, non pone alcuna distinzione aseconda che la richiesta di informazioni provenga dall’adottato ultra venticin-quenne ovvero dall’adottato maggiore di diciotto anni ma minore di venticin-que, ovvero dai genitori adottivi ovvero ancora dal responsabile della strutturaospedaliera o del presidio medico nei casi consentiti (20). È un divieto assoluto etrasversale che opera comunque allorquando la partoriente si sia avvalsa dellafacoltà di non essere nominata nella dichiarazione di nascita (21).

Insomma, nella legge sull’adozione l’accesso alle informazioni indicate invia generale, — senza alcuna distinzione tra quelle identificative o non dellamadre biologica —, è dapprima riconosciuto ma modulato in relazione al-

(15) L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identitàdell’adottato e protezione del riserbo dei genitori, cit., p. 164.

(16) M. Dogliotti, Commento alla l. 28 marzo 2001, n. 149, cit., p. 250, per il quale sitratta di una « previsione dunque sostanzialmente inutile, se neppure si indica un obbligo(ancorché non sanzionato) dei genitori adottivi ». Oltre alle ipotesi menzionate nel testo,per completezza, si rammenta la facoltà per i genitori adottivi finché il figlio è minore diadire il Tribunale per i minorenni al fine di accedere alle informazioni sull’identità dei ge-nitori biologici che possono essere autorizzate « solo per gravi e comprovanti motivi »; ov-vero per il figlio adottivo maggiorenne solo per gravi e comprovati motivi attinenti la suasalute psicofisica; per il responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario,ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salu-te del minore.

(17) Per tale tesi si v. ampiamente, C. Restivo, L’art. 28 l. ad. tra nuovo modello diadozione e diritto all’identità personale, op. cit., p. 706 ss.; contra, L. Lenti, Adozione eSegreti, op. cit., p. 250 ss.

(18) Certamente nel caso in cui l’adottato sia maggiore di età e i genitori adottivi sonodeceduti o divenuti irreperibili (comma 8o, art. 28 l. adoz.).

(19) Comma sostituito dall’art. 177 del d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196.(20) Il divieto permane anche nell’ipotesi di morte e irreperibilità dei genitori adottivi

stante l’inciso del comma 8o dell’art. 28 che fa salve le disposizioni precedenti.(21) È appena il caso di ricordare che tale facoltà non è consentita nel caso di p.m.a.,

art. 9 l. n. 40/2004.

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l’età, alle motivazioni e al controllo giudiziale e poi addirittura vietato in ra-gione della scelta dell’anonimato da parte della madre biologica.

Questa scelta, come è noto, rappresenta una peculiarità dell’ordinamentoitaliano (22), riconosciuto incidenter tantum da una disposizione dell’Ordina-mento dello stato civile, laddove si prevede che la dichiarazione di nascita sia resada uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetri-ca o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà del-la madre di non essere nominata (23), sia essa coniugata o non coniugata (24).

Si dice che la ratio sottesa a tale facoltà sarebbe coerente con l’ordinamen-to costituzionale italiano, tra tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e prote-zione della maternità (art. 31, comma 2o, Cost.), ma si deve purtroppo rilevarecome la disciplina sul parto anonimo sia alquanto frammentaria, essendo affi-data in parte all’Ordinamento dello stato civile (25), in parte al c.d. Codice dellaprivacy nonché ad altri provvedimenti, quali circolari e decreti ministeriali.

Lo stesso art. 30 d.p.r. n. 396/2000, mentre da un lato fa salva la volon-tà della partoriente di non essere nominata dalle persone legittimate alla di-chiarazione di nascita (denuncia prodromica alla formazione dell’atto di na-scita ad opera dell’Ufficiale di stato civile (26)), dall’altro, prevede — in viagenerale — senza distinguere tra parto anonimo o non — che tale dichiara-zione debba essere corredata da una attestazione di avvenuta nascita conte-nente le generalità della puerpera (nonché le indicazioni del comune, ospeda-le, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell’oradella nascita e del sesso del bambino) (27).

Dunque, ad una prima lettura sembra che l’attestazione di nascita debbasempre contenere le generalità della partoriente.

Ma le circolari ministeriali lasciano permanere il dubbio di come debba

(22) Su cui ampiamente, S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel di-ritto europeo della famiglia: il « dilemma » del diritto della donna partoriente all’anonima-to, op. cit., p. 172 ss., il quale ricorda come la soluzione prevalente nei sistemi giuridici eu-ropei escluda la possibilità della scelta dell’anonimato materno al momento del parto, men-tre ad oggi l’opposta regola italiana è vigente solo in Francia e Lussemburgo (ivi, nt. 11).

(23) Art. 30, comma 1o, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396. Cfr., G. Finocchiaro, Il segretosulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anoni-mato, cit., per il quale tale facoltà rappresenta una sorta di « accordo » tra la madre e lo Stato.

(24) Corte cost. 5 maggio 1994, n. 171, in Fam. e d., 1994, p. 493, con nota di G.Sciancalepore; secondo la Corte, se pure affermato come obiter dictum, « qualunque donnaancorché da elementi informali risulti trattarsi di donna coniugata, può dichiarare di nonvoler essere nominata nell’atto di nascita ». Diffusamente, A. Renda, L’accertamento dellamaternità, cit.

(25) F. Coscia, Status di filiazione e diritto della madre a non essere nominata ex art.30 Regolamento dello stato civile 2000/396, in Stato civile italiano, 2006, p. 341 ss.

(26) Nel caso del parto anonimo, l’atto di nascita non potrà contenere le generalità dellapartoriente, anche se l’adottato potrebbe comunque chiedere un estratto del medesimo exart. 177, comma 3o, Codice della Privacy.

(27) Rispettivamente al 1o ed al 2o comma dell’art. 30 d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396.

CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA 715

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essere compilata tale attestazione di avvenuta nascita in caso di parto anoni-mo, cioè se essa debba o non debba identificare la partoriente, e quindi amonte fornire elementi circa la scelta dell’anonimato. Anche la dottrina è di-visa tra coloro che fanno prevalere il dato testuale del comma 2o dell’art. 30,per il quale in ogni caso l’attestazione di avvenuta nascita deve contenere legeneralità della partoriente (28), e quanti invece preferiscono preservare la ri-servatezza della partoriente nell’attestazione di avvenuta nascita, omettendoqualsiasi riferimento volto a renderla individuabile (29).

La questione andrebbe forse risolta tenendo conto della ratio cui è ispira-ta la previsione che facoltizza la partoriente all’anonimato. Per quanto nonsia questa la sede appropriata per un approfondimento, si può sostenere chese l’interesse considerato con l’anonimato è la tutela della salute della madree del neonato al momento del parto, il personale sanitario che compila l’atte-stazione di avvenuta nascita non possa fare ivi menzione dell’identità dellapartoriente, pur risultando essa documentata, aliunde, in cartella clinica (30).

(28) A. Renda, L’accertamento della maternità, op. cit., p. 150, nt. 79, per il quale te-stualmente tale soluzione è sorretta dalla circolare del Ministero di Grazia e Giustizia 22febbraio 1999, n. 1/150 (Regolamento di attuazione sulla semplificazione delle certificazio-ni amministrative) che nell’interpretare la nozione dei « soli dati richiesti nei registri di na-scita » riferita all’art. 8, comma 2o, d.p.r. 20 ottobre 1998, n. 403 all’attestazione di nasci-ta, ha previsto che la stessa « deve necessariamente contenere il dato relativo al nome dellapuerpera, che va inteso solo come partoriente ma non ancora come madre » ritenendo che« in ogni caso va confermato che le generalità della donna che ha partorito devono essereriportate nell’attestato sanitario, rappresentando la relativa indicazione un imprescindibiledato di verità reale che serve a provare, sotto l’aspetto clinico e in vista della successiva re-gistrazione della nascita, che è nato e da chi è nato un bambino. Così come alla predettafunzione di prova era destinato il certificato di assistenza al parto ora soppresso ».

(29) S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della fa-miglia: il « dilemma » del diritto della donna partoriente all’anonimato, op. cit., p. 178, nt.17, atteso che il d. Min. Sanità 16 luglio 2001, n. 349 prevede che tali generalità non sianopiù riportate nel certificato di assistenza al parto, se la madre chiede di non essere nomina-ta, per cui conclude l’a. « Non si vede, infatti, perché tali dati, se non sono (più) inseriti nelcertificato di assistenza al parto, debbano esserlo nella attestazione di nascita che viene al-legata alla dichiarazione di nascita », conforme L. Lenti, Adozione e segreti, in Nuova g.civ. comm., 2004, II, p. 238 per il quale « [...] b) l’attestazione di nascita: è conservata nelvolume degli allegati al registro degli atti di nascita, presso il tribunale ordinario. Contienetutti e soltanto i dati richiesti dalla legge per formare l’atto di nascita: pertanto, in caso didonna che non vuole essere nominata, deve ometterne le generalità (art. 30, comma 1o, ord.Stato civ. e art. 93, comma 1o, cod. dati pers.) [...] ».

(30) A. Palazzo, La filiazione, nel Tratt. Cicu-Messineo, Milano 2007, p. 178, per ilquale « anche se l’attestazione di nascita viene compilata in forma anonima, la cartella cli-nica conterrà sempre le generalità della puerpera. Tramite il collegamento tra l’attestazionedi nascita e la cartella clinica imposto dalla legge è tecnicamente possibile risalire all’identi-tà biologica dell’adottato ». V. Allegato al d.m. Sanità n. 349/2001 sez. generale voce « co-gnome della puerpera » ove è stabilito che se il certificato di assistenza al parto è privo deidati idonei a identificare la partoriente, in quanto ella ha dichiarato di non voler essere no-minata, deve essere comunque assicurato un raccordo con la cartella clinica che invece con-tiene i dati identificativi.

716 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 3/2014

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L’incertezza non è di poco momento, sol che si pensi al caso in cui la di-chiarazione di nascita provenga da persone diverse dalla partoriente (legitti-mate ai sensi dell’art. 30, comma 1o, r.d. n. 396/2000) che, in linea teorica,potrebbero « girare » con una attestazione di nascita non anonima nonostantela volontà contraria della donna senza alcuna garanzia che venga rispettata lasua volontà di anonimato.

Il legislatore del 2003, nel modificare sul punto la legge sull’adozione, in-troducendo il divieto oggi censurato in parte qua, ha cercato di operare unraccordo con la disciplina sulla raccolta e divulgazione dei dati sensibili. Lanorma in rilevo è l’art. 93 del Codice in materia di protezione dei dati perso-nali (d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196) che, pur garantendo la riservatezzadell’anonimato materno quanto al profilo della identificazione della parto-riente, diversifica la disciplina a seconda della natura delle informazioni darichiedere in sede di accesso (tramite il certificato di assistenza al parto, orasostituito integralmente dalla attestazione di nascita, ex art. 93 comma 1o, ov-vero tramite la cartella clinica), qualora la madre biologica abbia dichiaratodi non voler essere nominata.

Mentre il comma 2o dell’art. 93, infatti, garantisce la riservatezza (cosìcome è stata « cristallizzata » al momento del parto) circa l’identità della par-toriente, salvo prevedere per i discendenti la possibilità di risalire alla suaidentità decorsi cento anni dalla formazione del documento che la identifica(cioè quando si presume la stessa sia defunta), il comma 3o, contempla la fa-coltà di accesso agli stessi documenti per ragioni diverse da quelle identifica-tive giacché l’accesso è consentito « osservando le opportune cautele per evi-tare che la madre anonima sia identificata ».

Pertanto, diversamente dalla legge sull’adozione, nella quale il divieto diinformazioni appare assoluto e trasversale ove ricorra la scelta del parto ano-nimo, la legge in materia di protezione dei dati personali opera un distinguotra dati (informazioni) identificativi della partoriente e quelle informazioni« altre » cui l’adottato avrebbe comunque diritto di accedere.

La legge consente quindi all’adottato c.d. adulto l’accesso « semplifica-to » alle informazioni sulle proprie origini, nell’ipotesi in cui la madre biologi-ca abbia scelto l’anonimato al momento del parto, purché la stessa non siaidentificabile (31); cioè di ottenere informazioni relative alla nascita ed alla sa-lute che non permettono l’identificazione della partoriente e ciò attraversol’accesso alla cartella clinica e al certificato di assistenza al parto (ora sostitui-to dall’attestazione di nascita) (32).

(31) Attraverso la cartella clinica, l’attestazione di nascita, l’estratto dell’atto di nascitaed il fascicolo dell’adozione; cfr. ampiamente sul punto, L. Lenti, Adozione e segreti, op.cit., p. 237 ss., che vaglia tutti i documenti accessibili all’adottato e le informazioni ivi con-tenute e raggiungibili.

(32) Ai sensi dell’art. 93 del c.d. Codice della privacy.

CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA 717

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3. — Vale la pena di ricordare come, otto anni prima, la stessa questionedi legittimità costituzionale sia stata affrontata e risolta dalla Corte costituzio-nale (33) in maniera diametralmente opposta, con una pronuncia di infonda-tezza. Il remittente in allora (34) aveva sottoposto all’attenzione della Corte ilmedesimo quesito circa la « possibilità di verificare la persistenza della volon-tà della madre naturale di non essere nominata » (35) ed aveva invocato i me-desimi parametri costituzionali: l’art. 2 Cost. per il profilo che la norma im-pugnata fa prevalere in ogni caso il diritto all’anonimato della partoriente suquello inviolabile del figlio all’identità personale, l’art. 3 Cost. per la irragio-nevole disparità di trattamento tra adottato la cui madre biologica ha sceltol’anonimato e adottato la cui madre biologica non ha operato tale scelta, el’art. 32 Cost. per il profilo del pregiudizio dell’adottato alla salute e all’inte-grità psico fisica, prospettata quale conseguenza del diritto all’identità perso-nale. Non era stato invocato l’art. 117, comma 1o, Cost., che però nella pro-nuncia del 2013 è dichiarato assorbito.

