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Anno accademico: 2011/2012 Docente: GIOVANNI TRAETTINO INTRODUZIONE ALLA BIBBIA 1 MODULO 2

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Anno accademico: 2011/2012

Docente: GIOVANNI TRAETTINO

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA 1 MODULO 2

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

MODULO 2

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3. IL TESTO

Questo capitolo dell’introduzione studia il processo di stesura, trasmissione e

recupero dei testi dell’Antico e del Nuovo Testamento. È dunque un capitolo

importante del nostro studio se si considera che la dottrina biblica

dell’ispirazione è relativa ai testi originali nelle lingue originali.

3.1 LE LINGUE

L’ebraico classico. Il linguaggio dell’Antico Testamento è l’ebraico classico (in uso presso gli ebrei dal XIV al VI sec. a.C.), anche se è possibile che la Genesi contenga elementi che provengono dalle prime forme di scritture in caratteri babilonesi cuneiformi. Fanno eccezione solo Genesi 31:47 (solo due parole), Geremia 10:11, Daniele da 2:4 a 7:28 ed Esdra da 4:8 a 6:18 e 7:12-26, che sono scritti in aramaico. L’aramaico. Da Aram = Siria. È la lingua che, per l’influenza dei popoli a nord-est della Palestina, soppiantò l’ebraico come lingua parlata a partire dal periodo successivo alla cattività babilonese (VI sec. a.C.). Gesù e i suoi discepoli si esprimevano in questa lingua. Successivamente sarebbe stata sostituita dal greco.

Tutte le lingue semitiche sono caratterizzate dal fatto di essere scritte da destra a sinistra con un alfabeto di sole consonanti, e da un’articolazione dei verbi che non corrisponde ai tempi delle lingue indoeuropee, per cui (specialmente nei libri profetici) il tempo di un’azione si deve spesso dedurre dal contesto. L’ebraico è una lingua dalla struttura semplice: sono rare le clausole subordinate, di solito si ha una serie di frasi semplici unite dalla frequentissima congiunzione “e...”. (G. Allen)

Il testo ebraico dell’inizio della Genesi

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Il greco koinè. Il Nuovo Testamento fu scritto nel greco comune e popolare (Koinè dialektos) di quel tempo, semitizzato però dall’influenza dell’ambiente e della cultura ebraica degli autori. Farebbe eccezione, secondo alcuni studiosi la prima stesura del Vangelo di Matteo, che sarebbe stata in aramaico. Ma noi conosciamo solo il testo greco di questo Vangelo. I materiali scrittori usati furono, in ordine di tempo, il papiro e la pelle degli animali (la pergamena). I fogli, uniti l’uno all’altro, formavano una striscia che si arrotolava (da cui “rotolo”) intorno ad uno dei due bastoncini che la fissavano alle estremità. Per risparmiare spazio, le parole venivano scritte senza staccarle le une dalle altre. 3.2 I MANOSCRITTI I testi erano naturalmente scritti a mano dagli autori o da un loro segretario. Successivamente erano copiati da copisti di professione o amanuensi. Per la Bibbia siamo oggi in possesso solo di copie dei testi originali. Schema di trasmissione di un libro della Bibbia, dall’autore (o da un suo “segretario”) fino ad una versione moderna:

ORIGINALE DELL’AUTORE

UNA O PIÙ COPIE

COPIE DI COPIE

lavoro della critica testuale

per ricostruire l’originale.

La fine di 1° Pietro in un papiro

egiziano del 200 d.C., ora a

Ginevra

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Tale lavoro produce

un’edizione critica

dell’originale che è

la base di una

versione moderna

3.3 LA CRITICA TESTUALE La critica testuale (o “Bassa Critica”) nasce dal legittimo desiderio di risalire al testo originale attraverso l’analisi delle copie imperfette che sono giunte fino a noi. Ogni versione in lingua moderna, o anche antica, presuppone quindi un testo

“restaurato”, ovvero “ricostruito” dalla critica del testo.

Manoscritti con errori. Quanto abbiamo appena detto, lascia intuire la presenza di

errori nella stesura e nella copiatura dei manoscritti. (Per l’esame di alcuni tipi di

errore vedi G.L. Archer, La Parola del Signore, vol. 1, pag. 54-60).

