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INTRODUZIONE Finalità Poiché la "cultura scientifica" costituisce un fenomeno di vastità mondiale e uno dei problemi più rilevanti per l'umanità, per la chiesa e per la nuova evangelizzazione, ci proponiamo di approfondirne la comprensione, per verificare le possibilità di un nuovo rapporto, sereno e dialogico, fra la fede cristiana e gli aspetti più significativi della cultura scientifica. Per realizzare ciò dovremo superare alcuni vecchi schemi che hanno orientato il rapporto fede-scienza, centrandolo su presunti contrasti o concordismi. A tal fine dovremo valorizzare il ricchissimo patrimonio di idee originali e di nuove opportunità elaborato dalla "riflessione della scienza" e, ancor più, dalla "riflessione sulla scienza" negli ultimi centocinquant'anni. Perciò analizzeremo, dapprima, i contesti storico concettuali e le tematiche più generali della cultura scientifica, per passare, poi, ad alcuni suoi aspetti più specifici e, infine, alle implicazioni fondamentali del rapporto fra fede cristiana e cultura scientifica. Contenuti Il primo capitolo esamina le radici storiche, concettuali e ideologiche del rapido sviluppo della scienza e della mentalità scientifica, nella moderna cultura occidentale. Una particolare attenzione è riservata ai temi del "progresso" e della "razionalità". Nel capitolo secondo, consideriamo alcuni problemi dell'ambito scientifico, nell'attuale transizione dal paradigma "moderno" a quello nuovo "post-moderno". Il terzo capitolo analizza alcuni risultati di una recente indagine sulle idee e gli atteggiamenti degli uomini di scienza, con particolare riguardo ai rapporti fra ricerca, sapere scientifico, applicazioni, valori etici e trascendenza. Nel quarto capitolo seguiamo le fluttuazioni storiche dell'impresa scientifica e l'intreccio della grande varietà di posizioni e intepretazioni che hanno reso la tematica scientifica così articolata e complessa. Il capitolo quinto segue il sofferto itinerario epistemologico e filosofico che, fra critiche e autocritiche, ha condotto il mondo scientifico contemporaneo a convincersi che le sue conoscenze pur essendo limitate, parziali, provvisorie, congetturali e fallibili non sono, per ciò stesso, né false né meno scientifiche. Nel capitolo sesto vengono analizzati i due pilastri della scienza moderna: le teorie e i metodi, di cui la critica storica ed epistemologica, negli ultimi cinquant'anni, ha analizzato l'attendibilità e il significato, nel contesto di una scienza congetturale, fallibile, inverificabile, parziale e provvisoria. Il settimo capitolo studia le sfide poste alla ragione scientifica contemporanea da una serie di nuovi problemi emergenti, quali la complessità, il disordine, il caos, il fortuito, i sistemi dinamici complessi e dissipativi, ecc. che, evidenziando i nuovi aspetti dell'episteme, preludono a un nuovo paradigma epistemologico e scientifico. Nel capitolo ottavo consideriamo le scienze umane con il loro "specifico irriducibile": l'uomo, che esige un modello di scientificità più ampio e duttile, dotato di rigore e di oggettività appropriati, in cui le strutture simboliche e immaginarie trovino pieno rispetto e adeguato statuto epistemologico. Il nono capitolo studia le potenzialità culturali della scienza, che emergono dalle sue acquisizioni e dai suoi stessi plessi problematici. La molteplicità dei linguaggi, i

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INTRODUZIONE

Finalità

Poiché la "cultura scientifica" costituisce un fenomeno di vastità mondiale e uno dei problemi più rilevanti per l'umanità, per la chiesa e per la nuova evangelizzazione, ci proponiamo di approfondirne la comprensione, per verificare le possibilità di un nuovo rapporto, sereno e dialogico, fra la fede cristiana e gli aspetti più significativi della cultura scientifica.

Per realizzare ciò dovremo superare alcuni vecchi schemi che hanno orientato il rapporto fede-scienza, centrandolo su presunti contrasti o concordismi. A tal fine dovremo valorizzare il ricchissimo patrimonio di idee originali e di nuove opportunità elaborato dalla "riflessione della scienza" e, ancor più, dalla "riflessione sulla scienza" negli ultimi centocinquant'anni.

Perciò analizzeremo, dapprima, i contesti storico concettuali e le tematiche più generali della cultura scientifica, per passare, poi, ad alcuni suoi aspetti più specifici e, infine, alle implicazioni fondamentali del rapporto fra fede cristiana e cultura scientifica.

Contenuti

Il primo capitolo esamina le radici storiche, concettuali e ideologiche del rapido sviluppo della scienza e della mentalità scientifica, nella moderna cultura occidentale. Una particolare attenzione è riservata ai temi del "progresso" e della "razionalità".

Nel capitolo secondo, consideriamo alcuni problemi dell'ambito scientifico, nell'attuale transizione dal paradigma "moderno" a quello nuovo "post-moderno".

Il terzo capitolo analizza alcuni risultati di una recente indagine sulle idee e gli atteggiamenti degli uomini di scienza, con particolare riguardo ai rapporti fra ricerca, sapere scientifico, applicazioni, valori etici e trascendenza.

Nel quarto capitolo seguiamo le fluttuazioni storiche dell'impresa scientifica e l'intreccio della grande varietà di posizioni e intepretazioni che hanno reso la tematica scientifica così articolata e complessa.

Il capitolo quinto segue il sofferto itinerario epistemologico e filosofico che, fra critiche e autocritiche, ha condotto il mondo scientifico contemporaneo a convincersi che le sue conoscenze pur essendo limitate, parziali, provvisorie, congetturali e fallibili non sono, per ciò stesso, né false né meno scientifiche.

Nel capitolo sesto vengono analizzati i due pilastri della scienza moderna: le teorie e i metodi, di cui la critica storica ed epistemologica, negli ultimi cinquant'anni, ha analizzato l'attendibilità e il significato, nel contesto di una scienza congetturale, fallibile, inverificabile, parziale e provvisoria.

Il settimo capitolo studia le sfide poste alla ragione scientifica contemporanea da una serie di nuovi problemi emergenti, quali la complessità, il disordine, il caos, il fortuito, i sistemi dinamici complessi e dissipativi, ecc. che, evidenziando i nuovi aspetti dell'episteme, preludono a un nuovo paradigma epistemologico e scientifico.

Nel capitolo ottavo consideriamo le scienze umane con il loro "specifico irriducibile": l'uomo, che esige un modello di scientificità più ampio e duttile, dotato di rigore e di oggettività appropriati, in cui le strutture simboliche e immaginarie trovino pieno rispetto e adeguato statuto epistemologico.

Il nono capitolo studia le potenzialità culturali della scienza, che emergono dalle sue acquisizioni e dai suoi stessi plessi problematici. La molteplicità dei linguaggi, i

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rapporti fra formalismi e realtà, l'uso sintetico della ragione e altri temi, per quanto difficili e discussi, costituiscono altrettante aperture di notevole spessore culturale.

Il decimo capitolo analizza le proposte dell'umanesimo scientifico, volte a mettere in luce il significato umano della scienza e il profondo valore umanistico di un autentico impegno scientifico. Ne emerge una scienza essenziale, come fattore di sviluppo personale e culturale e come evento altamente significativo in ogni ambito: religioso, filosofico, etico e sociale.

Nel capitolo undicesimo viene approfondito il paragone fra gli atteggiamenti fondamentali del credente, dell'uomo religioso e dell'uomo scientifico, valorizzando le acquisizioni fenomenologiche e antropologiche, che collegano l'esperienza e gli atteggiamenti della ricerca scientifica, della religiosità e della fede. Questi atteggiamenti, con le loro analogie, peculiarità e diversità, si rivelano essenziali per lo spirito dell'uomo e per una crescente tutela della dignità delle persone, dell'autenticità delle culture e della libertà delle società.

I capitoli dodici e tredici, compendiano e completano i risultati della ricerca, sviluppandone le ulteriori implicazioni per il nuovo rapporto dialogico da sviluppare fra fede e cultura scientifica.

Ogni capitolo si apre con un'introduzione ai problemi e si chiude con una conclusione che sottolinea gli aspetti salienti e i risultati di maggior rilievo emersi sull'intero tema. I termini specialistici e tecnici sono spiegati in nota e riproposti pure in un breve lessico finale.

1. LE RADICI CULTURALI DELL'IMPRESA SCIENTIFICA MODERNA

1. Cenni introduttivi

La scienza moderna esordì in un contesto storico e culturale di grandi aspettative, che essa contribuì ad accentuare. Qui ne esamineremo le radici, nei temi del "progresso" e della "razionalità", considerati i caposaldi della società moderna. Infatti, tali premesse, all'apparenza positive, appesantirono la scienza di significati, compiti e ruoli che non le appartenevano, che non poteva soddisfare e che la posero progressivamente in conflitto con le altre grandi espressioni dello spirito umano: metafisica, etica, religione e teologia.

In più, le attese deluse fecero sospettare la scienza di aver tradito le grandi speranze riposte in essa. Oggi, la svolta epistemologica del XX secolo e il nuovo spirito scientifico consentono di superare le vecchie difficoltà e di ripercorrere un cammino in cui conflitti e incomprensioni possono cedere il passo a un confronto più sereno e costruttivo.

2. Progresso: concetto e ideologia

L'idea di "progresso", riferita a oggetti e situazioni, normalmente designa un generale processo di miglioramento della realtà. Applicata alla storia umana, indica manifestazioni specifiche di intelligenza, volontà e capacità, nell'ambito personale, sociale e culturale. Essa non era ignota agli antichi, ma rimase compressa dalle grandi concezioni dei "cicli alterni" e dell'"eterno ritorno", che dominavano il pensiero e le culture pre-cristiane.

Alla metà del secolo XVIII, l'idea di un progresso continuo, totale e senza limiti, trovò in Europa le condizioni per un grande sviluppo e ispirò numerose correnti di pensiero. Essa, poi, cadde in crisi alla metà del secolo XX. Per capire la sua ascesa, culminata in Hegel, Marx e Comte, occorre risalire all'illuminismo e ai grandi propugnatori del progresso, quali Voltaire, Diderot, Turgot, Condorcet ecc.1

Quest'ultimo, nel suo "Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano", (1792-1793), rifiutava l'alternarsi ciclico del progresso e della decadenza, propugnando la tesi del progresso continuo.2 Le nuove scienze, forti della sola ragione, dovevano assicurare un progresso illimitato a tutta l'umanità. Avrebbero cancellato le superstizioni e assicurato a tutti una continua ascesa. Avrebbero sconfitto definitivamente le cause di decadenza della ragione: metafisica, religione, fede e teologia. Avrebbero cancellato dalla storia, drammi rischi e incertezze e fatto regnare incontrasta la verità, certa, definitiva e indubitabile.

Anche Kant sosteneva, in termini più equilibrati, il progresso continuo e Hegel lo inserì in un processo d'incomparabile grandezza.3 I positivisti fecero, delle idee comtiane di evoluzione e di progresso, la religione laica degli intellettuali e delle classi dominanti.4 Spencer teorizzò la convergenza di progresso ed evoluzione cosmica.

Pertanto, fra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, l'idea di progresso impregnò talmente la coscienza europea, da renderla impenetrabile a dubbi e critiche e da condizionare teorie filosofico-politiche come il marxismo, e scientifiche come l'evoluzione naturale. La ragione scientifica s'identificò sempre più nel progresso, per cui ogni critica a questo costituiva un'eresia scientifica. Oggi si parla del progresso come di una "fede ideologica laica" che nulla e nessuno, fino alla metà del XX secolo, riuscì a mettere in discussione. Ci vollero le conseguenze di ben due guerre mondiali in soli trent'anni.

3. Scienza e fede nel progresso

L'idea di progresso, per sé, non comportava quella di conflitto con le altre forze culturali. Perciò, per capirne il carattere conflittuale, occorre risalire ad altre premesse. Il Rinascimento aveva impresso

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un forte impulso allo studio della natura e alla critica del principio di autorità. Descartes aveva diffuso l'istanza razionalista delle idee chiare e distinte. Le guerre di religione del secolo XVII avevano traumatizzato la coscienza religiosa e laica dell'Europa, soprattuto dopo che la guerra dei trent'anni (1618-1648), con le sue stragi e devastazioni in numerosi Stati, aveva infranto definitivamente l'unità dell'occidente.5

Fede e religione cristiana, invece di portare al genere umano pace, comunione e civiltà, avevano provocato guerre, violenze, fanatismo e discriminazioni. Pure i filosofi erano divisi e dividevano le menti. Le élites europee cercavano urgentemente una nuova base di pace, di civiltà e di consenso universale per tutta l'umanità. Solo le scienze, con le loro dimostrazioni controllabili, sembravano capaci di creare quel consenso comune, che svaniva ogni giorno di più. La nuova cultura, perciò, tendeva a divenire sempre più scientifica e sempre meno metafisica o teologica.

Galileo, con il suo metodo scientifico, offrì lo strumento più adatto ed efficace alle esigenze naturalistiche del Rinascimento. Newton lo portò al più alto livello, dando al mondo l'inebriante sensazione che la scienza potesse rendere la realtà intellegibile a tutti. I suoi segreti erano svelati dalla ragione: non vi sarebbero stati più "misteri". Le leggi scientifiche s'imponevano a tutti e interpretavano fatti e fenomeni misteriosi mediante un unico principio. La ragione scientifica trasformava l'universo in un'immensa macchina (meccanicismo) retta da leggi inesorabili (determinismo) che ne regolavano tutte le parti.6

Tuttavia, nell'immaginario del tempo, la scienza offriva ancora di più. Essa dava un metodo nuovo, generale e definitivo applicabile a tutta la realtà, per spiegarne i fenomeni più diversi e risolvere tutti i problemi naturali, umani e sociali. La nuova chiave di comprensione universale era il ferreo sistema del "determinismo meccanicista". Sul suo modello sarebbero sorte chimica, embriologia, istologia, anatomia comparata, paleontologia ecc. Scienze antiche rinnovate e nuove scienze si diffondevano. I filosofi-letterati, divenuti ricercatori scientifici, si prodigavano in divulgazioni erudite, entusiaste e brillanti. La Francia era in testa a questo complesso movimento.

Progressi scientifici così straordinari suscitavano reazioni quasi religiose. Montesquieu, nelle "Lettres persanes", per bocca di Usbeck, esprimeva la massima venerazione per la ragione umana che aveva "sbrogliato il caos" e "spiegato, mediante una meccanica semplice, l'ordine dell'architettura divina" e concludeva, in polemica verso la religione: "la conoscenza di cinque o sei verità ha reso la filosofia di costoro piena di miracoli e ha dato loro il modo di compiere più prodigi e meraviglie che tutto quanto si racconta dei nostri santi profeti".7

4. La scienza fra tendenze e correnti filosofiche

Il sensismo,8 che più tardi avrebbe condotto al materialismo, per il momento non era molto seguito dagli operatori scientifici, che preferivano il fenomenismo,9 rinunciando alle essenze delle cose per concentrarsi sui fenomeni e sulle leggi che li regolano. Locke, grande veneratore della scienza e perfezionatore del cartesianesimo, veniva ammirato per la sua opposizione a ogni dogma, tradizione e autorità e per la consapevolezza dei limiti della ragione. Fedele al dubbio metodico e sistematico, convinto del valore dell'esperienza, propugnava il libero esame per tutta la conoscenza umana.

Il pensiero scientifico acquisiva, dalla filosofia, due caposaldi fondamentali: il dubbio metodico che rifiutava ogni autorità e tradizione e la certezza dei fatti interni o di coscienza. Il pensiero filosofico acquisiva, dalle scienze, caratteri quali l'enorme fiducia nel metodo, un forte empirismo, l'esclusione dell'attività creatrice dello spirito e l'agnosticismo antimetafisico. A cementare tutto ciò provvedeva un razionalismo, che proclamava la capacità della ragione umana di scoprire e garantire tutta la verità, con le sue sole forze.

Il disprezzo della tradizione e del passato, considerati espressioni di ignoranza, inciviltà e oscurantismo, non provenivano dal mondo scientifico, ma vi furono introdotti da atteggiamenti esterni, filosofico-culturali, sempre più diffusi. Lo stesso avverrà, come vedremo, anche per il naturalismo, il soggettivismo, l'utilitarismo e l'edonismo.10

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Le scienze inserirono nella cultura e nella filosofia del tempo due acquisizioni fondamentali fra loro correlate. Una era il dinamismo della natura, che diveniva un continuo processo dinamico, capace di svilupparsi da cause perfettamente indagabili. L'altra era l'importanza che il tempo rivestiva per quelle trasformazioni. In questo modo, l'idea del progresso inarrestabile e dell'evoluzione continua trovavano una conferma scientifica. Se nel secolo XVIII il determinismo della fisica e l'interpretazione puramente "causale" dei meccanismi avevano reso "inutile" l'ipotesi del Creatore, nel secolo XIX l'interpretazione "casuale" dell'evoluzione rendeva "inutile" un piano provvidenziale riferito al Creatore. Purtroppo, gli strumenti filosofici necessari per distinguere gli aspetti strettamente scientifici della scoperta, dalle loro interpretazioni metafisico-filosofiche, non potevano essere forniti dalle filosofie del tempo e quelli epistemologici erano ancora inesistenti. Sull'equivoco sarebbe divampata la polemica fede-scienza, con la conseguente ricerca di concordismi per porvi rimedio.11

5. Prime critiche al progresso

Nel corso del secolo XIX, tuttavia, la situazione culturale cominciò a mutare quasi inavvertitamente. Sotto lo strato di fiducia nel progresso e nella razionalità della storia, si agitavano inquiete istanze critiche verso l'illuminismo e il progressismo. Si elaboravano pure gli strumenti essenziali per il loro superamento.12 Il malessere profondo dell'illuminismo sarebbe emerso più tardi nelle critiche de "ll tramonto dell'Occidente"13 e nello sgomento o rifiuto violento che ne seguirono. Le tesi provocatorie, e soprattutto la "profezia" della fine necessaria e irreversibile dell'Europa, ferivano a morte l'inconcussa ideologia dell'Europa quale forma suprema di civiltà.14 Queste reazioni emotive diedero forte risonanza a una tesi di modesto livello storico e filosofico.

Assai più pertinente, invece, fu la critica di Burckhardt alla cieca fiducia nel progresso scientifico e alla storia intesa come crescente affermazione di libertà e di liberazione dell'uomo.15 Nelle "Meditazioni sulla storia universale" egli sosteneva che: "la nostra presunzione di vivere nell'età del progresso morale è estremamente ridicola, se la si confronta con quei tempi pericolosi in cui la libera energia di volontà ideale si slanciava al cielo in centinaia di cattedrali dalle alte torri campanarie". 16 Criticava pure la cultura moderna, la crescita degli Stati e lo spaventoso aumento del loro debito pubblico, che definiva: "la grande e miserevole burla del XIX secolo" perché: "tale modo di sperperare in anticipo il patrimonio delle generazioni future prova che il tratto fondamentale di questo secolo è una superbia spietata".17 L'autore tacciava di superbia e presunzione quanti giudicavano rozzo e barbaro il passato: "Di fronte al medioevo dovremmo stare zitti, se non altro perché il suo tempo non ha lasciato ai suoi successori nessun debito pubblico".18 Rispetto a Spengler, Burckhardt prese dalla storia argomenti più critici e oggettivi, per confutare il concetto di progresso.

6. Crisi e decadenza del progressismo ideologico

Le critiche più pertinenti, all'identificazione del progresso con la scienza, emersero tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento.19 La fisica stava per sostituire la sua vecchia concezione meccanicista-deterministica20 dell'universo, con una nuova visione relativistica-indeterministica, in seguito alle innovazioni decisive di Einstein, Heisenberg, Planck e altri.21 Il rinnovamento della scienza, tuttavia, procedeva in varie direzioni. Quella dei "fondamenti"22 coinvolgeva scienze empiriche, formali, logiche e matematiche. Quella della "identità" coinvolgeva soprattutto le scienze umane e sociali, che non accettavano di essere "copie" più o meno riuscite di quelle naturali. Per tutte le scienze i requisiti di oggettività, sistematicità, rigore e uniformità si rivelavano ormai insufficienti, arbitrari o inconsistenti.23

La caduta dell'ideologia scientista24 aveva forti contraccolpi sulle ideologie culturali e sociali e anticipava il crollo dei regimi marxisti-comunisti. L'occidente, invece, vedeva allargarsi le crepe del suo edificio economico-tecnologico, accusava un progressivo degrado e asfissia dei valori e soffriva della crescente incapacità a comprendere l'uomo e a interpretare la storia.

Dopo meno di due secoli, la "profezia" filosofica di Condorcet sulla scienza, come "tempo in cui sulla terra il sole splenderà solo su uomini liberi che non riconoscono sopra di sé altro signore che la

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ragione" venne sostituita dalla constatazione del fisico M. Born che "scienze della natura e tecnica hanno distrutto, forse per sempre, i fondamenti etici della civiltà".25 A sua volta M. Heidegger completava questa diagnosi, denunciando lo scadimento della "evoluzione delle cose" nella "involuzione dell'essenza", lo sfruttamento e le devastazioni della natura e, infine, la degenerazione della ragione in prospettiva dell'oblio e del nichilismo.26

Di fronte a questi esiti, sembra giustificata la preoccupazione biblico-cristiana per le modalità e le attese del progresso. Essa è resa ancor più viva dalla consapevolezza delle immense potenzialità collegate all'impresa scientifica. La visione evangelica, infatti, ritiene che ogni impegno storico decisivo, per risultare realisticamente attuabile e umanamente significativo, non può prescindere da una prospettiva trascendente e da una concezione spirituale ed etica.27

7. Scienza, filosofia e problemi irrisolti

Non va dimenticato, che lo sviluppo della scienza moderna coincise con la stagione della crescente avversione antimetafisica. Ovviamente, ciò procurò serie conseguenze, poiché provocava la massiccia irruzione di pseudo-metafisiche e di interpretazioni immanentistiche nella cultura generale e in quella scientifica.28 Essa condusse pure a matematizzare sempre più le scienze, perché il crescente senso d'immanenza accentuava l'interesse per il "regno terreno dell'uomo", che esigeva una manipolazione tecno-scientifica della realtà, un sapere più tecnico che conoscitivo e una priorità dei problemi metodologici.29 I maggiori scienziati (Einstein, Eddington, Heisenberg ecc.) ammonirono invano che la scienza aspira a una comprensione più profonda di quella matematica, perché quest'ultima è soltanto uno strumento utile per manipolare i dati, e il pensiero umano non può ridursi alla pura dimensione quantitativa.30

L'ammonimento cadeva nel vuoto in una scienza resa, sempre più un "ripostiglio dei problemi irrisolti" dalle filosofie che più l'avevano condizionata, quali il: sensismo e naturalismo (rapporto fra uomo e natura), razionalismo metodologico e sistematico (rapporto fra spirito come pensiero e materia come estensione),31 criticismo gnoseologico-morale (rapporto fra soggetto e oggetto),32 idealismo romantico (rapporto con etica, mistica, estetica), logicismo (rapporto fra io e non io, fra spirito e natura),33 positivismo e neopositivismo (unificazione generale dei risultati delle scienze).34 Il suo cammino controcorrente, diveniva quanto mai difficile e tormentato.

8. Cenni conclusivi

Questo breve sguardo storico-culturale consente di vedere che alcuni caratteri, abitualmente attribuiti alla scienza, non furono suoi originari, ma derivarono dal contesto socio-culturale in cui essa nacque e si sviluppò.

Pertanto, l'impresa scientifica moderna non si trovò nelle migliori condizioni culturali, ma dovette compiere un lungo e faticoso cammino per liberarsi dalle interpretazioni pseudo-metafisiche e ideologiche che non le si addicevano. Furono proprio le qualità addossatele dalle filosofie e dalle correnti culturali, che più la celebravano, a crearle le maggiori diffficoltà. Esse crearono una "utopia" e una "ideologia", lo scientismo, di cui la scienza fu vittima e le cui conseguenze pesano tuttora su ampi settori della cultura.

La scienza, attraverso difficoltà, conflitti e dispute, seppe liberarsene, conseguendo notevoli risultati, ma disperdendo energie. Nei prossimi capitoli cercheremo di focalizzare le fasi e i risultati di questo tormentato itinerario, per ricavarne i suggerimenti utili al dialogo fra la scienza e gli altri settori della cultura e, in particolare, fra fede e cultura scientifica.

1 A.R.J. Turgot, Tableau philosophique des progrès successifs de l'esprit humain, Paris

1750; Id., Plan de deux discours sur l'histoire universelle, Paris 1751.

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2 M.J.A.N. Condorcet, Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain,

Oeuvres, VI, Paris 1848, (tr. it., Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, Torino 1969).

3 K. Löwith, Von Hegel zu Nietzsche, Stuttgart 1964, (tr. it., Da Hegel a Nietzsche, Torino 1971); G. Sasso, "Progresso", in Enciclopedia del Novecento, V, 623.

4 Comte, tuttavia, non teorizzò il progresso lineare, conscio che il cammino della civiltà non è rettilineo ma procede per oscillazioni asimmetriche e mutevoli, che l'uomo deve cercare di mantenere attorno a un termine medio.

5 K. Brandi, Gegenreformation und Religionskrieg, Leipizig 1930; L. Tapié, Le XVII siècle, Paris 1949; R. Palmarocchi, "Guerra dei trent'anni", in Enciclopedia cattolica, VI, 1240-1241.

6 I. Newton, Principia Philosophiae Naturalis Mathematica, Londra 1687. 7 Alla "Lettera novantasette". 8 Sensismo, teoria o filosofia per cui ogni conoscenza, anche intellettuale, proviene solo

dalle esperienze sensibili. 9 Fenomenismo, dottrina epistemologica e filosofica, che fa consistere la realtà nei fenomeni,

ossia in fatti o atti di coscienza, definiti nel duplice aspetto dell'esperienza interna ed esterna. 10 C. Capone Braga, "Illuminismo", in Dizionario delle idee, 517-519. Edonismo, filosofia o

atteggiamento che considera il piacere quale fine dell'azione umana. Naturalismo, teoria o filosofia che considera come unica realtà i fenomeni e le leggi naturali. Soggettivismo, teoria o filosofia che riduce tutta la realtà al soggetto pensante. Utilitarismo, teoria o filosofia che pone, alla base delle scelte e decisioni umane, solo ciò che è utile.

11 L. Galleni, Scienza e teologia, Brescia 1992, 116-117, 133, 168, 172. 12 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, Firenze 1974; G. Sasso, "Progresso", 633-

634. 13 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, 2 voll., München 1918-1922, (tr. it., Il

tramonto dell'Occidente, 2 voll., Milano 21977). 14 Cf. T.W. Adorno, "Spengler nach dem Untergang" (1950), in Prismen. Kulturkritik und

Gesellschaft, Frankfurt 1955, (tr. it., "Spengler dopo il tramonto", in Prismi, Torino 1972, 39-63); Sasso, "Progresso", 625-626.

15 E. Zilsel, "The Genesis of the Concept of Scientific Progress", in Journal of the History of Ideas, 6 (1943), 325-349; Sasso, "Progresso", 627.

16 J. Burckhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen (1905), Tübingen 1949, (tr. it., Meditazioni sulla storia universale, Firenze 1959), 67.

17 Burckhardt, Meditazioni, 141. 18 Burckhardt, Meditazioni, 137; K. Löwith, Jakob Burckhardt. Der Mensch immitten der

Geschichte, Luzern 1936. 19 Vanno ricordati, tra gli altri, a livello filosofico, Windelband, Rickert, Dilthey, Boutroux,

Bergson, Husserl, Heidegger ecc. Nell'ambito scientifico ed epistemologico emersero Mach, Avenarius, Poincaré, Duhem, Einstein, Planck, Bohr, Born, Heisenberg ecc.

20 Meccanicismo, teoria scientifica che interpretava la natura come un grande "meccanismo", e spiegava ogni fenomeno solo col movimento di parti e di masse. Determinismo, dottrina che attribuiva ogni fatto a cause necessarie, escludendo la libertà e il caso. Relativismo, teoria che nega l'esistenza di principi e dati assoluti e osserva i fenomeni ponendoli in relazione con gli altri. Relatività, in fisica, è la teoria per la quale nessun fenomeno ha un valore assoluto in sé ma è relativo al sistema cui si riferisce, ivi compresa la condizione dell'osservatore. Galilei aveva già enunciato il principio per la sola meccanica, Einstein lo estese a tutti i fenomeni fisici, supponendo costante la velocità della luce, ma non considerando massa, tempo e spazio grandezze assolute.

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21 Troeltsch aveva già notato che le dottrine della relatività storica dei valori presentano

un'indubbia analogia con la dottrina della relatività in fisica. La stessa analogia si potrebbe estendere al razionalismo, all'idealismo, al positivismo e al progressismo. Cf. E. Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme, Tübingen 1922. Su tali nessi cf. pure C. Antoni, Lo storicismo, Roma 1957; Id., Il tempo e le idee, Napoli 1967.

22 Fondamenti, indica i principi e assiomi su cui è costruita una scienza e che ne stabiliscono la validità. "Critica dei fondamenti" è il tentativo di rifondare le scienze su basi più ristrette e su metodi che possano eliminarne le contraddizioni.

23 M. Teich, R.M. Young (Eds.), Changing Perspectives in the History of Science, London 1973; Sasso, "Progresso", 637; K. Löwith, "Das Verhängnis der Fortschritts", in H. Kuhn, F. Wiedmann (hrs.), Die Philosophie und die Frage nach dem Fortschritt, München 1964, 28s; H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Torino 1970, 68ss; cf. T.W. Adorno, "Diskussionbeitrag", in Kuhn-Wiedmann, Die Philosophie und die Frage, 327.

24 Scientismo, complessa ideologia moderna per cui: a) solo le scienze possono risolvere i problemi dell'uomo; b) solo la scienza può conoscere tutta la realtà e spiegarla mediante i suoi principi e i suoi metodi; c) solo le conoscenze scientifiche sono credibili, oggettive, incontrovertibili, ecc.; d) solo il metodo scientifico può scoprire la verità, ecc.

25 M. Born, "Erinnerungen und Gedanken eines Physikers", in Universitas, 23 (1968), 273. 26 Questa critica è rivolta a Heidegger. Cf. Sasso, "Progresso", 642. Degli scritti di

Heidegger sono indicati in particolare: M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle 1927, (tr. it., Essere e tempo, Torino 1969); Id., Holzwege, Frankfurt 1950, (tr. it., Sentieri interrotti, Firenze 1969); Id., Nietzsche, 2 voll., Pfullingen 1961.

27 Cf. Gaudium et Spes, 4-10, 20, 37, 53-57, 64; "Progresso", in Dizionario delle idee, 925-926; J.B. Bury, The Idea of Progress. An Inquiry into its Origin and Growth, New York 1955; M. Ginsberg, The Idea of Progress. A Revaluation, London 1953.

28 Trasformata, sovente, in metafisica dell'immanenza. 29 G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica, Torino 1978. 30 A. Eddington, Filosofia della fisica, Bari 1984, 74. 31 Razionalismo, atteggiamento che assume come riferimento esclusivo ed assoluto la sola

ragione umana. 32 Criticismo, corrente filosofica volta a indagare criticamente la natura, le possibilità,

l'estensione e i limiti del pensiero e dell'agire umani. 33 Logicismo, per significati più specifici cf. il "Breve lessico" del volume. Qui: dottrina che,

nella filosofia, assegna un ruolo preponderante alla logica o ne fa addirittura il suo fondamento. 34 A.M. Moschetti, "Metafisica", in Dizionario delle idee, 688-689, 691-692.

2. SCIENZA E TRANSIZIONE AL POSTMODERNO

1. Aspetti introduttivi

Nel capitolo precedente abbiamo esaminato alcune radici culturali dell'impresa scientifica, tenendo lo sguardo rivolto maggiormente al passato. Qui lo spostiamo sul presente, per considerarne gli sviluppi più promettenti. La loro analisi dovrebbe aiutarci a capire le difficoltà e le possibilità insite nell'attuale transizione dal vecchio paradigma scientifico a quello nuovo. Tuttavia, il paradigma "moderno" è ormai fatiscente e quello "post-moderno" appare ancora incerto. Ricomporre un nuovo paradigma, che superi il "già" del passato e diminuisca il divario che ci separa dal "non ancora" del futuro, è un compiti urgente.

La scienza condivide, con gli altri settori della cultura e della società, l'urgenza di questo compito e l'incertezza di questa transizione. Nel pensiero scientifico si aprono nuove sensibilità verso i valori etico-morali e spiragli verso la trascendenza i cui contorni sono ancora incerti e problematici. Tuttavia, incertezza e problematicità, dopo secoli di dogmatismi, sono sintomi positivi che dovremo intepretare correttamente.

2. Due "stereotipi" della scienza

Per affrontare questo problema, ritorniamo ai due "stereotipi" che dominarono la cultura occidentale dal XVII al XX secolo.

Il primo, già accennato nel capitolo precedente, vedeva nella scienza la forma definitiva del sapere, capace di spiegare tutta la realtà, fondare l'etica e rinnovare la vita. Doveva sostituire gli oscurantismi religiosi e le astrusità metafisiche con principi atti a unificare, in una sintesi progressiva, i lumi della ragione, eliminare le negatività e creare un'umanità autonoma, libera e felice.

Il secondo stereotipo disegnava lo scienziato come capace di svelare i segreti della natura con i suoi metodi conoscitivi "forti" e liberi da pregiudizi, da tradizioni e da superstizioni. Egli doveva spiegare l'universo con la razionalità e le sperimentazioni scientifiche e dominarlo con le sue previsioni sul futuro.1

Questi due stereotipi sono in netto declino, da quando la società postmoderna ha cominciato ad attribuire alla scienza le difficoltà e i limiti di cui soffre. La scienza è divenuta il capro espiatorio anche perché essa è sopravvisuta alle vecchie ideologie e visioni del mondo razionaliste, materialiste e positiviste, che l'avevano rivestita o se l'erano appropriata come un loro feudo.

Dalle analisi più recenti risulta che, attualmente, in Italia, circa la metà degli operatori scientifici riscopre i fondamentali problemi etico-umani e riconosce l'esistenza di una realtà trascendente, non riducibile all'evidenza empirica. La metà degli odierni ricercatori respinge lo stereotipo scientista dello scienziato detentore della verità e dominatore della realtà.2 Alla concezione moderna è subentrata quella postmoderna, che invade pure la mentalità scientifica, mutandone i criteri di fondo.3 Tuttavia, le categorie di "moderno" e "postmoderno", sembrano inadeguate ad esprimere ciò che avviene nel profondo dell'universo scientifico, per cui dovremo utilizzare anche altri strumenti intepretativi.

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3. Svolte epistemologiche e nuovi modelli di pensiero

Tra questi riveste grande valore lo sviluppo delle ricerche epistemologiche e metodologiche sulla fisica e le matematiche (secolo XIX-XX) e poi sulle altre discipline (secolo XX). Altrettanto va detto delle filosofie fenomenologiche ed ermeneutiche (Husserl, Heidegger, Gadamer ecc.). Questo insieme di acquisizioni scientifiche, epistemologiche e filosofiche, riuscì a demolire uno dei pilastri dello scientismo: la superiorità delle conoscenze fisiche e matematiche, elevate a modello emblematico del pensiero. Vediamone alcuni esempi.

Una notevole acquisizione fu il "teorema di indecidibilità" (1931), con cui Gödel dimostrava che i teoremi dedotti da un sistema di assiomi includono proposizioni indecidibili, cioè di cui non si può dire se siano vere o false. Una seconda fu il "principio d'indeterminazione" di Heisenberg, che dimostrava l'impossibilità di formulare previsioni di tipo deterministico. Una terza fu il "teorema di Tarski" (1935), che dimostrava la necessità di limitare la potenza interpretativa delle teorie semanticamente chiuse.

Da questi esempi risulta, dunque, che determinate asserzioni scientifiche e matematiche sono indecidibili oppure soffrono di limitata potenza interpretativa, per cui non consentono attendibili previsioni. Oggi ciò è pacifico, ma in quegli anni scuoteca inveterati pregiudizi. Pertanto, oggi, risulta sempre più evidente la necessità di elaborare nuovi modelli di pensiero, assai più duttili e aperti, se si vogliono risolvere i problemi sollevati dalle nuove problematiche della scienza dei sistemi,4 della cibernetica,5 delle strutture, delle scienze umane, dell'informatica avanzata, della socio-sistemica sociologica, della linguistica ermeneutica, ecc.

Altre breccie sono state aperte dalle critiche di Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend, Laudan ecc., per favorire il passaggio, dalle rigide posizioni deterministiche della scienza moderna, alle posizioni più aperte e relativistiche della scienza contemporanea. Secondo Husserl, le maggiori difficoltà del pensiero scientifico sarebbero cominciate allorché si pretese di dissociare l'oggettivismo fisicalista galileiano, dalla soggettività dell'esistenza quotidiana.6

4. Oltre il dilemma di Max Weber

Dopo Husserl, l'atteggiamento fenomenologico sembra favorire un'epistemologia di riconciliazione fra le congetture del sapere scientifico e le certezze della vita quotidiana, valorizzando la trascendentalità della coscienza personale. In mancanza di questa riconciliazione, molti operatori scientifici, insoddisfatti dal relativismo e costruttivismo7 epistemologico dei post-moderni, continuano ad abbarbicarsi alle vecchie interpretazioni scientiste, ansiosi di maggiori certezze e sicurezze.8

Riguardo ai rapporti fra fede e cultura scientifica, la nuova scienza, sempre più problematica e avviata a radicali mutamenti, non solleva più il dilemma, così drammatico per Max Weber, fra una "scienza senza religione" o una "religione con sacrificio dell'intelletto" (1918). Oggi, simile alternativa non esiste più. Pertanto, anche l'apologetica, le controversie e i concordismi perdono valore e significato.

5. Conseguenze della transizione

I mutamenti finora accennati apportano conseguenze interessanti e decisamente positive. Le nuove epistemologie postmoderne non riconoscono più la priorità logico-assiomatica, né l'autosufficienza del sapere e dei metodi scientifici. Le epistemologie costruttiviste disegnano una scienza postmoderna estranea alla pretesa di spiegare tutto.

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Tale scienza, inoltre, non è in grado di negare il valore conoscitivo di filosofia, metafisica, etica, religione e teologia.

Di più difficile interpretazione, invece, è il crescente orientamento utilitaristico e specialistico della scienza, favorevole ai dettagli e poco interessato alle grandi sintesi unificanti. Esso diminuisce le occasioni di scontro, ma anche di incontro con le problematiche trascendenti e religiose.9 L'indagine cui ci riferiamo ha messo in luce che, attualmente, le vecchie posizioni scientiste sopravvivono solo in quei ricercatori che non sopportano i vuoti di significato, le incongruenze e la netta separazione fra conoscenza e vita, proposte da alcune epistemologie post-moderne.10

6. Scienza e attese sociali, etica e trascendenza

L'indagine ha messo pure in luce l'esigenza di un rinnovato confronto, fra posizioni scientifiche e valori religiosi, riguardo alle nuove acquisizioni sulla persona umana. Essa riguarda, in particolare, la bioingegneria che solleva urgenti problemi etici che, ponendo gli operatori scientifici fra opposte tensioni, inducono la comunità scientifica a riflettere sui fondamenti trascendenti. L'idea di scienza come puro strumento di conoscenza, esente da responsabilità morali e sociali, convince sempre meno.11 Aumenta, invece, la consapevolezza che la scienza non può provvedere criteri etici di alcun tipo, poiché ciò esula totalmente dal suo campo.12

Pertanto, per questa via, la possibilità di un rapporto tra scienza, trascendenza religiosa e fede, ritorna attuale. Non passa, perciò, per la via dei presunti conflitti teorici fra "visioni del mondo" scientifiche e religiose, bensì per quella dei crescenti problemi pratici, etico-morali, sollevati dalle nuove ricerche. Tali problemi richiedono la formulazione di criteri etici e di limiti morali per gli interventi (o manipolazioni) che potrebbero pregiudicare l'integrità delle persone o della specie.

Al riguardo, i biologi-genetisti ammettono che, se si considera l'uomo come un semplice vivente tra gli altri, o come un puro soggetto immanente all'evoluzione della materia, o se ne sopprime la trascendenza e il rapporto col mistero divino, si finisce col giustificare le più azzardate manipolazioni e sperimentazioni scientifiche, escogitate da un evoluzionismo materialista puramente ideologico.13 Di qui il disorientamento e l'inquietudine.

Il problema è complicato dal fatto che la scienza causa effetti sia buoni che cattivi. Pertanto non si possono negare i suoi reali benefici, per esempio, nella lotta contro malattie e disagi. Questa, però, è soltanto una parte della realtà. L'altra è data dalle catastrofi ecologiche ed industriali, dalle nuove malattie e sofferenze fisiche e psicologiche, prodotte dall'impresa scientifica. Pertanto l'inarrestabile progresso scientifico genera speranze (terapie per cancro, aids, ecc.) e angoscie (inquinamenti, devastazioni ambientali, alterazioni biologiche e cosmiche, ecc.).

A ciò si aggiunge la percezione che le ricerche son sempre meno motivate da valori e sempre più pilotate da interessi e poteri. Infatti l'attività scientifica è sempre più vincolata a progetti e finanziamenti di organizzazioni e centri di potere finanziario, economico, commerciale, politico e militare. Pertanto il discorso sulle sue finalità e valori, un tempo respinto drasticamente come "pseudo-scientifico", è divenuto urgente in tutti i campi della scienza. La pretesa di escludere da essa ogni risvolto finalistico ed assiologico non è più considerato come un'esigenza di rigore, ma come una rinuncia e uno scadimento qualitativo in tutti gli ambiti di ricerca, dalla biologia alle scienze umane.

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7. Comunità scientifica fra secolarizzazione e trascendenza

Questi profondi mutamenti della situazione rendono l'atteggiamento della comunità scientifica più aperto e tollerante verso la trascendenza, i valori etici, la religione e la fede.14 Tuttavia la separazione, più o meno pacifica, fra secolarizzazione e trascendenza, come aree distinte e non collegabili, rimane. Sotto questo aspetto la collaborazione tra Chiesa e mondo scientifico, auspicata dalla Gaudium et Spes, non esiste ancora.

L'indagine ha messo in luce il dato socio-culturale significativo, che il più basso indice (e valore assoluto) di religiosità degli operatori scientifici riguarda gli ex-comunisti, benché provenienti tutti dai livelli più ricchi e benestanti della società anziché dalle classi lavoratrici o i ceti popolari.15 Tra essi si ha la più elevata percentuale di conservatorismo ideologico-scientista, di ateismo, agnosticismo e rifiuto della trascendenza.

Tra i postmoderni, invece, si trova tutto l'opposto, ossia il maggior numero di soggetti aperti alla trascendenza e maggiormente sensibili all'emergere di interrogativi e di temi etici.16

8. Trascendenza finalizzata e innovazione scientifica

La coscientizzazione etico-morale provocata dalla biogenetica umana stimola, dunque, gli operatori scientifici più avanzati a superare i residui della cultura moderna, ma non raggiunge ancora i rimanenti "positivisti", arroccati nel vecchio scientismo immanentistico dell'Ottocento, che appaiono, comunque, in netto calo.17 Aumentano invece i loro oppositori, "esistenziali", che preferiscono le concezioni costruttiviste della scienza e gli obiettivi circoscritti e pratici, professano scetticismo verso il vecchio scientismo, insistono per il recupero di autonomia e priorità delle questioni etico-morali rispetto a quelle puramente cognitive e non respingono una maggior apertura alle tematiche trascendenti e religiose. Tutto ciò ai fini di una positiva innovazione del sapere scientifico.18

9. Complessità del reale e nuovi interrogativi

Nonostante queste differenze, emergono pure comuni insoddisfazioni per l'orientamento della scienza nelle società occidentali, che provocano nuove sensibilità etico-morali.19

L'esigenza di difendere l'integrità della persona e della natura nasce pure dalla maggior consapevolezza dell'irriducibile complessità del creato e dell'uomo. Di conseguenza, la vecchia sicurezza di poter dominare, con le scienze, le imperfezioni della natura si è molto attenuata. Anche la presunzione di ottenere facili ed efficaci semplificazioni della realtà, mediante i modelli artificiali di simulazione,20 diminuisce di fronte alla scoperta della complessità della natura. Tutto ciò rivaluta lo stupore e la meraviglia davanti a un'immagine dell'universo, dell'essere umano e della mente, che si allontana sempre più dal modello delle macchine e degli automi.21 L'esigenza di trovare nuove teorie più adeguate, e punti di vista alternativi, riapre fondamentali interrogativi, suscettibili di schiudersi ai temi dell'ultimità umana e al mistero del divino nell'umano.

10. Impegno conoscitivo e responsabilità etico-sociale

È in questo orizzonte, profondamente mutato, che emerge l'esigenza di non dissociare troppo facilmente l'impegno cognitivo dalle responsabilità morali e sociali,

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di non limitarsi soltanto alla scienza come unica forma di conoscenza e di superare l'eccessiva frammentazione delle conoscenze, favorendo le sintesi globali che unifichino le identità soggettive.22

Tuttavia, queste esigenze non sembrano ancora trovare punti di aggregazione nell'attività scientifica in quanto tale, né spingere i ricercatori verso posizioni comuni. Queste posizioni eterogenee, le divisioni e le divergenze di giudizio sugli argomenti più importanti, e soprattutto la questione dei rapporti tra etica e scienza, cominciano a fare problema.23 A ciò si unisce la naggior coscienza di essere coinvolti in processi di trasformazione delle persone e della specie, per i quali non si possono responsabilizzare soltanto i singoli. Pertanto l'esigenza di una comune gestione etico-morale, sociale e comunitaria della scienza, appare sempre più forte.

11. Sintesi conclusiva

L'analisi del capitolo ha messo in luce il ritorno dei fondamentali problemi esistenziali e delle preoccupazioni etiche nell'orizzonte dell'impegno scientifico. Esso esige lo sviluppo di strumenti concettuali che facciano da tramite fra il sapere congetturale e avalutativo della scienza e le esigenze di certezza e di eticità della vita quotidiana. Tutto ciò valorizza la "trascendentalità" della coscienza personale dei ricercatori e degli operatori scientifici. Infatti, pochi di loro rivendicano, ormai, l'autosufficienza del sapere scientifico o la sua neutralità (irresponsabilità) etica e sociale. Al contrario, emerge l'esigenza di non dissociare l'impegno cognitivo dalle responsabilità morali e sociali, di non limitarsi alla scienza come unica forma di conoscenza e di superare la frammentazione delle acquisizioni con la ricerca di un senso globale che unifichi l'identità soggettiva.

Tuttavia, le risposte scarseggiano. Pertanto, di fronte a queste nuove sensibilità, il dialogo fra fede e cultura scientifica deve assumere nuove dimensioni. I fermenti e le inquietudini nella ricerca, come pure i disagi e le incertezze della società, sono un segno dei tempi, che esige non tanto una difesa della fede, ma una difesa dell'uomo (persona, cultura e società) minacciato dalla potenza dei mezzi e delle capacità operative che egli stesso ha creato e che ora esigono valori, finalità e orientamenti sempre più adeguati.

La salvezza dell'uomo coinvolge il mondo della scienza e quello della fede. Storia delle scienze, epistemologia, metodologie e interpretazioni umanistiche consentono di distinguere meglio i ruoli, l'identità e, soprattutto, le responsabilità dei diversi ambiti: scienza, religione e fede. Su queste basi è possibile aprire quel dialogo costruttivo e quella collaborazione positiva così auspicati e richiesti da Gaudium et Spes.

1 Garelli F., "Mentalità scientifica tra secolarizzazione e trascendenza: il caso dei fisici,

biologi-genetisti e studiosi di intelligenza artificiale", in A. Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e trascendenza, Torino 1989, 182-183.

2 Garelli, "Mentalità scientifica", 185-187. 3 A. Ardigò, "Gli scienziati tra cultura moderna, post-moderna e oltre", in Ardigò, Garelli,

Valori, scienza e trascendenza, 221-222. 4 Scienza dei sistemi, sistemistica, sistemica, in senso generalissimo, riguardano ricerche e

metodi volti a riportare ad unità la molteplicità e frammentarietà dello scibile. Vi si accompagna l'ingegneria dei sistemi che ne costituisce l'applicazione pratica e tecnologica, realizzata con l'aiuto degli elaboratori.

5 Scienza che integra nozioni e modelli neurofisiologici e biologico-molecolari con la teoria matematica dell'informazione, la teoria dei sistemi e la ricerca operativa, per progettare sistemi di controllo volti a generare, conservare, elaborare e trasmettere informazione.

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6 A. Ardigò, Per una sociologia oltre il postmoderno, Roma-Bari 1988; Ardigò, "Gli

scienziati", 223-224. 7 Costruttivismo o costruzionismo: a) posizione epistemologica per la quale gli schemi

fissati per la dimostrazione scientifica sono una pura costruzione umana; b) dottrina filosofica per cui la conoscenza non si fonda sulla corrispondenza con la realtà esterna, ma solo sulle costruzioni del sistema osservante.

8 A. Rizzi, "Le sfide del pensiero debole", in Rassegna di Teologia, 27 (1986), 1, 1-14; Ardigò, "Gli scienziati", 226.

9 Ardigò, "Gli scienziati", 227-229. 10 Ardigò, "Gli scienziati", 201-202. 11 M. Beaumont, A. Boulvin, Y. Chatelus, Abus de savoir. Des scientifiques chrétiens

s'interrogent, Paris-Bruxelles 1977. 12 Ardigò, "Gli scienziati ", 202-203. 13 Cf. G.H. Von Wright, Immagini della scienza e forme della razionalità, Roma 1987;

Ardigò, "Gli scienziati", 204. 14 Cf. F.T. Arecchi, I. Arecchi, I simboli e la realtà. Temi e metodi della scienza, Milano

1990, 30-31; Ardigò, "Gli scienziati", 205-207. 15 A. Ardigò, "Di fronte al postcomunismo", in J. Jacobelli, Scienza e etica. Quali limiti?,

Bari 1990, 10-14; Ardigò, "Gli scienziati", 214, 219. 16 Ardigò, "Gli scienziati", 241-246. 17 J. Van der Volet, "La fede di fronte alla sfida postmoderna", in Communio, 110 (1990), 8-

15; Ardigò, "Gli scienziati", 248. 18 D. Antiseri, "Metamorfosi della razionalità: ragione forte o ragione debole?", in M. Fabris,

F. Casamassima, Cultura postmoderna e filosofia. Aspetti e confronti, Bari 1990, 83-108; Ardigò, "Gli scienziati", 257, 259.

