io viaggio verso est

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IO VIAGGIO VERSO EST Autore: Riccardo Valsecchi, http://www.rvreportage.com Casa Editrice: Ed. Il Filo 2011 Cliccare qui per la versione integrale in formato ebook o cartaceo Riccardo Valsecchi viaggia nell'Europa dell'Est, visita i Paesi dell'ex Unione Sovietica e ci offre una significativa testimonianza di eccezionale valore giornalistico, umano e politico. Ma Io viaggio verso est non è soltanto un lucido, impietoso reportage, è anche il racconto di tante vicende individuali, di delusioni e speranze tradite che rivelano le debolezze e i malesseri dei sistemi sociali nati dopo la caduta del muro di Berlino. Valsecchi, senza mai abdicare alle proprie convinzioni, ci narra tutto questo con il rigore professionale del cronista e, tuttavia, in ogni parte del libro si intuiscono la sua sofferenza e il suo coinvolgimento; sentimenti ed emozioni che il lettore interiorizza e fa propri, pagina dopo pagina, racconto dopo racconto. Breve riassunto dei capitoli 1 - Prologo 9 novembre 1989. Per un errore di comunicazione, viene concesso ai cittadini della DDR il permesso di attraversare il muro che divideva Berlino Est da Berlino Ovest. È l’evento che dà formalmente inizio alla caduta dei regimi socialisti in tutta l’Europa orientale. I racconti dei berlinesi Jörg, Jan, Susanne e Nadine. 2 – Breviario Cronologico Breve cronologia della caduta dell'Unione Sovietica 3 - Identità In Italia, fino al 1989 sede del Partito Comunista più influente tra i Paesi occidentali, l’epiteto “comunista” ha sempre avuto un significato particolare, in quanto legato alla resistenza partigiana e alla lotta antifascista. Per chi è cresciuto in una famiglia di sinistra e appartiene, come l’autore, a quella generazione nata nell’ultimo quarto del XX secolo, quando i movimenti studenteschi del’68 e del ’77 avevano ormai esaurito le istanze rivoluzionarie, la parola comunista si è trasformata in un contenitore leggendario, dove inserire i racconti della resistenza, ma estremamente avulso dalla realtà di un mondo che parla un linguaggio differente. Ma è la parola ad aver smarrito

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IO  VIAGGIO  VERSO  EST  Autore:  Riccardo  Valsecchi,  http://www.rvreportage.com   Casa  Editrice:  Ed.  Il  Filo  2011   Cliccare  qui  per  la  versione  integrale  in  formato  ebook  o  cartaceo     Riccardo  Valsecchi  viaggia  nell'Europa  dell'Est,  visita  i  Paesi  dell'ex  Unione   Sovietica  e  ci  offre  una  significativa  testimonianza  di  eccezionale   valore  giornalistico,  umano

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IO  VIAGGIO  VERSO  EST  Autore:  Riccardo  Valsecchi,  http://www.rvreportage.com  

Casa  Editrice:  Ed.  Il  Filo  2011  

Cliccare  qui  per  la  versione  integrale  in  formato  ebook  o  cartaceo  

 

Riccardo  Valsecchi  viaggia  nell'Europa  dell'Est,  visita  i  Paesi  dell'ex  Unione  

Sovietica  e  ci  offre  una  significativa  testimonianza  di  eccezionale  

valore  giornalistico,  umano  e  politico.  Ma  Io  viaggio  verso  est  non  è  soltanto  

un  lucido,  impietoso  reportage,  è  anche  il  racconto  di  tante  vicende  individuali,  di  

delusioni  e  speranze  tradite  che  rivelano  le  debolezze  e  i  malesseri  dei  sistemi  

sociali  nati  dopo  la  caduta  del  muro  di  Berlino.  Valsecchi,  senza  mai  abdicare  alle  

proprie  convinzioni,  ci  narra  tutto  questo  con  il  rigore  professionale  del  cronista  

e,  tuttavia,  in  ogni  parte  del  libro  si  intuiscono  la  sua  sofferenza  e  il  suo  

coinvolgimento;  sentimenti  ed  emozioni  che  il  lettore  interiorizza  e  fa  propri,  

pagina  dopo  pagina,  racconto  dopo  racconto.  

