IRS74_IL FIORE DI MEZZANOTTE

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IL FIORE DI MEZZANOTTE J ACQUELINE N AVIN

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IL FIORE DI MEZZANOTTE

JACQUELINE NAVIN

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Rose at Midnight

Harlequin Historical © 1999 Jacqueline Lepore Navin

Traduzione di Mariadele Scala

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 1999 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici dicembre 1999

Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori ottobre 2010

Questo volume è stato impresso nel settembre 2010

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660

Periodico mensile n. 74 del 27/10/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/3/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Tutti gli eroi sono nell'essenza uomini, e tutti gli uomini sono eroi in potenza.

Elizabeth Barrett Browning Magnus Eddington, il sesto Conte di Rutherford, non era un uomo cordiale. Tutti lo sapevano, ma erano comunque attratti da lui. Gli uomini lo ammiravano per le sue abilità in tutti i campi, dall'intraprendenza negli affari, alla maestria nel-lo stare a cavallo, al fascino che esercitava sul gentil sesso. Ciò che più gl'invidiavano era la facilità con cui otteneva tutto. Per questo, oltre che per altri motivi, il giovane conte aveva anche molti denigratori. Da parte sua, benché giusto e onesto, era un duro, che non si peri-tava di collezionare nemici pur di raggiungere i suoi o-biettivi. Quanto alle donne, erano calamitate da lui come le falene dalla fiamma e, la maggior parte delle volte, al-trettanto tragicamente, perché il conte non era uomo in-cline al romanticismo. Ma gli perdonavano l'arroganza e la superficialità, paghe di ammirare la sua maschia bel-lezza fatta di particolari irresistibili, come gli intensi oc-chi verde smeraldo, i folti capelli neri che si arricciava-

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no sensualmente sulla nuca, il viso spigoloso. Tutte queste caratteristiche, unite all'alone di tragico mistero che lo circondava, costituivano gli ingredienti principali del suo fascino irresistibile. Le donne dotate di una natura più sensibile ne erano intenerite e intrigate. Ma nessuno conosceva la causa della sua cupezza. Il conte teneva i propri demoni ben celati dentro di sé. La sua unica debolezza, così forte da essere palese a tutti, era l'affetto per il fratello minore. David era un ra-gazzo allegro ed esuberante, tanto semplice quanto il fratello era complicato. La notizia della malattia mortale che aveva colpito Magnus Eddington fu accolta dall'alta società londinese con un misto di costernazione e di esultanza. Quanto a lui, ascoltò il verdetto dell'ultimo clinico che aveva con-sultato con il proverbiale distacco che lo contraddistin-gueva. Dopo avergli comunicato la sfavorevole diagnosi, il medico, il quinto specialista dal quale si era fatto visita-re, rimase in silenzio, tremando come una foglia al ven-to mentre sosteneva lo sguardo penetrante degli occhi verdi del conte. «Non ci sono errori?» La voce del conte era corposa e profonda come quella di un baritono. Quando l'alzava, faceva tremare le travi del soffitto e scuoteva il malcapi-tato interlocutore fin nel profondo. Ma quando l'abbas-sava, l'implicita minaccia che trapelava dal tono som-messo suonava ancora più inquietante. Prima di rispondere, il medico tossicchiò. «Ah, no... Il mio esame non dà adito ad altra conclusione. Non ci sono dubbi, considerando anche i precedenti casi di ma-lattie cardiache che si sono verificati nella vostra fami-glia.» Magnus si alzò in piedi. «Allora permettetemi di rin-

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graziarvi, dottore. Il mio maggiordomo vi accompagnerà alla porta.» «Ci sarebbe la questione del mio onorario» disse il dottore, rigirando il cappello fra le dita. «Mandatemi la parcella e provvederò al pagamento. Adesso, se volete scusarmi, vorrei restare solo.» «Sì, sì, certo. Brutta notizia davvero. Credo che ci vorrà del tempo perché vi abituiate all'idea. Bene, milord. Sono a vostra disposizione. Chiamatemi tutte le volte che vorrete.» «Secondo la vostra diagnosi, morirò presto, dottore. Il tempo è l'unica cosa che non ho più in abbondanza.» Il tono sarcastico e l'espressione accigliata di Magnus spensero sul nascere il vago sorriso che era apparso sul-le labbra del dottore. «Sì, avete ragione. Adesso vi la-scio solo. Domani vi manderò il conto» mormorò av-viandosi verso la porta. «Posso chiedervi, se me lo con-sentite, che cosa avete intenzione di fare?» Magnus gli rivolse uno dei suoi sguardi distaccati. Voleva rimanere solo. Aveva voglia di bere, ma non vo-leva estendere l'offerta al suo ospite. La diagnosi non era stata una sorpresa. Gli altri quat-tro medici che aveva consultato in precedenza avevano espresso il medesimo verdetto. Cardiopatia. La stessa di cui aveva sofferto suo padre. E tutti erano stati concordi sul fatto che il peggioramento sarebbe stato inarrestabile e che lo avrebbe condotto alla tomba nel giro di un an-no. Magnus inarcò un sopracciglio, imponendosi di esse-re gentile. «Che cosa farò? Naturalmente, caro dottore, ho intenzione di cercare una ragazza e di sposarmi il più presto possibile. Poi impegnerò tutte le energie che mi restano per generare un figlio. Così, quando morirò, una parte di me continuerà a vivere in lui.»