19 M. Cini, "Socializzare la scienza", in Jacobelli, Scienza e etica, 36-40; Ardigò, "Gli scienziati", 260-262.

20 Modello: a) nelle scienze naturali schema teorico di un fenomeno o di un aspetto della natura; b) nelle scienze umane classe di ipotesi e costruzioni complesse, ideali, intuitive e creative con cui viene rappresentato l'oggetto di una ricerca. Simulazione, modello di simulazione: in informatica, nuovo modo o metodo per affrontare i problemi scientifici, che ricostruisce, con dati reali, un modello ideale di problemi o situazioni, che viene poi confrontato con la realtà.

21 H.A. Simon, The Sciences of Artificial, New York 1969; Ardigò, "Gli scienziati", 265-267. 22 H. Atlan, Tra il cristallo e il fumo, Firenze 1986; Id., À tort et à raison. Intercritique de la

science et du mythe, Paris 1986; Ardigò, "Gli scienziati", 268-269. 23 U. Galimberti, "La scienza è il nostro mondo", in Jacobelli, Scienza e etica, 61- 67;

Ardigò, "Gli scienziati", 272-273.

3. OPERATORI SCIENTIFICI E TRANSIZIONE

1. Cenni introduttivi

Nel capitolo precedente abbiamo analizzato alcune nuove esigenze epistemologiche, etiche e sociali sollecitate dagli sviluppi della scienza, nell'attuale transizione dal moderno al postmoderno. In questo capitolo esamineremo, invece, le convinzioni, gli atteggiamenti e i problemi emergenti nei membri della comunità scientifica. Sono stati messi in luce da una ricerca sui fisici, i biologi-genetisti e gli esperti di intelligenza artificiale.1

Gli operatori scientifici esprimono segnali di novità, che potrebbero anticipare significative trasformazioni culturali. Tuttavia sentono che il loro desiderio di maggiori responsabilità etico-sociali rimane ostacolato dalla suddivisione delle ricerche, dalla segretezza dei progetti e, soprattutto, dalla mancanza di chiari valori etici e sociali, di orientamenti spirituali e di aperture trascendenti.2 Di qui la crescente istanza di nuovi orientamenti, di forti riferimenti, di aperture trascendenti e di un maggior collegamento transdisciplinare fra le discipline interessate all'uomo e all'umanità.3

2. Ricercatori: identità, ruoli, responsabilità sociale

Un'esigenza oggi assai diffusa è la ridefinizione del ruolo sociale della scienza. I recenti sviluppi di alcune scienze sollecitano interrogativi etici e domande di senso, che superano gli ambiti del sapere scientifico. Pertanto, la "trascendenza", intesa come riconoscimento di una realtà, che supera il dato empirico e si pone al di là di una visione immanente del mondo, non appare più un tema estraneo al pensiero scientifico.4

Essa rientra nel mondo scientifico, in seguito al riemerge di una "necessità di senso" e di una "sensibilità etica", conseguenti alle ricerche più avanzate di alcuni settori, quali l'ingegneria genetica, l'intelligenza artificiale e alcune aree della fisica.5

I ricercatori sentono che i problemi essenziali dei valori e dei significati non vengono approfonditi abbastanza nella comunità scientifica. La parcellizzazione e la standardizzazione del lavoro li alienano da essi. Inoltre la scienza "normale" o "ufficiale" limita l'autonomia di studio e l'originalità delle ricerche e la pressione sociale distoglie dagli ambiti conoscitivi spingendo verso quelli più pratici e applicativi. Tutto ciò li deresponsabilizza.

I modi di reagire a queste contraddizioni sono diversi.6 Alcuni si immergono nei problemi puramente conoscitivi, altri fanno dell'impresa scientifica una sfida e una verifica personale, altri ancora si concentrano sugli aspetti estetici e ludici della professione, disinteressandosi delle ripercussioni pratiche e sociali.

Pertanto, sono in netto declino le motivazioni tradizionali della ricerca quali: comprendere meglio l'universo, l'evoluzione e la vita; costruire visioni unitarie dei fenomeni; raggiungere teorie generali di elevata capacità predittiva, ecc. La ragione addotta è che esse esigono un impegno professionale molto diverso dall'attuale.7

3. Problemi etici e trascendenza

Alcuni operatori scientifici imputano le loro difficoltà di aprirsi al trascendente, alla formazione scientifica e agli impegni della ricerca, che li rendono troppo estranei a tutto ciò che supera l'immediata evidenza empirica. Ritengono, perciò, che l'attenzione alle implicazioni culturali, filosofiche, religiose e psicologiche delle ricerche e il

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superamento della settorialità delle conoscenze scientifiche consentirebbero una maggior apertura alle prospettive trascendenti e ai problemi dell'ultimità.

Questi ricercatori apprezzano la complessità delle ricerche di frontiera, avvertono il senso del mistero, percepiscono l'esistenza di un ordine universale, non ritengono la ragione l'unico strumento di comprensione della realtà e si pongono, senza troppe inibizioni, le domande sul senso ultimo della vita.

Essi sono pure sensibili al crescente disagio sociale per l'accresciuto potere della scienza, di modificare gli equilibri della vita e dell'ambiente naturale. Sanno che le ricerche scientifiche contribuiscono a debellare gravi mali dell'uomo e a migliorare le condizioni di vita. Avvertono, tuttavia, la necessità di contenere le ricerche (e relative applicazioni), che rischiano di valicare le esigenze dell'uomo e della natura.

3.1. Potere scientifico e responsabilità etico-sociali Infatti, l'attuale livello delle conoscenze e delle capacità applicative della scienza

solleva problemi la cui soluzione supera le logiche e i criteri scientifici e impone una riflessione comune, filosofica, etica e teologica, sul significato e il potere della scienza.8 Più del 92,5% degli intervistati si preoccupa di salvaguardare l'integrità delle persone e della specie dalle manipolazioni genetiche. Le motivazioni addotte, tuttavia, sono assai varie: timore di violare l'integrità degli organismi umani; pericolo di minare l'integrità della natura umana nella sua configurazione e nel suo divenire; preoccupazione per l'integrità dell'uomo come soggetto simbolico; rottura dei significati psicologici, spirituali e culturali delle diverse manifestazioni bio-vitali.

L'intangibilità e inviolabilità dell'uomo da possibili manipolazioni si appellano, quindi, a motivazioni immanenti,9 mentre pochi si riferiscono alla dimensione trascendente o al carattere divino della vita umana.10

3.2. Libertà nella ricerca, cautele nelle applicazioni, La vecchia distinzione scientista fra ricerca volta alla "pura conoscenza", e "scienza

applicata" volta alle utilizzazioni pratiche, ha ancora seguito. La grande maggioranza (80%) chiede d'interdire solo le applicazioni, lasciando piena libertà alla ricerca. La pregiudiziale "superiorità" della scienza "pura" motiva la "neutralità etica" della ricerca, ma non delle applicazioni che, perciò possono essere cattive.

La permanenza di stereotipi quali: "attendibilità del sapere scientifico", "neutralità delle ricerche" e "piena separazione fra ricerca teorica e applicata" indica una coesistenza pacifica, tuttavia poco critica, fra nuovo pensiero scientifico e vecchi coaguli ideologici. Rinviamo alla nota per maggiori dettagli. Rileviamo soltanto che, finora, pochi ritengono forzata la distinzione generalizzata fra scienza pura e applicata. Ancora meno sono quelli che, per le società industriali avanzate, la trovano ingenua e semplicistica.11

3.3. Interventi sulla vita e sensibilità etica In senso generale, gli interventi sulla vita umana hanno contribuito al risveglio della

sensibilità etica e della responsabilità morale professionale.12 Il numero di scienziati, che ritiene di non aver cambiato valutazione morale, risulta inferiore rispetto a quelli che riconoscono di averla mutata. Il numero di soggetti, passati dall'assenza alla presenza di preoccupazioni e riserve morali, è maggiore rispetto a quelli che hanno fatto il cammino opposto. Il numero di operatori scientifici sensibili ai problemi morali è aumentato, in seguito al dibattito e all'approfondimento delle rispettive ragioni. La maggior mobilità delle posizioni morali riguarda gli interventi più discussi della scienza.13

3.4. Divergenti posizioni nei diversi ambiti disciplinari Anche il confronto fra le diverse scienze offre spunti di riflessione. Nonostante i

grandi mutamenti della fisica, molti fisici intervistati appaiono vincolati alla vecchia

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mentalità. Gli operatori delle scienze più giovani, come i biologi-genetisti, presentano il minor numero di soggetti preoccupati per gli interventi irreparabili sulle persone o sulla specie umana, ma raggiungono la percentuale più alta dei soggetti interessati agli aspetti etici delle questioni. Il loro orientamento è pure il più restrittivo verso le ricerche (sperimentazioni, tecniche ecc.) finalizzate agli interventi sui processi vitali più profondi.14

4. Un diverso rapporto scienza-fede

Gli uomini di scienza, quindi, appaiono molto sensibili alle questioni etiche e poco interessati ai temi teorici del rapporto fra fede e scienza. Essi ritengono che le ragioni dei vecchi conflitti siano ormai cadute. I più aggiornati sono pure i più emancipati dai dogmatismi scientisti. Gli operatori scientifici credenti avvertono sempre meno l'esigenza di cercare le conferme alla loro fede nelle conoscenze scientifiche sulle origini dell'universo e della vita, o sull'organizzazione della natura. Essi mostrano che nella comunità dei ricercatori cominciano a sentirsi gli effetti delle nuove idee storico-scientifiche ed epistemologiche su temi importanti quali le osservazioni e rilevazioni, le perturbazioni provocate dall'osservatore, i concetti fondamentali di evoluzione, spazio, tempo, materia, energia, ecc., la necessità di correggere e riformulare concetti, termini e teorie, ecc.

Le nuove acquisizioni epistemologiche risvegliano, negli uomini di scienza più aggiornati, il bisogno di una maggiore elasticità mentale e concettuale, la necessità di riconoscere il valore delle diverse forme di conoscenza della realtà, la convinzione che le scienze non possono essere la sola fonte di conoscenza, il dubbio che esse possano offrire risultati cumulativi e irreversibili. Tutto ciò contribuisce a rendere più equilibrati i rapporti fra scienza e fede e ad attenuare le presunte difficoltà.

4.1. Le mutate condizioni culturali In effetti, l'idea dei contrasti fra scienza e fede, nacque in seguito alla lettura

inesatta dei dati scientifici e religiosi, attuata nei secoli XVIII e XIX, che dipendeva da motivi strettamente contingenti. L'atteggiamento razionalista, ad esempio, che aveva trasformato la scienza in scientismo, aveva pure estremamente ridotto la dimensione personale della fede. Questa appariva sempre meno un'apertura totale e una piena disponibilità dell'uomo a Dio, e sempre più un assenso intellettuale a immutabili formule concettuali.15

Oggi la consapevolezza della diversità dei discorsi e dei linguaggi non consente più un impatto diretto fra proposizioni di fede e asserzioni scientifiche, ma esige un loro corretto inquadramento che tenga conto dei diversi giuochi linguistici, significati e linguaggi e dei differenti contesti di significazione, regole linguistiche, ecc. Pertanto locuzioni o concetti complessi e polivalenti come: creazione, origini, infinito, natura, ordine, origine, vita, coscienza, spirito ecc., vengono ormai considerati in relazione ai "giochi" linguistici vigenti nei diversi campi, senza confusioni o sovraimpressioni, così come la loro interpretazione viene effettuata in riferimento ai differenti contesti.

4.2. Varietà di concezioni Queste acquisizioni vanno modificando gli atteggiamenti degli operatori scientifici

più aggiornati, che riscoprono la validità di un rinnovato rapporto fra scienza e fede (70%) e, nella quasi totalità (90%), non vedono in tale mutamento un'abdicazione alle esigenze della scienza. Al contrario, esso viene interpretato come maggior rispetto della specificità del metodo scientifico e come indice della sua significatività per visioni della realtà più ampie e globali di quella scientifica, quali la filosofia, la metafisica, l'etica, la religione e la teologia. Ne deriva, pertanto, anche il riconoscimento della validità e plausibilità di tutte le altre discipline.

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La minoranza che contrappone ancora scienza e fede, "crede" nella relazione stretta e diretta fra scienza e fede, nella loro irriducibile alternativa, nella necessità di risolvere conflitti e opposizioni con la prevalenza assoluta dell'una sull'altra, nel declino della fede in proporzione esatta al diffondersi della scienza. Si è detto: "crede", perchè tale posizione non viene motivata con adeguati argomenti razionali. Inoltre si tratta di "minoranza" perché la percentuale di quanti ritengono che fede e scienza si riferiscano a contenuti, funzioni e ambiti di applicazione sostanzialmente diversi è già salita al 76,5%.

Inoltre, coloro che non riconoscono alla scienza il ruolo di "conferma della fede" o della religiosità non negano affatto la realtà trascendente, bensì giudicano inadeguato la conferma o dimostrazione scientifica dell'esistenza di Dio e dei suoi attributi, perché Dio é, per definizione, l'Assoluto e il "totalmente altro". Pertanto, questa forte maggioranza colloca la fede nell'ambito delle motivazioni fondamentali della vita, lasciando alla scienza gli aspetti più limitati del conoscere. Essa ritiene che, fra campi così diversi, una composizione valida e significativa possa darsi solo all'interno delle persone. Si tratta, quindi, di una posizione sostanzialmente positiva. Forse, il suo punto debole è il rischio di una certa astrattezza, inerente alla eccessiva separazione delle due prospettive.16

Gli scienziati più sensibili ai rapporti scienza-fede, motivano il loro interesse con l'attualità del problema e il riconoscimento che la fede religiosa, nel processo di comprensione della realtà, è una prospettiva insostituibile e completa la scienza. Essi dimostrano maggior capacità di considerarne gli influssi positivi e di leggere, nella natura e nel mondo fisico, i segni di una realtà che trascende l'evidenza empirica.

Fra questi operatori dall'atteggiamento più aperto e cosciente, i biologi-genetisti raggiugono un numero nettamente superiore alla media. A loro volta, gli scienziati dell'intelligenza artificiale sono il gruppo più numeroso che considera prioritario un rapporto fra scienza e fede, privilegiando la prospettiva religiosa nel caso di eventuali conflitti.17

Sintetizzando: gli scienziati credenti considerano scienza e fede due modalità diverse, ma egualmente valide e interagenti. La scienza può purificare la fede dalle incrostazioni antropomorfiche. La fede può purificare le scienze dalle assolutizzazioni metafisiche. I ricercatori "laici" sono i più disposti a riconoscere l'utilità di un rapporto costruttivo, in cui scienza e fede non si escludano né sminuiscano a vicenda.18

5. Scienza e mediazioni culturali della trascendenza

L'indagine ha valutato pure l'influsso della scienza su alcuni mediatori culturali della trascendenza, quali: l'incidenza della mentalità scientifica su culture e società; i mutamenti negli stili di vita; le conseguenze delle interpretazioni filosofiche e ideologiche dei dati scientifici e i risultati delle divulgazioni fantasiose o inesatte.

Più dei due terzi degli uomini di scienza ritiene che la diffusione delle conoscenze scientifiche non possa inficiare direttamente le condizioni culturali e sociali di un riferimento alla trascendenza. Quindi il processo di secolarizzazione sarebbe causato e condizionato da archetipi mentali e culturali diversi, quali: l'accresciuto senso di potenza dell'uomo, la svalutazione di ciò che supera le verifiche empiriche, la convinzione di poter spiegare scientificamente tutta la realtà, l'utilitarismo, l'efficientismo materiale e la ricerca esasperata del benessere. Si tratterebbe, quindi, di cause più pratiche che teoretiche.19

Ritengono, inoltre, che la conoscenza scientifica dia un senso di onnipotenza, conseguente all'impressione di non aver vincoli di ordine etico, né confini di tipo cognitivo. A sua volta, la verifica, limitata al senso empirico delle affermazioni e ai

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consolidati parametri conoscitivi, non facilita prospettive "trascendenti".20 Quanto alle divulgazioni e alle loro distorsioni "secolarizzanti" ritengono di non esserne influenzati.21

5.1. Conoscenza scientifica e divulgazione Questa semplificazione della divulgazione, tuttavia, non appare molto fondata.

Infatti, l'estremo specialismo rinchiude ogni operatore scientifico in un campo sempre più ristretto, al di fuori del quale dovrà attingere ogni altra conoscenza scientifica dalla divulgazione. E questo è già un primo aspetto. Il secondo aspetto, più importante, dipende dal fatto che, ogni operatore, per "comunicare" ai non specialisti ciò che fa nella propria specializzazione, deve ricorrere alla divulgazione che, sostanzialmente, è una traduzione e una intepretazione. Traducendo per gli altri, in linguaggi e termini divulgativi ossia ordinari, ciò che si fa, si traduce e intepreta pure per se stessi. Quindi, ogni comunicazione divulgativa di conoscenze scientifiche fra non specialisti, "traduce" per gli altri e "ri-traduce" per sé. Tali "traduzioni-interpretazioni", però, non sono neutre e condizionano la stessa "auto-comprensione" che gli operatori scientifici hanno del proprio lavoro.22 Quindi, essi stessi ne sono condizionati.

5.2. Fattori di apertura alla trascendenza Esaminiamo ora le condizioni favorevoli alla trascendenza, tanto in campo

conoscitivo che pratico-applicativo. Gli operatori scientifici trovano che gli interrogativi fondamentali sollevati dalle teorie cosmologiche e microfisiche sono, oggi, estremamente limitati. L'interessato conoscitivo è assai più attratto dai nuovi problemi della complessità e della iper-complessità dei sistemi sociali e del mondo vivente. Quello pratico-applicativo è contrassegnato dall'urgente necessità di criteri etici e di indicazioni morali per le applicazioni al mondo umano. Al riguardo, il mondo scientifico avverte l'esigenza di riflessioni, che vadano oltre la pura evidenza empirica, per cui molti scienziati trovano qui il maggior richiamo alla trascendenza.23

5.3. Impegno sociale e fede Rispetto al collegamento fra fede e responsabilità sociale, due terzi degli intervistati

approvano che fede e religione svolgano anche funzioni non specificamente religiose, purché non si atteggino a "uniche" depositarie della verità. Alcuni non accettano che si pronuncino su questioni puramente scientifiche o pongano vincoli morali alla ricerca. I biologi-genetisti, al contrario, auspicano addirittura maggiori pronunciamenti delle religioni sulle questioni scientifiche.24

5.4. Operatori scientifici e religiosità L'indagine ha pure tracciato un'immagine del "medio operatore scientifico

postmoderno", che è prevalentemente giovane, di sesso maschile, dedito alla ricerca teorica, politicamente orientato a sinistra, ancora poco aperto alle prospettive trascendenti e in parte legato alle vecchie impostazioni del rapporto scienza e fede.25 Ha messo pure in luce la convivenza di significative incongruenze e incoerenze nella sua coscienza, piuttosto sorprendenti in soggetti che dovrebbero ispirarsi a razionalità, coerenza, rigore e autonomia di giudizio.26

Riguardo alla "coerenza", il gruppo degli scienziati cristiani raggiunge il valore più elevato di "coerenza e congruenza tra le varie dimensioni dell'espressione religiosa" e di "armonizzazione costruttiva fra una rigorosa attività scientifica e una convinta adesione alla propria fede".27

A loro volta, gli studiosi di intelligenza artificiale sono i primi per atteggiamento positivo verso le varie forme di religiosità. Li seguono i biologi-genetisti, gli informatici e, buoni ultimi, i fisici.28

Le "donne-scienziato" si discostano notevolmente dalle medie maschili, per il maggior riconoscimento dei valori religiosi, la più viva attenzione ai problemi di senso

25

e significato, il più spiccato interesse alle culture orientali e la minima propensione alla secolarizzazione. Neppure esse sono del tutto esenti da tensioni e incongruenze.29

5.5. Scienza, fede e appartenenza politica L'indagine evidenzia il forte condizionamento esercitato dall'appartenenza politica

sugli uomini di scienza. Le denominazioni utilizzate, ovviamente, sono quelle vigenti nel 1987, quindi anteriori alla fine del socialismo reale (1989) e ai mutamenti che ne seguirono.

I comunisti (ancora si chiamavano così), indipendentemente dall'età o dalla specializzazione scientifica, risultano i più chiusi verso ogni trascendenza e valore religioso e i più contrari a qualsiasi modello di religiosità o riferimento di fede. L'83,8% di essi si è allontanato dalla religione. Ciò significa che la loro formazione e orientamento originari erano diversi. A differenza degli agnostici, degli indifferenti o dei lontani, non dichiarano nessuna appartenenza religiosa. Per i conduttori dell'indagine ciò indicherebbe che l'appartenenza "ideologica" funge da "surrogato" di quella religiosa.30 Il dato più interessante, tuttavia, riguarda la loro provenienza. Nessuno di loro appartiene a classi operaie, popolari o lavoratrici, né agli strati sociali più poveri o al proletariato. Tutti appartengono, invece, agli strati economico-sociali più ricchi, elevati e privilegiati.

6. Sintesi conclusiva

L'inchiesta che abbiamo analizzato disegna uno scenario umano in cui l'incalzare delle nuove acquisizioni ha reso gli operatori scientifici sempre più consapevoli dell'inesauribile immensità del reale e dell'impossibilità di conoscerlo in modo definitivo ed esaustivo mediante la scienza.

Il continuo allargamento dei confini della conoscenza non apre tramiti al riconoscimento diretto o esplicito della trascendenza, tuttavia rende gli uomini di scienza molto più attenti e sensibili alle conseguenze etico-morali, culturali e sociali degli sviluppi scientifici. Inoltre li rende più cauti riguardo allo sviluppo delle ricerche scientifiche sulle persone e alle loro conseguenze sulla specie umana.

In quest'ottica, e tenendo conto dello scenario socio-culturale postmoderno, gli uomini di scienza sembrano più disposti ad aprirsi alle esigenze di un sapere che trascenda la pura datità empirica.31 Molti di loro ritengono, infatti, che sforzi onesti, responsabili, liberi e maturi, volti a trovare convincenti soluzioni scientifiche, non vengono ostacolati né sminuiti da ricerche che tengano conto dei valori, dei significati, delle finalità e degli orientamenti.

Questi atteggiamenti possono offrire l'occasione per una approfondita riflessione comune a livello filosofico, etico, religioso e teologico.32 Un dialogo su questi punti potrebbe favorire, negli uomini di scienza, stimoli significativi per ridefinire in modo più soddisfacente il loro ruolo euristico, culturale e sociale nei confronti della scienza. Negli operatori ecclesiali potrebbe aprire una concezione dei rapporti fra scienza e fede assai più profonda e significativa di quella tradizionale. Essa sarebbe volta, in primo luogo, ad elaborare i valori umanistici, etici, culturali e sociali dell'impresa scientifica. In secondo luogo, a sensibilizzare la comunità scientifica, culturale e sociale sulle comuni responsabilità verso le esigenze, gli orientamenti, le finalità e i caratteri della ricerca.

Oggi, uomini di scienza e credenti sembrano più disponibili a percorrere insieme tale cammino, condividendo le ragioni indicate da Paolo VI: "appare ormai evidente che la scienza non basta a se stessa né puo essere fine a se stessa. La scienza non è che da e per l'uomo, perciò deve uscire dal cerchio della sua ricerca e aprirsi sull'uomo e di lì sulla società e sulla storia intera".33

26

1 M. Pacini, "Prefazione", in A. Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e trascendenza, I, Torino

1989, xiii-xiv. 2 J. Jacobelli, "La scienza per l'uomo", in J. Jacobelli (a cura di), Scienza e etica. Quali

limiti?, Bari 1990, vii; Ardigò, Garelli, "Introduzione", 1. 3 Transdisciplinare vien detto un approccio tra differenti discipline volto a mettere in comune

i principi-base di ogni scienza, per ritrovarne il fondamento unificante. Cf. Ardigò, Garelli, "Introduzione", 2-3; G. Giorello, "Transdisciplinarità: motivi storici e problemi attuali", in P. Alferi, A. Pilati (a cura di), Conoscenza e complessità. Strategie e prospettive della scienza contemporanea, Roma-Napoli 1990, 57-87.

4 F. Garelli, "Mentalità scientifica tra secolarizzazione e trascendenza: il caso dei fisici, biologi-genetisti e studiosi di intelligenza artificiale", in Ardigò-Garelli, Valori, scienza, 7.

5 R. Levi Montalcini, "Tra valori e conoscenza: il dibattito sull'etica della professione scientifica", in E. Agazzi, S. Maffettone, G. Radnitzky, Valori, scienza e trascendenza II, Torino 1990, 47-49; Garelli, "Mentalità scientifica", 9.

6 S. Lombardini, "Liberare la scienza ingabbiata", in Jacobelli, Scienza e etica, 104; Garelli, "Mentalità scientifica", 19-21.

7 A.M. Isoldi, "Evoluzione critica della scienza", in Jacobelli, Scienza e etica, 94; Garelli, "Mentalità scientifica", 29-31.

8 Cf. M. Pera, "L'etica in laboratorio", in Jacobelli, Scienza e etica, 135-141; Garelli, "Mentalità scientifica", 77-78.

9 R. Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale nell'era del DNA, Milano 1988; Garelli, "Mentalità scientifica", 78-80.

10 E. Sgreccia, "La risposta nella trascendenza", in Jacobelli, Scienza e etica, 163-167; Garelli, "Mentalità scientifica", 81-82.

11 Va notato il fatto che, nonostante i progressi epistemologici e storico-scientifici, molti intervistati risultano ancora vincolati alle idee del secolo XVIII, elaborate dalle istituzioni scientifiche (società, accademie, ecc.), monarchiche o governative di Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti ecc., per legare le ricerche scientifiche alla "ragion di Stato" politica, economica e militare. Storici e sociologi della scienza, hanno ben documentato questo aspetto. Cf. J. Ben-David, Scienza e società, Bologna 1975, 281-286. G. Gismondi, Fede e ragione scientifica, Rovigo 1978, 236-240. Quanto al passaggio dalle conoscenze pure alle applicazioni, al tempo di Faraday occorrevano almeno cinquant'anni, mentre alla metà del secolo XX il divario era già annullato. Oggi l'ordine è capovolto perché sono i risultati pratici voluti da committenti e finanziatori che determinano le ricerche. Cf. B. Zimmermann, L., Radinski, "Una scienza per il popolo", in A. Jaubert, J.M. Lévy-Leblond (a cura di), Autocritica della scienza, Milano 1976, 39-40. Gli esempi sono numerosi. Ne indichiamo solo alcuni: Studio delle abitudini di vita di piccoli molluschi (barnacal), per proteggere i sommergibili nucleari dagli insediamenti delle conchiglie. Studio dei movimenti molecolari, per la lubrificazione degli aviogetti militari in volo su rotte polari. Ricerche sulla struttura fine dei metalli, per i carrelli di atterraggio degli aerei militari. Ricerche sulle emissioni atomiche, per la guida dei missili intercontinentali. Ricerche geodetiche, per il funzionamento di razzi con centrale a inerzia. Anomalie geomagnetiche, per il pilotaggio automatico dei sommergibili. Ricerche sul volo notturno degli uccelli e delle falene, per la guida notturna di veicoli e velivoli militari. ecc. Cf. G Gismondi., Critica ed etica nella ricerca scientifica, Torino 1978, 66-67; Id., "La proposizione scientifica in funzione di un universo linguistico e culturale determinato", in Relata Technica, 5 (1973), 621-662; G. Ferrieri, "Addio scienza", in L'Europeo, 29 (1973), n. 1437, 62-67.

12 Circa i 2/3 si dicono favorevoli a un impiego selettivo, non indiscriminato della tecnica, ossia a interventi: a) orientati a migliorare le condizioni di vita dei soggetti; b) che non producono esiti sconvolgenti. Sono sfavorevoli, invece, quando: a) vi siano possibilità diverse da quelle tecniche; b) l'intervento produca conseguenze radicali; c) l'intervento non abbia speranza di efficacia. Cf. Garelli, "Mentalità scientifica", 83-85.

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13 Cf. E. Chargaff, "Engineering a Molecular Nightmare", in Nature, 1987, 327; P.

Quattrocchi., Etica, Scienza, complessità, Milano 1988; Garelli, "Mentalità scientifica", 90. 14 G. Mattioli, "Chi decide sui limiti?", in Jacobelli, Scienza e etica, 130-134; Garelli,

"Mentalità scientifica", 92-93. 15 C.A. Coulson, "The Similarity of Science and Religion", in I.G. Barbour, Science and

Religion. New Perspectives in Dialogue, New York 1968, 57ss; Garelli, "Mentalità scientifica", 104-107.

16 Cf. H.K. Schilling, "The Threefold Nature of Science and Religion", in Barbour, Science and Religion, 78-81; Garelli, "Mentalità scientifica", 109-114.

17 Garelli, "Mentalità scientifica", 114-118; cf. J.B. Lotz, "Esperienza religiosa", in Dizionario delle idee, 353-356.

18 Garelli, "Mentalità scientifica", 118-124. 19 Cf. P. Poupard, Chiesa e culture. Orientamenti per una pastorale dell'intelligenza, Milano

1985, in particolare il capitolo VI "Culture d'oggi e speranza cristiana", 82-101; Garelli, "Mentalità scientifica", 132-133.

20 Cf. I.G. Barbour, Issues in Science and Religion, London 1966, 452-463; Garelli, "Mentalità scientifica", 133-136.

21 Garelli, "Mentalità scientifica", 137-138. 22 Gismondi, Critica ed etica, 23, 48, 59, 73, 78, 100, 245. 23 Per una lettura di questi problemi in chiave fortemente pessimista cf. G.O. Longo, "Il

demiurgo cieco", in Jacobelli, Scienza e etica, 113-118; Garelli, "Mentalità scientifica", 138-140.

24 V. Cappelletti, Etica della scienza e bioetica, in Jacobelli, Scienza e etica, 25-30; Garelli, "Mentalità scientifica", 141.

25 E. Poli, Homo sapiens. Metodologia dell'interpretazione naturalistica, Milano 1972, 268-292; Garelli, "Mentalità scientifica", 162.

26 Cf. Garelli, "Mentalità scientifica", 159; Poli, Homo sapiens, 322ss. 27 Cf. N. Devolder, "Enquête sur la religion des intellectuels", in Bulletin de l'Institut de

Recherches Économiques et Sociales, 12 (1946), 649-671; Id., "Inquiry into the Religious Life of Catholics Intellectuals", in Journ. Soc. Psychol., 28 (1948), 39-56; Garelli, "Mentalità scientifica", 163.

28 Sull'intelligenza artificiale cf. E. Berti, "Ragione e intelligenza artificiale", in L'elettrotecnica, (1986), 4, 327-334; su alcuni problemi della fisica cf. E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia della fisica, Roma 1974; Garelli, "Mentalità scientifica", 170-171.

29 Garelli, "Mentalità scientifica", 176. 30 Sui complessi problemi dell'appartenenza religiosa cf. H. Carrier, Psico-sociologia

dell'appartenenza religiosa, Leumannn-Torino 1988, con ricca e scelta bibliografia; Garelli, "Mentalità scientifica", 177.

31 P. Koslowski, "Moderne oder Postmoderne? Zur Signatur des gegenwärtigen Zeitalters", in Perspektiven. Zeitschrift für Wissenschaft, Kultur und Praxis, 2 (1986), 5, 59-67; Garelli, "Mentalità scientifica", 182-183; Gismondi G., "La ricerca scientifica come equilibrio fra specializzazione e specialismo", in Relata Technica, 4 (1972), 485-516, cf. Gismondi, Critica ed etica, 93-124; Garelli, "Mentalità scientifica", 185-187.

32 F. Ardusso, "Fede (l'atto di)", in Dizionario Teologico Interdisciplinare, II, 184-185; K. Rahner, "La teologia in dialogo con le scienze moderne", in J.B. Metz, T. Rendtorff (a cura di), La teologia nella ricerca interdisciplinare, Brescia 1974, 47-61; Garelli, "Mentalità scientifica", 196-197.

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33 "Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze 23 aprile 1966", in AAS, LVIII (1966),

n. 5, 377.

4. SCIENZA: MUTAMENTI E OSCILLAZIONI STORICHE

1. Cenni introduttivi

In questo capitolo esaminiamo la storia e la storiografia delle scienze per rilevare le variazioni intervenute nei concetti di scienza e di scientificità. Esse costituiscono una base utile per la comprensione dell'impresa scientifica, consentendo di percepirne la relatività, storicità e carattere "analogico".

Le numerose e notevoli variazioni della "comprensione" della scienza consentono di rilevare uno dei maggiori limiti del pensiero scientifico moderno: l'aver considerato la variabilità come un'anomalia e la mutevolezza come una deviazione. Storiografia e storia della scienza hanno svolto un'importante funzione catartica e liberatrice da questo limite.

2. Varietà e ampiezza del termine "scienza"

L'impresa scientifica non fu mai sottoposta a tanti studi e vagli critici, come a partire dalla seconda metà del secolo XIX a oggi. Essi hanno arricchito il pensiero della scienza con quello sulla scienza, elaborato da numerose discipline, guidate dalla storia della scienza e dall'epistemologia. Entrambe hanno messo in luce la crescente polivalenza del termine "scienza", che non indica un contenuto unico ma numerosi elementi quali:

a) l'insieme dei risultati ottenuti (ipotesi, problemi, teorie, paradigmi, predizioni, spiegazioni, modelli, calcoli, misurazioni, esperimenti, ecc.); b) l'insieme delle attività che producono tali risultati (insegnamento, addestramento, ricerca teorica ed empirica, ecc.); c) l'insieme delle istituzioni e strutture (istituti, centri, laboratori, accademie, università, pubblicazioni, collegi, ricercatori, ecc.) che producono i risultati scientifici.

I tre insiemi, e i loro elementi, possono essere studiati da numerosi punti di vista: psicologico, sociologico, giuridico, economico, antropologico, storico, filosofico, etico, politico, ecc. Pertanto le discipline che studiano i vari aspetti della scienza crescono continuamente, aumentandone la nostra conoscenza globale di "fenomeno", di "universo" e di "impresa".

La storia della scienza costituisce uno strumento prezioso, perché definisce questo "universo" proprio attraverso le sue variazioni. A tal fine, gli storici dovettero faticare assai per chiarire i concetti di scienza (gli eventi), di storia (il loro corso) e di storiografia (il modo di narrare entrambi).1 Pertanto, oggi, la storia della scienza indica un vasto insieme di indagini e di ricerche estese ai più diversi ambiti interni ed esterni dell'universo scientifico.

L'ambito "concettuale" considera termini, idee, concetti, ipotesi, teorie, ecc. Quello "oggettuale" studia strumenti, relazioni scritte, descrizioni di scoperte, ecc. Quello "istituzionale-strutturale" indaga comunità e scuole di ricerca, circoli, accademie, istituzioni accademiche, ecc. Quello "personale" si occupa di biografie, pensiero e realizzazioni dei vari uomini di scienza, dai più famosi ai più dimenticati.2 Questo vasto ambito di realtà storiche e culturali si è rivelato indispensabile per un'analisi dell'impresa scientifica e per la comprensione della sua natura.

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3. Diverse immagini di storia della scienza

Una delle maggiori difficoltà affrontate dagli storici della scienza deriva dal continuo processo di specializzazione, che genera sempre nuove discipline scientifiche e trasforma profondamente quelle vecchie. Esso rende poco fruttuose le storie generali della scienza, perché rende arduo stabilire gli oggetti delle varie discipline. Infatti gli "oggetti" della scienza e della sua storia sono assai diversi dagli oggetti dell'esperienza quotidiana.

Innanzitutto gli oggetti delle scienze non si identificano affatto con le cose normali, perché sono i "vari modi di leggere" tali cose e non le cose stesse.3 Quindi possono variare secondo i più diversi punti di vista culturali, filosofici, ideologici o di moda. Lo stesso vale per la storia: altro è l'oggetto di una storia positivista della scienza, altro quello di una storia idealista, marxista o postmoderna, ecc. Di conseguenza, anche i criteri storiografici variano da epoca a epoca.

Per spiegare meglio queste differenze della storia della scienza, gli storici usano due immagini o "modelli". Il primo è la piramide, il secondo è la carta geografica.4

Nel "modello piramidale", gli enunciati scientifici sono disposti in ordine gerarchico, a "piramide". Seguono tale modello le concezioni scientiste, fisiciste, positiviste ecc., che si prefiggono di "spiegare le realtà complesse" in base alle loro componenti elementari e di "ordinare gerarchicamente i dati, la ipotesi", le interpretazioni, le teorie ecc.

Seguono il "modello cartografico" le storie postmoderne5 che riconoscono gli oggetti scientifici solo mediante i simboli che li esprimono e le relazioni che li collegano. S'interessano, soprattutto, alle connessioni che strutturano, organizzano e "caricano di teoria" ogni osservazione. Mentre i modelli piramidali mantengono sempre la stessa struttura, le raffigurazioni dei modelli cartografici possono cambiare continuamente.6

Ciascuna immagine, piramidale o cartografica, presuppone differenti basi (storiche, filosofiche, culturali, ideologiche, metafisiche, personali, sociali, politiche ecc.), che producono comprensioni e interpretazioni della scienza assai diverse e storie della scienza ancor più divergenti.

La concezione "piramidale" dell'Ottocento, ispirata alla visione positivista, materialista, scientista ed evoluzionista, si basava su una immagine della scienza in crescita lineare, coerente e in "costante accumulo organico".

La concezione "cartografica", della metà Novecento, più vicina alla visione postmoderna, descrive la scienza come successione di interpretazioni diverse e contrastanti, che costringono a "ridisegnare" continuamente nuove "carte".

4. "Accumulo lineare" e "storicizzazione totale"

Le storie dell'Ottocento e del primo Novecento, cui si ispirano tuttora la divulgazione, la grande informazione e i mass-media, perpetuano la vecchia immagine dell'accumulo lineare delle scoperte, in cui la scienza si avvicinava sempre più alla "verità", accumulando conoscenze coerenti e lineari. Gli storici, però, accertarono che questo metodo "a ritroso", che risaliva dalle fasi finali fino a quelle iniziali, falsava la scienza e la sua storia.7 Ciò pose in crisi la concezione piramidale e le "storie generali" scritte da équipes di specialisti.

La prima ragione è che questo metodo non afferrava il significato delle ristrutturazioni. La seconda, più grave, è che esso pretendeva che gli scienziati agissero in base a dottrine che al loro tempo non esistevano, perché sarebbbero emerse solo a distanza di anni. Ancor

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più inverosimile era che gli operatori scientifici potessero scegliersi, in anticipo, le discipline che avrebbero avuto successo solo assai più tardi. Infine, la terza ragione era l'impossibilità di descrivere gli ambiti disciplinari intermedi, sovente molto importanti, che furono soppiantati da discipline che, successivamente, dominarono il campo e imposero la loro identità.8

Questi esempi dimostrano l'inattendibilità di una storia della scienza scritta in funzione di concezioni attuali e improntata al criterio del "progressivo passaggio dagli errori alla verità". Essa discriminava la realtà in base al pregiudizio illuminista-evoluzionista che i predecessori sono sempre primitivi, arretrati e inferiori rispetto ai successori.

All'estremo opposto si collocò la "storicizzazione totale" che, negando ogni elemento soprastorico, non poteva cogliere il valore conoscitivo soprastorico dei risultati scientifici.9

5. Presupposti epistemologici e tendenze storiografiche

La storia della scienza, come disciplina autonoma consapevole dei suoi metodi e contenuti, si sviluppò nel Novecento.10 Essa venne tenuta in tensione continua dalle discussioni epistemologiche e filosofiche, dai nuovi apporti storici del pensiero e delle idee, dagli influssi sociologici, ecc. che influirono sui suoi criteri e le sue ricerche.11 Ne indichiamo alcuni esempi.

E. Mach sosteneva che le ricerche storiche sullo sviluppo di una scienza dovevano impedirne i dogmatismi e consentire nuove aperture.12 P. Duhem intendeva mostrare che le teorie scientifiche erano "convenzionali" ma non arbitrarie e dotate di "continuità" (continuismo).13 Il suo "continuismo" fu respinto, più tardi, da Koyré, Kuhn, Lakatos, Feyerabend, ecc. che contestarono gli "imperativi epistemologici" che lasciavano poco spazio alle alternative e agli imprevisti della storia reale.14

La corrente husserliana presentava la fisica, l'astronomia e la matematica come i modelli cui la storia delle scienze doveva ispirarsi.15 Poincaré, invece, dimostrò che la meccanica classica era troppo approssimativa ed si applicava soltanto a velocità trascurabili di fronte a quella della luce.16

Cassirer privilegiava la storia della scienza per rintracciarvi i fatti che la differenziavano dalla filosofia e dal suo semplice "avvicendarsi di opinioni".17 Lo interessava, soprattutto, la trasformazione dei dati sensibili in simboli numerici.18 Brunschvicg sottolineò la sinuosità e instabilità della scienza e il continuo infrangersi di nozioni, teorie e metodi, che esigeva un incessante lavoro di perfezionamento e riaggiustamento.19 Rivendicò l'atteggiamento inventivo della mente che, nel processo scientifico, non si limita a una passiva registrazione dei fatti. Bachelard evidenziò la complessità della scienza moderna, la sua alternanza di cristallizzazioni e rotture, l'insuperabile varietà di significato dei suoi termini e le lentezze e confusioni che ne costellano il cammino.20 Come sivede, questo breve elenco costituisce un panorama di concezioni estremamente diversificate e complesse.

6. Storicità della scienza e storiografia

Fra gli strenui oppositori della storia delle scienze vanno ricordati i neopositivisti. L. Wittgenstein, R. Carnap, O. Neurath ecc. sostennero l'irrilevanza della storia delle scienze per la filosofia, la scienza e l'epistemologia, svalutandone le ricerche riugardo ai modi, ai tempi e alle condizioni che presiedono al sorgere di ipotesi, teorie e scoperte. Essi, in

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realtà, s'interessavano soltanto alla scienza come "prodotto finale" (risultati e scoperte) e non alle ragioni per cui si era arrrivati ad esso.

Altri autori quali E.A. Burtt,21 A.O. Lovejoy,22 e A.N. Whitehead, 23 ritenevano, invece, la storia della scienza inscindibile da quella della cultura, compresa la metafisica, che ne determina le svolte e le rivoluzioni. Perciò misero in luce le basi metafisiche della scienza di Copernico, Keplero, Galilei e Newton e sostennero che se gli empiristi di oggi fossero vissuti nel XVI secolo, sarebbero stati i più accaniti dileggiatori e oppositori della nuova visione dell'universo.

6.1. Storia delle idee e storia della scienza I membri del "Club per la storia delle idee" (History of Ideas Club) fissarono il criterio

che qualunque idea di cui si scriva la storia, deve essere indagata in tutte le forme assunte nei più diversi ambiti. Lovejoy sosteneva che i vari "ismi": razionalismo, illuminismo, positivismo ecc., non sono dottrine unitarie, ma combinazioni eterogenee di elementi contraddittori. Il suo principio storiografico fondamentale era: "più vi spingete al cuore di un problema storico, più vi troverete qualcosa che vi spinge fuori e oltre i suoi confini".24

Whitehead poneva due presupposti alla base di ogni ricerca storica. Il primo era che la mentalità di un'epoca nasce dai punti di vista e dalla visione del mondo delle classi sociali colte.25 Il secondo sosteneva il reciproco scambio tra le cosmologie e i vari settori culturali della scienza, dell'arte, dell'etica, della filosofia, della religione ecc. Su queste basi giudicò che le concezioni scientifiche sulla vita, gli organismi, i sistemi ecc., formulate nei secoli XVII e XVIII, erano il tallone di Achille dell'intero sistema concettuale, ne denunciò le idee "avventurose" e auspicò una maggiore apertura delle scienze a tutte le altre forme di esperienza e di riflessione umana.26

6.2. Conoscenza scientifica e mutamenti socio-culturali Verso il 1930 vennero studiati i rapporti fra conoscenza scientifica e mutamenti sociali,

per chiarire il collegamento fra le origini della scienza moderna e le forme dello spirito capitalistico. I concetti di "valore di verità" e di "avalutatività" della scienza vennero considerati "credenze" prodotte da una cultura, che considerava il potere come unico "valore dominante" e rendeva la scienza un "sapere rivolto al dominio".27 In quest'ambito fu singolare la concezione di J. Needham, biochimico, embriologo, studioso di filosofia e di poesia, anglo-cattolico praticante, socialista e marxista, storico della scienza e sinologo, che scrisse una monumentale storia della scienza e della civiltà della Cina, basata su presupposti fortemente criticati.28 Il primo era che l'evoluzione sociale ha fatto crescere la conoscenza della natura e il controllo sul mondo. Il secondo era che la scienza è un valore universale le cui applicazioni unificano i contributi delle diverse civiltà. Il terzo era che, attraverso i due precedenti processi, l'umanità si muoveva verso una crescente unità, complessità e organizzazione.29

6.3. Storia della scienza e deformazioni ideologiche Gli storici marxisti inglesi furono molto criticati per il loro ideologismo,30 tuttavia non

furono gli unici a "ideologizzare" la storia della scienza. Già i primi storiografi la teorizzavano come storia "della perenne lotta contro gli errori, le superstizioni e i crimini dello spirito" o storia "della crescita della tolleranza e della libertà di pensiero" o, ancora, storia "della graduale rivelazione della verità e liberazione dall'oscurità", ecc. Tutti questi "fideismi" scientisti e razionalisti, rivolti a identificare la scienza col progresso totale, non hanno retto agli eventi.31 Pertanto W. Pagel, negando che la storia della scienza mostri il "graduale rivelarsi della verità", propose delle monografie storico-scientifiche che integrassero il pensiero scientifico con quello non scientifico.32

37

A. Koyré confutò la storiografia positivista, mostrando che scienza e storia procedono per vie tortuose finendo, sovente, in vicoli ciechi da cui dovranno tornare indietro. Sosteneva invece l'importanza delle idee metafisiche e religiose al fine di contestualizzare le acquisizioni scientifiche nel loro tempo e cultura ed evitare di "tradurle" immediatamente nel linguaggio moderno.

6.4. Continuità e discontinuità nella scienza Negli anni sessanta la discussione sulla conoscenza scientifica riprese i temi della

"continuità e discontinuità". I "continuisti" sostenevano lo sviluppo continuo, ordinato, lineare e organico. I "discontinuisti" difendevano la discontinuità, i salti, le cesure, le rivoluzioni, i punti di non ritorno e le alternative opposte. Vi parteciparono famosi uomini di scienza e storici quali Hanson,33 Kuhn,34 Toulmin e altri.35

Il dibattito contribuì a far riconoscere che osservazioni, dati, termini e concetti scientifici non sono mai neutri, ma immersi in un tessuto teorico che ne condiziona gli apparati simbolici, concettuali, logici e strumentali usati per rilevarli ed esprimerli. Inoltre dimostrò l'inesistenza di linguaggi osservativi, che consentano di esporre i dati in modo neutrale, per poterli confrontare con i linguaggi teorici.

7. Storia interna e storia esterna.

Le difficoltà interne al processo scientifico sollevarono un vivo dibattito sulla priorità della storia "interna" o "esterna" della scienza. Privilegiavano la storia interna gli storici che sostenevano l'accumulo lineare della conoscenza scientifica e il suo oggettivo impatto con la realtà ed erano poco interessati ai soggettivismi umani e ai punti di vista parziali. Ad essi si opponevano quanti preferivano la storia esterna, diluivano la specificità della scienza e della sua funzione nella generalità della cultura e sopravalutavano l'influsso di quest'ultima sulla storia.36 Questo dibattito fece spingere lo sguardo oltre gli stretti contenuti disciplinari e indusse a superare l'illusione di un'unica della chiave di lettura della realtà, riconoscendo l'importanza delle letture filosofiche, metafisiche, culturali e religiose delle vicende della scienza.

Questa impostazione rivelò che la scienza moderna è solo una delle molte forme storiche rivestite dalla scienza, dai suoi inizi ad oggi. Inoltre i problemi da noi chiamati "scientifici" furono studiati, con logiche, strumenti e risultati diversi, anche da altre culture. Le esigenze della certezza, del rigore e della giustificazione razionale erano note pure nell'antichità.

Ciò che invece è diversa, è la modalità di accertamento dei requisiti razionali della ricerca empirica, della scienza moderna. Essa esigeva specifiche condizioni cognitive, storiche, culturali, tecnologiche, non realizzabili prima dei tempi di Galilei. Occorre tener presente tutto ciò, per poter spiegare come validissimi elementi scientifici si ritrovino già nelle antiche ricerche astronomiche, matematiche, fisiche, chimiche, biologiche, mediche ecc., di epoche molto anteriori.37 D'altra parte, molti elementi tipici del paradigma moderno, oggi vengono sempre più discussi e criticati.

Ciò dovrebbe renderci consapevoli della relatività dei contenuti e dei concetti di scienza e di scientificità e dell'artificiosità di molte definizioni o dispute al riguardo.38

7.1. Classificazione e unificazione dei dati La storia della scienza sottolinea pure altri fatti rilevanti. Il primo è il succedersi di

tendenze contrastanti, nella scienza in generale e nelle varie discipline particolari. Il

38

secondo è lo sviluppo di imprevedibili effetti, positivi e negativi, conseguenti ai mutamenti di tendenza.

Un esempio di tipo generale è offerto dalle grandi teorie unitarie dell'Ottocento, volte a collegare organicamente le precedenti conoscenze, che sostituirono le raccolte e le classificazioni dei dati prive di rielaborazione teorica, proprie del Settecento.

Per le discipline specifiche, ad esempio le matematiche, ricordiamo le ricerche per la rifondazione dell'analisi del concetto formale di limite,39 che consentì di chiarire maggiormente i concetti di infinito, infinitesimo, convergenza e divergenza di una serie, continuità di una funzione, ecc.40 A sua volta, la "ricerca sui fondamenti"41 culminò, negli ultimi decenni del secolo, nei tentativi di fondare logicamente l'aritmetica di Frege42 e creare la teoria astratta degli insiemi di Cantor.43 Il tentativo di Frege non riuscì ma offrì utili elementi per successivi sviluppi della logica.

