Ipotesi sulla realtà di Fabrizio Coppola (Cap 06)

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Capitolo 6

Filosofie orientali

Persino un poco di questa praticasalva da una grande paura.Bhagavad Gita (II,40).

I - L’approccio empirico e psicofisico dello Yoga.Il mio amico Franco dichiarava spesso il suo ateismo in maniera plateale e con tono polemico: “Dio?! Dov’è

Dio? Fatemelo vedere e io ci credo. Ma finché non me lo fate vedere, non ci credo”.Noi, che abbiamo esaminato tutta la storia della filosofia, possiamo classificare il suo pensiero come

scettico/empirista, ma Franco non sapeva di esserlo: egli esprimeva spontaneamente i suoi dubbi, e questi lo portavano a credere all’inesistenza di Dio.

Ora dovete sapere che Franco era miope, molto miope, e nonostante i suoi occhiali spessi aveva difficoltà a guardare anche a pochi metri di distanza. Così un bel giorno un nostro comune amico piuttosto crudele, stanco di sentire le solite arringhe, gli rispose: “Franco, falla finita, non sei capace di vedere a un metro di distanza, e pretendi di vedere Dio?”.

Questa risposta cinica in realtà sottintende un principio molto importante: gli aspetti fisiologici del soggetto determinano la sua percezione, che può essere più o meno “sottile” e raffinata. Un cieco purtroppo non può vedere un paesaggio ed un sordo non può udire una sinfonia; secondo questo principio, Franco non poteva pretendere di vedere o percepire Dio quando non riconosceva nemmeno gli amici che gli stavano davanti!

In un certo senso questo è anche lo spirito dello Yoga, uno dei sei sistemi ortodossi (cioè “ufficiali”) della filosofia indiana.

Lo Yoga non è solo una teoria filosofica, ma comprende una vasta serie di tecniche fisiche e mentali rivolte al raffinamento del sistema nervoso e della mente, affinché il soggetto possa percepire meglio e più profondamente la realtà, fino a sperimentare eventuali livelli spirituali. È importante sottolineare che l’approccio dello Yoga è laico ed empirico, cioè non pretende che il soggetto creda all’esistenza di Dio o di una realtà spirituale.

Questo originale sentiero verso la conoscenza sembra molto interessante poiché è aperto a tutti, atei e credenti. Gli unici requisiti sono: avere un corpo, un sistema nervoso ed un cervello funzionante. Non serve un elevato quoziente di intelligenza, basta essere in grado di imparare alcuni semplici esercizi fisici o mentali ed avere la costanza di svolgerli regolarmente. Quindi tutti gli esseri umani possono praticare lo Yoga, cioè sono dei potenziali Yogi (pronuncia: Yoghi, proprio come l’orso dei cartoni animati).

Come risultato minimo, chi pratica lo Yoga acquisterà un certo benessere fisico e mentale; se poi col tempo giungerà perfino a percepire eventuali livelli spirituali, tanto meglio (in termini di marketing si direbbe che è un ottimo valore aggiunto). Le conferme scientifiche sull’efficacia di certe tecniche Yoga saranno riportate poco più avanti.

Adesso è importante evidenziare che l’atteggiamento dello Yoga, basato sull’esperienza diretta, può risolvere la diatriba filosofica tra metafisica, che intende investigare la natura del principio primo che dà origine alla realtà, ed empirismo, che considera reali solo le esperienze dei sensi, e considera irraggiungibile o “trascendente” un eventuale principio primo alla base della realtà. Lo Yoga dice semplicemente: se tale principio esiste, esso dev’essere accessibile alla nostra esperienza diretta, e chiunque deve essere capace di sperimentarlo.

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In Occidente siamo abituati a considerare lo Yoga come un insieme di esercizi fisici che costringono i praticanti ad assumere strane posizioni del corpo. In effetti le posizioni o asanas, insieme alla respirazione o pranayama, costituiscono una parte importantissima dello Yoga, detta Hatha Yoga, ovvero lo Yoga fisiologico. L’utilità di tali pratiche per il corpo è testimoniata da milioni di persone in tutto il mondo. Alcune tecniche dello stretching, che indica un noto tipo di ginnastica sviluppato in Occidente e può essere tradotto col verbo stirarsi, sono simili alle asanas dello Yoga.

Ma asanas e pranayama sono solo due delle otto parti dello Yoga, così come è stato classificato dal saggio Patanjali nel suo testo classico Yoga Sutra, che risale al secondo secolo avanti Cristo.

Le tre parti più elevate dello Yoga sono la concentrazione, la meditazione, ed il samadhi, termine che può essere tradotto come estasi (si ricordi l’estasi di Plotino, capitolo 4) e che rappresenta l’unione tra la mente individuale e lo spirito universale: infatti Yoga significa proprio unione.

Questo approccio alla conoscenza può sembrare strano a noi Occidentali, poiché è materialistico e spirituale insieme. Ma gli indiani non sono condizionati dal dualismo cartesiano tra corpo e mente e per loro è naturale che certi esercizi fisici, plasmando e rivitalizzando le diverse parti del corpo, possano purificare e raffinare il sistema nervoso fino a permettere percezioni superiori della mente.

Il concetto per la verità non è nuovo nemmeno in Occidente: si pensi al detto latino mens sana in corpore sano (mente sana in un corpo sano). Lo Yoga però ha la pretesa di sviluppare su questo principio un vasto sistema filosofico e pratico che può condurre l’uomo alla percezione della verità ultima!

II - Il quarto stato di coscienza.È opportuno ricordare che lo Yoga non richiede alcuna convinzione preconcetta e quindi può essere praticato

da chiunque, sia egli ateo e materialista oppure religioso e bigotto. Infatti gli Yoga Sutra iniziano con un’affermazione molto semplice: lo Yoga è la sospensione dell’attività della mente. Tutto qui.

Gli Yoga Sutra sottintendono che sospendendo l’attività della mente si produce uno stato benefico di rilassamento e riposo dell’intero sistema nervoso. Si potrebbe anche pensare che ciò porti ad uno stato di incoscienza o porti il soggetto ad addormentarsi, ma così non è. Al contrario, quando i pensieri si acquietano, il soggetto percepisce la sua vera natura, che è chiamata purusha, ed è un campo di pura coscienza.

Che cosa significa? Molto semplice: in questo particolare stato mentale il soggetto resta cosciente ma non vi è più alcun oggetto nella sua mente, per cui la consapevolezza percepisce se stessa e nient’altro. Vedremo che in realtà questo stato è qualcosa di più profondo del semplice “non pensare a niente”, perché è caratterizzato da certe caratteristiche delle onde cerebrali.

Questo stato può essere identificato con l’appercezione pura di Kant, e forse con l’intuizione immediata di Plotino o con l’intuizione intellettuale di Fichte e Schelling. In ogni caso occorre sottolineare che non si tratta di un pensiero razionale del tipo: “io penso a me stesso che penso”, bensì si tratta di una percezione diretta della propria consapevolezza, come quando si percepisce un qualsiasi oggetto: se io guardo una mela, percepisco la mela e basta, non è necessario che io pensi razionalmente: “sto guardando una mela”.

Questo stato di consapevolezza negli Yoga Sutra viene chiamato samadhi. Questo stesso stato, nelle Upanishad (che sono alla base di un altro dei sei sistemi filosofici ortodossi dell’India, il Vedanta) viene chiamato turiya o quarto stato di coscienza. Perché quarto? Perché gli altri tre stati di coscienza sono il normale stato di veglia, lo stato di sogno, e lo stato di sonno profondo (quest’ultimo per la verità è uno stato di incoscienza, ma in senso lato può essere incluso tra gli stati di coscienza).

Il quarto stato di coscienza, postulato dagli Yoga Sutra e le Upanishad, è diverso dai tre stati che tutti conosciamo (veglia, sogno e sonno), poiché in questo stato il soggetto è perfettamente sveglio e cosciente ma non percepisce la realtà esterna bensì la sua stessa consapevolezza. Per questo motivo viene anche detto stato paradossale o coscienza trascendentale.

L’esperienza del quarto stato, ovvero il samadhi, costituisce il più elevato degli otto stadi dello Yoga, e può essere raggiunto attraverso i due stadi precedenti, concentrazione o meditazione, ma viene aiutato anche dagli stadi inferiori, compresi asanas (le posizioni del corpo) e pranayama (la respirazione), che contribuiscono a purificare e raffinare il sistema nervoso.

L’esperienza del samadhi, oltre ad essere il fine principale dello Yoga, risulta anche benefica per il sistema nervoso poiché a sua volta lo purifica e gli permette di raffinare le sue percezioni: si crea così un circolo virtuoso in cui tutto contribuisce al miglioramento della salute e dell’intuizione della persona.

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Il concetto di samadhi si ritrova anche nel buddhismo con il nome di nirvana, anche se in Occidente questo termine viene tradotto in modi diversi: secondo alcuni il nirvana è un piacere paradisiaco, mentre secondo altri è uno stato di incoscienza o di “vuoto mentale” che rappresenta una fuga dal mondo, che si rende necessaria perché il mondo è considerato sede di sole sofferenze.

Torniamo alle prime righe degli Yoga sutra. Dopo aver dichiarato che lo Yoga è la sospensione dell’attività della mente, Patanjali prosegue con le seguenti parole: in quello stato il soggetto sperimenta la sua natura essenziale; negli altri stati invece vi è assimilazione alle forme della mente.

