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Introduzione Negli ultimi anni, pubblicazioni, workshop, convention aziendali hanno sottolineato, con enfasi, l’importanza della centralità delle risorse umane ad ogni livello organizzativo, l’importanza del capitale intellettuale e quindi della Leadership come strumento di governo e guida di questo prezioso capitale. E’ lecito chiedersi se, oggi, questa tanto conclamata centralità sia solo uno “slogan”, un tentativo di manipolazione dei collaboratori oppure una realtà di cui si è maturata la consapevolezza. Spostando la nostra attenzione al contesto competitivo ed organizzativo, possiamo abbozzare alcune risposte. Se il contesto è caratterizzato da scarsa competizione ed i collaboratori sono semplici esecutori, facilmente sostituibili, il rischio è che la “centralità delle risorse umane” sia soltanto retorica. Se il contesto è invece caratterizzato da forte competizione ed i collaboratori, meri esecutori, costituiscono “manodopera” qualificata e difficilmente sostituibile, ci troviamo probabilmente di fronte ad un tentativo di manipolazione che fa leva sul desiderio di gratificazione e riconoscimento. Se infine il contesto di mercato è competitivo ed i collaboratori sono protagonisti del proprio lavoro, produttori di idee e innovazione, la centralità delle risorse umane è reale ed autentica e importante diviene, in conseguenza, il ruolo della Leadership. Il contesto nel quale viviamo necessita di innovazione, pro-attività, qualità e responsabilità: le cosiddette risorse umane risultano veramente “centrali”. Il tema della Leadership continua quindi a suscitare vivo interesse nei più diversi contesti organizzativi ed istituzionali. In queste realtà, colui che gestisce il lavoro di altri intende ed agisce il proprio ruolo con modalità differenti, è oggetto di aspettative contingenti e talvolta contraddittorie da parte dei diversi interlocutori (direzione, colleghi, subordinati, clienti esterni ed interni, etc.) ed è coinvolto in processi di cambiamento in atto a più livelli: organizzativo, normativo, tecnologico, professionale e culturale. Gli studi e le ricerche psico-sociali inerenti questo tema hanno prodotto una letteratura vasta ed eterogenea, che può supportare gli interessati nella riflessione sul proprio ruolo. Secondo alcuni autori, la Leadership ed il potere sono, in ultima analisi, la medesima cosa; ci sembra tuttavia preferibile incentrare il tema della Leadership sul processo di influenzamento degli altri poiché il concetto di potere rimanda ad azioni di coercizione e di controllo, mentre l’influenza rinvia anche al coinvolgimento, alla guida ed alla persuasione. Così intesa, la Leadership può essere più, oppure meno, associata all’esercizio dei ruoli di potere. Una stessa persona può svolgere congiuntamente funzioni di Leadership e di potere, ma ci può essere un leader privo di potere ed un esercizio di potere privo di Leadership. Volendo definire la Leadership, possiamo descriverla come “l’uso di un’influenza non coercitiva per dirigere e coordinare le attività dei membri di un gruppo organizzato verso il raggiungimento degli obiettivi” (Jago, 1982). E’ pacifico che ogni gruppo di persone, composto anche di estranei, riunito con l’obiettivo di svolgere una qualche attività comune, ben presto acquista una sorta di

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Introduzione

Negli ultimi anni, pubblicazioni, workshop, convention aziendali hanno sottolineato,con enfasi, l’importanza della centralità delle risorse umane ad ogni livelloorganizzativo, l’importanza del capitale intellettuale e quindi della Leadership comestrumento di governo e guida di questo prezioso capitale. E’ lecito chiedersi se, oggi,questa tanto conclamata centralità sia solo uno “slogan”, un tentativo dimanipolazione dei collaboratori oppure una realtà di cui si è maturata laconsapevolezza. Spostando la nostra attenzione al contesto competitivo edorganizzativo, possiamo abbozzare alcune risposte. Se il contesto è caratterizzato dascarsa competizione ed i collaboratori sono semplici esecutori, facilmente sostituibili,il rischio è che la “centralità delle risorse umane” sia soltanto retorica. Se il contesto èinvece caratterizzato da forte competizione ed i collaboratori, meri esecutori,costituiscono “manodopera” qualificata e difficilmente sostituibile, ci troviamoprobabilmente di fronte ad un tentativo di manipolazione che fa leva sul desiderio digratificazione e riconoscimento. Se infine il contesto di mercato è competitivo ed icollaboratori sono protagonisti del proprio lavoro, produttori di idee e innovazione, lacentralità delle risorse umane è reale ed autentica e importante diviene, inconseguenza, il ruolo della Leadership.

Il contesto nel quale viviamo necessita di innovazione, pro-attività, qualità eresponsabilità: le cosiddette risorse umane risultano veramente “centrali”. Il temadella Leadership continua quindi a suscitare vivo interesse nei più diversi contestiorganizzativi ed istituzionali. In queste realtà, colui che gestisce il lavoro di altri intendeed agisce il proprio ruolo con modalità differenti, è oggetto di aspettative contingenti etalvolta contraddittorie da parte dei diversi interlocutori (direzione, colleghi,subordinati, clienti esterni ed interni, etc.) ed è coinvolto in processi di cambiamento inatto a più livelli: organizzativo, normativo, tecnologico, professionale e culturale. Glistudi e le ricerche psico-sociali inerenti questo tema hanno prodotto una letteraturavasta ed eterogenea, che può supportare gli interessati nella riflessione sul proprioruolo. Secondo alcuni autori, la Leadership ed il potere sono, in ultima analisi, lamedesima cosa; ci sembra tuttavia preferibile incentrare il tema della Leadership sulprocesso di influenzamento degli altri poiché il concetto di potere rimanda ad azioni dicoercizione e di controllo, mentre l’influenza rinvia anche al coinvolgimento, alla guidaed alla persuasione. Così intesa, la Leadership può essere più, oppure meno, associataall’esercizio dei ruoli di potere. Una stessa persona può svolgere congiuntamentefunzioni di Leadership e di potere, ma ci può essere un leader privo di potere ed unesercizio di potere privo di Leadership.

Volendo definire la Leadership, possiamo descriverla come “l’uso di un’influenza noncoercitiva per dirigere e coordinare le attività dei membri di un gruppo organizzatoverso il raggiungimento degli obiettivi” (Jago, 1982).

E’ pacifico che ogni gruppo di persone, composto anche di estranei, riunito conl’obiettivo di svolgere una qualche attività comune, ben presto acquista una sorta di

organizzazione spontanea ed informale: le persone iniziano a riflettere su cosa fare, aguardare certi membri del gruppo come leader e a dividersi i compiti da svolgere. LaLeadership scaturisce da questa strutturazione, come prodotto di una differenziazionedei ruoli, essendone la principale forma, quella tra leader e followers. Il ruolo delleader è, nella gerarchia degli status, il posto più elevato: è colui che, più degli altri,propone idee ed attività volte ad influenzare il gruppo, è la persona che dirige e facilitail comportamento dei collaboratori, è l’individuo in cui si identificano i gregari.Per Kets de Vries (1994) il leader deve essere in grado, al bisogno, di compiere sceltedifficili, avere la capacità di articolare una vision per il futuro, influenzare i seguaci alfine di portarli a condividere la propria visione, delegare determinati poteri aisubordinati e mantenere le aspettative di questi ultimi legate alla realtà.Wagner e Hollenbeck (1992) suggeriscono che la Leadership implichi diverse funzioni: generare e mantenere il livello di impegno e tensione richiesti ai singoli

individui; direzionare lo sforzo del gruppo lungo prospettive che promuovono la

sopravvivenza e il raggiungimento degli obiettivi; gestire i compiti del gruppo e le dinamiche relazionali; facilitare e mantenere l’appartenenza al gruppo, tenendo uniti gli individui,

centrandoli sul compito e sugli obiettivi e soddisfacendo i bisogni dei membri.