In fisica si cercò di conferire a tutte le sue parti, la compattezza, il rigore matematico, la generalità e la potenza esplicativa della meccanica newtoniana. Questo programma, da una parte sfociò nella tendenza riduzionistica, dall'altra fallì, per difficoltà teoriche e concettuali. Tuttavia fisica e chimica attuarono un proficuo scambio, che consentì migliori sistemazioni teoriche in entrambe.

Anche la biologia, fino al Settecento, si limitava a raccogliere dati, classificarli e formulare intuizioni interpretative sull'unità del mondo vivente. Nell'Ottocento, invece, passò da questo atteggiamento "empirico" a quello "sperimentale", volto ad attuare esperienze in condizioni osservative standardizzate e precostituite. In campo "teorico", passò a creare teorie fondate sui campi d'indagine limitati alla raccolta di reperti sperimentali esatti e alla verifica, conferma, previsione e spiegazione delle anomalie. Abbinò sforzo di teorizzazione e potenziamento della sperimentazione. Le osservazioni vennero generalizzate, controllate e attuate, mediante strumenti progettati a tal fine.44

Alcuni di questi passaggi furono possibili grazie a eventi culturali esterni, quali la rivoluzione tecnologico-industriale, che consentì di costruire strumenti sempre più potenti ed esatti per le ricerche. Si stabilì un rapporto sempre più stretto fra scienza e tecnologia. La scienza potenziava lo sviluppo tecnologico con l'applicazione delle sue conoscenze. Lo sviluppo tecnologico consentiva alla scienza esperimenti e ricerche sempre più difficili e sofisticati. Tuttavia, questa simbiosi favorì pure lo sviluppo di uno "specialismo" con risvolti negativi, quali l'eccessiva frantumazione delle discipline, la loro crescente difficoltà di comunicazione, il progressivo isolamento culturale della scienza e la perdita di unità del suo discorso.45

7.2. Variabilità e fluttuazioni delle "teorie" Un'altra acquisizione importante derivò dallo studio storico delle "teorie scientifiche".46

Secondo L. Laudan se ne poterono individuare due tipi diversi: a) "dottrine specifiche", collegate fra loro, controllabili, utilizzate per predizioni sperimentali o spiegazioni dettagliate;47 b) "dottrine generali", meno controllabili, volte a unire le teorie del primo tipo, sovente non conciliabili tra loro.48 Le seconde vennero interpretate in molti modi diversi, dando luogo ai "paradigmi" o "matrici disciplinari" di Kuhn, ai "programmi di ricerca" di Lakatos, alle "immagini di scienza" di Elkana e alle "tradizioni di ricerca" di Laudan.49

Il problema epistemologico di fondo, al riguardo, era di capire i rapporti intercorrrenti fra le prime teorie e le seconde e di chiarire i loro "elementi non rifiutabili". 50 La storia della scienza ha accertato che gli "elementi non rifiutabili" in realtà erano soltanto opinioni parziali, provvisorie, relative e mutevoli, imposte dalle comunità scientifiche ai loro

39

ricercatori. Un esempio classico al riguardo è offerto dai concetti di spazio e di tempo. Nel sistema newtoniano essi erano degli "assoluti". Nel Settecento arretrarono a "elementi non rifiutabili". Alla fine dell'Ottocento divennero "rifiutabili".

Pertanto storia ed epistemologia si sforzano di individuare come, quando e perché le teorie specifiche del primo tipo si sgancino da quelle del secondo tipo, per agganciarsi ad altre più nuove. Tuttavia non è chiaro se le teorie del primo tipo, "assorbibili" dalle seconde, siano autonome o indipendenti da quelle con le quali sono "maturate" e se, "maturare", significhi per loro essere generate o soltanto occasionate.

8. Estrema variabilità e mobilità degli elementi scientifici

Questa rapida rassegna ci mostra l'estrema varietà, fluidità e mobilità della scienza, dei suoi problemi e, quindi, della sua stessa fisionomia, dato che in essa i più diversi criteri, presupposti e teorie nascono, tramontano e risorgono continuamente. In più, ogni elemento si accompagna sempre al suo esatto contrario: la continuità alla discontinuità, il finalismo all'a-finalismo o all'anti-finalismo, l'evoluzione all'involuzione, la storia interna alla storia esterna, la linearità alla non-linearità, l'importanza all'irrilevanza, l'esistenza all'inesistenza, la normatività all'anormatività, ecc. Questa lista è interminabile come quella delle contraddizioni e delle opposizioni riguardanti presupposti, traguardi, condizionamenti, successi e fallimenti. Esse si snodano lungo tutta la storia della scienza: accordo o disaccordo fra ricostruzione razionale ed esperienza della scoperta; sviluppo personale o impersonale del pensiero scientifico; processo d'accumulo organico o rivoluzioni periodiche, ecc.

Mentre l'epistemologia si concentra su un solo elemento per volta, la storia della scienza costringe a riflettere sulla molteplice e varia coesistenza di intrecci e di opposizioni, di problemi irrisolti, di diverse tradizioni e programmi, di criteri e orientamenti eterogenei, ecc. Questo marasma riapre senza sosta i problemi della "scientificità" ossia del rigore, dell'oggettività e del valore di: logiche, linguaggi, metodologie, esperimenti, teorie, dottrine ecc.

Gli storici, anziché disturbati, si dicono stimolati da tali ricerche che rivelano, ad ogni svolta, la mobilità e le fluttuazioni che affliggono la scienza e la scientificità come ogni altra realtà umana. Per loro, tradizioni, convinzioni, credenze, valutazioni personali, sociali e culturali, tanto nella comunità umana che in quella scientifica, sono soltanto espressioni storiche provvisorie, limitate, mutevoli e sempre perfettibili.

Agli occhi dello storico, i vari elementi "strutturali" della scienza, appaiono elementi "storicamente variabili e costruiti di volta in volta", per risolvere problemi limitati e per fronteggiare situazioni provvisorie. Pertanto gli storici invitano a cercare il "punto decisivo dei problemi" nei "processi temporali" e non nei "loro sostituti logici", insegnando a diffidare dei "seducenti esempi precostituiti" e delle impostazioni nette, chiare e "semifalse" dei manuali scientifici e di certi trattati di epistemologia.51

9. Riflessioni conclusive: il significato della scientificità

Questa rapida incursione panoramica nella storia della scienza ha fatto emergere l'indomita e perenne volontà umana di costruire un sapere dotato di rigore, oggettività, autonomia metodologica, sistematicità e organicità, finalizzato alla conoscenza e aperto ad applicazioni pratiche. Ha fatto pure emergere l'impossibilità di realizzare tale programma in senso assoluto e, soprattutto, l'impossibilità d'identificare l'essenza della scientifictà in

40

un solo elemento: presupposto, criterio, metodo, teoria, o nelle loro varie combinazioni. Ciò che per un istante sembra capace di rispondere a tutte queste esigenze, poco dopo si rivela insufficiente, aprendo nuovi problemi e maggiori difficoltà.

Queste acquisizioni sono importanti perché ci consentono di identificare il carattere "analogico" della scientificità, quindi, la sua variabilità, secondo le diverse esigenze, tempi ed ambiti. Pertanto la "scientificità" può essere una caratteristica di ogni area disciplinare (scienza, filosofia, etica, teologia), essendo una realtà analoga da elaborare secondo modalità e criteri concreti, adeguati alle proprie specifiche esigenze. In questo modo la "scientificità" non isola più né oppone, ma accomuna, la scienza agli altri ambiti.

La storia della scienza ha reso un'immenso servizio alla cultura, restituendo alla scientificità il suo carattere di ideale non astratto e immutabile, ma concreto e storico, perennemente riplasmabile. Ciò consente a ogni disciplina: scientifica, filosofica e teologica, di organizzare in modo "analogico" la scientificità del suo ambito, senza rischiare né eteronomia nè equivocità.

La storia della scienza mostra, inoltre, che i criteri più rigorosi di scientificità non hanno mai evitato errori e insuccessi, confermando il concetto espresso da Popper di una scienza quale: "arte di imparare dai propri errori". Questo carattere l'accomuna alla saggezza (filosofia) e alla sapienza (religione e teologia).

Ciò chiarito, la conclusione più significativa di questa rassegna storica è che storia della scienza e scienza, attraverso le loro variazioni e contrasti, concordano nel dimostrare:

1) L'inesauribile capacità della persona umana di vedere e pensare la realtà in modi sempre nuovi, originali e diversi e, seppur fallibili, tuttavia non arbitrari né anarchici, bensì retti da forme, strutture di significazione, leggi e principi, corretti, ordinati, controllabili e sempre perfettibili.

2) L'inesauribile ricchezza di forme, strutture, contenuti, sensi e significati della realtà (natura, creazione), che superano infinitamente e sfidano incessantemente le capacità umane di spiegare, di capire, di comprendere, di sistemare e d'intepretare.

3) L'inesauribile funzione problematizzante della ricerca che solleva problemi sempre nuovi, appassionanti e decisivi, cui l'uomo non può sottrarsi, e che esigono approcci complementari, meta-scientifici, di ordine filosofico, etico religioso e teologico.

1 E., Agazzi, "Introduzione", in E. Agazzi, Storia delle scienze, 2 voll., Roma 1984, I, 8. 2 Cf. J. Ben David, The Scientist's Role in Society, a Comparative Study, Englewood Cliffs, N.J.,

1972, (tr. it., Scienza e società, Bologna 1975); P. Rossi, "Storia della scienza", in Enciclopedia del Novecento, VI, 386.

3 Questo argomento viene trattato nel capitolo ottavo. 4 N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958, (tr. it. I modelli della scoperta

scientifica, Milano 1978). Di questo e altri volumi diamo i dati dell'edizione originale e delle traduzioni per poter valutare i ritardi della cultura italiana nell'accettare opere fondamentali alla nuova comprensione della scienza e della sua storia.

5 M. Santambrogio, "Sulla logica delle teorie scientifiche", in Quaderni della fondazione G.G. Feltrinelli, Milano 1978, 75-138.

6 Cf. G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Milano 1957; Rossi, "Storia della scienza", 387. 7 J. Agassi, Towards an Historiography of Science, Den Haag 1963, (tr. it. La filosofia dell'uomo

libero. Verso una storiografia della scienza, Roma 1978).

41

8 G. Preti, "Considerazioni di metodo sulla storia delle scienze", Rivista critica di storia della

filosofia, 13 (1958), 58-76. 9 Cf. Ch. Singer, Studies in the History and Method of Science, Oxford 1921; Agazzi,

"Introduzione", I, 9-10; Cf. É. Meyerson, Du cheminement de la pensée, 3 voll., Paris 1931. 10 Cf. M. Daumas, Histoire de la science, 5 voll., Paris 1957, (tr. it., Storia della scienza, Bari

1969); Rossi, "Storia della scienza", 388. 11 H. Butterfield, The Origins of Modern Science, London 1949, (tr. it., Le origini della scienza

moderna, Bologna 1962); Rossi, "Storia della scienza", 389. 12 E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung, historisch-kritisch dargestellt, Leipzig 1883,

81921, (tr. it. La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Torino 1968), 32-40; Cf. M. Clagett (Ed.), The Critical Problems in the History of Science, Madison 1962; Rossi, "Storia della scienza", 388.

13 P. Duhem, Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon a Copernic, 10 voll., Paris 1913-1959; Id., La théorie physique: son objet, sa structure, Paris 1906, (tr. it. La teoria fisica, il suo oggetto e la sua struttura, Bologna 1978), 445.

14 G. Canguilhem, Études d'histoire et philosophie des sciences, Paris 1968, (tr.it. Studi di storia e di filosofia della scienza, Verona 1980), 21.

15 E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, Halle 1891; Id., Logische Untersuchungen, 2 voll., Halle 1900-1901.

16 Contribuì fortemente al passaggio dalla fisica classica a quella attuale. H. Poincaré, Science et méthode, Paris 1909, 272. Mise pure in luce il "convenzionalismo", cf. Id., La valeur de la science, Paris 1905, (tr. it., Il valore della scienza, Firenze 1947, 276; studiò il linguaggio scientifico, Id., La science et l'hypothèse, Paris 1902, (tr. it., La scienza e l'ipotesi, Firenze 1950).

17 E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 3 voll., Berlin 1906-1920, (tr. it., Storia delle filosofia moderna, 4 voll., Milano 1968), I, 26-28.

18 "Cassirer", in Dizionario dei filosofi, 209. 19 L. Brunschvicg, L'idéalisme contemporain, Paris 1901, 10; Id., L'expérience humaine et la

causalité physique, Paris 1922, 569-570; Id., Les étapes de la philosophie mathématique, Paris 1912; Id., Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, 2 voll., Paris 1927; "Brunschvicg", in Dizionario dei filosofi, 179.

20 G. Bachelard, Le nouvel esprit scientifique, Paris 1934, (tr. it. Il nuovo spirito scientifico, Bari 1951); Id., La formation de l'esprit scientifique, Paris 1938; Id., Le matérialisme rationnel, Paris 1953, (tr. it. Il materialismo razionale, Bari 1975).

21 E.A. Burtt, The Metaphysical Foundations of Modern Physical Science, London 21950. 22 A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being, Cambridge, Mass. 21957, (tr. it. La grande catena

dell'essere, Milano 1966). 23 A.N. Whitehead, Science and the Modern World, Cambridge 1926 (tr. it., La scienza e il

mondo moderno, Milano 1945). 24 A.O. Lovejoy, Essays in the History of Ideas, New York 21960, 6. 25 Cf. P. Mathias (Ed.), Science and Society: 1600-1900, Cambridge 1972; Rossi, "Storia della

scienza", 391. 26 Cf. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, 13, 64ss, 77, 229; M. H. Nicolson, Science

and Imagination, Ithaca 1962; Rossi, "Storia della scienza", 391; L. Actis-Perinetti, "Whitehead", in Dizionario dei filosofi, 1260-1262.

42

27 G. Gurvitch, "Problèmes de sociologie de la connaissance", in Traitè de la sociologie, Paris

1950, 112. 28 J. Needham, Science and Civilisation in China, 7 voll., Cambridge 1954ss., (tr.it. Scienza e

civiltà in Cina, vol I, Lineamenti introduttivi, Torino 1981ss. 29 Rossi, "Storia della scienza", 392. 30 R. K. Merton, The Sociology of Science: an Episodic Memoir, London 1979, 15-19. Egli

s'interessò, soprattutto, alla struttura culturale e sociale della scienza. 31 G. Sarton, Horus: a Guide to the History of Science, Waltham. Mass. 1952, 11; Id., The

History of Science and the New Humanism, Bloomington 1962. 32 W. Pagel, William Harvey's Biological Ideas, Basel 1967, (tr. it. Le idee biologiche di William

Harvey, Milano 1979, 82). 33 N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958, (tr. it. I modelli della scoperta

scientifica, Milano 1978); Id. What I do not Believe and Other Essays, Dordrecht 1971. 34 T.S. Kuhn, The Copernican Revolution, Cambridge, Mass., 1957, (tr. it., La rivoluzione

copernicana, Torino 1972); Id., The Structure of Scientific Revolutions, Chicago 21969, (tr. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 1978).

35S. Toulmin, The Philosophy of Science, London 1953; Id., "The Evolutionary Development of Natural Science", in American Scientist, 55 (1967), 456-471.

36 J.T. Merz, A History of European Thought in the Nineteenth Century, 4 voll., Gloucester 1904-1912; Agazzi, "Introduzione", I, 11-12.

37 Cf. A. Rey, Les sciences dans l'antiquité, 4 voll., Paris 1933-1946; A.C. Crombie, Augustine to Galileo. The History of Science a.d. 400-1650, London 1952, (tr. it., Da Agostino a Galileo. Storia della scienza da V al XVII secolo, Milano 1970); Agazzi, "Introduzione", I, 13; J.L. Dreyer, Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, Milano 1970; A. Birkenmajer, Études d'histoire des sciences et de philosophie au Moyen Age, Wroclaw 1970.

38 Cf. B. Nelson, "Sciences and Civilisations East and West: J. Needham and Max Weber", in Boston Studies in the Philosophy of Science, 10 (1974); Agazzi, "Introduzione", I, 14; T.S. Kuhn, The Essential Tension. Selected Studies in the Scientific Tradition and Change, Chicago 1977.

39 In matematica: limite, tendenza di una variabile ad assumere un determinato valore; infinito, astrazione che indica una quantità illimitatamente grande; infinitesimo, quantità infinitamente tendente allo zero; funzione, grandezza che varia in dipendenza da un'altra.

40 M. Kline, Mathematics in Western Culture, Oxford 1953, (tr. it. La matematica nella cultura occidentale, Milano 1976); Agazzi, "Introduzione", II, 9.

41 Ricerca sui fondamenti, in matematica: a) in senso lato indica lo studio della basi epistemologiche della logica e della matematica; b) in senso stretto indica un ramo della matematica costituito da un gruppo di discipline (t. degli insiemi, t. delle funzioni ricorsive, t. dei modelli, ecc.) che, in piena autonomia metodologica, originano dalle indagini critiche sui concetti basilari della matematica, attuate fra l'800 e il '900.

42 Frege (1848-1925) tentò di dimostrare che le "verità" matematiche sono puramente logiche e prescindono da ogni intuizione. Il tentativo risultò contraddittorio, ma gli strumenti logici da lui creati servirono per successivi sviluppi della logica.

43 Insieme, in logica matematica, indica una classe di elementi distinti e chiaramente definiti, ragggruppati o raggruppabili fra loro, in base a una caratteristica comune. Teoria degli insiemi, studia non solo gli insiemi, ma tutte le loro possibili relazioni, per giungere a una razionalizzazione

43

matematica di tutte le evenienze possibili. Giunta a gravi contraddizioni pose in crisi la matematica agli inizi del 1900.

44 A.R. Hall, "The Scholar and the Craftsman in the Scientific Revolution", in Clagett, The Critical Problem, 3-23; Agazzi, "Introduzione", II, 10-11.

45 G. Gismondi, "La ricerca scientifica come equilibrio fra specializzazione e specialismo" in Relata Technica, 4(1972), 485-516; Cf. Agazzi, "Introduzione", II, 12.

46 Cf. W. Stegmüller, The Structure and Dynamics of Theories, New York 1976; Rossi, "Storia della scienza", 397.

47 Ad esempio: la teoria elettromagnetica di Maxwell, la teoria di Wegener sulla deriva dei continenti, ecc.

48 Ad esempio: il sistema copernicano, la teoria dell'evoluzione, la biologia meccanicista, il comportamentismo, ecc.

49 L. Laudan, Progress and its Problems: Toward a Theory of Scientific Growth, Los Angeles 1977, (tr.it., Il progresso scientifico. Prospettive per una teoria, Roma 1979).

50 Detti pure "non rigettabili" o "sacrosanti". Cf. I. Lakatos, A. Musgrave (Eds.), Criticism and the Growth of Knowledge, London 1970, (tr. it., Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976).

51 Cf. M.D. Grmek, "A Plea for Freeing the History of Scientific Discovery from the Myth", in M.D. Grmek, R.S. Cohen, G. Cimino, On Scientific Discovery, Dordrecht 1981; Rossi, "Storia della scienza", 397-398.

5. EPISTEMOLOGIA: COSCIENZA CRITICA E AUTOCRITICA DELLA SCIENZA

1. Cenni introduttivi

Questo capitolo non è facile, perché sintetizza in poche pagine, le vicende storiche e le coordinate culturali del grandioso sforzo teorico di stabilire i fondamenti della scienza, chiarire il suo significato e dimostrarne le conoscenze come vere, certe e definitive. Esso diede origine all'epistemologia,1 come disciplina che aiutò a capovolgere molte prospettive e a rendere consapevoli dei complessi grovigli problematici, che la scienza crea e deve incessantemente affrontare.

La difficoltà del capitolo risiede nel seguire un esile filo conduttore, smarrito in un'enorme quantità di argomenti scientifici, epistemologici, storici e filosofici, sviluppati nell'arco di più secoli, in nazioni e culture assai diverse. Perciò, per comodità del lettore, abbiamo esposto chiaramente questo "filo" nelle "riflessioni conclusive", che possono essere lette subito, omettendo il resto senza inconvenienti. Chi lo desidera, potrà leggere il capitolo successivamente e con tutta calma. In questo caso troverà spiegati in nota e nel "breve lessico" in fondo al volume, tutti i concetti più complessi e i termini più tecnici. Invece il lettore interessato e stimolato dalle contraddittorie vicende di un pensiero così tormentato e sovente oscuro, può tranquillamente procedere.

2. Epistemologia, una disciplina difficile e sofferta

Epistemologia, nel senso attuale, indica l'indagine critica intorno ai presupposti, alla struttura e ai metodi della scienza2 e ai problemi delle singole discipline. Tuttavia, essa non fu intesa sempre in questo modo. Fu un insieme di circostante a farne la coscienza sempre più vigile, critica e autocritica della scienza, reinserendo la filosofia nel discorso scientifico, dopo che ne era stata arbitrariamente estromessa.

Perciò, essa non ebbe mai un cammino facile, perché la sua nascita e sviluppo sono legati ai fatti e alle ragioni che, a partire dal XIX secolo, resero molti problemi della scienza sempre più complessi e talora insolubili. Nel capitolo precedente abbiamo visto quanto gli storici diffidino di essa. Molti filosofi fanno altrettanto.

2.1. Inizi incerti e contrastati Ciò spiega perché il suo ruolo si sia rivelato subito ingrato e abbia subito giudizi

tutt'altro che benevoli. Musgrave la riconobbe afflitta da una "epidemia di problemi". Canguilhem, facendone il bilancio, vi trovò più manifesti e programmi che risultati.3 Toulmin la giudicò una "disordinata velleità disciplinare".4 Skolimowski la trovò in condizioni peggiori dell'astronomia tolemaica ai tempi di Copernico, il che è tutto dire.5

Pertanto furono numerose le proposte di sostituirla con altre discipline: storia, psicologia, sociologia della scienza ecc.6 I tentativi di collaborazione fra epistemologi e storici ne misero in luce la fragilità: se "descriveva" diveniva conformista, se "prescriveva" era paternalista, se faceva tutt'e due peggiorava entrambi gli aspetti.7 Uno dei giudizi meno negativi diceva che:

"L'epistemologia ha già imparato molte cose dalla storia delle scienze e viceversa. Gli epistemologi, in particolare, hanno appreso a formulare regole metodologiche più permissive e gli storici della scienza hanno usufruito di nuove e interessanti ipotesi di lavoro storiografiche. Questa collaborazione, tuttavia, è esposta a pericolosi rischi. Gli epistemologi tendono ad essere i monatti della

47

scienza, costringendo la prassi scientifica, attraverso ricerche storiche volutamente non troppo precise, a coincidere con le loro ricette metodologiche".8

Il richiamo a ricerche storiche "volutamente non troppo precise" appare alquanto polemico, ma non del tutto ingiustificato.

2.2. La ricerca di una precisa identità Le difficoltà si ritrovano pure nei nomi e definizioni che ne danno i dizionari.

Alcune semplificano troppo o sono troppo prolisse come: studio dei fondamenti, della natura, dei limiti e delle condizioni di validità, del sapere scientifico che si estende alle scienze esatte (logica e matematica), ed empiriche (fisica, chimica, biologia, psicologia, sociologia, storiografia, ecc.).9 Altre sintetizzano troppo: "indagine critica intorno alle scienze naturali e matematiche".10 Per gli Inglesi è "filosofia della scienza" , per i Francesi è "filosofia delle scienze", per i Tedeschi "filosofia della natura" o "teoria della scienza". Sono tutti termini più o meno ambigui. Alcuni vorrebbero limitare l'epistemologia allo studio critico della "forma", lasciando i "contenuti" alla filosofia. In tal caso, però, il termine "epistemologia" per alcuni diviene troppo vago e quello di "filosofia-della-scienza" troppo confuso.11 Numerosi autori lamentano tale confusione (Radnitzky, MacMullin, Agazzi, ecc.).12

2.3. Un futuro incerto Gli storici sorridono di questa situazione che "fa a pezzi" l'immagine di una

epistemologia "padrona della razionalità scientifica" e la costringe a interrogarsi più profondamente sulla sua natura meta-teorica e a rinunciare ai prontuari di regole da ammanire alle comunità scientifiche. Scrive Baldini: "La repubblica degli epistemologi è scossa da inquietanti paradossi e da scandali teorici. Lo storico della scienza ha mostrato come nell'armadio dell'epistemologo vi siano alcuni scheletri e come sia ormai giunto il tempo di fare le dovute pulizie".13 Egli descrive l'epistemologo con l'immagine tratta dal Barone di Münchausen, del lupo (lo storico) che salta in groppa al cavallo (l'epistemologo) che tira la carrozza del barone (lo scienziato) e comincia a divorarlo dall'interno, fino a consumarlo totalmente. A questo punto, però, si trova legato al posto del cavallo per trascinare la carrozza, sotto le frustate del barone.

3. Epistemologia e complessità della scienza

Tuttavia, gran parte delle ambiguità e difficoltà dell'epistemologia, derivano dalla scienza, divenuta un fenomeno troppo vasto, complesso e multiforme, in cui è difficile fare chiarezza. Pertanto gli epistemologi hanno dovuto procedere a una serie di distinzioni, imperfette quanto si vuole, ma comunque indispensabili. La prima distingue la scienza in "prodotto finale" e "produzione". Il "prodotto" è dato da tutte le informazioni scritte che si trovano nei resoconti scientifici (il "terzo mondo" di Popper). La "produzione", invece, è l'insieme delle attività logiche e sperimentali che consentono di ottenere irisultati (o prodotto). Esse sono molteplici e attingono al di fuori dell'ambito scientifico (filosofia, tecniche, ecc.) o dall'interno. Pertanto l'epistemologia o "filosofia della scienza", a seconda dei suoi contenuti, si distingue in "esterna" e "interna" alla scienza, più o meno come la storia della scienza.

L'epistemologia "interna" s'interessa ai "procedimenti razionali" (filosofia, metafisica, logica), necessari per valutare gli aspetti generali della scienza o di suoi ampi settori. Pertanto prescinde dai "procedimenti pratici" seguiti dagli scienziati. L'epistemologia interna, al contrario, studia gli elementi interni alla scienza (metodi, leggi, ipotesi, convalide, previsioni, ecc.) e le loro funzioni, riferendosi alla "pratica degli operatori scientifici" più famosi. Tuttavia considera solo ciò che fanno, ma non ciò che dicono o credono di fare.

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Queste necessarie distinzioni non sono facili da applicare né dagli storici né dagli epistemologi,14 per cui Popper ha concluso che "la storia della scienza, come quella di tutte le idee umane, è storia di sogni irresponsabili, di ostinazioni e di errori".15

4. Epistemologia e nuova immagine della scienza

Data la complessità della materia, il nostro esame si concentra soltanto su quei mutamenti epistemologici verificatisi tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, che sconvolsero la mentalità scientista (positivista, neo-positivista e razionalista).

In quel lasso di tempo, Boutroux contestava il determinismo delle leggi scientifiche e dimostrava la contingenza annidata al centro della scienza. Mach e Avenarius mettevano in luce la sottostruttura metafisica della scienza positivistica e del meccanicismo determinista. Le Roy dimostrava che i "fatti" e i "dati" scientifici sono costruzioni puramente arbitrarie. Poincaré, in seguito all'emergere delle geometrie non euclidee,16 negava a quella euclidea il carattere di verità, riconoscendole solo l'utilità e la comodità. Duhem giudicava la scienza un simbolismo matematico convenzionale. I filosofi angloamericani elevavano il concetto pragmatico della scienza a sistema filosofico. Dewey riteneva che i concetti scientifici sono soltanto strumenti utili per regolare gli eventi, senza alcuna pretese di verità.17

La fisica, regina delle scienze, scopriva la relatività delle determinazioni spazio-temporali,18 l'indeterminismo,19 la discontinuità dell'energia,20 il dualismo corpuscolo-onda,21 la non intuibilità delle nozioni elementari,22 ecc.

Tutte queste acquisizioni filosofiche e scientifiche spezzavano il legame con la precedente "ragione scientifica", facendo passare gli operatori scientifici da una condizione di certezza ad una di grande problematicità, che esigeva modelli più duttili di pensiero. Si sviluppava, così, una crescente riflessione critica e auto-critica.23

5. Dal monolitismo alla frammentazione dell'impresa scientifica

L'epistemologia muoveva dal preteso ideale positivista del "massimo di datità", che esigeva una scienza unificata, quantitativa, matematizzata e assiomatica.24 Tuttavia i rivolgimenti causati dalla relatività e dalla meccanica quantistica, allontanando il pensiero scientifico dall'esperienza comune, sollevavano il problema del rapporto fra la forma logica della scienza e la sua verifica sperimentale. Gli "esperimenti decisivi" (experimentum crucis) apparivano impossibili, dopo che Duhem aveva dimostrato la possibilità di contrapporre ipotesi ausiliarie alle confutazioni sperimentali, al fine di salvare i principi confutati.25 Questa tesi "convenzionalista"26 già sviluppata da Poincaré27 sarebbe stata confermata anche da Lakatos, che più tardi avrebbe dimostrato come ogni esperimento negativo possa essere "riassorbito" attraverso opportune "convenzioni".28

Il programma hilbertiano dell'assiomatica,29 in base al quale qualsiasi sistema teorico può essere ricavato deduttivamente dai termini primitivi e dagli assiomi30 venne drasticamente ridimensionato, nel 1932, quando Gödel dimostrò che per ogni sistema assiomatico esistono formule la cui verità o falsità è indimostrabile.31 I tentativi di Frege32 Russell33 e Whitehead34 per trasformare la matematica in logica formale, capace di ricavare asserti da altri asserti, avrebbero incontrato insormontabili difficoltà.

In breve, l'enorme sforzo per collegare teorie scientifiche, osservazione ed esperimento rivelò l'insormontabile complessità del rapporto fra protocolli osservativi35 e teorie e fra i dati dell'esperienza e i sistemi concettuali che cercano d'inquadrare in modo logico e unitario tali dati.

49

5.1. La dimensione linguistica dei problemi scientifici Lo sforzo della prima metà del 1900, volto a trovare un rapporto tra logica ed

esperienza, che fosse univoco e conciliabile con gli sviluppi delle scienze umane e teoretiche fallì. Tuttavia, consentì importanti acquisizioni per la filosofia del discorso e del linguaggio.36

Infatti Carnap, per superare le difficoltà di tale rapporto, proponeva una libera costruzione di linguaggi atti a ricevere i contenuti empirici, riformulando gli elementi dell'empirismo e positivismo in forma di "convenzionalismo".37 Mediante l'analisi dell'espressione linguistica voleva dimostrare la tesi empiristica. Pertanto dichiarava vuota o tautologica ogni proposizione che non riferise contenuti di esperienza.38

L'introduzione dell'interesse semantico e dei rapporti tra sintattica39 e semantica,40 arricchì l'epistemologia, ma vi introdusse nuovi problemi di non facile soluzione, quali l'integrazione dell'analisi formale del linguaggio con la sua funzione significante. Perciò rendeva necessaria una teoria del significato e dell'intepretazione.

Tarski, per definire la verità delle proposizioni, in riferimento all'oggetto da loro denotato, introduceva la nozione di modello41 per distinguere gli insiemi di proposizioni vere o false rispetto al modello dato. Ne risultava, però, che l'insieme delle proposizioni vere non è definibile all'interno di un dato modello. La semantica veniva a interferire pure con gli sviluppi dell'assiomatica che, nella scienza del Novecento, costituiva uno dei capitoli più ricchi di implicanze filosofiche.42

6. Dal formalismo positivista alla creatività mentale

Anche il problema della mente o del "razionale" era un punto dolente del quadro epistemologico. La mente era il "fantasma nella macchina" soggettiva e oggettiva. Razionalisti e positivisti temevano che compromettesse il carattere "positivo" della conoscenza, reintroducendo un elemento animistico nella natura. Perciò volevano coordinare la mente con la natura o eliminarla. Poiché Wittgenstein, nel Tractatus logico-philosophicus (1922), cercava di unificare quei due itinerari, sollevò un interesse eccezionale.43

Però, nel 1930, passato da Vienna a Cambridge, cambiò impostazione. Vide il linguaggio come espressione di una funzione significante più particolare, il cui fine non era più di rappresentare soltanto, ma anche di comunicare. Inoltre, il "mentale" non poteva scomparire, perché legato alle "origini delle assiomatiche" o, nei termini di Wittgenstein, dei "giuochi linguistici". La mente continuava a inquietare, manifestando ovunque la sua molteplice presenza.

Ipotesi e teorie scientifiche apparivano non più "derivate" dai fatti osservati, ma "inventate" per spiegarli, per cui lo scienziato doveva sbrigliare la sua immaginazione.44 La spiegazione scientifica veniva identificata con un modello deduttivo. Un evento diveniva spiegabile, deducendone la descrizione da asserti di leggi generali e di condizioni antecedenti. Il sistema di asserti costituiva l'unità di significanza.45

Per Schlick il criterio di verifica era il "postulato di significanza empirica", vale a dire che il metodo di verifica era dato dal significato stesso della proposizione, ma ciò incontrò difficoltà insormontabili nella logica formale.46 L'"epistemologia genetica" di Piaget offriva il tramite fra soggetto e oggetto.47 Il mentale, però, anziché scomparire, si rifletteva sul reale, tanto che, alla fine, Piaget ammise di aver raggiunto una posizione addirittura antitetica al neopositivismo. Pertanto, mutò il "gestaltismo"48 in "strutturalismo", dando rilievo a una delle più significative espressioni teoriche della scienza e sottolineando la consapevolezza creativa dello scienziato.49

50

Intanto, alcune scuole neurofisiologiche e cibernetiche50 "oggettivavano" il mentale. Ossia i ricercatori riferivano i problemi logici e linguistici, emergenti dalla ricerca, alla realtà fisica in sé, o a livelli meta-convenzionali della conoscenza e ritenevano che quanto era segnalato dai loro apparati conoscitivi corrispondesse a qualcosa di reale.51

Mentre l'epistemologia filosofica stentava a superare il fisicalismo52 al cui programma, ormai, nessuno credeva più,53 le nuove scienze affrontavano problemi più avanzati.

7. I nuovi approcci scientifici ed epistemologici

Tali nuove scienze del secondo Novecento, cibernetica, etologia, ecologia, ecc. richiamarono la necessità di nuove assiomatiche qualitative e strutturali. Volendo recuperare l'esemplarità conoscitiva della scienza, misero in luce il fatto che finora erano stati considerati soltanto gli aspetti più parziali e artefatti dell'impresa scientifica. Perciò le epistemologie più recenti si sforzarono di colmare la lacuna ricorrendo alla storiografia delle scienze.

Popper fu assai ascoltato, perché criticava l'oscurantismo specialistico e l'atteggiamento antimetafisico del gruppo viennese. Egli intendeva superare entrambi, riunendo insieme pensiero filosofico e scientifico. Sottolineò l'asimmetria fra la verifica e la falsificazione scientifica. Dimostrò che gli asserti individuali non possono "verificare" o "giustificare" (dimostrare veri) gli asserti universali, ma solo "falsificarli" (dimostrarli falsi). Sostenne che le percezioni non giustificano le proposizioni, ma permettono di falsificarle nell'ambito di "convenzioni intersoggettive".

Le risposte negative, confutando le conclusioni, scalzano l'edificio. Pertanto, la scienza poggia solo sulla sicurezza negativa o sulla "logica dell'errore". Anche la storia confermava che le nuove acquisizioni scientifiche non nascono dagli esperimenti, ma dal pensiero, dalla riflessione, dalle congetture, dai problemi, dalle speculazioni e dalle idee e anticipazioni più audaci.54

La svolta semantica del "secondo" Wittgenstein sottolineava che il rapporto fra logica ed esperimento viene mediato dall'azione (operazione) prima che dalla convenzione, per cui occorre un giusto equilibrio tra segno verbale ed evento. Kuhn metteva in luce che il ruolo della comunità scientifica è più significativo di quello dell'individuo.

Perciò Sherrington sottolineava che la scienza naturale può analizzare e descrivere la vita ma non il pensiero, perché la mente non è una cosa e il modello energetico non riesce a raffigurarne alcun aspetto né funzione. Eccles notava che l'autocoscienza e l'unità dell'esperienza cosciente sono attributi della mente e non aree associative degli emisferi cerebrali. Quindi il "terzo mondo"55 di Popper, o "mondo tre" di Eccles, avrebbe connotati non solo culturali ma anche trascendenti, da cui la mente (mondo due) attingerebbbe la struttura ordinatrice del proprio campo fisico d'azione (mondo uno).

Nel frattempo gli studi sulla "logica della scoperta scientifica" esploravano i retroterra delle congetture e delle ipotesi.

7.1. Il ritorno inquietante della "mente" La difficoltà maggiore consisteva, ora, nel trasformare i dati della percezione in

elementi teorici.56 Data l'importanza e il prestigio attribuiti alle "macchine" e la difficoltà di collegarle alla mente, vennero sviluppandosi sempre più le ricerche cibernetiche sui rapporti fra mente e macchina, mente e informazione. Tuttavia, riguardo alla mente, Sayre ne ipotizzava l'immaterialità (a-spaziale e a-temporale).57 La scuola di Bruxelles, con Prigogine e Glansdorff, studiava i sistemi aperti, in cui

51

l'aumento dell'entropia si concilia col divenire strutturale. Wiener aggiungeva alla materia e all'energia l'"informazione", come terzo elemento della realtà fisica che, senza di essa non potrebbe sopravvivere.58 Tuttavia, nell'epistemologia dei cibernetici, il concetto d'informazione conteneva un'insuperabile ambiguità che ne faceva un elemento ora soggettivo e ora oggettivo. Inoltre l'analogia mente-macchina rischiava di vincolare il mentale più alla dinamica del segno che alla definizione del significato.59

A metà secolo XX, le analisi logiche e sociologiche della scienza si arricchivano di nuovi strumenti. Alle analisi epistemologiche dei filosofi si aggiugevano quelle di uomini di scienza, decisi a valorizzare la propria esperienza scientifica come vitale fattore culturale nella scuola, nella programmazione sociale e nel dibattito delle idee.60 Snow aveva proposto di creare un tramite tra cultura umanistica e scientifica. Gli obiettarono, però, che due "mezze culture" non fanno una cultura intera, come due mezze verità non fanno una verità.61 Ormai il dibattito epistemologico coinvolgeva operatori scientifici di ogni disciplina (in particolare biologi e psicologi) e aumentava le richieste di "una scienza che dialettizzi l'epistemologia dei filosofi in nome dell'autoconsapevolezza".62

8. Soggettività e storicità della scienza

Ritorniamo ora al dibattito epistemologico sulla fisica e le scienze naturali. Qui la disputa infuriava sulla validità del "falsificazionismo" proposto da Popper. Si dubitava della possibilità di dimostrare definitivamente falsa un'affermazione scientifica perché, con qualche "stratagemma" convenzionalista, si poteva salvare ogni teoria da qualsiasi critica. Anche il falsificazionismo63 veniva svalutato e si doveva spostare l'attenzione dalla "oggettività" dei fatti alla "soggettività" e "storicità" del conoscere. Pertanto, nel 1965, Popper, Kuhn e Lakatos si confrontarono sulle loro opposte convinzioni.64

Kuhn insisté nel chiedere a Popper se la falsificazione era un confronto fra enunciati e osservazioni o piuttosto un confronto fra enunciati.65 Popper non rispose, accusando Kuhn di relativismo e negando l'esistenza delle sue "teorie dominanti" nella "scienza normale". Lakatos sorvolò questi punti, proponendo la sua "metodologia dei programmi scientifici" e tacciando il falsificazionismo di Popper d'insufficente razionalità. Perciò, propose la scienza come una "dialettica" fra ragione dinamica e ragione statica. Soprattutto chiese di eliminare ogni preclusione pregiudiziale contro la metafisica e di favorire tutto ciò che aumenta l'estensione e l'ordine del conoscere. Infine, reclamò maggiore unione tra filosofia e storia della scienza, giudicando che la filosofia della scienza è vuota senza la storia e la storia della scienza è cieca senza la filosofia.66

Aqvist, formulava la sua "teoria logica degli interrogativi" mettendo in luce che la scienza, con le sue domande, determina in partenza sia le risposte che il loro significato, ed esclude molte domande importanti col pretesto che non hanno senso. Egli notò che tutte le domande e i problemi hanno senso solo in riferimento a un contesto metafisico. Quindi i problemi migliori sono proprio quelli capaci di far cambiare i punti di vista e aprire nuovi problemi metafisici o differenti modi di guardare l'universo.67

Feyerabend, sostenendo che il "falsificazionismo" di Popper aveva gli stessi difetti del "verificazionismo neopositivistico",68 propose di sostituire entrambi con una "simmetria biunivoca fra enunciato e osservazione" o "controinduzione". Essa consisteva nell'inventare teorie "volutamente" incompatibili con i fatti, per smascherare i contenuti ideologici delle conoscenze e delle osservazioni scientifiche.69 Questo ricorso alle conseguenze estreme, per "fare esplodere le contradddizioni del pensiero scientifico" apparve molto datato, tipico del periodo della "contestazione", ma teoricamente fragile e privo di sufficiente senso critico.70

52

Recentemente, per la sua quasi esclusiva attenzione alle scienze fisiche, l'epistemologia è stata accusata di eludere i problemi più importanti della biologia e di considerare quelli delle scienze umano-sociali solo di sfuggita. Perciò deve capovolgere tale atteggiamento.71

Per concludere, ricordiamo che i problemi della scienza e dell'epistemologia, emersi in questa rassegna, sono davvero innumerevoli ed estremamente complessi. Tuttavia, se nella loro maggioranza sono ancora lontani da una soddisfacente soluzione, forniscono un quadro generale che consente chiare e precise indicazioni che riassumiamo nelle seguenti "riflessioni conclusive".

9. Riflessioni conclusive

Il senso di smarrimento e di disagio, di fronte a espressioni di pensiero così diverse, contraddittorie, conflittuali e ai limiti della comprensibilità, illumina l'enorme sforzo compiuto dal pensiero epistemologico, filosofico e scientifico, dalla metà del secolo scorso ad oggi, per dare un fondamento solido e definitivo alla scienza come sapere unico, vero e certo, capace di sostituire ogni altra forma di pensiero: religioso, filosofico, etico, metafisico e teologico. Lo sforzo, però, è fallito consentendo di raggiungere conclusioni "epocali" per la scienza e per la cultura. Le principali sono le seguenti:

1) La scienza è un insieme di congetture limitate, parziali, provvisorie, storicamente e culturalmente condizionate, non dimostrabili né vere né false in via definitiva, ma sempre riformabili e soggette a mutamenti anche radicali.

2) La scienza, per fondare e verficare i suoi presupposti fondamentali, i suoi principi di base e la propria legittimità, identità, ruolo e significato, deve confrontarsi criticamente con il pensiero meta-scientifico: epistemologico, filosofico, metafisico, storico, etico e teologico.

3) Perciò: il prolungato dibattito epistemologico ha contribuito a definire la scienza sempre meno come un "formalismo" e sempre più come una "strategia conoscitiva connotata in senso realistico"; sempre meno come un "ostacolo metodologico" e sempre più come una "capacità inventiva" dinamica e aperta al futuro; sempre meno come un "sapere eidetico" dal "fondamento inattaccabile", stabilito una volta per tutte, e sempre più come un "sapere dialettico" in perenne revisione e alla ricerca di maggiore idoneità conoscitiva.72

Ciò significa che tutte le forme specifiche di conoscenza, scienze comprese, devono rifuggire dai formalismi esasperati e tendere sempre più al "gusto del conoscere, alla maturità dello spirito, all'anelito della libertà vera, all'esercizio del criterio e della discrezione".

La conclusione finale, quindi, è che "un'interpretazione della scienza e della cultura che volutamente ignori o mortifichi l'essenza spirituale dell'uomo, la sua aspirazione alla pienezza dell'essere, la sua sete di verità e di assoluto, gli interrogativi che si pone di fronte agli enigni del dolore e della morte, non può soddisfare le più profonde e autentiche esigenze dell'uomo".73

Il faticoso e tormentato traguardo di queste consapevolezze dimostra che ulteriori approdi costruttivi sul pensiero e sulla cultura scientifica sono possibili e indispensabili.

1 Episteme, indica l'insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche di una data

epoca. 2 Ossia: osservazione, sperimentazione e inferenza.

53

3 Cf. M. Baldini "Storia della scienza e storia della filosofia", in M. Fabris, F.Casamassima,

Cultura post-moderna e filosofia. Aspetti e confronti, Bari 1990, 45. 4 S. Toulmin, "The Structure of Scientific Theories", in F. Suppe (Ed.), The Structure of

Scientific Theories, Urbana, Ill. 1977, 600-614. 5 H. Skolimowski, "Evolutionary Rationality", in R.S. Cohen, C.A. Hooker (Eds.), in

Proceedings of the 1974 Biennial Meeting of Science Association, Dordrecht 1976, 205. 6 L. Briskman, "Historicist Relativism and Bootstrap Rationality", in The Monist, 60 (1977),

509. 7 Baldini, "Storia della scienza", 48; cf. Th. Nickles, "Rationality and Social Context", in Th.

Nickles (Ed.), Scientific Discovery: Cases Studies, Dordrecht, 1980. 8 Baldini, "Storia della scienza", 54; Cf. S. Tagliagambe, "Scene da un matrimonio: la

difficile convivenza di epistemologia e storia della scienza", in S. Tagliagambe, A. Di Meo (a cura di.), Scienza e storia, Roma 1980, 27.

9 "Epistemologia", in Enciclopedia Garzanti di filosofia", 256. 10 F. Amerio, "Epistemologia", in Dizionario delle idee, 321. 11 J. Toussaint Desanti, La philosophie silencieuse ou critique des philosophies de la science,

Paris 1975, 7, 110, 211. 12 E. MacMullin, "Storia e filosofia della scienza. Una tassonomia", in N. Caramelli (a cura

di), Storiografia delle scienze e storia della psicologia, Bologna 1979, 32; E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia della fisica, Roma 1974.

13 Baldini, "Storia della scienza", 66. 14 Cf. MacMullin, "Storia e filosofia della scienza", 33-38, 40-45, 75-75. 15 K. Popper, Conoscenza oggettiva, Roma 1975, 233-234. 16 Le geometrie non euclidee partono dalla negazione del quinto postulato di Euclide, per il

quale per un punto esterno a una retta passa una sola parallela alla retta data. 17 J. Dewey, Experience and Nature, Chicago 1926, 149. 18 Teoria per cui nessun fenomeno ha un valore assoluto in sé, ma relativo al sistema cui si

riferisce, ivi compreso l'osservatore. 19 Teoria per cui gli eventi non sono legati da alcun rapporto di causa-effetto. Più

esattamente il principio d'indeterminazione, fondamentale nella meccanica quantistica, dice che non è possibile determinare con esattezza una delle quantità osservabili, senza render indeterminato il valore delle altre.

20 Teoria per cui l'energia viene emessa in forma di quantità "discrete" (discontinue o separate).

21 Necessità di spiegare la luce ricorrendo ai simboli di "corpuscolo" e di "onda". Tuttavia le due teorie: "corpuscolare" e "ondulatoria", causano gravi problemi interpretativi perché incompatibili, a meno che si rinunci a dare ai loro concetti un significato troppo preciso.

22 Intuizionismo, nella filosofia della matematica, corrente di pensiero che concepisce gli enti matematici come prodotti dall'intuizione ed esclude come illegittimi i concetti che non corrispondono a contenuti intuitivi.

23 Amerio, "Epistemologia", 326. 24 L'assiomatica è il complesso degli assiomi che fungono da fondamenti o premesse di un

discorso deduttivo. Gli assiomi sono affermazioni convenzionali poste, in base a motivi di opportunità, a fondamento o premessa di un discorso logico o matematico. Cf. N. Hartmann, Grundzüge einer Metaphysik der Erkenntnis, Berlin 1921; A. Einstein, Geometrie und Erfahrung, Berlin 1921; V. Cappelletti, "Epistemologia", in Enciclopedia del Novecento, II,

54

695; P.W. Bridgmann, The Nature of Physical Theory, Princeton 1936, (tr. it., La natura della teoria fisica, Firenze 1965).

25 P. Duhem, La théorie physique: son objet et sa structure, Paris 1906. 26 Convenzionalismo, dottrina epistemologica e filosofica che considera le leggi, le

affermazioni e le procedure scientifiche ecc. come puri e semplici accordi (convenzioni) pratici e soggettivi fra persone.

27 H. Poincaré, La science et l'hypothèse, Paris 1902, (tr. it., La scienza e l'ipotesi, Firenze 1949, Roma 21963); Id., La valeur de la science, Paris 1905, (tr. it., Il valore della scienza, Firenze 1947).

28 I. Lakatos, Criticism and the Growth of Knowledge, London-New York 1970. 29 Assiomatica, in epistemologia, tendenza a concepire la scienza come un sistema ipotetico

deduttivo, basato esclusivamente su un insieme di assiomi scelti ad arbitrio, purché compatibili. In matematica, ramo delle scienze matematiche (critica dei fondamenti) in cui si discute dei principi della matematica.

30 Assioma, verità o principio certo, indiscutibile, evidente per sé, costituente la base per l'ulteriore ricerca. D. Hilbert, "Über den Zahlbegriff", in Jahresbericht der deutschen Mathematiker-Vereinigung, 1900, VIII, 180-194; Id., "Über die Grundlagen der Logik und der Arithmetik", in Verhandlungen der dritten internationalen Mathematiker-Kongresses in Heidelberg vom 8. bis 13. August 1904, Leipzig 1905; Id., Grundlagen der Geometrie, Leipzig 1899, (tr. it., Fondamenti della geometria, Milano 1970); D. Hilbert, P. Bernays, Grundlagen der Mathematik, 2 voll., Berlin 1934-1939.

31 Cappelletti, "Epistemologia", 697. 32 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, Breslau 1884; Id., Grundgesetze der Arithmetik,

begriffsschriftlich abgeleitet, 2 voll., Jena 1893-1903. 33 B. Russell, The Principles of Mathematics, Cambridge 1903. 34 B. Russell, A.N. Whitehead, Principia Mathematica, 3 voll., Cambridge 1910-1913. 35 Protocolli o proposizioni protocollari, nel positivismo logico erano le enunciazioni

semplicissime, elementari, non scomponibili o riducibili, che si riferivano alle percezioni più immediate e avrebbero dovuto costituire il punto di partenza e il fondamento della scienza.