Il significato è questo: mentre nel normale stato di veglia la mente assume delle forme, corrispondenti agli oggetti percepiti o alle emozioni provate o ai pensieri razionali presenti nella mente stessa, durante il quarto stato, turiya o samadhi, la mente percepisce solo la sua natura essenziale, che è il purusha, uno stato di pura consapevolezza priva di contenuti.

III - Samkhya e neoplatonismo.Il linguaggio dello Yoga è ripreso dal Samkhya, un altro dei sei sistemi ortodossi della filosofia indiana, che

costituisce la base teorica dello Yoga. Il Samkhya sembra porre due principi fondamentali alla base della realtà: purusha e prakriti, che in prima approssimazione si possono tradurre come spirito e natura materiale. Però, a differenza del rigido dualismo cartesiano, nel Samkhya spirito e materia non sono separati nettamente, ma si trovano uniti o “mescolati” in tutte le manifestazioni dell’universo.

Questo ricorda le concezioni neoplatoniche di filosofi come Bruno e Spinoza, che sono monistiche e non dualistiche, anche se ammettono una distinzione tra natura naturans e natura naturata (che grosso modo corrispondono appunto a spirito e materia). Il Samkhya è simile anche alle concezioni dei filosofi ionici e stoici, che pur essendo materialistiche (basate cioè sulla natura o prakriti) contengono in sé un principio mentale o spirituale (come il purusha).

Il Samkhya non dovrebbe essere considerato un sistema dualistico, poiché il purusha è superiore ed “incorpora” la prakriti: in un certo senso la prakriti è la forma inconscia del purusha, proprio come nella filosofia di Schelling la natura è l’Io universale che si esprime inconsciamente.

Secondo il Samkhya il motivo delle sofferenze degli uomini risiede nella loro identificazione con la materia o con la natura (prakriti): gli uomini che soffrono non sanno di essere lo spirito (purusha), che è pura consapevolezza e sorgente dell’estasi, autonoma e indipendente dalla natura (prakriti), anche se è irrimediabilmente mescolata con essa nei fenomeni dell’universo.

Alcuni studiosi vedranno sicuramente delle semplificazioni estreme o delle imprecisioni nella presente esposizione della filosofia indiana. Eppure essa è in sintonia con lo spirito unitario sottinteso dai maestri e dai commentatori indiani, che danno sempre una visione integrata dei sei sistemi: essi cercano sempre di armonizzare le eventuali differenze, che sono considerate semplicemente dei punti di vista parziali di una medesima realtà. Viceversa i commentatori occidentali tendono spesso a enfatizzare le differenze e a scorgere delle contraddizioni o delle incompatibilità tra i vari sistemi.

Noi ignoreremo totalmente alcune controversie che agli studiosi occidentali appaiono di primaria importanza: ad esempio non ci chiederemo se il Samkhya si può ritenere un sistema filosofico ateistico o panteistico o panenteistico; se il purusha sia una sostanza spirituale unica oppure sia suddivisa in tante piccole monadi separate; se gli Yoga Sutra risalgono effettivamente al secondo secolo avanti Cristo, eccetera. Inoltre trascureremo altre dottrine orientali come il buddhismo o il taoismo, in modo da agevolare coloro che vorranno criticare questo libro...

Secondo gli Yoga Sutra, poiché il purusha è pura consapevolezza e non è sottomesso alle leggi della materia, lo Yogi, nel corso della sua evoluzione, potrà anche acquisire dei poteri parapsicologici (capacità telepatiche, percezioni extrasensoriali ed altro)! Patanjali però li considera sottoprodotti secondari ed inutili, se non perfino dannosi.

Forse chi frequenta una palestra e pratica dei semplici esercizi di Hatha Yoga non sa che rischia di sviluppare tutto ciò... Ma per lui e per tutti noi l’importante è che ricavarne dei benefici fisiologici e psicologici per migliorare la vita di tutti i giorni.

IV - Verifiche scientifiche sulle tecniche Yoga.La domanda che sorge spontanea a questo punto è la seguente: sarà vero che lo Yoga permette di avere dei

reali benefici fisiologici e/o psicologici? La testimonianza di milioni di persone normali sembra confermare che è realmente così, ma noi vogliamo essere sicurissimi, perciò esaminiamo i risultati di diverse ricerche scientifiche condotte a riguardo.

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Nel Maggio del 1972, sulla nota rivista Le Scienze (numero 45, pagine 70-76) comparve l’articolo Fisiologia della meditazione, di Benson e Wallace, due medici di Harvard. Tale articolo era già stato pubblicato in precedenza (in lingua inglese) su Scientific American (n.226, 1972), su American Journal of Physiology (n.221, 1971) e su Science (n.167, 1970). Il sottotitolo dell’articolo su Le Scienze era:“Lo stato di meditazione che viene raggiunto dai praticanti yoga e da altri mistici orientali è accompagnato da variazioni fisiologiche? Uno studio condotto su volontari negli Stati Uniti ha dato una risposta affermativa”.

Lo scopo dell’articolo è appunto verificare se gli esperti in tecniche dello Yoga o del Buddhismo Zen ottengano realmente delle modificazioni fisiologiche. Gli autori non pretendono di rivelare risultati eccezionali come quelli riportati da molti testimoni su Yogi, fachiri e praticanti dello Zen (arresto del respiro e del battito cardiaco, levitazione, poteri parapsicologici): essi si accontentano di accertare l'esistenza di piccoli effetti fisiologici, che siano riproducibili sistematicamente.

L’articolo inizia riportando una carrellata di testimonianze e ricerche condotte da medici occidentali su meditanti indiani e di altri paesi orientali (anche giapponesi). Nessuna di queste esperienze però risulta facilmente riproducibile. A questo punto gli autori si rivolgono ad una particolare tecnica di meditazione, che è stata introdotta in Occidente da uno Yogi indiano dotato di una formazione scientifica. Ecco la citazione testuale da pag.72:

"Fortunatamente c'è una tecnica yoga largamente praticata che è così ben standardizzata da permetterci di condurre degli studi su vasta scala in condizioni ragionevolmente uniformi. Questa tecnica, detta meditazione trascendentale, è stata introdotta da Maharishi Mahesh Yogi e viene insegnata da un'organizzazione di istruttori che egli addestra di persona. La tecnica non richiede una concentrazione intensa o particolari forme di rigoroso controllo fisico e mentale e si impara facilmente cosicché tutti i soggetti che si sono sottoposti a un periodo di allenamento anche relativamente breve sono ‘esperti’. Consiste semplicemente in due sedute al giorno di pratica, ciascuna di 15-20 minuti. Il praticante si siede in posizione comoda con gli occhi chiusi. Mediante un metodo sistematico che gli è stato insegnato egli percepisce un suono o un pensiero ‘adatto’. Senza tentare di concentrarsi specificatamente su questo, permette alla sua mente di sperimentarlo liberamente e il suo pensiero, come i praticanti stessi riferiscono, si innalza a un livello più bello e più creativo in modo semplice e naturale”.

V - La tecnica di MT.L'articolo a questo punto illustra i risultati ottenuti dalla pratica della meditazione trascendentale

(brevemente chiamata MT), secondo le ricerche di vari da istituti. Ebbene, mentre i soggetti praticano la MT vengono evidenziati un netto rilassamento ed una forte diminuzione delle tensioni e dello stress. Tutto ciò è rivelato da:

- una rapida e notevole diminuzione della concentrazione del lattato ematico (tripla rispetto ad un normale stato di riposo);

- un eccezionale aumento della resistenza elettrica cutanea (di sei volte rispetto ai valori normali);- una netta diminuzione del consumo di ossigeno e della produzione di anidride carbonica (doppia rispetto al

sonno profondo, ed ottenuta dopo soli tre minuti invece che dopo alcune ore; occorre sottolineare che nell’ipnosi non è mai stata misurata alcuna diminuzione di questo tipo);

- un netto aumento dell'intensità delle onde alfa lente (8-9 cicli/sec) nell'analisi EEG (elettroencefalografica);ed altri effetti.

Fig. 6 - Aumento della resistenza cutanea durante la MT.

Fig. 7 - Diminuzione del lattato ematico durante la MT.

Fig. 8 - Maggiore ordine delle onde cerebrali durante la MT.

L’articolo nota che le modificazioni fisiologiche osservate nelle persone che praticano la MT da due o tre anni “erano molto simili a quelle che sono state osservate in esperti di Yoga molto allenati e nei monaci Zen che hanno un’esperienza nel campo della meditazione di 15-20 anni” (pag.76).

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Anche se la tecnica di MT deriva da antiche tradizioni orientali, i risultati in questione sono stati ottenuti da normali persone che vivono in Occidente e che mantengono il loro consueto stile di vita e le loro convinzioni personali.

L’indagine originaria di Benson e Wallace, condotta intorno al 1970, aveva coinvolto decine di persone di età compresa tra i 17 e 41 anni, maschi e femmine, di ogni razza, studenti e lavoratori, atei e credenti; in breve, un campione di giovani americani con tutta la loro varietà. La maggior parte di queste persone aveva un’esperienza di due o tre anni con la MT.