Il ragionamento della Consulta era lineare e deciso: la ratio del divieto diinformazioni nel caso di parto anonimo è volto alla tutela della salute dellagestante e del bambino (alla vita di entrambi) di guisa che tale diritto alla ri-servatezza deve essere tutelato in assoluto senza limitazioni neppure tempora-li. Nel bilanciamento tra diritti fondamentali della partoriente (alla salute),del neonato (alla vita) e dell’adottato (alla conoscenza della propria identità),quest’ultimo soccombe (36).

(33) Di segno opposto alla citata Corte costituzionale n. 278/2013 è la decisione di Cor-te cost. 25 novembre 2005, n. 425, in Fam. e d., 2006, p. 129 con nota di F. Eramo, Il di-ritto all’anonimato della madre partoriente; in Nuova g. civ. comm., 2006, I, p. 545 connota di J. Long, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, op. cit., p. 549 ss.; inFamilia, 2006, II, p. 155 con nota di L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprieorigini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici; inG. cost., 2005, p. 4594, con nota di A.O. Cozzi, La Corte costituzionale e il diritto di cono-scere le proprie origini in caso di parto anonimo: un bilanciamento diverso da quello dellaCorte europea dei diritti dell’uomo?; la Corte costituzionale nella decisione n. 425/2005 siera già pronunciata su di una identica questione stabilendo l’infondatezza della questionedi legittimità costituzionale dell’art. 28, 7o comma, l. 4 maggio 1983, n. 184 nel testo mo-dificato dall’art. 177, 2o comma, d. legisl. 30 giugno 2003, n. 196 sollevata in riferimentoagli artt. 2, 3, e 32 Cost.

(34) Trib. Min. Firenze, ord. 21 luglio 2004, in Guida al dir., 2005, n. 6, p. 72 (s.m.);in G.U., 1 serie speciale, n. 3 del 2005.

(35) Il Tribunale per i minorenni di Firenze propone in riferimento agli artt. 2, 3 e 32Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7o, della l. 4 maggio1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall’art. 177, comma2o, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) « nel-la parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l’adottato all’accesso alle informazionisulle origini senza aver previamente verificato la persistenza della volontà di non essere no-minata da parte della madre biologica ».

(36) In tale contesto, afferma D. Paris, Parto anonimo e bilanciamento degli interessinella giurisprudenza della Corte costituzionale, del Conseil constitutionnel e della Corte

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Oggi, invece, la Corte costituzionale — pur condividendo e riaffermandoil « nucleo fondante della scelta allora adottata » e corrispondente alla « rite-nuta corrispondenza biunivoca tra il diritto all’anonimato, in sé e per sé con-siderato, e la perdurante quanto inderogabile tutela dei profili di riservatezzao, se si vuole, di segreto, che l’esercizio di quel diritto inevitabilmente coinvol-ge », — mette in discussione il profilo « diacronico » della tutela assicurata aldiritto all’anonimato della madre, in ragione dell’esigenza di salvaguardareanche il diritto alla conoscenza delle proprie origini del figlio quale elementosignificativo nel sistema costituzionale di tutela della persona (37).

Secondo la Corte, la scelta di anonimato al momento del parto « immobi-lizza » e « cristallizza » la situazione soggettiva della partoriente. Tuttavia,l’esercizio del diritto di anonimato non solo espropria la madre del diritto allagenitorialità, ma si trasforma in una sorta di vincolo obbligatorio con forzaespansiva esterna al suo stesso titolare (38) e quindi a danno di terzi.

In tale prospettiva, ed a prescindere dall’esigenza di giustificare il bilan-ciamento dei diritti fondamentali, si potrebbe sostenere, in primo luogo, chela reversibilità della scelta di anonimato della partoriente nella prospettivadella Corte, dovrebbe essere prevista dal legislatore come autonoma facoltà discelta della madre biologica, da esercitare fuori del contesto del parto (ove ildiritto alla riservatezza deve essere garantito in assolutezza) anche a prescin-dere dalla richiesta dell’adottato ultraventicinquenne di accesso alle informa-zioni (39).

La Corte, tuttavia, non arriva a tal punto, ma limita l’effetto del suo in-tervento all’esigenza di armonizzare il diritto fondamentale sotteso all’anoni-mato della donna (cioè il diritto alla salute) con quello alla identità dell’adot-tato. In sostanza la Corte delega il legislatore ad introdurre una sorte di « in-terrogazione riservata » della madre anonima in un procedimento in cui lamadre biologica è estranea e in cui l’iniziativa esclusiva è rimessa ad un sog-getto giuridicamente figlio di altri.

Non v’è chi non veda come un siffatto strumento sia di difficile realizza-zione pratica (40).

europea dei diritti dell’uomo, op. cit., « la tecnica del bilanciamento scolora quindi in unapproccio diverso, che avendo chiaro il quadro degli interessi in gioco, mira non tanto a in-dividuare un astratto punto di equilibrio fra le posizioni giuridiche coinvolte, quanto piut-tosto a valutare quale disciplina, nella concretezza di una situazione difficile, possa megliogarantire l’effettività della tutela dei beni giuridici coinvolti ».

(37) Analogamente, si può obiettare che potrebbe sussistere il caso della donna che nonha scelto l’anonimato al momento del parto e il cui figlio è stato adottato da altri e che ab-bia al momento della richiesta del figlio adulto adottato un interesse attuale al ripensamen-to, preferendo non essere affatto identificata.

(38) Così, Corte cost. n. 278/2013, cit.(39) L’adottato, infatti, potrebbe non essere l’unico ad avere interesse a conoscere

l’identità della madre biologica.(40) Si rinvia per tale profilo alle riflessioni di J. Long, Adozione e segreti: costituzional-

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Sarebbe forse preferibile ripensare all’istituto del parto anonimo attra-verso una disciplina compiuta ed organica che tenga conto di tutti i profili(obblighi informativi, diversificazione delle informazioni) e delle conseguenzedell’esercizio di tale facoltà in capo alla partoriente, inclusa la previsione legi-slativa per la madre biologica anonima, della facoltà, autonoma, di ripensarealla propria scelta di anonimato (41).

4. — Ad una prima lettura, si sarebbe portati a ritenere che la recentedecisione della Corte costituzionale rappresenti l’epilogo scontato di quel vi-vace dibattito che si è succeduto in seno alla Corte europea dei diritti dell’uo-mo laddove quest’ultima ha ritenuto di « salvare » la legislazione francese sulparto anonimo e la reversibilità del segreto materno (42), e di condannare, in-vece, qualche anno dopo, quella italiana che tale reversibilità non ha maicontemplato (43). Il tutto in ragione dell’art. 8 della Convenzione europea dei

mente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto, cit., sub paragrafo 3. Nel sensoche essa potrebbe trovare immediata applicazione giurisprudenziale, cfr. anche G. Casabu-ri, Il parto anonimo, op. cit., p. 8 ss.

(41) Come prevede la legge in Francia relativa all’accesso alle origini delle personeadottate che ha istituito il Conseil National pour l’accés aux origines personnelles alla cuiopera di intermediazione si possono rivolgere sia colui che vuole conoscere l’identità dellamadre biologica sia la stessa madre biologica che voglia togliere il segreto della sua identitàtrasformando il parto anonimo nel c.d. parto con discrezione e rendendo reversibile il se-greto, v., ampiamente, S. Stefanelli, Parto anonimo e diritto di conoscere le proprie origi-ni, in D. fam., 2010, p. 426 ss.

(42) Corte eur. dir. uomo 13 febbraio 2003, ric. 42326/98 (Odièvre c Francia), in Fa-milia, 2004, p. 1109 con nota di A. Renda, La sentenza Odièvre c. Francia della Corte Eu-ropea dei diritti dell’uomo: un passo indietro rispetto all’interesse a conoscere le proprieorigini biologiche; in Giust. civ., 2004, I, p. 2177 con nota di S. Piccinini, La Corte europeadei diritti dell’uomo e il divieto di ricerca della maternità naturale; J. Long, La Corte euro-pea dei diritti dell’uomo, il parto anonimo e l’accesso alle informazioni sulle proprie origini:il caso Odièvre c. Francia, in Nuova g. civ. comm., 2004, II, p. 283 ss.; per un compiuto in-quadramento del sistema vigente in Francia si vedano, oltre agli aa. testé citati, anche leconsiderazioni di D. Paris, Parto anonimo e bilanciamento degli interessi nella giurispru-denza della Corte costituzionale, del Conseil constitutionnel e della Corte europea dei dirit-ti dell’uomo, op. cit.; si ricorda in particolare la Loi n. 2002-92 du 22 janvier 2002 relativeà l’accès aux origines des persone adoptées et pupilles de l’État, che ha improntato la legi-slazione francese al principio della réversibilité del segreto attraverso l’istituzione del Con-seil national pour l’accès aux originespersonnelles, CNAOP, organo deputato all’opera diintermediazione cui si può rivolgere sia la persona alla ricerca delle proprie origini sia lamadre biologica che vuole ripensare alla propria scelta di anonimato.

(43) Corte eur. dir. uomo 25 settembre 2012, ric. 33783/09 (Godelli c. Italia), in Nuo-va g. civ. comm., 2013, I, p. 103 ss., con nota di commento di J. Long, La Corte europeadei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anonimato del parto: unacondanna annunciata. La decisione è commentata anche da C. Ingenito, Il diritto del figlioalla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recen-te giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giust. civ., 2013, p. 1608 ss.;G. Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle pro-prie origini. Verso nuove forme di contemperamento, in Fam. e d., 2013, p. 537 ss.; A. Mar-

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diritti dell’uomo che prevede la salvaguardia della vita privata e familiare,così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti (44)dell’uomo ovvero secondo una accezione ampia che comprende, tra gli altri, ilrispetto del diritto di ciascun individuo di conoscere le proprie origini (45).

Dal punto di vista formale, tuttavia, si è detto come, a fronte della richie-sta del giudice remittente (46) di considerare anche il parametro dell’art. 117,comma 1o, Cost., la Corte costituzionale, lo abbia dichiarato assorbito, addu-cendo argomentazioni autonome (47), e quindi svincolandosi dalla considera-zione delle norme della Convenzione europea — e quindi anche dell’art. 8nell’interpretazione datane dalla Corte europea — come parametri interpostidi legittimità costituzionale filtrati nell’ordinamento interno grazie al richia-mo dell’art. 117, comma 1o, Cost., secondo l’oramai consolidato indirizzo del-la giurisprudenza costituzionale (48).

garia, Parto anonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomo condannala legge italiana, in Minori e giust., 2013, n. 2, p. 340 ss.

(44) Cfr. P.G. Gosso, Davvero incostituzionali le norme che tutelano il segreto del partoin anonimato?, op. cit., p. 829 dove l’a. si chiede se « [...] merita davvero piena e incondi-zionata condivisione quanto categoricamente affermato dalla Corte Europea, secondo laquale “il diritto all’identità da cui deriva il diritto di conoscere la propria ascendenza, faparte integrante della vita privata” ».

(45) Sull’art. 8 della Convenzione europea e l’interpretazione della Corte Europea, cfr.Corte eur. dir. uomo 7 luglio 1989, ric. 10454/84, Gaskin c. Regno Unito; Corte eur. dir.uomo 7 febbraio 2002, ric. 53176/99, Mikulic c. Croazia; Corte eur. dir. uomo 13 febbraio2003, ric. 42326/98, Odièvre c. Francia, cit. Nella stessa decisione Godelli c. Italia si leggeche « la Corte considera il diritto all’identità, da cui deriva il diritto di conoscere la propriaascendenza, come parte integrante della nozione di vita privata ». Le decisioni della Corteeuropea sono reperibili nel sito del Consiglio d’Europa, tramite il sistema HUDOC, all’indi-rizzo http://www.echr.coe.int nel testo integrale inglese e francese.

(46) Trib. Min. Catanzaro, ord. 13 dicembre 2012, in Fam. e d., 2013, p. 817 con notadi P.G. Gosso, Davvero incostituzionali le norme che tutelano il segreto del parto in anoni-mato?

(47) Così, V. Marcenò, Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivareincertezze, cit.

(48) Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, in F. it., 2008, I, c. 39 ss., con nota diR. Romboli; L. Cappuccio, La Corte costituzionale interviene sui rapporti tra convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo e Costituzione e F. Ghera, Una svolta storica nei rapporti deldiritto interno con il diritto internazionale pattizio (ma non in quelli con il diritto comuni-tario); ed ancora dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ex multis, Corte cost. 11novembre 2011, n. 303 per la quale « in materia di rapporti tra l’art. 117, comma 1, Cost.,e le norme della Cedu, qualora il contrasto tra la disciplina nazionale della cui legittimitàcostituzionale si dubiti e le norme della Cedu non possa essere risolto in via interpretativa,la Corte costituzionale deve accertare se le disposizioni interne in questione siano compati-bili con quelle della Cedu come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fon-ti integratrici dell’indicato parametro costituzionale e, nel contempo, verificare se le normeconvenzionali interposte, sempre nell’interpretazione fornita dalla medesima Corte euro-pea, non si pongano in conflitto con altre norme conferenti dell’ordinamento costituzionaleitaliano. Tuttavia, se la Corte costituzionale non può prescindere dall’interpretazione dellaCorte di Strasburgo di una disposizione della Cedu, essa può, nondimeno, interpretarla a

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Una più attenta considerazione ad opera della Corte costituzionale dellasentenza Godelli c. Italia, quale punto di arrivo dell’interpretazione dellaCorte europea sull’art. 8 della Convenzione (49), avrebbe, forse, condotto ilGiudice delle leggi ad una diversa decisione (50).

Muovendo dall’esigenza di stabilire un giusto equilibrio nella ponderazio-ne dei diritti e degli interessi concorrenti, ossia, da una parte, quello della ri-corrente a conoscere le proprie origini e, dall’altro, quello della madre a man-tenere l’anonimato e, pur ammettendo che rientra nella discrezionalità del le-gislatore nazionale reperire le « misure idonee » a garantire il rispetto dell’art.8 della Convenzione nei rapporti interpersonali, la Corte europea, coglie ilpunto di equilibrio dei diritti fondamentali da bilanciare essenzialmente nellareversibilità del segreto, propria della legge francese. Di conseguenza, la legi-slazione italiana vigente violerebbe il principio del giusto equilibrio nell’inter-pretazione dell’art. 8 Cedu attribuendo priorità assoluta alla salvaguardiadella vita e della salute della partoriente e del neonato al momento del parto

sua volta con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener con-to delle peculiarità dell’ordinamento in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi.Infatti, la norma Cedu — nel momento in cui va ad integrare il comma 1 dell’art. 117 Cost.— da questo il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di inter-pretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui la Corte costituzionale èchiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sentt. n. 348, 349 del 2007, 311, 317 del2009 113, 236 del 2011) ».

