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L’ultimo viaggio Irène Cohen-Janca · Maurizio A.C.Quarello Il dottor Korczak e i suoi bambini

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L’ultimo viaggioIrène Cohen-Janca · Maurizio A.C.Quarello

Irène Cohen-Janca · M

aurizio A.C

.QuarelloJanusz Korczak. Dalla parte dei bambini. Sempre.

Dalle strade di Varsavia alle mura del ghetto, fino al campo di Treblinka. Un’indimenticabile storia di coraggio, di resistenza e di amore per la vita.

E, soprattutto, di rispetto per l’infanzia.

Per i più piccoli era semplicemente Pan Doktor, ma dalle sue idee è nata la Convenzione Onu sui diritti dei bambini e degli adolescenti.

L’ultimo viaggio

¤ 16,90

9 788899 064020

Il dottor Korczak e i suoi bambini

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L’ultimo viaggio IL DOTTOR KORCZAK E I SUOI BAMBINI

Irène Cohen-Janca · Maurizio A.C.Quarello

traduzione di Paolo Cesari

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L’incredibile notizia si sparge in un lampo. Tutti credono di sapere cosa è accaduto. Ognuno racconta cose diverse.

Ma noi, noi sappiamo che è tutto falso!

Non possono aver ucciso il dottor Korczak. È impossibile! Lui è troppo famoso. È un grande medico, uno scienziato, uno scrittore. Ha curato le persone più ricche e potenti, ha tenuto conferenze nel mondo intero, ha scritto molti libri -per i grandi e per i piccoli- e ha persino parlato alla radio. Tutti in Polonia ascoltavano le sue “Conversazioni col vecchio dottore”.

Ma Pan Doktor -Signor Dottore, noi lo chiamiamo così- è soprattutto il nostro protettore, il protettore di noi orfani e bambini poveri di Varsavia.

Il dottor Korczak è stato arrestato!Lo hanno portato lontano da Varsavia,

in un campo di lavoro a Lublino, e lì sta morendo!

È stato torturato e ucciso!

Lo hanno portato in una foresta e fucilato!

Il dottor Korczak è stato arrestato!Il dottor Korczak è stato arrestato!

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Addio via Krochmalna

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Quando abbiamo lasciato la Casa dell’Orfano, ho visto Pan Doktor alzare per l’ultima volta

gli occhi verso la piccola mansarda all’ultimo piano. Era la sua camera, con il grande scrittoio di quercia, uno stretto letto di ferro e libri che tappezzavano i muri. Era là che dormiva, dava da mangiare ai passeri di passaggio,

scriveva libri per spiegare agli adulti come amare e rispettare i ragazzi, inventava racconti con eroi della nostra età, come re Mathias I o Kaytek il Mago. Non viveva da solo: un topolino di nome Perspicacia abitava sotto l’armadio e andava a trovarlo.Ieri

Ieri, 29 novembre 1940, siamo stati obbligati ad abbandonare la Casa dell’Orfano, la nostra grande e bella casa bianca al numero 92

di via Krochmalna, a Varsavia.

Lì sono rimasti la nostra cara lavandaia e Piotr Zalewski, il gigante che sorvegliava l’orfanotrofio. Piotr ci permetteva di lavorare con lui

nella falegnameria dello scantinato, e, anche se per divertirsi a volte ci torceva il naso con le sue grosse mani, noi gli volevamo bene.

Tutti e due, guardandoci mentre ce ne andavamo, avevano gli occhi rossi, e Piotr anche il viso gonfio

per i colpi ricevuti dai soldati tedeschi.

Tutti e due volevano seguirci nella nuova casa, ma loro non hanno il diritto

di accompagnarci dall’altra parte.

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-una stretta al cuore ma la testa alta e una canzone sulle labbra- abbiamo raggiunto la nostra nuova dimora, al numero 33 di via Chlodna, dall’altra parte.

Il dottor Korczak si oppone sempre alla tristezza e alla rassegnazione.

Quando è cominciata la guerra e l’esercito tedesco ha invaso la Polonia nel settembre del 1939, quando le bombe piovevano su Varsavia e squarciavano il cielo di rossi bagliori, Pan Doktor parlava alla radio per sollevare il morale dei polacchi, correva tra fiamme e macerie per aiutare i feriti, e faceva persino il clown per scacciare la disperazione.

Quando i tedeschi ci hanno obbligato a lasciare la nostra Casa in via Krochmalna, Pan Doktor ha voluto che la nostra partenza assomigliasse al viaggio di una grande compagnia di teatro, e non a un misero trasloco.

Abbiamo percorso le strade come un circo in parata. Noi, i centosettanta inquilini dell’orfanotrofio -Felek, Aaron dai polmoni deboli, Weintraub con una gamba sola, Mendel, Chaim l’imbroglione, Moniek, Genia, Ania, Regina, Maryla e tutti gli altri- abbiamo orgogliosamente marciato dietro la verde bandiera di Re Matteuccio I che garriva al vento.

Pan Doktor, Pani Stefa -la signora Stefa- e tutta la squadra degli assistenti scortavano il lungo corteo.

Trasportavamo lampade, lenzuola e coperte, disegni, piante, gabbie con i nostri uccellini e i nostri piccoli animali domestici.

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Rinchiuse nelle tasche, le cartoline ricordo che Pan Doktor distribuisce perché non ci si dimentichi delle nostre azioni, di quelle buone ma anche di quelle cattive. Ce ne sono diverse, come la cartolina dei fiori data per aver sbucciato un sacco di patate, o la cartolina dell’inverno per essersi alzati presto, o ancora la cartolina della tigre per aver litigato, infine la cartolina nontiscordardimé per quelli che lasciano l’orfanotrofio.

Se saprò prendermi cura di Mietek, io avrò la cartolina dell’assistenza.