Benson non ha mai imparato personalmente la tecnica di MT (a differenza di Wallace) ed ha invece creato alcune tecniche di rilassamento di propria iniziativa. Comunque egli riporta le sue ricerche sulla MT sul suo libro The relaxation response (HarperCollins, 1975), un best-seller che tra il 1975 ed il 2002 ha venduto oltre quattro milioni di copie.

Dal 1970 in poi sono state condotte centinaia di ricerche scientifiche sugli effetti della MT in tutto il mondo e su persone di ogni età, ed i risultati sono stati pubblicati su riviste prestigiose come International Journal of Neuroscience, Psychosomatic Medicine, Electroencephalography and Clinical Neurophysiology, Journal of Clinical Psychiatry, Journal of Clinical Psychology, e molti altri.

La tecnica di MT ha confermato di essere eccezionalmente efficace nella riduzione di stress e tensioni, nell'aumento dell'intelligenza, della memoria e della chiarezza mentale, nel rallentamento dell’invecchiamento biologico, nella prevenzione delle malattie e nell'ottenimento di altri benefici neurologici, fisiologici, psicologici e sociologici in certi problemi specifici (per esempio riduzione dell’insonnia, dell’ipertensione, della depressione, del consumo di tabacco, alcool o droghe, aumento della fiducia in se stessi e delle relazioni sociali, diminuzione degli incidenti, dei comportamenti illegali, eccetera).

In particolare, le successive analisi elettroencefalografiche (EEG) hanno evidenziato che non si ha soltanto un aumento di intensità delle onde alfa lente (8-9 Hz), come rivelato dallo studio originario di Wallace e Benson, e come si può ottenere parzialmente con altre tecniche di rilassamento (per esempio il training autogeno o la tecnica inventata dallo stesso Benson). Nella MT è stato evidenziato anche un notevole aumento della coerenza delle onde cerebrali a diverse frequenze: le onde tendono a svilupparsi in fase ed a sincronizzarsi nelle diverse parti del cervello (tra emisfero destro e sinistro, tra parte posteriore ed anteriore).

Va sottolineato che la MT si è rivelata efficace non solo su persone nervose, o ansiose, o stressate, o afflitte da problemi psicologici, ma anche su persone già soddisfatte e realizzate, che hanno potuto migliorare ulteriormente il loro benessere. Secondo le testimonianze dei meditanti, i profondi benefici della MT rendono la vita più serena, più piena e realizzata.

Contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare, la MT non comporta una “fuga dalla realtà” o una forma di misticismo, ma al contrario, rappresenta un’utile ricarica di energia, vitalità ed intelligenza. I meditanti di lunga data sono molto resistenti alle malattie e dimostrano un’età biologica significativamente inferiore rispetto a quella anagrafica.

Noi tutti abbiamo sperimentato che le nostre percezioni sono più chiare quando siamo freschi e riposati, mentre diventano opache e poco sentite quando siamo stanchi o esauriti. Ebbene, praticando la MT le percezioni dei sensi diventano più chiare e nette. Maharishi sostiene che questo è dovuto al raffinamento del sistema nervoso e della mente: la consapevolezza è più chiara e profonda, e poiché essa è lo “schermo” su cui si proiettano tutti i pensieri e le percezioni dei sensi, anche queste ultime diventano più chiare e profonde. In parole povere, la MT permette di “ripulire” lo schermo, il che rende più chiara l’esperienza sia dello schermo stesso (il quarto stato di coscienza), sia dei fenomeni che vi si proiettano.

Attualmente la MT è praticata da circa cinque milioni di persone nel mondo.

VI - La scienza vedica.Maharishi Mahesh Yogi, il maestro indiano laureato in fisica che nel 1957 ha iniziato a diffondere questa

tecnica di MT, aveva trascorso alcuni anni in solitudine sulle montagne dell’Himalaya effettuando ricerche sulla "consapevolezza" in base ad antichissime tecniche Yoga. Egli ha integrato tale conoscenze in una concezione unitaria, chiamata scienza vedica, poiché i suoi principi si ritrovano già nelle antichissime scritture indiane dei Veda.

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Negli anni ’60 Maharishi diventò famoso come il “guru dei Beatles” ed anche come il “guru che ride”, a causa del suo atteggiamento sempre gioviale ed ottimistico. Nel 1970 iniziarono le ricerche neurofisiologiche sulla tecnica di MT ed il suo nome uscì dal folklore per rivestirsi di una certa dignità scientifica.

Maharishi sostiene che lo scopo della MT è quello di raggiungere il quarto stato di coscienza, cioè una “tranquilla vigilanza” o uno “stato di veglia privo di contenuti”, il che rivitalizza la mente e le permetterebbe perfino di sintonizzarsi con l'ordine perfetto del "campo unificato" ricercato dalla fisica contemporanea, fonte di ogni manifestazione in natura.

Vediamo di comprendere meglio questa audace affermazione. Secondo Maharishi i benefici psico-fisiologici della MT sarebbero una conseguenza della sintonia che il sistema nervoso raggiunge con l’ordine del campo unificato, che è alla base delle leggi naturali. Infatti Maharishi sottintende che l'attività mentale sia dovuta a processi chimico-fisici che avvengono ai livelli basilari descritti dalla fisica quantistica, fino a coinvolgere il livello ultimo della realtà, cioè quello fondamentale, dove opera direttamente il campo unificato! Questo è il presupposto cardine della scienza vedica, il cui aspetto pratico principale è la tecnica di MT.

Anche se tali affermazioni sui fondamenti della MT possono sembrare piuttosto azzardate, nessuno può mettere in dubbio l’efficacia di tale tecnica ed i suoi verificatissimi effetti psico-fisiologici.

VII - Altre tecniche Yoga e non Yoga.Nel libro The Relaxation Response del 1975, Benson, dopo aver illustrato i risultati ottenuti dalle sue

ricerche sulla MT, ha affrettatamente affermato che con altre tecniche di rilassamento, meditazione, training autogeno o autoipnosi, si possono ottenere risultati simili. Egli stesso ha sviluppato una tecnica molto semplice di rilassamento, che ha esposto nel suo libro.

Ma le ricerche scientifiche condotte finora hanno dimostrato la maggiore efficacia della MT rispetto a tutte le altre tecniche sottoposte a verifica, sia orientali che occidentali, che ottengono risultati inferiori o parziali: su ciascuno degli aspetti misurati ed esposti brevemente sopra, le altre tecniche hanno rivelato un’efficacia da due a quattro volte inferiore rispetto alla MT; inoltre, nessuna delle altre tecniche presenta una costellazione di effetti altrettanto vasta (cioè tutti quegli effetti insieme). Questo è dimostrato da due meta-analisi comparative, condotta su oltre 100 ricerche indipendenti (Journal of Clinical Psychology n,45, 1989; e Journal of Social Behavior and Personality, n.6, 1991).

Maggiori informazioni sulla MT si possono trovare sui siti internazionali www.tm.org e www.mum.edu, e a livello nazionale su www.meditazione.com, www.maharishi.it e www.ipotesi.net.

Un altro maestro indiano, Paramahansa Yogananda, noto per la sua Autobiografia di uno Yoghi (Astrolabio), ha insegnato la tecnica di Kriya Yoga, definendola potentissima per la purificazione del sistema nervoso e per il conseguente sviluppo spirituale (a cui la tecnica sarebbe finalizzata). Il Kriya Yoga unisce particolari tecniche di respirazione (pranayama) e di meditazione, e secondo Yogananda purifica il sangue dall’anidride carbonica arricchendolo di ossigeno.

Il Kriya Yoga però non è facile da imparare come la MT; inoltre non sono state effettuate ricerche scientifiche di vasta scala su tale tecnica, e quindi non possiamo essere certi della sua efficacia (nonostante le molte testimonianze soggettive a suo favore). Per questo noi ci riferiremo soprattutto alla MT di Maharishi, sulla cui efficacia ormai nessuno può più avere dubbi.

La visione di Maharishi, di Yogananda e di altri maestri orientali è molto più vasta rispetto ad una semplice teoria psico-fisiologica: la loro concezione ha la pretesa di essere completa (olistica), perché non intende limitarsi alla mente umana ma ritiene di poter spiegare anche la relazione della mente stessa con i livelli più profondi della realtà naturale, coinvolgendo così varie scienze (fisica, chimica, biologia, fisiologia, neurologia) ed anche la filosofia. Ma su questo torneremo in seguito.

VIII - Esperienze soggettive del quarto stato.Da buoni occidentali, abbiamo voluto subito esaminare gli effetti oggettivi che la MT (o altre tecniche Yoga)

hanno sul corpo, sul sistema nervoso e sul cervello. Ma gli aspetti soggettivi quali sono?!Ricordiamo le due affermazioni che abbiamo trovato all’inizio degli Yoga sutra. Lo Yoga è la sospensione

dell’attività della mente: in quello stato il soggetto sperimenta la sua natura essenziale.Abbiamo già detto che Patanjali si riferisce ad un quarto stato di coscienza in cui la mente è sveglia e

cosciente ma priva di contenuti: in questo stato, detto turiya, samadhi, o stato di pura coscienza, non si hanno

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pensieri o percezioni esterne ma si percepisce solo la propria consapevolezza. Per giunta questa viene definita la “natura essenziale” della mente, cioè il suo stato naturale, in cui si rivela la sua intima essenza!