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Il dottore non poté fare a meno di fissarlo a bocca a-perta. Magnus avvertì una punta di rammarico per essere stato così aspro. Al diavolo, perché aveva parlato in quel modo? Era irato, ma contro chi? In quel momento, era toccato al dottore subire lo sfogo della sua rabbia. Ma era ingiusto. Il medico non aveva colpa della sua malat-tia, come non ne aveva lui, del resto. «Siete serio, signore?» Magnus sorrise. «Maledettamente serio. Ma adesso, dottore, se volete andare... Vorrei rimanere solo.» Dopo che il dottore fu uscito, Magnus si versò un bic-chiere di whisky, che vuotò tutto d'un fiato. Poi tornò a colmarlo. Mentre lo sorseggiava, questa volta con stu-diata lentezza, si avvicinò al caminetto, fissando la cene-re rimasta sul fondo. Dalle finestre aperte entravano i raggi del sole insieme con il dolce cinguettio degli uc-celli. Quello scenario idilliaco contrastava con il suo umore. Magnus appoggiò una mano sulla mensola, ac-carezzando la pietra scolpita. Era una sensazione bellis-sima. Non l'aveva mai notato prima. Buon Dio, stava già diventando sdolcinato!, pensò, scolando la rimanente metà del liquore e assaporando il bruciore che gli infuocò il petto. La sofferenza era vita. Non piacevole, ma sempre migliore del nulla. Veramente sdolcinato. Era un bugiardo. Non voleva rimanere solo. Aveva paura? Con stupore, Magnus scoprì che ne a-veva un poco. Ma non della morte. La sua fine era anco-ra troppo lontana per apparire reale. Quello che paven-tava era il fatto che non avrebbe lasciato niente di sé sul-la terra. Anche se voleva essere una battuta insolente, ogni parola che aveva detto al dottore era vera. Dall'i-stante in cui il primo medico aveva pronunciato la sua

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sentenza di morte, Magnus era alle prese con il desiderio di lasciare una traccia di sé prima di abbandonare il mondo. Tutti i medici che aveva consultato avevano e-scluso che potesse esserci qualche altra interpretazione per gli strani attacchi che lo tormentavano da sei mesi. Al posto della speranza era cresciuto in lui il desiderio di avere l'unica cosa veramente importante che esistesse al mondo. Un figlio. Era un'aspirazione primordiale, dalla quale il conte non si era mai lasciato attrarre, convinto che tali ambi-zioni fossero riservate a uomini più meritevoli e degni di lui. Adesso quel desiderio stava diventando una ossessio-ne. Una pressante necessità. Stava morendo. Il tempo era prezioso per lui. Magnus depose il bicchiere e si lasciò cadere in una delle poltrone di pelle che stavano di fronte al camino con la bottiglia di whisky in mano. Rimase così, tracan-nando un sorso dopo l'altro, fino all'arrivo di David. Il fratello non parlò, limitandosi a sedersi sull'altra poltrona e rimanendo in silenziosa attesa. «Trovala per me, David. Trovami una moglie» gli or-dinò Magnus alla fine.

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Rutherford, Cambridgeshire, Inghilterra 1847 Drizzando la schiena e sollevando il mento per farsi co-raggio, Caroline Wembly alzò il pesante battente e lo lasciò ricadere con un sonoro rimbombo. Mentre atten-deva che venissero ad aprire, girò il capo in tempo per vedere il tiro a quattro che si allontanava, lasciandola sola nel viale del grande parco di Hawking Park. Con un profondo respiro, Caroline tornò a voltarsi verso il mas-siccio portone. Determinata a non apparire impacciata di fronte al cocchiere, aveva soffocato il proprio stupore quando era salita sulla lussuosa vettura che l'aveva accompagnata fin lì. Per lo stesso motivo, non si era lasciata andare a espressioni di meraviglia quando aveva scorto l'enorme dimora del ricchissimo Conte di Rutherford. Però non poteva negare di essere rimasta esterrefatta quando si era accorta che il pesante battente che aveva appena sol-levato non era di bronzo, come aveva pensato, ma di oro massiccio. Il portone si aprì e un uomo alto, con folti capelli brizzolati, si affacciò sulla soglia. «Miss Wembly?» le domandò con tono compassato.