Canoni della critica testuale

Nel dilemma posto per la scelta tra due o più varianti (lezioni) testimoniate da due

o più manoscritti, la critica testuale (non solo biblica) si è data certi criteri (canoni)

scientificamente determinati, attraverso i quali individuare il testo originale, o

quello ad esso più vicino.

Vanno preferite alle altre:

1. La lezione più antica

2. La lezione più difficile

3. La lezione più breve

4. La lezione che spiega meglio il sorgere di altre varianti

5. La lezione geograficamente più diffusa

6. La lezione più conforme allo stile e alla edizione dell’autore

7. La lezione che non riflette alcuna tendenza dottrinale

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I manoscritti dell’Antico Testamento

a) Pre-cristiani 1. I rotoli del Mar Morto scoperti (1947) a Qumran, presso il Mar Morto. Delle

migliaia di frammenti trovati, almeno 100 appartengono all’Antico Testamento, e risalgono ad un periodo che va dal II sec. a.C. al I sec. d.C.. Essi riproducono per intero o in parte i vari libri dell’Antico Testamento, eccetto Ester, e confermano in maniera straordinaria il Testo Masoretico (vedi sotto).

2. Il papiro Nash (scoperto in Egitto nel 1902), riporta una parte dei Dieci Comandamenti (Esodo 20:2-17) e l’inizio dello Shemà (“Ascolta”). Risale al II o I sec. a.C.

b) Post-cristiani 1. British Museum Oriental 4445. Copia del Pentateuco senza gran parte di

Genesi e Deuteronomio (850 - 950 d.C.). 2. Manoscritto di S. Pietroburgo dei profeti posteriori (916 o 930 d.C.) 3. Manoscritti di S. Pietroburgo B.19A (1010 d.C.). Contiene tutto il testo

masoretico di Ben Asher. È copia fedele di un manoscritto del 980 d.C. andato perduto. È la base per la Biblia Hebraica di Kittel, e su di esso si basano le moderne edizioni dell’Antico Testamento ebraico.

4. Il pentateuco samaritano. Non anteriore al X sec. d.C.

In conclusione: i più antichi manoscritti dell’Antico Testamento in nostro

possesso risalgono al II sec. a.C., mentre è certo che la Bibbia cominciò ad

essere scritta almeno 33 secoli fa. Mosè scrisse intorno al XIII sec. a.C., se non

prima, e gli ultimi libri dell’Antico Testamento furono scritti intorno al V sec.

a.C.

I Soferim - Il Talmud - I Masoreti

Un posto speciale nella trasmissione del testo dell’Antico Testamento spetta ai

Soferim, al Talmud, ai Masoreti.

I Soferim (trad.: “scribi”) sorsero con Esdra. Essi recuperarono e stabilirono il

testo puro delle Scritture ebraiche, svolgendo la loro attività dal 400 a.C. al 200

d.C.. Redigono un testo consonantico.

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Il Talmud (“istruzione”) si sviluppò tra il 100 d.C. e il 500 e consiste di due parti:

a. la Mishnà (“insegnamento” o “ripetizione”), completata intorno il 200 d.C., è una sintesi delle leggi orali;

b. la Ghemara (“materia che è studiata”) composta in aramaico, è un commento alla Mishnà.

I Masoreti tra il 500 e il 950 d.C. diedero forma finale al testo dell’Antico

Testamento. Inserirono punti vocalici nel testo consonantico redatto dai Soferim.

È questo il testo masoretico da cui dipendono le edizioni e le versioni moderne

dell’Antico Testamento.

Versioni antiche dell’Antico Testamento

1. Il Pentateuco Samaritano. È una versione samaritana del Pentateuco con alcune modifiche del testo e inserzioni per sostenere la setta. Ebbe probabilmente origine nel sec. VIII a.C. durante gli avvenimenti di cui a 2° Re 17. Copia di esso è conservata a Nablus in Palestina.

2. La Versione dei Settanta (Septuaginta - LXX) – III sec. a.C.-fine II sec. a.C. Secondo un’antica tradizione, 70 o 72 traduttori lavorarono separatamente e produssero lo stesso testo greco. Questa versione fu prima adottata dagli Ebrei d’Egitto, e successivamente dalla Chiesa cristiana come versione riconosciuta dell’Antico Testamento.