(49) Di particolare interesse è ricordare che il diritto alle proprie origini trova tutela inaltre fonti sovranazionali quali la Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti delbambino del 20 novembre 1989 ove si prevede il diritto del figlio, per quanto possibile, diconoscere fin dalla nascita i propri genitori (art. 7); la Convenzione del L’Aja del 29 mag-gio 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazio-nale ratificata dall’Italia ove si prevede che le autorità competenti dello Stato contraenteconservino con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore in particolarequelle relative all’identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del mino-re e della sua famiglia; dette autorità assicurano l’accesso del minore o del suo rappresen-tante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla leggedello Stato (articolo 30). In forma più persuasiva poi, si pone anche la Raccomandazione1443 (2000) del 26 gennaio 2000 « Per il rispetto dei diritti del bambino nell’adozione in-ternazionale », ove l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha invitato gli Statiad « assicurare il diritto dei bambini adottati a sapere delle proprie origini al più tardi alraggiungimento della maggior età ed eliminare dalla legislazione nazionale ogni clausolacontraria ». Tale scenario innesta il problema, nel caso Godelli, di verificare se ed in che li-miti la Corte di Strasburgo debba tenere in considerazione della tutela garantita da altrefonti sovranazionali.

(50) Una diversa conclusione, non già rispetto a quella di Strasburgo del caso Godelli,s’intende, sulla falsariga della quale la Corte costituzionale si è pronunciata, ricalcando lamedesima soluzione, ma rispetto a ciò che la Corte costituzionale avrebbe potuto decideretenendo in considerazione la gradazione di informazioni personali che rientrano nel concet-to di « vita privata » di cui alla sentenza Godelli. L’effetto di una sentenza additiva di prin-cipio che testualmente rinvia ad una legge la disciplina procedimentale del « fenomeno »pone in essere una « nuova norma » di difficile applicazione pratica; cfr. sul punto i rilievipubblicistici di V. Marcenò, Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivareincertezze, cit.

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rispetto al diritto dell’adottato di accedere alle informazioni sulle proprie ori-gini (51).

Certamente così è per il diritto di conoscere l’identità della madre biolo-gica che ha scelto il parto anonimo. Le cose stanno diversamente, invece,quanto alla possibilità di accedere ad altre informazioni non identificativedella partoriente, informazioni in qualche misura funzionali alla ricostruzionedella storia personale dell’adottato (52).

A ben vedere, la possibilità di questa distinzione è contemplata dallastessa decisione Godelli c. Italia, laddove nella stessa si ripropone, (in riferi-mento alla legge francese del 22 gennaio 2002 ed alla sentenza Odièvre c.Francia), la differenziazione tra le informazioni sull’identità della madre daquelle informazioni non identificative della stessa che sono comunque da con-siderarsi quale tassello dell’identità personale dell’individuo.

Nella decisione Godelli c. Italia, l’interpretazione della salvaguardia della« vita privata » può fondatamente articolarsi in una gradazione di informa-zioni identificative e non, giuridicamente rilevanti e funzionali alla ricostru-zione della propria identità. Ne è riprova il passaggio della decisione ove laCorte europea non sembra conoscere a pieno il sistema legislativo italianoladdove un po’ confusamente afferma che « la normativa italiana non dà al-cuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiederel’accesso alle informazioni non identificative sulle origini o la reversibilità delsegreto ». Non è così.

La strada tracciata dalla Corte europea allora poteva condurre ad escogi-tare una misura più adeguata per ponderare i diritti in gioco. È incontestabi-le, infatti, che anche allorquando si prevedesse il sistema del ripensamentodella madre biologica e quest’ultima riaffermasse il vincolo del segreto, il di-ritto dell’adottato sarebbe comunque sacrificato.

Se un bilanciamento tra i diritti fondamentali doveva essere ricercato, sa-rebbe stato forse preferibile indicare una diversa soluzione al legislatore, che

(51) Nella fattispecie all’esame, la Corte osserva che « la ricorrente non ha avuto acces-so a nessuna informazione sulla madre e la famiglia biologica che le permettesse di stabili-re alcune radici della sua storia nel rispetto della tutela degli interessi dei terzi. Senza unbilanciamento dei diritti e degli interessi presenti e senza alcuna possibilità di ricorso, la ri-corrente si è vista opporre un rifiuto assoluto e definitivo di accedere alle proprie originipersonali ».

(52) Trib. min. Firenze 19 dicembre 2007, in F. it., 2008, I, c. 2038; per la qualel’adottato può accedere nel rispetto del limite identificativo della madre che ha scelto l’ano-nimato a qualunque atto relativo alle proprie origini nel quale siano opportunamente oc-cultati il nome della madre o altri elementi che valgono ad identificarla (in generale potràessere considerato dato identificativo l’indicazione del luogo in cui è nata la donna specie seabbinato alla sua data di nascita; ma non saranno considerati dati identificativi l’indicazio-ne della sola data di nascita della madre non abbinata al luogo, così come, spogliati da rife-rimenti territoriali, la sua professione, eventuali titoli di studio o condizioni di salute), inMinori e giust., 2008, n. 2, p. 360 con osservazioni di A. Specchio, Il diritto dell’adottato diaccesso alle informazioni concernenti la propria origine: un’interpretazione evolutiva daparte del tribunale minorile fiorentino.

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armonizzasse gli interessi sottesi, da un lato all’anonimato e, dall’altro, alla di-sciplina sull’accesso alle informazioni, differenziando l’accessibilità dei dati edelle informazioni con una normativa più organica e mirata a seconda del tipodi informazioni: la modalità della nascita o dell’abbandono o altre circostanzeriferibili alla nascita non identificative della madre (tipo di parto), le informa-zioni mediche sanitarie e quant’altro sia utile al soggetto richiedente al fine ri-costruire la propria storia, così come pure le indicazioni sulla presenza di unpadre biologico per il quale la legge italiana non contempla alcuna disposizione.

Non si opera alcuna « composizione » (53) di principi e di diritti costitu-zionali nell’ipotesi in cui la madre, interpellata, opponga il segreto. Il vetodella madre anonima continua a contraddire, cioè ad eludere, il diritto al-l’identità dell’adottato.

Preferibile è la scelta di temperare le informazioni utili per compiere laricostruzione della propria identità, offrendo comunque per l’adottato la pos-sibilità di accedere a quelle biologiche, sanitarie, circostanziali della nascita.

Il contemperamento tra diritti cui deve tendere il legislatore nazionalepotrebbe essere più efficace ed effettivo, non attraverso l’introduzione dellamera previsione della reversibilità del segreto (ipotesi eventuale) nel caso del-l’adottato maggiore di venticinque anni (ipotesi limitata) bensì attraverso unarivisitazione della disciplina sul parto anonimo e l’accesso alle informazioniche diversifichi le informazioni giuridicamente significative per la tutela del-l’identità personale dell’individuo da quelle che lo sono meno o non lo sonoaffatto perché identificative della partoriente e come tali nella disponibilitàesclusiva ed assoluta della titolare.

5. — La sentenza della Corte costituzionale diversamente attesa daglioperatori del diritto, pur senza nulla aggiungere al tessuto legislativo esisten-te, nel provocare una rivisitazione degli istituti giuridici sottesi al diritto del-l’adottato « adulto » di accedere alle informazioni che lo riguardano, sembradelineare sia pure sommessamente, la configurabilità una nuova situazionegiuridica di rilevo nell’ordinamento: quella del ripensamento e della revocadell’anonimato, che sembra spostare in qualche modo il baricentro dell’istitu-to dell’adozione legittimante, già ripetutamente ritoccato dal legislatore edoramai impoverito del suo contenuto.

Incisive appaiono le considerazioni della Corte costituzionale laddove es-sa afferma che una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irrever-sibile alla « genitorialità giuridica » può non implicare anche una definitiva eirreversibile rinuncia alla « genitorialità naturale », altrimenti risulterebbe in-trodotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice« qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, conesiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost. ».

(53) Parla di « un procedere per composizione », V. Marcenò, Quando da un dispositivod’incostituzionalità possono derivare incertezze, p. 285 ss. ed ivi riferimenti pubblicistici.

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In sostanza, ora il diritto al ripensamento in uno con la scelta positiva disvelare la propria identità aprirebbe la strada ad una nuova forma di « geni-torialità naturale » (54), pur restando preclusa incontestabilmente la costitu-zione di un rapporto giuridico di filiazione.

Ma questa valorizzazione di una reciproca relazione di fatto tra madrebiologica e figlio di altri in nome dell’art. 2 Cost., e, quindi, (si può supporre)per garantire il completo ed armonico sviluppo della personalità di madrebiologica e di figlio adottato, va ben oltre l’esigenza di salvaguardare il dirittodi accesso alle informazioni — identificative e non — dell’adottato adulto« affievolendo » il segreto dell’anonimato attraverso la previsione di un dirittoal ripensamento della madre biologica.

In tale confusa prospettiva garantista, l’effetto potrebbe essere social-mente e umanamente dirompente oltre che delicato per il profilo giuridico;basti ricordare, a tal proposito, che già la Cassazione (55) aveva riconosciutoal figlio legittimo altrui, decaduto dall’azione di disconoscimento, la facoltà dichiedere gli alimenti al padre biologico (nell’impossibilità di adempiere deigenitori legittimi); analogamente, e nella prospettiva unificatrice dello statusad opera della Riforma della filiazione, si potrebbe giungere a riconoscere lapretesa agli alimenti del figlio adottivo altrui nei confronti della madre biolo-gica, una volta identificata.

Pare incontestabile, allora, che oltre ad un procedimento volto a verifica-re la persistenza della volontà della donna di non essere nominata, occorraprogrammare una sistematica normativa tesa a disciplinare compiutamente laraccolta e l’accesso dei dati della partoriente, distinguendo quelli identificati-vi, da quelli medico-sanitari non identificativi, nonché un sistema ordinato econsapevole di scelta e revoca dell’anonimato materno.

(54) G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donnapuò decidere se restare nell’anonimato, op. cit., che preferisce parlare di « genitorialità bio-logica » da contrapporre a quella « giuridica » e ciò a seguito della Riforma della filiazione,cit. sub nt. 2.

(55) Ci si chiede, infatti, quali effetti potrebbero derivare dalla valorizzazione di questarelazione di fatto tra adottato e madre biologica. Cfr., Cass. 1o aprile 2004, n. 6365, inFam. e d., 2005, p. 27 ss. con nota di M. Sesta, Un ulteriore passo avanti della S.C. nelconsentire la richiesta di alimenti al preteso padre naturale da colui che ha lo stato di fi-glio legittimo altrui; in G. it., 2005, c. 1830 con nota di F. Prosperi, Paternità naturale,stato di figlio legittimo altrui, efficacia preclusiva degli atti di stato civile e dubbi sulla per-durante operatività dell’art. 279 c.c.

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Amalia Chiara Di LandroRicercatore nell’Università « Mediterranea » di Reggio Calabria

I VINCOLI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645 TER C.C.ALCUNE QUESTIONI NELL’INTERPRETAZIONE

DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

Sommario: 1. Introduzione. L’art. 2645 ter c.c.; le questioni interpretative. — 2.Il dibattitosulla portata applicativa della norma e il rapporto con il trust. Le diverse posizioni dellagiurisprudenza di merito. — 3. Gli interessi tutelati ed il giudizio di meritevolezza exart. 1322 c.c. — 4. Le modalità di istituzione del vincolo. I vincoli di destinazione isti-tuiti per testamento. La posizione del Tribunale di Roma (18 maggio 2013).

1. — Com’è noto, l’art. 2645 ter c.c. ha sollecitato un largo dibattito dalmomento della sua approvazione, anche per l’ampiezza delle possibilità ope-rative che, in una lettura iniziale, il ricorso ai vincoli di destinazione sembra-va offrire.

L’attenzione sul tema è stata sollecitata soprattutto dalla dottrina, che haper lo più attribuito alla norma significativa importanza, ritenendo ricono-sciuta formalmente — con il suo inserimento nel codice civile — la generalepraticabilità e opponibilità della dissociazione volontaria tra titolarità dellaproprietà, gestione ed interesse economico allo sfruttamento dei beni (1); l’art.2645 ter c.c., in alcune posizioni in particolare, è stato considerato (2) « la

(1) A. Gambaro, Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui, in Trust attività fid.,2007, 2, p. 169; G. Oppo, Brevi note sulla trascrizione di atti di destinazione (Art. 2645 terc.c.), in questa Rivista, 2007, 1, p. 3. Scriveva G. Gabrielli, (in Vincoli di destinazione im-portanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in questa Rivista,2007, I, p. 327): « la portata della nuova disciplina di cui all’art. 2645 ter resta notevole;sembra, anzi, di dovere dire dirompente. Benché collocata nella sede impropria della pub-blicità immobiliare, tale disciplina ha il significato di estendere la sfera operativa dell’auto-nomia privata, collocando nel museo delle reliquie del passato limiti che tradizionalmentel’avevano compressa e che, paradossalmente, continuano ad essere proclamati da altre nor-me di legge, rimaste immutate ». Secondo R. Lenzi, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645ter c.c., in Contratto e impr., 2007, 1, p. 233: « La disposizione determina in definitiva dueconseguenze: a) da un lato fornisce un decisivo argomento alla tesi dell’ammissibilità di ne-gozi di destinazione atipici, che il nostro ordinamento era già perfettamente in grado diesprimere e di cui era possibile ricostruire la struttura e gli effetti attraverso l’uso degli or-dinari strumenti di interpretazione logica; b) dall’altro definisce i mezzi per rendere oppo-nibile ai terzi la destinazione quando questa riguarda beni immobili ». Con l’art. 2645 terc.c. sarebbe dunque formulata una regola generale che « concorre, con pari dignità con laregola dettata all’art. 2740 c.c., alla composizione del sistema ».