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Caroline annuì, mentre l'uomo si faceva da parte e la invitava a entrare nell'ampio ingresso circolare, illumi-nato da numerose finestre. «Sono Arthur, il maggiordomo del conte» si presentò l'uomo. «Sua Signoria vi aspetta. Seguitemi, prego.» Percorsero un corridoio interminabile con il soffitto a volta e il pavimento di marmo lucido. Caroline rimase vagamente scandalizzata alla vista delle artistiche statue di alabastro, collocate in nicchie scavate nelle pareti, che raffiguravano ninfe completamente nude, e abbassò gli occhi finché non varcarono la porta istoriata del sontuo-so salone. Arthur le indicò una poltrona e lei si affrettò a sedersi. «Sua Signoria sarà da voi fra un minuto» annunciò il maggiordomo uscendo. Caroline trasse un profondo respiro, abbandonandosi sulla poltrona e affondando le mani guantate nei brac-cioli rivestiti di broccato. Non era mai entrata in una casa come quella! Lo sco-po della sua visita era già abbastanza imbarazzante e ri-trovarsi in quell'ambiente sfarzoso non fece che aumen-tare la sua ansia. Augurandosi che il conte non arrivasse troppo presto, si alzò in piedi e si avvicinò al grande specchio dalla cornice dorata appeso a una parete per controllare il proprio aspetto. Il fruscio della sua gonna sembrò rie-cheggiare nell'enorme locale come una folata di vento. Una sbirciatina critica allo specchio la rassicurò che era in ordine. Si accarezzò il busto, controllando che la ge-nerosa scollatura lasciasse intravedere l'attaccatura dei seni. Non era l'abito adatto per quell'ora, ma Caroline lo aveva indossato appositamente per mettere in mostra le sue grazie. Dopotutto, se devo sostenere la parte della donna che

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si vende, tanto vale averne anche l'aspetto, pensò men-tre ravviava un ricciolo biondo che le sfiorava la tempia. Fu in quel momento che i suoi occhi incontrarono il loro riflesso nello specchio. Le pupille blu, di una sfu-matura così intensa da essere definita viola da più di un ammiratore, le sembrarono troppo grandi e dilatate nel viso dai lineamenti tesi. Oh, non era possibile! L'imma-gine che le restituì lo specchio era quella di una povera fanciulla impaurita. Il Conte di Rutherford non avrebbe mai scelto una creaturina spaventata. Era la preoccupazione per James che la faceva sembrare più giovane dei suoi ventidue anni? Sospirando, Caroline socchiuse gli occhi, impo-nendosi di pensare a suo padre. Quel miserabile! Era sua la colpa se adesso lei si trovava lì e avrebbe dovuto pro-strarsi e umiliarsi di fronte a un estraneo. Mentre l'ama-rezza le attanagliava il petto, la sua espressione mutò di colpo, diventando fredda e dura come la sofferenza che le congelava il cuore. Soddisfatta, Caroline tornò a concentrare l'attenzione sul vestito che indossava. Era l'unico dettaglio che la rendesse sicura di sé. Lo aveva acquistato la settimana precedente nel negozio di Mrs. Rensacker a Londra. Fa-ceva parte della schiera di abiti rimasti appesi nel ma-gazzino della sarta perché mai ritirati dai ricchi benefat-tori che li avevano ordinati per le loro protette. Di seta blu, enfatizzava il colore dei suoi occhi e faceva risaltare il biondo dei suoi capelli. Lei e sua madre avevano lavo-rato fino a notte alta per rimodernarlo e adattarlo alla sua figura esile. Anche se non erano molto brave a cuci-re, il risultato era più che decoroso. Il vestito era grazio-so e valeva il denaro che era stato pagato. Le rimordeva la coscienza per aver dovuto vendere la spilla della bisnonna per acquistarlo, ma il pensiero che

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lo aveva fatto per James la tranquillizzò. Nessun sacrifi-cio era troppo grande per lui. Con un'ultima occhiata allo specchio, Caroline decise che poteva essere soddisfatta del proprio aspetto. Un suono alle sue spalle, simile a un colpo di tosse, la fece girare di scatto e... si ritrovò a fissare una figura maschile vestita di scuro. L'uomo la fissò con due pupille di un verde iridescen-te, nelle quali ardeva una fiamma di maliziosa ironia. Dai vestiti che indossava e dall'espressione altezzosa, Caroline dedusse che non poteva essere altri che Ma-gnus Eddington, il Conte di Rutherford in persona! Ma quell'uomo non poteva essere il conte. Non era come aveva immaginato... Infatti era straordinariamente robusto per essere un uomo destinato a morire, ed era più giovane di quello che avesse pensato. Almeno di una decina d'anni. Caro-line valutò che doveva essere più alto della media di una buona spanna perché, pur essendo di statura elevata lei stessa, dovette inclinare il capo per guardarlo negli oc-chi. La camicia candida e la cravatta mollemente anno-data attorno al collo sembravano inadeguate a contenere il suo torace possente e le sue spalle larghe come quelle del mitico Atlante. Indossava una giacca da mattino che aderiva alla sua figura perfetta. Oh, sì, quello era un uomo pieno di vigore e di salute. Doveva essersi sba-gliata, concluse Caroline. «Milord?» disse con voce innaturale. «Magnus Eddington. A vostra disposizione, Miss Wembly» rispose lui con un lieve inchino. Era davvero il conte! Aveva un viso affascinante e singolare. La mascella quadrata e i magnetici occhi ver-di, ombreggiati da folte ciglia scure, gli conferivano un aspetto inquietante, ma la morbida curva della bocca

