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1. Introduzione alla politica economica SOMMARIO: Introduzione. – 1.1. Il ruolo economico dello Stato. – 1.2. Soggetti dell’intervento pub- blico. – 1.3. Pensare la politica economica: problemi, obiettivi, strumenti, modelli di deci- sione, valutazione. – Riferimenti bibliografici. Introduzione La politica economica studia le forme dell’intervento pubblico nell’economia e i motivi che giustificano tale intervento. Utilizza concetti e modelli della micro e dalla macroeconomica e affronta temi comuni alla scienza delle finanze, all’eco- nomia pubblica, all’economia internazionale, all’economia monetaria, all’econo- mia del lavoro. Fornisce indicazioni che servono come “guida all’azione” per le autorità di governo (Caffè, 1990, cap. 1). Questo capitolo introduce il lettore agli aspetti generali della politica econo- mica come disciplina autonoma nell’ambito del sapere economico. Il paragrafo 1.1 affronta il tema del ruolo dello Stato nell’economia. Il paragrafo 1.2 identifica i soggetti della politica economica in Italia, soffermandosi brevemente sul pro- blema delle relazioni di agenzia nell’ambito del settore pubblico. Il paragrafo 1.3, infine, presenta uno schema generale utile per “pensare” la politica economica in termini di problemi, obiettivi, strumenti, modelli di decisione, implementazione e valutazione delle politiche pubbliche. 1.1. Il ruolo economico dello Stato R. Musgrave, in un celebre studio dedicato alla finanza pubblica (Musgrave 1959), identifica tre ambiti d’intervento per l’azione dello Stato nell’economia: allocazione, redistribuzione, stabilizzazione. Il primo ambito è legato all’esistenza di situazioni in cui, senza l’intervento dello Stato, il Mercato e la concorrenza portano a un’allocazione inefficiente delle risorse. L’esistenza di queste situazioni, note con il nome di fallimenti del merca-

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Introduzione alla politica economica

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1. Introduzione alla politica economica

SOMMARIO: Introduzione. – 1.1. Il ruolo economico dello Stato. – 1.2. Soggetti dell’intervento pub-blico. – 1.3. Pensare la politica economica: problemi, obiettivi, strumenti, modelli di deci-sione, valutazione. – Riferimenti bibliografici.

Introduzione

La politica economica studia le forme dell’intervento pubblico nell’economia e i motivi che giustificano tale intervento. Utilizza concetti e modelli della micro e dalla macroeconomica e affronta temi comuni alla scienza delle finanze, all’eco-nomia pubblica, all’economia internazionale, all’economia monetaria, all’econo-mia del lavoro. Fornisce indicazioni che servono come “guida all’azione” per le autorità di governo (Caffè, 1990, cap. 1).

Questo capitolo introduce il lettore agli aspetti generali della politica econo-mica come disciplina autonoma nell’ambito del sapere economico. Il paragrafo 1.1 affronta il tema del ruolo dello Stato nell’economia. Il paragrafo 1.2 identifica i soggetti della politica economica in Italia, soffermandosi brevemente sul pro-blema delle relazioni di agenzia nell’ambito del settore pubblico. Il paragrafo 1.3, infine, presenta uno schema generale utile per “pensare” la politica economica in termini di problemi, obiettivi, strumenti, modelli di decisione, implementazione e valutazione delle politiche pubbliche.

1.1. Il ruolo economico dello Stato

R. Musgrave, in un celebre studio dedicato alla finanza pubblica (Musgrave 1959), identifica tre ambiti d’intervento per l’azione dello Stato nell’economia: allocazione, redistribuzione, stabilizzazione.

Il primo ambito è legato all’esistenza di situazioni in cui, senza l’intervento dello Stato, il Mercato e la concorrenza portano a un’allocazione inefficiente delle risorse. L’esistenza di queste situazioni, note con il nome di fallimenti del merca-

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to (v. dopo, cap. 2), è condizione necessaria per giustificare l’intervento pubblico anche se, come osserva Stiglitz,

“Mentre la letteratura tradizionale considera i fallimenti dell’economia di mercato come delle eccezioni alla regola generale che le economie decentralizzate portano a una allocazione efficiente delle risorse (…) è solo in circostanze eccezionali che il mer-cato è efficiente. Ciò rende molto più difficile l’analisi del ruolo appropriato per lo Stato, il problema diviene di identificare ampi fallimenti dell’economia di mercato do-ve ci sia spazio per interventi di miglioramento del benessere da parte dello Stato e non più di identificare fallimenti dell’economia di mercato, essendo questi endemici” [Stiglitz 1992, p. 58].

Franzini (2017) chiarisce che sarebbe errato assumere che il verificarsi dei fal-limenti del mercato sia “sufficiente a giustificare sempre e comunque l’intervento pubblico. Il problema è che quell’intervento può mancare di produrre gli esiti sperati; esistono infatti anche i «fallimenti dello Stato»”; situazioni in cui l’intervento pubblico peggiora i problemi esistenti o ne crea di nuovi sia sul fron-te dell’efficienza che su quello dell’equità.

Disuguaglianza nei punti di partenza e di arrivo, polarizzazione nella distribu-zione dei redditi e della ricchezza, esposizione di larghe fasce della popolazione a rischi economici (disoccupazione, povertà, ecc.) vanno contrastate, attraverso la redistribuzione delle risorse da parte dello Stato, non solo per motivi di ordine etico, politico e sociale, ma anche per motivi strettamente economici 1.

Se la propensione al consumo dei “meno abbienti” (consumi in relazione al reddito) è maggiore di quella dei “più abbienti”, l’aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito deprime i consumi, la produzione e l’occupazione. Una disuguaglianza elevata aumenta la possibilità che le famiglie meno abbienti si indebitino per raggiungere un tenore di vita accettabile, esponendosi a rischi che la perdita del lavoro o una malattia grave possono rendere insostenibili. La disu-guaglianza ostacola la mobilità sociale, facilita la possibilità che gli strati più “ab-bienti” della popolazione esercitino un potere di influenza e di lobby sulle autori-tà politiche, danneggia la salute e la produttività degli individui economicamente più deboli, determina forme di scoraggiamento e di abbandono. Tutto questo giustifica interventi redistributivi da parte dello Stato, finalizzati a ridurre la di-stanza tra i meno abbienti e i più abbienti, attraverso la tassazione, i trasferimenti, le politiche dello stato sociale e altri strumenti (cap. 3).

Infine, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, gli stati hanno assunto il compito di promuovere la crescita, l’occupazione e la stabilità dei prezzi e di at-tenuare le oscillazioni cicliche dell’attività economica. L’alternarsi di fasi di acce-

1 Sul tema delle disuguaglianze oggi cfr. Franzini e Pianta (2016) e i riferimenti bibliografici ivi citati.

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lerazione (ripresa, espansione, boom) e rallentamenti (contrazione, recessione, depressione) nell’attività economica, nell’andamento dei prezzi dei beni e delle attività reali e finanziarie, aumenta l’incertezza delle famiglie e delle imprese, con effetti dannosi sui consumi e sull’accumulazione, obbligando i singoli (in assenza delle tutele di un solido stato sociale) a mettere in campo costose strategie per proteggersi dai rischi economici, che non sono alla portata di tutti. Il tema della stabilizzazione acquista particolare importanza in relazione al mercato del lavoro e all’obiettivo di contenere la disoccupazione entro limiti socialmente accettabili, garantendo, contemporaneamente, una copertura economica a chi perde il lavoro o è troppo anziano per continuare a lavorare (cap. 4).

