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Introduzione

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Conversazione tipo di questi mesi fra me e gli amici che incontro:

“Ciao Roberto, dove sei sparito ultimamente ?”

“ Sto facendo la tesi.”

“Ah, e su cosa ?”

“Sulla moda.”

“Che bello ! ...Ma scusa, cosa c’entra con Scienze Politiche ?!?”

Beh, in effetti sono io che dovrei spiegarmi meglio.

Prima di tutto si tratta di una tesi in sociologia urbana (ufficialmente) e non a

caso la città in questione è Milano, città che credo sia ormai unanimamente, e

giustamente, connotata come città della moda. E poi dire che si tratta di una

tesi “sulla moda” è molto riduttivo.

La moda è infatti un tema trasversale. Lega l’aspetto semiotico a quello socio-

logico, quello economico a quello della psicologia dei consumi, il tutto sullo

sfondo della grande città, passerella di moda e modi di vivere contemporaneo.

A dire il vero attorno alla moda esiste un doppio standard di giudizio, da una

parte di ammirazione, dall’altra di disprezzo perché considerata futile. Il con-

sumismo sfrenato imposto dalla moda, basto su particolari frivoli come la lun-

ghezza di una gonna, l’abbottonatura di una camicia, il materiale (sintetico) di

uno zainetto e così via, sciocca i modelli culturali in cui viviamo ma nello stesso

tempo esprime il cuore stesso di quella cultura, dicendone qualcosa di vero ed

essenziale.

Per questo non sono certo il primo ad aver portato la moda in un campo socio-

logico.

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A partire da Georg Simmel (1858-1918) e Gabriel Tarde (1843-1904), illustri

sociologi si sono occupati di essa come forma di distinzone sociale. Nello

stesso tempo altri, come John Flügel nel 1931, la studiarono nel campo della

psicologia. Roland Barthes ne fece, basandosi sull’analisi di alcune riviste di

moda francesi, una delle opere di semiotica più studiate, scrivendo nel 1967 il

“Sistema della moda”. Per la sociologa tedesca René König “la moda abbraccia

tutto l’essere umano”1 e per Gilles Lipovetsky la moda è ora una “Forma” di

organizzazione sociale, culturale e politica2. La letteratura in merito è talmente

vasta che si può addirittura parlare di “sociologia della moda”3.

La moda è poi studiata come forma di design e sono varie le scuole di moda a

Milano che vanno oltre le semplici tecniche di “taglio e cucito”. La parola “moda”

dal 1996 è entrata dettagliatamente nell’enciclopedia Treccani.

Infine in molti hanno cominciato ad occuparsene “seriamente” dopo che gli

eccezionali risultati economici del Made in Italy hanno posto “seriamente” il

settore tessile-abbigliamento al secondo posto nella bilancia nazionale sia di

produzione che di esportazione.

Un tema dunque trasversale a molte discipline (e quindi a molti aspetti umani)

che non manca di interessare anche la cronaca mondana e i mass media.

Ma è nella città che la moda sintetizza le sue espressioni. La città è nello

stesso tempo teatro e fucina delle mode, luogo di incontro e scambio culturale.

1 KÖNIG René, Umanità in passerella, Longanesi, Milano 1988, pag.39 e pag.49. 2 LIPOVETSKY Gilles, L’impero dell’effimero, Garzanti, Milano 1989, pag. 4 e pag.31-37. 3 Disciplina per altro riconosciuta da alcune università; a Milano presso lo IULM dove ne tiene i corsi Vanni Codeluppi, che ha pubblicato anche un libro di testo proprio dal titolo “Sociologia della Moda” (Coperativa Libraria IULM, Milano 1996).

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Così come indicato da Fred Davis in uno dei testi fondamentali della moderna

ricerca sulla moda4, esiste nella città un complesso “sistema della moda”

basato su una lunga catena comunicativa, e perciò culturale, formata da stilisti -

industriali - managers - fotografi - pubblicitari - distributori - negozianti -

commessi - consumatori. Il mio intento è quello di descrivere questa catena con

l’idea guida che nella metropoli non si può distinguere tra rapporti sociali

culturalmente attivi e culturalmente passivi5.

Mentre abbondano, come ricordato prima, le considerazioni accademiche che

fanno apparire la moda banale o fin troppo densa di significati sociologici e

antropologici, sono pochi gli studi etnografici sul campo dell’industria della

moda intesa come processo di interazione culturale fra attori sociali diversi.