(2) M. Bianca, Novità e continuità dell’atto negoziale di destinazione, in M. Bianca(cur.), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione - L’art. 2645 ter del codice civile,Milano 2007, p. 33.

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matrice di una serie di istituti attraverso i quali si realizza un fenomeno di de-stinazione di beni ad uno scopo ».

All’iniziale ampiezza del dibattito non ha fatto seguito un largo ricorsoall’istituto nella pratica, come è dimostrato anche dalla ridotta casistica in ar-gomento (3), sicché l’attenzione dei commentatori è in parte scemata (4) (an-che a causa di una serie di fattori, evidenziati pure in alcune sentenze (5):« l’incompletezza della disciplina, l’incertezza sulla individuazione del sogget-to al quale è rimesso il controllo di meritevolezza degli interessi, il possibileutilizzo fraudolento »).

Tra le pronunce, alcune meritano una menzione ed una più meditata ri-flessione, per la loro (recente) collocazione temporale e per i profili di novitàche su specifiche questioni, pure fra loro correlate, la loro lettura evidenzia.Fra le più rilevanti:

1) Una prima, generale problematica attiene all’ambito applicativo edall’apporto innovativo della norma in commento, anche in relazione al com-petitivo schema del trust;

2) Un secondo profilo riguarda lo scopo per il quale la destinazionepuò essere ammessa ed il controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c.;

3) Un’ultima questione (6) attiene alle modalità di istituzione del

(3) Cfr. Trib. Trieste 7 aprile 2006, in R. not., 2007, 2, p. 367, con nota di Matano; inTrust attività fid., 2006, 3, p. 417; in Nuova g. civ. comm., 2007, I, p. 524 ss., con nota diCinque; in Notariato, 2006, p. 539 ss., con nota di Alessandrini Calisti; Trib. Reggio Emi-lia 30 novembre 2006, in Redazione Giuffrè, 2007; Trib. Reggio Emilia 23 marzo 2007, inG. mer., 2007, 12, p. 3183 con nota di Di Profio; Trib. Reggio Emilia 26 marzo 2007, inGuida al dir., 2007, 18, p. 58, con nota di Tonelli, in Il civilista, 2010, 9, p. 93, in D.fam., 2007, 4, p. 1726 e in Nuova g. civ. comm., 2008, I, p. 114 s., con nota di Murgo;App. Roma 4 febbraio 2009, in D. fam., 2009, 2, p. 665; Trib. Bologna 5 dicembre 2009,in Il civilista, 2010, 9, p. 93; Trib. Reggio Emilia 7 giugno 2012, in Guida al dir., 2012,49-50, ins., p. 15, con nota di Buffone; Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012, in RedazioneGiuffrè, 2012; Giudice tutelare Saluzzo 19 luglio 2012, in Guida al dir., 2012, 49-50, p. 9(con nota di Di Sapio); Trib. Roma 18 maggio 2013, in Fam. e d., 2013, 8-9, p. 786 ss. connota di Calvo, in Nuova g. civ. comm., 2014, parte I, p. 89, con nota di Azara e in R. not.,2014, 1, p. 63, con nota di Romano; Tribunale S. Maria Capua V. 28 novembre 2013, inRedazione Giuffrè, 2013; Tribunale Reggio Emilia, sez. fallimentare, 27 gennaio 2014. Ri-conduce il trust all’art. 2645 ter c.c. Trib. Modena 11 dicembre 2008, in D. fam., 2009, 3,p. 1256, con nota di Nardi.

(4) Ma v. fra gli altri, recentemente, L. Bullo, Commento sub art. 2645 ter, in Comm.Cian-Trabucchi, 11a ed., Padova 2014; Ead., Trust, destinazione patrimoniale ex art. 2545ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma 6o, del t.u.f.: quale modello di se-gregazione patrimoniale?, in questa Rivista, 2012, 4, p. 535; Ead., Separazioni patrimo-niali e trascrizione. Nuove sfide per la pubblicità immobiliare (I Quaderni della « Rivista didir. civile »), Padova 2012; L.Gatt, Il trust c.d. interno: una questione ancora aperta, inNotariato, 2011, p. 280 ss.

(5) Cfr. Trib. Roma 18 maggio 2013, cit.(6) Su cui v. M. Ieva, La trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di inte-

ressi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni oad altri enti o persone fisiche (art. 2645 ter c.c.) in funzione parasuccessoria, in R. not.,

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vincolo ed alla possibilità, in particolare, di costituirlo mediante testamen-to.

2. — Sul primo punto — quello attinente alla portata innovativa dellanuova disciplina — è da sottolineare che la giurisprudenza ha inizialmenteattuato una lettura restrittiva, ponendo l’accento soprattutto sul dato dell’in-troduzione, con la norma in commento, (esclusivamente) di un particolare ti-po di effetto negoziale, quello di destinazione, « accessorio rispetto agli altrieffetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi ».

Ha espresso questo orientamento una delle prime sentenze in argomen-to (7), emessa dal Tribunale di Trieste (8), che — nel negare la pubblicità ri-chiesta sotto forma di iscrizione tavolare ad un atto pubblico di dotazione di untrust, considerato nullo per difetto di causa tipica o atipica meritevole di tute-la (9) — ha incidentalmente precisato che non v’è « alcun indizio da cui desu-mere che sia stata coniata una nuova figura negoziale, di cui non si sa neanchese sia unilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, ad effetti traslativi odobbligatori. Essa rappresenta una chiara anomalia del sistema (...) ».

Siffatto orientamento (ancorché poi mutato in differenti pronunce (10)) è

2009, 5, p. 1289 ss.; A. Merlo, Brevi note in tema di vincolo testamentario di destinazioneai sensi dell’art. 2645 ter, in R. not., 2007, 2, p. 509 e ss.

(7) Prima di questa, si consideri anche Trib. Genova 14 marzo 2006 (in Nuova g. civ.comm., 2006, I, p. 1209 ss., con nota di Venchiarutti; in G. mer., 2006, p. 2644 ss., connota di Di Profio), secondo cui, fra l’altro, la volontà del legislatore di riferirsi al trust« (pur non nominato) è di tutta evidenza ». Nel caso in questione il Giudice legge l’art.2645 ter c.c. come una legittimazione « anche per via legislativa (...) [del] pensiero di dot-trina e giurisprudenza prevalenti riguardo la compatibilità del trust con il nostro ordina-mento se diretto a perseguire interessi meritevoli di tutela ».

(8) Trib. Trieste, Uff. del giudice tavolare, 7 aprile 2006, cit. In senso critico, insieme allenote citate, ancheM. Bianca, Il nuovo art. 2645 ter. Notazione a margine di un provvedimen-to del giudice tavolare di Trieste, in Giust. civ., 2006, II, p. 187 ss. Cfr. in argomento anche;A. Picciotto, Brevi note sull’art. 2645 ter: il trust e l’araba fenice, in Contratto e impr.,2006, 4-5, p. 1314 ss.; P. Manes, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dun-que, norma sugli effetti, in Contratto e impr., 3, 2006, p. 627; R. Quadri, L’art. 2645 ter e lanuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e impr., 2006, 6, p. 1717 ss.

(9) L’atto è stato considerato « causalmente astratto » e tale da impedire « di apprezzare lafunzione, la meritevolezza di interessi e la pertinenza dell’operazione rispetto al fine di trust ».

(10) Il medesimo Trib. Trieste, con pronuncia successiva (decr. 19 settembre 2007, inNuova g. civ. comm., 2008, Parte I, p. 687, con nota di M. Cinque, L’atto di destinazioneper i bisogni della famiglia di fatto: ancora sulla meritevolezza degli interessi ex art. 2645ter cod. civ.) ha riconosciuto alla riforma « il significato di estendere la sfera operativa del-l’autonomia privata ». E il Tribunale di Saluzzo, con decreto del 19 luglio 2012, cit., ha ri-tenuto la natura « sostanziale » dell’art. 2645 ter c.c., affermando che la norma consenti-rebbe anche negozi di destinazione che non richiedono, contestualmente, il necessario tra-sferimento del diritto da sottoporre a vincolo, ritenendo che « il legislatore ha inteso rende-re opponibile la funzionalizzazione di scopo di un bene senza attribuzioni patrimoniali »,giungendo alla conclusione che l’atto di destinazione non determina né richiede « (in quan-to tale) trasferimento di diritti ».

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stato ripreso anche in sentenze successive (11), ove è stato ribadito che « l’art.2645 ter c.c. è norma “sugli effetti” e non “sugli atti” » e, perciò, « disciplinaesclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi e obbliga-tori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione; nonconsente, invece, la configurazione di un “negozio destinatorio puro”, cioè diuna nuova figura negoziale atipica imperniata sulla causa destinatoria » (12).

L’approccio iniziale della giurisprudenza non ha ricevuto l’avallo delladottrina, che — pur criticando unanimemente la tecnica legislativa impiega-ta, foriera di molti dubbi interpretativi (13) — ha anzi sottolineato l’esistenza,nella norma, di alcuni indici della rilevanza sostanziale dell’atto (laddove, adesempio, viene stabilito chi può agire per la realizzazione dell’interesse e vienedefinito come devono essere impiegati i beni conferiti e i loro frutti) (14) ed haevidenziato (15) che una lettura contraria a tale valenza sostanziale finirebbeper risolversi in una « sorta di interpretatio abrogans, un vero e proprio sabo-taggio dell’intervento legislativo ».

È da dire che le diverse pronunce — anche quelle fin qui menzionate —hanno spesso avuto ad oggetto il richiamo all’art. 2645 ter c.c., operato dalleparti in causa per legittimare l’ammissibilità dello schema del trust e per su-perare le difficoltà connesse al problema di apprestare rilevanza esterna aitrasferimenti di beni immobili in favore del fondo in trust e di conferire effi-cacia reale al vincolo segregativo (16).

(11) Trib. S. Maria Capua V. 28 novembre 2013, cit.; Trib. Reggio Emilia, sez. falli-mentare, 27 gennaio 2014, cit.

(12) Così anche Trib. Reggio Emilia 7 giugno 2012, cit.(13) Cfr. ad esempio F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. civ., 2006, II,

p. 165 ss.; G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in questa Rivista, 2006,II, p. 162. Per i vari profili problematici v. G. Cian, Riflessioni intorno a un nuovo istitutodel diritto civile: per una lettura analitica dell’art. 2645 ter c.c., in Studi in onore di Leo-poldo Mazzarolli, Padova 2007, p. 81 ss.

(14) Cfr. S. Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c., p. 697, nt. 4; F. Gazzoni,Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., cit.; F. Galluzzo, Autodestinazione e destinazione c.d.dinamica: L’art. 2645 ter cod. civ. come norma di matrice sostanziale , in Nuova g. civ.comm., 2014, p. 128 ss.

(15) P. Spada, Destinazioni patrimoniali ed impresa, in Atti di destinazione e trust, acura di G. Vettori, Padova 2008, p. 330.

(16) Tema sul quale, si è pronunciato, da ultimo, il Tribunale di Torino (con decreto 18marzo 2014), sostenendo — in accoglimento di un reclamo originato da una trascrizionenei registri immobiliari effettuata con riserva — che sia sufficiente, a tal fine, l’esecuzionedi una sola formalità contro il disponente ed in favore del trust — non del trustee — senzaperaltro che ciò presupponga la soggettività del trust.

Con ciò è stato mutato orientamento rispetto a quello espresso da altro giudice di merito(Tribunale di Reggio Emilia del 25 marzo 2013), il quale (in un caso, tuttavia, di procedu-ra esecutiva) aveva concluso in senso diametralmente opposto; secondo questa pronuncia,non essendo il trust un soggetto di diritto, le formalità da pubblicarsi nei registri immobi-liari devono essere effettuate nei confronti del trustee; se eseguite a favore o contro il trust,esse sarebbero illegittime, poiché effettuate nei confronti di un soggetto inesistente.

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Anche in dottrina sono state tratte anche una serie di conseguenze siste-matiche diverse dal tema del rapporto tra trust e atti di destinazione, nel qua-dro del dibattito sull’ammissibilità del c.d. trust interno e sulle sue problema-tiche applicative (17). Si è infatti evidenziato che l’art. 2645 ter c.c. risponde-rebbe all’esigenza di creare un modello generale di destinazione del patrimo-nio ad uno scopo, con cui il legislatore italiano potrebbe aver « mostrato divoler abbandonare i precedenti stranieri che si muovevano nella direzionedella inurbazione di istituti stranieri come il trust » (18). Altri Autori (19) han-no invece messo in evidenza che l’art. 2645 ter c.c. non sarebbe in grado di« di offrire al nostro ordinamento un istituto che possa competere o anche so-lo confrontarsi con il trust ».

Le diverse soluzioni apprestate hanno preso le mosse da un confronto trai due istituti che — se, come altrove (20) si è sottolineato, ci consegna alcunedifferenze strutturali che risultano significative (dal punto di vista di alcunielementi peculiari (21), della struttura (22), della forma (23), dell’oggetto (24),

(17) Sul punto, com’è noto, le interpretazioni sono state diverse. Taluni, richiamandoespressamente la proprietà nell’interesse altrui, hanno ricostruito conseguentemente la fat-tispecie prevista dall’art. 2645 ter c.c. come un’ipotesi di proprietà fiduciaria, parlando an-zi della « prima inequivocabile emersione legislativa » (A. Gambaro, op. ult. cit., p. 171)della proprietà fiduciaria nel diritto interno; altri Autori hanno messo in evidenza la man-canza — negli atti di destinazione — del carattere fiduciario dell’affidamento che è invececentrale nei trust: dalla disciplina approntata nell’art. 2645 ter c.c. risulta solo la previsionedell’ammissibilità e trascrivibilità di un negozio di destinazione con il quale il proprietario« funzionalizza il bene, assoggettandolo ad una speciale regolamentazione » (A. De Donato,Il negozio di destinazione nel sistema delle successioni a causa di morte, in La trascrizionedell’atto di destinazione, a cura di M. Bianca, cit., p. 50).