La politica di bilancio (cap. 5) e la politica monetaria (cap. 6), sono i due strumenti principali attraverso i quali le autorità intervengono per sostenere l’at-tività economica quando questi dia segni di cedimento e per raffreddarla nel caso opposto. Gli interventi di stabilizzazione si sovrappongono a quelli a favore della crescita e dello sviluppo del sistema economico nel lungo periodo.

L’intensificarsi della globalizzazione 2 rende più difficile il compito delle auto-rità di politica economica, limitandone i gradi di libertà in materia di tassazione, regolamentazione delle attività economiche, gestione della moneta, ecc. Tratte-remo alcune delle implicazioni derivanti da questo fenomeno nel cap. 7, nel quale si analizzano le politiche per il controllo della bilancia dei pagamenti, gli effetti delle politiche monetarie e fiscali in cambi fissi e flessibili, i temi del protezioni-smo e della competitività globale. Il capitolo 8, infine, analizzerà l’interazione tra la politica economica e le aspettative degli agenti economici.

1.2. Soggetti dell’intervento pubblico

Il settore pubblico raggruppa le unità istituzionali le cui funzioni principali con-sistono nel produrre servizi non destinabili alla vendita e nell’operare una redistri-buzione del reddito e della ricchezza del Paese. In Italia, il settore pubblico è sud-diviso in tre sotto-settori principali: Amministrazioni centrali, Amministrazioni lo-cali e gli Enti di previdenza.

Le Amministrazioni centrali comprendono: 1) Organi costituzionali e di rilie-

2 Termine utilizzato a partire dagli anni ’90 per indicare la crescente integrazione economica, sociale e culturale tra aree diverse del mondo (Steger, 2017). Sul piano strettamente economico, la globalizzazione riguarda quattro aree in particolare: commercio internazionale, movimenti di capi-tale a breve e lungo termine, mobilità del lavoro (migrazioni) e integrazione dei processi produttivi a livello globale (global supply chain). Per una definizione più ampia cfr. http://www.treccani.it/ enciclopedia/globalizzazione. Per un inquadramento del fenomeno in prospettiva storica cfr. Oste-rhammel e Peterson (2009).

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vo costituzionale (Presidenza della Repubblica, Camera dei Deputati, Senato del-la repubblica, Corte Costituzionale, CNEL). 2) Presidenza del Consiglio dei mini-stri e Ministeri, 3) Agenzie fiscali (demanio, dogane e monopoli; entrate), 4) Enti di regolazione dell’attività economica: (AGE.Control S.p.a., AIFA, AGE.NA.S, ANSV, ANSF, ANPAL, AGID, ARAN, AGEA, CSEA, GPL, Ente nazionale per il micro-credito, GSE S.p.a); 5) Enti produttori di servizi economici (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ENIT, ANBSC, ICE, Amministrazione degli archivi notarili, ANAS, Equitalia giustiza, ANPAL, SOGEI); 6) Autorità amministrative indipendenti (es. ANVUR, ANAC, Autorità garante della concorrenza e del mer-cato, AGCOM, Garante per la protezione dei dati personali); 7) Enti a struttura associativa (es. Associazione nazionale comuni italiani – ANCI; Conferenza dei rettori delle università italiane – CRUI, Unione italiana delle camere di commer-cio, industria, artigianato e agricoltura – Unioncamere); 8) Enti produttori di ser-vizi assistenziali, ricreativi e culturali (Accademia della crusca, Associazione della Croce Rossa italiana – CRI; Comitato olimpico nazionale italiano – CONI; RAI – Radiotelevisione italiana S.p.a.; Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’ener-gia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA; Consiglio nazionale delle ricer-che – CNR; Istituto nazionale di statistica – ISTAT; Istituto nazionale per la valu-tazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – INVALSI; Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – INAPP).

Le Amministrazioni locali comprendono: 1) Regioni e province autonome; 2) Province; 3) Comuni e città metropolitane, Comunità montane, unioni di comuni 4) Agenzie, enti e consorzi per il diritto allo studio universitario, Agenzie ed enti per il turismo, per il lavoro, per la formazione, la ricerca e l’ambiente; 5) Altre agenzie regionali; 6) Autorità portuali; 7) Aziende ospedaliere, aziende ospedaliero-universitarie, policlinici e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ASL; 8) Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e unioni regionali; 9) Parchi nazionali, consorzi ed enti gestori di parchi e aree naturali protette; 10) Uni-versità, istituti di istruzione universitaria pubblici, Consorzi interuniversitari di ri-cerca; 11) Enti regionali di sviluppo agricolo; 12) Fondazioni lirico-sinfoniche; 12) Teatri nazionali e di rilevante interesse culturale, 13) Altre amministrazioni locali.

Gli Enti di previdenza, la cui attività principale consiste nell’erogare presta-zioni sociali finanziate attraverso contributi generalmente di carattere obbligato-rio comprendono: Cassa di previdenza e assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti – INARCASSA; Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti; Cassa nazionale del notariato; Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti – CNPADC; Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei ragionieri e periti commerciali – CNPR; Cassa nazio-nale di previdenza e assistenza forense; Ente di previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati – EPPI; Ente di previdenza e assistenza pluricatego-riale – EPAP; Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei biologi –

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ENPAB; Ente nazionale di previdenza e assistenza degli psicologi – ENPAP; Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti – ENPAF; Ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari – ENPAV; Ente nazionale di previdenza e assistenza della professione infermieristica – ENPAPI; Ente nazionale di previ-denza e assistenza per i consulenti del lavoro – ENPACL; Fondazione Ente na-zionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura – Fondazione ENPAIA; Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri – ENPAM; Fondazione ENASARCO; Fondo agenti spedizionieri e corrieri – FASC; Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani G. Amendola – INPGI; Isti-tuto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro – INAIL; Istituto nazionale previdenza sociale – INPS; Fondazione Opera nazionale per l’assistenza agli orfani dei sanitari italiani – Fondazione ONAOSI 3.

Alle autorità nazionali responsabili della politica economica si aggiungono, le autorità europee e quelle internazionali. Al primo gruppo appartengono: Parla-mento europeo, Consiglio europeo, Consiglio dell’Unione europea, Commissione europea, Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), Banca centrale europea (BCE), Corte dei conti europea, Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Co-mitato economico e sociale europeo (CESE), Comitato europeo delle regioni (CdR), Banca europea per gli investimenti (BEI), Mediatore europeo, Garante europeo della protezione dei dati (GEPD), Organismi inter-istituzionali 4. Al secondo grup-po appartengono istituzioni come Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund IMF), Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (In-ternational Bank for Reconstruction and Development), Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization) e altre (v. Appendice II, cap. 7).

Come emerge chiaramente da questo lungo (e pedante) elenco, non c’è ambito dell’economia italiana, sul piano interno e internazionale, nel quale non interven-gano – direttamente o indirettamente – una o più amministrazioni pubbliche sia per quanto riguarda gli aspetti fiscali, previdenziali e regolamentari, sia per quan-to riguarda la fornitura di servizi di supporto e assistenza, sia per quanto riguarda la produzione di beni e servizi pubblici e la tutela di beni meritori (v. dopo). An-che da questo, si evince l’importanza di studiare la politica economica, la logica che guida le decisioni delle autorità che ne sono responsabili (policy maker), gli effetti di quelle decisioni.