Quello della Leadership è quindi un tema complesso che si presta a diverse modalità diapproccio e che permette di avanzare molte ipotesi per raggiungere una spiegazioneche sia la più articolata e completa possibile. Nell’ambito della ricerca e dellariflessione scientifica sull’argomento, in atto da un paio di secoli a questa parte, ilproblema è stato affrontato e analizzato secondo approcci e piani diversissimi l’unodall’altro, spesso muoventisi secondo percorsi divergenti e conflittuali (Trentini, 2006).La Leadership, però, sembra essere, prima ancora che un argomento astratto didiscussione, un bisogno concreto degli uomini. Potremmo dire che qualunque creaturaviva in comunità ha bisogno di un punto di riferimento o di una guida. Analisi sullaLeadership sono riscontrabili negli scritti di autori d’ogni tempo: Platone, Plutarco,Machiavelli; essi non usavano il termine Leadership, relativamente recente, ma eranostati certamente attratti dal tema che gli corrisponde e dall’accattivante tentativo diindagare quali fossero i tratti distintivi di un ottimo capo.

Le teorie universaliste: lo studio dei tratti del leader

Come specchio della cultura sociale individualista, lo studio della Leadership si definìagli inizi come analisi delle caratteristiche dei leader. Le prime teorie sul tema dellaLeadership, le cosiddette teorie del “grande uomo”, sostengono che leader si nasce eche è impossibile divenirlo; occorre pertanto ricercare quel set di tratti di personalitàche rendono una persona leader naturalmente. L’emergere dei test di intelligenzanella prima parte del ventesimo secolo diede un ulteriore impulso a questa tesi e comeper la psicologia empirica, anche il nascente interesse per la Leadership si orientòverso lo studio dei tratti.

Nel 1869, Galton, riportando esempi di famiglie i cui uomini avevano seguito, digenerazione in generazione, carriere brillanti, ha sostenuto che le qualità del leadersono primariamente basate sull’ereditarietà. Anche l’approccio centrato sullo studiodei tratti sostiene che alcune caratteristiche individuali sono la chiave per spiegare unaLeadership di successo, ma non ritiene che queste caratteristiche debbano esserenecessariamente riconducibili ad una configurazione di natura “biologica”.Durante la prima metà del nostro secolo, tutte le ricerche sul tema hanno avutol’obiettivo di isolare quel piccolo nucleo di fattori che, se opportunamente combinati,avrebbero permesso di spiegare il successo di un leader. Questi tratti non sono statimai sistematicamente definiti. Oggi è riconosciuto che i primi assunti delle teorie deitratti sono stati completamente screditati e, come osserva Jukl (1981), che alcuni trattiaumentano la probabilità che un leader sia efficiente, ma non garantiscono l’efficienza.

Tra le caratteristiche annoverate di volta in volta, secondo i diversi autori e le diversescuole: Intelligenza: capacità critica, decisionalità, conoscenza, facilità di parola. Personalità: adattabilità, attenzione, creatività, sicurezza e fiducia in se stessi,

capacità di controllare le emozioni, indipendenza, socievolezza. Abilità: nell’ottenere la cooperazione, nel cooperare, nel dirigere, popolarità e

prestigio, tatto, diplomazia, abilità nel dirigere.

Stogdill (1948) fornì un’estesa revisione di 30 anni di studi sui tratti. Egli riportò chepochi tratti (il più notevole tra questi l’intelligenza) erano a volte associati a differenzesignificative tra leader e subordinati, ma che non c’era una variabile singola o uninsieme di variabili correlate alla Leadership rispetto all’ampia varietà di situazioniinteressate. Egli concluse che, mentre le differenze individuali erano certamenteimportanti nell’individuare leader efficaci o emergenti, la grande varietà di situazioninelle quali agiscono i leader rendeva poco plausibile che un qualsiasi tratto potesseessere un fattore di predizione universale. In proposito, Vroom (1976) ha osservatocome il sogno di una tecnologia con cui fosse possibile misurare il grado di capacità diLeadership posseduto e così “promuovere” al ruolo di leader una persona scelta per laquantità di tale capacità, si riveli come irraggiungibile in quanto basato su fondamentadel tutto errate.

Le teorie universaliste: lo studio dei comportamenti del leader

Intimiditi dal fallimento nello studio dei tratti per la previsione della Leadership, manon volendo abbandonare le spiegazioni individualistiche, i ricercatori si dedicaronoallo studio del comportamento del leader. Con le osservazioni sugli effetti dello stile diLeadership (ad esempio autocratico/democratico), sul clima nei piccoli gruppi (Lewin,Lippitt, & Withe, 1939), l’analisi dei processi delle interazioni nelle discussioni dilaboratorio (Bales & Slater, 1955) ed i resoconti dei lavoratori industriali sugli stili dicomportamento dei loro supervisori (Kahn, 1951), essi cercarono di identificare insiemidi comportamento del leader associati con alta produttività e buon clima lavorativo.

A differenza della teoria dei tratti, lo studio dei comportamenti del leader esaminacosa i leader fanno, con l’obiettivo di identificare una Leadership efficace ed ottimalein ogni situazione. Le ricerche in questo ambito sono iniziate verso la fine degli anniquaranta presso l’Ohio State University, sotto la direzione di Stodgill, Fleishman eHemphill. I ricercatori elaborarono un modello di Leadership a due dimensionicomposto dal fattore considerazione (fiducia reciproca, rispetto, amicizia, calore) chepuò essere alto o basso nella percezione dei collaboratori e dal fattore strutturad’iniziazione (rapporti tesi a stabilire schemi di organizzazione, canali dicomunicazione, procedure) anch’esso valutato dai collaboratori come alto o basso. Lostile di Leadership può quindi essere definito dalla combinazione dei relativi punteggiin entrambe le dimensioni.Questa teoria, sebbene per molti aspetti innovativa e gradita ai manager per la suaimmediatezza, è stata ampiamente criticata soprattutto per la semplicità (soltanto duedimensioni prese in considerazione) e per la mancanza di “generalizzabilità”.

Le teorie universaliste: la griglia manageriale

Blake e Mouton realizzano, nel 1964, una griglia manageriale che ebbe grandesuccesso nei progetti di sviluppo organizzativo e formazione manageriale. Questagriglia include come fattori indipendenti l’interesse per le persone (concern for people)e l’interesse per la produzione (concern for results). Queste dimensioni vengonomisurate in una scala a 9 punti e rappresentata lungo due assi, quello verticale èl’interesse per le persone, quello orizzontale è l’interesse per la produzione.Dall’utilizzo di questa griglia appaiono cinque stili di Leadership:

1, 1 -> Area del minimo necessario: ricerca del minimo impegno per far eseguire illavoro richiesto dall'organizzazione. Disinteresse per la valorizzazione, la crescita ed ilcoinvolgimento delle persone. La preoccupazione primaria di questi capi è quella dicercare di evitare problemi.9,1 -> Area dell'agonismo efficientista: la produzione innanzitutto con la massimaefficienza possibile. L'efficienza deriva da condizioni che non consentono all'elementoumano di interferire se non in misura minima. Questi capi considerano l’attenzione aibisogni delle persone come un fattore irrilevante per il raggiungimento degli obiettivi.9,9 -> Area del gioco di squadra: consapevolezza che i risultati sono legati alladedizione al lavoro delle risorse umane assegnate. Esiste un comune interesse per gliobiettivi dell'organizzazione e ciò porta ad avere rapporti di fiducia e rispetto reciproci.Delega, partecipazione, coinvolgimento, ma senza cadere nella confusione di ruoli. Icapi che adottano questo stile sono attenti sia a sviluppare gruppi di lavoro sia alraggiungimento degli obiettivi.1, 9 -> Area del piacere di stare insieme: premurosa attenzione ai bisogni dellepersone per sviluppare soluzioni interpersonali. Ritmi di lavoro rilassati, se non blandi eatmosfera amichevole. I manager che adottano questo stile cercano di creareun’atmosfera sicura, confortevole e familiare supponendo che in queste condizioni iloro collaboratori produrranno di più.5, 5 -> Area del compromesso: adeguate prestazioni sono rese possibili bilanciando lanecessità di produrre con il mantenimento del morale delle persone ad un livellosoddisfacente. I capi che adottano questo stile cercano di bilanciare i bisogni deidipendenti con le necessità dell’organizzazione.