Ciò che mi propongo è uno studio etnografico per descrivere, possibilmente dal

più vicino possibile, la Milano degli stilisti, delle sfilate, della moda di strada, dei

locali notturni. Milano, la città di moda e le sue mode di città.

Inutile ricordare che a volte descrivere può essere più difficile che spiegare.

Difficile prima di tutto per l’essenza stessa della moda, la sua volatilità. E non è

solo un fatto di cambiamento stagionale, la moda continua ad accadere a

Milano con un ritmo sempre più accellerato, sempre più coinvolgente. Nuovi

negozi, nuovi show room, nuovi nomi, nuovi dati, nuove tendenze, nuovi sce-

nari urbani, tutto rigorosamente in progress. Per il taglio giornalistico che ho

voluto dare alla tesi ho spesso dovuto rivedere e aggiornare ciò che avevo

scritto anche solo un mese prima. E naturalmente tutto ciò con l’implicita cer-

tezza che nonostante il mio tentativo di “essere alla moda”, cioé aggiornato,

anche questa ricerca “passerà di moda” nel giro di poco tempo.

4 DAVIS Fred, Fashion. Culture and Identity, trad. it. MACCHIA Fabrizia, Moda. Cultura, identità, linguaggio, Baskerville, Bologna 1993. 5 HANNERZ Ulf, Exploring the city, Columbia University Press, New York 1980, pag. 287.

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Anzi mi dovrà perdonare chi leggendomi troverà qualche dato scaduto o

tendenza sorpassata. Rimmarrà comunque una (sfuocata) fotografia da

appuntare nell’albo dei ricordi di Milano, quando questa cominciò ad essere una

capitale della moda.

L’altra difficoltà che ho incontrato è stata la cosiddetta accessibilità delle fonti.

Uno studio etnografico è buono quanto più a stretto contatto è stato il ricerca-

tore con la realtà da studiare.

Ebbene se per realtà da studiare si intende soltanto il sistema delle sfilate, degli

stilisti, degli atelier e così via, allora non ho molto raggiunto lo scopo. Come

forse non tutti sanno l’ambiente produttivo e ideativo del pret à porter è

estremamente chiuso a Milano: alle sfilate è possibile accedere solo su diretto

invito degli stilisti e questi non hanno decisamente tempo “da perdere” con

studenti ficcanaso; e cosi vale anche (soprattutto) da parte dei semplici

commessi dei negozi, a volte più altezzosi degli stilisti stessi.

Probabilmente si tratta di diffidenza verso il nuovo; infatti quando mai, se non

recentemente, la moda è stata oggetto di ricerche scientifiche in Italia ? Fatto

sta che come al solito succede in Italia (meno all’estero, ad esempio a Londra,

per cui si può vedere l’appendice in merito) è difficile entrare in un settore

senza le famigerate “conoscenze”.

Comunque non mi sono preoccupato troppo, perché non esiste solo la moda

degli show room e delle sfilate (per altro ampiamente diffuse dai mass media);

in un modello di moda globale e policentrica ecco che assumono importanza

anche i locali notturni, i negozi alternativi frequentati dai giovani, i centri sociali,

gli spazi di aggregazione, le strade.

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E nessuno può negare il fatto che io non abbia girato per le strade di Milano in

questi anni di università e di frequentazione ai locali della città (pur vivendo a

Piacenza, sono un vero city user di Milano). Inoltre di moda mi occupo da un

po’ tempo al di là della ricerca ai fini della tesi di laurea; per questo di ricerca

etnografica credo si possa parlare.

Dopo questa che infondo non è stata altro che una premessa veniamo all’in-

troduzione vera e propria.

Così come il titolo “Milano città di moda. Mode di città”, la tesi è divisa ideal-

mente in due parti. La prima è dedicata alla descrizione della Milano capitale

del pret à porter, o se vogliamo del business della moda.