36 Cassirer portò al vertice l'esigenza di passare, dai metodi conoscitivi positivi, ai principi trascendentali, riannodando la scienza alla tradizione filosofica. Cf. E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 3 voll., Berlin 1906-1920; Cappelletti, "Epistemologia", 696.

37 Convenzionalismo, dottrina epistemologica e filosofica che: a) nega all'esperienza la possibilità di decidere la verità di un gruppo di assiomi; b) considera le leggi, affermazioni, procedure, ecc. scientifiche, come semplici accordi (convenzioni) espressi o taciti. Cf. R. Carnap, Logische Syntax der Sprache, Wien 1934.

38 Di qui la grande attualità delle discipline (semantica, pragmatica, sintattica) inquadrate nella "semiotica", intesa come teoria generale dei segni e dei linguaggi. La "semantica" studia il linguaggio, prescindendo dal soggetto che lo usa, ma in relazione agli oggetti che esso designa. La "sintattica" prescinde anche da ciò. La "pragmatica", invece, reintroduce il rapporto fra linguaggio e soggetto. R. Carnap, Introduction to Semantics Cambridge, Mass. 1942; Id., Formalization of Logic Cambridge, Mass. 1943; Id., Meaning and Necessity, Chicago 1947, 21956.

39 Sintattica, parte della semiologia che studia i rapporti fra i segni, astraendo dal loro significato.

40 Semantica, studio delle relazioni fra i segni e ciò che essi significano. 41 Modello, in senso generale nelle scienze, indica un insieme di ipotesi e di costruzioni

complesse, ideali, intuitive e creative, con cui viene rappresentato l'oggetto di una ricerca.

55

Modello matematico, indica un insieme di relazioni quantitative, usate per formulare le teorie e verificarle, che descrivono in modo semplificato un certo numero di fenomeni.

42 La teoria degli insiemi pose l'assiomatica di fronte ai problemi dell'infinito, provocando la reazione intuizionistica.

43 Cappelletti, "Epistemologia", 698. 44 C.G. Hempel, Aspects of the Scientific Explanation, New York 1965; Id., Philosophy of

Natural Science, Englewood Cliffs N.J. 1966, (tr. it. Filosofia delle scienze naturali, Bologna 1968).

45 C.G. Hempel, "Fundamentals of Concept Formation in Empirical Science", in International Encyclopedia of Unified Science", Chicago 1952 II, 7; (tr. it., La formazione dei concetti e delle teorie della scienza empirica, Milano 1961).

46 M. Schlick, Gesammelte Aufsätze, Wien 1938. 47 J. Piaget, Introduction à l'épistémologie génétique, 3 voll. Paris 1950. 48 Gestalt, teoria psicologica sorta in Germania negli anni '20, secondo la quale i fenomeni

percettivi non si spiegano addizionando le singole unità elementari (sensazioni), ma globalmente nel loro organizzarsi in strutture (Gestalten), secondo leggi ben determinate.

49 Cappelletti, "Epistemologia", 700. 50 Cibernetica, scienza che studia i parallelismi esistenti tra macchine, sistemi e organismi

viventi e, in particolare, le tecniche di regolazione e di controllo (artificiali e naturali) e le loro applicazioni nella tecnologia, negli organismi viventi e nella società umana.

51 K. Lorenz, Die Rückseite des Spiegels, München 1973. 52 Fisicalismo o fisicismo, a) dottrina epistemologica e filosofica, derivata dal

neopositivismo, che riconosce dotati di senso solo gli enunciati relativi all'ordine spaziale e temporale; b) tendenza scientista per cui il metodo della fisica costituirebbe il modello per ogni disciplina scientifica.

53 A. Koestler, J.R. Smythies (Eds.), Beyond Reductionism, London 1969; F.J. Ayala, Th. Dobzhansky, Studies in the Philosophy of Biology, London 1974.

54 K. Popper, Conjectures and Refutations, (London 1963). 55 Terzo mondo o mondo tre, nel linguaggio di Popper indica l'insieme degli scritti, rapporti,

resoconti e relazioni redatti dagli operatori e dalle istituzioni scientifiche. 56 N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958; Id., "Retroductive Inference", in

Philosophy of Science, The Delaware Seminar, I, Newark 1963; Id., "An Anatomy of Discovery", in The Journal of Philosophy, 64 (1967), 321-352; P.B. Medawar, The Future of Man, London 1959, (tr. it. in L'unicità dell'individuo e il futuro dell'uomo, Milano 1969); Id., Induction and Intuition in Scientific Thought, London 1969, (tr. it., Induzione e intuizione nel pensiero scientifico, Roma 1974); P. Achinstein, "Inference to Scientific Laws", in N. Rescher (Ed.), Studies in the Philosophy of Science, vol. V, Oxford 1969; Id., Law and Explanation. An Essay in the Philosophy of Science, Oxford 1971.

57 K. Sayre, Cybernetics and the Philosophy of Mind, London 1976. 58 Cf. N. Wiener, Cybernetics, New York 1948, (tr. it., La cibernetica, Milano 1968). 59 Cappelletti, "Epistemologia", 702. 60 Ch. P. Snow, The two Cultures, London 1959, (tr. it. Le due culture, Milano 1964). 61 A. Koestler, The Ghost in the Machine, London 1967. 62 Ricordiamo qui solo alcun dei nomi più importanti, quali: H. Weil, M. Wertheimer, K.

Lorenz, S. Eddington, M. Polanyi, A. Portmann, F. Jacob, A. Lwoff, L. Bertalanffy; Cappelletti, "Epistemologia", 702.

56

63 Falsificazionismo, dottrina epistemologica e filosofica per cui le affermazioni scientifiche

non possono essere mai provate "definitivamente" vere, ma soltanto false. 64 In un convegno promosso dalla "British Society for the Philosophy of Science" e dalla

"London School of Economics". 65 Criticism and the Growth of Knowledge, London 1972-1974. 66 I. Lakatos, "La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali", in I. Lakatos, A.

Musgrave (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976, 336. 67 L. Aqvist, A New Approach to the Logical Theory of Interrogatives, Uppsala 1965. 68 Verificazionismo indica la pretesa eccessiva e indimostrabile dei neo-positivisti (o

positivisti-logici) di ritenere vero soltanto ciò che era scientificamente verificabile. Derivò dall'assolutizzare il metodo seguito dalle scienze (verifica), per provare la verità o l'esattezza di un affermazione. Popper la confutò dimostrando che, nella scienza, nessuna affermazione può essere dimostrata vera (verificata-verificazionismo) ma solo falsa (falsificata-falsificazionismo).

69 P.K. Feyerabend, "Problems of Empiricism" I, in R. Colodny (Ed.), Beyond the Edge of Certainty, Englewwod Cliffs N.J. 1965; Id., "Problems of Empiricism" II, in R. Colodny (Ed.), The Nature and Function of Scientific Theory, Pittsburgh 1969; Id., "Against Method", in M. Radner, S. Winokur, Studies in the Philosophy of Science, vol. IV, Oxford 1970.

70 Cappelletti, "Epistemologia", 704. 71 Cappelletti, "Epistemologia", 703. 72 Sapere eidetico è la conoscenza già raggiunta e stabile, sapere dialettico è la conoscenza

in perenne via di raggiungimento. Cf. G. Bachelard, La ragione scientifica, Verona 1974; F. Gonseth, Les sciences et la philosophie, Neuchâtel 1950; Id., Études de la philosophie des sciences, Paris 1950; Id., Philosophie néo-scolastique et philosophie ouverte, Paris 1954, Id., La métaphisique et l'ouverture à l'expérience, Paris 1960.

73 Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 3.10.1981.

6. TEORIE E METODI NEL PROGETTO SCIENTIFICO

1. Cenni introduttivi

Argomento specifico di questo capitolo sono le teorie e i metodi, a lungo ritenuti strutture portanti o "pilastri" della scienza moderna.1 Essi pure sono stati coinvolti nel grande passaggio dalla certezza alla probabilità, dalla logica della verità a quella dell'errore, dalla presunzione di chiarezza alla problematizzazione. Anche teorie e metodi hanno dovuto spostare la loro esigenza di perfezionamento, dai formalismi restrittivi e dalle procedure riduttive, ai grandi contesti di riflessione e d'immaginazione, che accomunano tutte le espressioni del nostro pensare umano.

2. Ruolo delle teorie nella scienza

Quanto abbiamo visto nei precedenti capitoli ci ha abituati alla mutevolezza delle componenti scientifiche. Quindi non ci stupiremo nel constatare che anche la realtà e il concetto di "teoria" sono cambiati secondo i tempi e le diverse interpretazioni della scienza. Per lo "scientismo" le teorie scientifiche costituivano l'unico modo di conoscere la realtà.2 Per il "realismo" la scienza conoscerebbe veramente la realtà esterna e le teorie descriverebbero aspetti reali del mondo. Per lo "strumentalismo", all'opposto, la scienza non raggiunge alcuna realtà esterna, per cui le teorie scientifiche sono soltanto strumenti utili per le previsioni e le applicazioni.

2.1. Teorie e progresso conoscitivo Lo studio specifico delle teorie deriva dalle difficoltà insite nell'analisi globale della

scienza. Pertanto, si è pensato che lo studio dei singoli elementi che la compongono, soprattutto quelli fondamentali come le teorie e i metodi consentisse di aggirare l'ostacolo. La "prasseologia", come nuova specializzazione, avrebbe dovuto studiarli come mezzi più adeguati per raggiungere il fine.3 Anche la metodologia si è dedicata a questo compito, attirandosi rilievi critici. I suoi sostenitori ritengono che senza di essa la ricerca divenga caotica e incapace di risolvere i problemi. I suoi oppositori la tacciano d'incapacità ad offrire regole o algoritmi4 utili, visto che la ricerca non è una routine.

Comunque anche la prasseologia e la metodologia si connettono al problema più generale del "progresso conoscitivo" che riguarda il modo di avvicinarsi a uno scopo prefissato e i criteri con i quali misurarne progressi, successi o fallimenti.5 Con questo entriamo nel vivo del problema, affrontando una procedura che ritroveremo più volte.

La procedura è la seguente: per risolvere il problema del "progresso conoscitivo" occorre costruire una "catena" di criteri e di esigenze da adempiere. Tali esigenze, però, presentano crescenti difficoltà. Vediamole: dato che il progresso scientifico deve essere definito con precisione, bisogna trovare tale definizione. Ottenuta la definizione bisogna trovare gli "indicatori" che consentano di riconoscere un progresso.6 Per trovare tali indicatori bisogna formulare un "modello ideale di scienza". Per ottenere tale modello bisogna trovare dei "presupposti" di fondazione (sul mondo e sull'uomo), dimostrati e certi.

Tuttavia, la scienza non può creare i suoi presupposti certi perché: a) essendo pre-supposti la precedono; b) inoltre essendo le sue acquisizioni parziali, provvisorie e

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falsificabili, esse sono pure incerte e inverificabili. Pertanto i presupposti debbono essere forniti soltanto da altre forme di conoscenza: filosofia, metafisica, religione.

Ciò significa che, ogni volta che si costruisce una "catena problematica" si giunge inevitabilmente al primo anello, che si deve "agganciare" a qualcosa e da qualche parte. La metodologia, come ogni altra disciplina, deve trovare il suo punto di aggancio. Fuori metafora, il problema decisivo della metodologia, rimane il "fondamento" del proprio discorso. Poiché quello interno non esiste, deve cercarlo altrove, aprendosi agli altri discorsi già indicati (filosofia, metafisica, etica, ecc.).

Tali discorsi, tuttavia, offrono una pluralità di concezioni sull'uomo e sul mondo che impone delle scelte. Esse avvengono in un orizzonte pluralistico di "ideali di scienza", di "metodologie" e di "concezioni di progresso". Ciò significa che una metodologia unica è impensabile e si avranno più metodi concorrenti. Tuttavia, il progetto iniziale della metodologia era volto proprio a evitare o eliminare questo pluralismo.

3. "Ideale scientifico" ed "esigenze" scientifiche

Quanti non accettavano il pluralismo proposero un "ideale intuitivo di scienza" (o scienza ideale) fondato sul consenso comune. A tal fine si accordarono su quattro esigenze fondamentali, comunemente condivise. 7

La prima o "esigenza di profondità", esigeva che problemi e teorie avessero un contenuto d'informazione empirica, scientificamente ricco e profondo. Vale a dire, le "domande" dovevano essere oggettivamente importanti, capaci di far progredire la disciplina interessata e perfezionare la raffigurazione del mondo e l'immagine dell'uomo. Le "risposte" dovevano essere profonde ossia: pertinenti, dotate di grande potere esplicativo, convincenti.8

La seconda o "esigenza di verità", esigeva che soluzioni e risposte, elaborate dalle teorie, corrispondessero a tutti i requisiti indicati dalla prima esigenza. Dovevano costituire, perciò, sistemi di enunciati, esprimenti definizioni pertinenti, importanti e, soprattutto, vere.

La terza o "esigenza di coerenza formale", esigeva che gli aspetti formali e le procedure dell'ideale di scienza, quali la selezione delle informazioni (metodi di inferenza) e la loro condensazione (principi di assiomatizzazione) conducenti ai risultati (prodotti della scienza), garantissero il trasferimento della verità, dalle prime premesse fino alle ultime conclusioni (criteri di tutela del valore di verità).

L'esigenza decisiva era la seconda: "esigenza di verità", perché le altre due, senza di essa, divenivano inutili. Inoltre essa generava una "quarta esigenza": i metodi per accertare la verità di un asserto scientifico dovevano essere tali da garantirne la verità.

Pertanto, dalla seconda e quarta esigenza derivava un'altra catena di esigenze inderogabili: "definire" quale problema scientifico era importante e profondo; "fissare" i criteri per accertare se era tale; "stabilire" procedure e metodi per confrontare ogni problema con tali criteri.

Quest'ultima esigenza, a sua volta, comportava un'altra catena di esigenze: "stabilire" il concetto di descrizione "precisa e vera"; "fornire" i metodi per accertare se un enunciato descrittivo è vero o meno; "definire" il concetto di deducibilità; "stabilire" quando un prova poteva essere veramente tale, ecc.9

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Tutto ciò dà l'impressione di trovarsi davanti a una "scatola cinese" o a una "bambola russa": non si finisce mai di tirar fuori nuove esigenze.

Come abbiamo detto, la seconda e la quarta esigenza si dimostrarono la vera chiave di volta di tutto l'edificio scientifico: discorso, metodologia e teorie. La loro difficoltà insormontabile, tuttavia, era che i metodi richiesti dovevano risultare "assolutamente infallibili". È la stessa esigenza che presiedeva al "progresso" scientifico e che, nei capitoli precedenti, abbiamo già visto emergere in svariate forme.

3.1. Rinuncia all'"ideale scientifico" In realtà, la seconda e la quarta esigenza: raggiungere la verità mediante procedure

infallibili, esprimono la perenne esigenza inevasa della scienza moderna, che costituisce la versione scientista del sogno rinascimentale di trovare "soluzioni sicure" a un numero "finito" di problemi.

La storia della scienza e l'epistemologia hanno dimostrato, invece, che la scienza segue la via esattamente opposta: aumenta all'infinito il numero dei problemi e non offre mai soluzioni sicure. L'errore dello scientismo razionalista--positivista fu di tradurre il sogno rinascimentale in termini di: "conoscere con certezza tutta la realtà empirica". Perciò questo ideale di scienza è divenuto il "paradigma della conoscenza certa della realtà empirica". Il suo programma è divenuto il "giustificazionismo"10 o "verificazionismo". Il suo metodo è divenuto la "giustificazione" o verifica, ossia la prova sperimentale irrefutabile della verità di un asserto scientifico. Purtroppo, tutto ciò si è dimostrato inattuabile, per cui l'intero programma dovette essere abbandonato.11

Poiché anche qui era stata avviata la solita "catena problematica" delle esigenze crescenti, si dovette progressivamente "ripiegare" su esigenze sempre più limitate. Si ripiegò, pertanto, sull'induttivismo probabilistico che sostituiva l'irraggiungibile "certezza" con una più modesta "probabilità sufficientemente alta". Neppure essa, però, è definibile in senso logico o raggiungibile in senso pratico. Pertanto si ripiegò nuovamente su un'altra soluzione: assegnare un "punteggio" agli enunciati da "assumere come veri". La proposta si rivelò egualmente impraticabile. Non restava, perciò, che riconoscere il giudizio di Hume che è impossibile giustificare un asserto generale mediante il principio d'induzione.12 Ciò significava, però, "ripiegare" definitivamente sul "ridimensionamento" delle quattro "esigenze" poste alla base di tutto il progetto o, in parole povere, abbandonarle.13

3.2. Abbandono delle "esigenze scientifiche" L'esigenza di "conoscenze più profonde" (prima) fu abbandonata. Oltretutto si era visto

che la "profondità" accresceva enormemente il rischio di falsità di ogni asserzione. Le esigenze di "verità degli asserti" e di "assoluta garanzia dei metodi" (seconda e quarta) furono abbandonate, perché è impossibile raggiungere verità empiriche certe e assolute. L'esigenza di "coerenza formale" (terza) fu abbandonata, essendo impossibile suffragare le affermazioni deduttive con quelle empirico-induttive. Queste rinuncie costrinsero, però, anche alla drastica riduzione dell'ideale di scienza e delle pretese che lo avevano originato.14

In realtà, la stessa esigenza di un metodo scientifico, capace di fornire certezze, giustificazioni ultime, spiegazioni definitive e definizioni essenziali, aveva radici ancor più lontane, nella pretesa del razionalismo classico: considerare "razionali" soltanto le asserzioni provabili con certezza. I razionalisti-scientisti, facendola propria, si erano costretti a sforzi immani per trovare i "punti archimedei" incrollabili, ossia le proposizioni scientifiche capaci di sostenere e dimostrare tutte le altre. Vi rinunciarono perché non le trovarono, non le trovarono perché non esistono.

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Oggi possiamo ripercorrere, a ritroso e "col senno di poi", le varie avventure del pensiero moderno. Il criterio del "razionalismo intellettualista": "unire intuizione e deduzione", si rivelò troppo vago. Quello del "razionalismo empirista": "osservazione e induzione", si dimostrò insufficiente e contraddittorio. La sintesi proposta da Kant condusse alla perdita del realismo e della stessa idea di realtà intelligibile. Le altre proposte finirono nell'una o l'altra aporia.15

Pertanto, l'approdo finale del giustificazionismo (rigido o dogmatico) era che non è possibile "giustificare" o "verificare" una teoria e neppure dimostrarla preferibile a un'altra. Quindi: le teorie sono "incommensurabili", le esigenze metodologiche inattuabili, la conoscenza certa della realtà empirica è irraggiungibile e l'oggettività scientifica è una chimera. Per chi partiva dai presupposti razionalisti, queste conclusioni non potevano apparire altro che l'equivalente dello scetticismo o del nichilismo. Tuttavia, tale conclusione non è necessaria. Da questo rompicapo, insolubile solo all'apparenza, si può uscire facilmente, riconoscendo l'infondatezza della pretesa razionalista e, di conseguenza ammettendo che i metodi e le teorie della scienza, sono parziali, provvisori, limitati, congetturali e fallibili. Ciò, però, non toglie che esistano anche altre vie che consentano alla ragione umana di superare questi ristretti limiti invalicabili per la scienza, oltre i quali si aprono spazi enormi di conoscenza.16

4. Il conflitto fra realisti e relativisti

Rimanendo all'interno del discorso su metodi e teorie, neppure i tentativi dei nuovi epistemologi: Hanson, Toulmin, Kuhn, Feyerabend, Lakatos ecc., pervennero a una soluzione. I "realisti" insistevano che gli asserti scientifici non sono totalmente arbitrari o convenzionali, ma sono accettabili almeno in via provvisoria. I "relativisti", invece, dichiaravano arbitraria tanto la teoria falsificata quanto la decisione che la dichiarava tale. Ciò comportava che tutte le teorie scientifiche cadevano in un regime di totale arbitrarietà. Le posizioni relativiste radicalizzavano il carattere congetturale della conoscenza scientifica, trasformandone la relatività in un "relativismo assoluto", senza posizioni intermedie. Ciò rendeva le teorie scientifiche dei puri strumenti, privi di ogni referente, che non dicono assolutamente nulla e i cui mutamenti riguardano solo gli operatori scientifici.17 Per i relativisti: a) le teorie non descrivono nulla, ma servono solo a trasformare un'informazione ricevuta in un'altra trasmessa; b) i risultati sperimentali non sono ascrivibili al comportamento degli oggetti, ma a un sistema complesso d'interazione fra oggetti, apparato logico-strumentale e osservatore; c) i termini teorici non hanno alcun referente, ma designano entità puramente fittizie.

I realisti respinsero in blocco queste tesi, che banalizzano lo "status ontologico" di ogni realtà, riducendola a un puro asserto teorico e rimarcarono che il ricorso a delle semplici "buone ragioni", al fine di superare il dilemma fra relativismo assoluto ed empirismo logico, di fatto impedisce ogni soluzione.18

Radnitzky, nel timore di uno scetticismo totale, insisteva nel dire che le ragioni per preferire una teoria a un'altra, per quanto fallibili, non sono necessariamente arbitrarie.19 A questo punto, tuttavia, la discussione aveva ripiegato sulla "maggiore o minore fallibilità" di una teoria e non si parlava più né di certezza né d'infalllibilità.

Per comprendere meglio il lato pratico di questa disputa, seguiamo brevemente l'itinerario abituale di una teoria. All'inizio essa deve dimostrare di poter risolvere tutti i problemi non risolvibili dalle altre. Successivamente dovrà risolvere, meglio di ogni altra, tutti i problemi nuovi che si presenteranno. Quando ciò diverrà impossibile, dovrà lasciare

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il posto a una nuova teoria rivale, che ricomincerà esattamente lo stesso cammino, in un processo che non ha mai fine.20

A questo punto il grande problema tuttora insoluto è perché una teoria, dopo aver risolto i problemi insolubili dalle altre, ne crei di nuovi, che essa stessa non riesce più a risolvere e che appaiono più complicati dei primi. A questo punto, perciò, ci ritroviamo di nuovo rinivati all'insolubile problema dei "criteri" e delle "buone ragioni" per decidere quale teoria sia da preferire a un'altra, che abbiamo esposto nei paragrafi precedenti.21

Infatti, il criterio del "potere predittivo", ossia la capacità di superare i controlli empirici, è inapplicabile, essendo impossibile definire termini come "spiegazione", "controllo empirico", "rendimento decrescente dei controlli empirici", ecc. Il criterio del "potere esplicativo", ossia la capacità di risolvere i problemi di spiegazione, è impossibile poiché introdurrebbe nella spiegazione realtà empiriche falsificabili (dimostrabili false). Gli "indicatori obiettivi", capaci di dimostrare la superiorità di una teoria su un'altra, non son mai stati trovati.

Esaurita la serie dei "criteri" non restavano che le "buone ragioni", ma esse, oltre a essere estremamente opinabili, sono ancor più introvabili. Finora l'unica ragione ampiamente condivisa è stata la convenienza economica che, dati i costi elevatissimi e sempre crescenti della ricerca è molto realistica ma, purtroppo, non riveste alcun "valore di verità" (euristico).22

5. Wittgenstein e il "capovolgimento" del problema

Tutti questi insuccessi e fallimenti non costituivano ancora una dimostrazione, per la quale mancava una spiegazione convincente. Essa fu trovata grazie all'enorme successo di Wittgenstein che, tuttavia, non si era ma occupato di teorie scientifiche. Furono le sue idee sul linguaggio a contribuire, in modo decisivo, all'abbandono del giustificazionismo.23

Infatti, Wittgenstein, dopo aver concepito il linguaggio idealizzato (o formalizzato) come una raffigurazione logica, mutò parere e lo considerò un complesso di attività umane, integrate con altre, mediante innumerevoli e diversi "usi delle parole". Spostando l'accento dai fatti alle azioni, i giochi linguistici divenivano schemi di attività significative, in cui i significati precedono i fatti.

Anche l'immagine dell'uomo mutava, spostando l'accento dal "conoscere" al "muoversi in un mondo di relazioni di significato". Di conseguenza, il dato primario non risiedeva più nel "conoscere" ma nello "scoprire fenomeni dotati di significato". Ne ricavò che le situazioni di vita dotate di significato possiedono lo "status" di "a priori pratici", perché forniscono il "contesto dei presupposti", in cui la scienza si trova immersa, alla pari di ogni altra attività. Pertanto, la scienza non ha nessuno "status" privilegiato. Tale tesi venne poi utilizzata anche da Feyerabend.

Altrettanto importante fu il passaggio dall'unica logica trascendentale, a una molteplicità di giochi linguistici "incommensurabili". Il "gioco linguistico", elemento chiave del secondo Wittgenstein, ha la funzione di fornire un "modo di agire" e non un "modo di vedere" il mondo.24 Anche questa tesi fece superare la "pretesa della certezza" che, nei giochi linguisticisi, rende prigionieri di un sistema di riferimento intellettuale.

I giochi linguistici, come "forme di vita", definiscono ciò che ha senso fare, non esigono giustificazione e non sottostanno a criteri di valutazione. Di conseguenza, un gioco linguistico non può giudicarne un altro. Di qui la non conflittualità fra asserzioni religiose e

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scientifiche. La serrata critica delle epistemologie più recenti all'empirismo logico e alla metodologia popperiana si avvalse molto del pensiero del secondo Wittgenstein.

6. Riflessioni conclusive

La riflessione specifica di questo capitolo riguardava le teorie e i metodi della scienza moderna, considerati le sue strutture portanti o i suoi pilastri. Volevamo accertare il loro ruolo nella nuova temperie epistemologica, che ha collocato la scienza e le sue componenti in una nuova dimensione, nella quale alla certezza è subentrata la probabilità, alla logica della verità quella dell'errore, alle chiarezze le problematizzazioni, ai formalismi riduttivi i grandi contesti di pensiero riflessivo e immaginativo.

Anche per questa via abbiamo rivissuto la precedente esperienza. Bisogna superare la pretesa iniziale di raggiungere conoscenze certe, vere e garantite da metodi infallibili. Tale superamento, tuttavia, non conduce a nessun scetticismo o relativismo totale. Le "verifiche" scientifiche, anche se ridimensionate a modesti "controllli", rimangono indispensabili per migliorare, senza fine, gli elementi che fanno parte della ricerca scientifica e del pensiero umano: problemi, ipotesi, tesi, criteri, logiche, strumenti, soluzioni, ecc.25

Teorie e metodi non si sottraggono al loro carattere di parzialità, provvisorietà, storicità, congetturalità, incertezza e fallibilità, tuttavia non divengono affatto inutili. Pertanto, tutte le discipline devono sottomettersi alla fatica interminabile dei "controlli" propri e di quelli reciproci o incrociati di scienze, epistemologia, storia, filosofia, metafisica, etica, religione, teologia. Tutte, infatti, sono immerse in un contesto di saperi, reciprocamente complementari e sussidiari, in cui i problemi e gli interrogativi che un sapere non può risolvere al suo interno, possono trovare risposte adeguate negli altri.

La conclusione ultima è della massima importanza: non gli esasperati controlli "interni", ma soltanto l'apertura alla solidarietà e complementarietà con l'intero contesto di tutte le discipline e un sereno confronto critico con esse può evitare, a ogni sapere, i regressi all'infinito e le cadute nello scetticismo.26

Pertanto nessuna disciplina o istanza culturale può reclamare priorità o pretese di egemonia. Nessuna può esigere che un'altra le sia "ancilla", perché ciascuna è soltanto "ancilla" della verità, cui tutte devono tendere, insieme e in un dialogo sereno e approfondito.

1 F. Suppe (Ed.), The Structure of Scientific Theories, Urbana 1974. 2 G. Radnitzky, Contemporary Schools of Metascience, New York 1968; H. Feigl, G. Maxwell

(Eds.), Current Issues in the Philosophy of Science, New York 1961; G. Radnitzky, "Scienza", in Enciclopedia del Novecento, VI, 371.

3 Altri preferivano: "tecnologia del progresso conoscitivo". Cf. R.G. Colodny (Ed.), The Nature and Function of the Scientific Theory, Pittsburgh 1969; Radnitzky, "Scienza", 372; T. Kisiel, G. Johnson, "New Philosophies of Science in the USA. A Selective Survey", in Zeitschrift für allgemeine Wissenschaftstheorie, 1974, V, 138-191.

4 Algoritmo, schema o procedimento sistematico di calcolo che porta alla soluzione di un problema, mediante un numero finito di operazioni elementari.

5 T. Kuhn, The Essential Tension: Selected Studies in Scientific Tradition and Change, Chicago 1977, 345.

64

6 Sul tema degli "indicatori" cf. C. Cipolla, "Sentieri metodologici di secondo livello", in A.

Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e trascendenza, I, Torino 1989, 309-315; Radnitzky, "Scienza", 372.

7 A. Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Milano 1990; J. Agassi, R.S. Cohen (Eds.), Scientific Philosophy Today, Dordrecht 1981.

8 K. Popper, Conjectures and Refutations, London 1963, (tr. it. Congetture e confutazioni, Bologna 1972, 380).

9 R. Egidi, Il linguaggio delle teorie scientifiche, Napoli 1979. 10 Giustificazionismo, dottrina epistemologica e filosofica per cui le affermazioni scientifiche

possono essere provate definitivamente vere. 11 F. Barone, "La contemporanea discussione metodologica e la storiografia delle scienze", in

Physis, 22 (1980), 191-209. 12 G. Radnitzky, "Justifying a Theory versus Giving Good Reasons for Preferring a Theory", in

G. Radnitzky, G. Andersson (Eds.), The Structure and Development of Science, Dordrecht 1979, 213-256.

13 K. Popper, Logik der Forschung, Wien 1935, (tr. it., Logica della scoperta scientifica, Torino 21974).

14 Questa significativa ed emblematica vicenda é stata definita un esempio impressionante del fatto che gli assunti globali non possono andare immuni da critica. Cf. Radnitzky, "Scienza", 376.

15 Aporema, (aporia, aporetico) ragionamento logico che mostra l'uguale valore di due alternative e non conduce ad alcuna conclusione. Radnitzky, "Justifying a Theory", 243.

16 D. Antiseri, "Fatti, teorie e spiegazioni in C. Menger e K. Popper", in Nuova civiltà delle macchine, II, 1984, 1; Radnitzky, "Scienza", 373.

17 Queste posizioni sono pure dette: strumentalismo, idealismo relativistico, idealismo epistemologico. Cf. Radnitzky, "Scienza", 379; G. Andersson, "Sind Falsifikationismus und Fallibilismus vereinbar?", in G. Radnitzky, G. Andersson (Eds.), Progress and Rationality in Science, Dordrecht 1978; L. Fleck, Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, Bologna 1983.

18 Cf. W. Stegmüller, "A Combined Approach to the Dynamics of Theories. How to Improve Historical Interpretations of Theory Change by Applying Set Theoretical Structure", in Radnitzky, Andersson, The Structure and Development, 151-186; Secondo Barone, un bilancio sul neopositivismo ne mette in luce ormai soltanto la sua appartenenza al passato, la sua eccessiva polemica, il suo esclusivismo scientistico, il suo spirito negatore, antimetafisico e antifilosofico, l'incapacità di capire il valore di problemi filosofici fondamentali e la pretesa di eliminarli. L'aspetto positivo è dato dall'aver portato sul piano linguistico le indagini filosofiche sulla scienza, e approfondito i temi epistemologici e logici. Paradossalmente, la sua negazione e polemica hanno dato occasione a una rinnovata impostazione dei problemi filosofici; cf. F. Barone, "Neopositivismo", in Enciclopedia del Novecento, IV, 619; Id., Il neopositivismo logico, 2 voll., Roma-Bari 21972; Id., "Neopositivismo e filosofia analitica", in Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo, Milano 1978; D. Antiseri, Dal neopositivismo alla filosofia analitica, Roma 1966.

19 Radnitzky, "Scienza", 380; P. K. Feyerabend, "Problems of Empiricism (Part I)", in R. Colodny (Ed.), Beyond the Edge of Certainty, Englewood Cliffs 1965, 145-260; Radnitzky G., "Progress and Rationality in Research", in M. D. Grmek, R. S. Cohen, G. Cimino (Eds.), On Scientific Discovery. The Erice Lectures 1977, Dordrecht 1981, 43-102.

20 B. D'Espagnat, À la recherche du réel, Paris 41980.

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21 K. Popper, Unended Quest. An Intellectual Autobiography, London 1976, (tr. it., La ricerca

non ha fine. Autobiografia intellettuale, Roma 1976). 22 M. Baldini, Gli scienziati ipocriti sinceri. Metodologia e storia della scienza, Roma 1978. 23 L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Milano-Roma 1954; Id., Philosophische

Untersuchungen, Oxford 1953, (tr. it.,Torino 1967); Id., On Certainty, (a cura di G. Anscombe, G.V. Wright,), Oxford 1969, (tr. it., Della certezza, Torino 1978); Radnitzky, "Scienza", 377.

24 T. Kuhn, "Logic of Discovery or Psychology of Research?", in I. Lakatos, A. Musgrave (Eds.), Criticism and Growth of Knowledge, London 1970, 1-23, (tr. it., Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976, 313-356; Cf. "Convenzionalismo", in Dizionario delle idee, 182; Radnitzky, Andersson, The Structure and Development, 221; Radnitzky, "Scienza", 378; M. Pera, Popper e la scienza su palafitte, Roma-Bari 1981; A. Gargani, Il sapere senza fondamenti, Torino 1975, 101-110.

25 G. Radnitzky, "Analytic Philosophy as the Confrontation between Wittgesteinians and Popper", in Agassi, Cohen, Scientific Philosophy, 239 ss.

26 T. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago 1962, (tr. it., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 1969, 207); Radnitzky, "Scienza", 382; Wittgenstein, Ricerche filosofiche, 133.

7. LE SFIDE DELLA COMPLESSITÀ

1. Cenni introduttivi

In questo capitolo affrontiamo un tema fino a pochi decenni fa poco divulgato: la complessità dell'universo e dei suoi elementi. Lo ha sollevato la scienza attuale, insoddisfatta del progetto scientifico moderno e dei suoi tentativi di spiegazione globale, unificatrice e semplificatrice della realtà. Infatti, a tutt'oggi, la spiegazione globale è irraggiungibile, il principio unificatore non si è trovato e la semplificazione è stata vanificata dalla crescente quantità di fenomeni complessi.

La presenza di tali fenomeni nell'intero universo, costituisce, ormai, un problema di fondo e una sfida per la scienza e la cultura. Qui ne ricorderemo solo alcuni, a titolo di esempio, per dimostrare che le richieste di un nuovo spirito scientifico, di nuovi paradigmi e di una nuova epistemologia, fondata su ampie aperture trans-disciplinari, si fondano su di un solida realtà. Nella conclusione sottolineamo pure l'importanza filosofica e culturale di questa nuova fase della scienza.

2. Verso un nuovo paradigma epistemologico

Il "sistema del mondo", con la sua complessità, ha rivelato l'insufficienza dei modelli, dei concetti e delle immagini del paradigma scientifico moderno. Di qui l'urgenza di nuovi paradigmi, capaci di analizzarne la complessità anziché negarla.1 Essa si palesa in molteplici problemi ed è complicata dal coinvolgimento dell'osservatore scientifico nei processi indagati. Si riferisce quindi al cosmo (complessità oggettiva), all'osservazione umana e alle interrelazioni tra oggetti osservati e soggetti osservanti (complessità oggettiva e soggettiva). 2.1. L'orientamento classico della scienza

Abbiamo visto che le scienze fisico-naturali "classiche" privilegiavano la concezione quantitativa e matematica e interpretavano i fenomeni come fatti semplici, retti da leggi deterministiche e immutabili. Le ricerche dovevano fissare la regolarità e le loro leggi stabili. In questo paradigma non vi era posto per gli eventi, la storicità, il tempo storico, la qualità, il disordine, gli squilibri. Molti fatti confortavano questa impostazione, che consentiva previsioni controllabili (eclissi di sole e di luna).

Non si dubitava di poter prevedere e controllare, con rigorosa esattezza, le realtà e i processi dell'universo. Si cercava, perciò, di raccogliere un numero sempre maggiore di dati, da elaborare sempre più rapidamente, avvalendosi di elaboratori di dati sempre più potenti e veloci. 2.2. Nuovi orientamenti: il caos

Il progredire delle ricerche, però, ha sconvolto questo schema, rivelando che, anche nei più semplici sistemi deterministici, composti di pochi elementi, si manifestano comportamenti aleatori2 essenziali che non scompaiono, ma permangono, nonostante le ulteriori informazioni raccolte.

Questo fenomeno, denominato "caos",3 si presenta all'interno del paradigma "deterministico" che, con le sue presunte regole fisse e rigorose, non riesce a eliminare le piccolissime indeterminazioni che, a lunga scadenza, acquistano un peso grandissimo.

Questa constatazione si ripercuote su tutti i rami della scienza, sull'immagine dell'universo e sulle nostre abitudini mentale e culturali. Perciò, oggi, si studia il caos

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come generatore di un ordine descrivibile matematicamente (vedi frattali, attrattori strani, ecc.).4 Ci si domanda se esso sia un frutto della natura o dei nostri paradigmi e teorie scientifiche. Alcuni ritengono che sia nato proprio dall'incapacità della scienza classica (semplificatrice e riduttiva) di leggere correttamente il creato e quindi di descriverne e interpretarne esattamente i fenomeni altamente complessi, in cui gioca un numero assai elevato di parametri. 2.3. Nuovi problemi emergenti

In base al vecchio determinismo, Laplace aveva sostenuto che, conoscendo la posizione e la velocità di tutte le parti dell'universo, avrebbe potuto prevederne l'evoluzione futura per l'eternità. La scienza lo ha smentito anche in questo.

La speranza di un'assoluta prevedibilità è crollata dopo le scoperte del principio d'indeterminazione di Heisenberg e dei comportamenti aleatori dei sistemi più semplici. Tuttavia, Poincaré, già nel secolo scorso, studiando il "problema dei tre corpi", aveva dimostrato che si potevano fare previsioni soltanto in un sistema formato da "due corpi", mentre in ogni altro, formato da tre o più corpi, le previsioni divengono sempre più approssimate e infine impossibili. Perciò in un sistema più complesso, la cui evoluzione è sempre fonte di novità, non è possibile prevederne la stabilità.5

Allora, i tempi non erano maturi per affrontare la realtà del caos. Esso contrastava troppo la mentalità e i dogmi scientisti di moda, che imponevano di analizzare i sistemi complessi, scomponendoli nelle loro componenti. La chiave del mistero dell'universo "doveva" risiedere solo nei suoi "costitutivi ultimi". Nessuno avrebbe potuto sostenere pubblicamente che:

"la speranza che la fisica possa raggiungere la compiutezza grazie a una comprensione sempre più particolareggiata delle forze fisiche e dei costituenti fondamentali è infondata".6

2.3.1. Geometrie infra-euclide e frattali I casi nuovi e interessanti non si fermano qui. Anche la matematica e la geometria

classiche avevano abituato a ritenere bizzarri determinati problemi, che oggi sono considerati normali, molto interessanti e degni di seria considerazione.

Si pensi, per esempio, alla misura della lunghezza di una costa o di una linea di confine. Oggi il fatto che questi "fenomeni caotici" possano essere descritti in termini matematici (frattali) induce a pensare a una geometria soggiacente a tutta la struttura della materia. La natura sembra decostruire e ricostruire continuamente le sue forme, come ricostruisce la vita dalla morte. Al riguardo Mandelbrot dice: "la geometria della natura è caotica e mal si identifica nell'ordine perfetto delle forme abituali di Euclide o del calcolo differenziale".7 Perciò ha messo in evidenza che, fra l'ordine eccessivo di Euclide e il caos incontrollabile, vi è una zona intermedia, denominata dei "frattali". Anche queste acquisizioni si rivelano fonte di interessanti conseguenze e di importanti applicazioni per il pensiero scientifico e la cultura. 2.3.2. Fisica dei sistemi dinamici o scienza del "disordine"

Un altro campo scientifico in cui le idee sulla complessità hanno trovato feconda applicazione è rappresentato dalla "fisica dei sistemi dinamici", preannunciata dalle illuminate intuizioni-riflessioni di Poincaré. Essa, fin dagli anni 1960, si è sviluppata come "scienza del disordine" che consente di considerare il fortuito (caso), non più come un effetto delle insufficienti capacità di previsione della mente umana, ma come risultato delle fluttuazioni oggettive e continue dei fenomeni stessi.8

Lo studio dei sistemi dinamici o di particolari effetti di coerenza, quali le strutture dissipative, sembra mostrare che non esiste una sostanziale differenza fra processi fisici e biologici. In presenza di un flusso di energia si danno sistemi fisici in grado di diminuire la loro entropia, di produrre ordine dal disordine e di aggregare sistemi più

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vasti. Pertanto, in questa visione, le leggi della biologia potrebbero essere non irriducibili a una fisica che, rivedendo auto-criticamente i propri assunti, non pretenda più di forzare tutta la realtà entro l'angusto schema commisurato ai fenomeni idealizzati di cui si occupa. 2.3.3. Teoria delle catastrofi

Un'altra serie di ricerche affini viene dagli studi di R. Thom sulle catastrofi. Anche qui si tratta di descrivere scientificamente fenomeni che la scienza moderna aveva misconosciuto, in base ai suoi criteri epistemici, respingendoli come "qualitativi" e "non scientifici". Le teorie di Thom riguardano la discontinuità e le modificazioni improvvise, repentine e globali, che caratterizzano l'evoluzione dei sistemi organizzati. 2.3.4. Sistemi sociali complessi

Riguardo ai "sistemi sociali complessi" si è sviluppata una convergenza d'interessi da parte di discipline assai diverse, che vanno dalla biologia alla psicologia e alla sociologia. Perciò se ne sono occupati, per le rispettive finalità ed esigenze, Von Foerster, Piaget, Atlan e Morin.9 Le loro teorie hanno evidenziato, nei macrosistemi storici e sociali, l'esistenza di un principio d'ordine e di una organizzazione che emerge dal disordine e dalle fluttuazioni. I loro programmi di ricerca, perciò, sono rivolti a verificare i fenomeni di auto-organizzazione che manifestano un aumento della complessità funzionale e strutturale, risultante dal succedersi di disorganizzazioni controllate, seguite da maggiore varietà (ipercomplessità). 2.3.5. Scienza del fortuito fisico

Le attuali ricerche, smentendo le speranze iniziali della fisica, dimostrano che non è possibile trovare soluzioni, "in forma chiusa", per svariati sistemi semplici. Infatti il "comportamento imprevedibile dei sistemi dinamici caotici" non può essere espresso mediante soluzioni in forma chiusa. Di conseguenza, non esistono scorciatoie per prevedere tale comportamento.10 2.3.6. Sistemi dissipativi: dall'essere al divenire

Prigogine, in particolare, si è interessato allo studio dei "sistemi dissipativi", ossia di quegli stati d'equilibrio in cui la turbolenza aumenta anziché diminuire. In essi la ricerca dell'equilibrio si svolge per "scelte" successive. Se si raffigurano come una struttura ad albero, si constata l'impossibilità di prevedere quale ramo verrà scelto dal sistema, volta per volta. Di conseguenza, Prigogine auspica una fisica che passi a considerare il divenire anziché l'essere ed elabori un paradigma nel quale il flusso temporale costituisca una variabile fondamentale.11

3. I nuovi aspetti dell'episteme

Questi problemi significativi, accennati solo per sommi capi, sono solo alcuni fra quelli che esigono una nuova impostazione scientifica sostenuta da un'adeguata riflessione epistemologica e filosofica.12 La filosofia, soprattutto, può essere stimolata da questa constatazione:

"la responsabilità di questa distonia tra discorso scientifico e discorso filosofico riguarda, soprattutto, la filosofia, che ha uno stranissimo complesso di inferiorità nei confronti delle scienze, ma delle scienze così come si potevano configurare un secolo fa. La filosofia sta registrando con immenso ritardo una situazione scientifica pre-einsteiniana".13

L'epistemologia, invece, è sollecitata da quattro settori problematici, densi di novità significative: a) la storicità o tensione verso gli elementi generalizzanti e individuanti; b) la neo-irreversibilità e le nuove forme di determinismo, aventi non più carattere universale e meccanicista ma regionale e trasformazionale; c) lo studio dei risultati

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delle complesse interazioni interne ed esterne ai sistemi (costruttivismo); d) la circolarità fra istanze endogene ed esogene dei sistemi, indagata senza priorità precostituite e a tutti i livelli.

Al momento, non sappiamo se lo sviluppo di queste problematiche condurrà a un neo-razionalismo epistemologico più sofisticato di quello tradizionale o a espressioni di razionalità più aperta, comprensiva, elastica e, tutto sommato, più razionale.14 Poiché la questione è aperta e il suo esito è decisivo per la cultura, occorrerà che tutte le componenti culturali: scienze, epistemologia, filosofia, etica e teologia, cooperino consapevolmente al dibattito. 3.1. Dalla semplificazione alla complessità

I problemi sollevati dalla complessità fanno già intravvedere la possibilità di approcci inter- e trans- disciplinari utili per rivitalizzare il pensiero scientifico ed epistemologico. Al riguardo emergono tre esigenze promettenti, ma ancora allo stato di sfida: a) restaurare un punto di vista sintetico per analizzare le interazioni dinamiche tra gli elementi di insiemi e di sistemi, rispettandone la totalità; b) sviluppare metodi per organizzare la conoscenza scientifica d'insiemi vasti e complessi; c) promuovere un linguaggio unitario come supporto all'articolazione e all'integrazione dei modelli teorici e delle prescrizioni metodologoche, provenienti da discipline differenti.15

Queste esigenze riguardano problemi relativi a molti campi: cosmologia, teoria dei campi,16 termodinamica, microfisica, microbiologia, psicologia, sociologia ecc., nei quali è particolarmente sentita la necessità di passare dalla rigida concezione di ordine immutabile, regolato da ferree leggi, a quella duttile di ordine "condizionato" suscettibile di risultati sorprendenti.

I loro problemi, tuttavia, vanno ben al di là dell'ambito puramente scientifico, coinvolgendo l'epistemologia, la gnoseologia e l'ontologia. 3.2. L'applicazione critica dei paradigmi

Date le condizioni attuali della scienza, ogni mutamento dovrà coinvolgere tutti i livelli. Torniamo un istante, come a esempio, al paradigma della fisica classica, che impostava lo studio dei sistemi complessi, isolando i loro singoli elementi per misurarli e quantificarli (fisicismo).

A livello scientifico, si dovrà trovare il modo di sostituirlo o trasformarlo integralmente, non solo per la fisica ma anche per le scienze biologiche, umane e sociali. Infatti, ha osservato J. Ladrière: "tutta la storia della fisica contemporanea dimostra che l'idea di una risoluzione ultima di tutte le entità complesse, in entità veramente elementari, è problematica e totalmente illusoria".17

A livello epistemologico si dovrà riflettere sulle difficoltà incontrate dalla ricerca delle "particelle ultime" quali costituenti elementari della materia, che ha evidenziato: a) l'impossibilità di isolare tali elementi nello spazio-tempo e b) la struttura estremamente complessa (che nasconde altri livelli ulteriormente esplorabili), di ogni elemento ritenuto elementare.

Per la scienza contemporanea la materia non è più un referente compatto e impenetrabile, ma il sostrato che permette la vita, mediante l'instaurarsi di una evoluzione e di una complessificazione, che salgono fino all'emergere della coscienza. Da quando l'universo ha avuto origine, la materia è divenuta il mattone di ogni crescente complessità, imparando a incorporare e trasmettere informazione. Se ciò che chiamiamo materia è la matrice di un'informazione in continua crescita, ciò implica un gigantesco aumento di significato nella storia del nostro universo.18

A livello specificamente filosofico la ricerca dei "costituenti ultimi della materia" è stata così interpretata:

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"La scienza, nel suo tendere verso l'idefinitamente piccolo, che è identico all'infinitamente grande, e verso il livello costitutivo ultimo della materia, che equivale al tendere verso l'inizio del tutto, è necessariamente trascinata al punto del principio indefinito e indefiniendum, del principio che esclude la partecipazione di ogni soggetto, dove il soggetto è a priori negato, a priori impossibile e dove il tempo non può avere un osservatore e quindi non è neppure un tempo, dove la cosa non può essere percepita, pensata, intuita e quindi non è neppure una cosa. La scienza contemporanea sta capendo che non potrà mai raggiungere quel punto verso il quale tende, perché ci sarà sempre un'ulteriore fibra infinitesimale della materia, perché quel primo secondo di tempo sarà sempre ulteriormente divisibile in micropercorsi. Ma questa consapevolezza può essere discussa solo in termini filosofici".19

Quindi il pensiero dovrà muoversi verso lo studio delle relazioni tra le parti di un insieme, assumendo come oggetti le proprietà dei sistemi naturali e artificiali: fisici, biologici, antropologici e sociali. Si dovranno ripensare i problemi dell'organizzazione: apertura, totalità, evoluzione, autoproduzione ecc., abbandonando i formalismi rigidi, in favore di modelli più elastici, adeguati e coerenti.20 3.3. L'oggettività

Queste prospettive consentono pure di ampliare notevolmente il concetto di oggettività scientifica. Infatti se l'oggetto di una scienza dipende dal "punto di vista" con cui si considerano le cose, l'oggetto scientifico si costituisce a partire da questa visione. La ricerca scientifica, assumendo il punto di vista dell'insieme, ossia erigendo a oggetto scientifico il sistema (relazioni), consentirebbe una "oggettività allargata".21 Essa non comporta confusioni né sovrapposizioni filosofiche, perché la scienza deve fermarsi di fronte ai problemi scaturenti dalla sua ricerca, ma che superano i suoi limiti (causa finale, significati, totalità, ultimi destini umani, ecc.). Ciò di cui la scienza non può parlare, non costituisce un limite per i discorsi sensati o significativi dell'uomo e della sua ragione (criterio di significazione del discorso umano), al contrario segna il limite insuperabile del discorso scientifico, (criterio di demarcazione del discorso scientifico) che deve cedere la parola ad altri discorsi (ordinario, filosofico, etico, metafisico, religoso, teologico, ecc.). La ricerca scientifica, quindi, allargherà il suo campo problematico, dall'oggettività ristretta (individualità definita di oggetti e predicati) a quella allargata (insiemi di relazioni verso altri insiemi).