Prima di farlo è utile ricordare che le azioni di politica economica coinvolgono due livelli operativi distinti e strettamente legati fra loro: il livello politico e quello amministrativo. In un sistema democratico, i cittadini eleggono e i propri rappre-

3 Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/atto/. 4 Per informazioni su ciascuna di queste istituzioni cfr. https://europa.eu/european-union/about-

eu/institutions-bodies_it.

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sentanti politici e questi prendono decisioni che si traducono in norme, provve-dimenti e azioni amministrative messe in campo dall’apparato burocratico. En-trambi i livelli interagiscono con i corpi intermedi (es. sindacati, ONG, organiz-zazioni della società civile), con l’opinione pubblica, con i singoli cittadini e le imprese e con soggetti pubblici e privati esteri.

Questo genera una molteplicità di relazioni del tipo principale-agente che condizionano il processo di formazione ed esecuzione della politica economica.

Come chiarisce Tosato (2012), la relazione principale-agente si determina quando l’esito di un accordo contrattuale per una parte dipende dal comporta-mento dell’altra. Agente (o mandatario) è il soggetto che agisce; principale (o mandante) è il soggetto su cui incide l’azione dell’agente.

Le relazioni di agenzia sono ampiamente diffuse nel sistema economico: sono casi tipici quelle fra proprietari e manager di un’impresa, fra direttore generale e responsabili divisionali, fra imprese manifatturiere e distributori del prodotto, fra compagnie di assicurazione e assicurati, fra datori di lavoro e lavoratori, fra pro-prietari di immobili e agenzie immobiliari, fra gli stessi e le imprese di manuten-zione e riparazione, fra banche e affidati, fra governi e istituzioni finanziarie. Nei casi menzionati si manifesta, successivamente alla stipula del contratto di agenzia, una situazione di asimmetria informativa, dato che l’esito dell’accordo dipende per il principale dall’impegno, in generale non direttamente osservabile, con cui l’agente esegue il contratto. Questa situazione è nota nella letteratura economica con il termine, di azzardo morale o comportamento sleale. L’analisi della relazio-ne principale-agente si incentra sullo studio del tipo di contratto che il principale può proporre all’agente, in modo da incentivarne l’impegno in conformità con gli obiettivi del principale stesso. Più complessa è la natura del contratto ottimale nell’ipotesi che l’impegno dell’agente non sia osservabile.

Conseguenza della non osservabilità è che si possa realizzare un livello di im-pegno inefficiente, in quanto troppo basso. Nel campo delle relazioni fra elettori e politici eletti e fra politici e burocrati la difficoltà (impossibilità) di stipulare dei contratti veri e propri, l’imperfezione dei meccanismi di controllo, le difficoltà nel-l’osservare l’effettivo impegno degli agenti, la possibilità che gli interessi degli agenti prevalgano sistematicamente su quelli dei principali rende il processo deci-sionale alla base delle decisioni di politica economica complesso e soggetto a mol-teplici imperfezioni. E tutto questo senza parlare dell’influenza dei gruppi di pressione, delle lobby, degli interessi concentrati, ecc. La dimensione strategica che guida le decisioni di politica economica e i problemi legati alla definizione delle regole che guidano le scelte collettive, formano oggetto di una branca dell’e-conomia pubblica che per motivi di spazio non approfondiamo qui 5.

5 Per un approfondimento su questi temi cfr., fra i molti testi disponibili, Balducci, Candela, Scorcu (2001, capp. 2, 3 e 4).

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1.3. Pensare la politica economica: problemi, obiettivi, strumenti, modelli di decisione, valutazione

Un modo d’introdurre la logica che guida i processi decisionali alla base della politica economica consiste nel distinguere sei fasi: definizione del problema che giustifica l’intervento di politica economica, traduzione del problema in un obiet-tivo, identificazione degli strumenti adeguati a realizzare l’obiettivo, identifica-zione di un modello d’intervento, implementazione delle misure ritenute utili a realizzare l’obiettivo, valutazione degli esiti dell’intervento. In questo paragrafo, tratteggeremo le caratteristiche di queste fasi, basandoci su Peters (2015) e altre fonti.

Problemi di politica economica (policy problem)

Un problema di politica economica (policy problem) è una condizione che al-cuni o tutti cittadini (e le autorità che li rappresentano) trovano indesiderabile. Questi problemi vanno da questioni relativamente semplici, come la sporcizia delle strade, a questioni molto complicate, come il sottosviluppo d’intere regioni del mondo. L’esistenza di problemi di politica economica è legata, come vedremo nei capitoli successivi, alla presenza di fallimenti dell’economia e della società ri-spetto a un assetto ideale, che nella realtà non esiste. In questo senso, la categoria dei fallimenti del mercato, che utilizzeremo a partire dal prossimo capitolo per giustificare l’intervento pubblico, non va intesa come un’eccezione ma come la norma. Esternalità, beni pubblici, potere di mercato, carenza d’informazioni, di-suguaglianza rappresentano i principali fallimenti del mercato, insieme a instabili-tà economica, disoccupazione, inflazione, turbolenze finanziarie, ecc.

A questi problemi, se ne aggiungono altri di natura socio-economica (es. ab-bandono scolastico, proliferazione del crimine, povertà, violenza domestica) sen-za dimenticare i problemi posti dall’intervento pubblico stesso (es. distorsione nell’uso delle risorse pubbliche, burocrazia, corruzione). Partendo da questa tas-sonomia, le caratteristiche generali sulla base delle quali è possibile identificare un problema di policy (e impostare una strategia per risolverlo) sono sette. Prima di definirle, occorre ricordare che spesso lo stesso problema può essere presenta-to in maniera diversa a seconda delle circostanze politiche del momento e la ca-pacità delle autorità d’influenzare l’opinione pubblica in una direzione o nell’altra.

Le sette caratteristiche che definiscono i problemi di politica economica sono le seguenti:

1. Delimitazione: identificazione dell’area funzionale e geografica a cui si rife-risce il problema e dei soggetti preposti alla sua soluzione. Alcuni problemi si

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presentano su scala municipale (inefficienza nello smaltimento dei rifiuti), altri su scala regionale (sottosviluppo regionale), nazionale (squilibri di finanza pubbli-ca), internazionale (evasione garantita dalla presenza dei paradisi fiscali) o globale (finanziamento del terrorismo).

2. Divisibilità: alcuni problemi si prestano a essere suddivisi in più parti, ognu-na delle quali è affidata a un soggetto diverso perché la risolva (magari coordi-nandosi con gli altri), altri problemi (es. assicurare la difesa nazionale) presentano le caratteristiche d’indivisibilità proprie dei beni pubblici.

3. Scala operativa: alcuni problemi richiedono interventi su larga scala, altri su scala ridotta. Gli interventi del primo tipo sono spesso innovativi, di rottura ri-spetto al passato e coinvolgono livello di governo diversi (con annessi problemi di coordinamento). Gli interventi su scala ridotta, invece, sono di tipo incrementale e basati sulla trasformazione graduale di modelli decisionali e soluzioni già speri-mentate in passato.