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ben disegnata tradiva un lato più dolce e sensuale del carattere, come se in lui ci fossero due nature contrappo-ste e in guerra fra loro. Quella peculiarità, unita all'alone di mistero che circondava la sua persona, come se dietro il suo portamento aristocratico e i suoi lineamenti perfet-ti ci fosse qualcosa di segreto e di nascosto che nessuno poteva scoprire, lo rendevano un uomo fuori del comu-ne. Quella fu un'altra sorpresa per Caroline. Stando alle voci che aveva sentito, lo aveva immaginato come un essere fragile, delicato e vanitoso, incline alle avventure amorose e dalla dubbia reputazione. Una specie di da-merino, quello che ai tempi di sua madre si sarebbe de-finito un vagheggino. Invece l'uomo che aveva di fronte era completamente l'opposto. Dalla sua persona trasuda-va una rude virilità che sembrava impregnare tutta la stanza e che la intimidiva. E quell'uomo l'aveva vista pavoneggiarsi davanti allo specchio! Ignorando la vergogna che l'aveva assalita, Caroline si raddrizzò e lo guardò dritto negli occhi, co-me era solita fare quando si sentiva insicura. «Miss Wembly» ripeté il conte avanzando nel salone. «Prego, accomodatevi.» Caroline fu contenta di sedersi perché le gambe non la reggevano. Prese posto sulla punta di una poltrona e lo guardò dirigersi con passo felino verso quella di fron-te. Il conte sprofondò fra i cuscini e accavallò le lunghe gambe, appoggiando i gomiti sui braccioli e intreccian-do le mani fra loro. Poi la fissò a lungo senza parlare. «Avete dei pezzi molto artistici» disse Caroline alla fine, indicando un piedestallo sul quale era appoggiata una statua. Ma rimase mortificata nello scoprire che il pezzo in questione raffigurava due amanti nudi e ab-bracciati. Arrossendo, si affrettò ad abbassare la mano.

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«Sì, avevo notato che li stavate ammirando» com-mentò il conte abbozzando un sorriso. Voleva dire che l'aveva vista rimirarsi davanti allo specchio, realizzò Caroline imbarazzata. Ma s'impose di sostenere lo sguardo di quelle pupille verdi e di assume-re un atteggiamento che, nelle sue intenzioni, voleva es-sere di sfida. Non si sarebbe affannata a cercare un ar-gomento di conversazione per colmare il silenzio. Era lui che doveva interrogarla. Che fosse lui a prendere l'i-niziativa, decise, cercando d'ignorare la consapevolezza del disperato bisogno che aveva di essere scelta dal con-te come moglie. Era strano pensarla in quel modo, ma era la verità. Caroline si era presentata per ottenere la posizione di moglie del conte e di madre del futuro erede del titolo. Mettendo da parte l'imbarazzo, rimase immobile sotto lo sguardo di quei magnetici occhi verdi. «Vi prego, parlatemi di voi, Miss Wembly» la invitò Magnus Eddington alla fine. Caroline era preparata a quella domanda. «Il mio no-me è Arabella Caroline Wembly, ma tutti mi chiamano Caroline. Ho ventidue anni e sono nata a Londra, dove ho sempre vissuto. Mio padre era il secondogenito di un marchese e aveva impiegato il suo denaro nella marina mercantile, così eravamo benestanti, anche se non ric-chissimi. Fui educata da una governante fino all'età di undici anni, quando venni mandata...» «Perché a ventidue anni non siete ancora sposata?» la interruppe il conte. Era una domanda molto indiscreta. Ma in quell'assur-da situazione le buone maniere erano escluse. Prima di rispondere, Caroline respirò profondamente. «All'età di diciassette e diciotto anni partecipai a due stagioni mon-dane, ma nessun gentiluomo colpì la mia fantasia.»

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«Però immagino che voi avrete colpito la fantasia di molti uomini, vero?» domandò il conte sporgendosi ver-so di lei per osservarla meglio. Si muoveva come un gatto. Un gatto che spiava la sua preda. «Quante propo-ste di matrimonio avete ricevuto?» «Alcune» rispose Caroline evasiva. «Alcune significa due? O venti?» Caroline gli lanciò un'occhiata fredda. Il modo in cui il conte la fissava le dava sui nervi. «Ho ricevuto nove proposte di matrimonio, milord» precisò con tono soste-nuto. «Santo cielo!» esclamò Magnus Eddington, ma Caro-line comprese che era compiaciuto di averla provocata. «E nessuno dei pretendenti era adatto a voi?» «No, milord.» «Posso chiedervi perché?» Caroline serrò le labbra. «No, milord. Non potete.» Il conte stava decidendo se infuriarsi o essere diverti-to, notò fra sé e sé. Accidenti a lui, e alle sue domande impertinenti. Voleva disperatamente diventare sua mo-glie, ma quell'uomo stava facendo affiorare l'aspetto meno attraente del suo carattere: il suo maledetto orgo-glio. «Era solo una curiosità» disse alla fine Magnus Ed-dington stringendosi nelle spalle. «Adesso ditemi, Miss Wembly, come siete venuta a conoscenza della mia... situazione?» Caroline aveva previsto anche quella domanda. «Una mia amica, che conosce un impiegato dello studio del vostro avvocato, aveva saputo che il vostro amministra-tore stava cercando delle giovani di buona famiglia in difficoltà, disposte a prendere in considerazione la pos-sibilità di un matrimonio di convenienza. Siccome corri-spondevo a quella descrizione, mi sono recata da Mr.