3. Altre versioni in greco: quelle di Aquila, Teodosione e Simmaco (II sec. d.C.).

4. La Esapla di Origene (240 d.C.) è interessante perché riporta su sei colonne

parallele tutto il testo dell’Antico Testamento come segue: 1° colonna: testo ebraico originale

2° ” traslitterazione dell’ebraico in lettere greche

3° ” traduzione letterale di Aquila

4° ” traduzione idiomatica di Simmaco

5° ” la “Septuaginta”

6° ” traduzione greca di Teodosione.

5. L’Itala. Antica versione latina, fu fatta nel corso del II sec. d.C. È una traduzione latina della “Septuaginta”.

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6. La Vulgata di Girolamo (383 - 405/6). È la prima traduzione latina direttamente dall’ebraico. Sarebbe successivamente diventata la versione ufficiale della Chiesa occidentale.

7. Ci sono poi state versioni siriache, copte ed arabe; e ancora una etiopica, una armena ed una gotica di Wulfila.

I manoscritti del Nuovo Testamento

Esistono più di 4000 manoscritti del Nuovo Testamento e/o parti di esso. I più

antichi risalgono al 150 - 200 d.C. Il processo di trasmissione del Nuovo

Testamento si divide in tre periodi:

Periodo dei papiri (dal I al IV sec. d.C.). Durante questo periodo i cristiani avevano molto raramente la possibilità di trascrivere tutto il Nuovo Testamento su un rotolo o su un codice, a causa della persecuzione e della povertà. I papiri Chester Beatty, risalenti al III secolo, e scoperti nel 1930, sono

l’esemplare più noto di questo periodo. È un codice.

Periodo onciale (IV - IX sec. d.C.). Con l’avvento della libertà, gli imperatori si preoccuparono di preservare i testi migliori dell’Antico Testamento. Nasce il grande codice in pergamena. La scrittura adoperata dagli amanuensi è quella onciale (tipo quella maiuscola).

Periodo corsivo (IX - XV sec. d.C.). Dalla scrittura corsiva che è usata in questo periodo.

I codici del Nuovo Testamento

1. Codex Vaticanus (IV sec.), è conservato nella Biblioteca Vaticana. 2. Codex Sinaiticus (IV sec.). Fu trovato dal Tischendorf nel monastero di Santa

Caterina sul Monte Sinai (1859). È conservato al British Museum di Londra. 3. Codex Alexandrinus (V sec.). È conservato al British Museum di Londra. 4. Codex Ephraemi Rescriptus (V sec.). È un palinsesto perché il codice raschiato

dal testo biblico, servì per trascrivervi i sermoni di Efrem Siro. 5. Codex Bezae (V o VI sec.) - Cambridge.

Qual è il testo più vicino agli originali?

I critici hanno diviso le fonti in tre classi generali:

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a. Il testo neutro o alessandrino. Sia Tischendorf, che Westcott e Hort, che Weiss, considerarono questo come il

testo più vicino all’originale. Il Codice Sinaitico (Codice Aleph), e il Codice

Vaticano (Codice B), sono nella stessa linea essendo stati copiati dallo stesso

libro. La Versione Riveduta e la Revised Standard Version sono state fatte su

questo.

b. Il testo Occidentale. I migliori della classe sono il Codice di Beza (“D”) e il Codice Claramontanus

(“DP”).

c. Il testo bizantino o orientale (o anche Textus Receptus), contiene quasi tutti i manoscritti del Nuovo Testamento in greco. Questo testo fu usato dalla Chiesa Ortodossa, dalla Riforma per i primi 3 secoli e successivamente fino alla King James.

Versioni antiche del Nuovo Testamento

1. Versioni Siriache (a partire dal 150 d.C.) per le regioni che vanno dalla Siria alla Mesopotamia (Damasco, Aleppo, Edessa): a. Diatessaron di Taziano: una fusione dei 4 vangeli in una sola narrazione;

b. Antica versione Siriaca (200 d.C.). Contiene i Vangeli in modo incompleto;

c. Peshitta o Versione Siriaca comune (V sec.). Contiene il Nuovo Testamento

senza 2° Pietro, 3° Giovanni, Giuda e Apocalisse, segno dell’incertezza sul

canone in quella regione;

d. Versione Siriaca Philoxeniana/Harkleana (508) opera di Filossene, vescovo

di Ierapoli;

e. Versione Siriaca Palestinese (V sec.?)