4. Facilità di trovare una soluzione: la possibilità di trovare una soluzione sod-disfacente a un problema di policy dipende, fra l’altro, dalle dimensioni del pro-blema stesso, dal numero dei soggetti coinvolti, dal tipo di relazioni fra loro, dal numero di soluzioni disponibili e dalla facilità di confrontarne i pregi e i difetti, dalla disponibilità delle autorità di politica economica a sperimentare interventi innovativi, dalla distribuzione del potere di veto tra le diverse agenzie coinvolte nella soluzione del problema.

5. Complessità e rischi: alcuni problemi sono più complessi di altri e la com-plessità riguarda sia la dimensione tecnica che quella politica. La complessità tec-nica riguarda la natura dei processi causali alla base del problema e il tipo di inte-razioni individuali e sociali che esso sottende. La complessità politica riguarda la molteplicità degli interessi in campo e la possibilità che tra i portatori di questi interessi sorgano dei conflitti difficili da risolvere. L’interazione fra i due tipi di complessità, distinguendo per semplicità basso e alto in entrambi i casi, fornisce un criterio di classificazione come quello riportato in Tabella 1 6.

6 I problemi che presentano una bassa complessità sia tecnica che politica si trovano general-mente, all’interno di aree d’intervento nelle quali le autorità sono presenti da tempo. Questo facilita la gestione del problema attraverso l’esperienza, l’accumulazione delle conoscenza, l’identificazione chiara degli interesse in campo, la presenza di meccanismi rodati per gestire i conflitti tra di essi. Nella posizione opposta troviamo i problemi caratterizzati da elevata complessità sia tecnica che politica. Si tratta di problemi relativamente recenti, intorno alla cui portata e possibili soluzioni c’è grande incertezza (si pensi al tema del riscaldamento globale, che alcuni negano e altri considerano una minaccia concreta e immediata), con molti interessi in campo, spesso non ben definiti. In posi-zione intermedia i problemi caratterizzati da un’elevata complessità di un tipo e una bassa comples-sità dell’altro. Tutti o quasi, sono favorevoli, a promuovere la ricerca scientifica in campo medico, ma capire quale sia il modo più efficace di farlo e quante risorse sia giusto dedicare a questo obiet-tivo è tecnicamente molto difficile. In campo educativo, il problema si presenta in maniera opposta. È meglio concentrare le risorse disponibili per l’educazione, creando pochi poli di vera eccellenza,

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Tabella 1. – Tipi di complessità

Complessità tecnica alta Complessità tecnica bassa

Complessità politica alta Politica ambientale Politiche della formazione

(politiche educative)

Complessità politica bassa Promozione della ricerca scientifica Politica pensionistica

6. Certezza e rischi: nella soluzione di molti problemi i margini di incertezza sull’efficacia delle soluzioni alternative possono essere molto ampi, così come i rischi derivanti dall’adottare una soluzione invece di un’altra. Produrre energia elettrica utilizzando impianti nucleari può essere vantaggioso dal punto di vista dei costi e dell’efficienza, ma i rischi per l’ambiente e per l’incolumità dei cittadi-ni, in caso d’incidente, sono difficili se non impossibili da quantificare. Lo stesso vale, per esempio, nel caso dell’introduzione di organismi geneticamente modifi-cati (OGM) in campo agricolo.

7. Discriminazione: la soluzione di molti problemi di politica economica com-porta dei vantaggi per alcuni e degli svantaggi per altri. In nome di cosa interventi del genere sono giustificati?

8. Monetizzazione: alcuni problemi di policy si risolvono avendo sufficiente risorse monetarie a disposizione. Erogare sussidi alla produzione e alle esporta-zioni, fornire istruzione gratuita dalle scuole elementari fino all’università, au-mentare le pensioni, offrire a tutti i cittadini il diritto alla salute attraverso un sistema sanitario nazionale universale e gratuito sono esempi di problemi del genere. Risolvere questi problemi non è particolarmente difficile, a meno che il governo non sia gravato da un debito pubblico molto elevato che riduce i suoi margini di manovra. Altri problemi, invece, riguardano lo status sociale degli individui, il riconoscimento dei diritti, la presenza di ingiustizie cui si deve ri-mediare.

In aggiunta alle caratteristiche appena delineate, la maggiore o minore facilità con cui si risolve un problema di politica economica dipende da fattori contin-genti come: l’urgenza, il tempo disponibile per trovare una soluzione, la reputa-zione delle autorità, la presenza di conflitti tra autorità diverse (si pensi al caso di un’amministrazione municipale di un colore politico diverso da quello del gover-no nazionale), dalla stabilità del contesto socio-politico, dalla molteplicità degli attori in gioco, dalla possibilità che alcuni dei soggetti cui spetta risolvere il pro-

o garantire uno standard accettabile per tutti, magari a scapito dell’eccellenza? Su politica econo-mica e complessità cfr. Colander e Kupers (2014).

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blema siano parte del problema stesso (si pensi al caso di un sistema di dazi sulle importazioni elaborato e gestito da funzionari corrotti), dalla qualità dell’am-biente politico.

Gli obiettivi della politica economica

Una volta identificato un problema, il passo successivo consiste nell’esprimere la soluzione in termini di un obiettivo di politica economica. Gli obiettivi posso-no essere espressi in termini quantitativi o qualitativi e riferirsi al breve, al medio o al lungo periodo. Un elenco esemplificativo dei principali obiettivi della politica economica, che riprendiamo con gli opportuni adattamenti da Caffè (1990, pp. 74-76) è il seguente:

1. Pieno impiego: Cifra fissa (non più di x mila disoccupati entro il …), per-centuale (non più del x% della forza lavoro entro il …), annullamento dello scar-to tra reddito effettivo e reddito potenziale.

2. Stabilità dei prezzi: Livello del prezzo (Deflatore implicito del PIL pari a … entro il …), tasso d’inflazione (incremento % dell’indice dei prezzi al consumo pari a … da realizzarsi entro …), variazione percentuale costo della vita (obiettivo espresso in termini di variazione del salario reale).

3. Miglioramento della bilancia commerciale: mantenimento o accrescimento delle riserve valutarie ufficiali (cifra fissa, x miliardi di euro), pareggio della bilan-cia commerciale o pareggio del conto corrente nella bilancia dei pagamenti, mi-glioramento della competitività globale misurata secondo gli indicatori x, y, ..., le riserve valutarie devono raggiungere 3 volte il valore delle importazioni medie mensili.

4. Incremento del reddito in termini reali (crescita): tasso di crescita obiettivo 2% annuo, incremento del reddito pro-capite (+ 1% annuo).

5. Miglioramento del bilancio pubblico: realizzazione di un avanzo primario pari all’x% del PIL, contenimento del deficit del bilancio pubblico entro il 3% del PIL, riduzione annua del rapporto debito pubblico/PIL di un ventesimo dello scarto tra il valore effettivo del rapporto e il 60%; riduzione della pressione fisca-le al … del PIL.

6. Miglioramento della concorrenza: per evitare pratiche restrittive sui merca-ti, un gruppo produttivo non può avere il controllo di più di 1/3 del mercato.