Il leader orientato al compito: ha conoscenze relative al compito stesso; è creativo, innovativo; è realistico; è convincente nell’opera di raccolta del consenso del gruppo; è capace di formulare i problemi e di riassumere le discussioni; è abile nel pianificare, organizzare, coordinare; si può contare su di lui per completare il lavoro.

Il leader orientato alla relazione: da amicizia e calore; risolve i conflitti e allenta le tensioni; incoraggia, da aiuto e consigli; mostra comprensione e tolleranza verso le diversità mostra imparzialità ed equità.

Blake e Mouton (1964) scrivono che è possibile ottenere buone prestazioni all’internodelle organizzazioni bilanciando la necessità di portare efficacemente a termine illavoro con il mantenimento di un soddisfacente morale fra le persone.

Riportiamo di seguito alcuni atteggiamenti manageriali funzionali ed opportuni (+) edalcuni negativi e deleteri (-) che possono nascere dall’incrocio dei due fattori cheidentificano i cinque diversi stili di Leadership.

Il modello bidimensionale presentato ha fornito molto materiale di riflessione sulleconseguenze provocate dall’adozione di un particolare modo di gestire la Leadership ela conseguente capacità e responsabilità di guidare le risorse umane. Esso si è pertantorivelato utile strumento anche nelle attività di formazione (Trentini, 2006).Ricerche successive (Hersey, Blanchard, 1984) sulla griglia stessa fornirono risultati chesolo moderatamente supportarono la superiorità dello stile 9,9. Lo stile 9,9 seppurevalido in alcune situazioni, è risultato non valido in tutte.Ancora una volta le variabili contingenti che circondano il processo di Leadership nonsono state prese in considerazione.E’ lecito concludere che non esistono caratteristiche particolari che fanno una personaleader in ogni contesto, ne comportamenti prescrivibili che permettono di averesuccesso in tutte le situazioni. La maturazione di questa consapevolezza ha permessoalle teorie della contingenza di farsi strada a partire dalla fine degli anni cinquanta.

Le teorie della contingenza: il modello della contingenza di Fiedler

Sorpassata l’ingenua impostazione della ricerca del “grande uomo”, caratterizzato daitratti del leader, i ricercatori sono giunti alla conclusione che, molto spesso, uno stile diLeadership efficace in una circostanza, non è altrettanto adeguato in un altro contesto.

I migliori leader sembrano quelli che sanno adattare il loro comportamento in manieratale da risultare più coerenti con le esigenze della specifica situazione. Maturataquesta convinzione, sono nati molti modelli di Leadership che condividono unapproccio “contingente”: tale approccio punta a considerare come, in situazionidiverse, si combinano diverse variabili che determinano quale sia lo stile di Leadershippiù adeguato ed efficace. Questa nuova prospettiva ha cominciato ad affermarsi allafine degli anni cinquanta principalmente negli scritti di Hemphill (1949) e Gouldner(1950).Un elemento significativo che compare anche nei più moderni approcci contingentisottolinea che i leader debbono esercitare funzioni completamente differenti insituazioni diverse.Una guida con una buona capacità di diagnosi non si può esimere dal prendere inconsiderazione i seguenti fattori (Howell, Doffman, Kerr, 1986): le caratteristiche personali; le caratteristiche dei collaboratori; le caratteristiche del compito; le caratteristiche dell’organizzazione; le caratteristiche dell’ambiente esterno.

Gli studi sulla Leadership ebbero una sostanziale svolta con le pubblicazioni di Fiedlerdel suo primo articolo (1964) e del successivo libro (1967) con i quali egli presentò unnuovo approccio per la comprensione dell’efficacia della Leadership. Attingendo ai datiricavati da una certa varietà di gruppi di tipo diverso, Fiedler osservò che non esistevauna relazione diretta tra lo stile predominante del leader e l’efficienza del gruppo.Talvolta sembravano molto efficienti i leader orientati verso il compito, altre volte ileader socio emozionali erano migliori. La soluzione avanzata da Fiedler per cercare difare ordine all’interno di questi dati controversi, fu quella di proporre un modellointerazionista della Leadership nel quale l’efficienza era vista come dipendente dallacorrispondenza tra lo stile di Leadership ed il tipo di situazione. L’atteggiamento delleader, necessario per l’efficienza della prestazione di gruppo, dipende dalla misura incui la situazione è favorevole al leader. La Leadership diviene un processo di influenzain cui il grado di “favorevolezza” della situazione è dato dalla combinazione di trefattori:

1. rapporti interpersonali tra leader e componenti del gruppo: Buoni o Cattivi(personalità, esperienze pregresse, cognizioni, competenze).

2. struttura del compito: Alta o Bassa (alcuni compiti permettono maggiorcontrollo);

3. posizione di potere leader: Forte o Debole (diversa energia che il leader deveapplicare);

Fiedler, per stabilire in che misura la situazione permette ad un leader di influenzare ilsuo gruppo, ha costituito una classificazione incrociando il rapporto leader-membri,ottenendo così otto possibilità che vanno dalla situazione più favorevole al leader:Buon Rapporto, Alta Struttura compito, Forte Potere alla situazione più sfavorevole alleader: Cattivo Rapporto, Bassa Struttura compito, Debole Potere. Dalle ricerche è

emerso, in sintesi, che i leader molto orientati al compito operano meglio nellesituazioni molto favorevoli o molto poco favorevoli (struttura del compito molto alta omolto bassa). In situazioni intermedie, invece, sono i leader orientati alle relazioni cheottengono maggiore successo. Nello specifico: basso controllo situazionale: in queste situazione i migliori risultati sono

ottenuti dai leader orientati al compito poiché, in una situazione così difficile,egli probabilmente riuscirà a far svolgere almeno qualche compito;

alto controllo situazionale: in queste situazioni, in cui i compiti dei membri sonoben fissati, il leader orientato al compito risulta più efficace;

moderato controllo situazionale: in queste situazioni l'efficacia maggiore la ha illeader orientato alla relazione potendo al meglio gestire e risolvere i problemidi relazione all'interno del gruppo stesso.

Lo stile orientato al compito (task oriented) risulta, quindi, più efficace quando lasituazione è al massimo o al minimo controllo situazionale (high control situation e lowcontrol situation), mentre lo stile orientato alla relazione (relationship oriented) è piùefficace nelle situazioni ad un grado intermedio di controllo situazionale (moderatecontrol situation).

Il metodo induttivo con cui il modello della contingenza era stato costruito e la naturaaltamente complessa delle sue previsioni causò molte critiche al modello durante glianni settanta. Un’altra critica al modello della contingenza fu il suo apparentepresupposto che un leader non può scegliere di essere sia compito-orientato cherelazione-orientato quando la situazione lo richieda. Altri tipi di approccio dellacontingenza non si basano su tale presupposto.