2. Versioni latine a. Antica Versione latina (II sec. d.C.) - Itala b. Vulgata di Girolamo

3. Versione copta. Ad opera dei cristiani copti d’Egitto.

4. Altre versioni: Armena, Georgiana, Etiopica, Gotica e Araba.

Versioni moderne della Bibbia

a) La Bibbia dugentista (Prima metà del XIII sec.).

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È una traduzione italiana della Vulgata di Girolamo. È frutto di un lavoro

collettivo di popolo. Espressione dei movimenti pauperistici e popolari del

duecento: francescani, valdesi, patarini, ecc.

La prima edizione stampata è del 1471 a Venezia.

b) La Bibbia di Olivètan Al Sinodo del 1532 i Valdesi decisero l’adesione alla Riforma di Calvino e

diedero incarico a Pietro Roberto Olivètan, parente di Calvino, di tradurre la

Bibbia dagli originali in francese. L’opera fu completata nel 1535.

c) La versione di Martin Lutero (1522 - 1534). È la versione in tedesco che fece da supporto fondamentale all’azione della

Riforma in Germania.

d) L’edizione di Antonio Brucioli. Pubblicata a Venezia nel 1530-32, fu messa all’indice (1559) dalla Chiesa

Cattolica perché il Brucioli era sospettato di luteranesimo.

e) Versione del Nuovo Testamento, ad opera di Massimo Teofilo, pubblicata a Lione in Francia nel 1551, nell’ambiente degli evangelici italiani emigrati.

f) La Versione Diodati, pubblicata a Ginevra nel 1604 da Giovanni Diodati, “rappresenta quanto di meglio il secolo XVII potesse produrre ed è sempre pari, se non superiore, alle traduzioni contemporanee o anteriori di lingua tedesca, inglese, francese e spagnola” – G. Luzzi.

g) La King James (Re Giacomo) o “Authorised Version” eseguita in inglese nel 1611 per ordine del Re Giacomo I.

h) L’edizione di Martini, vescovo di Firenze, pubblicata a Torino tra il 1769 e il 1781, è forse la migliore traduzione italiana della Vulgata.

i) La traduzione di Luzzi (1921-1931). l) La “Riveduta”, pubblicata (1925) dalla Società Biblica Britannica e Forestiera.

Si tratta di una revisione della Diodati, ad opera di un comitato composto tra gli altri da Giovanni Luzzi (revisore capo) ed E. Bosio (secondo revisore).

m) Versioni cattoliche moderne. Menzioniamo quella a cura di Giuseppe Ricciotti (1958), quella di Fulvio Nardoni (1961) e quella di Garofalo (1966). La “Nuovissima Versione” (Ed. Paoline, 1969): considerata una delle migliori versioni cattoliche moderne. La Bibbia della CEI (1971): la versione ufficiale cattolica. Utile per confrontare una traduzione indipendente dalla tradizione Diodati. Lo stesso testo è pubblicato anche come “Bibbia di Gerusalemme” con altre note tradotte dal francese.

n) La “Nuova Diodati” (1991). Revisione linguistica della “Diodati”. Utile per lo studio perché indica in corsivo le parole inserite dal traduttore per completare il senso. Ha il grosso limite di essere basata sul “Textus Receptus”, quello in uso nel 1600, che ignora tutte le ricerche testuali successive e che hanno portato ad avvicinarsi sempre più al testo originale.

o) La Traduzione Interconfessionale in lingua corrente (T.I.L.C.), detta anche “Interconfessionale” o “Parola del Signore”, pubblicata a cura della L.D.C. e della Alleanza Biblica Universale. È opera di traduttori cattolici e protestanti.

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p) La “Nuova Riveduta” (1994). È una revisione sul testo della Riveduta per disporre di una versione in lingua più moderna e accessibile. Deve esser considerata oggi la migliore scelta per l’uso comune.

q) “Nuovo Testamento in lingua moderna” (Centro Biblico, 1991). Parafrasi libera, utile solo per uno sguardo d’insieme.

Per uno studio serio, sarà necessario possedere e confrontare più versioni, il più

possibile differenti tra loro.

3.4 I GENERI LETTERARI DELLA BIBBIA

I 66 libri della Bibbia includono scritti di diversi tipi:

• Narrativa storica. Questa costituisce la parte più voluminosa sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. Chiaramente va letta come qualsiasi altra narrativa: il senso principale è quello più evidente e letterale. Possiamo però domandarci perché si è scelto di raccontare tali episodi e non altri.