(18) M. Bianca, Novità e continuità dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 34.(19) A. Zoppini, Prime (e provvisorie) considerazioni sulla nuova fattispecie, in La tra-

scrizione dell’atto di destinazione, a cura di M. Bianca, cit., p. 100.(20) Sia consentito il richiamo a A.C. Di Landro, L’art. 2645 ter c.c. e il Trust. Spunti

per una comparazione, in R. not., 2009, 3, p. 583.(21) L’essenza dell’istituto inglese anzitutto, come si diceva, è l’affidamento fiduciario

(M. Lupoi, Gli atti di destinazione nel nuovo art. 2645 ter cod. civ. quale frammento ditrust, in Trusts e attività fid., 2006, cit., p. 172 e in R. not., 2006, p. 467 ss.; Id., I trustsnel diritto civile, nel Tratt. Sacco, Torino 2004; Id., Il contratto di affidamento fiduciario,in R. not., 2012, 3, p. 513 ss.), di cui manca qualunque riferimento nella norma in com-mento.

(22) Quanto alla dinamica dei rapporti tra i soggetti coinvolti, è prevista la possibilitàche sia il conferente ad agire per l’attuazione del fine dell’atto di destinazione, il che allon-tana l’art. 2645 ter c.c. dalla disciplina inglese dei trust, che prevede la legittimazione adagire in capo ai beneficiari o al guardiano, non anche in capo al disponente.

(23) Il trust inglese non è soggetto alla forma dell’atto pubblico ad substantiam; solo laforma scritta viene prescritta dalla Convenzione dell’Aja (art. 3), sebbene nella pratica il ri-corso all’atto pubblico sia considerato più prudente.

(24) Dal punto di vista dell’oggetto, nel trust possono essere incluse anche posizioni nondominicali, oltre che beni mobili non registrati, somme di denaro, titoli di credito.

CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA 731

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della durata (25), del regime (26) di responsabilità (27)) — presenta anche ta-lune intuitive affinità funzionali, che hanno fatto ritenere (28) di essere in pre-senza di un « frammento di trust » (29).

Si tratta di affinità che non valgono da sole a risolvere il noto problemadell’ammissibilità dei c.d. trusts interni in Italia (30), ma che possono costitui-

(25) L’atto di destinazione è soggetto alla durata massima di 90 anni o è parametratosulla vita della persona fisica beneficiaria; diverse, ancorché in parte corrispondenti, regolesono stabilite sul punto in diritto inglese, nelle leggi del modello internazionale e degli StatiUniti.

(26) Quanto al profilo della responsabilità patrimoniale, è stato sottolineato che nel casodell’art. 2645 ter c.c. la separazione sarebbe unilaterale e anche incompleta, attesa la man-canza di una disposizione che escluda espressamente i beni destinati dalla successione percausa di morte e dal regime patrimoniale della famiglia del proprietario « fiduciario » (ovesi ricorra allo schema di un gestore), aggiungendosi inoltre che un’eventuale clausola del-l’atto istitutivo che imponesse al gestore di prevedere, in caso di sua morte, l’attribuzionedella proprietà ad altro soggetto sarebbe di dubbia liceità alla stregua del divieto dei pattisuccessori.

(27) Sembra poi che la destinazione sia compatibile con una gestione « statica », mentre ècerto che dinamica possa o debba essere quella del trustee nel trust (così come nella destina-zione fiduciaria per come prevista negli artt. da 6 a 14 della l. 27 gennaio 2012, n. 3, che di-sciplinano « le situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigentiprocedure concorsuali ». Cfr.M. Lupoi, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., p. 513 ss).

(28) M. Lupoi, Gli « atti di destinazione » nel nuovo art. 2645 ter cod. civ. quale fram-mento di trust, in Trust attività fid., 1, 2006, p. 171.

(29) Legittimandone, con limiti, l’ammissibilità sulla base della prevalente considera-zione (in questo senso Trib. Trieste, decr. 19 settembre 2007, cit.) che non occorra « unaperfetta sincronia strutturale o effettuale con i negozi tipici », ma che sia « sufficiente lamera possibilità di condurre il negozio atipico a categorie — anche solo effettuali — ap-prezzate dall’ordinamento ».

Secondo quest’ultima pronuncia, la differenza tra trust ed atti di destinazione risiede-rebbe nel fatto che il primo sarebbe « negozio causalmente ben definito, ancorché tipizzatosolo per rinvio agli ordinamenti che lo disciplinano »; i secondi sarebbero « entità parane-goziali che, con una parafrasi “biogiuridica”, potremmo definire “opportuniste” in quanto,in difetto di struttura vitale propria, devono aderire ad altre fattispecie negoziali per poteredispiegare, sfruttando la loro struttura, gli effetti riconosciuti dall’art. 2645 ter c.c. ». Lapresenza di quest’ultima norma « nel sistema giuridico potrebbe avere come conseguenzaquella di rappresentare un limite all’incondizionato ingresso nell’ordinamento italiano altrust: oltre ai precedenti parametri, l’interprete si deve porre la domanda se debba essererispettato anche quello nuovo imposto dall’art. 2645 ter c.c.

Il disposto recentemente introdotto, in altri termini, potrebbe venire ad operare in modocomplementare, ma non perciò meno rilevante, rispetto al trust. L’esistenza di una normache consenta la separazione patrimoniale purché si perseguano interessi meritevoli di tute-la, così come identificati in base alla interpretazione che sopra è stata riportata, farebbe sìche oggi — al di fuori delle ipotesi di scissione tipizzate legalmente — potrebbe non esserepiù legittimo attuare a nessun titolo, e quindi neanche a titolo di trust, una separazione confinalità esclusivamente egoistiche e patrimoniali, motivata cioè da interessi non solo esclusi-vamente economici ma anche assolutamente individuali ».

(30) Sulla cui rilevanza peraltro si sono già espressi la giurisprudenza di merito (cfr., ades., Trib. Perugia 16 aprile 2002, in Trusts & attività fiduciarie, 2002, p. 584; Trib. Roma

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re un valido argomento ricostruttivo (31), ragionando soprattutto sulla rela-zione di reciproca interferenza tra l’art. 2645 ter c.c. ed l’art. 2 della Conven-zione dell’Aja del 1-7-1985, per superare le riserve di compatibilità con l’or-dinamento dello strumento convenzionale, in rapporto all’art. 2740 c.c. e al-l’art. 13 della Convenzione (che fa riferimento a elementi importanti del trustda riconoscere, connessi a Stati « che non prevedono l’istituto del trust o lacategoria del trust in questione ») e per consentirne la trascrivibilità (32).

3. — Il secondo profilo, relativo al giudizio di meritevolezza degli interes-si tale da giustificare il vincolo di destinazione, appare centrale per delimitarela portata applicativa dell’art. 2645 ter c.c. anche negli arresti giurispruden-ziali (33), atteso che con tale ultima disposizione si è di fatto realizzata l’« ab-dicazione del potere legislativo » (34) di valutare positivamente la rilevanzadel fine di destinazione.

4 aprile 2003, ivi, 2003, p. 411; Trib. Milano 8 marzo 2005, ivi, 2005, 585; Trib. Saluzzo9 novembre 2006, ivi, 2008, p. 290; Trib. Genova 1o aprile 2008, ivi, 2008, p. 392; Trib.Bologna 23 settembre 2008, ivi, 2008, p. 631; Trib. Padova 2 settembre 2008, ivi, 2008, p.628; Trib. Napoli, decr. 19 novembre 2008, ivi, 2009, p. 636; Trib. Modena, sez. Sassuolo,11 dicembre 2008, ivi, 2009, p. 177, e in D. fam., 2009, 1259 (nota S. Nardi); Trib. Roma11 marzo 2009, in Trust e attività fid., 2009, p. 541; Trib. Torino 31 marzo 2009, ivi,2009, 413; Trib. Rimini 21 aprile 2009, ivi, 2009, p. 409; Trib. Genova 17 giugno 2009,ivi, 2009, p. 531; Trib. Bologna 11 maggio 2009, ivi, 2009, p. 543; Trib. Firenze 17 no-vembre 2009, ivi, 2010, p. 176; Trib. Bologna 2 marzo 2010, ivi, 2010, p. 267, commenta-to da M. Casalini, Trust di scopo a vantaggio di una procedura concorsuale, ivi, 2010, p.359; Trib. Genova 29 marzo 2010, ivi, 2010, p. 408; Trib. Forlì 23 settembre 2010, ivi,2012, p. 83; Trib. Firenze 25 marzo 2011, ivi, 2011, p. 527; Trib. Urbino, ord. 11 novem-bre 2011, confermata da Trib. Urbino 31 gennaio 2012, entrambi in Trusts & attività fidu-ciarie, 2012, p. 401 e 406; Trib. Milano 15 novembre 2011, ivi, 2012, p. 408) e di legitti-mità (Cass. pen. 30 marzo 2011, n. 13276, in Trusts & attività fiduciarie, 2011, p. 408;con commenti di M. Lupoi, ivi, p. 469 e di Di Amato, ivi, p. 472), la prassi (Consiglio Na-zionale del Notariato, Studio del 10 febbraio 2006, in Trust attività fid., 2006, p. 459) e lalegislazione tributaria (cfr. gli artt. 74-76 della l. 27 dicembre 2006 n. 296 e le Circolaridell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007, n. 48/E e del 22 gennaio 2008 n. 3/E).

(31) P. Manes, op. cit., p. 627; in questo senso anche lo studio del CNN Il trust: dirittointerno e Convenzione dell’Aja: Ruolo e responsabilità del notaio, 22 febbraio 2006.

(32) Non può disconoscersi infatti che a seguito dell’espressa previsione della pubblicitàdi un vincolo di destinazione da parte dell’art. 2645 ter c.c., anche la trascrizione del trustpare ormai non incompatibile con l’ordinamento. Cfr. il decreto del Tribunale di Torino del10 febbraio 2011 in Trusts & attività fid., 2011, p. 627 ss., con nota di Parisi.

(33) Ancorché la meritevolezza sia stato interpretata, di volta in volta, come requisitoessenziale della fattispecie, o come onere per l’opponibilità. Ma v. quanto rilevato sul puntoda R. Lenzi, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter c.c., cit., 239: « In primo luogo, in-fatti, risulta piuttosto eversivo affidare gli effetti della trascrizione, strumento destinato adare certezza al sistema della circolazione, alla sussistenza di un requisito di non facile ac-certamento oggettivo, quale quello della meritevolezza, influenzando quindi, con valutazio-ni elastiche ed incerte, non il piano sostanziale dell’atto, bensì le regole circolatorie e di op-ponibilità. »

(34) G. Gabrielli, Vincoli di destinazione, op. ult. cit., p. 327.

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Gli interessi meritevoli sono stati interpretati in maniera diversa — inparte anche per l’influenza del dibattito non ancora sopito sull’art. 1322,comma 2o, c.c., ora correlato all’indagine sulla compatibilità con i parametridella liceità del negozio, dell’ordine pubblico e del buon costume (35) ora giu-dizio di rilevanza sganciato da questa indagine (36) — e correlativamente og-getto di letture diverse è stata l’ampiezza del relativo controllo, in sede di sti-pula dell’atto o, soprattutto, in fase di accertamento successivo, caso per caso,ad opera del giudice (37); dalla necessità (in fase di redazione del negozio daparte del notaio (38)) di verificare (esclusivamente) la liceità dello scopo (dellacausa) (39), da esplicitare necessariamente nell’atto (40), all’obbligo di valu-tarne la rilevanza anche sotto il profilo della « selezione dei valori » (41) tali

(35) F. Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano 1952, p. 13. In questo sensoanche Trib. Trieste, decr. 7 aprile 2006, cit.: « il giudizio di meritevolezza andrebbe confi-nato nel mero esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordinepubblico ed al buon costume ».

(36) E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, rist. 2002, p. 169; A. Ca-taudella, Il richiamo dell’ordine pubblico ed il controllo di meritevolezza come strumentiper l’incoerenza della programmazione economica sull’autonomia privata, in Aa.Vv.,Aspetti privatistici della programmazione economica, Milano 1971, p. 178; Guarneri, Meri-tevolezza dell’interesse, in Dig. disc. priv. - sez. civ., XI, Torino 1994, p. 407 ss.

(37) Per A. Zoppini (Postilla ad A. Fusaro, Le posizioni dell’accademia nei primi com-menti dell’art. 2645 ter, in Aa.Vv., Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressionesicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, cit.,2007, p. 40) « la conseguenza principale di tale norma è che ogni ipotesi di destinazionepatrimoniale potrà essere contestata ».

(38) G. Gabrielli, Vincoli di destinazione, cit., p. 334: « Occorre chiedersi se il pubblicoufficiale possa e debba rifiutarsi, a norma dell’art. 28, comma 1o, n. 1, l. not., di riceverel’atto costitutivo di un vincolo di destinazione importante separazione, qualora ritenga nonmeritevole di tutela l’interesse al cui perseguimento il vincolo stesso è preordinato. La ri-sposta non può che essere affermativa, in linea di principio, poiché l’atto di destinazione invista di un interesse non meritevole di tutela deve considerarsi nullo, in quanto inidoneo al-la produzione dell’effetto di separazione voluto dall’autore; ora, è pacifico che l’interventonotarile sia vietato almeno nei casi in cui dalla proibizione legale discenda la nullità dell’at-to. Poiché, tuttavia, deve considerarsi incerto, nel caso di cui si tratta, il significato stesso diquella meritevolezza di tutela dal cui mancato riconoscimento dipende la nullità, almenofinché su tale significato non si formi un consolidato orientamento giurisprudenziale, nonsarà sanzionabile il comportamento del notaio che abbia ricevuto uno degli atti di cui al-l’art. 2645 ter, purché tale atto sia diretto al perseguimento, attraverso il vincolo di desti-nazione, di un fine almeno non illecito ».

(39) Cass. 6 febbraio 2004, n. 2288, in Resp. civ., 2004, p. 1049. G. Gabrielli, Vincolidi destinazione, cit., p. 328.

(40) Tale expressio causae sarebbe idonea, fra l’altro, a sottrarre l’atto, ove bilaterale,al regime rigoroso stabilito per la donazione. Sul punto G. Palermo, Configurazione delloscopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell’assetto di interessi, in La trascrizione del-l’atto negoziale di destinazione, cit., p. 85. A. Falzea, op. ult. cit., p. 7.