Le teorie della contingenza: la teoria sul raggiungimento degli obiettivi

Durante gli anni settanta venne sviluppata la teoria conosciuta come path goal theorynel tentativo di coniugare gli approcci comportamentali tradizionali con l’emergentesviluppo dello studio sulla motivazione. Anche lo scopo di questo modello è quello dicercare di predire quale stile di Leadership è il più efficiente nelle diverse situazioni.Questo approccio sottolinea che una Leadership efficiente ed efficace dipende daquanto un leader riesce a fornire guida, motivazioni e supporto ai collaboratori nelraggiungimento dell’obiettivo. I leader col loro comportamento influenzano lapercezione dei subordinati rispetto al “sentiero verso l’obiettivo” (path goal),aiutandoli a identificare un determinato percorso per raggiungere gli obiettivi delgruppo. Procedendo in modo logico, la teoria prevede che il comportamentostrutturante del leader potrebbe essere motivante per un subordinato qualoral’espletamento di un compito sia ostacolato da fattori ambientali, quali un’esperienzainsufficiente o la presenza di un compito molto complesso. Il comportamento diattenzione invece è stato considerato come efficacemente più positivo quando isubordinati necessitano di sostegno emotivo o psicologico per operare all’interno di unambiente di lavoro avverso (reso tale da un compito noioso e sgradevole)diversamente da quelle situazioni in cui i subordinati sono impegnati edintrinsecamente motivati.House e Mitchell (1974) introdussero la teoria secondo la quale un soggetto è motivatoquando percepisce che il proprio lavoro contribuirà al risultato. In particolare icollaboratori saranno motivati quando:• ritengono che sono in grado di portare a termine compito (percezioni legate

alle aspettative);• le ricompense vengono elargite in relazione al livello dei risultati ottenuti

(percezioni di aiuto),• le ricompense confermano il valore personale (percezioni di valore).

House e Mitchell affermarono che alcuni fattori contingenti possono influenzare lapercezione che le persone hanno circa il proprio lavoro e le proprie azioni. Il leader può

aiutare i collaboratori chiarendo queste percezioni in maniera che la motivazione simantenga alta e funzionale. Facendo seguito a queste considerazioni riportiamo i dueassunti fondamentali della teoria:

1. il comportamento del leader sarà accettabile per i sottoposti se essi loconsiderano idoneo a soddisfare i loro bisogni immediatamente o nel futuro:

2. il comportamento del leader risulta motivante per i subordinati quando è ingrado di far loro comprendere che la soddisfazione dei loro bisogni va di paripasso con il raggiungimento della produttività. “Il sentiero verso l’obiettivo”. Inquesto senso il leader utilizza le ricompense come mezzi per rendere più facileil cammino, rimuove blocchi che lo ostacolano e aumenta le soddisfazioni deisubordinati “lungo la strada”.

Uno dei principali contributi fornito dalla teoria fu quello di descrivere icomportamenti tipici che un leader può mettere in atto in diverse situazioni,organizzandoli in quattro profili: Strumentale, pianificazione monitoraggio, controllo; utile per collaboratori con

bassa aspettativa o scarse competenze o lavoro poco strutturato o obiettivipoco chiari.

Supportivo, attenzione ai bisogni, al benessere; utile per compito noioso ocollaboratori con alto bisogno di riconoscimento.

Partecipativo, condivisione delle informazioni, volontà a lavorare insieme,utilizzo delle idee; utile per collaboratori con alta aspettativa o abili.

Orientato ai risultati, sfida sugli obiettivi, ricerca di incentivi; utile percollaboratori con forte desiderio di realizzazione o poca fiducia in sé.

Essendo una teoria della contingenza, anche la teoria del path goal analizza i fattorisituazionali che possono intervenire nella relazione capo-collaboratore: le caratteristiche dei subordinati nei termini di disponibilità ad essere guidati, la

fiducia in sé, i bisogni individuali, lo stile di attribuzione per cui con locus ofcontrol interno (credere che il raggiungimento della ricompensa dipenda da sé)o esterno (credere che non dipenda da sé il raggiungimento della ricompensa);

i fattori del contesto in cui sono compresi il tipo di compito e il gruppo. Perquanto riguarda il compito vi possono essere compiti interessanti che motivanodi per sé i subordinati, oppure compiti ordinari in cui non è percepita comeessenziale la guida del leader, oppure compiti complessi e poco strutturati incui diventa centrale la guida del leader. Altri fattori di contesto sono lecaratteristiche del gruppo di lavoro e il sistema d’autorità dell’organizzazione.

Per concludere, la letteratura sulla ricerca delle teorie della contingenza suggerisce chele azioni di un leader di gruppo possono avere forti effetti sugli stati motivazionali edemotivi dei partecipanti e sulla conclusione positiva del compito del gruppo. Tuttavia,l’incidenza di tali azioni sul raggiungimento dei risultati, dipende dalle interazioni diqueste azioni con le caratteristiche rilevanti dell’ambiente interpersonale e delcompito da eseguire.

Le teorie della contingenza: il modello della contingenza di Vroom e Yetton

Stimolati dalle potenzialità dell’approccio della contingenza per spiegare la prestazionedella Leadership, ma lavorando su una base teoricamente deduttiva, Vroom e Yetton(1973) presentano un modello relativo i processi decisionali efficaci che integra lastrategia decisionale del leader con fattori contingenti.Il modello proposto, riguarda principalmente gli stili del leader nei processi decisionaliorganizzativi e si interessa di individuare quali stili siano necessari al leader nellediverse situazioni. A differenza dei modelli situazionali esaminati nei paragrafiprecedenti, Vroom e Yetton presentano un modello normativo nel senso che prescriveai leader i comportamenti corretti relativamente al livello di partecipazione del gruppo.Il modello prende in considerazione tre criteri per determinare l’efficacia di unadecisione: la qualità, l’accettazione ed il tempo.Gli stili decisionali sono cinque e variano su un continuum che va dall’autocratico alpartecipativo: Autocratico, in cui il leader prende le decisioni da solo senza consultare i

membri del gruppo; Autocratico con richiesta di informazioni ai collaboratori; Consultivo individuale, in cui il leader consulta individualmente (e non in

gruppo) i collaboratori e prende da solo la decisione; Consultivo di gruppo, in cui il leader consulta il gruppo nel suo insieme, per

quanto egli prenda da solo la decisione, che può tener conto o meno deisuggerimenti del gruppo;

Partecipativo, in cui il leader condivide il problema con il gruppo, valuta insiemead esso la situazione per arrivare a una soluzione consensuale. Il leader conquesto stile emerge come un moderatore e un coordinatore piuttosto checome un conduttore.

Il valore del modello di Vroom e Yetton risiede nell’aver allargato in concetto dicontingenza in una dimensione operativa e può avere importanti implicazioni a livelloorganizzativo per quanto concerne la formazione dei manager.

Le teorie della contingenza: la Leadership situazionale

Un modello, che si è dimostrato efficace nell’applicazione in diverse organizzazioni, èquello sviluppato da Hersey e Blanchard nel 1984 e conosciuto come LeadershipSituazionale. I ricercatori hanno cercato di formulare un modello situazionale diLeadership utile a quanti operano nelle organizzazioni, sviluppando un quadroconcettuale in grado di mettere in rilievo le variabili contingenti fondamentali.L’obiettivo non è più, quindi, quello di definire lo stile di Leadership giusto per ognisituazione, ma si afferma che lo stile deve essere scelto in funzione delle diversesituazioni che il leader si trova, di volta in volta, a gestire. Questo modello si focalizzasulla corrispondenza fra stile della Leadership e caratteristiche dei membri: il “capo”deve adattare il suo stile di gestione al livello di maturità dei membri del gruppo.

Il punto di attenzione della Leadership situazionale è il rapporto leader-collaboratore,nel quale il comportamento dell’uno è influenzato da (e nello stesso tempo influenza)il comportamento dell’altro; il tutto in relazione al contesto nel quale si sviluppa larelazione. Le dimensioni che intervengono a definire la situazione saranno quindilegate alle caratteristiche del collaboratore (La maturità del collaboratore) e del leader(Lo stile relazionale del leader).

La maturità del collaboratoreIn relazione alle caratteristiche del collaboratore possiamo individuare il suo livello dimaturità come insieme della maturità nel lavoro e della maturità psicologica: La maturità nel lavoro é la competenza professionale specifica, l’esperienza

maturata nello svolgere un particolare lavoro, nel raggiungere un determinatoobiettivo.

La maturità psicologica é la disponibilità e la volontà di assumersi in primapersona le responsabilità che derivano dagli obiettivi assegnati; può essereconsiderato l’impegno nello svolgere il lavoro.