Maharishi paragona la pura coscienza ad un oceano sconfinato, che può essere modulato dalle onde dei pensieri. Ma che cosa significa esattamente tutto questo? Ovviamente è impossibile dar conto di un’esperienza se non la si prova personalmente, comunque possiamo aiutarci con alcune testimonianze.

Riferiamoci ancora a chi pratica la MT, che è una tecnica Yoga diffusa e standardizzata. Generalmente il “meditante” non prova subito questa esperienza, ma sente che i pensieri diventano più “sottili” e “profondi”, “meno intensi” e più simili ai sentimenti: in qualche modo, il meditante si sta avvicinando allo stato in cui la mente è perfettamente silenziosa. Dopo alcuni mesi o anni di pratica, molti meditanti giungono a sperimentare il quarto stato di coscienza, che risulta uno stato mentale tranquillo e piacevole in cui non vi sono più pensieri.

Maharishi paragona tale stato della mente allo schermo di un cinema su cui non si proietta più il film, ma sul quale si vede ancora la luce del proiettore. Tale esperienza generalmente dura solo per pochi attimi: infatti subito dopo il sistema nervoso reagisce a questo stato di profondo riposo liberando una qualche tensione e provocando così la comparsa di nuove sensazioni e nuovi pensieri sullo “schermo della mente”, o sulla “lavagna mentale”.

Il medico Campbell, che pratica la MT ed ha scritto il libro Sette stati di coscienza, riporta le affermazioni di alcune persone che in passato (pur non conoscendo la MT) sembrano aver provato tale esperienza in maniera netta e profonda. Il poeta Tennyson parlava di una specie di trance sveglia, che non sapeva definire con termini più esatti, in cui “l’individualità sembrava dissolversi in un essere sconfinato, e questo non era uno stato confuso, ma il più chiaro, il più sicuro, totalmente al di là delle parole, laddove la morte era di un’impossibilità che faceva quasi sorridere”.

Un altro poeta, Symonds, affermò: “Nulla rimaneva se non un puro, assoluto, astratto Sé. L’universo diventava senza forma e privo di contenuto. Ma il Sé rimaneva, nella sua vivida acutezza”. Symonds aggiunse che non avrebbe saputo dire se la vera realtà fosse quella che percepiva durante questa esperienza o quella familiare dei fenomeni oggettivi. Evidentemente questi due poeti, oltre ad essere dotati una particolare sensibilità, avevano la fortuna di avere un sistema nervoso molto “sano” e “puro”, che permetteva loro di sperimentare facilmente tale stato.

Ed ecco la mia testimonianza in proposito: io pratico la MT dal 1983 e fin dai primi giorni ho sentito dei netti benefici sulla mente e sul sistema nervoso. Inoltre col passare del tempo ho acquistato una comprensione sempre più profonda degli avvenimenti della mia vita, tutti i problemi esistenziali si sono dissolti e da allora tutto sembra avere più senso di prima. A partire dal 1987 ho iniziato ad accedere occasionalmente ad uno stato di coscienza privo di contenuti o di “silenzio interiore”, anche solo per pochi attimi.

In due occasioni per me questo stato è risultato chiaro ed illuminante come nelle due testimonianze di Tennyson e Symonds. Descrivo brevemente le mie due esperienze (pur sapendo che ciò che sto per scrivere potrà sembrare bizzarro o inverosimile).

In una delle due occasioni ebbi l’impressione che la mia mente fosse entrata di uno sconfinato spazio silenzioso, universale ed infinitamente affascinante, in cui si trovava perfettamente a suo agio. Questo stato durò parecchi secondi, poi involontariamente pensai la parola “mistero”, come a voler descrivere quello stato. Col senno di poi, direi che la parola “prodigio” sarebbe stata più adatta a descrivere quell’esperienza.

Nell’altra occasione provai un’estasi improvvisa, acuta e “cristallina”, accompagnata dalla limpida intuizione che l’intero universo fosse una immensa proiezione di una mente universale di cui io facevo parte a pieno titolo. Questa esperienza durò pochi secondi e mi fece prorompere in una grande risata. Subito dopo il mio pensiero si rivolse alle dottrine dei filosofi materialisti, quasi come a volerle deridere, poiché finalmente avevo la certezza interiore che esse fossero irrimediabilmente sbagliate: la realtà non era materiale, bensì “spirituale” o comunque fondata su un principio mentale.

Mi rendo perfettamente conto che non è possibile trasmettere ad altri una “certezza interiore”, e che essi saranno comunque portati a ritenerla illusoria. L’unica cosa che posso fare è incoraggiare il lettore a sperimentare personalmente tale stato, con le tecniche adatte, come la MT.

Forse questo stato di coscienza è simile all’estasi mistica sperimentata e descritta nei secoli passati da diversi santi cristiani. Alcuni scrittori, come Baudelaire, riportano esperienze vagamente simili a queste, provate facendo uso di forti dosi di droghe. Però lo stesso Baudelaire descrive anche le disastrose conseguenze negative che egli ebbe sulla mente e sulla salute in seguito all’uso di tali sostanze. Al contrario delle droghe, la MT dà degli “effetti collaterali” molto benefici (chiarezza mentale, rimozione di nervosismo e di stress). Inoltre i meditanti che in precedenza facevano uso di droghe riducono fortemente il consumo o lo eliminano totalmente.

Tornando agli aspetti oggettivi di questo presunto quarto stato di coscienza, occorre riconoscere che le ricerche condotte hanno evidenziato alcuni aspetti particolari che sembrano contraddistinguerlo, sia in senso fisiologico (metabolismo ridotto ed altri sintomi come quelli riportati in precedenza), sia in senso neurologico (elettroencefalogramma con intense onde alfa lente e una aumentata sincronia tra i due emisferi cerebrali e le diverse parti del cervello).

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XIX - Stati superiori di coscienza.Oltre al quarto stato di coscienza (samadhi o turiya) i maestri indiani postulano l’esistenza di uno stato

successivo, la cosiddetta coscienza cosmica o stato di illuminazione: in questo quinto stato di coscienza la perfezione del samadhi viene mantenuta anche durante l’attività abituale nella vita di tutti i giorni.

Yogi Ramacharaka, nella sua “lezione terza” del “Corso superiore di filosofia yoga” parla della sublime consapevolezza dell’Io sono, che non è un’esperienza intellettuale bensì intuitiva. Non è chiaro se egli si riferisce al quarto o al quinto stato di coscienza, fatto sta egli descrive l’esperienza dell’Io sono in termini di gioia assoluta, che porta il soggetto ad essere “consapevole del proprio sapere in senso assoluto” e a “trovare in sé ogni risposta”. Ancora una volta questo ricorda l’estasi di Plotino.

Yogi Ramacharaka sostiene che diversi occidentali hanno raggiunto lo stato di illuminazione, come ad esempio il poeta Whitman. Secondo Maharishi anche musicisti come Bach e Vivaldi raggiunsero tale stato, altrimenti non si spiegherebbe la bellezza e la perfezione della loro musica.

Forse il quarto o il quinto stato di coscienza può essere colto occasionalmente da qualsiasi persona, in circostanze particolari. Tracce di questa esperienza sembrano ritrovarsi perfino in poeti ed artisti che hanno solitamente espresso la loro malinconia o il loro disagio esistenziale: si pensi all’Infinito di Leopardi, alla Mattina di Ungaretti (“Mi illumino di immenso”) o a frasi contenute in certe canzoni moderne (ad esempio “L’universo trova spazio dentro me”, in una nota canzone di Battisti e Mogol).

X - Il mantra e l’unità psicofisica dell’individuo.Tornando a Ramacharaka, egli cita anche le esperienze di Tennyson (che abbiamo già considerato sopra), e

riporta la presunta testimonianza di alcuni amici intimi del poeta, secondo cui egli poteva giungere sistematicamente ad uno stato di estasi ripetendo mentalmente il proprio nome per centinaia o migliaia di volte. Questo metodo ricorda quello usato dalla MT e da altre tecniche di meditazione, che consiste nella ripetizione mentale di un certo pensiero, secondo una procedura sistematica: per questo occorre una particolare parola adatta allo scopo, chiamata mantra.

Il mantra più noto in India e nel mondo è la sillaba om o aum, che rappresenta l’Assoluto, e che in Occidente viene spesso associato con il misticismo indiano. Ovviamente l’uso del suono om è estraneo alla MT, che impiega solo mantra finalizzati ad agire sul sistema nervoso, grazie alla loro struttura fonetica.

La traduzione della parola mantra in occidente talvolta coinvolge concetti religiosi, mistici o magici. Ma in realtà il termine mantra deriva dal sanscrito mananat trayate, che significa semplicemente allenamento della mente. In inglese questo si tradurrebbe con mind training, che presenta una chiara affinità fonetica con il termine mantra, il che non è casuale ma rivela la comune radice indoeuropea.