4. Analitica della complessità

Nella complessità, la natura si presenta come una straordinaria solidarietà di sistemi intersecati, che si costruiscono "su", "tramite", e "con" gli altri, in una crescente organizzazione di unità complesse.22 Occorre, pertanto, un'analitica della complessità, che renda ragione dell'ordine e del disordine del mondo fisico. Il mondo, non più "deterministico" o ordinato in ogni sua parte, appare un processo continuo di eventi, anche catastrofici e disordinati, eppure proprio perciò, creativi. Di ciò la ricerca scientifica sta prendendo atto. 4.1. Ordine e disordine nel mondo fisico

A tal fine, occorre ridefinire il rapporto fra natura e caos. E. Morin ritiene utile il concetto di "struttura", che comporta le idee di organizzazione e di ordine, senza tuttavia ridursi ad esse. Morin immagina un ordine dinamico, capace di arricchirsi e complessificarsi, totalmente diverso da quello deterministico, perché include anche il suo correlativo inscindibile: il disordine. Questo, a sua volta, va ben oltre l'idea di "caso", essendo un "macroconcetto"23 che ingloba realtà molto diverse, includenti sempre l'aleatorio. In questa visione non vi è settore dell'universo dove non esista disordine.

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Per Morin questi concetti sono decisivi per "spiegare" e "comprendere" quel mondo del disordine, che sfida e mette in questione la nostra capacità di conoscere e per il quale il vecchio paradigma scientifico (dell'ordine) ormai è superato. 4.2. La nuova sfida epistemologica

Sorge, quindi, una nuova sfida epistemologica per descrivere e definire la realtà "incerta", "complessa" e "sconosciuta". Il metodo della complessità, tuttavia, è da inventare, per cui occorre prevedere rischi, insuccessi, errori, incidenti di percorso e fallimenti. Non si presta, perciò, alle false certezze e alle eccessive sicurezze del vecchio paradigma scientista.

Gli attuali concetti non lasciano dialogare le nozioni di ordine e disordine e le concepiscono ancora come antagoniste, mentre le osservazioni le presentano "inseparabili", in un universo da cui non sono eliminabili le perturbazioni causate dagli osservatori, né il disordine.

La sfida richiede anche di conciliare algoritmi e stocastica,24 probabilità e improbabilità, al fine di: a) elaborare una scienza dell'evento; b) trasformare in oggetto scientifico realtà finora considerate "residui" della ricerca oggettiva; c) fare oggetto delle scienze e dell'epistemologia non solo gli elementi singoli e isolati ma anche gli insiemi complessi; d) accettare la complessificazione della scienza e preparare un'epistemologia della complessità; e) superare definitivamente il "paradigma di semplificazione" che eleva alternativa e separazione (caos-cosmo, caso-necessità, sistema-evento) a principi informativi del reale; f) formulare concetti validi per l'auto-produzione e l'auto-organizzazione. 4.3. Complessità e macroconcetti

Morin propone di integrare (o sostituire) i concetti con "macroconcetti" che includano ed esprimano le interrelazioni complesse e possano interagire fra loro. Un di questi macroconcetti è l'"evento", termine familiare a filosofi e teologi che, però, non deve trarli in inganno. Esso designa elementi che scorrono e interagiscono nel tempo, in contrapposizione a quelli costanti, regolari e ripetitivi. Nasce, perciò, dalla supposizione che l'universo fisico non sia costituito solo da questi ultimi e introduce, comunque, una connotazione "storica". Sarebbe, quindi, un processo di successive trasformazioni della materia, che riveste il ruolo di struttura mobile costitutiva dell'universo, impedendo la previsione deterministica del risultato finale. Questa impostazione supera le obiezioni scientiste contro i miracoli e annulla alcuni presupposti delle teorie della demitizzazione.

Considerando l'essenza dell'universo come "evento", si potrebbe elaborare un'epistemologia della complessità, che individui come suo oggetto la "conoscenza del processo della realtà" anziché la "definizione del reale" (che non è riuscita). Nell'evento, infatti, confluirebbero il disordine, come carica dispersiva e l'organizzazione, come forza innovatrice. L'evento vi aggiungerebbe una dialettica di elemento-evento, tempo-spazio, ordine-disordine, come costituenti fondamentali e principi di formazione e di spiegazione dei sistemi auto-organizzati.

5. Dialettica e paradosso della complessità

Morin tenta di avvicinare elementi molto diversi, senza riuscire, tuttavia, a liberarsi totalmente dai condizionamenti della sua vecchia formazione dialettica. Ciò premesso, dobbiamo considerare favorevolmente la sua proposta di una nuova epistemologia della biologia, che ne elabori lo statuto a partire dal vivente come "complessità mista", superando le vecchie semplificazioni. In questo modo anche i fenomeni bio-fisici e bio-chimici possono venire assunti sotto un nuovo significato. Senza un nuovo metodo "misto e composito", una biologia matura oggi non sembra pensabile.

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Morin insiste soprattuto su due punti. Il primo è che esistono solo "sistemi viventi" ma non materia vivente. Il secondo è che nei sistemi vi è non solo entropia ma anche il suo contrario: l'entropia-negativa, ossia la "sintropia" di Fantappiè chiamata "neghentropia" da Brillouin.25

Questa complessità non elimina le molteplici componenti delle strutture, ma richiama una doppia struttura: del "geno" (aspetto specifico) e del "feno" (caratteri generali), aventi l'una bisogno dell'altra ed entrambe dell'ambiente.

Di qui il "paradosso epistemologico" della complessità: l'individuo deve essere concepito "intrinsecamente" come esistente individuale ed "estrinsecamente" come dipendente dal non individuale. Lo stesso soggetto, quindi, è componente della complessità e parte del processo di formazione e di distruzione della vita. È insieme osservatore e osservato, perciò è capace di conoscere dall'interno il mondo della realtà, mediante una osservazione nè dogmaticamente razionalista nè riduzionista.

6. Ipercomplessità dei fenomeni e metodo della complessità

Se vi è già complessità nel cosmo inorganico, quanto più vi sarà "ipercomplessità"26 nel fenomeno umano. Perciò Morin insiste sulla necessità di rinnovare profondamente la scienza e, in particolare, l'antropologia che, collocandosi tra biologia e cultura, dovrà sviluppare le ipercomplesse interrelazioni bio-antropologiche fra natura e cultura e approfondire gli aspetti bio-socio-culturali dello sviluppo. 6.1. Per un'epistemologia della complessità

Analogo rinnovamento riguarda l'epistemologia, chiamata a inserire le esigenze specifiche della sua "ragione", all'interno dell'attività scientifica, per elaborare i parametri essenziali della scientificità. A tal fine dovrà risolvere alcuni suoi vecchi nodi problematici. Uno di questi è la sua perenne oscillazione fra empirismo e idealismo. Con il primo pretendeva di attingere direttamente gli oggetti e di aderirvi. Con il secondo intendeva manipolare concetti efficaci. Finora, però, i suoi tentativi di mediazione hanno soltanto impedito di risolvere il "plesso" di fondo della conoscenza scientifica: definire il rapporto fra soggetto osservante e oggetto osservato.

Un secondo "nodo problematico" fondamentale è quello etico-morale che, come abbiamo visto, ormai appare tutt'altro che estraneo alla scienza ed è auspicato dalla maggioranza degli operatori scientifici. Uno sguardo all'indietro fa scoprire come la cosmovisione elaborata dal pensiero medievale collegasse organicamente finalità, ordine e gerarchia, conferendo all'etica il suo senso. La tarda scienza moderna, invece, teorizzò una cosmovisione e una concezione dell'uomo prive di ogni finalità e di ogni senso, in cui il discorso etico diveniva superfluo.27 Una scienza rinnovata, che riproponga un creato dotato di unità e di senso, potrà riaprire uno spazio anche per l'ordine, la finalità e i valori, consentendo di recuperare ciò che fu sottratto alla storia e alla cultura.28

Non si tratta di un problema da poco, perché riproporre il problema etico nel contesto dell'impegno scientifico, significa colmare il crescente distacco consumato fra scienza e coscienza e fra "praxis" e "techne" nell'età moderna. Dal punto di vista epistemologico e metodologico, l'elaborazione di adeguati strumenti concettuali e teorici, per superare l'abisso tra scienza, valori etici e finalità antropologiche, non appare più utopistico, dopo lo sviluppo delle "logiche degli enunciati esprimenti norme" (logiche deontiche). Vi accenneremo nel prossimo capitolo, a proposito delle scienze umano-sociali.29 6.2. Epistemologia della complessità e metodo trans-disciplinare

Gli argomenti esaminati sollevano pure il "nodo problematico" del collegamento fra le discipline coinvolte nel rinnovamento. Il metodo "interdisciplinare" non appare più

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adeguato, essendo sorto per rimediare alle contraddizioni riduttiviste e alla frammentazione del paradigma scientista. L'attenzione, perciò, si è spostata sul metodo "transdisciplinare", che si addice meglio a un paradigma della complessità, perché esso è orientato alla convergenza e all'integrazionere di tutti i punti di vista, con cui gli osservatori guardano la realtà e se stessi. Tali "modi di guardare" possono strutturarsi su tre livelli.

Il primo è dato dallo "sguardo sociologico", che ribalta la complessità del fenomeno umano sul sistema sociale, con effetto retroattivo. Un secondo livello è dato dallo sguardo "economico e noologico" (attento alle ideologie e mitologie), che considera le parti del sistema in quanto interferenti con tutte le altre. Un terzo livello guarda alle relazioni auto-produttive delle forme di "unità-dualità": ordine-disordine, distruzione-creatività, saggezza-follia, che l'uomo mutua dal mondo fisico e introduce nello sviluppo del mondo reale.

Queste operazioni sono finalizzate a riorganizzare il sapere per ricostruire una scienza rinnovata. Esse esigono non solo un metodo ma, assai più, un "pensiero" trans-disciplinare, che adegui, in modo più coerente, ogni disciplina alla varietà e all'unità dell'oggetto e alla complessità delle questioni poste dagli osservatori, come interpreti del reale.

7. Dal "caos" al "nuovo pensiero"

I dati analizzati in questo capitolo indicano che occorre prepararsi, ormai, a nuove procedure mentali, basate su sistemi di connessioni fra idee nuove, idee antiche e idee antiche-rinnovate. Un rinnovato pensiero creativo dovrà valorizzare le "dinamiche dei processi caotici", amplificando selettivamente le piccole fluttuazioni concettuali e foggiandole in coerenti stati mentali macroscopici, aperti a nuove idee, nuove scelte e nuove decisioni. In questo modo la scienza potrà risolvere altri suoi nodi problematici, chiarendo a se stessa, ad esempio, le modalità che consentono un effettivo esercizio del libero arbitrio in un mondo retto da rigorose leggi causali.30 Molte cose restano da dire al riguardo, ma preferiamo soffermarci su alcuni elementi di maggior rilievo filosofico e umanistico, offerti dal nuovo atteggiamento scientifico.

8. Riflessioni conclusive

Gaudium et Spes ha espresso più volte la preoccupazione che le scoperte scientifiche restringano progressivamente l'area dello stupore, dell'ammirazione e della contemplazione che conducono alla sapienza.31 Si tratta di un problema fondamentale per ogni persona e cultura.

Infatti, agli inizi del pensiero classico occidentale, i filosofi greci sapevano passare dallo stupore originario alla saggezza. In seguito, i pensatori cristiani seppero aprire la loro esaltante esperienza umana e religiosa a espressioni di saggezza e di sapienza. Nella cultura scientifica, invece, lo stupore solleva inquietudini e angoscie che cercano risposta solo nell'analisi critica e nella rilettura scientifica.

L'uomo scientifico si è abituato a risolvere lo stupore originario nel rigore logico, ingigantendo, unilateralmente, una sola parte della ricca esperienza classica, greca e cristiana. Si tratta di quella parte che dominava teoreticamente lo stupore originario, imbrigliando il frammentario e lo sfuggente nelle connessioni causali-metafisiche e superando la molteplicità accidentale e alogica, mediante la nozione di sostanza.32 L'uomo classico, tuttavia, non si limitava a questo, ma valorizzava pure la dimensione verticale, aperta all'alto.

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L'uomo moderno, invece, si è limitato a imprigionare la ricerca e la conoscenza in sistemi chiusi e unidimensionali, per cui ora ha bisogno di una nuova epistemologia "bidimensionale", aperta alle dimensioni verticali ossia alle tematiche metafisiche dei fondamenti, delle finalità, dei significati e della trascendenza.33

Le impostazioni fenomenologiche ed ermeneutiche possono restituire all'esperienza originaria dei ricercatori la profondità che facilita lo stupore e l'ammirazione, consentendo loro di percepire l'eccedenza di significato che allarga la ragione (dimensione orizzontale) ed eleva la coscienza (dimensione verticale). In questo modo l'orizzonte del ricercatore potrà aprirsi alla contemplazione oltre che ai verdetti della ragione, evitando ogni confusione e superando ogni pretesa estraneità fra ricerca scientifica, riflessione filosofica e apertura di fede.34

1 V. Ingraldo, "Scienza moderna e scienza post-moderna. L'evoluzione del pensiero

scientifico", in La Scuola e l'Uomo 11-12, (1989) 297. 2 Aleatorio, dipendente dal caso, incerto. 3 Caos, termine con cui oggi si indica genericamente la natura globale dei sistemi complessi.

Il suo studio ha origini recenti e riguarda le situazioni complesse di ogni settore scientifico. Può essere considerato lo studio dei processi anziché degli stati e il tentativo di superare ulteriormente il determinismo. J.P. Crutchfield, J.D. Former, N.H. Packard, R.S. Shaw, "Il caos", in Le scienze, XX (1987), 28.

4 Frattale, termine con cui si indicano oggetti geometrici, in particolare curve, la cui dimensione è data da un numero frazionario. Per una trattazione più ampia di questi problemi cf. C. Borasi ....... ,Bologna 1993, .....

5 Un esempio del primo caso si ha se uno dei pianeti del sistema solare, a causa di perturbazioni esterne, allunghi progressivamente la sua orbita sino ad uscire da esso. Un esempio del secondo caso, invece, sarebbe di sistemi che, partendo da punti molto vicini nello spazio, abbiano evoluzioni molto divergenti.

6 Crutchfield, "Il Caos", 21. 7 B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Torino 1987, 11. 8 G. Perri, "Verso un nuovo paradigma epistemologico", in Nuova Secondaria, VII (1989), 2,

66. 9 H. Von Foerster, G.W. Zopf, Principles of Self-organization, New York 1962; J. Piaget,

L'equilibrazione delle strutture cognitive, Torino 1981; H. Atlan, "Sul rumore come principio di auto-organizzazione", in Morin E. (a cura di), Teorie dell'evento, Milano 1974.

10 Crutchfield, "Il Caos", 13-14. 11 Perri, "Verso un nuovo", 67-68. 12 Chi paventa, in questa possibilità, il ritorno del mitico "progetto unificazionista" delle

scienze, può tranquillizzarsi pensando che questa svolta esige, prima della "costruzione delle teorie" (theory-construction), di provvedere alla "formazione dei concetti" (concept-formation) nuovi; cf. E. Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e dell'oggettività nelle scienze umane", in Possenti, Epistemologia, 76. Su questo punto ritorneremo nel prossimo capitolo.

13 M. Cacciari, "Quali interrogativi la scienza pone alla filosofia?", in Conoscenza e complessità, Roma-Napoli 1990, 165.

14 Perri, "Verso un nuovo", 70. 15 Quattrocchi P., "Verso un'epistemologia della complessità: 'La methode' di E. Morin", in

Epistemologia, V (1982), 363-364. 16 La teoria dei campi, nella fisica, è nata dalla necessità di spiegare fenomeni i cui

movimenti non avvengono per contatto fra i corpi, ma attraverso quello spazio vuoto cui si è dato il nome di etere.

10

17 J. Ladrière, "L'abîme", in Savoir, faire espérer: les limites de la raison, Bruxelles 1976,

177. 18 F. Prattico, Dal caos alla coscienza, Bari 1989, 154. 19 Cacciari, "Quali interrogativi", 161. 20 Cf. J. De Rosnay, Le Macroscope. Vers une vision globale, Paris 1975; B. D'Espargnat, À

la recherche du réel. Le regard d'un physicien, Paris 1980. 21 Quattrocchi, "Verso un'epistemologia", 368. 22 Morin E., La méthode. I - La nature de la nature, Paris 1977; Id., II - La vie de la vie,

Paris 1980; Id., III - La connaissance de la connaissance, Paris 1986. 23 Il termine macroconcetti, nel linguaggio di E. Morin, indica gli "insiemi di concetti più

ampi", volti a includere, integrare o sostituire i precedenti concetti più limitati, per renderli adatti a descrivere o esprimere le interrelazioni complesse.

24 Algoritmo, schema o procedimento sistematico di calcolo, che porta alla soluzione di un problema con un numero finito di operazioni elementari. Stocastico = probabilistico, aleatorio, dovuto al caso.

25 Entropia, in un sistema fisico, è la perdita irrecuperabile di energia utile, dovuta alla sua trasformazione in calore. Il suo aumento indica una crescita del disordine e la diminuzione dell'efficienza di un sistema. L. Fantappié introdusse il concetto di "sintropia" per indicare un processo per il quale un sistema, anziché degradare, tende a forme sempre più organizzate ed efficienti. Brillouin chiama lo stesso fenomeno "neghentropia". Cf. L. Brillouin, La science et la théorie de l'information, Paris 1952.

26 Il termine ipercomplessità si applica alle attuali società postmoderne, caratterizzate da una grande complessità, da un crescente sviluppo delle comunicazioni di massa e dalla necessità di gestire scelte, decisioni e attuazioni in tempo reale. Tutto ciò rende ancor più complessa la loro già grande complessità.

27 In seguito al suo "principio cosmologico". 28 In seguito al "principio antropico", ossia la questione ambientale e la profonda unità del

creato, intesa come sviluppo di complessità crescente fino all'uomo. 29 Logica deontica, Cf. G. Di Bernardo, Logica deontica e semantica, Bologna 1977, con

ampia bibliografia. 30 Crutchfield, "Il Caos", 21. 31 Gaudium et Spes, 56, 59. 32 Eidos platonico e ousia aristotelica. 33 A. Rigobello, Perché la filosofia, Brescia 1979, 42-45, 48-51; Cf. E. Husserl, La crisi

delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano 1961; H. Kuhn, Socrate. Indagini sull'origine della metafisica, Milano 1969.

34 Rigobello, Perché la filosofia, 53-54, 131-135. Vedi l'agostiniano "fides quaerit, intellectus invenit".

8. SCIENZE UMANE: LO SPECIFICO IRRIDUCIBILE

1. Cenni introduttivi

In questo capitolo cerchiamo di risolvere, per un'altra via, il problema della scientificità che, come abbiamo visto finora, è stato affrontato ripetutamente, ma senza successo, dalle scienze naturali. Poiché esso costituisce il problema di fondo per le scienze umane, preoccupate di salvaguardare il loro "specifico", cercheremo di analizzare il problema dello "specifico delle scienze umane", ponendolo nell'orizzonte più ampio dello "specifico di ogni scienza".

Così impostato, esso riguarda tutte le scienze e la stessa "scientificità" intesa nel suo senso più generale relativa non solo a tutte le scienze, ma anche a tutte le discipline di qualsiasi ambito: anche storico, filosofico e teologico. Tutte, infatti, sono interessate alla tutela e alla valorizzazione del proprio "specifico".

Posto in questi termini, il problema assume la dimensione culturale e il significato generale che gli compete: il più corretto approccio di ogni disciplina al proprio oggetto. Ciò comporta, non solo la ricerca di un concetto di "scientificità" più adeguato all'attuale contesto multidisciplinare della cultura, ma anche il riconoscimento di un legittimo "pluralismo metodologico".1

2. Classi di scienze e loro logiche

Per risolvere il problema sopraccennato, il vecchio paradigma epistemologico aveva, più o meno fondatamente, suddiviso le scienze in diverse classi e gruppi. Qui ricorderemo la seguente suddivisione, che sembra rispondere meglio alle nostre esigenze.

Scienze "empirico-analitiche" (naturali), che utilizzano la logica formale e matematica e si costruiscono partendo da una base empirica (osservazioni sperimentali e induzioni) o da leggi e teoremi assunti in via ipotetico-provvisoria. Esse cercano di formulare previsioni e appaiono come sistemi ipotetico-deduttivi, parziali, provvisori e falsificabili.

Scienze "storico-ermenutiche", volte a scoprire il significato dei documenti passati, per cogliere le continuità e le rotture nel campo storico. Esse perseguono la comprensione del passato (tradizioni) e del futuro (anticipi progettuali). Il loro metodo ermeneutico cerca di spiegare il tutto con la parte e la parte col tutto, per cogliere le correlazioni degli eventi, fra loro e con la totalità del processo.

Scienze "umano-sociali" (psicologia, sociologia, antropologia ecc.), che intendono cogliere le fondamentali espressioni della vita personale e sociale, per regolare l'agire umano e sociale.

Le scienze di quest'ultimo gruppo sono tuttora alla ricerca della loro identità e dei loro metodi, non avendo ancora potuto compiere una decisa scelta epistemologica e metodologica. Perciò continuano ad oscillare tra le esigenze formalizzanti, analitiche ed empirico-oggettive delle scienze naturali e quelle ermeneutiche delle scienze storico-umane. I loro tentativi di armonizzare i due diversi quadri metodologici, in mancanza di una chiarificazione di fondo, non hanno ancora dato risultati. Perciò aumenta la convinzione che non potrranno risolvere il loro problema, fino a che rimarranno ingabbiate nel paradigma scientifico delle scienze naturali.

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Pertanto, il traguardo delle scienze umano-sociali appare la conquista di una propria identità che consenta loro un legittimo pluralismo metodologico. Ciò comporta, in primo luogo, riconoscere che i fatti umano-sociali, da loro analizzati, non costituiscono mai delle "cose", ma degli "eventi" umani, caratterizzati dai valori e dai significati. Tali eventi possono essere "trattati" soltanto con metodi fenomenologici2 ed ermeneutici,3 rivolti non solo alla loro spiegazione ma, soprattutto, alla loro comprensione.4

Una volta riconosciuta questa irriducibile diversità di oggetto, l'epistemologia dovrà sottolineare due fondamentali esigenze. La prima è che nessuna disciplina, da sola, può esaurire la conoscenza di una data realtà, ma può indagarne soltanto una dimensione e porzione infinitesime.5 La seconda è che ogni disciplina deve determinare la propria scientificità in armonia col suo specifico approccio alla realtà. Ciò vale non solo per le scienze umane, ma anche per tutte le scienze e per tutte le discipline di ogni ambito.

3. Scientificità delle scienze umane

Questa convinzione è tanto più preziosa, in quanto consente di superare un vicolo cieco per tutte le scienze. Infatti, la scienza moderna sorta, fin dai suoi primi inizi, come meccanica classica, non poteva percepire i limiti del proprio modello determinista. Da allora, però, le scienze e i loro oggetti specifici si sono talmente sviluppati, da rendere necessario un concetto di scienza non più univoco (meccanica classica), ma "analogico", tale da consentire innumerevoli "modelli specifici di scientificità".

Ciò avrebbe richiesto la fissazione di alcuni criteri epistemologici della scientificità, molto generali e "analogici", quali il "rigore" e l'"oggettività".

Il vecchio paradigma scientista, invece, legato alle scienze della natura e al presupposto dell'assoluta certezza del sapere scientifico (meccanicista e determinista), scelse dei criteri "univoci" molto restrittivi, quali la deduttività, l'universalità e la necessità, che riducevano drasticamente e indebitamente i confini della scientificità, rendendola un concetto "univoco". Di qui le notevoli difficoltà per le scienze umano-sociali, in particolare, e per tutte le discipline in generale.

Pertanto, le discipline umano-sociali dovettero attendere l'inconfutabile dimostrazione del carattere parziale, provvisorio, congetturale e fallibile di tutto il sapere scientifico, per recuperare lo spazio necessario alle loro legittime esigenze. Attualmente, l'emergere dei problemi della complessità sposta l'interesse dell'epistemologia ulteriormente a loro favore. Pertanto, non si può escludere che le scienze della natura, in futuro, debbano ispirarsi a un'epistemologia della complessità, sviluppata proprio per le scienze umano-sociali.

Nel frattempo, occorre sviluppare un "pluralismo epistemologico", che legittimi la "pluralità di modelli e di tipi di scientificità" adeguati alle esigenze delle diverse ricerche. Il carattere analogico della scientificità dovrebbe evitare la dispersione e la frantumazione epistemologica. Questo programma sembra facilitato, ormai, dalla scomparsa delle due maggiori ideologie avverse al pluralismo: il positivismo e il marxismo.

4. La peculiarità delle scienze economiche

Prima di passare alle scienze umane vere e proprie, occorre soffermarci su una disciplina che, fra tutte le altre, costituisce un caso interessante e forse unico di difficile collocazione epistemologica: l'economia. Essa nacque in un contesto di imitazione pressoché totale delle scienze naturali. Tuttavia, nel secolo XX vide crollare ripetutamente le sue sicurezze scientiste, in seguito alla grande crisi del primo

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dopoguerra, al malessere degli anni Sessanta e alle stagnazioni e recessioni degli anni Settanta-Ottanta. Nonostante ciò, è stata fra le ultime ad avviare una riflessione epistemologica, col pretesto che essa non risolveva i suoi problemi. Questa errata comprensione dell'epistemologia denota il permanere di una pesante ipoteca scientista sul suo pensiero.

Pertanto, gli epistemologi continuano a sottolineare che il problema dell'economia è di superare l'eccessiva dipendenza dalle scienze naturali e da quelle matematico-statistiche e di liberarsi dalle assiomatizzazioni che l'hanno condotta a costruire grandi sovrastrutture teoriche su elementi virtualmente inesistenti. I metodologi sollevano forti dubbi sull'impiego della matematica in economia criticandone i modelli talmente irrealistici da non poter trovare informazioni che li rendano utili. Di conseguenza giudicano la macroeconomia6 come un esempio di misurazione senza teoria e, per di più, metodologicamente incompatibile con la microeconomia.7

Nonostante le elaborazioni epistemologiche più recenti, la maggioranza degli economisti pretende ancora di "verificare" le proprie teorie anziché "falsificarle", tanto da far dire che: "torturano i dati abbastanza a lungo fino a farli confessare". Qualcuno si ricollega al pensiero di Kuhn, che consente di evidenziare la crisi della macroeconomia e, mediante ricostruzioni storico-sociologiche della scienza economica, fornisce criteri su cui lavorare ulteriormente.8 Anche l'epistemologia di Lakatos consente di ricostruire alcuni episodi della storia del pensiero economico, sul principio che alcuni programmi di ricerca più importanti sono stati innestati su precedenti programmi incompatibili. Anche gli studi di Laudan enfatizzano lo studio degli aspetti teorici e sociologici nell'indagine economica.9

Resta il fatto che le teorie "strumentaliste", utilizzate per giudicare le prospettive teoriche, distinguere enunciati teorici e osservativi e valutare le previsioni, finora hanno fallito, dimostrando la scarsa affidabilità dell'econometria. Perciò la scuola austriaca ha proposto un approccio di "individualismo metodologico" fortemente restrittivo della matematica. Comunque sia, si ammette che le predizioni economiche sono impossibili perché i cambiamenti non sono percepibili prima che si verifichino, mentre le teorizzazioni trascurano aspetti significativi, quali le incertezze e le aspettative.

Inoltre le decisioni importanti (ad es. investimenti) influenzano e mutano l'ambiente (ad es. l'industria). Infine le teorie probabilistiche (frequentiste) richiedono osservazioni e tentativi irrealizzabili nell'economia. Di qui la necessità di superare la dipendenza dalle tecniche quantitative per ricorrere ai modelli di differenti discipline cui aprirsi in una dimensione inter- e trans-disciplinare.10 Ciò fa presumere che il futuro di questa disciplina così complessa risieda in un suo rinnovato sviluppo come scienza umano-sociale, dotata di caratteristiche specifiche, collegate alle aperture scientifiche analizzate nel capitolo precedente (complessità, caos, sistemi) e alle nuove possibilità che stiamo per analizzare in questo capitolo (rigore e oggettività specifici e pluralismo metodologico).

5. Struttura generale della scientificità

Queste brevi note sul caso tipico delle scienze economiche, mettono in luce che il semplice riconoscimento del pluralismo epistemologico non basta, poiché occorre ridefinire, prima, i criteri generali della scientificità. Oggi ciò sembra possibile, a partire da tre esigenze fondamentali per ogni disciplina.

La prima è la "coerenza logico-programmatica", ossia la capacità di adeguare le osservazioni e le verifiche alla realtà. La seconda è la "capacità di spiegare e anticipare", ossia di formulare previsioni attendibili. La terza è la "capacità di auto-riorganizzazione", ossia di adeguarsi continuamente alle crescenti necessità delle proprie ricerche.11

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Queste esigenze provvedono una "struttura generale della scientificità", che consente ad ogni disciplina di elaborare una rigorosa scientificità intrinseca, appropriata alla sua identità e sempre riadeguabile ai suoi compiti nuovi o accresciuti. Infatti, la "coerenza logico-programmatica" risponde all'esigenza di rigore e di oggettività e la "competenza" e "capacità di auto-riorganizzazione" consentono di riadeguare la scientificità a ogni nuova emergenza.

Adottandole, le scienze umano-sociali non saranno più costrette a elaborare teorie eteronome, "oggettivate" e "orientate al potere", copiate dalle scienze naturali.12 Potranno, invece, elaborare proprie teorie autonome, adatte alla comprensione dei loro oggetti e capaci di elevare l'auto-comprensione dell'uomo, per renderlo più consapevole del suo agire, in piena aderenza al loro "specifico".13

Il pluralismo epistemologico, fondato sull'analogia dei concetti di scienza e di scientificità, si addice alla crescente gamma delle scienze contemporanee e dei loro metodi, di cui facilita ogni sviluppo. Poiché si basa su un ideale di scienza molto esigente, costringe le diverse discipline ad elaborare congrui modelli di scientificità.

Questo aspetto è molto importante, perché evita ogni frammentazione metodologica e consente di sviluppare un concetto di analogia della scientificità e delle scienze, non arbitrario, ma basato sull'analogia fondamentale dell'essere.

L'analogia fondamentale dell'essere è un concetto classico della filosofia, che sottolinea l'esistenza di tratti comuni fra tutti gli esseri e i loro elementi. Su di essa si fondano i rapporti, le somiglianze e le qualità che la mente umana coglie nelle più diverse realtà ed esprime nei suoi concetti. Perciò fu ampiamente utilizzata dalla filosofia e anche dalla teologia cristiana. Nel loro ambito ha consentito di cogliere ed esprimere l'infinita perfezione del Creatore, che si rifrange nella gamma indefinita delle creature (esseri creati).

Pertanto su di essa si fonda quella intelligibilità delle cose che non viene esaurita da un unico modello di conoscenza (scienza), ma si svela alle molteplici e autonome forme del sapere: scienze, filosofia, religione, etica e teologia. Quindi essa offre all'epistemologia la possibilità di una fondazione metafisica e gnoseologica, che consente di riconoscere l'essere come unitario e pluralistico, gerarchizzato su più livelli distinti, ma unito da una fondamentale relazione che è, appunto, l'analogia dell'essere. Su questa base, l'epistemologia sarà in grado di riconoscere l'analogia, il pluralismo e la polivalenza delle realtà che le competono e di esprimerle mediante i modelli e le forme più appropriate.

A questo punto, occorrerà verificare se e come il concetto analogico di scientificità consenta ancora di considerare la scienza un "sapere in senso forte" (necessario e universale) dato che le singole scienze (naturali, umane, sociali ecc.) sono "sapere in senso debole" (parziale, provvisorio, congetturale e falsificabile).

Pertanto, il riconoscimento della scientificità analogica e del pluralismo epistemologico può garantire l'autonomia, la libertà e la competenza specifica di ogni disciplina e di ogni ambito di conoscenza: scienze, filosofia, etica, religione, teologia. Inoltre consente di superare quell'opposizione fra conoscere e valutare, che faceva escludere dal discorso scientifico i valori etici e le norme morali.

6. Scientificità e senso comune

Trattando di scientificità, occorre ricordare che l'idea di scienza come sapere autentico, ormai è penetrata profondamente nella mentalità contemporanea. Tuttavia, il senso comune riferisce la scientificità non tanto ai contenuti, ma agli atteggiamenti, ai pensieri e ai discorsi improntati a rigore e oggettività, qualunque sia l'ambito cui si riferiscono.14 Tale atteggiamento appare più realistico di quello degli specialisti,

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insabbiati nelle interminabili e inconcludenti discussioni sulle distinzioni delle scienze (idiografiche,15 nomotetiche,16 della natura, dello spirito, dell'uomo, della società o di quant'altro si voglia).

La corretta intuizione dell'uomo comune consente di liberare il "modulo della scientificità" dal "riduzionismo metodologico" che appiattiva radicalmente i metodi su un unico modello. Il pluralismo esige il rispetto soltanto di ciò che è essenziale ed evita tanto d'imprigionare il metodo nella rigida gabbia di una o poche scienze privilegiate, quanto di diluirlo in generici ed eterogenei atteggiamenti intellettuali. Nel primo caso, uno solo sarebbe discorso scientifico, nel secondo caso lo sarebbero tutti. Ciò chiarito, passiamo alle esigenze del rigore e dell'oggettività.

7. Il "rigore" scientifico

Il discorso sul rigore scientifico, negli ultimi decenni, ha ottenuto crescenti consensi, attenuando alcune difficoltà delle scienze umane. Le tecniche di quantificazione e matematizzazione sono retrocesse in seconda linea, mentre sono avanzate al primo posto le componenti fondamentali: dati, ipotesi, spiegazioni, verifiche e previsioni. Questo mutamento ha focalizzato meglio i punti che rendono le scienze umane vaghe e insoddisfacenti. Vediamoli.

Innanzitutto il loro concetto di "dato" soffre di notevole imprecisione. Parlando di dati, i fisici non sono quasi mai in disaccordo, mentre psicologi e sociologi lo sono quasi sempre. Essi trovano estremamente difficile riconoscere se certe regolarità (non i semplici fatti isolati) siano un dato o meno, e questa incertezza condiziona tutto il resto. Pertanto, raramente riescono ad evitare le contraddizioni tra le ipotesi, considerate soltanto congetture plausibili, e i dati disponibili. La loro difficoltà consiste nel passare da una vaga plausibilità, a una spiegazione logica e coerente dei dati, basata su ipotesi ben formulate. Manca loro un albero logico, corretto e privo di smagliature, che consenta tale dimostrazione.

A maggior ragione le ipotesi concorrenti dovrebbero confrontarsi, non su una generica compatibilità con i dati, ma sulla correttezza di tutto l'itinerario logico, che va dalle ipotesi ai fatti, per mezzo delle spiegazioni. Un altro punto critico delle scienze umane è la loro difficoltà di "corroborare" le ipotesi mediante previsioni e verifiche (o falsificazioni) indipendenti. Da ciò risulta che la difficoltà non riguarda, in primo luogo, i metodi matematici, ma l'adozione di "cornici metodologiche" più generali, che consentano il rigore necessario a una vera scientificità.17

8. L'"oggettività" scientifica

Il discorso sull'oggettività, a sua volta, è più complicato. Il termine riveste due significati: "non dipendenza dal soggetto" o, più esattamente, "inerenza all'oggetto" e "riferimento solo a determinati oggetti".18

L'inerenza all'oggetto esprime il senso forte dell'oggettività, mentre la non dipendenza dal soggetto ne esprime il senso debole. Infatti, una caratteristica inerente all'oggetto vale per tutti i soggetti, ma non viceversa. Quindi, l'intersoggettività, o indipendenza dai soggetti, è assai più debole dell'inerenza e non può caratterizzare l'oggettività.

Il passaggio filosofico dall'oggettività forte dell'inerenza a quella debole dell'intersoggettività avvenne da Cartesio a Kant, che consumarono la speranza di conoscere l'oggetto. Infatti, dopo che Kant sostenne l'inconoscibilità della cosa in sé, i suoi successori si accontentarono dell'oggettività minima, ossia del puro superamento della soggettività. Lo stesso avvenne nella scienza, che da Galilei agli inizi del secolo

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XIX, si propose come forma decisiva di "inerenza". Il suo ripiegamento sull'intersoggettività è recente e si deve alle discussioni epistemologiche sollevate dalle teorie della relatività e dall'indeterminismo, dalla disputa sui fondamenti, dall'esigenza di affrancare le scienze umane e sociali da quelle fisiche, dai problemi della complessità, dai dibattiti sulla scientificità della psicanalisi, dalla critica della Scuola di Francoforte, ecc.

Perciò, oggi si può parlare degli "oggetti scientifici" non come di "qualcosa che esiste" ma come di "qualcosa che si conosce". Il discorso scientifico diviene un modo di conoscere che non può fare a meno dei soggetti. Intersoggettività significa, quindi, che ciò che si dice su "qualcosa che si è conosciuto" deve essere riconoscibile da tutti e non soltanto da chi lo dice.

Un esempio può chiarire l'idea. La nozione di "nero" risulta intersoggettiva quando, in un gruppo, un soggetto che invita gli altri a prendere gli oggetti neri contenuti in una sala, vede prendere gli stessi oggetti che prenderebbe lui. L'intersoggetività quindi, si attua mediante "definizioni operative" (o nozioni d'uso) che consentono azioni visibili e controllabili (scegliere il nero). Senza definizioni operative, ai soggetti non resterebbe che raccontarsi i contenuti interiori delle proprie esperienze individuali, cosa che, per alcune scienze, risulta impossibile o irrilevante.19

Questo dimostra che l'oggettività scientifica è contingente e relativa a un determinato contesto socio-culturale, che la conoscenza non parte mai da zero, ma da un dato livello di conoscenza e che la sua comunicazione è possibile solo in un preciso contesto culturale. Ogni scienza, quindi, elabora i suoi criteri operativi per le intese intersoggettive conformi alle sue esigenze, nel rispetto del contesto socio-culturale. 8.1. Senso "critico" dell'oggettività

Chiarito ciò, torniamo al secondo senso dell'oggettività, riguardante i discorsi riferiti a "oggetti" precisi. Qui il problema di ogni scienza è di caratterizzare i suoi oggetti. Inizialmente gli oggetti potevano coincidere con le "cose": astri per l'astronomia, piante per la botanica, animali per la zoologia ecc. In seguito la stessa cosa divenne oggetto di molteplici scienze. Perciò gli "oggetti" vennero distinti in base al "punto di vista" di ogni scienza. L'espressione "punto di vista", però, risulta imprecisa. Appare sintomatico, quindi, che la meccanica esordì precisando che il suo oggetto consisteva nel "parlare delle cose ricorrendo esclusivamente a tre predicati" (massa, spazio, tempo) e a pochi altri predicati definibili in base ad essi.

Questo mode di esprimersi apparve corretto e preciso. Perciò possiamo dire che ogni scienza determina il proprio oggetto, determinando i predicati specifici in base ai quali intende parlare di una determinata cosa e attenendosi sempre ad essi.

Quindi, il compito fondamentale di ogni disciplina consiste nel costruire proposizioni vere, attenendosi esclusivamente ai suoi predicati fondamentali e a quelli definibili a partire da essi. La verità di tali proposizioni potrà essere accertata, unendo i predicati e le nozioni d'uso a definizioni operative, che consentano di verificare la loro coerenza.

In sintesi: una scienza definisce la propria scientificità elaborando i predicati-base operativi che, partendo dalle cose, le consentono di determinare il proprio oggetto e di formulare i suoi "dati", ossia le "proposizioni immediatamente vere sugli oggetti".

Con questo, si recupera il "senso forte" dell'oggettività, nel discorso scientifico che, tuttavia, riguarda solo gli "oggetti" della scienza, che non vanno confusi con le "cose" dell'esperienza quotidiana. Gli oggetti, infatti, sono "costruiti metodologicamente", nel modo appena descritto, che elimina la distanza fra il discorso scientifico e il suo oggetto, ma non fra il discorso scientifico e le cose.

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Questa impostazione fa coincidere le due "forme" di oggettività, perché i predicati vengono introdotti "operativamente", grazie alle stesse operazioni che consentono l'accordo intersoggettivo. In altre parole: le condizioni che determinano gli oggetti di una scienza, sono le stesse che consentono di conoscere tali oggetti inter-soggettivamente.

Quel che più conta, in tutto questo discorso, è che esso vale per tutte le scienze, perché costituisce uno schema generale applicabile a ogni disciplina. Perciò ogni scienza particolare dovrà soltanto provvedere a esplicitare i predicati del "suo" punto di vista (psicologico, sociologico, storico, politico, teologico, ecc.) e corredarli degli strumenti d'intesa operativa, che consentano di riconoscere vere o false le proposizioni contenenti quei predicati. Dovrà, poi, formulare ipotesi esplicative, contenenti quei predicati, finalizzate a una relazione semantica fra la teoria e gli oggetti di cui parla.

Pertanto le scienze, prima dovranno dedicarsi alla "formazione dei concetti", poi alla "costruzione delle teorie", perché i problemi delle teorie sono risolvibili solo dopo aver risolto quelli dei concetti.20

9. Scienze della religione e "Nuovo Spirito Scientifico"

Questo progetto non è né puramente teorico né riservato al futuro, perché è già stato collaudato da alcune scienze della religione, che costituiscono un'esempio di campo d'indagine particolarmente complesso. L'argomento, molto vasto e di estrema importanza, verrà trattato in un prossimo volume.21 Qui indichiamo solo alcuni esempi tratti dalla "nuova antropologia religiosa".

Da tempo, gli antropologi della religione avevano scoperto l'importanza scientifica di concetti come "simbolo", "homo religiosus", "ierofania"22 ecc. da assumere come specifici predicati-base operativi per le loro ricerche. Tuttavia il loro uso scientifico era impedito dalla "censura" scientista che li "escludeva dall'episteme".23 Perciò non poterono essere utilizzati fino a che il potente e tenace "mitologema"24 fatto di scientismo, razionalismo e positivismo, che aveva condizionato per secoli l'intera episteme d'Occidente, non si disgregò. Quindi, solo dalla metà del secolo XX, dopo il "grande mutamento epistemologico" e il diffondersi del "nuovo spirito scientifico", i due concetti poterono venire liberamente utilizzati.25

Il "mitologema" o "interdetto scientista", come abbiamo visto, consisteva nel privilegiare esclusivamente le verità fondate sul pensiero diretto e sulle combinazioni semiotiche fra percezioni e concetti razionali, soprattutto matematici. Negava, invece, ogni valore euristico agli "intermediari metaforici" (immaginario, simboli, immagini, mito ecc.). Con la grande svolta scientifico-epistemologica il pensiero simbolico e l'universo religioso dell'homo sapiens vennero finalmente rivalutati. Da allora i risultati del "nuovo paradigma" scientifico, valorizzato soprattutto dall'antropologia religiosa, non si fecero attendere.26

10. Un paradigma per la memoria, l'immaginario e lo spirito

La convinzione che i processi più astratti non siano il modello cui ricondurre tutti gli ordini di verità, ma siano solo una parte di strutture immaginarie, più ampie e inglobanti, sta conquistando pure la fisica.27 Pure per le teorie matematiche, fisiche e biologiche più "avanzate", si diffonde ormai l'idea che sia indispensabile un "coefficiente" d'immaginario per la pertinenza del sistema.28 R. Thom ha studiato "l'intrusione dell'immaterialità" all'interno della fisica e della biologia.29 D. Bohm ritiene che "l'ordine implicito che assicura l'identità di un fenomeno" sia una specie di "memoria cosmica".30 Altri fisici adottano il concetto di "memoria" per gli eventi fisici.31

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Gli esempi si moltiplicano, come dimostrano gli incontri internazionali in cui le scienze fisiche si confrontano con quelle storiche, psicologiche, sociali, religiose.32 La nuova epistemologia esclude ogni "concordismo riduttivo" e confronta le risultanze più significative delle ultime ricerche scientifiche, con l'enorme patrimonio di esperienze, intuizioni e pensiero, accumulato dall'uomo attraverso l'arte, la filosofia e la religione.

Da quando lo "scandalo dell'episteme impedita", denunciato da Bergson e Bachelard, è stato rimosso, l'attività simbolica non è più considerata un residuo di superstizione, di barbarie, d'inciviltà, di "oscurantismo religioso" o di primitività preistorica e "teologica". La filosofia contemporanea la riconosce come l'espressione più specifica e congeniale dell'homo sapiens. Perciò ne autorizza la collocazione al centro dell'attività di ominizzazione, di umanizzazione e di autocostruzione cosciente, dei più elevati processi razionali.

Pertanto, il nuovo spirito scientifico non discrimina né censura più i diversi discorsi umani né gli intermediari (immagini, simboli, miti ecc.) che sono la base e l'insostituible "zoccolo duro" di ogni attività razionale umana, compresa la scienza. Sembra ormai assodato che l'homo può rimanere sapiens solo se esercita, fino in fondo, le sue qualità di symbolicus e religiosus.

11. Riflessioni conclusive

All'inizio del capitolo avevamo anticipato la necessità di un nuovo concetto di "scientificità" e di un pluralismo metodologico adeguati alle molteplici esigenze attuali delle scienze. Ne abbiamo parlato nell'ambito delle scienze umano-sociali, date le loro caratteristiche specifiche e la loro particolare complessità.

Abbiamo visto l'urgenza e la possibilità di giungere a una "struttura generale della scientificità", che consenta ad ogni disciplina di elaborare il tipo di scientificità che più si addice alla sua identità e ai suoi compiti. Tutto ciò ha per fine di consentire alle scienze umane la costruzione di teorie autonome volte a una migliore comprensione dei fatti umano-sociali e, soprattutto, a un'auto-comprensione che renda le persone più consapevoli del loro agire.

I criteri del rigore e dell'oggettività, qui analizzati, sono tali da garantire l'autonomia, la libertà e la competenza specifica delle scienze umano-sociali, ma anche di ogni altra disciplina di qualsiasi ambito della conoscenza: scienze, filosofia, etica, religione, teologia. Infatti, essi non collegano la scientificità ai contenuti, ma agli atteggiamenti umani, ai modelli di pensiero e alle forme di discorso, improntati ai criteri del rigore e dell'oggettività applicabili a ogni ambito culturale.

Ne è emerso pure che la scientificità è un'espressione fortemente sociale e comunicativa, adattabile ai più diversi contesti socio-culturali e alle esigenze della comunicazione. Ciò significa che essa costituisce un tema fondamentale e insostituibile per il dialogo trans-disciplinare fra le discipline di ogni ambito.

1 Il problema sorse in seguito al "monolitismo metodologico" del positivismo, neo-

positivismo e marxismo che ammettevano come unico metodo scientifico soltanto quello delle scienze naturali. Cf. V. Possenti (a cura di), Epistemologia e scienze umane, Milano 1979, 8.

2 Metodo fenomenologico indica il "modo di considerare l'oggetto", che rispetta la verità nascosta nella sua realtà (intenzionalità), da svelare ed articolare nelle sue categorie.

3 Metodo ermeneutico indica il "modo di comprendere", proprio della filosofia (storicismo, fenomenologia), che istituisce continue correlazioni fra il sé e l'essere, in un processo che va continumanete dalla "totalità" delle manifestazioni umane alle sue parti e viceversa.

4 Possenti, Epistemologia, 9-19.

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5 Tralasciamo le incerte e sempre discusse distinzioni fra scienze speculative e pratiche. 6 Macroeconomia, parte della teoria economica che studia i problemi di dimensioni generali,

come il reddito nazionale, l'occupazione, il livello dei prezzi, ecc. 7 Microeconomia, parte della teoria economica che studia il comportamento delle singole

unità economiche, come le imprese, il mercato di un dato bene, ecc. J. Pheby, Economia e filosofia della scienza, Bologna 1991, 9-11, 37-39; M. Blaug, The Methodology of Economics: or How Economists Explain, London 1980, 254.

8 E.R. Canterbury, R.J. Burkhardt, "What do we Mean by Asking whether Economics is a Science", in A.S. Eichner (Ed.), Economics is not a Science, London 1983; B. Ward, "What's Wrong", in A.S. Eichner (Ed.), Why Economics is Not Yet a Science, London 1983; Pheby, Economia e filosofia, 60-61, 84-85.

9 G. Fulton, "Research Programmes in Economics", in History of Political Economy, vol. 16, n. 2, 1984, 187-206; G.K. Shaw, Rational Expectations: an Elementary Exposition, Brighton 1984; Pheby, Economia e filosofia, 104-105, 123-124.

10 T. Mayer, "Economics as Hard Science: Realistic Goal or Wishful Thinking?" in Economic Inquiry, 18 (1980) 165-178; L. von Mises, Epistemological Problems of Economics, New York 1976; Id., The Ultimate Foundation of Economic Science: An Essay on Method, New York 1972; N.L.S. Shackle, Epistemics and Economics, Cambridge 1872; F. Capra, The Turning Point, London 1983; G. Hodgson, Economics and Institutions, Cambridge 1987; P. E. Earl, The Economic Imagination, Brighton 1983; Id, The Corporate Imagination, Brighton 1984; Pheby, Economia e filosofia, 143, 155, 189-194.

11 J. Ladrière, "Les sciences humaines et le problème de la scientificité", in Les Etudes Philosophiques, n. 2, Avril-Juin 1978, 143-149.

12 Potere come controllo e manipolazione della natura. 13 Cf. la forte autocritica e le veementi accuse al paradigma sociologico passato e presente, di

F. Ferrarotti nei suoi quattro volumi: Il paradosso del sacro, Bari 1983; Una teologia per atei, Bari 1984; La sociologia alla riscoperta della qualità, Bari 1989; Una fede senza dogmi, Bari 1990.

14 E. Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e dell'oggettività nelle scienze umane", in Possenti, Epistemologia, 57-59.