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Green, che ha accettato la mia candidatura.» Caroline si stupì di poter dire quelle cose senza arrossire, ma ricor-dare l'interrogatorio che aveva dovuto subire da parte di quello spregevole Mr. Green la umiliava ancora. Pensa a James, si ammonì, abbozzando un sorriso. «Ah, bene. Gli avevo raccomandato di essere discre-to. Sono già oggetto di troppi pettegolezzi. Di grazia, qual è precisamente la vostra sfortunata condizione?» Caroline abbassò gli occhi. Non era difficile spiegare in quali difficoltà si trovava, ma doveva essere molto cauta, perché il conte non doveva venire a conoscenza della vera ragione che stava dietro la sua presenza a Hawking Park. «Dopo la morte di mio padre, mia madre scoprì che le sue proprietà erano gravate da una pesante ipoteca. Do-po che furono pagati tutti i debiti, non ci rimase alcuna rendita e fummo costrette a vendere la nostra casa e a ritirarci in un modesto appartamento d'affitto in una zo-na periferica.» Non accennò ai debiti di gioco del padre, né raccontò come i creditori si erano precipitati sulla lo-ro casa come uno stormo di avvoltoi e avevano fatto razzia di tutte le cose di valore prima che anche l'edifi-cio venisse sequestrato. «Adesso lavoro in una libreria. Non ho denaro e non ho una dote, così non posso aspira-re a un matrimonio con un uomo di rango.» Magnus Eddington l'ascoltò in silenzio annuendo, come se comprendesse la sua situazione. Ma non era ve-ro. Non poteva capire. Nessuno poteva capire che cosa si provava a vedere la propria vita sfasciarsi come un castello di carte. «Tutti i vostri spasimanti sparirono, vero?» le chiese con tono che sembrava di compatimento. «Così siete venuta da me, un uomo che molto probabilmente avrà solo un anno da vivere ancora. Un estraneo, un uomo

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notoriamente dissoluto. E questo ci porta a un altro inte-ressante aspetto della questione» soggiunse inclinando il capo da un lato e rivolgendole uno sguardo disarmante. «Quali dei molti pettegolezzi che si fanno su di me sono giunti alle vostre orecchie? È importante fare chiarezza e quindi vi prego di parlare liberamente.» Stava cercando di affascinarla. Caroline dovette rico-noscere che quel lieve sorriso e l'espressione sorniona di quegli occhi verdi erano incredibilmente seducenti. An-che se era consapevole che si trattava di un trucco per manipolarla, il suo cuore accelerò i battiti. «Non ho udito niente» mentì. L'arrivo di una schiera di domestici interruppe la con-versazione. «Mi sono preso la libertà di ordinare il tè perché pre-sumevo che avreste gradito un piccolo rinfresco dopo il viaggio. Ditemi, avete trovato confortevole la sistema-zione al Barrister's Ordinary?» s'informò Magnus Ed-dington rilassandosi sulla poltrona mentre il maggior-domo e due cameriere sospingevano un carrello verso il tavolino tra le poltrone. «Molto confortevole, milord. È una locanda grazio-sissima.» «Spero che il viaggio da Londra non sia stato troppo noioso.» «Affatto.» «Volete farmi l'onore di versare il tè?» Caroline s'irrigidì, timorosa che la sua mano tremasse e che potesse versare il liquido bollente addosso all'uo-mo sul quale voleva fare buona impressione. Sarebbe una tragedia, pensò con apprensione, colta dall'impulso di alzarsi in piedi e uscire da quella casa con la propria dignità intatta. Ma era troppo importante che...

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Per fortuna, tutto andò bene. Caroline sollevò con de-cisione la teiera d'argento e versò il tè nelle due tazze di porcellana preziosa. «Così non avete udito nessun pettegolezzo su di me?» tornò a chiederle il conte quando ebbe terminato. «No, milord.» «Nemmeno la storia del duello sul continente? Devo confessare che quella mi piace. Veramente interessante. Del tutto falsa, naturalmente, ma divertente.» «Davvero?» commentò Caroline, mentre versava il latte nel suo tè. «Sentirete molte cose su di me, la maggior parte delle quali, se non tutte, poco lusinghiere. Sono quello che si dice un soggetto controverso. I miei pari non sanno de-cidere se sono un mascalzone, un manigoldo o un fur-fante. La verità è che sono un poco tutti e tre questi per-sonaggi e nessuno di essi. Quelli che hanno una buona opinione di me vi parleranno sicuramente delle mie grandi qualità e virtù, che però al momento non saprei citarvi. Altri, invece, vi spaventeranno con i racconti dei miei misfatti. Devo ovviamente avvertirvi che le voci relative alla mia indole criminale sono oltremodo esage-rate.» Per la verità, Caroline aveva sentito molte cose su quell'uomo, inclusa l'incredibile storia che fosse stato il primo amore della Regina Vittoria, e che la giovane so-vrana si fosse consumata per lui prima d'incontrare e di sposare il suo adorato Albert. Per questo la sovrana gli avrebbe permesso di chiamarla affettuosamente Drina, un nomignolo che la seguiva dall'infanzia, quando era la fragile principessina Alexandrina Victoria. «Che mi dite del duello sul continente?» gli domandò, deponendo il cucchiaino d'argento sul piattino. Magnus Eddington scoppiò a ridere, rivelando denti