7. Miglioramento della divisione internazionale del lavoro: per permettere la liberalizzazione dei movimenti dei fattori produttivi e delle merci riduzione del livello medio dei dazi al x%; fissazione delle entrate per dazi non superiore al 5% del valore delle importazioni; le emigrazioni non possono essere superiore a 200 mila unità annue.

8. Difesa: Sicurezza interna N. divisioni, squadre navali; spesa per la difesa pa-ri all’x% del PIL, spesa per la difesa pari all’x% sul totale della spesa pubblica.

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9. Istruzione pubblica: istruzione scolastica obbligatoria a 18 anni; spesa per l’istruzione pari all’x% del PIL, spesa per l’istruzione pari all’x% sul totale della spesa pubblica; N. laureati, N. diplomati.

10. Giustizia e sicurezza: spesa per la giustizia e per la sicurezza pari all’x% del PIL, spesa per la giustizia e per la sicurezza pari all’x% sul totale della spesa pubblica; N. di magistrati assunti ogni anno; N. di processi civili chiusi ogni anno (riduzione del debito giudiziario), N. di posti nelle carceri.

11. Salute pubblica: N. posti letto o N. posti letto/abitante; spesa per la sanità pari all’x% del PIL, spesa per la sanità pari all’x% sul totale della spesa pubblica; N. medici in rapporto alla popolazione.

12. Cooperazione internazionale: x% del PIL spesa a favore dei paesi in via di sviluppo.

13. Bisogni della Pubblica Amministrazione: N. impiegati pubblici in rappor-to alla popolazione, gravame della spesa per personale sul PIL.

14. Reddito minimo: TOT euro per pensioni mensili, TOT euro al mese per sus-sidio di disoccupazione, reddito minimo pensile pari a TOT euro per lavoratore.

15. Redistribuzione dei redditi: reddito da lavoro pari all’x% del reddito globa-le, il reddito del decile superiore non può essere maggiore del x% del reddito del decile inferiore; gli assegni familiari devono essere di … euro per persona a carico.

16. Protezione agricola: il reddito agricolo deve essere pari al 70% degli altri redditi, il valore aggiunto dell’agricoltura deve essere pari all’x% del valore ag-giunto complessivo, gli occupati in agricoltura devono essere l’x% degli occupati totali, l’occupazione in agricoltura deve diminuire di x unità l’anno, il prezzo mi-nimo del grano deve essere x euro al quintale.

17. Protezioni di regioni: il reddito del Sud deve aumentare del x% annuo; il reddito pro capite del Sud deve essere uguale a quello del Nord; gli occupati nel-l’industria devono raggiungere la stessa percentuale di quelli del Nord.

18. Limitazione dell’immigrazione: N. di permessi di soggiorno all’anno; spesa per la creazione di centri di accoglienza.

19. Struttura dei consumi: quantità minima di calorie per individuo; % spesa in beni durevoli; % spesa in salute e igiene; creazione di x nuovi posti in asili nidi all’anno.

20. Sicurezza degli approvvigionamenti: quantità minima di riserve strategiche (es. di petrolio) su mesi di produzione.

21. Riduzione della durata di lavoro: ore settimanali 35; giorni di ferie pagati all’anno 20.

In tutti i casi, gli obiettivi sono grandezze economiche rispetto alle quali le autorità esprimono un certo grado di preferenza, sia come traguardo da raggiun-gere in un certo lasso di tempo, sia come argomento di una funzione del benesse-re sociale (v. dopo) da massimizzare. Fissare obiettivi quantitativi fornisce un

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Capitolo 1 12

modo relativamente semplice per valutare l’efficacia delle azioni delle autorità di politica economica e per orientare le aspettative degli agenti economici relativa-mente all’azione dei policy maker.

Un esempio fra i tanti, su cui torneremo nel capitolo 6, è la definizione quan-titativa di stabilità dei prezzi adottata dalla Banca Centrale Europea (BCE). In base a questa definizione, la stabilità dei prezzi all’interno dell’area dell’euro è “un incremento anno su anno dell’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo per l’intera area dell’euro, inferiore al 2% ma prossimo a questo valore, da realizzarsi nel medio termine”. Questa definizione combina indicazioni molto precise (indi-ce di prezzo, area geografica di riferimento, tasso d’inflazione annuo) con indica-zioni meno precise (inferiore al 2% ma vicino a questo valore, medio termine) che lasciano margini di manovra alla BCE. D’altra parte, stante questa definizio-ne, è improbabile che la BCE resti inerte di fronte al pericolo di un significativo scostamento del tasso d’inflazione europeo dal valore di riferimento del 2%, sia verso l’alto che verso il basso. Gli agenti economici ne sono consapevoli e adatta-no, di conseguenza, le proprie aspettative sulla politica monetaria della BCE.

Gli strumenti della politica economica

Gli strumenti sono variabili manovrate dalle autorità di politica economica in vista del raggiungimento degli obiettivi prescelti tenendo conto di tre considera-zioni generali. Primo, lo stesso strumento può incidere su più obiettivi (es. varia-zioni della spesa pubblica incidono simultaneamente sul livello del reddito, del-l’occupazione, dei prezzi, del saldo della bilancia commerciale, ecc.). Spetta al po-licy maker assegnare lo strumento più efficace per il raggiungimento di ciascun obiettivo sulla base dell’esperienza, della prassi, degli studi economici disponibili in materia. Secondo, la scelta degli strumenti da adottare e del valore da assegna-re loro, in vista del raggiungimento degli obiettivi prescelti, è soggetta a moltepli-ci vincoli di natura politica e amministrativa che mutano nel tempo. Per questo motivo, l’assegnazione degli strumenti agli obiettivi non è mai definitiva ma sog-getta a rivalutazione periodica e comunque mutevole da un contesto istituzionale all’altro. Terzo, il successo nella manovra di un determinato strumento richiede azioni conformi da parte della collettività a cui quello strumento è indirizzato, anche se si tratta di strumenti di tipo coercitivo.

Sulla base di questa premessa, seguiamo Tanzi (2017, pp. 135-142) nell’elen-care le categorie degli strumenti di politica economica come segue.

1. Spesa pubblica. Il livello e la struttura della spesa pubblica sono il primo strumento della politica economica. Negli ultimi decenni, nei paesi avanzati, en-trambi sono diventati più importanti di quanto non fossero in passato e di quanto non siano nei paesi più poveri. In una certa misura, la spesa pubblica

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Introduzione alla politica economica

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può essere sostituita (nel perseguimento di taluni obiettivi) da regolamenti o da “spese fiscali”.

2. Livello e struttura del prelievo fiscale. Sia il livello della tassazione che la struttura del prelievo fiscale sono strumenti importanti di politica economica. En-trambi sono influenzati da: (a) evoluzione del ruolo dello Stato; (b) evoluzione del-le tecniche di prelievo fiscale (es. introduzione dell’imposta sulle transazioni finan-ziarie internazionali nota come Tobin tax); (c) le strutture mutevoli delle econo-mie; (d) l’evoluzione della capacità e del livello di sofisticatezza delle amministra-zioni fiscali. Nei paesi ricchi di oggi i livelli di tassazione sono molto più elevati ri-spetto a un secolo fa, e i governi hanno una maggiore possibilità a livello ammini-strativo, anche se non sempre a livello politico, di aumentare i livelli di tassazione.