In ultima analisi, il livello di maturità del collaboratore può essere definito dal livello dicompetenza professionale e il livello di responsabilità che si assume.Se un individuo, o un gruppo, possiede sia maturità nel lavoro che maturità psicologica,dimostrerà di avere autonomia, che definiamo come la capacità di stabilire obiettivi dilavoro personali elevati, ambiziosi, sfidanti, ma nello stesso tempo realistici eraggiungibili.

Possiamo affermare che un individuo, o un gruppo, é maturo quando:1. possiede le competenze e le capacità necessarie per svolgere un lavoro;2. è disponibile ad assumersi le responsabilità che ne derivano;3. è capace di fissarsi obiettivi ambiziosi e raggiungibili.

E’ importante, quindi, che un leader, che si trova a dover gestire singoli collaboratori oun gruppo, dovrà capire qual sia il livello di maturità che lo caratterizza.E’ opportuno sottolineare che nel caso in cui si debba gestire un gruppo, è un erroredefinire la maturità dello stesso come la “media” della maturità dei singoli: il gruppo èdiverso dalla semplice somma delle competenze dei collaboratori. Infatti, adeterminare la maturità del gruppo incidono anche altri fattori, quali il livello diconoscenza reciproca, l’età del gruppo (cioè da quanto tempo esiste), il tipo di rapportiche intercorrono, il livello di fiducia reciproca, il grado di coesione, etc. Inoltre, lamaturità, sia del singolo che del gruppo, è anche in funzione delle caratteristiche dellospecifico compito e del contesto all’interno del quale viene richiesto il risultato; sitratta, in altre parole, di analizzare il livello di complessità e di “novità” del compito edell’ambiente, in rapporto alle caratteristiche individuali e/o del gruppo. Vasottolineato che a determinare la maturità non sono i “valori assoluti”, ma il rapportorelativo tra le caratteristiche dell’individuo, del gruppo, del compito e dell’ambiente.Conseguentemente, si comprende come la maturità dei collaboratori non é un dato

stabile, acquisito per sempre, ma può variare fortemente in funzione della complessitàdel compito e del contesto nel quale si opera.Sinteticamente e schematicamente, si evidenziano quattro livelli di maturità. Questisono definiti in base al livello di competenza (maturità del lavoro) e il livello dimotivazione ad assumersi responsabilità (maturità psicologica).

Competenza Motivazione Maturitàbassa bassa Bassa

M1la persona non è competente, non èpreparata, non è pronta ad assumersiuna responsabilità.

bassa alta Medio/BassaM2

la persona non è ancora competente,ma dimostra disponibilità e volontà diassunzione di responsabilità.

alta bassa Medio/AltaM3

la persona è competente, ma simostra insicuro, non completamentedisponibile ad assumersiresponsabilità personali.

alta alta AltaM4

la persona è ormai capace,competente, disponibile, sicuro di sé.

Questa classificazione è da considerare come un continuum che va dall’immaturità alla maturità completa.

Lo stile relazionale del leaderIn relazione alle caratteristiche del leader, sono due le dimensioni di base daconsiderare. Esse sono definite come:

1. comportamento direttivo è quello adottato per organizzare e definire i ruolidei membri del gruppo/collaboratori, per spiegarequali attività ciascuno di loro debba svolgere equando, come e dove essi debbano portare atermine i compiti assegnati; si caratterizza per losforzo di stabilire modelli di organizzazione, canalidi comunicazione e metodi predeterminati perportare a termine un lavoro affidato. Il rapporto dicomunicazione é a una via. L’attenzione è rivoltaprincipalmente al contenuto di lavoro.

2. comportamento di relazione è quello adottato per mantenere i rapportipersonali con i membri del gruppo, aprendo canalidi comunicazione a due vie, offrendo sostegnosocio-emotivo e gratificazioni psicologiche edassumendo comportamenti agevolanti. L’attenzioneè rivolta principalmente alla relazione con icollaboratori.

Va subito detto che nella realtà, ogni comportamento del leader sarà il risultato dellacombinazione di queste due componenti. Infatti, sarà il prevalere di una di questecomponenti rispetto all’altra che caratterizzerà lo stile di Leadership del capo.

Possiamo individuare lo spazio dello stile di Leadership come compreso tra due assiche rappresentano le due componenti:

Da quanto detto, lo stile di Leadership scaturisce dal rapporto fra direttive(comportamento direttivo) e sostegni socio-emotivi (comportamento dì relazione) cheil manager deve esprimere in funzione della situazione e del "grado di maturità" deicollaboratori (capacità e disponibilità ad assumersi le responsabilità di indirizzare ilproprio comportamento); concetto legato ad un unico compito da svolgere, nonpotendosi ricercare in un soggetto o gruppo un tipo di maturità globale (un individuopuò essere professionalmente adeguato o, meglio, maturo, in un compito, mainadeguato ad un altro compito). Infatti, lo stile adeguato di Leadership deriva dallacorrispondenza dello stile relazionale del leader con il livello di maturità delcollaboratore o del gruppo.

Lo stile di Leadership adeguato, per ciascun modello di maturità, comprende sempreuna diversa combinazione tra comportamento direttivo (guida) e comportamento direlazione (sostegno).

Gli stili che risultano da questa combinazione sono:

1. "Prescrittivo": è uno stile con molta guida e poco sostegno. Il leader dà ordini,usa comunicazioni ad una via, fissa gli obiettivi per i collaboratori , controlla irisultati, non delega. E’ uno stile adatto a gruppi con poca maturità, formati dacollaboratori poco capaci, poco sicuri di sé, riluttanti ad assumersiresponsabilità,

2. "Persuasivo": stile con molta guida e molto sostegno, per cui il leader definiscebene il lavoro come nel prescrittivo, ma a differenza di quest’ultimo, tiene in

Comportamento direlazione

Comportamentodirettivo

ALTO

ALTOBASSO

BASSO

STILE delLEADER

considerazione i sottoposti, usa comunicazioni a due vie, aiuta, forniscesupporto. E’ uno stile adatto a gruppi con media-bassa maturità, formato dapersone con buona volontà fiduciose di sé ma poco esperte nel compito, percui il leader deve essere molto direttivo nell’organizzazione del lavoro e“supportivo” per dare motivazione al gruppo.

3. "Partecipativo": è uno stile partecipativo con poca guida e molto sostegno. Aicollaboratori offre aiuto sostegno in modo che essi da soli possano organizzareil proprio lavoro. Stile che si adatta gruppi con maturità medio alta formati dapersone con un buon livello di capacità professionale, ma con minore maturitàpsicologica per insicurezza personale, per cui il leader deve essere in grado dimotivare e fare funzione di facilitatore.

4. "Delegante": è uno stile caratterizzato da poca guida e poco sostegno in cui illeader lascia che i collaboratori organizzino il proprio lavoro e non fornisce lorosupporto e incoraggiamento. E’ indirizzato a gruppi con maturità alta e grandicompetenze professionali, con sicurezza in se e capacità di responsabilità. Illeader in questo caso può individuare il problema che verrà poi affrontato daicollaboratori con grande autonomia professionale e senza dipendenze sul pianoemozionale.

Uno schema di sintesi mette chiaramente in relazione lo stile relazionale del leader conil livello di maturità del collaboratore:

Schema originale tratto da “Leadership situazionale” di Paul Hersey e Kennet Blanchard Sperling &Kupfer Editori, 1984

Come evidenziato dalla figura , i quattro stili fondamentali che abbiamo illustrato sonoun graduale modificarsi del mix delle componenti fondamentali (comportamento didirezione e comportamento direttivo).

Le degenerazioni degli stiliQuesti stili, quando coerenti con la situazione, permettono di mettere in gioco unaLeadership efficace. Ma cosa succede quando non sono coerenti con la situazione dimaturità dei collaboratori?In questi casi si ha un comportamento da parte del capo che non é mai funzionale, erisulta essere un’esasperazione degli stili di Leadership:

uno stile eccessivamente direttivo rischia di diventare autoritarismo; un certo modo, un po' capzioso di persuadere diventa facilmente

manipolazione, con tutti gli effetti boomerang che ne conseguono; partecipare sempre e comunque è “assemblearismo”, primo passo per lo

scarico di responsabilità individuali (“è stato il gruppo); lo stile delegante non deve diventare lassismo e disinteresse.