Com’è possibile che la ripetizione mentale di una parolina priva di significato porti conseguenze così grandi come quelle verificate nella MT?! Recentemente Benson ha sottolineato che negli anni ‘70 affermare una cosa del genere sembrava addirittura un’eresia: allora era veramente audace ipotizzare che un semplice pensiero soggettivo potesse influenzare direttamente la fisiologia. Da più di tre secoli la mente veniva considerata separata dal corpo, in seguito al modello cartesiano, e nel corso del ventesimo secolo tale processo di separazione era divenuto praticamente un “divorzio”, poiché il grande progresso della chimica aveva portato alla produzione di medicinali molto potenti ed efficaci, ed aveva fatto quasi scomparire il concetto di “autoguarigione”.

Ma i risultati sulla MT dimostrarono chiaramente che la mente può agire direttamente sulla fisiologia, ed oggi questo non appare più così insolito (e tutto ciò è indipendente dal fatto che la ricerca farmacologica abbia continuato a sfornare prodotti sempre più validi ed efficaci).

È inevitabile sottolineare la stretta affinità tra mente e corpo professata dallo Yoga e confermata dalle verifiche sulla MT: lo stress può essere eliminato dal sistema nervoso sia attraverso il corpo (Hatha Yoga) che con la mente (meditazione). Si tratta di una concezione psicofisica integrata, che collega strettamente mente e materia (in barba al dualismo cartesiano) e che in filosofia verrebbe definita un “monismo real-idealistico”.

XI - Il mantra come risonanza nel sistema nervoso.Vediamo dunque di comprendere il motivo dell’efficacia del mantra, che oggi dobbiamo considerare

indiscutibile, poiché gli effetti della MT sono stati verificati da centinaia di ricerche scientifiche.

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Il sistema nervoso ed il cervello producono e sono percorsi costantemente da segnali elettrici. Le onde cerebrali evidenziate dalle analisi EEG sono oscillazioni elettriche di basso voltaggio e bassa frequenza (fino a una trentina di Hertz), come abbiamo visto nel capitolo 2. Ebbene, è chiaro che qualsiasi pensiero, volontario o involontario, da un punto di vista fisico consiste in un impulso elettrico, o meglio, come un insieme di vibrazioni e di onde di natura elettrica, che evidentemente possono modificare l’attività EEG e conseguentemente avere degli effetti sulla fisiologia della persona. Questo aspetto forse è stato sottovalutato fino ad oggi (o almeno fino agli anni ‘70).

Inoltre è ovvio che ripetendo sistematicamente un certo pensiero determinato (il mantra) secondo una procedura ben definita, le conseguenze che si potranno ottenere sull’attività cerebrale e sul sistema nervoso saranno ancora più nette (in fisica si parlerebbe di un’oscillazione forzata). Se poi il mantra è scelto non a caso, ma in modo da avere degli effetti specifici, possiamo comprendere perché la MT riesca ad ottenere i notevoli effetti che sono stati descritti sopra.

Se questa spiegazione non è convincente, si pensi all’effetto fastidioso che può essere generato sul sistema nervoso da un gesso stridente sulla lavagna. Si sostituisca il suono esterno con un “suono interno” (cioè un pensiero) che dia un effetto opposto (cioè rilassante invece che fastidioso), e si ripeta questo procedimento per alcuni minuti: è ragionevole supporre che vi saranno degli effetti sul sistema nervoso.

Nel capitolo 2 abbiamo visto che in fisica i cosiddetti fenomeni di risonanza possono dar luogo ad effetti rilevanti, grazie alle scelta opportuna delle frequenze. Abbiamo parlato di certe note musicali che possono frantumare oggetti di cristallo, o dell’incredibile crollo del ponte di Tacoma nel 1940, dovuto certe raffiche di vento ritmiche.

Evidentemente il mantra utilizzato nella MT crea una qualche forma di risonanza complessa nel sistema nervoso (complessa perché evidentemente riguarda anche la fonetica del mantra, che ne determina la forma d’onda).

XII - L’eliminazione di stress dal sistema nervoso.In quest’ottica, lo stress e le tensioni contenute nel sistema nervoso sono paragonabili ad un certo disordine

contenuto in esso, ovvero (come si dice in fisica ed in ingegneria) un rumore di fondo. Evidentemente il mantra introduce delle oscillazioni nel sistema nervoso, che sono capaci di rimodellarlo o (per così dire) di “massaggiarlo” interiormente, eliminando le imperfezioni ed il dannoso “rumore di fondo”.

Una volta chiesi alla mia insegnante di MT: dove va a finire lo stress che viene eliminato? Ella rispose con due domande: dove va a finire un nodo quando viene sciolto? Dove a finire il buio quando arriva la luce?

Quando riferisco questo episodio molti apprezzano la seconda risposta, ma io preferisco la prima perché mi sembra più vicina a quello che avviene fisicamente nel sistema nervoso a livello fisico. Ovviamente il sistema nervoso non può propriamente annodarsi su se stesso, ma come buona analogia possiamo pensare ad un filo di metallo che, dopo aver subito delle distorsioni, venga stirato di nuovo. Questa però è un’immagine “statica” del sistema nervoso, che va sostituita in realtà con un’immagine dinamica, che comprende segnali che lo attraversano continuamente, lasciando come indesiderato residuo il “rumore di fondo” costituito dallo stress.

Forse la psicologia potrebbe ricollegarsi a tutto questo, identificando il cosiddetto “subconscio” con le alterazioni subite dal sistema nervoso in seguito ad esperienze spiacevoli.

Per concludere la nostra indagine sull’influenza dei suoni sulla struttura biologica degli organismi viventi, possiamo anche citare alcune insolite ricerche, che hanno dimostrato che la musica classica aumenta in misura significativa la produzione di latte delle mucche, e la crescita di alcune piante!

Le tecniche di meditazione in India sono moltissime, ma abbiamo già detto che finora le ricerche scientifiche hanno evidenziato la maggiore efficacia della MT di Maharishi rispetto alle altre tecniche sottoposte a verifica. Evidentemente nella MT vi è un’ottimale scelta del mantra e del metodo per utilizzarlo.

XIII - La concezione real-idealistica dell’universo.Adesso che abbiamo compreso il modo in cui il mantra agisce sul sistema nervoso, qualcuno potrà chiedersi:

le tecniche di meditazione derivano da tradizioni indiane che risalgono a parecchi secoli fa, e che cosa ne sapevano gli antichi indiani delle onde cerebrali, dei fenomeni di risonanza, e dell’attività elettrica nel sistema nervoso?!

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I fondatori dello Yoga in effetti non avevano strumenti idonei ad una ricerca fisiologica o elettroencefalografica, ma si basavano esclusivamente sulle esperienze soggettive. Gli Yogi però sostengono che i loro metodi sono sistematici e riproducibili, e possono dar luogo a certi risultati esatti, al pari della nostra scienza moderna oggettiva.

Si dice che queste insolite ricerche interiori siano state condotte in certi stati superiori di coscienza, che superano il quarto stato (samadhi) e perfino il quinto (coscienza cosmica): secondo Maharishi esisterebbero anche un sesto ed un settimo stato di coscienza. In questi stati superiori di coscienza gli antichi Yogi percepirono l’intero universo come un immenso campo di consapevolezza in eterna vibrazione, in cui le informazioni si propagano per onde, che possono essere percepiti come particolari “suoni” che attraversano la consapevolezza.

Filosoficamente si tratta di una concezione real-idealistica, o psico-fisica, in cui esiste una sola entità astratta e concreta insieme (il Brahman), le cui vibrazioni danno origine all’intera manifestazione della realtà. Il suono om è importante non per motivi religiosi o mistici (o almeno non solo per quelli), ma perché viene considerato la vibrazione fondamentale che pervade l’intero universo.

In altre parole, l’importanza che la concezione indiana attribuisce ai mantra e ai suoni in generale, coinvolge la concezione stessa dell’universo: ricordiamo infatti che i suoni fisicamente sono prodotti dalle vibrazioni dei corpi materiali e si propagano nell’aria sotto forma di onde. Generalizzando questo concetto gli Yogi concepiscono tutto l’universo (compresa la materia stessa) in termini di vibrazioni ed onde nel Brahman, e simbolicamente affermano che “tutto è suono”.

Mentre per noi occidentali l’universo è una realtà oggettiva costituita di materia, per la filosofia indiana l’universo è una proiezione di una mente universale in eterna vibrazione, una struttura psico-fisica in cui risuonano certe onde caratteristiche, ovvero (in senso lato), certi “suoni” fondamentali come il celebre om.

XIV - Materia, energia, mente ed assoluto.Secondo questa visione, le esperienze soggettive della meditazione (e di ogni altro pensiero o percezione

soggettiva) sarebbero connesse direttamente con la struttura più intima dell’universo. In altre parole, le vibrazioni fondamentali che risiedono ed avvengono ai livelli più sottili della realtà oggettiva, sarebbero le stesse che risuonano nella nostra consapevolezza in termini di pensieri soggettivi! I nostri pensieri sarebbero vibrazioni e onde a bassa frequenza (fino a pochi kiloHertz) che avvengono ai livelli quantistici del nostro sistema nervoso.

Questa stretta connessione tra oggettivo e soggettivo per noi occidentali suona davvero insolita e difficilmente accettabile, se non perfino inverosimile. Accettare un concetto del genere significherebbe tornare (nel modo più profondo possibile) all’affermazione di Spinoza secondo cui la connessione e l’ordine delle cose oggettive sono le stesse che delle idee soggettive (capitolo 5). Anche se la frase di Spinoza può sembrare bella ed ispirante, non ci aspettavamo di doverla accettare come vera fino a questo punto!