3. Spese e incentivi fiscali: si tratta d’imposte non riscosse dal governo in ra-gione di un trattamento fiscale specifico o preferenziale di determinati settori, at-tività, regioni o agenti economici. Esse possono assumere molte forme, tra cui agevolazioni (deduzioni dalla base imponibile e crediti di imposta), esclusioni ed esenzioni, aliquote ridotte e differimento nel pagamento dei tributi. Poiché esi-stono diverse modalità di classificazione delle spese fiscali, è necessario che l’i-dentificazione dello strumento di policy avvenga in relazione all’obiettivo prefissa-to. Inoltre, poiché la definizione di spesa fiscale richiede, contestualmente, la esatta caratterizzazione del sistema tributario di riferimento, essa rappresenta una questione assai complessa, impedendo, di fatto, confronti internazionali a causa dell’elevata eterogeneità nella definizione delle spese fiscali tra paesi.

4. Proprietà pubblica di imprese o altri beni (es. beni demaniali). In vari paesi, e durante periodi particolari, i governi hanno nazionalizzato o privatizzato alcune imprese per promuovere particolari attività e obiettivi (es. sviluppo regionale, so-stegno a particolari settori economici, pieno impiego, motivi strategici e di presti-gio nazionale). La maggior parte dei governi possiede beni pubblici che utilizza-no per promuovere obiettivi particolari.

5. Espropriazione e potere di ricollocazione. I governi nazionali e le ammini-strazioni locali utilizzano occasionalmente il loro potere per espropriare proprietà private o riutilizzare il suolo per promuovere particolari obiettivi economici o so-ciali. A seconda delle norme costituzionali, queste azioni sono più facili da realiz-zare in alcuni paesi che in altri. La ricollocazione di determinate attività produtti-ve può modificare drasticamente il valore di mercato di alcune proprietà e in par-ticolare il valore dei terreni vicini alle città. La ricollocazione è utilizzata per promuovere particolari obiettivi legati all’assetto urbanistico, alla creazione di parchi industriali, alla costruzione di aeroporti.

6. Coscrizione. I governi hanno utilizzato lo strumento della coscrizione, ad esempio, il servizio militare obbligatorio, per molto tempo. Questo strumento è diventato meno importante nei paesi democratici, in cui i governi preferiscono acquistare servizi dai cittadini, utilizzando denaro pubblico, piuttosto che co-

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stringerli a prestare gratuitamente gli stessi servizi. In passato la coscrizione era spesso lo strumento principale utilizzato per combattere guerre, costruire strade e canali, realizzare progetti infrastrutturali di grandi dimensioni.

7. Certificazioni e autorizzazioni. Uno strumento sempre più importante nel corso dell’ultimo secolo è legato al rilascio di “certificazioni” o “autorizzazioni” necessarie per svolgere attività particolari. I permessi sono rilasciati da istituzioni pubbliche o, a volte, da istituzioni private autorizzate dal governo a concederle. Nel mondo di oggi e in alcuni paesi più che in altri, molte attività richiedono que-sti permessi. I documenti necessari ad acquisire la certificazione sono spesso ot-tenute dietro il pagamento di una tassa esplicita o occulta (corruzione). Le certifi-cazioni sono importanti nelle attività relativi a servizi specializzati, in particolare nella fornitura di servizi medici, legali e personali.

8. Oneri potenziali (contingent liabilities): si tratta di garanzie implicite fornite dalle autorità pubbliche a vantaggio di soggetti privati (es. assicurazione sui de-positi bancari, assicurazione pubblica di edifici costruiti in zone particolarmente esposte a rischio sismico, rendimento minimo garantito ai soggetti privati che of-frono un servizio pubblico o gestiscono infrastrutture d’interesse pubblico).

9. Regolamentazione economica. La regolamentazione è uno degli strumenti principali della politica economica, attraverso il quale i policy maker possono in-fluenzare il comportamento degli agenti economici e le loro attività. In diversi momenti e in situazioni particolari, questo strumento è stato ampiamente utilizza-to dando luogo, a volte, ad abusi da parte governativa. Gli ambiti principali della regolamentazione riguardano la tutela dei consumatori, la sicurezza dell’ambien-te, lo svolgimento delle attività economiche (es. orari di apertura dei negozi, set-timane in cui è possibile effettuare vendite a saldo), la correzione dei fallimenti del mercato (esternalità, monopoli, v. dopo, cap. 2), il controllo dei prezzi (impo-sizione di prezzi minimi e massimi, controllo degli affitti), la regolamentazione delle attività finanziarie.

10. Nudging è un altro strumento che i governi impiegano occasionalmente per influenzare il comportamento dei cittadini. Questo strumento, basato sul-l’indirizzare le persone a scegliere certi comportamenti senza obbligarle a farlo, ha suscitato negli ultimi anni molta attenzione. In passato è stato utilizzato dai governi, soprattutto in periodi di guerra, per indurre i cittadini a comprare tito-li di stato, a donare oro per il finanziamento della guerra o ad arruolarsi nell’esercito.

11. Tariffe, tasse e multe. I governi possono raccogliere risorse finanziarie e conseguire i propri obiettivi, imponendo e modificando tariffe per accedere ad alcune attività pubbliche (es. bollo che si deve pagare per ottenere il passaporto o la patente di guida, tasse universitarie, biglietto per utilizzare un mezzo di tra-sporto pubblico, ticket sulle prestazioni sanitarie). Le tasse servono a coprire i

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costi sostenuti per offrire il servizio, a limitare l’accesso o a raggiungere altri obiettivi. Le multe servono per sanzionare la violazione di norme e regolamenti oltre che come fonte di risorse finanziarie per le casse dello Stato.

A questo lungo elenco si aggiungo gli strumenti di politica monetaria, mano-vrati dalla banca centrale per influenzare le condizioni finanziarie del paese in vi-sta del raggiungimento di determinati obiettivi macroeconomici (es. stabilità dei prezzi). Gli strumenti di politica monetaria si dividono in due categorie: conven-zionali e non convenzionali.

Agli strumenti convenzionali appartengono le operazioni di mercato aperto, il rifinanziamento bancario (sconto titoli e altre forme), la politica delle riserve (li-bere e obbligatorie), gli interventi sul mercato valutario nell’ambito di un deter-minato regime di cambio (v. dopo, cap. 7). Agli strumenti non convenzionali ap-partengono, fra gli altri, l’acquisto di titoli a medio e lungo termine e altre attività da parte della banca centrale (quantitative easing), l’applicazione di tassi d’inte-resse negativi (in termini nominali) sulle riserve depositate dalle banche presso la banca centrale, la politica di comunicazione sulle intenzioni future della banca centrale in materia di politica monetaria (forward guidance).

Modelli di decisione

Una volta fissati gli obiettivi e identificato il modo di realizzarli, il problema del policy maker consiste nel definire il valore degli strumenti sulla base di un modello di decisione. Tra i molti modelli disponibili per descrivere il processo decisionale del policy maker, ne utilizzeremo uno coerente con l’idea di scelta economica razionale in presenza di vincoli 7.