 

Breve  riassunto  dei  capitoli  

1 - Prologo

9 novembre 1989. Per un errore di comunicazione, viene concesso ai cittadini della

DDR il permesso di attraversare il muro che divideva Berlino Est da Berlino Ovest. È

l’evento che dà formalmente inizio alla caduta dei regimi socialisti in tutta l’Europa

orientale. I racconti dei berlinesi Jörg, Jan, Susanne e Nadine.

2 – Breviario Cronologico

Breve cronologia della caduta dell'Unione Sovietica

3 - Identità

In Italia, fino al 1989 sede del Partito Comunista più influente tra i Paesi occidentali,

l’epiteto “comunista” ha sempre avuto un significato particolare, in quanto legato alla

resistenza partigiana e alla lotta antifascista. Per chi è cresciuto in una famiglia di

sinistra e appartiene, come l’autore, a quella generazione nata nell’ultimo quarto del

XX secolo, quando i movimenti studenteschi del’68 e del ’77 avevano ormai esaurito

le istanze rivoluzionarie, la parola comunista si è trasformata in un contenitore

leggendario, dove inserire i racconti della resistenza, ma estremamente avulso dalla

realtà di un mondo che parla un linguaggio differente. Ma è la parola ad aver smarrito

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il proprio senso, oppure chi la rappresenta che ha dimenticato il suo significato

originale?

4 - Viaggiare

13 Febbraio 2007. Lasciata l’Italia alle spalle, l’autore arriva a Berlino. Un

contrabbasso, una valigia e un numero di telefono. Dopo numerosi trasferimenti tra i

vari quartieri della capitale tedesca, si stabilisce a Prenzlauer Berg, dove comincia a

lavorare come giornalista. Qui, nel quartiere una volta simbolo della vita alternativa

nella DDR e oggi centro della società “radical chic” europea, matura l’idea che sia

arrivato il momento di viaggiare attraverso i Paesi dell’ex Unione Sovietica, alla

ricerca della propria identità di sinistra. Il giorno della partenza, l’8 agosto 2008, la

Georgia attacca la regione indipendentista dell’Ossezia del Sud, causando l’intervento

armato della Federazione Russa.

5 - Riga: la perla del Baltico

Riga è la prima tappa del viaggio. I lettoni, da popolo prediletto di Lenin, che ne

aveva garantito l’indipendenza per via della fedeltà dimostrata durante la Rivoluzione,

a vittime delle purghe staliniste, del conflitto mondiale, del processo di russificazione

e, infine, dell’illusione di un sogno capitalista ed europeista; la città di Riga oggi, tra

consumismo sfrenato, estremismo nazionalista, turismo sessuale e povertà mascherata

da orgoglio indipendentista.

6 - Chisinau, Moldavia: il Paese che sogna l’Europa

La Repubblica di Moldavia, nata il 27 agosto 1991 dalla dissoluzione dell’Unione

Sovietica, è il paese più povero d'Europa: il più basso prodotto interno lordo, il minor

indice di sviluppo umano. La Moldavia e i suoi abitanti riescono a ritagliarsi uno

spazio sulle pagine dei quotidiani internazionali solo per pochi e vergognosi motivi:

criminalità, prostituzione e immigrazione clandestina. Il suo governo ha più volte

cominciato, interrotto, ricominciato un lungo e tortuoso processo d’adeguamento ai

parametri necessari per l’annessione alla Comunità Europea, ma le difficoltà

economiche e sociali costituiscono un ostacolo insormontabile. La gente non si

nasconde, freme per entrare. Quali sono le effettive possibilità? Quali le aspirazioni?

Quali i problemi? Chisinau, capitale della Moldavia, tra degrado e povertà, casinò e

ragazze vestite all’ultima moda, preti illuminati e scaltri truffatori, vecchi hotel di

regime ed economici quanto minuscoli ostelli per viaggiatori.