(41) M. Bianca, Il nuovo art. 2645 ter c.c.: notazioni a margine di un provvedimento delgiudice tavolare di Trieste, in Giust. civ., 2006, II, p. 190; Id., Atto negoziale di destinazio-ne e separazione, cit., p. 216: « il principio di meritevolezza rappresenta il punto di incon-

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da giustificare l’effettiva sottrazione dei beni dall’attivo patrimoniale dell’ori-ginario titolare, nel quadro di una tutela degli interessi dei creditori del dispo-nente (42), coinvolti dall’istituzione del vincolo.

Coerentemente con quest’ultima posizione, alcune pronunce (43) hannoritenuto che siano validi solo i vincoli inquadrabili nell’« autonomia privatadella solidarietà » (44), connotati da « pubblica utilità » (45), in relazione alrichiamo operato dalla norma in primo luogo, « a persone con disabilità » od« a pubbliche amministrazioni »; in ambo i casi, caratterizzate da finalità diinteresse sociale e comunque inquadrabili nella stessa classe degli interessi ri-spetto ai quali è consentita dalla legge, con esemplificazione condotta con un« decrescendo di intensità etica » (46), la costituzione di un vincolo di destina-zione (47); viceversa dovrebbero considerarsi nulli (o, per alcuni, non opponi-bili), per mancanza della giustificazione causale, i vincoli privi di tale caratte-ristica (48).

tro tra libertà dell’atto di destinazione e il controllo sull’opponibilità dello stesso, attraversola regola di separazione patrimoniale ».

(42) A. Gambaro, op. ult. cit., p. 170.(43) Ritiene che « gli interessi meritevoli di tutela richiamati dalla norma sono quelli at-

tinenti alla “solidarietà sociale” e non gli interessi dei creditori di una società insolvente inquanto, diversamente opinando, si consentirebbe ad un atto di autonomia privata, per dipiù unilaterale, di incidere sul regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale(artt. 2740 e seguenti c.c.) al di fuori di espresse previsioni normative », Tribunale di Vi-cenza, 31 marzo 2011, in Corr. merito, 8-9-/2011, p. 806, con nota critica di G. Rispoli ein Corr. giur., 2012, 3, p. 397.

(44) P. Spada, Conclusioni, in M. Bianca (cur.), La trascrizione dell’atto negoziale di de-stinazione, cit., p. 203. Ciò anche in considerazione del fatto che l’unico interesse testual-mente previsto dalla norma è quello relativo alla tutela dei disabili.

(45) F. Gazzoni:, Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, p. 170: « lafinalità destinatoria deve poter essere ricompresa in quel concetto di pubblica utilità, cheun tempo era alla base del riconoscimento delle fondazioni ».

(46) P. Spada, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Aa.Vv., Negoziodi destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, cit., p. 126.Come evidenziato, dai bisogni dei disabili si passa a quelli delle amministrazioni pubbliche,fino ad estendere la portata della norma alle esigenze di qualsiasi persona o ente. Ritieneche « non si richiede una particolare pregnanza dell’interesse del disponente, cioè la verificada parte dell’interprete di una sua graduazione poziore rispetto all’interesse dei creditori oalla libera circolazione dei beni » G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione,cit., p. 179.

(47) Secondo M. Nuzzo, op. ult. cit., p. 68, « anche al di fuori delle fattispecie previstedalle singole norme sui patrimoni separati, si deve (...) ritenere che ogni volta che l’interes-se perseguito dall’atto di destinazione appartenga alla stessa classe degli interessi rispetto aiquali è consentita dalla legge la costituzione di un vincolo di destinazione, si rientri nel-l’ambito degli interessi meritevoli di tutela che nell’art. 2645 ter giustificano la limitazionedella responsabilità patrimoniale ».

(48) Al punto che, secondo la dottrina, una interpretazione diversa renderebbe la normacostituzionalmente illegittima. G. Gabrielli, Vincoli di destinazione, cit., p. 331: « la sepa-razione, comportando indisponibilità del bene, si traduce in un limite della proprietà, che

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La determinazione del contenuto della formula della « meritevolezza de-gli interessi », quando non anche del predicato della « solidarietà sociale »,ponendosi sul piano dei valori, ha portato però a risultati diversi, condizionatidalle specificità dei casi e dalle differenti sensibilità degli interpreti.

Così, ad esempio, il Tribunale di Vicenza (49) ha ritenuto (nel 2011) nonammissibile un piano di liquidazione concordataria, considerando non meri-tevoli di tutela ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. gli interessi dei creditori di unasocietà insolvente, perché non rispondenti ad un’esigenza di tutela della soli-darietà sociale, che sola giustificherebbe al di fuori di espresse previsioni nor-mative che un atto di autonomia privata incida sul regime legale inderogabiledella responsabilità patrimoniale. Il Tribunale di Lecco (50), l’anno successi-vo, ha considerato meritevole di tutela il fine perseguito da un’impresa che,anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo, aveva costi-tuito sul patrimonio un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. con loscopo dichiarato di permettere la soddisfazione proporzionale dei creditorisforniti di cause di prelazione; ritenendo in particolare che tale iniziativa con-sentisse la conoscibilità dello stato di crisi e preservasse il patrimonio da even-tuali atti di distrazione o da iniziative pregiudizievoli per alcuni creditori.

In materia di destinazione per « causa familiare » (51), il Tribunale diTrieste (52) ha ritenuto che per l’individuazione dei valori in nome dei qualioperare la separazione si possa fare « riferimento al sistema costituzionale,

ne altera nell’essenza il contenuto normale; ora, la norma costituzionale consente bensì allalegge di determinare “limiti” della proprietà, ma esclusivamente “allo scopo di assicurarnela funzione sociale” (art. 43, comma 2o, Cost.). Il precetto costituzionale sarebbe violatonon soltanto se la legge limitasse direttamente la proprietà al fine del soddisfacimento di unqualunque interesse privato, ma anche se al risultato pervenisse in via mediata, riconoscen-do efficacia giuridica ad atti di autonomia istitutivi di limiti ».

(49) Trib. Vicenza 31 marzo 2011, cit.(50) Trib. Lecco 26 aprile 2012, in www.ilcaso.it, 2012.(51) Su cui Giudice tutelare Saluzzo 19 luglio 2012, cit., secondo il quale « l’atto di de-

stinazione di un compendio immobiliare ex art. 2645 ter c.c. a causa familiare a favore diminori d’età non necessita dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. sia per il conseguimento siaper il consolidamento della posizione beneficiaria »; Trib.Bologna, 5 dicembre 2009, cit.,che ha considerato valido l’accordo con cui, in sede di separazione personale, un coniuge siè impegnato « ad apporre un vincolo di destinazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art.2645 ter c.c., sugli immobili di sua esclusiva proprietà, obbligandosi a non cedere l’immo-bile a terzi per tutta la durata del vincolo »; Tribunale Reggio Emilia, (decr. 26 marzo2007, cit.), accogliendo accoglie un’istanza di modifica del verbale di separazione consen-suale, ha ritenuto che risponda « ad una ottimale, anche perché incondizionata ed integra-le, tutela della prole, e va perciò consentito il trasferimento, con atto formale, da un coniu-ge all’altro, a modifica del regime di separazione personale (o di divorzio) precedentementeinstaurato, di taluni beni immobili con il vincolo “erga omnes” di cui all’art. 2645 ter c.c.,allo scopo di garantire ai figli minori un adeguato e sicuro mantenimento »; così anche Tri-bunale Reggio Emilia, 23 marzo 2007, in Corr. merito, 2007, 6, p. 701 e in Il civilista2008, 12, p. 53 (con nota di Bianchi).

(52) Trib. Trieste 19 settembre 2007, in Nuova g. civ. comm., 2008, 6, 1, p. 687, connota di Cinque, cit.

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ovvero a beni ed interessi corrispondenti a valori della persona costituzional-mente garantiti, sulla falsariga di quelli selezionati dalla giurisprudenza dellaSuprema Corte di Cassazione come meritevoli di ristoro ai sensi dell’art. 2059c.c. » ed ha ammesso il vincolo per soddisfare i bisogni di una famiglia di fat-to. Il Tribunale di Roma (53), recentemente, con sentenza rilevante anche peril profilo delle modalità di istituzione del vincolo, ha invece considerato che loscopo del mantenimento, istruzione ed educazione delle figlie minori di unatestatrice (che in loro favore aveva istituito un vincolo di destinazione con te-stamento) non sia assimilabile agli interessi previsti dall’art. 2645 ter c.c., chedovrebbero connotarsi in senso etico e solidaristico « anche quando riferiti asingole persone fisiche » (54).

Come si vede, soluzioni diverse, pur muovendo da analoghi punti di par-tenza.

Diverso approccio, sul punto, è stato peraltro seguito da altri Auto-ri (55) che — ragionando su una interpretazione del riferimento all’art.1322 c.c. ed al controllo sull’assenza di illiceità richiamato anche nei lavoripreparatori (56) — hanno invece ritenuto riduttivo ricondurre l’ambito diapplicabilità dell’art. 2645 ter c.c. alla soddisfazione di esigenze solidaristi-che (57), ritenendo che non vi siano argomenti sufficienti per circoscriverela meritevolezza codicistica (ex art. 1322 c.c.) (58), anche in considerazionedel riferimentogenerico agli interessi di « altri enti o persone fisiche ». La

(53) Trib. Roma 18 maggio 2013, cit.(54) E ciò anche in considerazione della durata prevista del vincolo, che eccedeva note-

volmente il limite della maggiore età delle eredi, e del dato per cui lo scopo in questione sa-rebbe già oggetto di specifica tutela attraverso il controllo previsto per gli atti di disposizio-ne dei beni dei minori da parte dell’autorità giudiziaria.

(55) G. Vettori, Atti di destinazione e trust, inG. Vettori (cur.), Atti di destinazione e trust(art. 2645 ter del codice civile), cit., p. 9. Sulla stessa linea,G. Palermo, op. ult. cit., p. 77.

(56) Si guardi il parere espresso dalla Commissione Permanente di Giustizia in data 28giugno 2005, reperibile all’indirizzo http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/bollet/200506/0628/pdf/02.pdf, nel quale espressamente si sottolinea che il giudizio di meritevolezza coin-cide con l’accertamento di non contrarietà del negozio realizzato alla legge, all’ordine pub-blico e al buon costume e non comporta dunque alcuna valutazione di utilità sociale delladestinazione (il che, peraltro, secondo la Commissione, introdurrebbe un vulnus al princi-pio dell’art. 2740 c.c. e come tale avrebbe suggerito la non adozione dell’articolo in com-mento).

(57) A. Di Majo (op. ult. cit., p. 114) ha segnalato che il riferimento agli interessi meri-tevoli, non incastonandosi nell’ambito di una negoziazione bilaterale, comporterebbeun’anomalia perché qui « l’interesse meritevole non è legato ad un fenomeno di scambio ecioè ai termini oggettivi di esso ma alle persone dei beneficiari ». P. Spada (Articolazionedel patrimonio da destinazione iscritta, cit., p. 124) segnala l’ambiguità della formula del-l’art. 2645 ter che « prima sembra orientare la meritevolezza ai sommi valori della solida-rietà e poi “svenderla” richiamando la norma dell’art. 1322 c.c. che, nel diritto “vissuto”,fa della meritevolezza una condizione equivalente alla liceità ».

(58) G. Oppo, Brevi note sulla trascrizione di atti di destinazione (Art. 2645 ter c.c.), inquesta Rivista, 2007, 1, p. 2.

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norma, secondo questa dottrina, non sarebbe concepita « per esigere valu-tazioni funzionali di prevalenza dell’interesse del disponente rispetto aquello dei creditori danneggiati dalla separazione dei beni oggetto del vin-colo » (59) ma anzi legittimerebbe la riferibilità ad un interesse soggettivoatipico (60), di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, anche dicarattere individuale (61).

Anche le interpretazioni più rigorose (62), peraltro, hanno precisato — esi è posto in questa linea anche il citato decreto del Tribunale di Trieste del2007 — che « la selezione degli interessi, al fine di verificare se il vincolo didestinazione sia idoneo a giustificare la separazione, non può operarsi chesulla base del sistema costituzionale: potrà ammettersi, allora, la costituzionedel vincolo non soltanto se diretto al perseguimento di un interesse collettivo(come, per esempio, quelli al progresso della ricerca scientifica ed alla tuteladell’ambiente o del patrimonio culturale), ma anche di un interesse indivi-duale, purché incondizionatamente tutelato e, quindi, di natura non mera-mente patrimoniale: quegli stessi interessi, corrispondenti a “valori della per-sona costituzionalmente garantiti”, la cui lesione un orientamento giurispru-denziale ormai consolidato considera in ogni caso risarcenda, a prescinderedall’espressa previsione di legge di cui all’art. 2059 c.c. ».

Sul punto, dunque, dovrà probabilmente attendersi che si formi un con-solidato e uniforme orientamento della giurisprudenza. Fino ad allora, puòdirsi che il dato letterale, se non legittima senz’altro una indiscriminata aper-tura alla destinazione patrimoniale purché (solo) lecita, non fornisce però ar-gomenti decisivi per ricondurla esclusivamente alla « pubblica utilità »; essapiuttosto sollecita un giudizio « relazionale » (63) e comparativo tra l’interessesacrificato (dei creditori generali, valutando anche se dal caso emerga alcunintento fraudolento), e l’interesse realizzato con l’atto di destinazione. Un giu-dizio che, anche questa è questione sulla quale le posizioni possono essere di-verse, può attingere i valori da fattispecie analoghe per le quali la legge ha già

(59) G. Vettori, Atto di destinazione e trust: prima lettura dell’art. 2645 ter, in Obbl.contr., 2006, 10, p. 777.

(60) G. Palermo, Nemini res sua servit (servitù e vincoli atipici), in Nuova g. civ. comm.,2011, p. 340. In base all’art. 2645 ter c.c. « Domino res sua servit sembra allora poter dire,operando il ribaltamento della prospettiva assunta dall’autore del codice e dando spazio aun “nuovo modo di possedere”, nonché di trarre utilità dal bene compreso nella propriasfera di appartenenza ».