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bianchissimi e, sì, una fossetta sulla guancia destra. Una fossetta! Caroline lo fissò a bocca aperta. Il Conte di Rutherford era davvero un uomo bellissi-mo. Perché aveva tanta difficoltà a trovare una moglie, anche se era in punto di morte? Cosa difficile da credere perché Caroline non aveva mai visto un uomo più in sa-lute di lui. Schiere di ammiratrici si sarebbero sicura-mente contese il privilegio di allietare i suoi ultimi gior-ni sulla terra e di generare un figlio suo. «Il duello» rispose il conte, inarcando maliziosamente un sopracciglio, «non c'è mai stato. La storia andò così: un certo gentiluomo, con il quale avevo avuto un... di-ciamo dissapore, mi sfidò a un duello alla pistola. Per fare le cose legalmente, ci recammo sul continente. Una volta arrivati lì, si racconta che andammo nel luogo convenuto, scegliemmo le armi, prendemmo le distanze stabilite, e poi io lo uccisi a sangue freddo. A seconda di chi la racconta, la storia viene arricchita di altri partico-lari raccapriccianti. Qualcuno dice che avrei sputato sul suo cadavere; altri che avrei organizzato un'orgia per fe-steggiare la morte di quel poverino.» Doveva dargli credito. Il conte era stato onesto a rife-rirle quella storia e certo non aveva risparmiato i detta-gli. «Niente di tutto ciò è vero» proseguì Magnus Edding-ton. «Si tratta di un'invenzione, costruita attorno a un fatto ben preciso. Un certo gentiluomo mi accusò di un comportamento scorretto nei riguardi di sua moglie e mi sfidò a duello. Ma poi morì sul continente mentre an-ch'io mi trovavo là. Per la precisione, quel signore si re-cò in Provenza, dove io sarei dovuto essere ospite di a-mici, perché voleva prendermi alla sprovvista e gettarmi il guanto di sfida. Ma io ero ancora a Parigi. Mentre mi cercava, lo sventurato fu assalito dai banditi, che gli ta-

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gliarono la gola per rubargli il denaro che aveva con sé. Siccome attribuirmi quel crimine sarebbe stato molto più romantico, la verità venne stravolta a beneficio di una storia assai più cruenta ed eccitante.» «Se vi avesse trovato, vi sareste battuto con lui?» gli chiese Caroline incuriosita. Il conte ebbe un breve istante di stupore. Poi sorrise. «Non lo so, Miss Wembly. Credo di sì. Ma sono conten-to di non aver dovuto scoprirlo. Contrariamente alla mia reputazione, se avessi dovuto ucciderlo per difendere me stesso, non sarei stato contento. Dopotutto, quell'uomo era impazzito dal dolore... E ne aveva motivo» soggiun-se con tono vagamente rincresciuto. «Allora avete una coscienza?» osservò Caroline, guardandolo sopra l'orlo della sua tazza. «Via, non è il caso d'insultarmi. Pensavo che non ave-ste sentito niente sulla mia malvagità.» Colta alla sprovvista, Caroline fu costretta a confessa-re. «Credo di avere sentito qualcosa, ma non ho ritenuto gentile parlarne.» Magnus Eddington la fissò a lungo, mettendola a di-sagio. «Molto saggio.» Caroline inclinò il capo con gesto regale. Avrebbe giurato che quella canaglia si stava divertendo. Comun-que si sforzasse, sembrava che non le fosse possibile a-vere la meglio. «Vi ho detto questo perché è importante che com-prendiate il mio carattere, dal momento che dobbiamo entrare in più... intimi rapporti» proseguì lui con un lieve sorriso. «Siete molto gentile a volermene parlare» dichiarò Caroline, notando il lampo di orgoglio che balenò negli occhi verdi del conte, quasi volesse dire: Magnus Ed-

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dington non dà mai spiegazioni a nessuno! Lo aveva provocato, a quanto sembrava. «Parlatemi ancora di voi, Miss Wembly. Ho la sensa-zione che non vi siate aperta come ho fatto io. Eppure spetta a me decidere della vostra idoneità.» «Vi ho detto tutto quello che c'era da dire di me» ri-spose Caroline deponendo la tazza. Si sentiva a disagio sotto lo sguardo penetrante di quegli occhi verdi, che sembravano capaci di scavare nei suoi pensieri e scopri-re i suoi segreti. «La vostra risposta sui motivi che vi spingono a spo-sare un estraneo non era completa. In poche parole, non avete detto perché è vostro desiderio contrarre questa... come l'ha definita Mr. Green? Ah, sì. Strana unione.» Caroline s'impose di stare calma, ma le sue dita si strinsero attorno alle pieghe della gonna dell'abito di se-ta blu mentre confessava: «Per denaro». Magnus Eddington apprezzò tanta sincerità, perché scoppiò in una sonora risata. «Ditemi, che cosa volete fare con il mio denaro?» Era un argomento divertente? Caroline s'infuriò. Le persone ricche come il conte ridevano dell'avidità dei meno fortunati. Ma non avevano mai avuto fame. Non avevano mai indossato abiti consunti o così stretti da non poter respirare. Non avevano mai dovuto mettere da parte la loro dignità e presentarsi a casa di un conte per offrirsi come una giumenta da riproduzione per dare a qualcuno che amavano la possibilità di vivere. L'amarezza le procurò un groppo in gola. «Perché le persone hanno bisogno di denaro?» esclamò. «Per ac-quistare cose.» Cose come medicine per salvare la vita di un bambi-no morente. Magnus Eddington socchiuse gli occhi. Quelle pupille