Il primo capitolo si apre con alcune considerazioni sul ruolo di metropoli

avanzata, sempre meno luogo di produzione materiale e sempre più di pro-

duzione culturale e organizzativa, che il sistema della moda e dei suoi operatori

ha assegnato a Milano in questi due decenni. Si parlerà, secondo i contributi

teorici di Guido Martinotti6, di city users, di metropolitan businessman e di

metropoli di terza generazione. Tuttavia è bene ricordare, e lo farò riportando le

classiche teorie di Simmel e Veblen, che stiamo parlando in questo caso di una

moda d’élite e che Milano è ancora piuttosto lontana dal vivere diffusamente,

nella mentalità della gente e nelle strade della città, quell’atteggiamento

cosmopolita, da “villaggio globale”, che si dà per acquisito nella cosiddetta

fashion community milanese. Per questo riporto anche qualche testimonianza

“di contrappunto” alla città e al mondo luccicante della moda che non è tutto

così dorato come sembra.

6 In particolare quelli contenuti in Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna 1993.

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Nel secondo capitolo si presenta una volta per tutte “il circo” della moda, i suoi

grandi numeri (e parlo dei miliardi di fatturato degli stilisti) e anche un po’ della

sua storia a Milano. Si cercherà di descrivere il fenomeno del successo del

Made in Italy e le ragioni per cui Milano ne è diventata la capitale ideativa ma

non produttiva. Inoltre traccerò una piccola descrizione dei suoi attori, così

come appaiono durante il grande raduno internazionale di Milano Collezioni.

Il terzo capitolo non è solo il capitolo centrale in termini numerici ma rappre-

senta il nucleo di ricerca da cui sono partito un anno fa. Si tratta della descri-

zione della catena (o filiera) dei soggetti operanti nell’intero “Sistema Moda”

milanese. Un settore produttivo particolare, fatto di scambi comunicativi e si-

nergie fra soggetti professionali molto diversi.

Per questo ho incluso nel quadro di analisi non solo produttori, distributori,

venditori, ma anche editoria, agenzie di modelle, scuole di moda, istituti di

ricerca, manifestazioni di moda. Il tutto inserito sia nella specifica territorialità di

Milano, che in un “discorso globale” per una “moda globale”, industria più che

mai culturale dove la merce prodotta ha il valore che ha per i suoi elementi

simbolici. Un capitolo che io credo contribuisce in maniera originale

all’auspicato censimento della moda promesso recentemente (cioé alla fine del

mandato di Formentini) dal Comune di Milano.

Con questo si chiude la prima parte dedicata alla “Città di Moda” e si passa ora

alle “Mode di città”.

Lo si fa attraverso un capitoletto teorico di revisione alla teroria di Veblen dello

“sgocciolamento” della moda dall’alto, che porterà il nostro discorso “dagli stilisti

allo stile”.

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Tanto che il quinto capitolo sarà dedicato alle “mode di strada” e alle tribù di

stile che ancora, ma sempre meno, e spiegherò perché, trovano nella città il

loro teatro e, nello stesso tempo, terreno di guerra ideale. Stiamo cioé appli-

cando il modello “dal basso” appena visto nel capitolo quarto.

Solo grazie ad una integrazione dei due modelli, quello della moda d’élite (o del

“sistema della moda”; Davis) e quello della moda di strada (o dal basso, o

dell’antimoda, o populista), è possibile costruire la mappa della “città della

moda” che emerge nell’ultimo capitolo, prettamente urbano, dove sono descritti

i luoghi, i percorsi e le aree della Milano città di moda e delle sue mode di città.

Infine una lunga appendice dedicata a Londra e alla sua fashion community.

Ho ritenuto significativo questo paragone in quanto Londra costituisce ideal-

mente il polo opposto a Milano: la creatività della moda di strada contro l’in-

dustria, un po’ rigida, del pret à porter.

Ma anche una fashion community più allargata di quella milanese, che anzi ci

parlerà di Milano come una città dove “tutto avviene dietro le porte” (John

Rocha, in una delle mie interviste riportate).

Come ogni ricerca, anche questa è partita da una domanda fondamentale, e

non è tanto sul perché Milano è diventata una capitale della Moda oppure

qual’è il segreto del successo del Made in Italy. Sono dati di fatto che pren-

diamo come acquisiti. La domanda che ha sempre mosso la mia passione per

la moda e per le città è se esiste una moda specifica delle metropoli. Qual’è lo

stile metropolitano ? E a Milano, qual’è la moda tipica della città ?

Quello che ho capito è davvero lontano da una risposta univoca e definitiva:

avvicinandosi troppo alla moda è facile perderne di vista i contorni, tutto appare

importante, troppo importante.