(61) A. Azara, « La disposizione testamentaria di destinazione », Commento a Trib. Ro-ma 18 maggio 2013, in Nuova g. civ. comm., 2014, parte I, p. 89.

(62) G. Gabrielli, op. ult cit., p. 332.(63) Così M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizio-

ne del’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, cit., p. 68: « ... giudi-zio relazionale... nel senso che il giudizio di meritevolezza costituisce il risultato di una va-lutazione comparativa tra l’interesse sacrificato, che è quello dei creditori generali, e l’inte-resse realizzato con l’atto di destinazione ».

738 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 3/2014

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operato la selezione quali, ad esempio, il fondo patrimoniale (64) o può essereorientato proprio considerando che, laddove il legislatore ha voluto prevedereeccezioni al principio della responsabilità patrimoniale universale, lo ha fattoespressamente e con disposizioni insuscettibili di applicazione analogica.

Si aggiunga infine che non solo il « se » della destinazione ma anche il« come » (65) è anch’esso « criterio alla stregua del quale valutare la legittimi-tà degli interessi perseguiti »: il giudizio di meritevolezza degli interessi deveessere apprezzato, cioè, in una valutazione complessiva, che tenga conto an-che delle modalità con cui il vincolo viene costituito; ma il tema, come si ve-drà, rimanda ad un altro punto del nostro discorso.

4. — L’analisi dell’ultimo profilo di questa ricostruzione può servirsi diuna recente decisione del Tribunale di Roma, interessante perché tocca tuttele questioni finora esaminate e ne aggiunge una nuova, trattandosi del primocaso di vincoli di destinazione istituti per testamento.

A fronte di un’azione proposta da uno degli eredi per far dichiarare lanullità/annullabilità/inefficacia di una disposizione testamentaria costitutivadel vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., adducendo la violazione delladisposizione dell’art. 549 c.c., l’illegittimità del divieto perpetuo di divisione,il difetto dei requisiti della meritevolezza e dell’altruità degli interessi di cuiall’art. 2645 ter c.c., il Tribunale dichiara inefficace (rectius nullo) il vincolodi destinazione istituito mortis causa in favore dei legittimari della testatrice,ritenendo che esso non possa essere costituito tramite testamento, e che, es-sendovi coincidenza tra l’erede del bene ed il beneficiario del vincolo sullostesso cespite, si verificherebbe una sostanziale espropriazione delle facoltàche costituiscono il contenuto del diritto del proprietario, risultando questi

(64) Strumento quest’ultimo che costituisce figura tipica di patrimonio di destinazioneper interessi della famiglia,ma che non può trovare applicazione al di fuori del ristretto am-bito della famiglia legittima attuale, e non è utilizzabile per provvedere, ad esempio, ai bi-sogni dei membri di una famiglia di fatto o di una famiglia legittima ove il vincolo matri-moniale si sciolga a seguito del decesso di uno dei coniugi.

R. Lenzi, op. cit., p. 244: « La figura speciale del fondo patrimoniale costituisce non so-lo un rassicurante parametro al fine di valutare la legittimità del negozio in concreto, maanche un utile modello di riferimento, nell’esercizio dell’autonomia privata, per costruire ladisciplina della fattispecie ». Il collegamento è stato, del resto, fissato nel citato parere dellaCommissione giustizia del 28 giugno 2005, con cui si è anzi evidenziato che « la disciplinaintrodotta mediante il nuovo articolo 2645 ter concernente i beni conferiti (ed i relativifrutti) sembrerebbe modellata su quella di cui agli articoli 168 e seguenti del codice civileriguardanti il fondo patrimoniale, anche se, rispetto ad essa, si differenzia per la previsionedi una più piena ed efficace garanzia sui beni rispetto agli atti di esecuzione », non essendoquesti subordinati alla dimostrazione alla conoscenza che il creditore avesse della destina-zione.

(65) R. Lenzi, op. ult. cit., p. 241: « La valutazione circa la conformità al sistema nonpotrà quindi limitarsi al “se” della destinazione ma anche al “come”, cioè alle regole di at-tuazione dettate dall’autonomia privata. Anch’esse costituiranno criterio alla stregua delquale valutare la legittimità degli interessi perseguiti ».

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abilitato a godere solo di alcune delle utilità prodotte dal bene. Incidental-mente si precisa che un’anomalia del genere non sussisterebbe nel caso del-l’istituzione di un trust, che comporta il trasferimento della proprietà non albeneficiario, ma al trustee, il quale è gravato dall’obbligo di amministrazionee gestione nell’interesse altrui.

Un caso interessante, dunque, per i profili che sinora sono stati analizzati,ma anche per l’ultimo citato, attinente alle modalità di istituzione del vincolo.

È, questa, una delle questioni problematiche lasciate insolute dalla nor-ma in commento, stante il riferimento (forse volutamente (66)) generico al-l’« atto » trascrivibile formulato dall’art. 2645 ter c.c.

Tale richiamo, in effetti, potrebbe consentire ai privati di adottare, perrealizzare l’effetto di destinazione, strumenti diversi (67) anche in relazione al-l’intento variabile e ulteriore di accompagnare tale ultimo effetto con quellotraslativo: il vincolo potrebbe essere tanto « autodestinato », quanto « fina-le », ove costituito dal conferente direttamente in favore del beneficiario,quanto « strumentale », ove si scelga di farlo gravare non sul disponente masu un diverso soggetto « gestore », chiamato a realizzare lo scopo dell’opera-zione (68). La gestione, cioè, potrebbe essere riservata a sé dal conferente (connegozio non traslativo, sganciando la destinazione dal profilo attributivo (69),ove il costituente intenda istituire il vincolo, ma non spogliarsi della proprietàdel bene (70), e attribuire il controllo al beneficiario), affidata al beneficiario(con controllo da parte del conferente), o affidata ad un terzo (schema, que-st’ultimo, rispetto al quale si porrebbero poi una serie di ulteriori problemi inmerito alla scelta degli strumenti di attribuzione dell’ufficio gestorio (71) —

(66) La scelta di non riferirsi né al negozio né al contratto è stata interpretata da auto-revole dottrina come risultato di una precisa opzione del legislatore, che avrebbe così intesolasciare libertà di adozione dello strumento più opportuno; « qualunque tipologia di attogiuridico è di per sé ammessa ed efficace », si è assunto, e potrebbe dunque essere oggettodi formalizzazione notarile e di trascrizione. A. Falzea, in M. Bianca (cur.), La trascrizionedell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 5. Sulla stessa linea anche M. Nuzzo, Atto di de-stinazione e interessi meritevoli di tutela, ivi, p. 60.

(67) M. Bianca, Novità e continuità..., cit., p. 33.(68) In questo senso, G. Palermo, Interesse a costituire il vincolo di destinazione e tutela

dei terzi, in G. Vettori (cur.), Atti di destinazione e trust (art. 2645 ter del codice civile),Padova 2008, p. 287. L’ammissibilità di un soggetto attuatore della destinazione diversodal conferente potrebbe discendere dalla previsione della possibilità che quest’ultimo agiscaper la realizzazione dello scopo, atteso che non sarebbe concepibile un’azione giudiziariadel destinante contro sé stesso. Cfr. sul punto M. Bianca-M. D’Errico-A. De Donato-C.Priore, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, Milano 2006, p.31.

(69) Sul punto, cfr. M. Bianca, Atto negoziale di destinazione e separazione, in questaRivista, 2007, p. 208.

(70) G. De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., relazione al seminario « Atti notarili didestinazione dei beni: articolo 2645 ter c.c. », Milano 19 giugno 2006.

(71) A. Fusaro, Le posizioni dell’accademia nei primi commenti dell’art. 2645 ter c.c.,

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con o senza il trasferimento temporaneo della proprietà (72)-ed alle tutele uti-lizzabili in casi di inerzia o abusi del gestore (73)).

Conseguentemente le soluzioni prospettate in merito alla natura del ne-gozio istituivo del vincolo sono state, nell’interpretazione della giurispruden-za (74) e della dottrina, oscillanti nell’alternativa tra struttura unilaterale o bi-laterale.

Secondo alcuni Autori, in particolare, lo schema ordinario cui fare riferi-mento sarebbe il negozio unilaterale, anche perché l’ammissibilità di un attobilaterale troverebbe ostacolo nel carattere volutamente generico della catego-ria dei beneficiari della destinazione e nel riferimento a « qualsiasi interessa-to » fra i soggetti che possono agire per la realizzazione degli interessi indica-ti (75).

Per altri Autori (76) la natura contrattuale (e gratuita) dell’atto istitutivoderiverebbe invece anche dall’art. 1987 c.c., che impone la tipicità degli attiunilaterali e l’impossibilità di effettuare un’attribuzione patrimoniale al di

in Aa.Vv., Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia pri-vata, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano 2007, p. 35.

(72) Sotto forma di sublegato ex art. 662 c.c., attraverso due disposizioni a titolo parti-colare connesse fra loro (l’una a favore del beneficiario, l’altra a favore del gestore), e conapplicazione dell’art. 671, c.c., ove si aderisca alla tesi della costituzione per testamento.Cfr. A. Merlo, op. cit., p. 514.

(73) Cfr. sul punto M. Ieva, op. cit., p. 1295; A. Gentili, Le destinazioni patrimonialiatipiche. Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Rass. d. civ., 2007, p. 33 ss.

(74) Secondo Trib. Reggio Emilia, ord. 26 marzo 2007, cit.: « la locuzione impiegata al-l’inizio dell’art. 2645 ter c.c., deve, perciò, essere riferita al genus dei negozi (atti e contrat-ti) volti ad imprimere vincoli di destinazione ai beni, purché stipulati in forma solenne; delresto, il successivo richiamo all’art. 1322 comma 2o c.c., dimostra che la norma concernecertamente anche i contratti ». Cfr. anche Trib. Reggio Emilia, sez. I, 30 novembre 2006,in Redazione Giuffrè, 2007; Trib. Reggio Emilia, sez. I, 23 marzo 2007, in G. mer., 2007,12, p. 3183 con nota di Di Profio, cit.

(75) A. Di Majo, Il vincolo di destinazione tra atto ed effetto, in M. Bianca (cur.), Latrascrizione dell’atto negoziale di destinazione - L’art. 2645 ter del codice civile, cit., p.118, ritiene che l’atto sia unilaterale « nella intrinseca sostanza » anche nel caso di attribu-zione fiduciae causa, « ove il fiduciario non fa altro che prendere atto della destinazione edoffrirsi di contribuire alla sua realizzazione » (p. 114).

Secondo F. Gazzoni, (Osservazioni, in M. Bianca (cur.), La trascrizione..., cit., p. 223),la struttura unilaterale comporterebbe la conseguenza che « il beneficiario, ricevuto l’atto,diverrebbe creditore della prestazione, nel senso di poter profittare del vincolo, immediata-mente, senza dover manifestare volontà alcuna, onde potrebbe solo, ove fosse contrario al-l’attribuzione, ricorrere alla remissione del debito, con il rischio di una controdichiarazionedel conferente, il quale dichiari di non volerne profittare (art. 1236 c.c.), salvo ipotizzare ilrifiuto quale rimedio di carattere generale, che il terzo potrebbe sempre liberamente utiliz-zare, al fine di salvaguardare la propria sfera giuridica personale o patrimoniale dalle altruiattribuzioni o dichiarazioni indesiderate ».

(76) F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c. in Giust. civ., 2006, II, p. 165 e ss. ein www.judicium.it. Per le diverse posizioni, cfr. A. Fusaro, Le posizioni dell’accademia neiprimi commenti dell’art. 2645 ter c.c., p. 35, cit.

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fuori delle ipotesi tipiche (77). La struttura bilaterale — che altra dottrina nonesclude si accompagni a corrispettività (78) — sarebbe compatibile con glischemi fin qui riferiti: tanto con l’accordo tra destinante e beneficiario, la cuiaccettazione varrebbe a superare le difficoltà connesse all’intangibilità dellasua sfera giuridica e sarebbe anzi necessaria ove la costituzione gratuita siadeterminata da spirito di liberalità (79); quanto con il ricorso ad un gestoredel programma formato dal conferente, diverso da quest’ultimo (ma non ne-cessariamente dal beneficiario).

Quanto alla possibilità che tale negozio attributivo sia stipulato sia intervivos che mortis causa, la tesi contraria, accolta dall’organo giudicante nellasentenza da ultimo citata, interpreta la scelta del richiamo all’atto pubblicodell’art. 2645 ter c.c. come voluta esclusione del testamento, invece espressa-mente previsto come titolo costitutivo in fattispecie funzionalmente affini co-me il fondo patrimoniale o le fondazioni. La deroga al principio della respon-sabilità patrimoniale universale ex art. 2740 c.c., che si realizza ammettendola possibilità di stipulare atti di destinazione, non consentirebbe fra l’altroun’interpretazione estensiva della norma, laddove essa fa, appunto, genericoriferimento all’« atto ».

Ulteriore argomento utilizzato dal Tribunale di Roma per sostenere la te-si contraria alla costituzione del vincolo di destinazione tramite testamentoattiene al richiamo operato all’art. 1322 c.c.; tale riferimento al controllo dimeritevolezza degli interessi si giustificherebbe solo « per i contratti che nonappartengano ai tipi aventi una disciplina particolare » e non avrebbe alcunaragione d’essere per il testamento, per cui operano altri limiti (il rispetto dei

(77) Secondo P. Spada, Conclusioni, in M. Bianca (cur.), La trascrizione dell’atto nego-ziale di destinazione - L’art. 2645 ter del codice civile, cit., p. 204, è certo che, ove si am-metta la struttura bilaterale, non avrebbe senso, né sarebbe coerente col dato letterale dellanorma in commento, la coincidenza tra la persona del destinante e del beneficiario. « Nondovrebbero potersi configurare destinazioni equivalenti ai cc.dd. trust autodestinati ». Inquesto senso la dottrina prevalente.