7- Transnistria ovvero la Repubblica dei Pagliacci

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Che cosa c'è di più buffo e divertente di un Presidente che governa una repubblica che

non esiste? E di un esercito che viaggia su vecchie biciclette arrugginite? Che cosa di

più inquietante di un clown che tiene fra le mani una bomba pronta a esplodere in

qualsiasi momento? La Transnistria è una regione della Moldavia, ma, di fatto, dal

1991, uno stato indipendente sotto tutela militare russa. Una volta la zona più

industrializzata della Moldavia, oggi è la regione più povera d’Europa. Da qui,

secondo l’Interpol, provengono i rifornimenti militari per Al Qaeda, Hamas e

Hezbollah, per Iraq, Iran, Palestina, Cecenia e Nagorno Karabakh. Qui, nella

desolazione più cupa, l’autore incontra Alexi, un giovane che, in una regione dove la

lingua moldava è considerata fuorilegge, lavora in un’organizzazione umanitaria per

l’integrazione culturale tra moldavi, ucraini e russi delocalizzati nella regione durante

l’epoca sovietica. La Transnistria, l’Ossezia che incombe nel cuore d’Europa.

8 – Ucraina, la seconda fra gli eguali.

Chi è Rinat Akhmetov? Che domande, l’uomo più potente di tutta l’Ucraina.

Secondo Forbes è il 39° uomo più ricco al mondo, di fatto Akhmetov, il bel Rinat, è

padrone di mezza regione del Donetsk, proprietario del club di calcio dello Shaktar

Donetsk ed è considerato l’uomo che muove i fili della politica ucraina. Ma quale il

suo passato?

L’ultima tappa del viaggio, da Odessa, dove il sogno comunista è idealmente

cominciato con l’ammutinamento della corazzata Potemkin, nel 1905, a L’viv, il

centro della rivolta culturale ucraina contro l’oppressore sovietico. Ucraina, però, non

significa solo questo, ma anche Pogrom, Holodomor, Chernobyl e infine la classe

dirigente che, da Khrushchev fino a Brezhnev, ha governato l’Unione delle

Repubbliche Sovietiche per quasi vent’anni e la cui corruzione ha dato origine a quel

fenomeno criminale conosciuto nel mondo come Organizatsya, ovvero la leggendaria

mafia russa.

9 – Epilogo finale

Stazione di Cracovia, Polonia, Comunità Europa. Il viaggio è finito o, forse, è appena

cominciato.

 

   

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Estratto  Fotografico  Monumento  ai  Fucilieri  Lettoni  –  Riga,  Lettonia  

Il  primo  comandante  in  capo  del  più  temuto  esercito  della  

storia  contemporanea  era  lettone.  Un  ex-­‐colonnello  del  

Quinto  Reggimento  dei  Fucilieri  Rossi:  viso  tondo,  testa  

rasata,  sguardo  profondo,  il  suo  nome  Jukums  Vācietis.  Il  

ruolo  del  suo  contingente,  che  contava  non  più  di  40.000  

effettivi,  fu  essenziale  durante  la  rivoluzione  del  1918.  

Ribellatosi  durante  la  Prima  guerra  mondiale  ai  generali  

russi,  il  Quinto  Reggimento  si  schierò  dalla  parte  dei  

combattenti  comunisti  e  partecipò  alla  guerra  civile,  opponendosi  alle  forze  

controrivoluzionarie  dell’Armata  Bianca56.  Finita  la  guerra,  il  gruppo  dei  fucilieri  

lettoni  fu  insignito  del  più  alto  riconoscimento  militare  dell’epoca,  la  Bandiera  