• Codici legislativi. Chiaramente ci riferiamo al Torah, la “legge di Mosè”. Qui bisogna domandarsi: a) il significato delle disposizioni per quel popolo in quel tempo; b) quale applicazione abbia a noi nel nostro tempo e nelle nostre circostanze diverse.

• Poesie (Salmi, Cantico dei Cantici, molti brani dei profeti). Bisogna comprendere le convenzioni della poesia ebraica (parallelismo, uso di meccanismi quale l’acrostico); inoltre, come le poesie in qualsiasi lingua, fanno largo uso di un linguaggio metaforico e figurativo.

• Letteratura sapienziale (Proverbi, Ecclesiaste). Anche questa ha le sue convenzioni letterarie; ci sono per esempio delle apparenti “contraddizioni”, chiaramente ad effetto (ad es. Prov. 26:4,5).

• Lettere (Epistole del N.T.). Talvolta contengono istruzioni di applicazione generale, altre volte però rispondevano a situazioni specifiche o a domande specifiche che bisogna cercare di “ricostruire” dalle risposte (Galati, Tessalonicesi, 1° Corinzi).

• Profezia. Anche qui bisogna vedere l’applicazione originale all’eventuale situazione contingente, e poi molte volte estrapolare dei principi di applicazione più universale.

3.5 L’ALTA CRITICA

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Definizione:

L’Alta Critica è lo studio dei documenti (biblici) per accertarne l’epoca, il

carattere, la paternità, le fonti, la loro natura semplice o composita, ed il loro

valore storico. (Floyd E. Hamilton, In difesa della fede, pag. 258).

In linea di principio, su basi cristiane e con completa onestà, questa critica può rendere un servizio necessario e vitale alla conoscenza storica e al cristianesimo (Alta critica ortodossa). Se però i presupposti sono sbagliati, i risultati saranno distruttivi (Alta critica distruttiva). L’Alta critica distruttiva è inficiata alla base da due presupposti: quello

dell’evoluzione dell’origine della religione per quanto riguarda in modo speciale

l’Antico Testamento e, quello naturalistico per quanto concerne in modo

particolare il Nuovo Testamento.

Critica del Vecchio Testamento.

- Jean Astruc nel 1753 notò che il nome dato a Dio nella Genesi, è a volte Elohim, a volte Jahveh (JHWH). Dal che dedusse che Mosè dovesse aver attinto le sue notizie da due diverse fonti: la “Fonte E” e la “Fonte J”.

- Critici successivi estesero questa teoria a tutto il Pentateuco e Giosuè (l’Esateuco).

- Graf e Wellhausen (1878), e prima di loro altri ancora, sostennero che nel Pentateuco si possono trovare quattro documenti principali:

Documento Jahvista - Fonte J - 850 a.C.

Documento Elohista - Fonte E - 750 a.C.

Deuteronomio - Fonte D - 625 a.C.

Documento Sacerdotale - Fonte P - 450 a.C.

Per cui Mosè non sarebbe l’autore del Pentateuco, e l’intero sistema sacerdotale

sarebbe posteriore a Mosè di 1000 anni.

L’Alta critica “distruttiva” si estese a tutto l’Antico Testamento e sostenne che i

patriarchi erano animisti, Mosè era politeista, Davide etnoteista (ogni nazione il

suo Dio). Il monoteismo sarebbe stato praticato dai profeti a partire dal secolo VIII

a.C. Isaia sarebbe stato l’opera di due o più autori, Daniele sarebbe di epoca

posteriore ai grandi imperi di cui predisse la successione.

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Critica del Nuovo Testamento.

È con gli stessi preconcetti (evoluzionista e naturalistico), che l’alta critica

“distruttiva” affronta lo studio del Nuovo Testamento. La vita di Gesù (1835) di

Davide Strauss fu il primo tentativo su basi storico-letterarie di screditare la

storicità del Nuovo Testamento. Egli sostiene che i discepoli fecero una “inconscia

esagerazione” della storia di Gesù.

F.C. Baur e i suoi seguaci sostennero invece che i Vangeli sono il documento

scritto della fazione vincente tra le due (i Gentili e i Giudei) che si sarebbero

scontrate nel I e II secolo della Chiesa, per legittimare il vecchio cattolicesimo. Si

tratterebbe di una “esagerazione e finzione cosciente”.