Ogni bambino che arriva all’orfanotrofio è aiutato per tre mesi da uno più grande. Io sono il tutore di Mietek, arrivato in orfanotrofio a settembre.

Dietro di noi, i carri con i materassi, il carbone, le provviste di patate chiudevano il corteo.

Le strade erano piene di persone dallo sguardo triste e sconvolto che se ne andavano in giro con tutte le loro cose ammassate su carretti tirati a braccia, su carrozzine o sulle spalle.

Anche loro avevano ricevuto dai tedeschi l’ordine di andare a vivere dall’altra parte.

Mietek, che mi teneva la mano, ripeteva in continuazione:

“Szymek, è lontano dove stiamo andando?”

“No, cammina. Questa distanza un passerotto può percorrerla in qualche battito d’ali e il Gatto con gli stivali in un solo passo.”

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Tutti i bambini dell’orfanotrofio conoscono il Gatto con gli stivali, il dottore ci ha raccontato tante fiabe, Cenerentola, Aladino e soprattutto il Gatto con gli stivali. Credo che sia quella che lui preferisce, forse perché quel gatto dagli stivali bianchi e dal cappello di piume che riesce a fare cose straordinarie per il suo padrone, può dar coraggio a noi che siamo poveri.

Alla fine di una storia, un grido in coro Ancora! Ancora!Spesso l’indomani, e per diversi giorni ancora, chiediamo a gran voce lo stesso racconto e Pan Doktor non rifiuta mai. Lui non ci tratta da stupidi, e non disprezza le nostre domande. Ci capisce, come se non avesse dimenticato nulla di quando anche lui era bambino.

Quando Halinka, che è sempre brava, un bel giorno si è rifiutata di mangiare le croste del pane sebbene sia vietato lasciare del cibo nei piatti, Pan Doktor non si è arrabbiato. Come ogni volta, con pazienza, ha cercato di capire. E Halinka ha finito per confessargli che sua nonna raccontava che nelle croste di pane abitano le streghe.

Quando un bambino gli ha chiesto: “Se io penso a un albero, vuol dire che ho un piccolo albero in testa?”, Pan Doktor non lo ha preso in giro.

Lui dice che i bambini sono dei poeti e dei filosofi.

Ma non tutti.

Ieri è stato molto difficile spiegare al piccolo Mietek che là dove stiamo andando, dall’altra parte, è molto vicino e al tempo stesso così lontano.

***

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È lo stesso paese -la Polonia-, è la stessa città -Varsavia-, è vicinissima a via Krochmalna, tuttavia l’altra parte è come un paese straniero.

Entrando mostriamo i documenti come quando si varca una frontiera o una dogana.

È stato proprio allora che un soldato tedesco ci ha confiscato l’ultimo carro della carovana, pieno di patate.

Pan Doktor si è arrabbiato ma non ha potuto recuperarlo e abbiamo dovuto proseguire, entrare nel paese dall’altra parte, che si chiama ghetto.

È un piccolo paese di qualche chilometro quadrato, circondato da muri altissimi costruiti per ordine dei tedeschi, sorvegliato dai soldati in ognuna delle sue ventotto porte.

Prima era un quartiere di Varsavia come tutti gli altri, dove tutti si viveva insieme. Oggi è un paese-prigione, creato dai nazisti per rinchiudervi gli ebrei.

Tutti gli ebrei: i vecchi, gli adulti e i bambini come noi. Un paese minuscolo per migliaia di persone che non hanno più lavoro, né casa, né pane, né carbone.

La lavandaia e il gigante Zalewski non hanno potuto seguirci al ghetto perché loro non sono ebrei.

***

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È stato nel pomeriggio che la voce della scomparsa di Pan Doktor ha cominciato a circolare per le strade del ghetto.

Ma noi già dal risveglio ci eravamo accorti della sua assenza.

Pani Stefa, solito vestito nero col colletto bianco, dirigeva tutta sola le operazioni di insediamento nella nuova casa.

Anche la grossa verruca all’angolo del suo naso ha traslocato, e stamani non faceva che tremare mentre lei parlava.

Pani Stefa dirige l’orfanotrofio con Pan Doktor, e quando lui non c’è, è lei che lo sostituisce. Viso largo e capelli scuri, sembra severa, ma veglia su di noi, e di noi si prende cura come la madre che in molti abbiamo perduto.

Vede e sente tutto. Arriva sempre così dolcemente che non la sentiamo. È grande e forte, ma scivola leggera come una barca sull’acqua.

Stamani noi grandi le ronzavamo intorno domandandole:

“Dov’è Pan Doktor? Dov’è Pan Doktor?”

Pani Stefa non rispondeva e aveva un’aria molto agitata.

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È stato il fattorino a raccontarci.

“Questa mattina, prestissimo, il dottor Korczak ha infilato gli alti stivali militari di cuoio dai quali non si separa mai, ma non ha messo il vecchio grembiule grigio di tutti i giorni. Ha indossato la sua divisa da ufficiale polacco, quella che ha portato in tre guerre, e poi è uscito con passo fermo e sicuro.”

“Per andare dove?”

“Per andare a Palazzo Blank a recuperare il carro di patate rubato ieri dai soldati tedeschi.”

Allora non abbiamo più fatto domande.

Conosciamo bene Palazzo Blank, il grande edificio dove la Gestapo, la polizia nazista, si è insediata.

Pan Doktor è andato a gettarsi nella bocca del lupo, ma quale fata potrà strapparlo a quella casa del diavolo, quale mago gli farà attraversare i muri della Casa della paura e delle botte?

Chiunque trema passando davanti a Palazzo Blank.

La Casa dove, giorno e notte, riecheggiano i colpi e risuonano le grida.

faustaorecchio
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