Indichiamo con y1 e y2 le due variabili oggetto dell’azione di politica economi-ca (es. tasso d’inflazione e tasso di disoccupazione), con y1,T e y2,T i rispettivi valori obiettivo (target) fissati dal policy maker (es. 2% annuo per il tasso d’inflazione e 8% per il tasso di disoccupazione), con α1 e α2 i parametri che misurano l’im-portanza relativa dei due obiettivi per il policy maker e con x1 e x2 i due strumenti manovrabili indipendentemente l’uno dall’altro (es. tasso d’interesse ufficiale sul-le operazioni di rifinanziamento bancario e spesa pubblica in infrastrutture) 8, il modello di decisione si può rappresentare come segue:

7 Per un approfondimento sui diversi modelli di policy making, sui problemi legati alla formula-zione di un’agenda politica e sui problemi legati al disegno e all’implementazione di un programma di politica economica cfr. Peters (2015, capp. 3, 4, 5).

8 Per quanto riguarda i due strumenti, ipotizziamo che essi siano manovrabili indipendentemen-te l’uno dall’altro, efficaci nell’influenzare entrambi gli obiettivi e controllabili con esattezza da par-te delle autorità di politica economica.

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1 2

2 2

1 1 1, 2 2 2,,

1 1 1 2 2 2 1 1 2

Min

, ; , ,

T Tx xy y y y

sub y y x x y y y x x [1]

L’obiettivo del policy maker è minimizzare il quadrato dello scarto tra il valore effettivo delle variabili obiettivo e i valori target, assegnando un valore appropria-to ai due strumenti 9. Questa scelta è soggetta a due vincoli che riguardano il rap-porto tra obiettivi e strumenti. Questi vincoli sono determinati sulla base della teoria economica e dell’analisi empirica (modello in forma strutturale). Seguendo la formulazione prescelta, ipotizziamo che entrambi gli strumenti concorrano al raggiungimento di y1 e che il secondo obiettivo y2 sia influenzata dal valore di y1 oltre che da quello di x1 e x2. Seguendo Balducci, Candela e Scorcu (2001, cap. 5) e Acocella (2003, cap. 4), possiamo immaginare almeno tre soluzioni possibili al problema del policy maker: obiettivi fissi, metodo delle priorità, obiettivi flessibili.

Prima di analizzare brevemente questi tre casi, notiamo che aver scelto un numero di strumenti uguale a quello degli obiettivi non è casuale. Questa scelta riflette la cosiddetta “regola aurea” della politica economica. Secondo questa regola, formulata dall’economista olandese J. Tinbergen, l’uguaglianza fra il numero degli strumenti (indipendenti fra loro) e il numero degli obiettivi fissi è condizione necessaria perché questi ultimi possano essere realizzati. Se il nume-ro degli strumenti x supera il numero degli obiettivi y il sistema strumenti-obiettivi è sotto-determinato e presenta (x – y) gradi di libertà nella scelta della strategia ottimale di politica economica. Se il numero degli strumenti x è infe-riore al numero degli obiettivi y, il sistema strumenti-obiettivi è sovra-determinato e non può avere soluzione (su tutto questo cfr. il contributo classi-co offerta da Tinbergen, 1966).

Obiettivi fissi

Il policy maker fissa y1 = y1,T e y2 = y2,T e utilizza i vincoli per determinare il va-lore degli strumenti compatibile con il raggiungimento dei target. Mettendo al sistema i due vincoli e sostituendo al posto di y1 e y2 i due valori obiettivo (y1,T, y2,T), il sistema che il policy maker deve risolvere è il seguente

1, 1 1 2

2, 2 1, 1 2

,

, ,

T

T T

y y x x

y y y x x [2]

9 Possibili estensioni del problema riguardano l’inserimento degli strumenti all’interno della funzione obiettivo, la riformulazione del modello in termini dinamici (ottimizzazione intertempora-le), l’inclusione di termini aleatori e la riformulazione del problema in termini di valori attesi.

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Se il sistema [2], composto da due equazioni e due incognite, ammette solu-zioni economicamente (e politicamente) realizzabili, il problema è risolto attri-buendo ai due strumenti il valore necessario a raggiungere i due obiettivi

1, 1 1, 2,

2, 2 1, 2,

,

,

T T T

T T T

x x y y

x x y y [3]

Se la soluzione trovata, applicando il metodo degli obiettivi fissi, non è fattibi-le, una soluzione alternativa può venire dall’applicazione del metodo delle priorità.

Metodo delle priorità

Fissato il valore dell’obiettivo prioritario al livello del target (es. y1 = y1,T), il po-licy maker adotta una strategia flessibile nel perseguire dell’altro obiettivo, sce-gliendo di utilizzare lo strumento più efficace per realizzarlo (es. il secondo stru-mento), dato il legame funzionale tra i due strumenti e il primo obiettivo

2

2

2 2 2,

1 1 1, 2 2 2 1, 1 2

Min

, ; , ,

Tx

T T

y y

sub x x y x y y y x x [4]

Se il problema [4] ammette soluzioni economicamente (e politicamente) fatti-bili, il problema è risolto. Se non è così, il problema può essere riformulato in termini di obiettivi flessibili.

Obiettivi flessibili

Inserendo i due vincoli nella funzione obiettivo il problema del policy maker si può riformulare nel modo seguente

1 2

22

1 1 1 2 1, 2 2 1 1 2 1 2 2,,Min , , , ,T Tx x

y x x y y y x x x x y [5]

Le due condizioni del primo ordine associate al problema [5] si ottengono ponendo uguali a zero le derivate della funzione obiettivo rispetto ad x1 e x2 e ri-solvendo il sistema corrispondente (nell’ipotesi che esista una soluzione interna compatibile con la minimizzazione della funzione obiettivo).

1 2 1 21 1 1, 2 2 2,

1 1 1 1

1 2 1 21 1 1, 2 2 2,

2 1 2 2

2 2 0

2 2 0

T T

T T

y y y yy y y y

x y x x

y y y yy y y y

x y x x

[6]

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Una volta determinati i valori di x1 e x2, risolvendo il sistema [6], è possibile inserire tale valori nei vincoli, ottenendo i valori corrispondenti di y1 e y2.

Implementazione

Definiti gli obiettivi, il modello decisionale e il valore degli strumenti, il com-pito successivo del policy maker consiste nel disegnare un piano d’intervento e metterlo in pratica (implementazione). Si tratta di una fase molto delicata in cui la burocrazia e la macchina amministrativa giocano un ruolo centrale. I fattori de-terminanti in fase d’implementazione sono almeno sei: natura e dimensioni del-l’azione di policy, natura degli obiettivi (es. facilità di definizione, controllabilità in fase d’implementazione), natura degli strumenti (es. controllabilità, rapidità d’intervento), soggetti coinvolti nell’implementazione del programma (come atto-ri e beneficiari), possibilità di conflitti d’interesse tra questi soggetti ed esistenza di meccanismi per risolvere questi problemi, strutture e reti su cui si appoggia l’implementazione del programma. Tenendo conto di questi fattori, è possibile ordinare le varie azioni di politica economica secondo la difficoltà crescente d’im-plementazione.