Perché un capo dovrebbe adottare questo modello?Tra le responsabilità di un capo, vi é anche quella di favorire lo sviluppo professionaledei collaboratori. Abbiamo visto come il modello di Leadership situazionale mette alcentro la maturità dei collaboratori per definire l’adeguato comportamento del leader.Interpretando questo schema in ottica sistemica, dovrebbe essere possibile, per uncapo, “educare” gradualmente i propri collaboratori, influenzandoli con il proprio stiledi comando. Uno stile di guida dei collaboratori “inferiore” al loro livello di maturità(ad esempio uno stile direttivo con collaboratori di maturità medio/alta) puòprovocare una sorta di “involuzione” nella maturità della persone o perlomeno, di farlesentire “soffocate” da uno stile pressante. Anche uno stile eccessivamente “avanzato”rispetto alla maturità dei collaboratori (ad esempio uno stile delegante concollaboratori di maturità bassa o medio/bassa) può far sentire le persone“abbandonate” e possono interpretare la delega o la partecipazione come lassismo escarico di responsabilità da parte del capo.E’ auspicabile che il modificarsi dello stile di Leadership adottato dal capo, partendo daquello coerente, sia graduale nel tempo fino al momento in cui il collaboratore nonabbia raggiunto l’autonomia completa. Va ricordato che la maturità del collaboratorevaria in relazione al compito e allo stato d’animo di quel particolare momento. Uncollaboratore normalmente autonomo può, per motivi personali di insoddisfazione e discoramento o di fronte ad un nuovo obiettivo particolarmente complesso daraggiungere, “retrocedere” ad un livello di maturità inferiore. Il leader deve avere lacapacità e sensibilità di valutare queste variazioni della “maturità relativa” deicollaboratori e di conseguenza modificare “momentaneamente” il proprio stile diguida.

Le teorie più recenti: le teorie dell’attribuzione

Attorno alla fine degli anni settanta un crescente numero di studiosi ha iniziato adapplicare la teoria dell’attribuzione (Heider, 1958) ai problemi della Leadership. Con“teoria dell’attribuzione” si fa riferimento ad un insieme di principi teorici che sonostati organizzati e proposti per spiegare il modo in cui le persone creano inferenzecausali dal comportamento altrui. Poiché la teoria dell’attribuzione fornisce unastruttura per comprendere come un osservatore riesca a dare un significatoall’ambiente sociale che lo circonda, Calder e Pfeffer (1990) hanno dimostrato cometale teoria possa essere un modello appropriato per capire come viene percepita laLeadership in un gruppo. I due ricercatori sostengono che la Leadership esiste solocome percezione derivata dalle inferenze fatte osservando il comportamento; soltanto

questo ed i suoi effetti vengono, quindi, accettati come potenziali rilevatori dellaLeadership. Secondo queste teorie non esistono tratti e comportamenti da leaderpoiché egli è tale solo quando gli altri lo giudicano leader.Ad oggi le ricerche a supporto della teoria dell’attribuzione applicata alla Leadershipsono ancora poche e occorrerebbe ricercare la sua validità in un numero maggiore diorganizzazioni.

Le teorie più recenti: la teorie delle risorse cognitive

Le teorie dell’attribuzione si sono focalizzate prevalentemente sull’uso che il leader fadei processi cognitivi e le categorizzazioni cognitive usate per giudicare la Leadership.Fiedler ed i suoi collaboratori si sono chiesti, durante le ultime ricerche, se esiste unaconnessione tra le abilità intellettuali, le competenze, l’esperienza, e lo stress di unleader e le performances dei sui collaboratori. Questi quesiti hanno condottoall’elaborazione della teoria delle risorse cognitive. Una delle prime ricerche condotteda Fiedler in questo campo risale al 1979 e riguarda gli effetti dello stress sullaperformance. I ricercatori hanno concluso che in una situazione di basso stressinterpersonale, i leader usano la loro intelligenza più dell’esperienza, invece in unasituazione di alto stress interpersonale i leader fanno maggiore affidamentoall’esperienza maturata senza cercare nuove soluzioni ad i problemi. Un secondoaspetto della teoria delle risorse cognitive è stato evidenziato da Blades (1986): ileader brillanti ed intelligenti dovrebbero essere direttivi e dire in modo esauriente edassertivo cosa fare ai membri del gruppo. I leader meno brillanti ed intelligentidovrebbero essere partecipativi, ascoltare gli altri e prendere ogni decisione insieme algruppo.Le conclusioni a cui sono pervenute le teorie delle risorse cognitive potrebberoaggiungere delle variabili interessanti alle teorie della contingenza; se i modellisituazionali, infatti, suggerivano le situazioni in cui il leader dovrebbe essere direttivo,queste teorie specificano anche le condizioni in cui le abilità cognitive del leaderpossono essere usate più efficacemente.

Le teorie più recenti: la Leadership carismatica

La teoria della Leadership carismatica è stata elaborata da House nel 1977; assomigliaper molti aspetti al modello trasformazionale di cui parleremo nel paragrafosuccessivo, tanto che spesso viene considerata come facente parte degli approccitrasformazionali. Anticipando questo sviluppo House pubblicò un’analisi teoretica sullaLeadership carismatica in cui analizzò le caratteristiche dei leader storici capaci dielicitare livelli straordinari di devozione e coinvolgimento da parte dei subordinati.Il termine carisma è stato impiegato ampiamente nel linguaggio teologico cristiano perindicare i doni elargiti dallo Spirito Santo, quali la profezia, il potere di fare miracoli, ildono delle lingue, etc. per il bene della comunità. House sostiene che il leader

carismatico ha speciali caratteristiche quali la dominanza, il desiderio di influenzare glialtri, la fiducia in sé e una forte consapevolezza dei propri valori morali.

I comportamenti del leader carismatico: fornisce dei forti modelli di ruolo ai seguaci allo scopo di permettere l’adozione

di particolari credenze e valori: Un esempio religioso è Francesco d’Assisi che inprima persona ha mostrato il valore della povertà, della rinuncia ai beni terreni,oppure, in ambito politico, l’esempio di disobbedienza civile e di non violenzaofferto da Mahatma Gandhi;

ha una competenza elevata rispetto agli obiettivi che si è posto. Un esempio èNapoleone Bonaparte considerato dai suoi soldati un autentico genio militareper le sue abilità strategiche e la sua forza trascinante nei campi di battaglia;

esprime chiaramente degli scopi ideologici ed etici che hanno implicazionimorali. Il discorso di Martin Luther King “I have a drem” è un esempio di questotipo di comportamento del leader carismatico;

ha la capacità di comunicare un elevato grado di aspettative nei confronti deiseguaci ed ha fiducia nelle loro capacità di rispondere a tali aspettative; questocomportamento ha un forte impatto che incrementa il senso di competenzapersonale.

I leader vengono ora studiati per l’effetto che hanno sulle emozioni e sull’autostimadel collaboratori, piuttosto che per le loro variabili cognitive e le loro abilità. Il rischio diqueste teorie, che sono molto recenti e molto utilizzate nelle aziende, è che hanno illimite di scontrarsi con il richiamare dei tratti personali molto forti.

Le teorie più recenti: la Leadership trasformazionale

Un importante spostamento di interesse nella ricerca sulla Leadership scaturì da unlavoro di storia politica. Il libro di Burn (1978) sui grandi leader differenziò i leadertransazionali, la cui relazione con i subordinati è basata su transazioni di mutuobeneficio, dai leader trasformazionali che influenzano i subordinati nel trascendere gliinteressi personali e trasformare se stessi in agenti di un obiettivo collettivo.Bass e Avolio (1990) elaborarono il modello della Leadership trasformazionalespaziando dallo stile di gestione laissez-faire, decisamente inattivo e inefficace, allaLeadership “ispirazionale”, invece molto attiva ed efficace. Tale modello è presentatocome modello di "Leadership a tutto campo".A seguito delle nuove prassi evolutive dell'organizzazione e dei processi aziendali laLeadership trasformazionale si propone come nuove modello di concepire il ruolo delmanager come facilitatore e guida del cambiamento.L'obiettivo è quello di “trasformare” il capo gerarchico in leader in grado quindi diorientare collaboratori e colleghi, di farli lavorare insieme, di promuovere edaffrontare con loro il cambiamento, di motivarli, di far loro vedere nuovi obiettivi versocui tendere, di introdurre nella prassi operativa valori e modelli coinvolgenti. Questo

comporta un notevole sforzo non solo a livello individuale e soggettivo, ma anche alivello organizzativo.