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verdi sembravano vedere tutto. Forse lei si era spinta troppo in là! Doveva essere impazzita per dimenticare la sua pre-caria posizione. Che cosa le aveva fatto pensare di po-terlo fare? Caroline non era un tipo deferente, il genere di donna che il conte cercava. Inghiottendo nervosamen-te, iniziò a farfugliare delle scuse. «No! Strisciare non vi si addice.» Caroline spalancò la bocca, allibita. Ma il conte proseguì: «Il vostro carat-tere forte mi piace. È una garanzia, perché mio figlio a-vrà bisogno di una mano ferma che lo guidi nella vita, dal momento che io non potrò farlo. Non sto cercando una compagna gradevole per me, Miss Wembly, ma un surrogato di me stesso per mio figlio». Nel tono distaccato con cui il conte parlava della pro-pria morte c'era qualcosa di raggelante, che bloccò Ca-roline. «Siete qui per la posizione di madre di mio figlio, niente di più, niente di meno.» «E se nascesse una femmina?» «Erediterà comunque la mia fortuna.» «E se non ci fosse nessun bambino?» Una strana espressione passò sul viso del conte. Sof-ferenza? «Sarebbe spiacevole, ma non possiamo con-trollare queste cose, vero? Dovremo solo fare del nostro meglio e lasciare il resto all'Onnipotente. Il che mi porta al delicato argomento dell'amplesso.» Caroline trasalì. Ma il conte alzò le mani. «Bisogna parlarne. Ho bisogno di sapere se la pro-spettiva di entrare in intimità con me non sia per voi, come posso dire? Sgradevole?» In preda a un profondo imbarazzo, Caroline abbassò gli occhi sulle mani del conte. Erano grandi, callose. Come mai un aristocratico aveva callosità sulle mani?

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Come sarebbe stato essere toccata da quelle mani nel modo in cui, come aveva sentito dire, un marito tocca la propria moglie? Il conte non era un uomo delicato. Sot-tomettersi a lui... in quel modo, non doveva essere pia-cevole. Tuttavia Caroline sentì un gran calore salirle al volto. Fortunatamente Magnus Eddington non parve notare il suo turbamento. «Voglio mettere in chiaro che, anche se si tratta di un matrimonio di convenienza per entram-bi, non è necessario che ci siano camere separate. Inol-tre, fino alla mia morte, non dovrete avere amanti. Siete d'accordo?» Caroline sollevò fieramente il capo. «Signore, vi assi-curo che sono perfettamente al corrente di come si con-cepiscono i bambini. Non vi avrei disturbato se non fos-si stata preparata a sottomettermi a tali cose. Sono con-sapevole dell'importanza di generare un figlio prima del-la vostra morte.» Magnus Eddington la fissò attentamente. «Avete det-to che sapete come avviene l'accoppiamento. Devo ri-spettosamente chiedervi se siete vergine.» Caroline s'infuriò. «Ho detto di essere al corrente del procedimento, non di essere un'esperta. Sì, milord, vi assicuro che sono vergine.» «Bene. Così non c'è pericolo che il figlio di un altro uomo precluda il concepimento del mio. E adesso devo chiedervi se godete di buona salute.» «Sì.» «C'è qualche episodio di pazzia nella vostra fami-glia?» «No, milord.» «Farò controllare le vostre referenze. Ma non preoc-cupatevi, incaricherò un agente di fare le ricerche. Vi chiedo solo di cooperare con lui.»

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Quella era una bella notizia. Nella sua famiglia c'era-no molti dati positivi che la qualificavano. Caroline spe-rava solo che l'incaricato del conte non scavasse troppo in profondità e scoprisse la verità su James. «Devo affrontare un altro argomento delicato» conti-nuò lui. «Nella vostra famiglia ci sono donne di salute malferma? Sono tutte fertili? Avete quelli che i medici definiscono fianchi adatti alla gravidanza?» Caroline non batté ciglio. Le aveva solo chiesto se le donne della sua famiglia erano sane. Poteva rispondere con sincerità. «No. Sì. E...» Che cosa le aveva chiesto? Dei suoi fianchi? «Io... non so.» Era troppo umiliante. «Volete esaminare i miei denti?» non poté fare a meno di soggiungere. Buon Dio, di nuovo quel sorriso devastante. «Forse più tardi» rispose lui. Nonostante tutto, lo aveva favorevolmente impressio-nato, realizzò Caroline soddisfatta. Il conte continuava a guardarla con attenta concentrazione. Era imbarazzante, e anche un poco inquietante. Si sorprese a tremare, men-tre il suo cuore batteva all'impazzata. S'infuriò allora con se stessa. Si stava comportando come una sciocca! Conosceva la natura maschile. Ne aveva fatto esperienza attraverso l'esempio di suo padre, dal quale aveva avuto dimostrazione dell'egoismo, del-l'insensibilità e della volubilità del maschio. Eppure quell'uomo, con le sue esplicite esigenze, i suoi occhi penetranti e la bocca gentile, la faceva sentire strana. Il conte emanava da sé qualcosa d'indefinito, ma non spiacevole. No. Per niente spiacevole. «Bene» fece lui, alzandosi in piedi. «Devo dire che sono molto soddisfatto del nostro colloquio, Miss Wembly. Posso avere le referenze che ho richiesto? Ah. Grazie. Sembra tutto in ordine. Sì. Bene. Mi metterò in