La moda della metropoli è la bellezza delle diversità, la bellezza del vivere in un

mondo sempre più piccolo, a portata di città e in continuo cambiamento.

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La moda della metropoli è la sintesi di tutte le mode, di tutti gli stili. La

possibilità di indossare per una volta sé stessi nasce dalla consapevolezza di

poter essere, oggi, nella metropoli, naturalmente “alla moda”.

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capitolo 1

CITTÀ GLOBALE, MODA D'ÉLITE ____________________________________________________

“As global as fashion is, the people who make

the difference move in very small circles”7.

Leon Talley, editore di Vanity Fair.

Il traffico congestionato, taxi sempre impegnati, hotel e ristoranti assediati da

prenotazioni; veri e propri eserciti di compratori, giornalisti e modelli si riversano

nel centro di Milano facendo la spola tra la Fiera e il quadrilatero di via Spiga e

Montenapoleone, il fashion district della città. A Milano ! A Milano ! E' il nuovo

grido di richiamo per donne vestite di nero con enormi occhiali da sole e

giapponesi eccitati di portare in giro tutte quelle shopping bags (Prada e Gucci

sopra tutti). Milano città di moda più che mai.

In questo capitolo analizzeremo il significato di questa proposizione scompo-

nendola nei suoi due termini, città e moda. Il rapporto fra la moda e la città è

l'argomento centrale in tutta la tesi e qui cominceremo a definire ciascuno dei

due termini, adottando per la città la prospettiva di metropoli e per la moda

quella di sistema derivata dalle teorie di Simmel, Tarde e Veblen.

7 "Per globale com'è la moda, la gente che fa la differenza si muove in cerchie molto piccole", trad. it. a cura dello scrivente, da Vogue UK, N. 357, luglio '96.

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Questo tipo di approcio sarà funzionale per descrivere i soggetti della moda dal

punto di vista professionale, inquadrati nella moderna città dei servizi, metropoli

più che villaggio globale.

Se per moda intendiamo il “sistema della moda”, la filiera produttiva e distri-

butiva, il business, allora dobbiamo occuparci di soggetti professionali di un

certo tipo: managers, stilisti, buyers, addetti alle pubbliche relazioni, respon-

sabili di show room, giornalisti, e così via. Ed è una moda globale solo per

estensioni di mercato quella in cui fanno la differenza; ma globale la città è

veramente solo nelle cerchie di queste élite.

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1.1. La metropoli va di moda

Non è certo il milione e 350 mila abitanti a rendere Milano una metropoli. Anzi

la sua popolazione è in calo ed è comunque molto inferiore a quella di città

come Parigi, Londra, New York o Tokyo8. Sarebbe troppo ingenuo e incompleto

definire una metropoli come una “grande città” basandosi solo sull'aspetto

statistico o spaziale.

Sul dibattito legato a una valida definizione amministrativa e teorica di metropoli

esiste un vasta letteratura9: negli anni '60 e sopratutto negli Stati Uniti la

definizione era prettamente statistica basata sui bacini di pendolarità; in seguito

si allargarono i confini all'area metropolitana oltre i confini amministrativi del

Comune storico di partenza, ponendo come base il conceto di contiguità

spaziale. Ora i criteri di definizione di un area metropolitana si possono rag-

gruppare nelle più complete categorie di omogeneità (demografica, economica,

sociologica), interdipendenza (pendolarità, scambi di informazioni) e continuità

spaziale o morfologica. Senza addentrarsi nei meandri delle definizioni italiane

(secondo il testo citato di Martinotti ben sette accreditate accademicamente

negli anni '8010), è unanimamente appurato che il comune di Milano, con i suoi

soli 182 kmq di estensione, è sottodimensionato.

8 Il cui numero di abitanti è rispettivamente: 2,2 mil., 6,8 mil., 16,1 mil., 25 mil. Fonte, Atlante Zanicelli 1997. 9 Si veda MARTINOTTI Guido, Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna,1993, capitlo secondo, pag. 61-135, e i riferimenti presenti in questo testo circa il dibattito sulle aree metropolitane accennato. 10 Quelle di Cafiero del1951, del 1961 e del 1981, quella dell'International Urban Research, quella promossa dal CNR sui bisogni abitativi, la definizione di Peter Hall e Dannis Hay, quella di un coordinamento europeo sul costo della crescita urbana, CURB.