(78) G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pub-blicità nei registri immobiliari, cit., p. 335: « Poiché la costituzione di un vincolo di desti-nazione importante separazione patrimoniale dà luogo in ogni caso ad un rapporto patri-moniale fra proprietario gravato e portatore dell’interesse alla destinazione stessa, lo stru-mento normale della costituzione non può che essere il contratto. Non sembra, anzi, di do-ver escludere l’ammissibilità anche di contratti connotati da corrispettività, come può acca-dere nel caso in cui al proprietario che consenta a subire il vincolo venga attribuito, a fron-te, un qualche vantaggio ».

(79) Per G. Gabrielli, op. ult. cit., p. 336, non è escluso che « ben può esservi, a fonda-mento della costituzione, un interesse proprio dello stesso costituente, diverso da quello dibeneficiare; in questi casi di contratto gratuito, ma non liberale, ben può ammettersi che ilvincolo si costituisca per effetto della sola dichiarazione del proprietario gravato, una voltaresa conoscibile dal beneficiario, se non segua entro congruo termine il rifiuto di quest’ulti-mo ». La rilevanza da riconoscersi all’eventuale rifiuto della persona nel cui interesse il pro-prietario consente al vincolo fa sì che la fattispecie costitutiva sopra individuata si configuriancora come contratto, sia pure a formazione unilaterale.

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diritti riservati ai legittimari, il divieto dei patti successori) e un diverso cano-ne di valutazione della liceità (80) (dei motivi, contenuto nell’art. 626 c.c.,non già nell’art. 1322 c.c.) (81).

Sul punto, è da dire, dissentendo dalla soluzione fin qui riferita, che lapossibilità che il negozio istitutivo del vincolo di destinazione sia stipulatotanto inter vivos quanto anche mortis causa, (o, quanto meno, l’impossibilitàdi escludere che possa essere stipulato anche mortis causa) sembra risultareproprio dalla lettera della norma: in primo luogo, dalla previsione per cui iterzi interessati possono agire per l’attuazione del fine anche durante la vitadel conferente; il che, evidentemente, implica la possibilità che essi agiscanoanche dopo la morte del medesimo e ammette l’eventualità della eccedenzadella durata del vincolo rispetto alla vita del disponente stesso. Ciò, fra l’al-tro, sarebbe anche confermato dalla previsione per cui il limite temporalemassimo è quello della durata della vita non del disponente, ma della personafisica beneficiaria.

Si potrebbe obiettare a tal proposito che gli evidenziati dati letterali auto-rizzino a ritenere validi atti istitutivi del vincolo (inter vivos) con effetti postmortem (per condizione di premorienza o termine di efficacia coincidente conla morte del disponente) o comunque con prolungamento della durata delvincolo oltre la morte del conferente, non anche atti mortis causa (qual è il te-stamento).

E però, anche dal punto di vista della ratio che presiede alla scelta del ti-po di atto, non sembra autorizzare alcuna discriminazione tra negozi inter vi-vos e di ultima volontà (82) il generico riferimento alla categoria degli « atti informa pubblica »; il quale anzi, privilegiando il dato formale rispetto a quellodella natura del negozio, dimostra di dare peso prevalentemente al rispetto diadempimenti formali, giustificati anche dall’intento di consentire un controllodi legalità degli interessi perseguiti e funzionali poi a permettere la pubblicitàe dunque l’opponibilità del vincolo (83). Anzi, il dato letterale ha suggerito a

(80) M. Ieva, op. cit., p. 1297; A. Merlo, op. cit., p. 512.(81) Ulteriore argomento utilizzato dalla dottrina attiene al principio il principio di

equivalenza delle forme testamentarie; la sua considerazione ha però portato a diverse con-seguenze interpretative, perché secondo alcuni Autori (M. Ieva, op. cit., p. 1297) la suaoperatività precluderebbe la possibilità di costituire vincoli tramite testamento (stante, ap-punto, la regola della necessaria equivalenza quanto agli effetti dei diversi tipi di testamen-to), secondo Altri « una volta individuato nel testamento un idoneo atto di destinazione,non può però reputarsi necessaria la forma del testamento pubblico » (R. Quadri, L’art.2645 ter e le nuove discipline degli atti di destinazione, in Contratto e impr., 2006, p.1725).

(82) Così, in commento alla medesima sentenza, anche R. Calvo, Vincolo testamentariodi destinazione: il primo precedente dei tribunali italiani, in Fam. e d., 2013, cit.

(83) Ove anche si consideri che la trascrivibilità del vincolo testamentario di destinazio-ne non è espressamente prevista, secondo alcuni (F. Spotti, Il vincolo testamentario di de-stinazione, in Famiglia, Persone e Successioni, 2011, 5, p. 384 ss.) essa si potrebbe fondaresul richiamo, effettuato dall’art. 2648 c.c., ai nn. 1), 2) e 4) dell’art. 2643 c.c., atteso che

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parte della dottrina (84) che la prescritta forma solenne sia imposta per lastessa validità dell’atto (85), anche perché l’esigenza di attendibilità propriadel sistema pubblicitario avrebbe potuto essere soddisfatta anche dalla sem-plice autenticazione della scrittura privata: ciò che imporrebbe, questo sì, lanecessità che il vincolo sia costituito con testamento pubblico (86).

Non sarebbe necessaria dunque un’interpretazione estensiva dell’accezio-ne « atto », di per sé inclusiva, senza alcuna forzatura (se non con l’avverten-za del rispetto della forma pubblica), del testamento.

Del resto, una volta soddisfatti gli oneri di forma, nemmeno ragioni so-

l’effetto di separazione patrimoniale costituisce un minus rispetto a quello del trasferimentodella proprietà ivi considerato.

L’argomento della mancata espressa menzione del testamento quale titolo costitutivodel vincolo di destinazione è criticato da chi (A. Merlo, op. cit., p. 510) ha messo in evi-denza che « laddove il legislatore ha inteso vietare una determinata disposizione testamen-taria, non ha semplicemente taciuto al riguardo, bensì lo ha indicato in modo espresso (ades. si veda l’art. 2821 c.c. che vieta la costituzione di ipoteca per testamento) ». In questosenso anche C. Romano, Vincolo testamentario di destinazione ex art. 2645 ter c.c.: spuntiper ulteriori riflessioni, nota a Trib. Roma 18 maggio 2013, cit., p. 68.

(84) Secondo A. Gentili, op. cit., p. 9 « la tesi che l’atto pubblico sia richiesto ad sub-stantiam ha supporti sostanziali. L’atto di destinazione è infatti, con l’attribuzione, unadelle due specie della generale categoria della disposizione. È principio pacifico che le attri-buzioni patrimoniali a titolo gratuito per causa liberale per loro natura (incidenza sul patri-monio del disponente) richiedano la forma pubblica. È perciò coerente che anche la desti-nazione, in quanto implica la devoluzione liberale al beneficiario dei relativi vantaggi, ri-chieda l’atto pubblico ». Su questa linea anche M. Ieva, op. cit., p. 1296.

(85) Un piano diverso di discussione attiene all’idea per cui nella destinazione patrimo-niale ex art. 2645 ter c.c. non si ha segregazione senza trascrizione (G. Gabrielli, La pub-blicità immobiliare, in Tratt. Sacco, Torino 2012, p. 80; L. Bullo, Trust, destinazione pa-trimoniale ex art. 2545 ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma 6o, delt.u.f.: quale modello di segregazione patrimoniale?, cit., p. 563.; G. Gabrielli, Vincoli di de-stinazione importanti separazione, cit., p. 325: « sarebbe lecito il dubbio, a volere rispetta-re la sequenza formale degli enunciati normativi, che la separazione del bene sia dispostacome effetto dell’esecuzione della pubblicità ») — e dunque la destinazione avrebbe valoremeramente interno e obbligatorio.

Cfr. anche M. Bianca, Atto negoziale di destinazione e separazione, in questa Rivista,2007, I, p. 197 ss. secondo la quale la destinazione opera sul piano dell’atto, mentre la se-parazione opera sul piano dell’opponibilità.

(86) Così G. Gabrielli, op. ult. cit., p. 337. Sulla stessa linea G. Petrelli, La trascrizio-ne degli atti di destinazione, in questa Rivista, 2006, II, cit., p. 165. Secondo una diversatesi (cfr. sul punto Meucci, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano 2009, p. 308;R. Quadri, L’art. 2645 ter c.c. e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contrattoe impr., 2006, p. 1717), in base al principio di equivalenza delle forme testamentarie quan-to agli effetti producibili, il vincolo ex art. 2645 ter c.c. potrebbe essere validamente costi-tuito con qualsivoglia forma testamentaria, sia olografa, segreta o pubblica; ciò anche sullabase della considerazione che ove si ritenesse idoneo a costituire il vincolo il solo testamentopubblico, lo stesso dovrebbe essere revocato unicamente in forma pubblica, (con ulteriorederoga al suddetto principio) e che in caso di fondazione testamentaria, non è dubbio che lastessa possa essere costituita, oltre che a mezzo di testamento pubblico, altresì medianteuna scheda olografa.

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stanziali deporrebbero in senso contrario, ché certamente — come sostenutocon riferimento al negozio di fondazione (87) e ribadito anche da coloro chehanno accolto sul punto una tesi restrittiva (88) — ove ne ricorrano i presup-posti, l’atto (il testamento) di costituzione del vincolo di destinazione potràessere impugnato con l’azione di riduzione o con l’azione di nullità ex art.549 c.c. (89).

Non dovrà trascurarsi, inoltre, per la risoluzione della questione in esa-me, la regola che presiede all’interpretazione del testamento, cristallizzatanella formula del c.d. favor testamenti: trattandosi di atto che è per naturairripetibile nel momento in cui diviene operativo, l’interprete dovrà sforzarsidi dare al suo contenuto un significato quanto più possibile conforme alleintenzioni del testatore, quali risultano proprio dalla scheda testamentaria. Èun’applicazione di questo principio, ad esempio, l’art. 625 c.c., secondo ilquale l’errata o falsa rappresentazione del significato oggettivo della dichia-razione — quanto alla persona dell’erede o del legatario o quanto alla cosache forma oggetto della disposizione — non impedisce l’interpretazione cor-rettiva del testo allo scopo di far prevalere l’effettivo intento del disponen-te (90).

Si aggiunga che anche nel nostro ordinamento esistono schemi di coesi-stenza della pienezza della titolarità ottenuta per successione con l’onere didestinare specifici beni a favore di un terzo onorato, che vale a svuotare lapienezza dell’attribuzione (è il caso, appunto, dell’istituzione di erede gravatada un modus ma anche del legato, ove il fine destinatorio sia dal testatorepreordinato all’attribuzione di un diritto ad un soggetto determinato), cosìcome è testualmente ammessa la possibilità che il testatore imprima ai beni

(87) F. Galgano, Delle persone giuridiche (Art. 11-35),in Comm. Scialoja-Branca, Bo-logna-Roma 1969, p. 175.

(88) M. Ieva, op. cit., p. 1289.(89) Piuttosto, un limite applicativo della norma in commento si profila con riguardo

alla natura dei beni che possono formare oggetto del vincolo, e proprio in relazione al ri-spetto delle formalità pubblicitarie richieste; non invece in relazione al tipo di atto o allacausa del medesimo, o ad altri vincoli di natura soggettiva (nel senso che il riferimento ad« altri enti o persone fisiche » autorizzerebbe il ricorso a tale strumento sia da parte di sog-getti privati che di persone giuridiche).

Secondo A. Falzea (op. ult. cit., p. 6), qualsiasi bene può formare oggetto dell’atto didestinazione, se confacente con la realizzazione dello scopo. Anche A. Picciotto, op. ult.cit., p. 1318 sottolinea che tale effetto potrebbe realizzarsi pure con riferimento ai beni mo-bili, risultando però sganciato dagli adempimenti formali prescritti dall’art. 2645 ter e« con tutte le gravi implicazioni in tema di opponibilità, potrebbe accedere anche a negozinon traslativi (ad es. mandato) ». Per A. De Donato (Il negozio di destinazione nel sistemadelle successioni a causa di morte, in La trascrizione dell’atto di destinazione, a cura di M.Bianca, cit., p. 41) l’istituzione di un vincolo su bene mobile potrebbe avvenire « a condi-zione che sia realizzabile una pubblicità idonea ad evidenziare la destinazione, secondo leregole di circolazione del singolo bene mobile ».

(90) Si veda sul punto G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributoad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano 1954, p. 184.

CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA 745

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relitti una destinazione tipica in termini di costituzione (diretta o indiretta) difondazione, o ancora in termini di costituzione di fondo patrimoniale. Talifattispecie mostrano, dunque, che la destinazione patrimoniale non può dirsiestranea al regolamento testamentario di interessi e che il valore aggiunto del-la disposizione finora commentata risiede, oltre che nella portata generaledella causa destinatoria, anche nella sua opponibilità ai terzi tramite trascri-zione.

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Page 246: ISSN 0035-6093 ANNO LX N. 3 MAGGIO-Gentilocali.leggiditalia.it/riviste/demo/WU.pdf · anno lx n. 3 maggio-giugno 2014 fondata e retta da comitato di direzione c. massimo bianca francesco

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ISBN 978-88-13-34356-9

00149709

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Estero € 380,00. 5) «Diritto e Pratica Tributaria Internazionale» (quadrimestrale - solo on-line): prezzo di

abbonamento € 97,00. 6) «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali» (bimestrale): prezzo di abbonamento

per l’Italia € 213,00, Estero € 265,00. 7) «L’Indice Penale» (semestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 117,00, Estero € 144,00. 8) «La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata» (mensile): prezzo di abbonamento per l’Italia

€ 225,00, Estero € 289,00. 9) «Le Nuove Leggi Civili Commentate» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 193,00, Estero € 264,00.10) «Rivista di Diritto Civile» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 173,00, Estero

€ 221,00.11) «Rivista di Diritto Internazionale Privato e Processuale» (trimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 149,00, Estero € 198,00.12) «Rivista di Diritto Processuale» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 178,00, Estero € 207,00.13) «Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia» (trimestrale): prezzo di abbonamento

per l’Italia € 154,00, Estero € 203,00.14) «Studium Iuris» (mensile): prezzo di abbonamento a 12 numeri per l’Italia € 151,00, Estero

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