Rossa  d’onore  di  Vtsik,  mentre  al  colonnello  Vācietis  venne  affidato  il  supremo  

comando  delle  forze  militari  sovietiche.  Tale  era  la  fiducia  conquistata  dal  corpo  

armato  con  le  proprie  azioni  eroiche  che  Lenin  stesso  pretese  che  a  esso  fosse  

affidata  la  propria  guardia  personale.  E  forse  proprio  per  gelosia  e  rancore,  per  

arginarne  il  potere  raggiunto,  i  comunisti  lettoni  divennero  il  bersaglio  

prediletto,  una  volta  morto  Lenin,  delle  purghe  staliniste:  accuse  infamanti,  

esecuzioni  sommarie,  deportazioni,  emarginazione  sociale  furono  le  armi  usate  

per  distruggerne  il  prestigio.  Anche  Jukums  Vācietis,  ora  viso  scarno  e  stanco,  

deluso  e  affranto,  verrà  giustiziato  nel  1938  con  l’accusa  di  “presunta  

associazione  fascista”.  

 

"Provate  il  vostro  peso"  Chisinau,  Moldavia  

I  marciapiedi  che  affiancano  da  un  lato  

all’altro  Stefan  Cel  Mare  sono  un  

susseguirsi  d’attività  commerciali  

illegali,  con  tanto  di  prodotti  falsificati,  

bagarini  illegali  per  il  cambio  valuta  e  

compratori  d’oro.  Alle  loro  spalle,  

intanto,  la  folla  si  raduna  di  fronte  alle  

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vetrine  di  Benetton,  Adidas,  Gucci,  Vuitton  e  Dolce  &  Gabbana,  i  sogni  proibiti  

della  gioventù  moldava.  A  rincuorare  le  belle  signorine  che  non  potranno  mai  

permettersi  l’abito  firmato  dei  loro  sogni,  ci  pensano  delle  signore  grassocce,  

bandana  in  testa,  le  quali,  sedute  su  una  cassetta  di  legno,  esibiscono  un  cartello  

con  la  scritta  “prover’te  voi  ves”,  “provate  il  vostro  peso”.  Geniale:  combattono  la  

povertà  sfruttando  la  vanità  delle  nuove  generazioni.  Una  cliente  si  ferma,  sale  

sulla  bilancia  nascosta  dietro  il  cartello,  poi,  soddisfatta  del  peso  forma,  elargisce  

una  banconota  alla  vecchia.  

 

Manifesto  di  Proriv,  movimento  filorusso  -­‐  Tiraspol,  Transnistria  

Scendo  le  scale  della  palazzina  dove  

alloggio  e  mi  soffermo  a  scrutare  il  

paesaggio  dalla  finestrella  arrugginita  al  

piano  intermedio.  Nell’edificio  di  fronte  

una  donna  anziana,  camice  azzurro,  parla  

con  la  vicina  sporgendosi  dal  parapetto  

del  balcone.  Il  cielo  è  chiaro  e  il  sole,  alto  e  

cocente,  riflette  i  raggi  sulla  ruggine  ferrosa,  che  qui  domina  un  po’  ovunque,  

dalle  travi  ai  pannelli  sopra  i  tetti.  Raggiungo  la  piazza  centrale,  dove  alcuni  

operai  stanno  montando  l’impalcatura  per  festeggiare  il  riconoscimento  

dell’indipendenza  delle  repubbliche  gemelle.  Le  bandiere  delle  tre  regioni  ribelli  

sventolano  alte  accanto  al  vessillo  russo.  All’ombra  di  una  grande  parete,  dietro  

uno  stand,  due  ragazzini,  svogliatamente,  distribuiscono  volantini  e  giornali.  Alle  

loro  spalle,  un  poster  che  ritrae  insieme  Putin,  Medvedev  e  il  Che  Guevara.  Una  

strana  associazione:  i  nuovi  zar  di  Russia  e  la  leggendaria  figura  dell’eroe  

argentino.  Ma  come  pensare  di  far  continuare  a  bruciare  il  focolare  della  

ribellione  là  dove  il  sogno  non  esiste  più?  

 

Anziano  con  divisa  militare  -­‐  Odessa,  Ucraina    

Entro  in  un  internet  point.  La  stella  di  David  e  un  teschio  accanto,  impressi  sulla  

vetrata  con  spray  rosso,  non  ispirano  certo  fiducia.  Dentro,  un  seminterrato  buio  

e  una  coltre  di  fumo  densa,  il  suono  delle  giunture  di  plastica  dei  joystick,  il  

rumore  dei  proiettili  e  le  urla  dei  soldati  che  muoiono  sui  monitor  dei  computer.  