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Come non considerare parte della stessa metropoli i comuni tutt'altro che rurali

di Sesto S.Giovanni, Monza o Corsico ?

Come non pensare ad essi come lo stesso tipo di suburbia o banlieue (a

seconda dei casi) che troviamo attorno a città indiscutibilmente metropolitane

come Parigi, Londra o New York ?

Per questo nella mia ricerca ho deciso di prendere in considerazione il territorio

di hinterland che la Seat ha coperto nella compilazione delle Pagine Gialle: da

Opera a Cinisello Balsamo e da Cesano Boscone a Peschiera Borromeo, per

un totale di più di 2 milioni di abitanti. Se considerassimo solo l'area del comune

all'interno della circonvallazione di p.le Loreto - Lodi - p.zza Napoli - p.le Lotto -

Maciachini ci occuperemmo soltanto delle grandi boutique del centro, delle sedi

legali delle case di moda e delle sfilate in Fiera; sicuramente è questa la zona

dei soggetti della moda a cui tutti pensano in relazione a Milano, tuttavia così

facendo si esluderebbe tutto l'aspetto (comunque di secondo piano) produttivo

e distributivo della moda che avviene prevalentemente in periferia.

Addentrandoci di più sul concetto di “metropoli”, si deve prima di tutto dare per

sorpassata la sua forma urbana di città industriale11.

Nell’epoca postfordista la produzione su larga scala esce dalla città e si tra-

sferisce in buona parte nel sud del mondo. Le conseguenze sono: smantel-

lamento dei grandi centri industriali degli anni ‘50 - ‘60, internazionalizzazione

della finanza in un network mondiale di transazioni economiche, crescente

importanza del terziario e dei servizi legati allo scambio di informazioni.

11 MARTINOTTI G., op.cit., pag. 50.

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Secondo uno studio privato promosso dal Credito Fondiario SPA12, Milano

continua a perdere popolazione anche se rimane alto il tasso di ricambio degli

abitanti: 969.115 unità che sono andate e venute nel decenio scorso, il 60%

della popolazione iniziale. Questo fenomeno può essere associato ad un

cambiamento della struttura produttiva della città: gli addetti all'industria

maniffatturiera passano da 349.000 unità nel 1971, a 178.000 nel 1988; d'altro

lato gli addetti al terziario privato sono all'epoca 380.000, in buona parte

impegati nei centri direzionali delle grandi imprese che occupano circa la metà

dell'intera superfice destinata al terziario13. Parallelamente cresce il totale delle

superfici dismesse o sottoutilizzate e nel 1987 corrisponde al 27% del totale

delle aree a destinazione industriale e al 4% dell'area urbanizzata Milanese.

Tuttavia in linea con la sopracitata esigenza di comunicazione delle città, cre-

sce il settore delle comunicazioni: alla fine degli anni '80 viene varato il progetto

di cablazione della Lombardia con fibre ottiche e in soli tre anni (1987-1990) si

è passati da 34.200 a 73.000 abbonati Sip.

Questi cambiamenti si ripercossero sulle metropoli dandole una nuova im-

pronta. Come sostenne Saskia Sassen nel suo “The Global City”14, ora le

grandi città funzionano come luoghi ad alta concentrazione di comando eco-

nomico, come sede chiave per gli uffici delle aziende e sede di servizi specia-

lizzati, come luoghi di produzione per beni innovativi e/o di lusso e come mer-

cato per questi prodotti. Le città globali si staccano dalla crescita della propria

nazione e si inseriscono in un loro sistema a parte. Scrive la Sassen:

12 FARERI Paolo, Progettualità diffusa e difficoltà realizzativa, in AA.VV., La Costruzione della città europea negli anni '80, Volume II, a cura del Credito Fondiario SPA e CRESME, Roma 1991, pag. 59. Gli studi demografici e di ricerca socio economica promossi dal Comune in quegli anni sono rari e marginali rispetto a quelli privati, come quello citato o il "Progetto Milano" promosso dall'Irer. 13 Dati della Camera di Commercio di Milano, in FARERI Paolo, op.cit., pag. 59 e pag. 74. 14 SASSEN Saskya, The Global City. New York, London, Tokyo, Princeton University Press, New Jersey 1991, pag. 3.