Nel caso della politica monetaria, per esempio, gli obiettivi sono generalmente pochi (es. stabilità dei prezzi), chiari e facilmente controllabili sia nel breve che nel medio periodo. La responsabilità per le decisioni di politica monetaria ricade sulla banca centrale, un organismo tecnico, generalmente al riparo da pressioni politiche dirette. La banca centrale può contare su uno staff esperto e altamente qualificato che interagisce su base routinaria con le banche e gli altri intermediari finanziari presenti nel mercato monetario. Gli strumenti di politica monetaria so-no facili da manovrare e la frequenza elevata con la quale la banca centrale li riva-luta, facilita la possibilità d’intervenire rapidamente in presenza di un mutamento delle circostanze, di deviazioni significative rispetto al programma o nel caso in cui la banca centrale si renda conto di aver commesso un errore nel definire la sua strategia di politica monetaria. Tutto questo rende l’implementazione della politica monetaria relativamente agevole.

Nel caso della politica di bilancio, al contrario, gli obiettivi sono molti (cresci-ta, occupazione, contenimento del debito pubblico, riduzione delle disuguaglian-ze), non sempre chiari e difficilmente controllabili almeno nel breve periodo. La responsabilità in materia di politica di bilancio ricade in parte sulle autorità poli-tiche (nazionali, e locali), in parte sugli enti previdenziali, in parte sulle ammini-strazioni centrali e periferiche. Si tratta di una molteplicità di soggetti portatori d’interessi spesso divergenti. Gli strumenti della politica di bilancio sono difficili da manovrare (si pensi alla lunghezza e alla complessità del processo di definizio-ne della legge di stabilità e dei successivi decreti attuativi) e la frequenza ridotta

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Introduzione alla politica economica

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con la quale è possibile rivalutarli (una volta all’anno nel caso della legge di bilan-cio) rende difficile intervenire rapidamente in presenza di un mutamento delle circostanze, di deviazioni significative rispetto al valore prefissato degli obiettivi e di errori di valutazione. Tutto questo rende l’implementazione della politica di bilancio relativamente difficile.

Valutazione

Stabiliti gli obiettivi, il modello di decisione, il valore degli strumenti e messo in pratica il programma, il compito finale del policy maker consiste nel valutare gli effetti della sua azione e rendere noto i risultati della valutazione in nome della trasparenza, della controllabilità delle azioni del decisore pubblico.

Il tema della valutazione delle politiche pubbliche, e del suo ruolo nel miglio-rare la qualità delle decisioni di politica economica, è troppo ampio per trattarlo qui in maniera minimamente esauriente. Per questo ci limiteremo a elencare al-cune questioni di ordine generale, rimandando il lettore interessato al già citato Peters (2015, capp. 7, 8 e 9 in particolare).

Citando gli studi di E. Verdung, Peters elenca sei modelli diversi di valutazio-ne delle politiche pubbliche. Il primo modello è basato sul raggiungimento degli obiettivi annunciati, sulla valutazione delle cause che hanno prodotto eventuali scostamenti rispetto a quegli obiettivi, sui costi d’implementazione. Il secondo tipo di modelli è basato sulla valutazione degli effetti collaterali e non solo degli obiettivi. In questo caso si valuta se il programma ha prodotto effetti negativi tali da ridurre o vanificare l’efficacia del programma.

Il terzo tipo di modelli è basato sulla valutazione della rilevanza del program-ma per la società, non tanto in termini di realizzazione degli obiettivi quanto di effetti sul problema di fondo che ha giustificato l’adozione del programma in pri-mo luogo. Il quarto tipo di modelli è basato sulla valutazione del grado di soddi-sfazione da parte dei beneficiari del programma (valutazione soggettiva contro la valutazione oggettiva prevista dai primi tre modelli). Il quinto tipo di valutazione è basato sulla considerazione delle opinioni di tutti gli stakeholder coinvolti nel progetto (attori, beneficiari diretti, beneficiari indiretti). Infine, il sesto modello è basato sull’autovalutazione dell’efficacia del programma da parte dei soggetti re-sponsabili della sua definizione e implementazione (valutazione interna).

Le barriere principali che ostacolano un’efficace valutazione delle politiche pubbliche sono legate a problemi d’incompletezza nell’informazione, difficoltà nel valutare gli effetti futuri dei diversi programmi di policy, contraddizione fra gli obiettivi perseguiti dalle diverse agenzie, limitata capacità di valutare gli effetti collaterali (positivi e negativi) derivanti dalle politiche pubbliche, pregiudizio po-litico.

Per questi motivi, oltre che per ragioni di contenimento dei costi, la valutazio-

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Capitolo 1 20

ne dell’efficacia dei diversi interventi di politica economica, soprattutto nel cam-po dello Stato sociale, si basa sul monitoraggio della performance delle diverse agenzie e su criteri di carattere manageriale più che sul raggiungimento degli obiettivi o sulla capacità del programma di incidere effettivamente sul problema sottostante. L’enfasi sulla dimensione manageriale dei processi di formulazione e implementazioni delle politiche pubbliche presenta almeno tre criticità.

Primo, una gestione efficace dal punto di vista manageriale non implica neces-sariamente un giudizio positivo sulla bontà e sull’opportunità del programma. Secondo, il programma può non portare ai risultati sperati per ragioni che esula-no dall’efficacia della sua gestione e che dipendono da problemi organizzativi ge-nerali, conflitto con altri programmi pubblici, ecc. Infine, gli attori a cui spetta l’implementazione di un programma pubblico possono sempre adottare strategie che miglioreranno l’apparenza dei risultati se non la loro sostanza e il giudizio sulla performance del progetto.

Quest’ultimo aspetto rimanda alla difficoltà generale di misurare l’efficacia e l’efficienza delle azioni di politica economica e il contributo effettivo dei soggetti coinvolti nella realizzazione di quelle azioni. Il problema è risolto, in parte, elabo-rando e incrociando una molteplicità di indicatori di performance che, per quanto imperfetti, possono fornire informazioni utili ai cittadini interessati a formarsi un giudizio sulla qualità dei servizi pubblici.

Partendo da queste considerazioni, Peters confronta i due approcci princi-pali alla valutazione delle politiche pubbliche: l’approccio utilitaristico e l’ap-proccio etico. L’approccio utilitaristico è basato sull’analisi costi-benefici e sul-l’idea che sia possibile misurare i vantaggi e costi associati ai diversi programmi pubblici valutandone l’impatto in termini di surplus del consumatore (v. dopo, cap. 2, Appendice I) e di costo opportunità delle risorse utilizzate dal progetto pubblico.

Come spiega Gerelli (1992), l’analisi costi-benefici nasce dall’esigenza dell’o-peratore pubblico di valutare in termini di benessere sociale l’opportunità, la redditività, e in certi casi anche le dimensioni, di decisioni legate alla realizzazio-ne di progetti di investimento pubblico (es. infrastrutture), programmi di spesa corrente, o introduzione di particolari politiche o norme (regulatory impact analy-sis). Usualmente, l’analisi costi-benefici si compone di due parti: l’analisi finanzia-ria e quella economica.

Nell’analisi finanziaria si analizzano i costi e i benefici associati al progetto, lungo l’arco della sua durata, valutati a prezzi di mercato. Questo serve per avere una prima indicazione sulla validità del progetto in termini di cassa.

Nell’ambito dell’analisi economica, ai prezzi di mercato si sostituiscono i prez-zi ombra che depurano i prezzi di mercato dalle distorsioni dovute, fra l’altro, alla traslazione di oneri fiscali, fluttuazioni congiunturali o derivanti dall’andamento della bilancia dei pagamenti, misure governative, esternalità (v. dopo, par. 3.4). In