Io dico che si poteva evitare
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Io dico: che si poteva evitare, voi?
Oggi ho diciannove anni, ma prima del diploma alberghiero, avevo sempre seguito le lezioni scolastiche con non
curanza, e non volevo affatto seguire le lezioni di matematica e d’italiano perché credevo che non mi sarebbero
servite a nulla; e persino il giorno che la scuola organizzò un evento sulla sicurezza a lavoro, preferii starmene in
casa a dormire.
In realtà mi piace fare altro, voglio essere libero: di seguire il mio unico e vero “sogno”, ovvero fare lo chef,
come quelli che si vedono in televisione, che lavorano sulle navi da crociera o che girano per il mondo andando
da un ristorante all’altro. E sì, a me piace fare questo: cucinare piatti gustosi, rielaborando la tradizione e creando
piatti innovativi. Tuttavia oltre che cucinare, mi piace stare con gli amici: andare in giro a divertirmi e anche a
conoscere le belle ragazze. E già! Sono anche un Don Giovanni!
Insomma, appena mi sono diplomato esultai dalla gioia e il giorno stesso iniziai a cercare lavoro. Fu difficile
trovare qualcuno che mi avrebbe assunto -data la mia scarsa esperienza- però il proprietario del ristorante “il
porticciolo” accettò subito la mia proposta. Qui non c’è da porsi qualche domanda non vi pare? Egli accettò
subito la mia proposta a patto però, che mi avrebbe assunto solo a nero, con una retribuzione di poche centinaia
di euro al mese. Ecco dov’era l’inganno! Ma io, che nel frattempo mi ero stancato di sentirmi dare sempre
risposte negative alla mia domanda di assunzione, decisi di accettare subito la proposta, senza pensare a tutti gli
inconvenienti che avrei potuto trovare durante il mio primo percorso lavorativo. Voi mi direte: che cosa ti
sarebbe mai potuto accadere cucinando qualche lasagna o qualche bistecca alla fiorentina?
Intanto, il mio lavoro andava avanti, erano trascorsi già quattro mesi dal giorno dell’assunzione e il mio lavoro
andava a gonfie vele, in così poco tempo avevo imparato tante nuove ricette insegnatemi dal capo cuoco, come il
filetto alla Wellington, che era diventato il mio piatto forte, e il sufflè di patate. Quel venerdì erano le sedici del
pomeriggio, quando il mio datore di lavoro, mi chiese se avrei voluto fare uno straordinario per la cena ed io
accettai nonostante fossi molto stanco. Quindi, mi rimboccai le maniche della divisa e cominciai a pulire il pesce,
intanto nel forno c’era la torta alle nocciole che avevo preparato. Dopo aver sgusciato tutti i gamberi, mi dedicai
all’antipasto, e la torta continuava la sua cottura. Ero molto stanco e inizio ad avere un forte mal di testa, dato lo
stress. Qualche minuto dopo mi accorsi che in cucina c’era una puzza di bruciato, mi giro di scatto e vedo il
forno andare in fiamme! Che cosa starà succedendo? La torta si era bruciata e aveva iniziato a prendere fuoco.
D’istinto apro la portiera del forno e delle piccole fiamme escono fuori, mi allontano ma con l’ossigeno e il
calore all’interno le fiamme aumentano enormemente. Inizio a pensare come reagire, e la prima cosa che mi
viene in mente è spegnere il fuoco con un po’ d’acqua, ma ci ripenso e cerco di spegnere il fuoco con il
canovaccio umido. Inizio a sventolarlo dinanzi al forno ma a quel punto: il canovaccio s’infiamma. Il direttore di
sala e il proprietario del ristorante si precipitano in cucina, e mi vedono privo di sensi sul gelido e bianco
pavimento della cucina sommerso da una nuvola di fumo nera. Uno si accerta che io stia bene mentre l’altro
dopo aver suonato la campanella e aver spento la corrente elettrica cerca di arrestare le fiamme.
Il giorno dopo, su un letto di ospedale, mi sveglio, guardandomi intorno vedo mia madre e due carabinieri, cerco
di muovermi, mi sento spaesato, non ricordo molto della tragedia -data l’anestesia- e piano piano inizio ad
avvertire dei dolori agli arti superiori, poiché avevo riportato gravi ustioni a entrambe le mani e al braccio destro.
Ho perso la piena sensibilità dell’arto destro e soprattutto non posso più realizzare il mio sogno.