D’altronde, dopo quattro secoli di “esilio” della mente dal corpo, dovuta al dualismo cartesiano tra spirito e materia, un’idea del genere ci apparirà necessariamente strana e bizzarra. Nella mentalità occidentale ormai è così radicato il pregiudizio dell’oggettivazione che non possiamo accettare facilmente una concezione che connette oggettivo e soggettivo in modo così intimo.

Perfino Hegel, che era un filosofo idealista e fondava tutto sull’Idea, o Ragione, o Spirito, rifiutava il concetto di intuizione intellettuale, che secondo Fichte e Schelling poteva farci percepire l’Assoluto tramite un’intuizione diretta e soggettiva. Hegel non poteva accettare che l’Assoluto fosse così facilmente accessibile, e questo suo atteggiamento a noi occidentali appare ragionevolissimo.

Eppure gli Yogi indiani continuano imperterriti a ripetere questo concetto con una naturalezza sconcertante: oggettivo e soggettivo sono intimamente connessi, e la nostra mente è a diretto contatto con i livelli fondamentali della realtà.

Leggiamo ciò che afferma Yogi Ramacharaka, con una semplicità addirittura infantile:“Gli Yogi sostengono che la Materia in sé non esiste ma è solo una forma di Energia; che l’Energia è una forma di Mente e che la Mente è una manifestazione dell’Assoluto”. Queste righe sono tratte dalla Lezione Undecima del suo Corso superiore di filosofia Yoga, che è stato pubblicato per la prima volta (in inglese) nel 1904.

La teoria della relatività ristretta di Einstein risale al 1905, e quindi Yogi Ramacharaka non poteva ancora conoscere l’equivalenza tra massa ed energia: a quei tempi la fisica era ancora allo stadio totalmente

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materialistico che aveva contraddistinto il diciannovesimo secolo. Questo rende ancora più sorprendente le affermazioni di Yogi Ramacharaka, che dava già per scontato che la materia fosse una forma di energia.

Inoltre per lui l’energia non è altro che una forma di mente! Questa affermazione, che a primo acchito può essere derisa per la sua enorme ingenuità, in realtà ci fa riflettere sul senso dei paradossi quantistici (descritti nel capitolo 3), in cui la figura dell’osservatore cosciente sembra determinante (anche se ovviamente molti fisici cercano di sottovalutarla, per fedeltà al principio dell’oggettivazione).

Un fisico che nel 1904 avesse letto tali affermazioni, le avrebbe sonoramente derise. Ma noi oggi possiamo permetterci di fare altrettanto? Incredibilmente, le strane previsioni di Yogi Ramacharaka si stanno in qualche modo avverando. E la sicurezza con cui egli afferma tutto ciò ci rende ancora più perplessi: “ciò che per la scienza è una meta lontana, per gli Yogi è un fatto antico”.

Per anni ho letto trattati sulla filosofia indiana e sulla Yoga, inclusi quelli del celebre Mircea Eliade, e sinceramente ci ho capito ben poco. Ma grazie a poche righe di questo Yogi Ramacharaka, espresse in un linguaggio infantile, spontaneo e audace fino a sfiorare il ridicolo, credo di aver veramente capito il senso della filosofia Yoga: “Che cosa ha fatto la scienza? Ha fatto della Materia un Dio, le ha attribuito delle qualità che appartengono non alla manifestazione dell’Assoluto, ma all’Assoluto stesso. Gli Yogi a loro volta sostengono che la Materia in sé non esiste ma è solo una forma di Energia; che l’Energia è una forma di Mente e che la Mente è una manifestazione dell’Assoluto”.

XV - Il Vedanta.La filosofia indiana è unitaria ed i suoi sei sistemi non sono sostanzialmente diversi tra di loro. Comunque,

per salvare le apparenze, facciamo conto che i sei sistemi siano realmente diversi ed esaminiamo quello che viene considerato il più elevato: il Vedanta.

Esso è stato sistemato da Shankara nell’ottavo secolo dopo Cristo ed intende riassumere in un’unica concezione coerente le dottrine esposte nelle Upanishad, le antiche scritture indiane che a loro volta intendono interpretare i Veda, le antichissime scritture apparentemente mitologiche dell’India (su cui si basano tutti i sistemi “ortodossi” della filosofia indiana).

Il Vedanta è un monismo idealistico assoluto, tale da far impallidire l’idealismo di Fichte e Schelling. Il sistema filosofico occidentale più vicino al Vedanta è senza dubbio quello di Plotino (capitolo 4), il quale attinse gran parte delle sue teorie proprio dall’India.

Secondo il Vedanta, tutto è Brahman, così come per Plotino tutto è l’Uno. Il Brahman è unità assoluta, totalità, e completezza: la molteplicità è solo un’apparenza, e solo l’Uno esiste. Il Brahman è indescrivibile a parole, poiché esso è un prodigio troppo grande per poter essere concepito in termini razionali. Ma il Vedanta tenta ugualmente di darne una descrizione, e sostiene che le manifestazioni più sottili del Brahman sono: Sat (essere), Chit (coscienza o consapevolezza), Ananda (beatitudine).

La consapevolezza di ogni essere cosciente è come una luce che deriva direttamente dal Brahman, e perciò l’uomo può “sentire” o “cogliere” il Brahman in se stesso: questo è possibile nel quarto stato di coscienza, turiya, che è uno stato di pura consapevolezza priva di contenuti e di perfetta beatitudine (quello che nello Yoga viene chiamato samadhi). In conclusione, l’aspetto più essenziale dell’uomo, chiamato Atman (termine che solitamente viene tradotto con anima), coincide col Brahman.

Il grande fisico Schrödinger dichiarò che se esiste una formula o una equazione fondamentale alla base dell’universo, questa è proprio: Atman = Brahman! Schrödinger si rese anche conto che in Occidente ciò suona come un’assurdità, poiché appare troppo mistico ai materialisti e agli atei, ed appare troppo audace ai cristiani, quasi una bestemmia (poiché essi interpreterebbero tale affermazione in questi termini: ciascun uomo è Dio).

Secondo Schrödinger però tale affermazione è perfettamente ragionevole: per lui l’universo è un unico immenso campo di consapevolezza (come nelle filosofie idealistiche) e i singoli uomini sono manifestazioni e prodotti di tale campo universale. In altri termini, l’unico Brahman e i diversi Atman sono la stessa cosa.

Schrödinger azzarda questa arditissima ipotesi nell’ultimo capitolo del libretto “Che cos’è la vita?”, un testo che risulta importantissimo per la scienza, perché indirizzò i biologi Watson e Crick verso la scoperta del DNA, la macromolecola che contiene il patrimonio genetico di ogni essere vivente e ne dirige lo sviluppo biologico.

Tornando al Vedanta, tutti i fenomeni della realtà manifesta sono proiezioni del Brahman, e complessivamente costituiscono il mondo fenomenico, detto Maya. Per dirla in termini kantiani, il Brahman è il noumeno o la cosa in sé, mentre Maya è l’insieme dei fenomeni. Le Upanishad a questo proposito danno una

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spiegazione bellissima, che descrive come perfettamente pieni sia il Brahman sia Maya, anche se Maya è generata dal Brahman: “Pieno è Quello, Pieno è Questo. Se si estrae il Pieno dal Pieno, tuttavia rimane intatto il Pieno”.

Il rapporto tra Brahman e Maya è descritta meravigliosamente nella metafora della danza di Shiva (sebbene essa non sia originaria del Vedanta). Maya, cioè l’insieme dei fenomeni che osserviamo nella realtà nel loro divenire, sono rappresentati dalla danza, mentre il Brahman è rappresentato da Shiva stesso: se Shiva si ferma, la danza termina ed il mondo fenomenico di Maya scompare, ma Shiva non scompare, cioè il Brahman rimane inalterato.

XVI - Unità e molteplicità.Secondo il Vedanta, come si generano gli esseri individuali dall’unità assoluta? Questo lo abbiamo già visto

nel capitolo 4 nel paragrafo relativo a Plotino: in breve, la molteplicità si crea dall’unità nello stesso modo in cui la luce del sole, attraverso diversi riflessi nell’acqua, o attraverso diversi vetri colorati, sembra dar luogo a diverse sorgenti di luce; un’altra analogia è quella di un’unica sorgente di acqua che, incanalata in fontane diverse, crea l’illusione che esistano diverse sorgenti.

Tutto questo può sembrare brutto e spiacevole a noi occidentali che teniamo molto alla nostra individualità: l’unità assoluta professata dal Vedanta non si adatta alla nostra mentalità ed al nostro modo di essere. Ma dobbiamo ammettere che anche la concezione materialistica è monistica: secondo il materialismo, noi siamo tutti figli della materia, e siamo nati specificatamente da un unico “brodo primordiale”.

Io personalmente preferirei essere una delle tante manifestazioni di un unico campo di consapevolezza universale, piuttosto che una delle tante manifestazioni di un unica brodaglia di elementi chimici.

Senza dubbio la concezione più bella e confortante è quella della religione cristiana, che ammette l’esistenza di innumerevoli anime individuali. Questa visione comunque si può ritrovare anche nel Samkhya e nello Yoga: i diversi purusha sono considerati separati, individuali, anche se la loro essenza è la stessa (pura consapevolezza); in altre parole, i diversi purusha sono come scintille individuali del fuoco del Brahman, ovvero il Brahman si può immaginare come suddiviso (o “quantizzato”) in tanti diversi purusha.