15 Idiografico, termine filosofico per indicare le scienze storiche o dello spirito, contrapposte alle scienze nomotetiche o della natura. In tempi più recenti fu esteso a indicare anche le scienze aventi per oggetto il singolo e il particolare, rifuggendo da generalizzazioni (ad es. la medicina).

16 Nomotetico, termine filosofico per indicare le scienze naturali, in quanto formulano le leggi generali della natura, in contrapposizione alle scienze dello spirito o scienze storiche.

17 In breve, tutte le scienze potrebbero convenire sulla base metodologica comune di: a) raccogliere dati in modo rigoroso e oggettivo per giungere a determinare i parametri essenziali; b) formulare proprie ipotesi intepretative; c) corroborarle con ulteriori indagini di campionatura, per ottenere dati da intepretare e spiegare nel quadro di una determinata teoria; d) programmare efficacemente determinati obiettivi, architettando concatenazioni di nessi logici che conducano dalle ipotesi agli eventi desiderati. Questo schema generale del rigore scientifico appare attuabile, sostanzialmente, anche dalle scienze umane. Cf. Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza", 67-69.

18 Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza", 69, 73. 19 Questa impossibilità di comunicazione non esiste per le esperienze religiose, per cui la

scientificità delle scienze della religione richiede una problematizzazione analoga ma non identica.

20 Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza", 73-76. A puro titolo informativo notiamo come in base ai concetti di rigore e di oggettività, riferiti in questo capitolo, si possa dimostrare la scientificità della sociologia, a condizione che l'immagine di società sia costruita in

10

riferimento a norme e valori. Lo strumento che consente di rappresentare l'unità valori-norme-azioni, da un punto di vista logico è la "logica deontica" (o logica degli enunciati esprimenti norme) connessa con una logica dell'azione a livello predicativo. Sono egualmente utili anche le logiche della preferenza, delle decisioni e del comando. cf. G. Di Bernardo, "Epistemologia e scienze sociali", in Possenti, Epistemologia, 209-216. Per un'ampia bibliografia sulla logica deontica cf. G. Di Bernardo, Logica deontica e semantica, Bologna 1977.

21 Cf. G. Gismondi, Scienze della religione e dialogo interreligioso, Bologna 1993. 22 Ierofania, manifestazione della divinità. 23 Episteme, indica l'insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche che

caratterizzano una data epoca, con una sfumatura relativa ai loro presupposti, tesi fondamentali, proposte interpretative, ecc. Cf. M. Foucault, Les mots et les choses, Paris 1966.

24 Mitologema, affermazione o ideologia generatrice di mitologie. 25 G. Bachelard, Le nouvel esprit scientifique, Paris 1940, (tr. it. Bari 1951). 26 Cf. G. Durand, "La méthode archétypologique: de la mythocritique à la mythanalise", in

Actes du II Congrès Mondial Basque, Vitoria 1988; Id., Mito e Sociedade. A mitanalise e a sociologia das profundezas, Lisboa 1983; J.P. Sironneau, Sécularisation et religions politiques, Paris 1982; G. Michaud, Introduction à une science de la littérature, Istanbul 1950.

27 G. Holton, The Scientific Imagination. Case Studies, Cambridge 1978, (tr. it. Torino 1983).

28 R. Thom, Modèles mathématiques de la morphogénèse, Paris 1974. 29 G. Durand, "L'uomo religioso e i suoi simboli", in E. Anati, R. Boyer, Le origini e il

problema dell'homo religiosus, Milano 1989, 88-89. 30 D. Bohm, "L'imagination et l'ordre impliqué", in Science et Conscience, Paris 1980; Id.,

Whileness and the Implicate Order, London 1979. 31 O. Costa de Beauregard, La physique moderne et les pouvoirs de l'esprit, Paris 1980. 32 Incontri di Cordova (1979), Fez (1983), Tsukuba (1983), Washington (1984), Venezia

(1986) ecc.

9. POTENZIALITÀ CULTURALI DELLA SCIENZA

1. Cenni introduttivi

Nei precedenti capitoli abbiamo analizzato il "pensiero sulla scienza" elaborato da numerose discipline: epistemologia, storia, filosofia, metodologia ecc. che ha consentito di descriverne la traiettoria. Agli inizi ascendente: la scienza dominò la cultura e mutò le condizioni dell'uomo e il suo rapporto col mondo. Successivamente discendente: la scienza fu criticata, sospettata e accusata, con grave declino del suo prestigio. Ora dovrebbe aprirsi una terza fase, più equilibrata, volta a definire il ruolo della scienza nella cultura e nel rapporto con gli altri saperi.

Questo compito, di cui abbiamo individuato di volta in volta le condizioni, è possibile anche se difficile. A tal fine occorre individuare le potenzialità che ogni ambito (scientifico, filosofico, etico e teologico) può offrire per un fruttuoso dialogo culturale, in cui ogni disciplina si presenti come uno soltanto dei molti modi capaci d'indagare la realtà, aperto e complementare a tutti gli altri.1 Tale dialogo, per la scienza, non è cosa da poco, se si pensa che è stata considerata, dopo il cristianesimo, il maggior evento culturale dell'umanità.2

2. Le fondamentali domande sulla realtà

Per meglio inquadrare il problema, dobbiamo ricordare che, come abbiamo visto, nella società occidentale, alla crescita del pensiero scientifico si accompagnò un declino nell'interesse ai problemi di cui non si percepiva più la diversità e l'importanza. Ciò avvenne, in particolare, per i problemi sull'origine dell'universo, sull'intelligenza, la libertà, la coscienza e la responsabilità dell'uomo, il futuro destino dell'umanità, ecc.. Essi, per la loro valenza multipla: filosofica, metafisica, religiosa e teologica erano definiti come "problemi dell'ultimità".

La possibilità di "ridurli" entro la logica scientifica ne attenuò fortemente il significato "umanistico" (filosofico, metafisico, religioso e teologico). Lo stesso processo di riduzione venne applicato al concetto della causa "ultima", per cui persero ogni attualità e utilità le antiche distinzioni fra le diverse cause: naturali, immediate, remote, metafisiche, soprannaturali ecc.

Tuttavia lo svuotamento dei problemi della totalità, globalità, ultimità, ecc., non va addebitato solo alla scienza ma, in primo luogo, a quelle filosofie che la colonizzarono intellettualmente. Le pretese di eliminare il discorso metafisico venivano da loro. Da loro vennero pure le confusioni fra fisica e meta-fisica e, infine, la sostituzione della metafisica con surrogati che snaturavano il pensiero filosofico e scientifico.

La maggior lacuna della cultura moderna consisté nell'entusiasmarsi per il discorso "delle" scienze senza integrarlo con un adeguato discorso storico, epistemologico, gnoseologico e ontologico "sulle" scienze. Per cui soltanto agli inizi del secolo XX fu di nuovo possibile "sospettare" che le domande "ultime", sulle origini, sul significato e il destino dell'universo, della vita e dell'uomo sfuggissero alle logiche riduttive dei metodi scientifici e ne trascendessero le capacità e i limiti.

La maggior novità, tuttavia, risiedeva nel fatto che, questa volta, tale sospetto veniva sollevato proprio dagli scienziati che conducevano le ricerche più avanzate. A loro volta, alcune filosofie più critiche e attuali riconoscevano la legittimità, il valore e il sigificato di tali interrogativi.3 Con ciò cominciava un'inversione di tendenza.

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2.1. Analisi e sintesi nelle ricerche scientifiche Queste osservazioni ci spingono a chiarire meglio che cosa sia quel "di più" che la

ricerca scientifica dovrebbe aggiungere alle nostre sensazioni e conoscenze immediate. Scopriamo, allora che essa arricchisce la conoscenza umana in tre modi: superando i limiti degli organi di senso e correggendone i difetti; organizzando logicamente i dati; riconducendo i fenomeni all'apparenza slegati, ad alcune determinazioni di base.

Perciò essa si rivela maestra nello spiegare l'apparente molteplicità dei fenomeni con un piccolo numero di principi fondamentali, che consentono di organizzare gerarchicamente i fenomeni, senza introdurre concetti superflui.4 Si tratta del procedimento di "analisi", o della ricerca della spiegazione, volta a spiegare il "come" e il "perché immediato" dei fenomeni.

Tuttavia, i più recenti sviluppi scientifici ed epistemologici hanno rivalutato pure la "sintesi", rivolta alla comprensione dei significati. La nuova "tendenza sintetica" dovrebbe consentire alle scienze di valorizzare anche il carattere "sistemico" della realtà, mettendo in luce gli scopi e i fini che emergono dalla complessità o conducono ad essa.5

3. Scienze umane: il superamento delle difficoltà

La tendenza sintetica favorisce gli approcci globali alle "organizzazioni complesse". Pertanto, consente alle scienze umane di superare le "biforcazioni antropologiche" o le riduzioni dell'uomo a macchina, automa o cosa, mediante un'antropologia veramente "teleologica", capace di riconoscere la priorità dei fini sui mezzi.6 Essa consentirebbe pure di superare quella dura critica dei sociologi per cui:

"solo una società che aveva perduto il suo senso di orientamento, i suoi parametri esterni e superiori, ossia la sua costellazione di valori trascendenti ... e che era tanto orgogliosa da pensare di poter esprimere da sé i propri valori fondamentali, per via immanente e sulla base di un'assoluta autosufficienza, poteva scorgere nella scienza e nella tecnica, intesa come scienza applicata, la forma nuova e insieme la base fondamentale della sua giustificazione e del suo orientamento".7

Questo nuovo spirito scientifico condurrebbe anche le scienze umane ad approfondire la conoscenza dei confini, nell'uomo, fra il noto e l'ignoto, fra ciò che è analizzabile e ciò che rimane misterioso, finora esclusi dalla ricerca.8

4. Scienza e linguaggio

Abbiamo visto che gli "oggetti" delle scienze differiscono tra loro e dalle cose cui si riferiscono, mentre le cose mantengono una propria identità profonda, nonostante i diversi punti da cui vengono osservate, avendo una dimensione, non solo puramente linguistica, ma anche reale e ontologica.

Questa dimensione costituisce la base del discorso "metascientifico" che supera i confini delle singole discipline e della stessa scienza.9 Essa si esprime nel linguaggio ordinario (parole e frasi di ogni giorno), dotato di una ricchezza che lo abilita ai più vari usi, nei più differenti contesti. Le sue espressioni, per essere "legali", devono obbedire alle regole di connessione (sintassi) e, per essere "legittime", devono corrispondere alla realtà. Tuttavia, per quanto legali e legittime, possono risultare comunque equivoche. Ciò dipende dalla ricchezza delle parole, dalla loro capacità di esprimere contemporanemante realtà molto diverse e dalla loro illimitata possibilità d'inserirsi nei più diversi contesti. Quindi, sono le stesse qualità del linguaggio umano che lo rendono

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ricco, vario, espressivo ed adattabile ad ogni evenienza, a renderlo pure ambiguo e poco adatto ad esprimere l'esattezza voluta dalle scienze.10

4.1. Necessità di molteplici linguaggi Il linguaggio numerico-simbolico, invece, differisce molto dal linguaggio ordinario.

Nell'antichità, esso fu considerato atto ad esprimere gli aspetti e i contenuti religiosi. Platonici, pitagorici, lo stesso Galilei e molti altri scienziati ritenevano che i numeri "consentano di leggere il mondo secondo il linguaggio matematico iscrittovi da Dio stesso". Le recenti epistemologie, concentratesi sulla funzione scientifica dei simboli numerici, hanno notato, invece, che la "lettura matematica" della natura esigerebbe concetti scientifici, oggettivi e corrispondenti alla realtà, che sono impossibili da ottenere.

Pertanto, nonostante l'entusiasmo per i risultati di Galilei e di Newton, non si poté mai stabilire una corrispondenza tra i "segni" numerici e formali delle scienze e la realtà cui si riferiscono.11 Di qui la necessità di letture molteplici di ogni evento (pluralismo realistico), per cogliere il più possibile della sua inesauribile ricchezza e verità. Pertanto divenne più evidente che le diverse letture: scientifiche, filosofiche, estetiche, etiche, religiose e teologiche non solo non si sostituiscono né contraddicono ma anche, tutte insieme, collaborano a una comprensione più adeguata della realtà.12

5. Scienza galileiana e umanesimo scientifico

In base a ciò, non sarebbe esatto identificare la scienza galileiana con la scienza moderna. Infatti, per certi aspetti, già il Rinascimento fu fecondo di ricerche sui processi della natura, come il Medioevo lo era stato di innovazioni tecniche. Già Leonardo, Vesalio, Keplero e molti altri cercavano regolarità e simmetrie. La differenza tra loro, Galilei, Newton e i loro seguaci è che i secondi diedero alle loro ricerche un'espressione numerico-matematica.

Oggi, per il nuovo spirito scientifico, la libera investigazione sviluppatasi nell'Umanesimo e nel Rinascimento, riveste un valore fondamentale, perché si ispirava già al "pluralismo" e sosteneva la necessità di molteplici letture per poter cogliere l'inesauribile ricchezza e lo spessore di verità degli eventi.13 Furono proprio i successi della matematizzazione ad oscurare tali idee.

Tuttavia, in quel contesto, la scienza moderna rappresentava, comunque, una grande novità, in quanto rispondeva agli antichi "perché" in modo nuovo e diverso. Spiegava i fenomeni più complessi, riducendoli a pochi elementi semplici o costruendo un modello e rendendoli suscettibili di descrizioni semplici.14 Questo nuovo modo rappresentava un avanzamento decisivo verso la conoscenza e costituiva pure un atto di grande creatività, umiltà e coraggio. Infatti, riconosceva la difficoltà di spiegare e interpretare le strutture complesse del reale, ma non si arrendeva di fronte a essa. Non per niente i grandi scienziati degli inizi furono tutti convinti credenti.

Galilei apportava notevoli novità all'agire e al pensare umano. Dapprima trasformava pochi elementi quantitativi, isolati dalle osservazioni, in numeri collegabili e calcolabili, mediante equazioni matematiche. Poi organizzava tali elementi in esperienze ripetibili da chiunque. Infine, affidava la decisione di accettarli o respingerli, non più a qualche autorità esterna, ma al confronto fra pari: gli sperimentatori. Nel secolo XVII, in cui solo l'aristotelismo offriva una sistemazione coerente dell'esperienza e la tecnica non poteva ancora servirsi degli strumenti e del calcolo, questa impostazione costituì una notevole novità culturale.15

I fondatori della scienza moderna, quindi, dimostrarono la superiorità e il valore insostituibile del pensiero per la cultura e per l'uomo. Dimostrarono, cioè "la sua capacità d'imprimere svolte decisive non solo alla conoscenza e ai suoi contenuti, ma

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addirittura allo stesso modo di pensare, suscettibile di guidare l'uomo a una nuova conoscenza e a una nuova percezione e consapevolezza di sé. Da ciò nacque la scienza e non viceversa".16

Dopo di loro, però, la scienza incorse nella crisi che abbiamo analizzato e che la trasformò da "nuova" in "normale", rendendola sempre più prigioniera di un rigido involucro formalistico che, pur consentendole notevoli successi immediati, di fatto le precludeva l'approccio ad aree sempre più vaste e significative della realtà.

5.1. Dall' umanesimo al formalismo Pertanto, in un breve volgere di tempo, molti operatori scientifici e persone della

cultura finirono per assumere:

"nei confronti della scienza meccanicista lo stesso atteggiamento degli scolastici davanti alla scienza di Aristotele: la credettero necessaria, derivata da una struttura immutabile della ragione e della natura; così subirono anch'essi il tabù del naturale: in questa scienza l'uomo non è nulla, è la natura che ha fatto tutto. Detto in modo diverso: molti contemporanei si aggrappano a una scolastica del meccanicismo, come i nostri antenati del XV secolo avevano costruito una scolastica dell'aristotelismo. Da ciò deriva che essi scrivono la parola sacra di Scienza con la 'S' maiuscola, prova evidente di una sublimazione affettiva".17

Altrettanto negativo furono il rifiuto e l'incomprensione di alcuni importanti strumenti culturali elaborati in precedenza. Ad esempio, Tomaso d'Aquino, nella sua dottrina della conoscenza, pur non potendo usufruire ancora delle basi scientifiche della scienza moderna, aveva sviluppato fondamentali interpretazioni del conoscere, come lettura globale del fatto, calato nel resto del mondo e re-intepretato in base alla memoria delle esperienze passate o dell'accumulo intellettuale. Il suo pensiero s'interessava del trapasso dalla realtà al simbolo, perché il concetto (o simbolo mentale) era la "finestra" attraverso la quale si guardava il mondo.

La filosofia moderna, invece, ha ridotto il conoscere alla "spiegazione passiva di un fatto locale", come farebbe un apparato di misura che isola un numero specifico. Inoltre, ha trasformato il simbolo in un oggetto per elaborare teorie, o in una semplice cosa cui riferirsi, spogliandolo dell'enorme ricchezza di esperienza personale da cui nasceva. In questo modo, l'operazione scientifica ha prodotto dei "simboli univoci", impoverendo il rapporto realtà-simboli e riducendoli all'unica determinazione numerica ricavata dall'apparato di misura.

Ci volle del tempo per capire che uno strumento, offrendo soltanto misure numeriche, è immensamente più povero della più povera cognizione umana, per cui non può eguagliare né sostituire nessuna delle raffinate "strategie di adeguamento alla realtà", elaborate dalla mente dell'homo sapiens nella sua esperienza plurimillenaria.

A livello di pensiero, Cartesio si allontanò da tali "strategie", separando la mente dal mondo e la ragione (e i simboli) dalla realtà. Kant negò la portata conoscitiva dei concetti mutuati dall'esperienza, sia per determinare un "mondo al di là" dell'esperienza, che per individuare la "cosa in sé", ossia il nucleo fondamentale degli stessi dati dell'esperienza. In questo modo, i dati divennero una pura "buccia fenomenica" e la realtà profonda ci sfuggì. Potevamo riflettere soltanto sulle sue rappresentazioni simboliche. La scienza dovette, suo malgrado, adattarsi a queste filosofie che ne comprimevano e ne soffocavano gli aspetti più nuovi e originali.

5.2. Dal formalismo alla perdita dell'umano Di qui il problema centrale del pensiero moderno: in che modo le nostre

rappresentazioni mentali possano dirci qualcosa della realtà. Date le premesse sopra descritte, il progetto di elevare lo schema conoscitivo della scienza a modello di tutta la conoscenza umana era contraddittorio e fonte di inevitabili delusioni. Infatti, negando

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ai concetti mutuati dall'esperienza, ogni extra- o meta-empirismo, si lasciava alla scienza il solo compito di riordinare lo spazio dei suoi simboli, che non potevano dir nulla della realtà da loro espressa. Alla scienza rimanevano soltanto le "congetture falsificabili" e le incertezze.18

5.3. Dalla perdita dell'umano alla perdita del reale Se la scienza moderna conosce, non la realtà in sé (sostanza), ma solo le

rappresentazioni dei suoi aspetti quantitativi espresse in misure, le è precluso, in linea di principio, ogni accesso all'ontologia. Per questo motivo Maritain e Popper osservarono che le leggi scientifiche non sono manifestazioni del reale, ma semplici algoritmi, volti ad ottenere previsioni attraverso una "catena di dipendenze". Poiché lo schema scientifico accosta la realtà mediante apparati di misure, da cui ricava simboli numerici, "dipende" dagli apparati di misura. Gli apparati, a loro volta, "dipendono" da teorie dotate di differenti apparati di misura, e così via, per cui i simboli numerici "dipendono" da cause diverse e circostanze mutevoli.

Agazzi e Arecchi ritengono, invece, che i risultati degli apparati di misura rivestano una certa costanza e consentano di costruire asserti stabili, ancorati al mondo reale. A questo punto, però, si devono fare i conti con gli errori ineliminabili, propri di ogni strumento di misurazione e quelli che derivano dalla necessità di usare i numeri irrazionali.19 Errori che, sommati insieme, producono misure non esatte, offrono una "verità" distorta e parziale, esigono incessanti correzioni e integrazioni.20

Galilei ha dimostrato una chiara consapevolezza al riguardo. Perciò sapeva bene di poter rispondere soltanto a domande riguardanti le categorie della quantità, del tempo e del luogo, escluse, quindi, quelle su sostanze, qualità e relazioni. Quindi era ben conscio di poter dare soltanto risposte parziali, laddove la conoscenza del mondo esigeva altri approfondimenti e altri tipi di indagine.

6. Recupero della finalità e dell'uso sintetico della ragione

Nei tempi successivi, il conseguimento di alcuni risultati pratici fece dimenticare questi limiti. Oggi, però, s'impone di nuovo un ritorno alla saggezza galileiana, che riteneva necessari altri approcci complementari alla scienza. Essa è facilitata da molteplici occasioni di collaborazione transdisciplinare. Una di esse concerne, ad esempio, il recupero scientifico dei problemi della finalità.

La finalità riguarda i processi di sintesi in cui i costituenti si combinano in super-unità che appaiono guidate da una "causa finale". Questa finalità o "teleologia" non andrebbe indagata a livello della dinamica, ma dell'organizzazione di un ente in "cooperativa" con gli altri. Non è detto che il fine sia imposto soltanto dall'esterno e potrebbe essere colto anche dalla stessa analisi dell'ente al suo livello.

Dopo il declino dei precedenti criteri indebitamente preclusivi,21 la scienza può ritornare a un discorso sintetico della ragione che, partendo dall'esperienza, affermi esplicitamente qualcosa non dato da essa.22 Del resto essa, implicitamente, fa un uso "sintetico della ragione", perché le sue ipotesi non le ricava automaticamente dall'esperienza, ma le inventa. Ciò la avvicina alla metafisica, senza confonderla con essa, perché entrambe si costruiscono sulle stesse basi e con gli stessi metodi: la constatazione dell'esperienza, la sua mediazione e l'uso sintetico della ragione.23

7. Scienza come fattore di crescita culturale

A questo punto, le numerose acquisizioni emerse consentono un discorso compatto sull'insostituibile valore culturale della ricerca e della riflessione scientifica, che possiamo condensare in alcuni punti progressivi e coerenti.

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1. La scienza moderna nacque in un contesto culturale dominato dai razionalismi post-cartesiani e dai vari positivismi, coagulati dall'ideologia semi-ufficiale ed egemone dello scientismo. Solo lo sviluppo delle ricerche scientifiche e delle riflessioni filosofiche ad esse inerenti (epistemologia) le consentì di liberarsene, a prezzo di grandi sforzi.

2. Lo sviluppo delle ricerche, dimostrando l'impossibilità di spiegare la realtà come il puro prodotto di componenti e di forze elementari, ha fatto emergere i problemi della complessità e dei sistemi di organizzazione sempre più complessi, legittimando il discorso sulla finalità e sui significati.

3. Le ricerche scientifiche hanno riproposto tematiche e problematiche fondamentali per l'uomo e la società, che esigono ulteriori approfondimenti meta-scientifici.

4. Gli sviluppi delle ricerche scientifiche hanno portato alla necessità di riflessioni epistemologiche, storiche, gnoseologiche e metafisiche sempre più vaste e approfondite e, ultimamente, hanno fatto emergere l'esigenza di un discorso adeguato, sui valori etici e trascendenti, superando tutte le obiezioni filosofiche sollevate dai tempi di Hume e Kant fino ad oggi.

5. Questi sviluppi e riflessioni hanno dimostrato che il ricorso alle teorie scientifiche per dimostrare tesi filosofiche o teologiche conduce ad ambiguità, equivoci ed errori.24

6. Le acquisizioni scientifiche vanno rispettate e prese per quel che sono, senza voler far loro dire ciò che non dicono, ma valorizzando le nuove problematiche da loro sollevate che, per il loro elevato valore umano e culturale, costituiscono occcasioni per un significativo confronto trans-disciplinare a tutti i livelli.25

8. Sintesi conclusiva

Questi punti mettono direttamente in causa la fede e il pensiero cristiano nella loro vocazione o esigenza a confrontarsi con tutte le culture.26

Il pensiero scientifico, fin dal suo sorgere, è stato fagocitato da un razionalismo che, credendo di valorizzarlo, lo imprigionò in un ferreo riduzionismo strumentale. Tramontato quello, si affacciano, oggi, le insidie di un certo irrazionalismo postmoderno. Le acquisizioni dei precedenti capitoli ci dicono, però, che né il razionalismo né l'irrazionalismo possono costituire il futuro della scienza o del pensiero umano.

Pertanto la riflessione cristiana deve proporre la sua visione della razionalità umana. Si tratta di una razionalità autentica perché non si pretende assoluta ma è conscia del suo valore, della sua dignità, dei suoi limiti e delle molteplici modalità in cui può esprimersi. Essa appare molto significativa per il nuovo "spirito" scientifico che esige un "logos" rispettoso della razionalità, ma anche sensibile alle aperture e alla libertà.

La fede annuncia un "Logos" e uno "Spirito" come pienezza di verità e di libertà, che non si esauriscono nelle cose ma, pur costituendone la natura dinamica e la legge più intima e profonda, le superano infinitamente. Pertanto rivelano la ragione umana come una "scintilla" di quella ragione che ha liberamente creato e fonda tuttora, nell'amore, la razionalità del mondo e dell'uomo.

1 F.T. Arecchi, F.T. Arecchi, I simboli e la realtà. Temi e metodi della scienza, Milano

1990, 9. 2 C.A. Coulson, Science and Christian Belief, Oxford 1955, 15-18.

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3 Si riconosce, oggi, che i problemi sulle "origini" (universo, vita, uomo) riguardano le

ricostruzioni storiche anziché la verifica sperimentale delle ipotesi. 4 J. Austin, How to Do Things with Words, Oxford 1962; Arecchi, I simboli e la realtà, 15. 5 Il termine paradigma fu reso di grande attualità da T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni

scientifiche, Torino 1978, 29. Esso viene oggi interpretato in vari modi, tra cui: insieme, il più possibile omogeneo, di assunzioni teoriche e metafisiche, di pratiche sperimentali e di modi di trasmissione dei contenuti della scienza, indiscussi come punti essenziali di riferimento per spiegazioni e previsioni scientifiche. Oppure: struttura di base (o quadro generale di riferimento) culturale, linguistico, filosofico, ideologico, tecnologico, scientifico, ecc. che collega fatti, fenomeni, eventi, dottrine, teorie e ipotesi diverse. Abbiamo citato queste due interpretazioni come più pertinenti ai nostri fini. Cf. P.W. Bridgman, The Logic of Modern Physics, New York 1927, (tr. it., La logica della fisica moderna, Torino 1952); Arecchi, I simboli e la realtà, 16.

6 G. Gismondi, "Il dialogo fra teologia e sociologia: problematiche, limiti e possibilità", in Antonianum, 67 (1992), 3-38; P.B. Fortin, "Comunicazione", in Fondation Internationale Des Sciences Humaines Paris, Modernity and Christianity, Castelgandolfo 3-7 settembre 1988; V. Tonini, "Non limiti ma responsabilità", in J. Jacobelli (a cura di), Scienza e etica. Quali limiti?, Bari 1990, 184-188: Arecchi, I simboli e la realtà, 17-18

7 F. Ferrarotti, Il paradosso del sacro, Bari 1983, 56-57; Gismondi, "Il dialogo fra teologia e sociologia", 11.

8 G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica. Dalla critica delle scienze all'umanesimo scientifico, Torino 1978; Arecchi, I simboli e la realtà, 18, 19, 22, 27-28, 30, 155-158, 164; F. Ferrarotti, La sociologia alla riscoperta della qualità, Bari 1989; Id., Il paradosso del sacro, Bari 1983; "Scientismo", in Dizionario delle idee, 1043. A favore dello scientismo: cf. H.A. Taine, De l'intelligence, Paris 1870; F. Le Dantec, De l'homme à la science, Paris 1907. Contro lo scientismo: cf. E. Boutroux, La nature et l'esprit, Paris 1926. I termini meccanicismo, meccanicista indicano la visione del mondo, nata con Cartesio e accettata da Newton, che spiegava la realtà in termini di moto locale di oggetti elementari. Essa s'interessava ai come ma non ai perché. Celebre è la frase attribuita a Newton: "Hypotheses non fingo" (non mi pongo tali problemi). Cf. "Determinismo", in Dizionario delle idee, 233-234. Il termine tempi lunghi può applicarsi tanto ai milioni di anni del sistema solare quanto ai milionesimi di secondo degli elettroni. Il termine costruzionismo viene assunto con diversi significati, tra cui quello per cui la scienza sarebbe un insieme di "costruzioni" puramente mentali, prive di agganci con la realtà e indimostrabili. J. Buchler, The Concept of Method, New York 1961; C.F. Manara, Metodi della Scienza dal Rinascimento ad oggi, Milano 1975.

9 F. Selvaggi (a cura di), Valore e metodo della scienza, Roma 1952; Arecchi, I simboli e la realtà, 30-31.

10 F. Selvaggi, Scienza e metodologia, Roma 1962; Arecchi, I simboli e la realtà, 21-22, 36-37, 38-39; D. Antiseri, La filosofia del linguaggio; metodi, problemi, teorie, Brescia 1973; G. Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Milano-Roma 1953; "Verificazione", in Dizionario delle idee, 1245-1246; A. Bonomi, Le vie del riferimento, Milano 1975;

11 G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico, Rovigo 1980, 251; Arecchi, I simboli e la realtà, 33-34.

12 E. Riverso, La costruzione interpretativa del mondo, Napoli 21967; Arecchi, I simboli e la realtà, 35.

13 Vedi al riguardo la critica di G. Gusdorf, "Galiléenne (Révolution)", in Encyclopaedia Universalis, V, 445-455; Arecchi, I simboli e la realtà, 41-43

14 "Modello matematico" indica un insieme di relazioni quantitative, usate per formulare teorie e verificarle, che descrivono in modo semplificato un certo numero di fenomeni. "Modello teorico" indica uno schema teorico di un fenomeno sperimentale o di un ente fisico le cui leggi coincidono con quelle desunte dall'esperienza. Esso deve essere corretto e perfezionato in continuazione.

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15 R. Lenoble, "Origines de la pensée scientifique moderne", in Encyclopédie de la Pléiade,

Histoire de la Science, Paris 1967, 396. 16 G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico,

Rovigo 1980, 128. 17 Lenoble, "Origines de la pensée scientifique", 505. 18 "Scienza", in Concetti fondamentali di filosofia, Brescia 1982, III, 1868. Arecchi, I simboli

e la realtà, 44-48. 19 Numero irrazionale, che non può essere espresso esattamente né con un intero né con una

frazione, in genere indica valori non misurabili con l'unità di misura (ad es. "pi greco" = 3,141592653 ... ).

20 E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia della fisica, Roma 1974; Arecchi, I simboli e la realtà, 169-170.

21 Quali l'empirismo radicale che sosteneva l'impossibilità di attribuire a un concetto un contenuto diverso dall'aggancio immediato con l'esperienza; il divieto di mediare l'esperienza che permetteva solo affermazioni volte a descrivere immediatamente un fatto; l'uso analitico della ragione che consisteva nel porre in luce i legami strutturali fra le varie parti dell'esistenza.

22 G.F. Basti, "Cervello, informazione e pensiero nelle scienze cognitive", in Cultura e libri, 50 (1989), 5-34; Arecchi, I simboli e la realtà, 177.

23 E. Agazzi, Scienza e fede, Milano 1983; Arecchi, I simboli e la realtà, 178. 24 È emblematico l'errore di Kant, che trasformò gli "assoluti" newtoniani di spazio e tempo,

in forme a-priori, assolutizzandone la portata ordinativa. Einstein, invece, dimostrò che non erano necessari alla meccanica. Un altro esempio è dato dalle geometrie non euclidee e dalla critica di Einstein alla simultaneità, che tolsero a geometria e simultaneità ogni valore di assoluto.

25 J.B. Metz, T. Rendtorff (hrs.), Die Theologie in der interdisziplinären Forschung, Düsseldorf 1971, (tr. it., La teologia nella ricerca interdiscplinare, Brescia 1974), 143.

26 J. Alfaro, Speranza cristiana e liberazione del mondo, Brescia 1972; Cf. Giovanni Paolo II, "A scienziati e studenti, Colonia 15.11.1980", in La traccia, 10 (1980), 928-932; F. Ardusso, "Fede (l'atto di)", in Dizionario Teologico Interdisciplinare, II, 176-192; J. Alfaro, Rivelazione cristiana, fede e teologia, Brescia 1986.

10. FEDE, SCIENZA E UMANESIMO SCIENTIFICO

1. Cenni introduttivi

In questo capitolo ci soffermiamo sull'"umanesimo scientifico" visto, soprattutto, come analisi culturale finalizzata a far emergere il significato umanistico della scienza. La scienza viene vista come fattore essenziale dello sviluppo personale dell'uomo e come evento particolarmente significativo per la cultura e le sue molteplici espressioni quali la religione, l'etica, la filosofia ecc. Esso pone in luce, soprattutto, la capacità della scienza di esaltare le dimensioni spirituali ed etiche della persona e del suo impegno di conoscenza e di azione.1

2. Umanesimo scientifico

Per comprendere meglio il senso di "umanesimo scientifico", precisiamo, innanzitutto, i suoi termini. Per umanesimo si intende un modello ideale, che identifica il compito dell'uomo nel realizzare la sua vera natura e nel creare una società adeguata alla sua dignità.2 Per scienza si intende: l'insieme dei procedimenti volti a scoprire la struttura intellegibile della realtà osservabile, mediante l'osservazione sistematica, l'elaborazione teorica dei dati osservati e il controllo sperimentale delle deduzioni teoriche.3 Come abbiamo visto, la scienza può essere considerata nei suoi contenuti e nei suoi metodi o come "esperienza umana".

L'umanesimo scientifico sceglie quest'ultimo aspetto, soprattutto inteso come esperienza "riflessivo-esperienziale", per approfondire i modi in cui essa può arricchire umanamente la cultura e la società. La scienza, intesa come "atteggiamento riflessivo esperienziale", diviene, allora, un coefficiente primario per lo sviluppo dei valori umani, culturali e sociali volti a elevare la qualità della vita.4

3. Scienza: creatività e dipendenza

L' umanesimo scientifico, come "atteggiamento riflessivo esperienziale" che nasce dalla ricerca scientifica, si sofferma, in primo luogo, sul carattere cognitivo della scienza nel suo momento più creativo e attivo. Tale creatività è innovatrice, pur rimanendo rispettosa delle realtà che intende indagare. Il rapporto dialettico fra la "creatività originale" e l'"aderenza alla realtà" contraddistingue il modo "scientifico" del conoscere e in tal modo convolge "dialetticamente" la persona del ricercatore.

La creatività si palesa come capacità di far emergere aspetti imprevisti della realtà, fin dai primi passi dell'osservazione. Esige, perciò, qualità umane decisive quali: coraggio, originalità, apertura mentale, sensibilità al nuovo, cui si aggiungono la costanza, la tenacia, la pazienza e la perseveranza, allorché i risultati appaiono deludenti.

La vera creatività, tuttavia, si manifesta maggiormente nella fase della "teorizzazione" che, nella sua radice etimologica, esprime il "saper vedere" inteso in un modo non tanto sensoriale quanto spirituale e intellettuale. "Teoria", quindi, significa ricerca attiva dell'intelligibilità delle cose e della loro profonda unità, ancora nascoste negli oggetti osservati e come occultate dall'apparente multiformità e diversità.5

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L'umanesimo vede, nell'attività scientifica, la testimonianza della funzione essenziale e centrale della mente, che fa prevalere le idee sulla pura fattualità e antepone i sistemi concettuali all'osservazione e interpretazione dei fatti.6 Per questa via la scienza penetra nelle armonie della natura e giunge a decifrare i riflessi dell'ordine, che regna nell'universo e i bagliori delle profonde realtà nascoste, che lo regolano.7

In questa visione, l'aspetto quantitativo-matematico diviene ausiliario. Del resto lo stesso Einstein sosteneva che la comprensione, cui la scienza aspira, non è questione di matematica. Il linguaggio matematico, per quanto creativo ed espressivo, svolge una funzione molto utile, da non confondere, però, con i contenuti che esprime. Anche per Eddington la matematica è un veicolo utile per l'espressione e la manipolazione, tuttavia "il cuore della teoria rimane altrove".8

La creatività, infine, presiede pure alla sperimentazione, inventando fenomeni semplici e facilmente ripetibili (esperimenti), quindi assai diversi da quelli estremamente complessi e mai totalmente imitabili della natura.9

3.1. Esperienza scientifica della dipendenza

La creatività della scienza, tuttavia, non è sfrenata o assoluta, ma ragionevole, condizionata e "dipendente". L'esperimento, soprattutto, evidenzia la dipendenza e il rispetto della realtà, quali doti proprie dell'uomo scientifico, che deve sempre sottoporre alla prova tutto ciò che gli è più caro e prezioso: le proprie convinzioni, idee e intuizioni.10 La scienza inizia quando l'uomo si rivolge alla natura per osservarla, interrogarla e interpretarla, tuttavia, matura solo quando l'uomo privilegia le risposte della realtà anche nei confronti delle sue aspettative. Tale rispetto rigoroso della realtà è il segno che conferma ogni sincera aspirazione alla verità.

Anche la specializzazione, inserita in questa visione, diviene espressione di saggezza umanizzante, perché è l'ammissione di non poter indagare né conoscere tutto ciò che si vorrebbe.11 Questa saggezza domina pure il momento decisivo della ricerca, che consiste nel sottomettere i risultati del proprio lavoro al giudizio altrui (verifica intersoggettiva, falsificazione ecc.). In questo modo l'umanesimo scientifico restituisce la piena dimensione umana ai problemi ridotti dalla scienza a un puro aspetto "tecnico" o epistemologico, quali la "verifica" e la "falsificazione".12

Infatti, per l'umanesimo scientifico le componenti fondamentali della scienza non sono le cose o i concetti, ma i "molteplici e complessi atteggiamenti umani che coinvolgono la personalità del ricercatore". Pertanto, nel coinvolgimento personale del ricercatore, l'atteggiamento "globale" nei confronti della realtà viene valorizzato assai di più del puro rigore intellettuale volto a concepirla. Infatti, tale atteggiamento, come dignità spirituale dell'uomo, qualifica i più diversi poteri della sua mente, tra cui la capacità di controllare, con l'intelligenza, l'esercizio dei sensi; quella di analizzare criticamente le proprie sensazioni e quella di discernere saggiamente le tendenze istintive, i desideri, le immaginazioni e le pretese mentali. Solo nel rispetto di queste capacità umane, il "rigore intellettuale" riesce ad esplicare il suo ruolo.

4. Scienza come ascesi e autocontrollo

L'attività scientifica, intesa come esercizio rigoroso di autocontrollo, plasma l'intelligenza umana e infonde all'uomo un nuovo senso del valore della persona. Lo scienziato, dalla sua attiva consuetudine con la natura, ricava la capacità di scorgere manifestazioni inaspettate. Egli non vede un maggior numero di cose, bensì nuovi aspetti della realtà.

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L'umanesimo scientifico analizza pure l'atteggiamento mediante il quale i ricercatori giungono alle loro acquisizioni. Esso risulta assai simile a quello religioso, che è mosso dalla fede e convinto della "certezza" di una data realtà, assai prima di averne ottenuto una prova sperimentale o una dimostrazione rigorosa e sistematica. Ciò conferma che la scienza è una esperienza essenzialmente personale, animata dall'interiore consapevolezza di una verità, che è intuita e accolta assai prima di poter essere provata e dimostrata.13 Questo conferma che la verifica sperimentale, da sola e in quanto tale, non ne rappresenta l'aspetto né centrale né essenziale.

Infine, l'umanesimo scientifico rivela la dimensione essenzialmente comunitaria della scienza, come "tradizione vivente". Ciò significa che essa, come ogni altra tradizione, preesiste ai suoi membri, sui quali esercita un profondo influsso e la sua autorità. Perciò trasmette ad ogni generazione un patrimonio di conoscenze, di capacità e di conoscenze, che i nuovi adepti devono interiorizzare. A loro volta, i suoi membri contribuiranno ad accrescerla, perfezionarla e trasformarla.

Pertanto, anche la comunità scientifica si costituisce attorno a un'autorità e a tradizioni fondate sulla condivisione degli stessi atteggiamenti, delle stesse credenze e valori e degli stessi comportamenti, in base ai quali giudica e valuta singoli e gruppi.14

5. Uomo scientifico ed "esperienza" della natura

La scienza cerca pure una comprensione della natura, mediante l'invenzione di un ordine, che renda spiegabili, o meno incomprensibili, cose ed eventi naturali. "Ordine" indica tanto un modello unitario afferrabile dalla mente umana, quanto il verificarsi regolare di fatti. Perciò è un termine polivalente.

La scoperta della regolarità è il gradino più modesto della comprensione scientifica del mondo, anche se costituisce un passo decisivo. Essa subentra laddove apparivano solo fatti privi di ogni collegamento. Percepite le regolarità, la mente vuole trovarne la ragione e l'origine, addentrandosi nelle strutture sempre più intime della realtà osservabile. Questo "addentrarsi" della mente costituisce la "fase teorica". L'idea di un ordine intrinseco alla natura, capace di spiegare le regolarità osservabili, viene attribuito a Keplero che, però, non disponeva né di dati né di concetti sufficienti. Newton, sulla base degli studi di Keplero e Galilei, dimostrò che ogni regolarità era l'espressione particolare di un ordine fondamentale.

L'entusiasmo che accolse la sua scoperta indica l'importanza che l'umanità annetteva alla consapevolezza che la natura sia intrinsecamente intellegibile, fin nei suoi più intimi fondamenti. I fatti che, prima, apparivano senza legame, misteriosi e inesplicabili, si rivelavano ora espressioni diverse di un unico principio padroneggiabile dall'intelligenza.15 A questa scoperta, tuttavia, deve aggiungersi quella ancor più significativa de "l'unità del tutto". La sintesi newtoniana dimostrava il potere della mente umana di unificare il multiforme campo dell'osservazione, per farne un "uni-verso" (unus-versus) nel senso più profondo di "insieme rivolto all'unità".16

Con Darwin l'ordine naturale causò una nuova immensa sorpresa, perché esso ora si rivelava non più fisso e immutabile, ma profondamente dinamico. Appariva come un "ordine dinamico" o, ancor più, come un "dinamismo ordinatore". La natura (creazione) mostrava la capacità di produrre forme e strutture nuove, inattese ma non arbitrarie, perché ispirate a regole definite.17 Tuttavia i tentativi di spiegare tali mutamenti ricorrendo puramente al caso, che rappresentava l'antitesi dell'ordine e della razionalità, non potevano convincere e provocarono forti resistenze.

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Spettava alla "teoria dei quanti" il merito di scoprire le "proprietà quantiche" della materia, che rendevano compatibili l'ordine e i mutamenti e rendenvano palesi l'identità, l'integrità e la specificità già insite nelle strutture atomiche e molecolari.

Il succedersi di queste scoperte e delle ricerche scientifiche, quindi, rivelava un universo come totalità comprensiva, in crescita nel tempo, nel quale persone e mondo si sviluppavano attraverso reciproche interazioni.18 Ne mostravano pure l'immensità sconfinata, che il linguaggio ordinario non può esprimere a parole, per cui deve affidarsi al linguaggio matematico. Questo deve servirsi di simboli numerici del tipo 1040 per indicare la lunghezza e 1016 per indicare il tempo. Neppure le pagine di questo libro potrebbero allineare tutte le cifre che essi esprimono, e nessuno degli attuali calcolatori riuscirebbe a elaborarle. In più, questa inesprimibile immensità non manca né di bellezza né di armonia cui le prospettive della complessità, del caos e del caso stanno per aggiugere nuove ragioni di stupore.

6. Scienza, stupore e timore

Per quanto decisive e fondamentali, le esperienze soggettive (della conoscenza) e oggettive (della natura) non esauriscono il dinamismo dell'umanesimo scientifico. Vi si aggiungono pure le esperienze psicologiche, emotive e di sentimento, particolarmente significative: sorpresa, stupore, meraviglia e timore di fronte alla natura-creazione così percepita. Einstein le chiamava "senso del mistero" e le giudicava le capacità più specifiche e importanti dell'autentico scienziato.

A questo punto, il discorso delle scienze naturali coincide con quello delle scienze della religione, che studiano l'esperienza religiosa e gli atteggiamenti di stupore, meraviglia, ammirazione e timore, dell'homo religiosus, di fronte al sacro.19 Al riguardo, l'esperienza di scienziati veramente creativi quali Einstein, Heisenberg, Pauli, Schrödinger e molti altri, raggiunge il massimo valore.

L'uomo di scienza percorre lo stesso itinerario umanistico dell'autentico uomo religioso e dell'uomo di fede. Dapprima sperimenta la sua consapevolezza, come fonte di certezza. In seguito l'accresce gradualmente, mediante un continuo sforzo di attenzione deferente e di perseverante riflessione interiore. Al proposito, Heisenberg nota acutamente che l'uomo scientifico "prende coscienza dell'ordine centrale con la stessa intensità con cui entra in contatto con l'anima di un'altra persona".20 Egli scelse volutamente i termini anima e persona, perché richiamano l'essere intelligente e creativo ma, soprattutto, perché designano l'intimo misterioso della personalità. Egli vuol dire che l'anima, misteriosa per la sua imprevedibile creatività, rispecchia la "sorgente prima", assai più misteriosa, imprevedibile e creativa, di tutta la realtà. Concetti analoghi, espressi da Darwin, Einstein, Schrödinger e altri, testimoniano che la scienza consente esperienze umane così profonde da consentire l'incontro personale con l'Assoluto.21 Esse non sono né facili, né comuni, perché esigono lungo e paziente autocontrollo, coerenza e interiorizzazione profonda.

Queste osservazioni approfondiscono quanto abbiamo esaminato più volte nei precedenti capitoli: l'apertura degli operatori scientifici all'ulteriorità e alla trascendenza. Anche qui abbiamo la conferma che essa può essere particolarmente incentivata dalla ricerca scientifica, mentre viene impedita e ostacolata da meno validi atteggiamenti umani o da condizionamenti ideologici e culturali.

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7. Scienza e religione in prospettiva umanistica

L'analisi finora condotta aiuta a capire perché l'atteggiamento scientifico non si sia sviluppato in quelle religioni e culture che non apprezzano abbastanza il mondo, il rapporto di Dio col mondo o ritengono che l'universo materiale sia privo d'interesse. Come abbiamo visto, pure l'antropologia della religione sottolinea l'importanza (anche culturale) degli interrogativi sollevati nell'uomo religioso, dalla presenza del cosmo, dal suo senso e dal suo significato. Furono questi a preparare il cammino dell'uomo scientifico.

La percezione della non ovvietà, della complessità ordinata e significativa, la comprensibilità di un dinamismo potente che include tutto, stanno alla radice dell'atteggiamento sia religioso che scientifico dell'uomo. Ognuna di quelle percezioni rappresenta una nuova conquista dell'intelligenza, della sensibilità e dell'inesauribile capacità problematizzante della persona.

Tuttavia, la differenza tra l'esperienza scientifica e quella religiosa si manifesta all'ultimo passo del lungo percorso, che rappresenta un vero salto di qualità. In esso l'uomo religioso (il credente) sperimenta l'apertura verso una superiorità trascendente, origine e fondamento di tutto, che invita alla comunione personale con essa. Le scienze religiose lo definiscono: sacro, numinoso, divino, divinità, ecc. Il credente lo chiama Dio.22 Questo passo segna pure l'emergere decisivo di una nuova consapevolezza e responsabilità etica.

Questo itinerario mostra che religione, etica e scienza, pur distinte, sono tutt'altro che estranee e si richiamano a vicenda. Lo prova il fatto che i maggiori scienziati moderni: Keplero, Galilei, Newton, Einstein, Heisenberg, Hoyle, Norbert Wiener, Max von Laue e molti altri, nei loro scritti confermano l'impulso positivo che la religione e la fede diedero alla nascita dello spirito scientifico, e lo scadimento della scienza in empirismo insignificante e senz'anima, seguito al suo attenuarsi.23

Essi sottolineano pure, che un atteggiamento scientifico autentico costituisce un fattore primario di religiosità, dato che: "l'uomo non scientifico tende, con troppa facilità, a presumere che il proprio modo di concepire Dio sia l'unico corretto ed adeguato".24 Pertanto la forma migliore di umanesimo scientifico è data dalla sintesi vitale delle due dimensioni, che si compie nella profonda intimità della persona ed esige un rinnovamento continuo.

7.1. Significato umanistico della scienza

Queste riflessioni chiariscono meglio il significato umanistico della scienza, come contributo alla scoperta dell'uomo, della sua realtà e dignità, delle sue potenzialità e limiti, della sua piccolezza e grandezza e della sua forza e debolezza.25 La funzione umanistica della scienza è sintetizzata nella frase: "la scienza rivela l'uomo a se stesso". Dobbiamo aggiungervi pure che essa lo libera dal pensiero "necessitato" e "abitudinario", aprendolo alla riflessione critica e controllata e, infine, gli rivela l'intrinseca intelligibilità del mondo osservato e percepito dai suoi sensi.26

8. La "perdita del centro"

Lo sviluppo della scienza moderna, tuttavia, è stato accompagnato da un drammatico disorientamento, definito la "perdita progressiva del centro" da parte dell'uomo. Ciò significa che l'uomo, che si riteneva il centro della terra e dell'universo,

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dapprima vide togliere la "sua" terra dal centro per farvi posto al sole. Poi vide togliere anche il "suo" sistema solare dal centro, per relegarlo in un punto remoto e anonimo della galassia. Infine scoprì che l'intero universo era privo di centro.

Perciò accolse ognuno di questi passaggi come una "perdita" dandone un'intepretazione agnostica o nichilista. Divenendo "spazialmente" periferico in un universo privo di centro, pensò di non avere più alcun senso per l'universo e che l'universo non avesse più senso per lui, senza rendersi conto dell'antropomorfismo ingenuo e acritico, che presiedeva a questo pensiero.

La scienza venne ingiustamente incolpata di questo ripetuto "shock culturale" che frantumava le precedenti certezze. In realtà, essa si limitava soltanto a informare l'uomo della realtà che non conosceva. Furono la cultura e le filosofie del tempo a interpretare tali acquisizioni scientifiche in forme riduttive o trionfalistiche o desolate.