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«Do  you  speak  english?»  chiedo  a  un  tipo  con  una  

giacca  militare.  

«Vyi  dite  na  ulitsu»  senza  alzare  lo  sguardo  dal  

monitor.    

Ripeto,  forse  non  ha  capito:  «Do  you  speak  

english?».    

«Go  out»  di  nuovo,  secco,  incazzato.    

Intanto  i  bombardamenti  continuano  e  qualcuno  

deve  aver  finito  uno  schema  importante,  perché  parte  dall’altoparlante  l’inno  

sovietico  in  versione  midi:  “Sojùz  nerušìmyj  respùblik  svobòdnych/Splotìla  

navéki  velìkaja  Rus’;/Da  zdràvstvuet  sòzdannyj  vòlej  nardo/Edìnyj,  mogùčij  

Sovétskij  Sojùz!”  Dei  ragazzi  si  alzano  di  scatto  e  sbattono  i  tacchi.  

Meglio  andarsene,  tira  aria  da  revival  militare.  

 

La  corazzata  Potëmkin  (1925),  regia  di  Sergej  M.  Ejzenstejn    

È  il  20  giugno  del  1905,  la  

Potёmkin  ha  appena  preso  il  

largo  e  nelle  viuzze  che  

circondano  la  scalinata  

Richelieu  è  ancora  ben  visibile  

il  sangue  dei  ribelli  giustiziati  

dai  cosacchi.  Nell’aria  aleggia  

denso  il  fumo  dell’incendio  

acceso  dai  manifestanti  per  protesta:  «Chi  ha  appiccato  il  fuoco  che  divampa  nei  

nostri  palazzi,  se  non  gli  ebrei?»  legge  un  ragazzino  da  un  libretto  di  quattro  

pagine  dal  titolo  epico,  “Odesskie  Dni”,  i  giorni  di  Odessa.  «Chi  sono  questi  

agitatori  che  infondono  strane  idee  nei  nostri  onesti  lavoratori,  nei  nostri  

marinai,  perfino  nei  nostri  leali  soldati?  Si  fanno  chiamare  bundisti,  bolscevichi  e  

menscevichi,  ma  io  dico  che  sono  solo  una  cosa:  comunisti,  e  della  peggiore  

specie,  ebrei  comunisti.  Nemici  dello  zar,  nemici  della  Russia,  nemici  dei  cristiani,  

nemici  degli  onesti  cittadini  d’Odessa».  

 

Vittime  dell’Holodomor  (1931-­‐32)  -­‐  Anonimo  

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Un  giorno  del  1930  giunse  

all’ambasciata  britannica  a  Mosca  

un  telegramma:  Le  sole  creature  che  

presentano  un  qualche  tipo  di  vita  

nei  distretti  visitati  sono  maiali,  

porci  e  cinghiali.  Uomini,  donne,  

bambini  e  cavalli,  come  tutte  le  

bestie  considerate  forza  lavoro,  sono  lasciati  morire  di  fame  in  nome  del  Piano  

quinquennale.  Ieri  ho  incontrato  un  uomo  che  masticava  frenetico,  emetteva  suoni  

impropri,  si  attorcigliava  come  se  si  stesse  nutrendo  d’aria.  Un  solo  istante,  il  tempo  

di  abbassare  il  capo  per  annotare  sul  quaderno  dei  dati,  e  il  suo  volto  si  era  

contratto  in  una  smorfia  indescrivibile;  poi  chiuse  gli  occhi  e  morì.  

Lo  scrittore  Arthur  Koestler,  che  nei  medesimi  anni  si  professava  ancora  un  

fervente  comunista,  descrisse  anch’egli  una  realtà  terrificante:  I  bambini  

sembravano  come  embrioni  conservati  dentro  bottiglie  d’alcol;  orribili  infanti  con  

enormi  tremolanti  teste,  labbra  sottili,  gonfie  e  appuntite  pance.  