Se si supera tale controversia tra molteplicità ed unità del Brahman, il Vedanta non è molto dissimile dal Samkhya e dagli altri sistemi. Si consideri questa frase tratta dalle Upanishad: “Il Brahman dorme nelle pietre, respira nelle piante, pensa negli animali e discerne negli uomini”.

XVII - La concezione della fisica contemporanea.Il Vedanta (così come l’intera filosofia indiana) può sembrare astratto e fantastico, eppure esso sembra

presentare delle strette analogie con la visione generale dell’universo data dalla fisica contemporanea: come abbiamo visto nel capitolo 2, oggi la realtà subnucleare è concepita dalla fisica come un insieme di “perturbazioni” del “vuoto quantistico”: si ricordi l’esempio del topolino sotto il lenzuolo.

Lo spazio non né assoluto nè propriamente “vuoto” nel senso in cui lo intendevano Democrito, Galileo e Newton. Insieme al tempo, lo spazio costituisce un’unica realtà, lo spazio-tempo o cronotopo, che vibra in sé stesso ed è percorso da onde (secondo le leggi della meccanica quantistica), il che dà origine alle diverse particelle e alle diverse forze.

Ogni particella, o forza, non è altro che uno “stato eccitato” del vuoto quantistico. I fisici teorici, stanno cercando di spiegare tutto ciò in termini di una sola entità, il campo unificato; attualmente la “teoria del tutto” più accreditata è quella della superstring o supercorda, che riprende e sviluppa i risultati ottenuti negli anni ’80 dalla teoria della supersimmetria o supergravità.

Se confrontiamo la visione della fisica contemporanea con la visione antica della filosofia indiana, troviamo delle straordinarie analogie:

- l’unità del tutto;- l’idea che esista un livello fondamentale più stabile e profondo alla base di tutta la realtà, ovvero un campo

astratto universale, responsabile dell’intera manifestazione concreta dell’universo;- l’esistenza di vibrazioni ed onde che percorrono tale campo universale dando appunto origine all’intera

manifestazione concreta dell’universo, che non altera e non condiziona la perfezione del campo originario, così come un oceano esiste indipendentemente dal fatto che sia percorso o meno da onde. La metafora dell’oceano è

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utilizzato sia dai fisici contemporanei (ad esempio Pagels, cap.2, par.XIX), sia dai maestri indiani che parlano del Brahman.

Il concetto di campo unificato sembra praticamente identico al concetto di Brahman; e l’insieme delle manifestazioni relative, in eterno movimento, sembra praticamente identico al concetto di Maya; questo concilia anche l’Essere di Parmenide (eterno ed immutabile) con il divenire di Eraclito.

L’unica cosa che in questa stretta analogia non trova una corrispondenza è che nella filosofia indiana il Brahman viene considerato come un campo di consapevolezza (chit), il che non ha senso in termini di fisica! Ma dobbiamo anche riconoscere che il modello scientifico, basato sull’oggettivazione, a tale proposito si scontra con una ovvia limitazione: non può riconoscere l’esistenza della mente, proprio perché è stato creato per indagare una presunta realtà totalmente oggettiva e priva di coscienza.

Sarebbe come pretendere di riconoscere il colore rosso indossando degli occhiali con le lenti verdi: ciò è impossibile a priori. Per riconoscere il colore rosso, dobbiamo toglierci gli occhiali, cioè uscire dal modello dell’oggettivazione. Questi argomenti saranno ampiamente trattati nel capitolo 8, con l’aiuto di Schrödinger.

Non è certamente lo scopo di questo libro criticare il modello adottato dalla scienza, basato sull’oggettivazione: esso si è rivelato utilissimo per lo sviluppo della scienza. Ma è necessario mettere in evidenza che per sua natura lo “strumento” della scienza (basata appunto sull’oggettivazione) è inadatto a riconoscere eventuali qualità come chit (la consapevolezza) nella realtà fondamentale.

In ogni caso, gli strani paradossi quantistici descritti nel capitolo 3 (che si rivelano nonostante l’intenzione della scienza di essere puramente oggettiva) ci dovrebbero far riflettere: forse nella visione dei livelli fondamentali dell’universo manca davvero qualcosa, e forse si tratta proprio di quel chit (la consapevolezza).

XVIII - Noi dentro l’universo e viceversa.Le concezioni occidentali privilegiano l’oggettivo e la materia: in Occidente le filosofie idealistiche sono

state solo occasionali. In India è il contrario: le concezioni dominanti sono idealistiche, e quelle materialistiche sono state solo occasionali (ad esempio quella di un certo Charvaka).

La filosofia occidentale nasce con le concezioni oggettive dei filosofi ionici, che rivolsero la loro attenzione alla natura oggettiva. Anche se essi immaginavano la natura permeata anche da un principio mentale, comunque la concepivano in termini oggettivi. In quest’ottica, noi esseri umani esistiamo dentro un mondo oggettivo preesistente.

Viceversa l’approccio dei sistemi filosofici indiani alla realtà è basato sulla consapevolezza. Si tratta di un atteggiamento opposto al precedente. Il mondo esiste dentro di me, cioè dentro la mia consapevolezza: e se la mia consapevolezza non è preparata a percepirlo bene, cioè è essa stessa imperfetta, la mia percezione non potrà accedere ai livelli più sottili, raffinati e fondamentali della realtà. Si ricordi l’esempio del mio amico Franco, con cui è iniziato questo capitolo. Tutta la mia esperienza si basa sul mio stato di coscienza.

Mentre i primi filosofi occidentali credettero di individuare il principio primo dell’universo (arché) nel mondo oggettivo (l’acqua, l’aria, o l’apeiron), gli antichi rishi (saggi) indiani che percepirono i Veda credettero di individuare il principio primo dell’universo nella loro stessa consapevolezza.

Ovviamente ancora oggi la scienza cerca il principio primo nella realtà oggettiva: si parla di big bang, di galassie, eccetera, secondo una concezione enormemente evoluta rispetto a quella ingenua dei filosofi ionici. Eppure l’atteggiamento è lo stesso. Il principio primo è un oggetto, o un evento oggettivo, ma non è mai qualcosa che riguarda la nostra consapevolezza. La nostra mente non è autonoma, è da ricondurre a qualcos’altro, ad un principio oggettivo, materiale.

Per noi è ovvio dire che facciamo parte del mondo: quante volte abbiamo sentito domande esistenziali del tipo: “che cosa ci sto a fare al mondo?”. Perfino la religione afferma che “polvere sei e polvere ritornerai”, e questo ci sembra del tutto comprensibile e ragionevole. Tutto ciò invece non ha senso nella concezione indiana. Per i filosofi indiani è il mondo che fa parte di noi, poiché si proietta nella nostra coscienza! In questo momento io vedo una montagna: pur essendo lontana, essa è dentro di me, cioè dentro la mia mente.

Nel capitolo 10 vedremo come Schelling esamina i due opposti punti di vista e li unisce mirabilmente: oggettivo e soggettivo sono due poli, ciascuno dei quali tende all’altro. La realtà è la sovrapposizione di entrambi gli aspetti, oggettivo e soggettivo. Vederne solo uno alla volta è parziale e unilaterale e può portare ad una concezione errata o perfino “patologica”.

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Così come il “solipsismo” o l’idealismo puramente soggettivo di Fichte ci appaiono assurdi, forse è altrettanto assurda anche la concezione opposta, puramente oggettiva, quella che Fichte chiama realismo dogmatico o semplicemente dogmatismo, e che è basata sulla cosiddetta ontologia materialistica, cioè sul credere che la materia abbia una propria consistenza, autonomia e totale indipendenza da chi la percepisce.

In questa visione, che a noi occidentali appare del tutto ovvia, la materia esiste a priori ed è indipendente dal soggetto. Di conseguenza l’universo, nato dal big bang, è del tutto incurante dell’esistenza di esseri coscienti come siamo noi, perché in questa visione noi siamo una bizzarra anomalia nata per caso dal brodo primordiale.

Riprenderemo nei capitoli 8 e 9 questo argomento, che a molti lettori apparirà strano, proprio a causa dei pregiudizi insiti nella nostra mentalità, che privilegia l’approccio oggettivo alla realtà.

XIX - Sintesi generale.Vediamo di riassumere brevemente la visione generale che emerge dalla filosofia indiana, anche se alcuni di

questi punti possono apparire insoliti e difficili da accettare per noi occidentali.1) La realtà è una, anche se appare molteplice: tutto è manifestazione di un’unica entità chiamata Brahman.

Le prime manifestazioni del Brahman sono sat (essere), chit (consapevolezza), ananda (beatitudine).2) Poiché chit è una delle proprietà che emergono direttamente dal Brahman, l’intera realtà può essere

definita come la manifestazione di un campo universale di consapevolezza: perciò in termini filosofici la concezione indiana è da considerare idealistica e non materialistica.