Tuttavia, la consapevolezza di non conoscere ancora abbastanza l'universo e di abitare in un cosmo che non sottostava alle pretese e alle illusioni del suo inquilino, in se stessa non era nuova. Lo testimoniano millenni di cultura, arte, filosofia, tecnica e religione. La scienza moderna si limitava a rinnovare nell'uomo l'esperienza della sua nudità, già descritta in Genesi (3, 10-11).

L'inquietudine derivata dalla perdita del centro, venne strumentalizzata dalle ideologie immanentiste di tipo prometeico o titanico, che aspiravano a riconquistare una nuova centralità, trasformando la scienza in potere tecnologico e industriale.27 Esse, tuttavia, non beneficarono né l'umanità né la scienza. Eiduson descrive così il loro risultato:

l'uomo "è diventato solo un dente della ruota, così tremenda e intricata che né lui né i suoi compagni sanno dove il veicolo stia andando, né dove vadano esattamente le sue capacità e i suoi contributi. Ancor più importante, non ha voce su come dovrebbe procedere il viaggio alla luce di ciò che fa. L'uomo scientifico per eccellenza non è più l'intellettuale pensoso della vecchia scienza, sensibile alla discontinuità e continuità dei dati, ma l'uomo superficiale, estremamente competitivo che riconosce e accetta il fatto che né lui né altri possono compiere, da soli, il nuovo lavoro tecnologico".28

Tuttavia, i millenni di preistoria e di storia dell'homo religiosus, symbolicus e sapiens e i quasi quattro secoli di storia dell'homo scientificus dimostrano che, né gli approdi prometeici e titanici, né la delusione e lo scoraggiamento seguiti ai loro fallimenti, costituiscono un traguardo obbligatorio, scontato o definitivo. Sono, al più, soltanto uno dei tanti punti critici o un incidente di percorso che l'umanità deve superare nel suo cammino.

9. Riflessioni conclusive

Abbiamo notato che l'umanesimo scientifico potrebbe essere compendiato in una sola frase: la scienza rivela l'uomo a se stesso. Essa significa che tutto il discorso sulla scienza, in realtà, è un discorso sull'uomo e va riferito a lui, unico responsabile dell'umanizzazione o disumanizzazione di ogni impresa, compresa pure la scienza.29 L'attività scientifica svela, nelle profondità dell'uomo, una "dialettica" e una "coincidenza degli opposti" di un essere splendidamente creativo, ma anche intrinsecamente labile, fallibile e fondamentalmente problematico.30 Ecco perché creatività, fallibilità e problematicità rimangono i caratteri fondamentali e ineliminabili della scienza.

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La creatività palesa la capacità umana di far emergere aspetti imprevisti e misteriosi della realtà. La fallibilità costringe l'uomo a esercitare l'etica e l'ascetica della verità. La problematicità, a livello "cosmologico", gli toglie l'illusione che l'universo sia come crede e a livello "antropologico" gli toglie l'illusione di essere come gli piacerebbe o pretenderebbe di essere.

Pertanto, l'etica scientifica impedisce alla persona ogni indebito auto-compiacimento e l'ascesi scientifica la spinge, senza sosta, a trascendersi verso ulteriori impegni di conoscenza umanizzante. Quindi la dimensione umanistica dell'esperienza scientifica, pur rimanendone distinta, si avvicina a quella religiosa, da cui può apprendere a far maturare il primitivo stupore in una autentica meraviglia e ammirazione aperte alla trascendenza.

Come si vede, si tratta di temi affascinanti e di vasti problemi appena accennati, le cui potenzialità culturali, umanistiche e umanizzanti appaiono illimitate. Solo un dialogo approfondito e appassionato fra uomini di scienza e sinceri credenti consentirà di svilupparli adeguatamente.

1 E. Cantore, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Bologna 1988, 43.

2 Cf. G. Gismondi, Umanesimo marxista. Evoluzione e istanze positive, (Catania 71978); Id., "Cristiani e marxisti per l'umanesimo scientifico", in Il futuro dell'uomo, 3 (1976), 3, 21-23.

3 R.N. Anshen, Perspectives in Humanism, Cleveland 1967.

4 G. Gismondi, "L'umanesimo scientifico nell'attuale dibattito sulla scienza", in Antonianum 54 (1979), 76-100; Cantore, L'uomo scientifico, 51-54, 57, 64.

5 J. Bronowski, Scienza e valori umani, Milano 1962, 26.

6 C. Bernard, Introduzione allo studio della medicina sperimentale, Milano 1973, 44-45.

7 L. De Broglie, Fisica e microfisica, Torino 1950, 215.

8 A. Eddington, Filosofia della fisica, Bari 1984, 74.

9 Cantore, L'uomo scientifico, 96; Bernard, Introduzione, 28.

10 H. Poincaré, Il valore della scienza, Firenze 1947, 138; Cantore, L'uomo scientifico, 98-103.

11 C.F. Weizsäcker von, The History of Nature, Chicago 1949, 2.

12 J.M. Ziman, Public Knowledge: an Essay Concerning the Social Dimension of Science, London 1968, 11-13.

13 Cantore, L'uomo scientifico, 121.

14 B.T. Eiduson, Scientists: Their Psychological World, New York 1962, 152-153; Cantore, L'uomo scientifico, 126.

15 A. Einstein, Idee e opinioni, Milano 1957, 240-242; Cantore, L'uomo scientifico, 128-133.

16 Bronowski, Scienza, 29; Cantore, L'uomo scientifico, 135.

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17 V.F. Weisskopf, Conoscenza e meraviglia. La descrizione umana del mondo della natura, Bologna 1966, 91.

18 Weisskopf, Conoscenza e meraviglia, 134-138; Cantore, L'uomo scientifico, 142-145.

19 R. Otto, Il sacro, Bologna 1926; G. Magnani, Introduzione storico-fenomenologica allo studio della religione, Roma 1989, 89-114.

20 W. Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti, Torino 1984, 225-226.

21 C. Darwin, L'origine della specie, Torino 1959, 524: "Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con i suoi diversi poteri, originariamente impressi dal Creatore in poche forme o in una forma sola...". Einstein, Idee, 247: "Questo fermo convincimento, legato al sentimento profondo dell'esistenza di una intelligenza superiore che si manifesta nel mondo dell'esperienza, rappresenta per me l'idea di Dio". E. Schrödinger, Scienza e umanesimo. Che cosa è la vita, Firenze 1978, 172: "Noi sappiamo, quando sentiamo Dio, che è un evento altrettanto reale quanto una percezione sensoriale immediata o quanto la propria personalità".

22 M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino 1967, 97; J. Ries "L'uomo religioso e il sacro alla luce del nuovo spirito antropologico", in E. Anati, R. Boyer, M. Delahoutre, Le origini e il problema dell'homo religiosus, Milano 1989, 52: "La volta celeste simbolizza la trascendenza, la forza, l'immutabilità, l'altezza, la sacralità. L'uomo ha preso conoscenza di questo simbolismo primordiale, dato immediato della coscienza totale. Non si tratta dunque né di deduzione causale, né di affabulazione mitica, ma di una presa di coscienza del simbolismo della volta celeste, che mette l'uomo arcaico di fronte a una ierofania primordiale"; cf. M. Eliade, La creatività dello spirito, Milano 1979, 30-34.

23 A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Milano 1945, 30; M. Caspar, Kepler, New York 1959; A. Koyré, Studi newtoniani,Torino 1983; F.E. Manuel, A Portrait of Isaac Newton, Cambridge Mass. 1968; W.C. Dampier, A History of Science and its Relations with Philosophy and Religion, London 1966; A. Einstein, Lettres à Maurice Salovine, Paris 1956; Id., Idee, 61.

24 Cantore, L'uomo scientifico, 194.

25 G. Gismondi, "Scienza e umanesimo scientifico nel pensiero di Giovanni Paolo II", in L'Osservatore Romano, 22.2.1980.

26 A. Livi, Filosofia del senso comune, Milano 1990, 179: "La valenza tecnologica delle conoscenze scientifiche, che oggi possediamo e che cresce sempre più di importanza ai nostri occhi, non può non influenzare anche la cultura, e la influenza in modo che è contemporaneamente sottile e pesante. Anzitutto, il prestigio delle scienze viene esteso anche ai criteri di certezza che queste adottano, il che fa dimenticare altri criteri di certezza, altri campi di ricerca nei quali i metodi della scienza propriamente sperimentale e fisico-matematica non hanno applicazione. In secondo luogo, il successo della tecnica - strettamente collegata alle scienze - crea l'ebbrezza del dominio delle cose e necessariamente si impone, facendo sì che il campo degli interessi si sposti dalla costruzione dell'uomo interiore alla esteriore costruzione del mondo da parte dell'uomo: economia, politica ... L'ideologia dello scientismo è alla base dei miti dell'umanità nuova, dell'ordine nuovo, dei miti politici della rivoluzione come creazione nuova del mondo da parte dell'uomo ormai onnipotente".

27 G. Gismondi, "Per la crescita dell'uomo e della società", in L'Osservatore Romano, 27.2.1980.

28 Eiduson, Scientists, 151-152; cf. Cantore, L'uomo scientifico, 507.

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29 G. Gismondi, "I valori formativi dell'umanesimo scientifico", in La Scuola e l'Uomo, 37 (1980), 2, 42-44; 6, 165-168.

30 E.H. Erikson, Identity: Youth and Crisis, New York 1968, 50; Cantore, L'uomo scientifico, 508-509; J. Bronowski, The Identity of Man, New York 1965, 94; G. Gismondi, "Umanesimo scientifico e futuro dell'uomo", in L'Osservatore Romano, 5.9.1979; Id., "Fede e scienza, oggi", in La Scuola e l'Uomo, 40 (1983), nn. 2-3, 4, 8-9; Id., "Umanesimo scientifico nella cultura di oggi", in L'Osservatore Romano, 14.2.1980.

11. "UOMO SCIENTIFICO" E "UOMO RELIGIOSO"

1. Cenni introduttivi

Nel capitolo precedente, tratttando di umaneismo scientifico, abbiamo già notato il complesso rapporto fra atteggiamento religioso e scientifico. In precedenza avevamo notato come religiosità e fede, pur avendo molti punti comuni, non si identifichino. La prima è un'espressione umana e culturale, mentre la seconda è un dono divino soprannaturale. Tuttavia, seppur diverse, rimangono strettamente collegate, riguardando il rapporto fra Dio e l'uomo.

Questi punti diventano molto importanti nel confronto che ci accingiamo ora a compiere fra gli atteggiamenti fondamentali dell'uomo scientifico e dell'uomo religioso. A tal fine ci colleghiamo al pensiero di Eliade che la religione è una struttura fondamentale della coscienza e della cultura umana e non un loro semplice stadio storico. Le ricerche di antropologia della religione lo hanno confermato. Lo conferma pure la fede cristiana, per la quale la "vera religione" salvaguarda e valorizza l'autenticità, la dignità e la libertà delle persone, delle culture e dei popoli.1

Stando così le cose, si comprende l'importanza di un rapporto sempre più costruttivo e positivo fra l'uomo religioso e l'uomo scientifico, per l'umanesimo, la cultura e la comunità umana del terzo millennio. Per questo la fede cristiana è particolarmente interessata a una loro armoniosa collaborazione. Sono i punti che cercheremo di approfondire.

2. Il confronto sugli atteggiamenti personali

Sul confronto fra gli atteggiamenti e i comportamenti fondamentali del ricercatore scientifico (homo scientificus) e del credente religioso (homo religiosus), esiste nei paesi anglofoni una letteratura copiosa e qualificata pressoché sconosciuta in Italia. In genere essa descrive un approccio volto a riportare l'impegno scientifico alle sue radici originarie, recuperandone i contenuti umani più profondi. Il discorso è svolto a livello degli atteggiamenti interiori, per cui analizza le affinità e le differenze fra i credenti e gli operatori scientifici, ricavandone interessanti analogie.

La focalizzazione sugli atteggiamenti umani deriva dal fatto che la fede, la religione e la ricerca scientifica consistono, prima di tutto, più in atteggiamenti che in parole, concetti o nozioni. Infatti, fede e religione operano al livello degli atteggiamenti più intimi e profondi della persona e della sua vita spirituale ed etico-morale. Queste osservazioni sono importanti per superare l'impostazione razionalista che aveva ridotto tutte le dimensioni umane, esistenziali e vitali più autentiche, comprese quelle religiose, a puri concetti e razionalità.

Non a caso lo stesso "a-teismo" fu, in gran parte, una reazione al "teismo" ossia a un razionalismo che riduceva Dio a pura "causa", "principio" o "motore" del mondo, negando soprannaturale e rivelazione e spiegando tutto in termini di natura e ragione.

Come abbiamo notato in Nuova evangelizzazione e cultura,2 tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, significativi mutamenti riguardanti la fede e la religione rivalutarono la rivelazione come: "autodonazione libera ed amorosa di Dio, nella storia di Israele e soprattutto nella persona di Gesù Cristo, per la salvezza degli uomini". La Sacra Scrittura, a sua volta fu di nuovo riletta come annuncio di salvezza, anziché come testo di scienze o di storia.

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Nel contempo, i razionalisni che avevano condizionato più pesantemente il pensiero scientifico-scientista, come l'ateismo naturalista di Huxley, quello atomista di Haeckel, l'agnosticismo evoluzionista di Spencer, le etiche evoluzioniste di potenza e di lotta, stavano tramontando.3 Lo stesso dicasi delle molteplici forme del positivismo.

3. Il confronto sui contenuti

In seguito a tutti questi mutamenti, il confronto diretto sui contenuti di scienze e fede appare, oggi, sempre meno significativo e importante. Le descrizioni scientifiche dell'universo si sono rivelate immagini-simboliche assai mutevoli: "macchina" dominata dal determinismo (necessità), "organismo" evolutivo retto dal caso, "sistema" governato dalla complessità e dal caos, ecc. Nessuna di esse ha retto a lungo.

D'altra parte, l'antropologia dimostrava che gli autentici valori umani e morali delle culture, come pure le profonde convinzioni delle religioni, conservano tuttora il loro significato. Infine l'epistemologia e le filosofie del linguaggio chiarivano che le congetture sull'universo e le immagini del mondo e dell'uomo elaborate dalle scienze si collocano su un piano del tutto diverso dal discorso religioso.

Pertanto, il credente, pur rimanendo attento e interessato alle "cosmovisioni scientifiche", sa che esse non sono elaborate per dare un fondamento alla sua vita e, ancor meno, alla sua fede. Anche il teologo avveduto ha compreso che l'accostamento fra verità di fede e cosmovisioni scientifiche, filosofiche, culturali e religiose, contiene sempre un fattore deformante. Lo testimonia una lunga serie di "immagini" del Creatore che vanno dal demiurgo, alla causa prima, al motore immobile, all'orologiaio, al grande architetto, all'ipotesi inutile, al tappabuchi e alla bacchetta magica, piamente camuffati.

Lo stesso caso Galilei, letto in profondità, rivela un conflitto fra opposte cosmovisioni scientifiche, nelle quali giostrava non la fede in quanto tale, ma una sua interpretazione concordista.

Stabilire come e quanto la scienza possa divenire una componente positiva della nostra comprensione di Dio e del suo progetto, resta pertanto difficile ed costituisce una sfida appassionante, non ovvia né scontata, per nessuno: credente, non credente, ricercatore, filosofo e teologo. Abbiamo visto come gli uomini di scienza siano sempre più consapevoli, oggi, dell'urgenza dei problemi sollevati dalle loro ricerche più avanzate (bioingegneria, intelligenza artificale, ecc).4 D'altra parte, filosofi ed epistemologi non possono evitare di riflettere che le prospettive positiviste, che non lasciavano spazio al "Logos" nel cosmo, quelle idealiste, che divinizzavano la mente umana e quelle esistenzialiste, che teorizzavano la contingenza umana come puro assurdo, hanno spinto la razionalità scientifica e la ragione umana in strade senza sbocco.

3.1. Fede cristiana: novità e originalità culturale Di qui la necessità di percorrere altre vie. Il pensiero biblico-cristiano, al riguardo ha

sempre offerto una prospettiva di forte spessore epistemologico, con la sua visione dell'universo come armonia, potenza, ordine, intelligenza e libertà, in cui necessità (determinismo) e caso (disordine) appaiono ingredienti dosati, ma non costituiscono degli assoluti e non prevaricano sull'informazione (intelligenza-razionalità). Oggi sappiamo che semplicità, intelligenza e informazione operano anche nella complessità cosmica (caos). Pertanto la convinzione di fondo del credente è che solo un'adeguata intelligenza-razionale può rendere ragione di tutti questi caratteri.

Questa consapevolezza consente d'impostare più correttamente il rapporto fra il discorso della fede e il discorso scientifico. Se il discorso di fede e religione ha il compito di scoprire i "significati nascosti e ultimi del reale" e il discorso scientifico

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deve scoprire le "strutture nascoste e prime del reale", tra i due non può esservi alcun conflitto ma soltanto una costruttiva complementarietà reciproca.5 Pertanto lo spazio per il dialogo rimane amplissimo e la modalità trans-disciplinare dovrebbe garantirne quella scientificità (oggettività e rigore) che abbiamo analizzato nei capitoli settimo e ottavo.

4. Dal "piccolo mondo" all'"universo infinito"

La scienza moderna de-costruì l'orizzonte culturale delle immagini limitate e antropomorfe e delle tradizioni rassicuranti ma infondate, nelle quali l'uomo pensava e interpretava, da millenni, la sua esistenza quotidiana e la sua esperienza religiosa. Il grande smarrimento umano e religioso nacque da tale dicostruzione. Essa costrinse l'uomo a ri-pensare e ri-costruire il significato, il senso, l'identità e il destino dell'universo, della storia, di se stesso e dell'umanità nei nuovi termini di "specie" vivente tra molte altre, comparsa dopo un tempo lunghissimo, confinata su di un infimo e anonimo satellite, sperduta in un immenso universo, dominato dalla necessità e dal caso, in un giganteso processo di espansione-evoluzione, dai tempi e spazi pressoché infiniti, di cui non conosceva la causa ed il fine. La microscopica storia umana si sperdeva nella macroscopica storia della natura.

L'homo religiosus-scientificus della cultura scientifica occidentale, in un tempo sorprendentemente breve (nemmeno tre secoli) ha ricostruito la sua visione religiosa. Nell'orizzonte del "processo naturale" appena descritto, ha reinserito la coscienza e la consapevolezza che lo spingono a imprese immani e incomprensibili, quali la lotta senza fine per una maggiore conoscenza, per la libertà, l'umanità, l'eticità e l'universalità. Inoltre vi ha ricollocato le sue migliori imprese culturali, umane e sociali: religione, filosofia, arte, scienza, tecnica, ecc.

Per far ciò ha dovuto reinterpretare quegli stessi elementi che, agli inizi della scienza moderna, erano apparsi come frammenti troppo discordanti e contraddittori per poterli ricomporre in un disegno coerente. In realtà, l'uomo pre-scientifico era troppo radicato nella natura, legato alla terra, prigioniero del tempo, vincolato dallo spazio e dalle leggi naturali e soggetto ad esse. Anch'egli, come il suo successore l'uomo scientifico si è rivelato, però, deciso a controllarle e superarle, lacerato fra rischi e aspirazioni, sospinto da speranze e delusioni, da ottimismo e pessimismo, da ansia di vittoria e ripetute sconfitte.

Tuttavia, l'uomo scientifico ha pure sofferto, nel più profondo, i laceranti dilemmi fra significanza-insignificanza, rilevanza-irrilevanza, chiarezza-oscurità, causati dalla frattura fra le esigenze irrinunciabili della sua vocazione religiosa e scientifica, divenute terribilmente conflittuali. In più, lo spirito del tempo, che "sospettava" ogni risposta delle antiche tradizioni culturali, religiose, filosofiche, etiche e metafisiche, peggiorò notevolmente la sua situazione. Ormai aveva perso non solo il suo centro ma anche le sue radici.

La cultura scientifica, svelando l'insospettabile complessità e immensità dei problemi dell'universo e dell'uomo, costituisce un "experimentum crucis", ossia un test decisivo, per l'uomo simbolico-religioso che non può sottrarsi ad esso né evaderne. Solo affrontandolo può risorgere come uomo scientifico-simbolicus-religioso, nella consapevolezza che il "centro dell'universo" non è in alcun luogo, ma in ogni persona e coscienza umana.

4.1. Antico Testamento: messaggio biblico e cosmovisione La sensazionale scopertà è che, una volta rimossi gli aspetti ingenui, limitati,

antropomorfi e statici del linguaggio religioso e dello stesso messaggio biblico, proprio

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nel cuore della cultura scientifica, la Parola si è manifestata tutt'altro che primitiva o ingenua, ma ha riacquistato immensa profondità di valore e di significato.

Infatti, l'Antico Testamento, riletto in prospettiva cristiana, riconferma che l'uomo non è né una semplice parte della natura, né un puro prodotto delle forze naturali, né cosa, né oggetto. È invece soggetto e persona, con la sua origine specifica, orientato a un fine superiore, che non si identifica né esaurisce nella storia naturale.

Dio non si incontra nei fenomeni naturali, ma si rivela nella storia dell'uomo, sua immagine e somiglianza. Dio, è Signore non solo della natura e della storia, ma anche dell'infinito e dell'eternità. Non è né minaccia né avversario dell'uomo, ma "alleanza", speranza e garanzia di salvezza. Poiché l'universo e la storia sono governati dal suo amore sapiente, la creazione rappresenta l'inizio e lo scenario della storia. Poiché tutto rientra nel suo progetto storico-salvifico, Dio, natura, uomo e storia sono strettamente correlati.

La natura non è una divinità, né un'entità statica né un processo eterno e senza fine, ma un evento e una storia di amore, intelligenza e potenza divini chiamati creazione. Il creato è, insieme: evento, azione, storia e realtà che continuano. La storia, a sua volta, non è finalizzata a se stessa, ma aperta a un futuro, che la supera e la trascende. Il male presente in essa non è un demone, né proviene da Dio, ma dall'azione libera e responsabile di esseri intelligenti fra cui l'uomo.

Quindi occorre che l'alleanza salvifica fra Dio e l'uomo continui fino a che tutte le potenze del male e della morte siano dominate e la pienezza dell'alleanza-salvezza risplenda in tutto e in tutti.

Uomini di scienza e credenti sanno che questo disegno non traspare dall'analisi scientifica o razionale degli elementi naturali macro- o micro-scopici e neppure dai principi e dalle forze naturali che li governano, ma è manifestato solo dalla parola divina, nella fede.6

4.2. Nuovo Testamento: cosmo, natura e storia Il messaggio del Nuovo Testamento segna ulteriori significativi avanzamenti. Dio

non si rivela più "attraverso" l'uomo, ma "come" uomo e "ne" l'uomo. L'evento di Cristo cuompleta l'alleanza, perfeziona la salvezza divina, inizia e anticipa il grande futuro finale. In lui lo stretto collegamento fra creazione e natura, storia e pienezza finale, viene ulteriormente consolidato. La lotta di Dio contro le forze del male, del pecccato, della distruzione e della morte assume maggiore intensità. Cristo è l'ultimo segreto e il culmine della creazione-rivelazione, la chiave che apre tutti i sigilli e consente la comprensione della storia e l'interpretazione della creazione. In lui esse appaiono, fin dagli inizi, strettamente unite nel progetto salvifico divino.7

A questo punto, è facile vedere come l'interpretazione del messaggio biblico-cristiano, elaborata nel contesto dell'antica cosmovisione prescientifica, astorica e statica, appaia immensamente più limitata e ristretta rispetto alla nuova interpretazione, elaborata nel contesto della cosmovisione scientifica, storica e dinamica.

Solo la seconda ha consentito di fare emergere la storicità e il dinamismo della creazione e della natura, insiti nella rivelazione biblica. La natura, nella creazione, appare pre-istoria o inizio della storia. L'uomo è radicato nella preistoria naturale e la natura è preistoria orientata all'uomo, in cui raggiunge una fase nuova e decisiva.

Sotto questo aspetto, la cosmovisione dinamica della cultura scientifica consente una comprensione più originaria di Genesi 1,31: "Dio vide che quanto aveva fatto era cosa molto buona". La cosmovisione statica prescientifica interpretava la parola "buono" nel senso greco, statico di "per-fetto". La cosmovisione dinamica postscientifica invece, facilita il recupero del senso ebraico, dinamico di "ad-atto al fine", ossia che si sforza di adeguarsi-alla piena salvezza divino-umana.

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5. Ruolo liberante dell'epistemologia e della scienza

Nell'impegno liberatore della scienza, epistemologia e storia delle scienze hanno svolto un ruolo decisivo. Lo ha riconosciuto lo stesso Giovanni Paolo II, nel suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, (1990). Dopo aver sottolineato la validità delle analisi storiche ed epistemologiche e riconosciuto la riflessione epistemologica come realtà importante, urgente e indissociabile dalla cultura scientifica, definì un grande avvenimento l'ammissione dell'epistemologia fra le discipline dell'Accademia.8

Anche la scienza riveste un ruolo liberante per la cultura, la religione e la stessa fede. Mediante la sua critica, de-costruisce le convinzioni e tradizioni infondate, mentre, con i problemi sollevati dalle sue ricerche, costringe fede, religione e teologia a riesaminare incessantemente le loro asserzioni e a liberarsi dai contenuti alieni e dalle concezioni estranee all'essenza del messaggio cristiano.

Ponendo il problema in questi termini, appare che i credenti, mediante il confronto con i problemi e le difficoltà sollevate dalla scienza, possono purificare la loro fede, comprenderla in modo sempre più adeguato ai tempi, renderla più autentica, significativa e profonda.9

6. Affinità e diversità di atteggiamento

Gli approfondimenti epistemologici hanno messo in luce che l'atteggiamento dell'uomo di scienza, anche a livello metodologico e razionale, non differisce molto da quello del credente. Scienza e religione muovono entrambe da specifici presupposti. Entrambe si misurano con eventi storici complessi e con profonde esperienze umane. Entrambe comportano un forte coinvolgimento personale.10

Naturalmente il confronto non evidenzia solo gli elementi affini, ma anche quelli differenti. Le differenze, tuttavia, non appaiono mai vere opposizioni, per cui risulta legittimo parlare dell'impegno scientifico e religioso come di vie affini e complementari, volte a conferire senso e significato, sia pur con modalità diverse, alle complesse esperienze umane.

Il credente, quindi, stimolato dalle problematiche sempre nuove, sollevate dalla scienza, si abitua a pensare a Dio e al suo operare in modi sempre nuovi e inediti. Collocata in questo vivo contesto culturale e problematico, la scienza assume nuovi aspetti. Appare sempre meno un "museo", per divenire sempre più un "cantiere". Il suo dinamismo la spinge a scoprire il significato della realtà, in forma autonoma, ma senza opporsi a religione, arte, filosofia, teologia. Anch'esse, infatti, nelle forme loro proprie, concorrono a indagare l'ambiente cosmico e storico, per comprenderlo e interpretarne gli ulteriori significati nel progetto di Dio.

Anche, per questa via, si scopre che l'apporto più significativo della scienza non consiste tanto nelle sue scoperte, prima o poi superate, ma nello spirito culturale che presiede alle sue ricerche e al suo quotidiano impegno di pazienza, ingegno e tenacia umana. Anche la sua è un'espressione di quell'impegno, che anima tutte le imprese umane autentiche: religione, filosofia, arte, ecc. Per questo il credente cristiano deve impegnarsi a liberarla dall'oblio del passato, dalle dispersioni del presente e dalle incertezze del futuro.

6.1. Cooperazione tra scienza e religione La riflessione fin qui condotta evidenzia che tutte le concezioni derivate dal

materialismo engelsiano, che intendono assegnare alla scienza il "controllo della natura mediante la sua comprensione", non ne hanno affatto compreso lo spirito, per cui la

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snaturano. Lo stesso va detto delle concezioni che ritengono la conoscenza della natura un fatto puramente impersonale e materiale, negando o dimenticando il ruolo dell'immaginazione e della creatività umana. Al riguardo, molti scienziati hanno testimoniato l'esperienza delle loro scoperte più importanti come illuminazioni interiori e improvvise: "la giusta idea mi venne inaspettatamente, senza sforzo, come un'ispirazione", "fu come un lampo rivelatore, qualcosa di nuovo, più semplice ed esteticamente soddisfacente di qualsiasi cosa creata nella mente", "qualcosa di rivelato e non di immaginato."11

I rapporti fra la realtà, l'impegno scientifico e quello religioso sono suggestivamente raffigurati nell'immagine della montagna e delle sue descrizioni. Ciascuna descrizione dice qualcosa di più, di meno o di diverso rispetto alle altre. Tuttavia la vera realtà della montagna rimane al di là di ogni descrizione che, in parte ci avvicina e in parte ci allontana da essa. Perciò, per conoscerla il più possibile, dobbiamo studiarle tutte, non escluderne nessuna e valorizzarne tutti gli apporti. Nonostante ciò, fino a che non vi saliremo, il più rimarrà sempre da scoprire.

Questa metafora suggerisce che nessun punto di vista umano può offrire l'intera visione della realtà, ma vi contribuisce per la sua parte, senza esaurirla. Scienza, filosofia, arte, religione, teologia, contribuiscono, ciascuna e tutte insieme, a decifrare qualcosa dell'immenso e inesauribile progetto di Dio. Perciò "dobbiamo coniugare le forze vive della scienza e della religione per preparare i nostri contemporanei ad accogliere la grande sfida dello sviluppo integrale che suppone competenze e qualità intellettuali, tecniche, morali e spirituali".12

7. Triplicità e circolarità di scienza e religione

Tra i vari confronti fra scienza e religione, uno ne sottolinea, in particolare, i caratteri comuni della "triplicità" e "circolarità". Triplicità indica tre momenti dell'esperienza scientifica e religiosa. Il primo momento, "descrittivo", riguarda la raccolta di osservazioni ed esperienze. Il secondo, "teoretico", riordina i dati raccolti, li rielabora e li ricollega con strutture simboliche e sistemi di concetti, correlazioni, ecc. Il terzo, "applicativo-trasformativo", applica e utilizza le acquisizioni dei precedenti momenti, descrittivo e teoretico, al fine di trasformare la realtà.13

La "circolarità" indica il continuo scambio dinamico, che intercorre tra questi momenti, integrandoli e arricchendoli reciprocamente. Triplicità e circolarità vengono considerati inseparabili e interdipendenti nel dinamismo sia scientifico che religioso.

Infatti, nella scienza e nella religione: a) le osservazioni e le esperienze costituiscono un punto di partenza fondamentale; b) le analisi critiche e le elaborazioni concettuali servono per ordinare e rendere comprensibili tali esperienze; c) le une e le altre vanno utilizzate per migliorare la realtà.

Quanto più i tre momenti funzionano e s'integrano, tanto più scienza e religione risultano valide. Per la fede cristiana il primo momento è costituito dalle esperienze e dagli eventi storici della salvezza biblico-cristiana, il secondo dalla teologia e il terzo dall'impegno spirituale, etico e sociale. La circolarità fra i tre momenti è essenziale per la loro stessa fecondità.14

8. Sintesi conclusiva

Le acquisizioni di questo capitolo sono particolarmente rilevanti, perché presentano la fede, la religione e la scienza, come poli di una nuova cultura nella quale la spiegazione scientifica delle "prime strutture nascoste" del reale può favorire la comprensione religiosa dei suoi "ultimi significati nascosti". La fede cristiana deve

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mediare i due momenti, orientandoli verso espressioni di amore e di speranza, scevre da tentazioni di potere.15

Sotto questo aspetto, gli eventi degli ultimi tre secoli rivestono un'importanza senza precedenti nella storia dell'umanità, costretta a passare da una visione ingenua della realtà a un'altra più realistica e consapevole. Abbiamo visto l'uomo scientifico de-costruire le immagini fantasiose e antropomorfe nelle quali l'uomo religioso interpretava l'esistenza. Abbiamo visto il generale smarrimento delle dimensioni umane e religiose che ne seguì, e lo sforzo di ri-pensare e ri-costruire un nuovo significato, senso, identità e destino religiosi, dell'universo, della storia e dell'umanità.

L'uomo scientifico-religioso sorretto dall'inesauribile dinamismo della sua fede seppe ricomporli nella nuova cosmovisione scientifica moderna e nell'orizzonte delle dimensioni colossali, dinamiche e sempre più complesse dell'universo. Seppe pure reinserire, nel contesto dei "processi naturali", senza tuttavia ridurli ad essi, la coscienza, lo spirito e la libertà che lo sospingono al suo inarrestabile impegno spirituale, storico e terreno, aprendolo alla speranza di un esito finale di amore ultrastorico e ultraterreno.

Collocata in questo contesto storico, la scienza svela il suo aspetto più significativo, nella domanda che la sospinge incessantemente alla ricerca della verità, senza poter mai sapere, prima, quale sarà il suo approdo. Questa sembra la sua intenzionalità più segreta e la sua anima più autentica, che la fede sente più vicina, affine e solidale.

1 E. Anati, R. Boyer, M. Delahoutre, Le origini e il problema dell'homo religiosus, Milano

1989. 2 G. Gismondi, Nuova evangelizzazione e cultura, Bologna 1993. 3 J.G. Barbour (Ed.), Science and Religion. New Perspectives on the Dialogue, New York

1968, 6-7; Id., Issues in Science and Religion, Englewood Cliffs N.J. 1966, 4-5, 12-13. Il dibattito culturale ha consentito: 1) di distinguere il Dio biblico-cristiano dal "dio" delle ambigue intepretazioni filosofiche; 2) di rivalutare le dimensioni profonde e il coinvolgimento personale propri della religiosità; 3) di riconoscere la legittimità, le diverse competenze e i significati specifici, l'un l'altro irriducibili del linguaggio religioso e scientifico. G. Gismondi, Umanesimo scientifico e pensiero cristiano, Rovigo 1982, 232.

4 E. McMullin, "Science and the Catholic Tradition", in Barbour, Science and Religion, 36-37.

5 McMullin, "Science and the Catholic Tradition", 41-42. 6 H. Berkhof, "Science and the Biblical Word", in Barbour, Science and Religion, 40-42.

Riguardo ai passi dell' Antico Testamento cf. per il progetto sull'umanità: Gn 1, 26-30, 2, 4-25 e 12,3. Per la storia: Es 23, 14-17; Dt 16, 1-17; Sal 19, 29, 65, 67, 74, 75, 89, 96, 104, 136, 147 148. Per il rapporto fra Dio e i fenomeni naturali: Gb 28; Sal 77,19. Per l'ordine della natura come pre-figura della fedeltà all'alleanza: Is 42,5; 51,9; Ger 31, 35-37.

7 Riguardo ai passi del Nuovo Testamento cf. per la resistenza del popolo all'alleanza: Mt 21, 33-39; At 7,1-53; Rm 7,7. Per la storia delle nazioni e della paziena divina: At 14,16; 17,30; Rm 3,25; 5; Gal 4,3. Per la lotta fra lo spirito e il potere delle tenebre, cf. l'Apocalisse e Mc 13; 2 Ts 2. Per Cristo mediatore della creazione cf. le tre tradizioni espresse in: Gv 1, (rivelazione della gloria divina); Col 1, (riconciliazione e riparazione); Eb 1, (purificazione dal peccato). Per la continuità fra i temi della creazione e della storia cf. Col 1,17; Eb 1,3. Per Gesù Cristo chiave di comprensione dell'intero universo e della creazione cf. il termine "primo" in Col 15, 17, 18.

8 Giovanni Paolo II, "Alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze", in L'Osservatore romano, 29-30 ottobre 1990, 7: "Per la prima volta si uniscono a voi degli specialisti di epistemologia. Auspichiamo che il loro contributo rafforzi ulteriormente gli studi epistemologici che i vostri Statuti propongono come una finalità dell'Accademia (cf. art. 2). Effettivamente la ricerca epistemologica s'impone sempre più come un'esigenza indissociabile dalla cultura scientifica. Sorgono interrogativi fondamentali sul come e perché della conoscenza

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scientifica. Via via che le discipline si specializzano, s'interrogano sempre più sulle conoscenze che si accumulano, sui rapporti del sapere scientifico con le capacità quasi illimitate dell'intelligenza umana ... Permettetemi di ripetervi che le vostre ricerche specializzate, che si prolungano nella riflessione epistemologica sul significato delle scienze, sono altamente apprezzate dalla Chiesa. I vostri studi testimoniano lo sforzo della ragione umana per esplorare meglio la realtà e scoprire la verità in tutte le sue dimensioni. È un servizio necessario e urgente".

9 Berkhof, "Science and the Biblical Word", 52-53. 10 C.A. Coulson, "The Similarity of Science and Religion", in Barbour, Science and

Religion, 69. 11 Tra essi i fisici Helmholtz, Bragg, Rutherford, il chimico Kekulé e altri. Cf., Coulson,

"The Similarity of Science", 74-75. 12 Giovanni Paolo II, "Alla Plenaria", 7. 13 Alcuni hanno negato l'aspetto applicativo e trasformativo delle scienze pure, in base a una

loro diversità da quelle applicate. Oggi i più ritengono questa distinzione artificiosa e indimostrabile.

14 H.K. Schilling, "The Threefold Nature of Science and Religion", in Barbour, Science and Religion, 98-100.

15 McMullin, "Science and the Catholic Tradition", 41-42.

12. FEDE E CULTURA SCIENTIFICA

1. Cenni introduttivi L'esame fin qui condotto, dei più importanti problemi della ricerca e della cultura

scientifica, ci consente, ora, di affrontare direttamente il tema specifico propostoci: il rinnovato dialogo fra "fede e cultura scientifica". Come già avevamo accennato, esso dovrà differire dal vecchio confronto "fede-scienza". Vorremmo trattare questo aspetto in modo approfondito e organico.

2. Discorso scientifico e discorso religioso Il punto di partenza riprende quanto abbiamo visto riguardo ai linguaggi, ossia che

ogni confronto, per essere corretto, deve avvenire sempre fra proposizioni appartenenti a uno stesso linguaggio (scientifico, filosofico, artistico, religioso, ecc). Nel confronto fra fede e scienza, invece, si ponevano a confronto linguaggi diversi ed eterogenei. Da un lato quello ordinario o religioso, dall'altro quello scientifico, non comparabili direttamente fra loro. In ogni caso non erano affato in gioco né la fede (o la religione) né la scienza in quanto tali, ma delle espressioni inguistiche che si riferivano all'una o all'altra. Ecco perché la stessa espressione: "rapporto fra fede e scienza" appare inesatta, errata ed equivoca sotto ogni aspetto e dovrebbe venire abbandonata.

Tuttavia, l'aspetto linguistico costituisce soltanto una parte del problema, per cui dobbiamo passa da esso a quello delle realtà espresse dal linguaggio: la fede e la scienza. Anch'esse, in quanto tali, sono estremamente diverse. La fede è un profondo atteggiamento vitale che afferra tutta la persona. Pertanto il suo linguaggio descrive situazioni personali globali, atteggiamenti vitali, concreti e profondi, esperienze personali e comunitarie, eventi storici totali che coinvolgono pienamente l'esistenza.

Al contrario, la scienza moderna, come esercizio professionale, rappresentò un'attività primariamente conoscitiva e settoriale. Pertanto il suo linguaggio era astratto, concettuale, teorico e protocollare, e tendeva alla descrizione formale di alcuni aspetti limitati della realtà sensibile. Al più alto livello, le affermazioni scientifiche erano formulate da ricercatori tenuti a rispettare rigorosamente la loro terminologia specifica e le regole linguistiche convenute nell'ambito della loro disciplina, per esprimere ipotesi, teorie, metodi, leggi, risultati, ecc.

Tutto ciò differenziò il suo linguaggio da ogni altro: Tale differenza permane anche per termini che appaiono eguali e che perciò costituiscono occasioni di gravi ambiguità e malintesi (ad es. inizi, origini, cause, eventi, natura, ecc.).

Fra la realtà e i linguaggi che la descrivono non vi sono solo "distinzioni", ma anche vere e proprie differenze. Le descrizioni non sono mai la realtà. Si ricordino, al riguardo, i due esempi già analizzati della "minestra" e della "montagna".

Ciò, tuttavia, non esaurisce ancora il problema. Infatti, le espressioni scientifiche, come tutte le altre espressioni umane, linguistiche o meno, sono limitate, condizionate e inficiate da errori e imprecisioni di ogni tipo: linguistiche, logiche, concettuali, culturali, ideologiche, filosofiche, ecc. Tali errori possono essere scoperti solo in seguito a controlli estenuanti e, soprattutto, mediante il confronto con altre espressioni ed esperienze. Questo vale tanto per la scienza che per ogni altra disciplina o discorso: ordinario, artistico, letterario, filosofico, etico, religioso, teologico, ecc.

Gli equivoci sul confronto diretto fra asserzioni scientifiche e religiose derivarono dal non conoscere, o non tenere nel debito conto, questa complessa realtà. Come abbiamo visto, gli scienziati della prima generazione erano tutti dei credenti convinti, che sapevano tenere ben distinti i due ambiti, per cui non videro alcun contrasto fra i

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risultati della loro attività scientifica e la loro fede e non ebbero alcuna difficoltà nell'inserire le loro straordinarie scoperte, nel quadro delle loro concezioni morali e religiose.1

La situazione cambiò successivamente, non tanto in seguito al conflitto con Galilei, ma per l'eccessivo entusiasmo sollevato dai risultati iniziali della scienza. I razionalisti, assai critici verso la metafisica e le religioni, furono invece del tutto acritici nell'assolutizzare la scienza (scientismo), travisandone la natura, il significato e i ruoli. Questo travisamento ricadde pure sugli operatori scientifici. Ne rimasero immuni soltanto i sommi scienziati, dotati di eccezionale acume speculativo e critico. Ad essi si devono le più interessanti riflessioni critiche "sulla" scienza che costituirono le prime basi del pensiero epistemologico. Nessuno di essi accettò lo scientismo, molti vi si opposero, ma con scarso seguito.2 Soltanto nella seconda metà del secolo XIX, le nuove acquisizioni scientifiche diedero ragione alle loro riserve e attirarono l'attenzione sui loro rilievi critici, aprendo la grande stagione dell'epistemologia.

3. Dal confronto diretto a quello indiretto I credenti, nella difficile situazione storica, sociale, politica e culturale dei secoli

XVIII e XIX, e nel clima di crescente anticlericalismo, areligiosità, agnosticismo e ateismo, per difendere le loro credenze, accettarono la sfida, negli stessi identici termini in cui veniva loro posta, senza rendersi conto che ciò era un grave errore. Pertanto accettarono lo scontro immediato e diretto, mettendo sullo stesso piano le asserzioni di tipo scientifico e le asserzioni di tipo religioso della fede biblico-cristiana e interpretando il tutto come "conflitto fra fede e scienza" senza meglio precisare.3 In mancanza di un'epistemologia e di una storia della scienza intese nel senso attuale, le due parti non percepirono l'artificiosità e inconsistenza del presunto conflitto.

Occorsero notevoli tempi e sforzi prima di riconoscere che non vi è alcuna possibilità di confronto diretto fra "scienza" e fede e che, comunque, esso avviene solo fra asserzioni o proposizioni a carattere più o meno scientifico e più o meno religioso. Va insistito sul "più o meno", perché una distinzione esatta dei linguaggi è sempre molto difficile. Pertanto, i due discorsi, religioso e scientifico, non sono direttamente comparabili e, comunque, non consentono reciproci giudizi o censure.

In verità, i principi teologico-esegetici per impostare correttamente il confronto, erano stati formulati molto tempo prima di Galilei, che ne era bene al corrente e li espose chiaramente nelle lettere a Dom Benedetto Castelli e alla granduchessa Cristina di Lorena.4 Essi, però, vennero disattesi o dimenticati. Le conseguenze sono note.

4. Dal confronto con la scienza al dialogo con la cultura scientifica Dopo quanto detto, appare che il vero confronto avviene solo a livello della persona

umana e, in linguaggio traslato, della cultura, intesa nel suo senso più ampio, nel nostro caso, la cultura scientifica. Il problema, così impostato, rivela un vastità e una profondità assai maggiori di qualsiasi confronto diretto fra affermazioni linguistiche dei due campi.

Ciò viene ampiamente confermato anche dalle profonde istanze espresse dagli attuali uomini di scienza, nell'inchiesta che abbiamo analizzato nel secondo e terzo capitolo. Essi insistono per un confronto focalizzato sui grandi temi e problemi euristici, etici e sociali, sollevati dalle ricerche e dagli attuali interventi di bio-ingegneria e bio-genetica sull'uomo e sulla specie. Questo ampio contesto problematico è un ottimo esempio di ciò che intendiamo esattamente come "cultura scientifica". Posto il problema in questi termini, pensiamo che la distinzione fra "scienza" e "cultura scientifica" abbia un valore determinante.

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Il vasto ambito tematico della cultura scientifica coinvolge pure i problemi dell'autocomprensione dell'uomo, della visione del mondo e della storia, dei significati ultimi e globali della persona umana e della sua esistenza. Questi problemi riguardano da vicino l'intero messaggio salvifico cristiano, che è ciò che intendiamo col termine "fede". Pertanto questo è il vero terreno del dialogo e del confronto perché valorizza e privilegia "le problematiche umanamente, culturalmente ed eticamente significative" (cultura scientifica) che emergono dai problemi sollevati dalla ricerca (scienza nel senso corrente).

Nei capitoli precedenti abbiamo visto le molteplici forme di approccio e di dialogo elaborate, al riguardo, dal pensiero cristiano. Una è stata l'analisi delle affinità, analogie, differenze e distinzioni intercorrenti fra la ricerca scientifica e la ricerca religiosa e fra gli atteggiamenti personali dei credenti e dei ricercatori. Un'altra è stata l'umanesimo scientifico, che considera le conseguenze umane ed umanistiche dell'impegno scientifico.5 In questo capitolo sottolineamo, in particolare, il nuovo rapporto dialogico che consiste nel valorizzare, mediante il dialogo transdisciplinare, le analisi critiche, storiche, epistemologiche, filosofiche e teologiche "sulle" e "delle" conoscenze scientifiche, sulle loro componenti particolari e sui loro presupposti filosofici, ideologici, metodologici, logici, linguistici, ecc., al fine di ricavarne le maggiori implicazioni euristiche, metafisiche, religiose, etiche, sociali e teologiche.6

Esso sintetizza il significato e la finalità di tutto questo libro.

5. Il confronto diretto Chiariti questi punti fondamentali, torniamo ad analizzare il vecchio confronto

immediato e diretto fra le affermazioni delle scienze e della fede, che appare tuttora seguito in parecchi ambienti. Esso non offre molte scelte. I credenti vi possono cercare le "conferme" alla loro fede, mediante le scoperte scientifiche (concordismo), oppure vi possono contestare la scienza dimostrando che la fede ha ragione (apologetica) e le scienze hanno torto (controversia). Tutti questi atteggiamenti, però, appaiono destinati a congelare o esasperare il conflitto, anziché orientarlo verso soluzioni costruttive.

I residui di questa mentalità abbondano a tuttoggi: Ne sono esempi le discussioni: sul "big bang" come prova o meno della creazione del mondo; sull'ordine e sulle leggi naturali come dimostrazione o meno dell'esistenza, della sapienza e dell'onnnipotenza di un ordinatore divino; sulla bellezza delle particelle elementari come prova o meno della bellezza e dell'intelligenza divina; sulla breve durata delle stesse per dimostrare o meno la contingenza della materia; sul confronto fra le descrizioni bibliche della creazione e i dati paleontologici o le teorie evoluzioniste; sull'entropia come conferma o meno della fine del mondo, e così via. La scarsa attendibilità di esso traspare dal fatto che ogni "scoperta" che per alcuni è una "prova" della fede, per altri è una ragione valida per negarla, e viceversa. Ciò che per alcuni è una soluzione, per gli altri costituisce un problema ancora maggiore, e viceversa.

Infine, come abbiamo visto, non vi è asserzione scientifica che non possa venire confutata, o contraddetta o mutata, per cui ogni "scoperta" può essere confermata, neutralizzata o contraddetta da un'altra che, a sua volta, verrà confermata o neutralizzata o contraddetta da un'altra e così via, con una pendolarità interminabile che non consente mai di giungere a una conclusione (effetto altalena).

Immiserire o isterilire le grandi ricchezze della fede e della cultura scientifico in questa squallido e inconcludente giochetto di altalena, non sembra una scelta troppo saggia. Pertanto, ci auguriamo che, dopo quanto esposto, il lettore sappia valutarne la fragilità, l'ambiguità e comunque l'inconcludenza.

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6. Gli ambiti problematici della cultura scientifica Di tutt'altro ordine, invece, è il discorso cha abbiamo fatto riguardo ai problemi che

le scienze sollevano, ma non possono risolvere da sole. Questo è veramente un punto cruciale, di cui parlare serenamente e seriamente, poiché riguarda fatti che tutti gli operatori scientifici possono constatare nella loro attività quotidiana come emergenti, immediatamente e direttamente, dalla loro attività professionale. Tali problemi sono di natura rigorosamente scientifica. Pertanto non vanno confusi con quelli che abbiamo analizzato nei precedenti capitoli, derivanti dall'analisi storica ed epistemologica delle scienze. Essi non vanno neppure confusi con i grandi problemi dell'ultimità del tipo: chi siamo, di dove veniamo, dove andiamo, che cosa dobbiano fare, che senso hanno l'universo, la vita umana, ecc., che riguardano la filosofia, la metafisica, le religioni, l'etica e la teologia.

Si tratta invece d'importanti problemi che le scienze vedono sorgere dal loro interno e che non possono risolvere né spiegare con i loro principi, metodi e logiche, perché trascendono le loro capacità di spiegazione, di comprensione e d'interpretazione. Essi riguardano in particolare: 1) ogni tipo di esistenza in quanto tale; 2) l'esistenza di questo universo descritto dalle scienze naturali; 3) l'esistenza della vita rilevata dalle scienze biologiche; 4) l'esistenza dell'io, (persona e personalità) studiato e descritto dalle scienze umane e sociali; 5) i problemi della libertà individuale, emergenti all'interno dei determinismi dell'universo fisico; 6) le disarmonie e i dualismi relativi al male, dolore e disordine messi in luce dalle scienze antropologiche e mediche.