Si  tratta  dell’holodomor,  la  grande  carestia  che  colpi  l’Ucraina  tra  il  1932-­‐33.  

 

La  scalinata  Potëmkin  (dalla  copertina)  –  Odessa,  Ucraina    

La  prossima  fermata,  Vynnyky,  è  quella  di  Grigorij  e  Nadja.  

Lei,  la  valigia  tra  le  gambe,  mi  guarda  e  sorride,  facendosi  

dondolare  avanti  e  indietro  in  sincronia  con  i  sobbalzi  del  

treno.  Poi  si  rivolge  al  figlio,  con  il  volto  girato,  ma  gli  occhi  

che  puntano  ancora  verso  di  me.  

«Mia  madre  chiede  se  ti  è  piaciuta  Odessa»  traduce  Grigorij.  

«Sì,  certo»  mento.  «Ma  me  l’aspettavo  diversa,  più  tipica.  

Più  ucraina».  

Grigorij  traduce:  «Lei  chiede  se  sei  stato  alla  scalinata,  quella  famosa».  

«Sì,  sì»  pensando  al  fatto  che  proprio  quella  doveva  essere,  nei  piani  originali,  la  

mia  meta.  «Un  po’  mi  ha  deluso.  In  fondo  è  solo  una  scalinata,  non  tanto  diversa  

né  più  interessante  di  molte  altre».  

Lei  scuote  la  testa,  parla;  Grigorij  ripete,  muovendo  anch’egli  il  capo:  «No,  no,  lei  

dice  che  tu  non  l’hai  guardata  bene.  Quella  scalinata  rappresenta  ciò  che  noi  

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siamo  stati,  siamo  e  saremo,  per  sempre,  per  gli  altri,  per  voi».  Un  minuto  di  

pausa,  mentre  ascolta  attento  le  frasi  della  madre.  Ogni  tanto  la  ferma  e  le  chiede  

spiegazioni,  poi  continua:  «Lei  dice  che  se  la  guardi  dal  basso  vedi  solo  gli  scalini,  

come  lunghi  tratti  orizzontali  in  rapida  successione,  mentre,  se  la  guardi  dall’alto,  

si  scorgono  solo  i  pianerottoli,  tanto  che  si  ha  la  sensazione  di  cadere  a  

strapiombo.  Questa  è  l’Ucraina  o,  meglio,  è  come  vedono  l’Ucraina  gli  stranieri:  

orizzontale  o  verticale,  in  salita  o  in  discesa,  non  ci  è  mai  stata  concessa  un’altra  

visione,  un’altra  opportunità,  un  altro  metro  di  giudizio.  Questa  è  una  terra  che  

da  tempo  infinito  viene  sballottata,  a  destra  o  a  sinistra,  in  basso  e  in  alto,  ma  

quante  volte  voi,  o  chi  per  voi,  che  vi  facciate  chiamare  russi,  europei  o  

americani,  avete  mai  considerato  il  suolo  che  stai  calcando  come  il  luogo  dove  

vivono  normalissimi  uomini,  donne  e  bambini?  Con  i  loro  difetti,  con  i  loro  pregi,  

con  le  loro  gioie,  con  i  loro  dolori  e  con  tante,  tantissime,  infinite  emozioni  che  ci  

stanno  in  mezzo  e  delle  quali  nessuno,  osservandoci  da  fuori,  si  accorge  mai».  

 

Biografia  

Riccardo Valsecchi è un giornalista e fotografo italiano che vive e lavora a Berlino

dal 2007. Ha pubblicato reportage di viaggio da Bielorussia, Moldavia, Lettonia,

Ucraina, Marocco, Iran, Iraq, Turchia, Palestina e Israele, collaborando con quotidiani

e riviste nazionali e internazionali, tra cui Die Tageszeitung, Espresso, CNN, Reuters,

Condé Nast, Rassegna, Altreconomia, New Internationalist, Languages and Cultures,

World Press e Liberazione.