Il ModelloIl superamento della definizione di leader incentrata sulla gerarchia implica anche laridefinizione di collaboratore. Nell'uso che se ne fa in relazione alla Leadershiptrasformazionale, il termine follower (collaboratore o seguace) è usato nella suaaccezione più generale. Nelle organizzazioni formali, fra le persone influenzate daileader vi possono essere i subordinati, i quadri, i sottoposti diretti, come pure icolleghi. La Leadership trasformazionale, quindi, si manifesta quando i leader:

stimolano i colleghi e collaboratori l'interesse a considerare il proprio lavoro danuovi punti di vista;

generano consapevolezza della missione o vision del gruppo edell'organizzazione;

spingono colleghi e collaboratori a livelli più elevati di abilità e di potenziale; motivano colleghi e collaboratori a guardare al di là dei propri interessi

individuali, verso quanto potrà avvantaggiare il gruppo.

La Leadership trasformazionale è soprattutto un processo che si svolge nella relazionetra attori organizzativi; in questo può essere vista come un ampliamento dellaLeadership transazionale. La Leadership transazionale enfatizza infatti la transazione elo scambio che si verifica tra leader, colleghi e collaboratori. Lo scambio si fonda sulfatto che il leader discuta con gli altri cosa è necessario fare e specifichi le condizioni ele ricompense che essi riceveranno nel raggiungere gli obiettivi stabiliti.I leader trasformazionali, nei confronti dei loro colleghi e collaboratori, superano lalogica della definizione di semplici scambi e accordi: essi si comportano in modo taleda raggiungere risultati superiori utilizzando una (o più) delle “quattro I”: Influenza Idealizzata (I.I.). I leader trasformazionali mettono in essere

comportamenti tali da renderli modelli di ruolo per i loro collaboratori. Verso diloro c'è ammirazione, rispetto e fiducia. I collaboratori si identificano con ileader e vogliono emularli. Ciò avviene anche perché il leader considera lenecessità degli altri superiori alle sue personali e condivide il rischio con icollaboratori, comportandosi in modo coerente e non arbitrario. Si può contaresu di lui/lei perché faccia la cosa più giusta, dimostrando elevati livelli dicondotta etica. Egli/ella evita di usare il potere per interesse personale, e lo usacomunque solo quando è veramente necessario.

Motivazione “Ispirazionale” (M.I.). I leader trasformazionali si comportano inmodo tale da motivare e ispirare chi sta intorno a loro, rendendo significativo esfidante il lavoro dei loro collaboratori, e ciò origina spirito di gruppo e generaentusiasmo e ottimismo. Il leader coinvolge i collaboratori nell'immaginaresituazioni future attraenti. Il leader crea aspettative, comunicate in modochiaro, che i collaboratori vogliono soddisfare, e dimostra inoltre impegnoverso gli obiettivi e la “visione” condivisa.

Stimolazione Intellettuale (S.I.). I leader trasformazionali stimolano gli sforzi deiloro collaboratori per essere innovativi e creativi mettendo in discussione ciòche era dato per scontato, ridefinendo i problemi e affrontando vecchiesituazioni in modi nuovi. La creatività viene incoraggiata. Non vi sono critichepubbliche degli sbagli commessi dai singoli membri del gruppo. Nuove idee esoluzioni creative dei problemi sono richieste ai collaboratori, coinvolti nelprocesso di definizione dei problemi e ricerca delle soluzioni. Si incoraggiano icollaboratori a tentare nuovi approcci, e le loro idee non vengono censuratesolo in quanto differenti da quelle del leader.

Considerazione Individualizzata (C.I.). I leader trasformazionali sonoestremamente attenti alle necessità di successo e di crescita di ciascuno, e sicomportano come allenatori e mentori. Il potenziale di collaboratori e colleghiviene sviluppato a livelli sempre più elevati. La considerazione individualizzata èpraticata attraverso la creazione di nuove opportunità di apprendimentonell'ambito di un clima “supportivo”. Sono riconosciute le differenze individualiin termini di bisogni e desideri. Il comportamento del leader dimostral'accettazione di tali differenze (ad esempio, alcuni dipendenti ricevono piùincoraggiamenti, altri più autonomia, altri standard più rigidi e altri ancoracompiti più strutturati). Si incoraggia uno scambio a due vie nellacomunicazione, e si pratica il management attraverso la presenza concreta(management by walking around) nei luoghi di lavoro. Le interazioni con icollaboratori sono personalizzate (ad esempio, il leader ricorda le conversazioniprecedenti, è conscio degli interessi dei singoli e vede l'individuo come personacompleta anziché come semplice dipendente). Il leader capace diconsiderazione individualizzata ascolta in modo efficace. Egli delega le attivitàcome mezzo per sviluppare i collaboratori. Le attività delegate vengonomonitorate per verificare se i collaboratori necessitano di ulteriori indicazioni esupporti e per valutare i progressi; idealmente, i collaboratori non si sentonosottoposti a controlli.

Valutazione della trasformazioneL'adozione da parte di un'organizzazione del modello di Leadership a tutto campo e inparticolare del modello delle “quattro I” della Leadership trasformazionale non ègaranzia sufficiente per una sua immediata applicazione nei comportamentiorganizzativi quotidiani. Il cambiamento di variabili soft nelle organizzazioni, come ilcomportamento di Leadership in particolare, richiede tempi medio-lunghi; inoltre, talecambiamento può manifestarsi prima in alcuni punti dell'organizzazione piuttosto chein altri. In particolare per il modello di Leadership a tutto campo e soprattutto per laLeadership trasformazionale si parla di una trasformazione a tutti i livelli organizzativi,una trasformazione che investe l'intera organizzazione indipendentemente daorganigrammi e gerarchie. L'influenza dei processi del modello delle quattro “I” dellaLeadership trasformazionale sono sia dall'alto verso il basso, ma anche dal basso versol'alto e in senso orizzontale. Le tecniche di valutazione possono essere diverse:l’osservazione passiva o soggettiva, la compilazione di diari, tecniche di sondaggio e letecniche standard di misurazione delle prestazioni individuali e organizzative. È però