3) L’insieme delle manifestazioni create dal Brahman è il mondo relativo, chiamato Maya; i due concetti sono analoghi all’Essere di Parmenide ed al divenire di Eraclito. Un punto di importanza cruciale è che la realtà manifesta (Maya) è prodotta dalle vibrazioni e dalle onde che percorrono il Brahman; queste si rivelano oggettivamente come oscillazioni e onde, che costituiscono il mondo dell’energia e della materia (si pensi alle scoperte della fisica contemporanea); e si rivelano soggettivamente come suoni o come pensieri.

4) L’uomo ha la possibilità di sperimentare direttamente il Brahman, non tramite i sensi, ma tramite una esperienza diretta nella sua consapevolezza (samadhi), che si manifesta in termini di beatitudine (ananda). Questa esperienza è lo scopo dello Yoga, ed ha come importantissima conseguenza la purificazione del sistema nervoso ed i relativi benefici fisiologici e psicologici: l’uomo ha così la possibilità di percepire meglio la realtà, sia immanifesta (Brahman) che manifesta (Maya). Pertanto la “materialità” del mondo e della nostra fisiologia non è irreale, ma è solo una manifestazione di Maya: in altre parole la materia esiste ma non è il fondamento della realtà, e per questo la filosofia indiana rimane comunque idealistica.

5) Il concetto secondo cui “noi viviamo dentro il mondo” viene completamente rovesciato dalla filosofia indiana: è il mondo che esiste dentro di noi, cioè nella nostra consapevolezza! In questa concezione, l’affermazione “Polvere sei e polvere ritornerai” è totalmente priva di significato: essa va sostituita con l’affermazione “Pura consapevolezza sei e pura consapevolezza tornerai”. Come direbbe Hegel, tutto è la manifestazione della Ragione o Idea universale.

6) Un altro punto importante della filosofia indiana sconfina nella religione (induista e buddhista) e non è determinante per lo scopo di questo libro. In estrema sintesi, si tratta del concetto di karma e della reincarnazione.

Infatti la filosofia indiana (così come Pitagora e Platone) ammette l’esistenza della reincarnazione (samsara). Ogni individuo procede nel suo cammino di conoscenza attraverso varie vite, finché la sua evoluzione personale lo porterà agli stati superiori di coscienza, in cui potrà percepire direttamente la realtà ultima (il Brahman ed il modo in cui viene generata Maya).

In quest’avventura universale l’individuo è soggetto alle leggi del karma, cioè ai frutti delle sue azioni. La legge del karma è contemporaneamente meccanica e morale: azioni buone causeranno eventi benefici per l’individuo, ed azioni cattive causeranno eventi negativi. Anche nel cristianesimo si ritrova un principio simile: come semini, raccoglierai. Però l’induismo ed il buddhismo non prevedono un giudizio universale (o una qualsiasi forma di giudizio dopo la morte): la compensazione dei meriti e delle colpe avviene nel corso della vita normale, secondo una legge naturale che si svolge nell’arco di tempi lunghissimi, e per questo necessita in realtà di un grande numero di vite successive.

La religione induista è intrisa di superstizioni e riti che influenzano fortemente la vita quotidiana delle persone e conseguentemente l’intera cultura indiana. Essa comunque è molto aperta e tollerante: ad esempio gli induisti considerano manifestazioni divine anche Gesù Cristo e Buddha, al pari delle incarnazioni divine proprie dell’Induismo, come Krishna e Rama. Per

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quanto riguarda l’esistenza del Paradiso, in un certo senso anche l’Induismo ne ammette l’esistenza, anche se non vi è una netta contrapposizione tra mondo materiale e “aldilà” come nella nostra cultura. Nella tradizione indiana esistono i cosiddetti “tre mondi”, che sono tutti e tre spirito-materiali (poiché non vi è differenza sostanziale tra materia e spirito, che sono due aspetti di un’unica entità). La differenza tra essi è che il mondo più elevato è più spirituale e meno materiale, mentre quello più basso (dove viviamo noi) è meno spirituale e più materiale.

Ed ora chiudiamo questa doverosa parentesi, sottolineando che questi aspetti di carattere religioso non sono di alcuna importanza per gli scopi di questo libro. Quello del karma e della reincarnazione è un punto controverso, che in Occidente viene considerato ingenuo e sciocco, ed è sgradito sia ai cristiani che agli atei, ma che dovevamo menzionare per completezza.

XX - Sintesi sulla scienza vedica.Esaminiamo adesso i fondamenti della scienza vedica di Maharishi Mahesh Yogi, il maestro che ha diffuso

nel mondo la tecnica di meditazione trascendentale (MT), e che ha “riveduto” e “corretto” la filosofia indiana per renderla compatibile con la mentalità occidentale e con le conoscenze della scienza contemporanea (almeno secondo le sue intenzioni). La sequenza logica è molto semplice e naturale:

1) Il punto fondamentale è la pratica della MT, che fa bene alla mente, al sistema nervoso ed alla fisiologia in generale, permettendo così una vita più piena e realizzata.

2) Attraverso la MT il soggetto può iniziare a sperimentare lo stato di pura consapevolezza, cioè il quarto stato di coscienza. Per inciso, il raggiungimento di questo stato è lo scopo ultimo dello Yoga. Perciò per la filosofia Yoga questo punto 2 è prioritario rispetto al punto 1, mentre per noi occidentali è il contrario (ma questo è poco importante, tanto con la MT si possono ottenere entrambi...).

3) Nel quarto stato di consapevolezza si percepisce il livello fondamentale della realtà, ovvero il livello del campo unificato studiato dalla fisica, che Maharishi definisce come un campo di perfetto ordine e intelligenza, simile ad un oceano sconfinato di pura coscienza, che può essere modulato dalle onde dei pensieri. Tutto questo a noi occidentali può sembrare piuttosto strano. Comunque, se non ci crediamo, poco importa: la MT funziona e fa bene ugualmente. Se invece ci crediamo, possiamo capire qual è la sorgente di ordine ed energia che permette al nostro organismo di sentirsi in sintonia con la natura e di stare bene.

4) La MT è benefica non solo a livello individuale, ma anche a livello collettivo: fin dagli anni ’70 negli Stati Uniti è stato rivelato che nelle città in cui vi è un numero di meditanti superiore all’1% della popolazione totale, si ha un netto miglioramento degli indici sociologici: minore criminalità, minor numero di incidenti, maggiore sviluppo dell’economia, eccetera. Com’è possibile?! Per noi sarebbe ragionevole aspettarsi un effetto del genere qualora la percentuale dei meditanti fosse relativamente alta, diciamo almeno il 20% o 30%, in modo che l’influenza del loro comportamento potesse ripercuotersi sulla società; ma l’1% sembra davvero poco. Eppure le ricerche statistiche hanno evidenziato l’esistenza di questo miglioramento degli indici sociologici, ed il fenomeno in questo è stato chiamato effetto Maharishi.

5) Generalizzando il punto 4, si può comprendere che l’effetto Maharishi può essere la chiave inaspettata per risolvere i diversi problemi dell’umanità, comprese perfino le guerre che affliggono varie parti del mondo.

Questi ultimi due punti sono quelli più controversi degli insegnamenti di Maharishi: su tali temi egli si è scontrato con lo scetticismo generale fin dagli anni ’80. Oggi l’efficacia della MT viene riconosciuta praticamente da tutti (a parte pochi scettici a oltranza che evidentemente rifiutano la realtà dei dati oggettivi); ma per l’opinione pubblica è veramente difficile accettare l’effetto Maharishi, forse a causa di certe caratteristiche davvero insolite (che vedremo nei prossimi capitoli).

Alcuni scettici, come il prestigiatore ed illusionista James Randi, prendono spunto dall’effetto Maharishi, che egli ritiene una fantasticheria inverosimile, per attaccare l’intero insegnamento di Maharishi.

XXI - Note conclusive.Il mio libro Ipotesi sulla Realtà è stato giudicato troppo “appiattito” sulla concezione di Maharishi e fondato

quasi esclusivamente sulla sua tecnica di MT. Vorrei far notare che io non appartengo all’organizzazione di Maharishi e che le mie opinioni sono del tutto indipendenti da quelle espresse da tale organizzazione. Noto soltanto che la MT è la tecnica più potente e scientificamente verificata che soddisfi i requisiti espressi dagli Yoga Sutra.

Non intendo escludere che altre tecniche a me sconosciute ottengano gli stessi risultati, ma al momento io non ne conosco altre: ad esempio non conosco il Kriya Yoga di Yogananda, su cui peraltro (che io sappia) non sono state condotte ricerche scientifiche. Qualcuno sostiene che la MT sia affine ad altre tecniche di

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meditazione, come quelle insegnate da Swami Sivananda, Swami Vishnudevananda, dal dott.Chopra, da Raymond Harrison, al Sahaja Yoga o alla Acem meditation.

Mi sento di poter dire che solo la tecnica Acem e quelle di Chopra ed Harrison potrebbero essere simili alla MT. Il mio consiglio però è quello di andare sul sicuro: della MT ormai conosciamo perfettamente gli effetti, documentati da centinaia di ricerche scientifiche.

Comunque, per dimostrare che non intendo escludere altre tecniche rispetto alla verificatissima MT di Maharishi, intenderò con la sigla MT qualsiasi altra tecnica (se esiste) che permetta di sperimentare il quarto di coscienza (scopo degli Yoga Sutra). In questo senso il termine MT potrà essere interpretato come sigla del termine generico Mind Training.

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