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contatto con voi non appena la pratica sarà completata.» Caroline si alzò in piedi, apprestandosi a congedarsi. Il colloquio era terminato e il conte le stava dicendo che non scartava la sua candidatura. Anzi. Voleva procedere nella trattativa. «Grazie per avermi ricevuto, milord» disse, avvian-dosi verso la porta. Quando gli passò accanto, avvertì il suo profumo, un misto di sapone da barba e di aroma maschile. Fu in quel momento che si accorse di una pressione contro la schiena e realizzò che lui le aveva appoggiato le mani attorno alla vita. Si girò di scatto, troppo allibita per protestare. Con fermezza, Magnus Eddington le fece scorrere le mani lungo i fianchi. «Stretti» mormorò. «Mmh. Devo parlarne con i medi-ci.» Quando si rese conto che la stava tastando per sentire se avesse i fianchi adatti per partorire, Caroline fu so-praffatta dallo sdegno. Senza riflettere, si girò e lo schiaffeggiò sulla guancia. Magnus Eddington si ritrasse istintivamente, ma non ebbe altra reazione. Si fissarono, immobili. Caroline era esterrefatta per quello che aveva fatto e per quello che aveva fatto lui. Anzi, che stava ancora facendo. Infatti il conte teneva sempre le mani appoggiate sui lati del suo fondoschiena. «Non sono disposta a tollerare questo genere di atten-zioni, milord. Sono venuta vergine a casa vostra e sono decisa a rimanere tale fino al giorno delle nozze.» «Mi aspettavo un attacco così fiero. Non mi avete de-luso. La madre del futuro Conte di Rutherford non per-metterebbe mai a un uomo di trattarla così» asserì Ma-gnus Eddington lasciandola andare. «Però questi fianchi sono molto stretti... Be', parlerò con gli esperti e decide-rò in merito. Per il momento, confido che accetterete di rimanere alla locanda.»

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I nervi tesi di Caroline la incitavano a schiaffeggiarlo ancora per fargli sparire quell'espressione indisponente dal viso. Invece replicò pacatamente: «Come volete, milord». Lui rise della sua falsa docilità. «Avete carattere, Miss Wembly, e sono certo che potrete darmi un figlio bello e vivace» dichiarò, sollevando un campanello dal tavolino e scuotendolo vigorosamente. «Arthur vi accompagnerà alla porta. Attenderò con ansia il nostro prossimo incontro, Miss Wembly» sog-giunse con un lieve inchino. «Vi ringrazio, milord» disse Caroline prima di segui-re il maggiordomo, che si era silenziosamente materia-lizzato sulla soglia. Un congedo compito. Chi avrebbe detto che avevano appena discusso della sua virtù, disquisito dell'amplesso, e che si erano scambiati palpeggiamenti e schiaffi? Mentre Arthur andava a chiamare il cocchiere, Caro-line si guardò attorno. La magnificenza di Hawking Park non la intimidiva più, perché la casa non era all'al-tezza del suo proprietario.

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La sposa rapitaLa sposa rapitaLa sposa rapitaLa sposa rapita di Margaret Moore

Inghilterra, 1228 - Il nobile normanno Bryce Fre-chette viene indotto a credere che il rapimentodella fidanzata da parte del promesso sposo sia una tradizione gallese prima del matrimonio. Ac-cetta così di rapire Lady Rhiannon DeLanyea per conto del perfido Lord Cynvelin, che intende faresua la fanciulla per vendicarsi del padre di lei. Apoco a poco, tuttavia, la verità viene a galla eBryce, per porre rimedio alla propria ingenuità, architetta un piano a dir poco ingegnoso.

Il fiore di meIl fiore di meIl fiore di meIl fiore di mezzanottezzanottezzanottezzanotte di Jacqueline Navin

Inghilterra, 1847 - Magnus Eddington, il ricchis-simo e chiacchieratissimo Conte di Rutherford,decide di sposarsi e di avere un figlio. Ma chi ac-cetterà di unirsi a un uomo cinico come lui? Lo fa Caroline Wembly, un'avvenente fanciulla di buo-na famiglia che ha bisogno di denaro per curare il fratellino malato. Il matrimonio dovrebbe esse-re un semplice scambio fra le parti in causa, ma ben presto i due sposi si scoprono innamorati.Poi, però, una stupefacente rivelazione mette adura prova il loro amore.