necessario utilizzare alcuni strumenti mirati al cambiamento e adottare procedure divalutazione sensibili al processo di cambiamento e all'effetto prodotto sugli individui,sui gruppi e sull'organizzazione. Per esempio, la stimolazione intellettuale può essereosservata come cambiamento comportamentale nei leader, come cambiamento dipolitica rispetto al supporto a nuovi progetti innovativi mediante l'assegnazione dellerisorse. Anche la stimolazione intellettuale può essere valutata analizzando come ileader strutturano le loro riunioni, oppure esaminando la soddisfazione dei clientiesterni sul modo in cui l'organizzazione è stata in grado di affrontare i loro problemi.Allo stesso modo si può determinare la considerazione individualizzata osservandocome il leader tratta i suoi collaboratori e come l'organizzazione elabora le lamenteledei dipendenti e gestisce le politiche e le procedure relative alle risorse umane. Qui ilpunto essenziale è che la trasformazione auspicata sia esaminata dove e quando è piùprobabile che avvenga. Anche la sequenza di misurazioni rispetto alla tempisticadell'impatto è un altro elemento critico da considerare al momento di valutare ilcambiamento negli individui, nei team o nelle organizzazioni. In modo specifico, alcunicambiamenti comportamentali possono avvenire in un periodo breve, di alcuni mesi,mentre il mutamento dei valori può richiedere un tempo notevolmente più lungo;perché si verifichino notevoli cambiamenti di rilievo nella cultura di un'organizzazionepossono essere necessari da tre a cinque anni, a seconda delle sue dimensioni, delmercato, delle sfide e della determinazione dei leader. È possibile monitorareefficacemente il processo di trasformazione, valutarlo e dare consigli sui futuricambiamenti nella gestione strategica delle risorse umane. Si noti che ogni sforzoconcertato per valutare il processo di cambiamento avrà un probabile impatto sugliindividui e sulle organizzazioni. In modo specifico, seguendo un piano di valutazionecompleto, l'organizzazione manda dei segnali alla sua forza lavoro sul valore assegnatoall'intervento e sul desiderio di cambiamento. Tale attenzione alla valutazione puòanche dirigere e ri-orientare il processo di cambiamento. Da non trascurare che ilcambiamento nella filosofia e nell'orientamento della Leadership influenzerà nonsoltanto le interazioni tra i leader e i collaboratori, ma anche la cultura e le politicheistituzionali che governano l'organizzazione stessa. Basti pensare come potrebbemodificarsi lo sviluppo di una vision basata sulla motivazione “ispirazionale”: possonoavvenire diversi cambiamenti nell'organizzazione, nelle strutture e nella culturaquando un numero critico di manager sposta il suo orizzonte temporale dall'affrontarei problemi del momento alle potenziali opportunità del futuro. Anche la costruzionedegli scenari conseguenti alla vision elaborata è ampiamente influenzata dallo stile diLeadership prevalente in un'organizzazione: processi di ideazione, generazione ediffusione delle informazioni e lo stesso processo decisionale non possono avvenire inmodo efficace con la Leadership transazionale.L'introduzione della Quattro I nel comportamenti di Leadership di un manager avrà uneffetto significativo sulla cultura organizzativa, sul comportamento delle suecomponenti e sul modo in cui le decisioni vengono elaborate a tutti i livelli sianell'unità organizzativa del leader che in tutta l'organizzazione.

Le funzioni della leadership

Abbiamo più volte evidenziato che il leader è la “persona centrale” all’interno di ungruppo. L’utilizzo dell’etichetta “persona centrale” fa riferimento ai risultati d analisicompiute da Fritz Redl, allievo di Lewin, che integrò i concetti della teoria del capo conil contributo psico-analitico. Secondo Redl (1942), si possono identificare diecimodalità di formazione della leadership in un gruppo, raggruppabili in tre categorie. Laclassificazione viene così sintetizzata:

La persona centrale come oggetto di identificazione

Basata sull’amore

Incorporazione nella coscienza Tipo 1 Patriarca

Incorporazione dell’ideale dell’Io Tipo 2 Attivista

Basata sul timore/odio

Identificazione con l’aggressore Tipo 3 Tiranno

La persona come oggetto di pulsioni

Oggetto di pulsioni libidiche Tipo 4 Divo

Oggetto di pulsioni aggressive Tipo 5 Odiato

La persona centrale come sostegno dell’Io

Sostegno al soddisfacimento delle pulsioni Tipo 6 Organizzatore

Sostegno allo scioglimento di situazioni conflittuali,secondo varie modalità:

Attraverso un atto promotore della gratificazionedi pulsioni

Tipo 7 Trascinatore

Attraverso un atto promotore delle difese contropulsioni

Tipo 8 Eroe

Attraverso un appoggio alla praticabilità deiconflitti

Tipo 9 Cattivoesempio

Attraverso appoggi alle motivazioni valoriali Tipo 10 Buon esempio

Ruolo della persona centrale nel processo di formazione del gruppo, secondo Redl (1942)

Vengono qui sottolineate le funzionalità reciproche del leader rispetto ai membri e deimembri rispetto al leader.

Un sintesi degli approcci proposti:

Periodo Tipo di approccio Fondamento dibase

Denominazione(secondo G.

Trentini, 2006)

Fino agli anni ‘40 Approccio basatosui “tratti”

La capacità diLeadership è innata

Orientamenti“personologici”

Dagli ultimi anni’40 fino agli ultimi

anni ‘60

Approccio basatosugli “stili”

L’efficienza dellaLeadership ha a che

fare con lemodalità di

comportamentodel leader

Orientamentiinterattivi

Dagli ultimi anni’60 fino ai primi

anni ‘80

Approccio basatosulla “contingenza"

In questo casodipende: laLeadershipefficiente è

determinata dallasituazione

Orientamentifunzionalisti

Dai primi anni ’80in poi

Approccio basatosulla nuovaLeadership

(includente anchequella carismatica)

I leader devonopossedere la vision

Nuovofunzionalismo

(attento a certevalenze

“personologiche”)

Sommario e breve conclusione

Un elemento emerge ed attraversa tutte le scuole di pensiero considerate: essoriguarda ancora una volta la “complessità” che comunque interviene a questo livello dianalisi del tema. La rassegna storica della ricerca e delle teorie sulla Leadership mostrail modo in cui esse sono state influenzate dalle diverse tendenze di pensiero ponendol’enfasi sui tratti in un momento, sui comportamenti in un altro e così via. Quando,invece, assumiamo una visione più ampia e generale, siamo in grado di individuareaspetti che accomunano le diverse prospettive teoriche.I leader devono innanzitutto stabilire la legittimità della loro autorevolezzadimostrandosi competenti e degni di fiducia da parte dei loro followers. Quando ileader sono molto efficaci nella gestione della loro immagine, essi sono considerati inpossesso di rimarchevoli livelli di capacità e fiducia. In secondo luogo i leader devonosaper gestire, guidare e supportare i loro seguaci in modo da consentire loro dicontribuire al raggiungimento degli obiettivi del gruppo pur soddisfacendo i lorobisogni e le mete personali; per poter fare ciò, i leader devono saper comprendere le

abilità, i valori e le personalità dei loro collaboratori così da poter fornir loro il tipo dipreparazione e sostegno migliore. In alcuni casi i leader sono così efficaci da creare unambiente tale che i collaboratori identificano le mete personali con le mete collettivedel gruppo. I leader devono, infine, saper utilizzare le abilità possedute da loro stessi edal gruppo per raggiungere l’obiettivo comune. Il primo passo nell’uso di questerisorse è creare un senso di fiducia ed empowerment personale che incoraggi ciascunmembro del gruppo ad aumentare i propri sforzi. Il secondo passo è adattareall’ambiente l’uso delle proprie risorse in modo da raggiungere il miglior accordo tra iprocessi di gruppo e la richiesta ambientale.Il senso di efficacia della Leadership e l’efficacia collettiva del gruppo possono essereconsiderati i più importanti contributi a ciascuna delle necessità funzionali dellaLeadership. I sentimenti di efficacia nel ruolo della Leadership sono il presupposto perfavorire capacità decisionali, relazioni interpersonali, il perseguimento di metedesiderate, l’elaborazione di buone strategie d’azione e la perseveranza a lungotermine per il raggiungimento degli obiettivi. Ci sembrano attuali le parole scritte giàverso la metà del secolo scorso da E. Jaques, (1951, p. 319), secondo cui un capo“…deve lottare con un accavallarsi di sentimenti, di conflitti e di carenze che, a volte,sembrano schiaccianti. Dovendo agire da solo deve avere in sé – in una certa misura –la fiducia di essere abbastanza efficiente per il suo compito. Questa fiducia presupponel’assenza del timore di dominare gli altri e l’assenza di intensi desideri di dominarli, lacapacità di criticare senza pronunciare arringhe, la libertà da un senso di colpaopprimente, la tolleranza degli errori personali e di quelli fatti dagli altri; una sicurezzae un’indipendenza interiori, nonché la capacità di dare sicurezza e concedereindipendenza agli altri. Questi attributi ed altri che si possono aggiungere, siriscontrano solo negli individui che posseggono una genuina maturità psicologica”.

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