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“The fundamental dynamic posited here is that the more globalized the eco-

nomy becomes, the higher the aglomeration of central functions in a relatively

few sites, that is, the global cities”15. E poi Laura Bovone, direttore del

Dipartimento di Sociologia dell'Università Cattolica di Milano: “E' questa la città-

centro della società globale, centrale non in senso fisico spaziale, ma come

nodo di un sistema di reti, elemento di estrema razionalizzazione del percorso

produzione-consumo, struttura strategica, centro dell'organizzazione e della

pianificazione”16.

In questo scenario Milano tende a confermare il suo ruolo di polo europeo a

livello nazionale: secondo l'Oetamm alla fine degli anni '80 a Milano è loca-

lizzato il 77% delle imprese di business service a controllo o partecipazione

estera presenti in Italia. Una tendenza che ha inciso sull'andamento delle

quotazioni immobiliari, in aumento nel centro.

Secondo Antonietta Mazzette, autrice del saggio “La metropoli, i luoghi della

moda”, sono principalmente tre gli elementi che delineano la frattura della

moderna metropoli rispetto alla città di derivazione illuminista (Le Corbusier): il

territorio urbano non è più ordinabile per funzioni corrispondenti a spazi

prestabiliti; le funzioni del lavorare e dell'abitare sono state perifericizzate per

dare spazio al consumo e alla circolazione; queste nuove funzioni (consumo e

circolazione) sottopongono la metropoli nelle sue dimensioni spaziali e

temporali a processi dinamici in continuo mutamento17.

15 SASSEN S., op.cit., pag. 5. "La dinamica fondamentale proposta qui è che più l'economia diventa globale, più alto è l'aglomerato di funzioni direttive in un numero relativamente ridotto di luoghi, cioé le città globali"; trad. it. a cura dello scrivente. 16 BOVONE Laura, La metropoli, i giovani, la moda: il trionfo dell'immaginario, in BOVONE Laura, MORA Emanuela (a cura di), La moda della metropoli. Dove si incontrano i giovani milanesi, Franco Angeli, Milano 1997, pag. 10. 17 MAZZETTE Antonietta, La metropoli, i luoghi della moda, in BOVONE L., MORA E. (a cura di), op.cit., pag. 91.

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Alla luce di tutte queste considerazioni voglio mettere in risalto come grazie alla

moda Milano sperimenti queste e altre tendenze socio-economiche che

caratterizzano le più moderne città.

Ad esempio, dalla mia ricerca emerge chiaramente (in seguito fornirò alcuni

dati) come il sistema produttivo è del tutto delocalizzato rispetto al centro città;

questo è invece affollato di studi stilistici, show room, e sedi legali. Nonostante

la premessa di allargamento del territorio preso in esame, i “soggetti della

moda” vivono nel cuore della città a stretto contatto fra di loro, alimentandosi

degli input multiculturali e dalle suggestioni architettoniche che solo il centro

può dare.

Tra gli anni '70 e '80 si parlò spesso di decentramento aziendale e di terzia-

rizzazionze direzionale nell'area metropolitana fuori dal territorio comunale: si

passò da una situazione nel 1975 in cui il 91,7% degli spazi ad uso terziario era

nel Comune a quella del 1987 in cui a Milano è rimasto il 74,5% del totale di

terziario18. Sorse il polo dirigenziale ENI, quello assicurativo a Mirafiori, della

grande editoria Mondadori a Segrate.

Ma nel settore della moda sono ben pochi gli esempi di decentramento diri-

genziale (non produttivo): la sede di Moschino, Lorenzo Riva, Antonio Fusco,

Jhonny Lamb, Erreuno, Gibierre e il complesso di v.le Sarca (quartiere

Bicocca19) sede di Federtessile (e delle principali organizzazioni di moda) e

della Rusconi. Ben poca cosa rispetto allo star system economico concentrato

nella zona S.Babila, Manzoni, corso Venezia.

18 Dati dell'Osservatorio Economico e Territoriale dell'Area Metropolitana Milanese (OETAMM). 19 Zona ora al centro di un vasto investimento edilizio proprio in funzione di nuovo quartiere direzionale e residenziale pubblicizzato come "Crema di Milano", promosso da Pirelli nelle aree dei suoi impianti dismessi. Parte di questo progetto prevede anche il trasferimento dell'Università Statale.