Questi problemi, che si aggiungono a quelli che abbiamo analizzato nel secondo e terzo capitolo, oggi vengono riconosciuti significativi dagli stessi ricercatori e costituiscono l'occasione e i contenuti per un dialogo trans-diciplinare aperto a tutti gli approfondimenti storico-scientifici, epistemologici, ermeneutici, filosofici e teologici. Infatti, richiedono molteplici livelli di comprensione e d'interpretazione. Poiché essi emergono dalla stessa esperienza della ricerca, costituiscono, per gli operatori scientifici, l'occasione più importante per un approfondito e abituale dialogo filosofico, religioso e teologico.

6.1. I problemi sollevati dalla scienza Per capirne meglio il valore dobbiamo ricordare che, secondo l'ideologia scientista,

la scienza doveva risolvere tutti i problemi dell'umanità. Al contrario, essa ne ha creato sempre dei nuovi, di crescente complessità e significato, che valicano le sue possibilità.7 La riflessione epistemologica ha spiegato le ragioni di questo fenomeno. La prima è che le scienze sono indispensabili per raggiungere conoscenze parziali, limitate e ristrette, ma non sono in grado di offrire una conoscenza generale della realtà e una spiegazione dei suoi problemi globali.8 La seconda è che le realtà che le scienze non possono né verificare né controllare si sono dimostrate le più significative e decisive per l'uomo, la società e la cultura. La terza è che solo alcuni aspetti delle cose possono essere spiegati scientificamente, mentre la loro esistenza può essere soltanto riconosciuta dalle scienze ma non spiegata. La quarta ragione è che gli operatori scientifici constatano, quotidianamente, che molte cose e avvenimenti che sono logicamente e teoricamente possibili dal punto di vista scientifico, non esistono né accadono.

Tutti questi fatti pongono le scienze in continuo contatto con realtà di cui riconoscono l'esistenza, l'intima razionalità, la coerenza e l'esigenza di una causa e di una spiegazione adeguate, che esse non, però, possono dare né trovare. Di tutte queste realtà, esse conoscono esattamente le "cause fisiche", descrivono e misurano le sequenze di eventi fisici, nel tempo e nello spazio, il che impedisce o confuta ogni tentativo di ipotesi magiche, occultistiche e fantascientifiche.

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Le conoscenze scientifiche si svolgono, quindi, fra due rigorosi confini. Da una lato i loro "presupposti metascientifici", indimostrati e indimostrabili, che le rendono possibili. Dall'altro i "problemi metascientifici", da loro sollevati ma non da loro non risolvibili e gli "interrogativi metascientifici", che pongono senza potervi rispondere.

Ciò che spazia oltre questi rigorosi "confini" rappresenta, invece, l'ambito del discorso normale, filosofico, religioso e teologico, tutt'altro che irrilevante o inesistente per l'uomo, la cultura e la stessa scienza.

6.2. I confini invalicabili della scienza Come abbiamo visto, gli operatori scientifici sanno che la scienza può descrivere i

fenomeni, come serie di sequenze causali e supporre che tali sequenze siano reciprocamente connesse ad opera di leggi naturali. Lo scopo della ricerca scientifica è quello di individuare queste leggi e di capire come funziona questo universo, senza peraltro riuscire a giustificarne l'esistenza rispetto a tutti gli altri mondi possibili. In senso epistemologico e gnoseologico questo fatto non costituisce soltanto un problema scientificamente insolubile, ma molto di più.

Esso indica pure un "limite invalicabile" per la scienza, costituito da ciò che essa constata e deve accettare, senza poter spiegare e giustificare in modo convincente. Ciò comporta pure l'ammissione che l'universo da essa indagato, la sua struttura matematica e il suo ordine, non sono obbligatori e necessari, ma sono il frutto di una scelta.

Quindi, la più rigorosa razionalità esige una causa dell'universo diversa da quella che può essere la struttura matematica dell'universo stesso. La scienza può soltanto reclamarla senza poterla dare, perché essendo "chiusa nel suo sistema esplicativo, non può uscirne".9

6.3. Le aporie della ricerca scientifica Alcuni dei maggiori problemi attuali provengono proprio dalle due scienze che

originarono il conflitto: la fisica e l'astronomia, a proposito dei due estremi del "micro-cosmo" (particelle elementari infinitamente piccole) e del "macro-cosmo" (immensi sistemi galattici). Nell'infinitamente piccolo, particelle inafferrabili e onde vanificano ogni tentativo di focalizzare con precisione la loro elusiva identità. Nell'infinitamente grande, l'immensità materiale sembra svanire nel nulla. Quindi, dalle intime radici dell'essere alle sue estreme propaggini, la certezza scientifica svanisce.10

Inoltre, la ricerca subatomica, che va ben oltre i limiti della conoscenza sensibile, si rifà ad interpretazioni immateriali nelle quali alla fisica subentra la meta-fisica. Quindi il progetto moderno di raggiungere i "pilastri dell'universo" porta a riconoscerne la natura non più fisica, ma meta-fisica. Il cosmologo McCrea ha sottolineato, al riguardo che, osservando le regioni più remote dell'universo, ricaviamo informazioni sempre più incerte sui suoi stadi iniziali, per cui dobbiamo dipendere, sempre più, dalle nostre deduzioni razionali, al fine completare ciò che ci è impossibile ottenere da osservazioni ed esperimenti.

Le scienze contemporanee, quindi, dimostrano la loro impossibilità di conoscere, in modo esaustivo, la stessa limitata porzione di realtà di cui si occupano. Esse, tuttavia, dimostrano pure che il pessimismo agnostico di Spencer e del suo famoso "ignorabimus" (non sapremo mai) non appare fondato. A questo proposito valgono alcuni esempi. Fondandosi sui microscopi ottici, alcuni teorizzarono un "limite insuperabile della visibilità", che fu aggirato, invece, con l'invenzione dei microscopi elettronici e protonici. L'impossibilità di conoscere la composizione dei corpi celesti, sostenuta da Comte fu smentita, invece, dall'invenzione dello spettroscopio.11

Pertanto, oggi, molti uomini di scienza ritengono che la ricerca contemporanea presenti numerose acquisizioni convergenti verso una cosmologia unitaria e un inizio. Tra esse vi sarebbero: le "costanti fisiche"12 matematicamente ben definite, le "leggi e

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principi universali"13 (gravitazione,14 conservazione della materia,15 elettrodinamica,16 degradazione dell'energia,17 ecc.); le "grandi teorie unitarie"18 (elettromagnetismo di Maxwell,19 teoria dell'energia cinetica,20 teoria dei comportamenti termodinamici della materia,21 teoria chimica di Mendeleyeff22 fisica nucleare,23 ecc.) e la "teoria dell'evoluzione"24 (mondo biologico mosso dal suo interno).

Tutto ciò condurrebbe a un progetto che vien da lontano, di cui la scienza ignora finalità, traguardi e gran parte dei meccanismi, ma di cui percepisce sempre più la "immensa complessità" e la "programmazione", condensate nel cuore di una cellula e nel codice genetico di ogni vivente. Pure nelle matematiche emerge una convergenza unitaria, per cui una singola formula può contenere infinite figure geometriche e ipergeometriche, dalle più semplici alle più complesse. Si tratterebbe di un esempio di come un concetto semplice e unitario possa concentrare una moltitudine di entità estremamente differenti. Altri esempi significativi derivano da realtà ritenute contraddittorie (energia-massa, spazio-tempo, corpuscoli-onde) che risultano, invece, conciliabili in sintesi di ordine superiore.

Questi e numerosi altri esempi fanno ritenere, a molti operatori scientifici, che solo un fondamento che trascende i sensi, pur rimanendo loro inaccessibile, consente al campo delle forme matematiche e delle realtà sensibili di raggiungere un'unità che sarebbe inconcepibile senza tale trascendenza.

Quanto descritto in questo paragrafo evidenzia l'attualità di un annuncio di fede, riguardo alla creazione di un simile universo, ontologicamente contingente, che consente di supporre come un pensiero divino, capace di abbracciare, in un atto unico e semplicissimo, la totalità dell'esistente e del possibile, sia tutt'altro che insignificante o assurdo.

7. Sintesi conclusiva Dalla rassegna delle acquisizioni "della" scienza e "sulla" scienza, illustrate nel

corso del volume, ricapitoliamo qui alcuni punti che ci sembrano particolarmente utili per una valutazione equilibrata della cultura scientifica, che armonizzi il senso critico dei suoi limiti con la realistica consapevolezza delle sue potenzialità, ai fini di un proficuo dialogo. Essi sono i seguenti:

1. Le affermazioni scientifiche non sono semplici descrizioni oggettive e neutre della realtà, ma composizioni di termini, concetti, immagini, simboli, ipotesi, logiche, teorie, linguaggi, ecc., ossia complessi sistemi linguistici condizionati da ogni genere di presupposti da individuare e interpretare. È normale che contengano pure limiti, ambiguità ed errori inavvertiti, che solo col tempo potranno essere individuati e corretti. Del resto la storia dimostra che risultati esatti possono conseguire anche da premesse false o errate.

2. Le proposizione scientifiche vanno interpretate in riferimento alle problematiche storico-culturali cui si riferiscono e ai contesti in cui furono formulate, fuori dei quali risultano ambigue e non correttamente interpretabili.

3. Le rappresentazioni scientifiche sono descrizioni simboliche della realtà, da non confondere con la realtà stessa.25

4. Le scienze sollevano problemi di elevato significato euristico che non possono risolvere con i loro metodi esplicativi, rendendo necessaria un'apertura ad altri approcci cognitivi e ad altri ambiti di riflessione e verifica quali la filosofia, l'etica, la religione e la teologia.

5. L'eccessiva frammentazione specialistica rende le acquisizioni scientifiche parziali, unilaterali, estranee le une alle altre. Di qui l'esigenza di un continuo dialogo

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trans-disciplinare, che comprenda pure la storia delle scienze, l'epistemologia e la filosofia.

6. Il rigore delle scienze formali (logica e matematica) si limita al rispetto delle procedure che conducono dalle premesse alle conclusioni, ma il loro carattere assiomatico non consente loro il controllo dei propri fondamenti e presupposti. La verifica dei loro fondamenti conduce ad asserzioni non dimostrabili né vere né false.

7. Il dato scientifico non esprime la realtà, ma una sua lettura (interpretazione) condizionata da determinati e specifici presupposti.

Questi caratteri, contrassegnano tutte le discipline (scientifiche, filosofiche e teologiche) per cui le pongono in condizioni di vera parità. Ciò è di estremo valore, rendendo possibile un approfondito dialogo transdisciplinare che non escluda i grandi temi indicati in questo e nei tre precedenti capitoli.

1 G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico,

Rovigo 1980, 136; Cf. L. Lenoble, "Origines de la pensée scientifique moderne", in Encyclopédie de la Pléiade, Histoire de la science, Paris 1967, 505-507, 529-530.

2 J.B. Conant, Modern Science and Modern Man, New York 1952. 3 Per l'esattezza, religione e fede non sono uguali e i due termini non sono intercambiabili.

Tuttavia, limitandoci al nostro contesto, possiamo usarli come sinonimi. 4 Cf. le due lettere a Dom Benedetto Castelli e alla Granduchessa di Toscana. Cf. P. Poupard

(a cura di), Galileo Galilei, 350 anni di storia, Roma 1984. Si tratta dei principi già formulati da S. Agostino, ripresi nelle encicliche Spiritus Paraclitus, Providentissimus Deus, Divino Afflante Spiritu e nella Costituzione conciliare Dei Verbum. Essi distinguono con precisione i principi linguistici che presiedono ai due ambiti.

5 G. Gismondi, Umanesimo scientifico e pensiero cristiano. Le potenzialità umanistiche della scienza, Rovigo 1982.

6 G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica. Dalla critica delle scienze all'umanesimo scientifico, Torino 1978.

7 Cf. B. Cohen, Franklin and Newton, Philadelphia 1956; R. Rupert Hall, The Scientific Revolution,(tr. it. Milano 1976).

8 Cf. J.W.N. Sullivan, The Limitations of Science, New York 1960. 9 F. Jacob, La logica del vivente, Torino 1971, 377. 10 V. Arcidiacono, "Scienziato", in Nuovo dizionario di spiritualità,1386-1389, 1395-1400. 11 Spettroscopio, in fisica, strumento che permette di produrre e osservare visualmente (su

uno schermo o con un piccolo cannocchiale) gli spettri delle radiazioni luminose, che possono pure essere fotografati (spettrografo). Spettro, in fisica, ciò che appare quando si scompone un raggio luminoso nei singoli componenti e, per estensione, l'ordine in cui si dispongono gli elementi che derivano dalla scomposizione di qualsiasi energia (raggiante, sonora, ottica elettrica, magnetica, nucleare). In molti casi gli spettri consentono di risalire agli elementi che compongono la sostanza che li ha emessi.

12 Costante, fisica, grandezza cui si attribuisce un valore invariabile in un formula o nell'equazione che esprime una legge. Tali costanti sono ad esempio: l'azione, la gravità, la carica elettrica elementare, la velocità della luce, ecc.

13 Leggi e principi universali, che dovrebbero essere validi per tutto l'universo. I progressi della fisica atomica e subatomica e l'affermarsi della teoria della relatività hanno imposto una profonda revisione dei concetti donde traevano origine talune proprietà (estensione, impenetrabilità, peso, conservazione, ecc.) prima considerate universali.

14 Gravitazione, forza di attrazione che esiste tra due corpi qualunque, dotati di massa.

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15 Riguardo alla materia, fino al secolo XIX i fisici ritenevano di potere giungere, un giorno,

a determinarne l'intima struttura. Ormai, per numerose ragioni, ne dubitano fortemente e si accontentano di interpretazioni limitate e provvisorie, per scopi pratici. "Principio di conservazione della materia" è una dizione impropria. La sua forma corretta è "conservazione della massa". Come tale: a) in fisica classica è un principio che postula l'invariabilità della massa di un dato sistema materiale (punto, insieme di punti, corpo continuo o sua generica parte) durante un suo qualsiasi moto, quali che siano le azioni cui esso è soggetto; b) in fisico-chimica significa che durante tutte le possibili trasformazioni di un sistema chimico la massa totale rimane costante. I progressi della fisica atomica e subatomica e l'affermarsi della teoria della relatività hanno imposto una profonda revisione dei concetti donde traevano origine talune proprietà (estensione, impenetrabilità, peso, conservazione, ecc.) fino a ieri considerate peculiari e caratteristiche della materia. In realtà alcune di esse perdono significato quando riferite a particelle di grandezza atomica e subatomica, per cui non si ha ragione di ritenerle valide come le concepiamo per i corpi a dimensioni ordinarie,

16 Elettrodinamica, termine con cui si indica la teoria globale dei fenomeni elettrici e che sostituisce il tradizionale termine elettromagnetismo. Essa si occupa dei reciproci rapporti fra correnti elettriche e campi magnetici, cioè tra i campi prodotti da cariche elettriche in movimento, e studia le forze che tra essi si generano.

17 Degradazione dell'energia, in fisica, passaggio di energia da forme superiori (elettrica, meccanica, ecc.) a energia termica, o di energia da temperatura più elevata a temperatura più bassa. L'energia termica è una forma di energia nella quale tendono a trasformarsi tutte le altre forme di energia, pertanto è considerata come una energia di qualità inferiore.

18 "Grandi teorie unitarie", sono le teorie relativistiche che si ripropongono di riportare a un unico principio i fenomeni gravitazionali e i fenomeni elettromagnetici, costruendo un unico modello geometrico dei due campi. Il modello così costruito consente una completa e unitaria interpretazione geometrica di tutti gli enti e fenomeni, insieme gravitazionali ed elettromagnetici. Tuttavia a tutt'oggi, non è facile giudicare il valore e il significato fisico di tale modello.

19 Maxwell con le sue "equazioni" riuscì ad esprimere le proprietà fondamentali del campo elettromagnetico rivelatosi unico, in cui, però, i fenomeni elettrici e magnetici s'influenzano reciprocamente e continuamente. Gli studi e sviluppi (Hertz, Michelson, Einstein) delle sue equazioni condussero alla teoria della relatività. A loro volta le critiche di Planck, Bohr e Eisenberg, condussero alla scoperta della meccanica quantistica i cui principi generarono l'elettrodinamica quantistica. Abbiamo, così, un'elettrodinamica classica e una quantistica, che spiegano fenomeni diversi, tuttavia presentano pure problemi, limiti, risultati incoerenti, contraddizioni e divergenze difficilmente eliminabili.

20 Energia cinetica, o di movimento, indica il lavoro che deve essere fatto su un corpo in moto, per arrestarlo.

21 Termodinamica, parte della fisica che studia le leggi relative a scambi o conversioni di energia, sia sotto forma di lavoro che sotto forma di calore, tra corpi o sistemi termodinamici. In forma semplificata e meno esatta si dice che si occupa delle trasformazioni di calore in lavoro e viceversa.

22 D.J. Mendeleyeff (o Mendeleev) (1834-1907), noto per importanti contributi alla chimica, di cui il più noto è l'ideazione del sistema periodico degli elementi, pilastro della sistematica chimica e dello studio delle proprietà degli elementi.

23 Fisica nucleare, parte della fisica che studia i nuclei atomici e le loro interazioni, con particolare riferimento alla produzione di energia nucleare.

24 Evoluzione, teoria secondo la quale gli organismi attualmente viventi sarebbero progressivamente derivati da forme più semplici nel corso di un processo che dura da centinaia di milioni d'anni. Essa pone due ordini di problemi non ancora risolti: l'individuazione delle sue prove e dei mecccanismi che ad essa presiedono.

25 Vedi il pittoresco paragone di Einstein: "la descrizione della minestra non è la stessa cosa della minestra" e l'esempio della "montagna" e delle sue "dscrizioni".

13. RAGIONI DEL DIALOGO TRA FEDE E CULTURA SCIENTIFICA

1. Alcuni risultati della ricerca

La riflessione finora sviluppata intendeva mettere in luce lo spessore culturale della scienza, il significato della cultura scientifica nel contesto storico e spirituale dell'umanità e le ragioni di un suo costruttivo dialogo con la fede. Gli elementi accertati sono numerosi e di grande rilievo. Qui non li riprenderemo, essendo stati commentati nelle conclusioni dei vari capitoli, ma svolgeremo soltanto alcune riflessioni.

Abbiamo constatato che è impossibile considerare le acquisizioni scientifiche (discorso della scienza), indipendentemente dalle acquisizioni storiche, epistemologiche e filosofiche volte a capirle e valutarle (discorso sulla scienza). Abbiamo pure visto che il mondo della scienza esercita un impatto continuo sulle persone, la cultura e la società, trasformandone i valori, gli atteggiamenti, i comportamenti e i modelli di vita. Inoltre, fede e religiosità sono particolarmente coinvolte da questo impatto personale e culturale.

Di qui nasce l'esigenza di passare dal vecchio confronto diretto fede-scienza, a un più ampio contesto di dialogo fra la fede e le manifestazioni della cultura scientifica. L'itinerario percorso ci ha mostrato la complessità della cultura scientifica e, quindi, la vastità dei problemi del dialogo.

2. Trasformazioni postmoderne e nuovi atteggiamenti dei credenti

L'analisi delle componenti della scienza ci ha consentito di scandagliare le ragioni storiche e logico-concettuali che fanno variare i modelli della scientificità. Quindi, ipotizziamo nuovi modelli, più adeguati alle nuove sfide della complessità, della maturazione delle coscienze e dei grandi problemi sociali e culturali dell'umanità. Al riguardo, costituisce un segno di speranza, lo sviluppo, fra gli operatori scientifici, di interrogativi, problematiche e istanze di approfondimenti etico-morali e di valori trascendenti, emergenti dalle ricerche più avanzate. Esse trovano, oggi, condizioni più favorevole di approfondimento, grazie agli attuali sviluppi storico-scientifici, epistemologici e filosofici.

La cultura scientifica moderna ha accumulato un immenso patrimonio di esperienze delle scienze e riflessione sulle scienze, da sottoporre a una crescente elaborazione e valutazione storica, epistemologica, metodologica, filosofica, etica e teologica. Si tratta di una ricchezza che nessuna precedente generazione ebbe a sua disposizione, da cui dobbiamo far emergere i dati culturalmente e umanamente più rilevanti.

La valorizzazione di questo patrimonio culturale è ormai indispensabile per interpretare correttamente le componenti fondamentali, i valori e i significati della cultura scientifica. Esso trasforma radicalmente la vita umana e ha mutato il contesto in cui, nei secoli passati, si era sviluppato il presunto conflitto fra scienza e fede. Oggi sappiamo che quel conflitto derivava solo dalla diversità di cosmovisioni o "immagini dell'universo" antiche e moderne. Sappiamo pure che esse sono numerose, provvisorie, mutevoli, storicamente datate, culturalmente condizionate e che ogni nuova scoperta o teoria può dar luogo a un'altra di esse. Perciò non vanno né drammatizzate né enfatizzate, ma considerate come cornici o scenari culturali entro i quali si collocano le esperienze religiose e le realtà della fede, che non vanno assolutamente confuse con esse.

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Cade lo "scandalo" per i pseudo-conflitti passati, mentre l'interesse si sposta su temi più urgenti e incisivi, come i problemi sollevati dalle scienze in grado di compiere interventi sempre più incisivi sulle persone e sulla specie, oppure dalle scienze dell'intelligenza artificiale e le loro conseguenze su persone e società, oppure dalla scoperta della complessità. La consapevolezza degli urgenti e delicati problemi etico-morali implicati, provoca interesse e apre la strada a valori trascendenti, che si pensavano definitivamenti eliminati dall'ambito scientifico. Pertanto, il dialogo fra fede e cultura scientifica sembra catalizzato, oggi, da queste "urgenze".

Perciò, la nuova situazione culturale rafforza l'esigenza di non tornare ai vecchi confronti diretti, ma di procedere per la via delle verifiche critiche della scienza, analizzate nei precedenti capitoli: personale, storica, epistemologica, metodologica, umanistica, filosofica, etica e teologica.

Questo itinerario esige, che i credenti impegnati nel dialogo comprendano in profondità i dinamismi della cultura scientifica e del loro influsso sugli atteggiamenti personali e sociali. Solo in questo modo potranno esercitare un genuino discernimento evangelico e fomulare convincenti proposte etiche e teologiche.

3. Scienza e trascendenza: la testimonianza dei credenti

Questa impostazione trova conferma nei risultati dell'indagine condotta sugli operatori scientifici di oggi, che ha fatto emergere atteggiamenti differenziati e pluralistici, improntati a una crescente sensibilità etica, ad aperture trascendenti e a interpretazioni critiche della scienza e dei suoi caratteri, che si allontanano molto dagli stereotipi della vecchia tradizione scientista.

Perciò, il dialogo fra fede e cultura scientifica dovrà dedicare particolare attenzione alle esigenze e sensibilità dei singoli, più aperte al trascendente e ai valori etico-morali, non solo per una condivisione di esperienze, ma anche per un loro corretta interpretazione a livello storico, epistemologico, filosofico, umanistico e teologico.

Questa interpretazione continua quelle attuate dai grandi scienziati di ogni tempo, da Newton e Galilei, fino a Einstein, Heisenberg e altri, che coniugarono una profonda religiosità con un genuino umanesimo scientifico, alimentando ricerche innovatrici e creative.1 Il loro esempio appare più valido se ricordiamo che essi dovettero operare in contesti culturali chiusi e appesantiti da immanentismo, razionalismo, empirismo e positivismo.

Nonostante ciò, essi seppero armonizzare la loro religiosità, con la consapevolezza dei limiti, ma anche delle inesauribili potenzialità umanistiche ed etiche delle loro ricerche. La loro apertura ai valori etici, spirituali e trascendenti, la convinta religiosità e la fede sentita li immunizzarono dalle degenerazioni ideologiche dello scientismo.

Questi atteggiamenti non devono rimanere puro appannaggio dei grandi scienziati, ma diffondersi fra gli uomini di scienza. A tal fine, occorre offrire loro tempi, spazi di confronto e occasioni di dialogo, che ne convoglino la creatività, ne sostengano le tensioni etiche e ne rafforzino le istanze di valori trascendenti, orientandole a sbocchi spiritualmente, culturalmente e socialmente rilevanti.

Non va dimenticato, infatti, che società e cultura attendono il nuovo spirito e il nuovo atteggiamento scientifico, espressi profeticamente da Paolo VI: "la scienza non basta a se stessa, né puo essere fine a se stessa. Essa non è che da e per l'uomo, perciò deve uscire dal cerchio della sua ricerca e aprirsi all'uomo e di lì alla società e alla storia intera".2

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4. Pluralismo, scientificità e uguaglianza fra le scienze

Il nuovo spirito scientifico si proeccupa pure delle esigenze interne della scienza, fra cui il "pluralismo metodologico". Oggi le discipline scientifiche, sempre più numerose e differenziate, sentono la necessità di criteri di scientificità, di rigore e di oggettività meno formalistici e rigidi, ma più essenziali e duttili.

Le scienze della religione e umano-sociali appaiono le più bisognose di questo rinnovamento, che consenta di stabilire la loro specifica scientificità, secondo le proprie esigenze e in piena autonomia e libertà dalle vecchie "gerarchie", "priorità" e dogmatismi delle scienze naturali. Queste tematiche costituiscono oggetto di ulteriore riflessione e dialogo.

5. Scienza e umanizzazione della cultura

Il nuovo spirito scientifico avverte che il potere rinnovatore e umanizzante della scienza riguarderà sempre meno le scoperte e le applicazioni (prodotti) e sempre più le trasformazioni culturali (atteggiamenti e comprensioni) indotte nelle persone e nelle comunità. Perciò occorre valorizzare maggiormente la capacità della scienza di rivelare le potenzialità inesauribili della "mente umana" e di farle vedere e pensare la realtà, in modi sempre nuovi, originali e diversi.

La scienza mette in luce non solo le forme, le strutture di significazione, le leggi e i principi che presiedono alla realtà, ma anche l'inesauribile ricchezza della "natura-creazione" e dei suoi contenuti, sensi e significati, che superano infinitamente le nostre capacità di spiegazione, di comprensione e d'immaginazione. Infine, solleva incessanti problemi, nuovi e decisivi, sull'universo, l'uomo e la storia, che non può risolvere e deve rinviare alla filosofia, etica, religione e teologia. Tutti questi aspetti sono fondamentali per un nuovo dialogo fra fede e cultura scientifica.

6. Nuova identità della scienza

La riflessione tesa a conferire maggior fondamento e significato alla scienza ha consentito numerose acquisizioni, quali: il maggior riconoscimento del ruolo attivo del soggetto nella ricerca; la valorizzazione degli elementi simbolici, intuitivi, emotivi, immaginari e congetturali del discorso scientifico; la rivalutazione delle connessioni fra pensiero scientifico, metafisico, religioso e filosofico.

Inoltre, ha permesso di precisare la parzialità, provvisorietà e fallibilità delle conoscenze scientifiche; la mutevolezza delle immagini scientifiche dell'universo e della natura (meccanicismo, determinismo, evoluziomismo, organicismo); l'insufficienza delle spiegazioni esclusivamente causali (necessità) o casuali (caso); l'elusività del presunto rigore formale delle procedure; l'importanza della complessità e della finalità.

Ciascuna di queste acquisizioni fu il frutto di lunghe ricerche e riflessioni critiche, che rinnovarono profondomente la scienza contemporanea. Esse sono argomenti inesauribili di approfondimento e di dialogo.

7. Fede e scienza come "strada verso il vero"

Tutto questo ci dice che la fede cristiana può trovare, nella cultura scientifica postmoderna, un interlocutore completamente diverso rispetto al passato: più cauto e

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maturo, possibilista e pluralista. Di conseguenza, il dialogo potrà assumere una grande varietà di forme.

L'unica condizione irrinunciabile è la presenza, alla pari, di tutti gli interlocutori: operatori scientifici, epistemologi, storici della scienza, filosofi e teologi. La riflessione teologica ed etico-morale esige questa elaborazione corale, per cui il dialogo dovrà essere, fin dal suo inizio, trans-disciplinare.

Fede e cultura scientifica dovranno conservare la consapevolezza dei loro differenti ruoli specifici, insostituibili e complementari. Entrambe, secondo la loro specifica identità, potranno attingere a quel "Logos" che è la ragione creatrice e fondatrice dell'esistenza, della natura e del significato di tutta (e tutte) la realtà.

La fede, nell'adempimento del suo ruolo euristico, deve ricordare che la razionalità che sostanzia cose ed eventi, dalla sua origine prima al suo fine ultimo, non è solo verità, ma anche eticità, giustizia e amore. Quindi deve richiamare costantemente a una razionalità che non proviene dalle cose, ma le trascende infinitamente, pur costituendone l'intima natura e la legge più profonda. In questo modo, il suo dialogo con la cultura scientifica, potrà creare spazi di comune riflessione che costituiscano una "strada verso il vero".3

8. Cultura scientifica, scienza, religione

In un prossimo volume approfondiremo l'immenso apporto offerto dalle scienze della religione, alla riscoperta del valore umano e culturale della religione e alla valorizzazione della religiosità. Paradossalmente, esso avvenne proprio nel secolo in cui dovevano verificarsi l'eclissi definitiva e irreversibile del sacro e la fine della religione.

Anche questo fatto, vero segno dei tempi, deve incoraggiare i credenti a purificare la cultura scientifica dalle sue molteplici incrostazioni ideologiche, pregiudiziali e passionali, per valorizzarne sempre più i contenuti originali, profondi e capaci di sviluppare un nuovo umanesimo scientifico.

9. Fede e scienza verso un nuovo umanesimo scientifico

A questo punto, possiamo riprendere l'idea, più volte emersa nella nostra ricerca, che ogni discorso sulla scienza è un discorso sull'uomo, ogni giudizio sulla scienza chiama in causa l'uomo e ogni speranza per la scienza nasce dalla speranza dell'uomo. Quindi, se scienza e cultura scientifica sono divenute "disumanizzanti", l'uomo è il primo responsabile della loro "riumanizzazione".

La scienza infatti, nella cultura scientifica, è il più significativo "indicatore" della condizione umana, perché ne rispecchia perfettamente quella sete inesauribile di verità, che si fa strada nel groviglio di un problematicismo ineliminabile e di un'intrinseca fallibilità. Ha ragione, quindi, l'umanesimo scientifico di definirla: "immagine speculare dell'uomo".

Pertanto, la coscienza cristiana è chiamata a riflettere sul fatto che, per circa tre secoli, milioni di credenti hanno sofferto come una smentita, un pericolo o un'alternativa per la propria fede e religiosità, ogni scoperta, teoria o ipotesi avanzate dalla scienza o hanno dovuto cercare, nella scienza, le verifiche e le conferme a una fede dubbiosa o vacillante.

Entrambi gli atteggiamenti esigono un serio esame di coscienza, che la Redemptor Hominis ci facilita, chiedendoci se la nostra fede sia abbastanza: a) premunita contro gli eccessi dell'autocriticismo, b) critica di fronte alle altrui critiche, c) solida davanti alle

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novità, d) matura nel discernere, e) capace di valorizzare "cose nuove ed antiche".4 Sono domande pertinenti, cui la cultura scientifica postmoderna aggiunge lo stimolo delle sue novità, sfide e provocazioni. Perciò, dobbiamo valorizzarle per aggiornare la nostra fede, rendendola più autentica, dinamica e matura. L'importante è che non le affrontiamo per conseguire gratificazioni, conferme o sicurezze personali, ma per fini più nobili e importanti. Infatti, la fede:

"non ci è data per essere conservata come possesso esclusivo o mezzo di prestigio personale, ma per essere condivisa e partecipata, ed è esperienza di gioia, comunicando un bene spirituale come il sapere, vedere che esso non si esaurisce, ma si moltiplica e guadagna sempre più, in quella semplicità e chiarezza che è il segno della verità".5

Il fine, dunque, è di condividere e partecipare questa "esperienza di gioia" a tutta l'umanità. Ciò è possibile se, alla soglia del terzo millennio, c'impegnamo a rendere la fede e la cultura scientifica capaci di testimoniare insieme, che:

"la cultura scientifica non si oppone né alla cultura umanistica né alla cultura mistica, perché ogni cultura autentica è un'apertura verso l'essenziale e non esiste verità che non possa diventare universale".6

1 Scriveva Galilei: "et infinitamente rendo grazie a Dio, che si sta compiacendo di far me

solo primo osservatore di cosa ammiranda et tenuta a tutti i secoli occulta". Cf. Da Galileo alle stelle, Padova 1992.

2 Paolo VI, "Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 23 aprile 1966", in L. Nicoletti (a cura di), Paolo VI, Insegnamenti sulla scienza e sulla tecnica, Brescia 1986, 31-36.

3 Giovanni Paolo II, "A scienziati e studenti, Colonia 15 novembre 1980", in La traccia, 1980, 10, 928-932.

4 Redemptor Hominis, 4. 5 Giovanni Paolo II, "Ai docenti universitari, Bologna, 18 aprile 1982", in La Traccia, 1982,

4, 513-516. 6 Giovanni Paolo II, "Al CERN, Ginevra, 15 giugno 1982", in La Traccia, 1982, 6, 815-817.

PICCOLO LESSICO DEI TERMINI TECNICI

Accademismo, atteggiamento conforme o relativo alle dottrine platoniche o a quelle successive dell'Accademia.

Agnosticismo, atteggiamento per cui è inconoscibile tutto ciò che non si può sottomettere ai metodi delle scienze positive.

Alterità, ciò che non è l'io, l'essere o il porsi come altro (cf. ipseità).

Analisi del linguaggio, complessi di elaborazioni scientifiche o filosofiche sul linguaggio, per rimuoverne oscurità e ambiguità e chiarirne i significati, relativi a innumerevoli scuole, teorie e tendenze.

Antropocentrismo, teoria filosofica per cui solo l'uomo è centro di tutta la realtà.

Antropologia, insieme di discipline scientifiche e filosofiche aventi per oggetto l'uomo, la sua vita e i suoi caratteri.

Antropologia dualistica, spiega la persona e i suoi atti mediante elementi e principi opposti e irriducibili.

Apologetica, parte della teologia fondamentale che dimostra la razionalità dei preamboli della fede e la credibilità e ragionevolezza di questa.

Aporia, aporetica, difficoltà o incertezza insuperabile.

Asintotico, asintoto, termini matematici. Il primo indica la proprietà o il comportamento d'una funzione, al tendere delle variabili all'infinito. Il secondo indica, per una curva che si estende all'infinito, una retta la cui curva si avvicina quanto si vuole, allorché un punto si allontana indefinitamente sulla curva.

Assolutismo etico, esistenza di valori assoluti e norme inderogabili.

Avalutativo, che descrive senza giudicare.

Biologismo, biologista, riduzione di tutta la realtà umana ai soli fenomeni biologici.

Biosfera, a) insieme delle parti della terra abitate da organismi viventi; b) insieme degli organismi viventi nella biosfera.

Categoriale, che concerne le categorie, ossia le diverse relazioni che si possono stabilire fra le idee.

Cibernetica, scienza delle macchine capaci di governarsi, disciplina che si propone la realizzazione di macchine capaci di autoregolarsi, cioè di comportarsi come se si proponessero un fine e fossero dotate di memoria cosciente.

Cognitiviste (etiche) che si basano-su o producono conoscenze razionali.

Complessità, caratteristica qualitativa di un sistema (v. sistema).

Complessologi, studiosi o esperti della complessità.

Comportamentiste (etiche), che si limitano all'esame dei dati osservabili del comportamento esterno, scartando ulteriori approfondimenti (antropologici, ontologici ecc.)

Connaturalità (conoscenza per) modo pratico di conoscere le leggi del comportamento umano e i precetti della legge naturale.

Consequenzialiste (etiche), per cui sono prioritarie o fondanti le conseguenze delle azioni.

Contenutiste (etiche), per cui sono prioritari o fondanti i contenuti delle azioni.

Contestualiste (etiche), per cui sono prioritari o fondanti i contesti delle azioni.

Contrattualiste, convenzionaliste (etiche), i cui valori, principi, leggi sono frutto di patti, convenzioni contratti.

Cosmologia, dottrina scientifica o filosofica che studia l'universo; filosofia della natura.

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Decisioniste (etiche), che fanno dipendere fini, significati e valori solo dai giudizi o dalla volontà del soggetto.

Deduttiviste (etiche), che deducono razionalmente fini, significati, valori, principi e norme.

Definizioniste (etiche), che definiscono fini, significati, valori, principi e norme.

Descrittiviste (etiche), che descrivono, senza definire.

Deontologia, insieme di doveri inerenti a categorie particolari (professioni).

Deontologiche (etiche), che considerano come base e fondamento il dovere.

Determinismo, dottrina scientifica, epistemologica e filosofica che attribuisce ogni fatto alla necessità causale, escludendo libertà e caso. Ha assunto significato fisico, psicologico e metafisico.

Dialettica, arte del ragionare; processo per cui le realtà contrarie si sviluppano risolvendosi in un momento superiore.

DNA, Sigla dell'acido deossiribonucleico, che si trova nel nucleo delle cellule ed è portatore dei fattori ereditari.

Ecosistema, insieme di esseri viventi, ambiente ecc. in relazione fra loro.

Edonismo, filosofia o atteggiamento che pone il piacere a fine dell'azione umana.

Epistemologia o filosofia della scienza, disciplina che riflette criticamente sui fondamenti, i principi, i metodi, il linguaggio, l'attendibilità, l'oggettività, l'esattezza, la veridicità, ecc. della conoscenza scientifica.

Ermeneutica, scienza delle norme che permettono di scoprire e interpretare il senso autentico di un testo. Nel pensiero moderno: metodo del comprendere, proprio della filosofia (storicismo, fenomenologia), che istituisce continue correlazioni fra il sé e l'essere, in un processo che va dalla totalità delle manifestazioni umane alle sue parti e viceversa.

Eteronomia, ragione per la volontà, che il soggetto non deriva da sé ma da fuori.

Eudemonismo, eudemonistico, dottrina morale che ripone il bene nella felicità.

Euristica, arte o tecnica di ben promuovere o condurre la ricerca filosofica e scientifica. Nella ricerca scientifica: metodi o procedimenti che favoriscono la scoperta di nuovi risultati.

Falsificabile, carattere per cui le affermazioni scientifiche non possono mai essere provate definitivamente vere, ma solo false.

Fattuali (proposizioni), relative a una data realtà di fatto.

Feedback, v. retroazione.

Fenomenologico (metodo), modo di considerare l'oggetto, rispettando la verità nascosta nella sua realtà (intenzionalità), da svelare ed articolare nelle sue categorie.

Finis operis, fine della cosa in sé, distinto dal fine del soggetto che la compie.

Finitezza, finitudine, condizione di ciò che è imperfetto e incompiuto.

Fisicismo, spiegazione esclusivamente fisica di tutte le realtà.

Fisiciste (etiche), che privilegiano le ragioni fisiche e naturalistiche.

Fondazionale, che riguarda i fondamenti decisivi e ultimi (razionali o teologali).

Fondazionali (etiche), che si pongono il problema dei loro fondamenti (razionali o teologali).

Formaliste (etiche), che fanno esclusivo riferimento al metodo o alla forma.

Giustificabile, che può essere provato o dimostrato vero.

Gnoseologia, disciplina filosofica che, in senso largo, comprende tutto il complesso delle ricerche intorno ai problemi della conoscenza e, in senso stretto, studia le condizioni di validità delle nostre conoscenze.

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Habitus, abitudine, disposizione o innata o naturale o acquisita.

Holismo, cf. Olismo.

Hume (principio di), principio che nega la possibilità di ricavare dall'analisi dei fatti qualsiasi evidenza di nessi necessari.

Idealismo, teoria che riduce l'oggetto della conoscenza a rappresentazione o idea.

Ideocrazia, forma di governo fondata sull'imposizione di una ideologia.

Immanentismo, dottrina che risolve tutta la realtà nella coscienza e nell'al di qua, negando ogni trascendenza.

Inculturato, inculturazione, termine con due significati diversi. Nel linguaggio ecclesiale indica il processo di radicamento della chiesa nelle culture dei popoli e l'integrazione dei valori culturali nel cristianesimo. Nel linguaggio antropologico indica il processo formativo mediante il quale un individuo viene introdotto, formato ed educato nell'ambito di una cultura particolare.

Indecidibili, proposizioni di cui non si può dire con certezza se siano vere o false.

Indeterminismo, fisica, filosofia, concezione per cui gli eventi non sono legati da alcun rapporto deterministico di causa-effetto.

Intellettualismo, filosofia che considera i fattori intellettivi preminenti su quelli volitivi (si oppone a volontarismo v.).

Intenzionaliste (etiche), che puntano sull'intenzione cosciente del soggetto agente.

Intenzionalità, caratteristica della coscienza e della ragione, che tende a qualcosa come a suo specifico oggetto.

Interdisciplinare, a) tendenza a considerare discipline e scienze in reciproca connessione metodologica e culturale; b) interazione fra discipline, che va dalla semplice comunicazione di idee, all'integrazione reciproca di concetti direttivi, teorie della conoscenza, metodi e procedure.

Interezza, totalità, integrità, integrità morale. Intersoggettività, relazione e scambio, critico e cosciente, fra persone.

Ipercomplessità, modalità più elevata di complessità, propria dei sistemi umani e sociali.

Ipseità, carattere dell'io, sia in senso positivo che negativo (cf. alterità).

Irrazionalismo, a) gnoseologico o metodologico: giudica la ragione incapace o inadeguata a chiarire la ricchezza dell'esperienza o il senso ultimo della realtà; b) metafisico o assoluto: considera la realtà assurda o senza fini.

Logos, in filosofia: ragione intesa come a) causa e sostanza del mondo; b) attività propria dell'uomo. In teologia: Figlio di Dio, seconda persona della Trinità, Verbo incarnato.

Lulliano (razionalismo), scienza basata sui principi e fondamenti di tutte le scienze e ritenuta capace di unificare tutto il sapere e risolvere tutti i problemi.

Macro-etica, etica universale della responsabilità universale.

Metaetica, analisi del significato delle affermazioni e dei termini morali.

Metafisica, indagine razionale di ciò che è al di là dell'esperienza, per cogliere il senso più profondo della realtà, manifestandone le ragioni supreme.

Monismo, dottrine per cui l'universo è un'unica sostanza (o essere, atto, processo).

Naturalismo, tendenza ad assolutizzare la natura come: a) primo principio assoluto (metafisica); b) principio e norma di un dato ambito (etica, antropologia ecc.).

Neotenia, formazione delle sinapsi neuronali nel cervello umano.

Neghentropia, (v. sintropia) nome dato da Brillouin al concetto di "sintropia" introdotto da Fantappié.

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Neopositivismo, corrente che affida alla filosofia l'analisi del linguaggio comune e scientifico.

Nichilismo, filosofia che nega qualsiasi verità e valore.

Normative (etiche), volte a identificare e definire norme.

Occamismo, sviluppi del pensiero di Occam, come: a) critica negativa o negazione sistematica di universalità, necessità, intelligibilità, dover essere, metafisica, spiegazioni, cause, principi ecc.; b) accettazione della sola conoscenza intuitivo-intellettiva del singolare concreto.

Oggettivismo, a) riconoscimento dell'esistenza e validità universale degli oggetti; b) enfatizzazione dell'oggetto e svalutazione del soggetto nel processo conoscitivo.

Oggettiviste (etiche), che enfatizzano l'oggetto rispetto alla persona.

Olismo, olistico, teoria (scienza, epistemologia, filosofia) per cui gli organismi e i sistemi rappresentano un tutto avente caratteristiche superiori e diverse dalla semplice somma delle parti.

Ontologia, scienza di ciò che è, filosofia che studia l'essere.

Ontologico, che riguarda o concerne l'essere in quanto tale.

Organizzazione, combinazione di relazioni fra componenti o individui da cui è prodotta, mantenuta e trasformata un'unità complessa (sistema), dotata di qualità sconosciute a livello di componenti o individui.

Oxoniense, relativo al movimento filosofico di Oxford (v. analisi del linguaggio).

Paradigma, modelli di acquisizioni scientifiche ed epistemologiche cui fanno capo tradizioni e progetti di ricerca.

Pensiero debole, pensiero postmoderno che rifiuta fini, significati e valori certi, dimostrazioni cogenti, ragioni evidenti ecc.

Personalismo, primato dei valori spirituali della persona.

Phronesis, prudenza, saggezza pratica.

Pluralismo, a) unità del mondo, in cui si concreta l'esperienza che non esclude molteplici prospettive di analisi ontologica e logica; b) insieme dei termini non privilegiabili di una pluralità originaria. Solo a) è teoreticamente legittima.

Positivismo, indirizzo filosofico della seconda metà del secolo XIX che, fondando la conoscenza sui fatti e rigettando ogni forma di metafisica, intendeva estendere il metodo delle scienze a tutti i settori del pensiero umano (a volte questo concetto viene denominato pure fisicismo e fisicalismo).

Pragmatismo, filosofia per cui la funzione fondamentale dell'intelletto non è la conoscenza, ma il domino efficace della realtà.

Prescrittive (etiche), che non si limitano a descrivere ma prescrivono valori e norme.

Proporzionaliste (etiche), ricavano i criteri del giusto dalla proporzione fra effetti buoni e cattivi.

Razionalismo, assunzione della ragione umana me come riferimento esclusivo e assoluto.

Realismo esistenziale, filosofia che affronta l'atto di esistere come intelligenza decisa a non rinunciare a se stessa.

Relativismo, teoria che nega l'esistenza di principi e valori assoluti, in senso parziale (relativismo parziale) o totale (relativismo totale).

Relazionale (antropologia), che sottolinea soprattutto le relazioni della persona con Dio, il prossimo, l'universo.

Retroazione (feedback), processo per cui l'effetto dell'azione di un sistema (meccanismo ecc.) si riflette sul sistema stesso per variarne o correggerne il funzionamento.

Ricerca operativa, applicazione di strumenti e metodi scientifici e matematici ai progetti e usi di un sistema complesso, per consentire decisioni corrette.

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Rigorismo etico, esigenze eccessive e intransigenti.

Scientismo, ideologia moderna, dalle molteplici espressioni e contenuti, quali: a) la scienza (o solo la scienza) può conoscere tutta la realtà e spiegarla mediante i suoi principi e i suoi metodi; b) le conoscenze scientifiche (o solo le conoscenze scientifiche) sono credibili, oggettive, incontrovertibili, vere; c) tutto ciò che non può essere indagato scientificamente è inesistente o irrilevante o privo di senso, ecc.

Secolarismo, concezione del mondo in cui questo si spiega da sé, senza alcun ricorso a Dio; attribuzione di ogni potere all'uomo, congiunta alla negazione di Dio.

Secolarizzazione, legittimo sforzo di scoprire in ogni cosa o evento dell'universo le norme regolatrici postevi dal Creatore.

Semantica, studio del significato delle parole; nella logica contemporanea parte della semiotica che analizza il rapporto fra segno e referente, al di fuori delle implicazioni psicologiche o sociologiche del linguaggio.

Semantico, che riguarda il significato delle parole; che riguarda o interessa la semantica.

Sinapsi, connessione fra due cellule nervose o fra una fibra nervosa e la placca motrice.

Sintropia, secondo L. Fantappié, processo per il quale un sistema, anziché degradare, tende a forme sempre più organizzate ed efficienti.

Sistema, aggregato organico e strutturato di parti fra loro interagenti, che gli fa assumere properietà che non derivano dalla semplice giustapposizione delle parti (v. organizzazione).

Sistemico, riguardante i sistemi.

Situazionalità, Prevalere assoluto e totale (o relativo e parziale) di circostanze e situazioni, nel giudizio.

Soggettivismo, teoria o filosofia che riduce tutta la realtà al soggetto pensante.

Soggettiviste (etiche), ispirate o legate al soggettivismo.

Spaesamento metafisico, condizione del pensiero moderno, privato di ogni quadro fondativo, teologico, metafisico e antropologico.

Strutturalismo, teoria e metodologia delle scienze umane, che considera la struttura degli elementi come un sistema d'interrelazioni formalmente definite a partire da un insieme di dati empiricamente accertati.

Tecnicismo, prevalenza o esclusivismo del fattore tecnico sui fattori che originariamente ispirano un'attività umana; tendenza a risolvere nella tecnica tutto il mondo umano o tutta la realtà.

Tecnoscientismo, atteggiamento che unisce tecnicismo e scientismo.

Teleologiche (etiche), volte a rendere conformi gli atti umani: a) col fine ultimo e sommo bene dell'uomo; b) con i fini perseguiti e i valori intesi dall'agente; c) col massimo di bene e il minimo di male.

Teo-cosmologica (etica), che desume i suoi criteri solo dalla natura elevata ad assoluto.

Teonomia partecipata, a) fruizione della legge eterna, ricevuta come libero dono; b) lineamenti della natura divina di Cristo che, attraverso la santificazione, la giustizia e la vita buona, risplendono in tutti gli uomini di buona volontà.

Tolleranza, atteggiamento pratico che, pur condannando per principio modi di pensare o agire giudicati erronei, li lascia sussistere per vari motivi (rispetto della coscienza e libertà altrui, convenienza pratica, minor male ecc.).

Transdisciplinare, approccio tra varie scienze o discipline, più avanzato e complesso di quello interdisciplinare, volto a mettere in comune la totalità dei principi di base di ogni scienza, per ritrovarne il fondamento unificante.

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Trascendentale, in senso moderno: condizione a priori della conoscenza, forma ideale o principio, ciò per cui nella coscienza soggettiva esistono le condizioni di ogni realtà. In senso antico: nozione estesa quanto quella di essere (vero, buono, bello).

Trascendente, ciò che è al di là di ogni contenuto di conoscenza o di ogni forma di essere.

Ultimità, caratteristica di ciò che è finale, decisivo, conclusivo.

Umanologia, dottrina chiusa-su o visione esclusivamente centrata-ne l'uomo.

Universaliste (etiche), che ammettono valori e norme valide per tutti.

Utilitarismo, teoria o filosofia che pone alla base delle scelte e delle decisioni umane solo ciò che è utile.

Valori (etica dei), che si fonda-su e tende-a i valori.

Valutativa, che esprime un giudizio di valore.

Verità (etica della), che fa dipendere la bontà dell'agire umano dalla conoscenza.

Veritativo, che riguarda o esprime la verità.

Virtù (etica delle), che fa dipendere la bontà dell'agire umano dalle virtù morali del soggetto che agisce.

Volontarismo, filosofie che sostengono il primato della volontà sull'intelletto e sulle capacità razionali (si oppone a intellettualismo v.).