Il liberalismo.

Ritschl, e successivamente Harnack ed altri, fa risalire il Nuovo Testamento ad

epoca non posteriore al I secolo, ma distrugge l’attendibilità storica dei fatti e del

soprannaturale dei Vangeli. Il Gesù sullo sfondo di quelle narrazioni è un Gesù

umano. È tuttavia necessario, per il bene dell’umanità, postulare l’esistenza del

Cristo-Dio, anche se mancano le prove razionali.

Per questa scuola (“liberale”) non conta tanto il Cristo del Nuovo Testamento,

quanto il Cristo dell’esperienza cristiana diretta. Il valore della Bibbia è nelle sue

esperienze riproducibili.

Il radicalismo

I critici radicali portarono alle estreme conseguenze le posizioni liberali. Essi

respinsero l’intera narrazione evangelica; giunsero fino a negare l’esistenza

stessa di Gesù. D’altra parte essi non riescono a spiegare né l’origine del

cristianesimo, né i documenti del Nuovo Testamento; né l’origine della fede nel

Gesù divino, nella risurrezione, nei miracoli.

Il nodo dei liberali

A questo punto per i liberali, come ben dice Hamilton, “non v’erano che tre

possibilità logiche di scampo: a) abbandonare la loro fede in un Gesù

semplicemente umano per ritornare alla fede in un Gesù divino; oppure b)

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prendere la strada seguita dai radicali e respingere l’intera narrazione apostolica;

o ancora c) continuare a tentare l’impossibile cercando di scindere l’esperienza

cristiana dai fatti storici sui quali è fondata” (F.H. Hamilton, op. cit.., pag. 303).

Gli esiti del liberalismo e del radicalismo sono dunque estremamente deludenti. È

questo il motivo per il quale molti modernisti si sono volti alla neo-ortodossia.

La Neo- ortodossia o barthianesimo.

Karl Barth, avendo accettato i risultati dell’alta critica “distruttrice”, per poter

recuperare il messaggio spirituale della Bibbia, dovette elaborare una nuova

concezione della rivelazione.

“La rivelazione di Dio non è del genere che si possa contenere o mantenere,

conservare nella natura o per iscritto. La rivelazione è un avvenimento costante,

un incontro nel quale Iddio parla, per sua propria decisione, e sempre per atto

divino, accompagnato dalla fede. È chiara in un lampo e nella più alta perfezione

e certezza. Non ha contenuto di proposizioni, di modo che non la si può ripetere,

ma tuttavia rende sempre l’uomo conscio che Dio è il suo Signore. Anzi la

rivelazione è Gesù Cristo: è identica a Dio, s’identifica con Dio” (J. Young, citato in

Hamilton, op. cit.., pag. 309-310).

“Barth non considera la Bibbia come la parola di Dio scritta, di modo che essa è

parola di Dio prescindendo da chi la legge. Essa diviene Parola di Dio, perfino

parola per parola, quando è usata come l’avvenimento della presentazione di una

rivelazione all’uomo” (Hamilton, op. cit.., pag. 311).

È soprattutto attraverso la proclamazione della Parola che Dio si rivolge all’uomo.

È allora che Dio può incontrare l’uomo. La Parola diventa Parola di Dio.

Rudolf Bultmann e la demitizzazione.

Il Kerigma (messaggio) contenuto nell’involucro del linguaggio mitologico della

Bibbia deve essere sgusciato perché l’uomo moderno sia in grado di accettarlo.

Occorre demitizzare la Bibbia. Egli “considera come mito: la pre-esistenza di

Cristo, l’incarnazione, la risurrezione, l’ascensione, la parusia, il giudizio finale, la

concezione sacrificale della morte di Cristo” (Hamilton, op. cit.., pag. 316). Queste

verità sarebbero l’espressione della concezione della vita e del mondo dei tempi

biblici.

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La critica formale

Questa opera di demitizzazione ha attaccato a fondo la Scrittura. “Le forme

storiche dei racconti evangelici vennero inventate dagli autori dei Vangeli per dare

continuità ai detti orali di Gesù circolanti nella chiesa al momento in cui vennero

scritti i Vangeli” (Hamilton, op. cit.., pag. 321).

Isolare i detti di Gesù all’interno di tutta la narrazione avrebbe significato poter

risalire all’insegnamento originale di Gesù.

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