Intervista al Professor Marco Frey

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Intervista a cura di Valeria Gatti al Professor Marco Frey Marco Frey è Direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è anche ricercatore presso lo IEFE (Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente), presidente di Cittadinanzattiva, chairman del “Global Compact Italian Network”., ricopre la carica di presidente dello steering commitee del Mes (Management e Sanità) Lab. Come definisce il “green management”? Definisco Green management come la capacità di gestire in modo sostenibile ed efficiente le risorse all’interno di una organizzazione. Qual è il rapporto delle aziende con le tematiche ambientali? C’è stata un’evoluzione negli ultimi anni? Nel tempo è sicuramente aumentata la consapevolezza all’interno del mondo delle aziende. Punto di svolta è stata senza dubbio la Conferenza Internazionale sull’ Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992. Quest'anno a Rio+20 vi è stata una forte conferma dell'impegno delle imprese per la sostenibilità. Anche all’interno delle istituzioni c’è stata questa evoluzione ma sono presenti dei limiti oggettivi che impediscono lo sviluppo a livello globale. Ad esempio le differenze economiche tra paesi occidentali e Brics rendono difficile la concertazione a livello internazionale. L’Europa ha sicuramente dedicato maggiore interesse alle tematiche ambientali ma rimane ancora molto da fare. Come la crisi ha modificato la concezione delle tematiche ambientali da parte delle imprese? La crisi ha avuto due ricadute, da una parte ha ridotto le disponibilità rendendo difficili gli investimenti, d’altra parte però ha spronato le imprese che avevano accantonato risorse a fare investimenti per aumentare l’efficienza, riducendo e migliorando l’uso delle risorse energetiche, idriche e anche del suolo. Tutto ciò ha permesso di realizzare un miglior posizionamento

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Intervista al Professor Marco Frey, Direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è anche ricercatore presso lo IEFE (Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente), presidente di Cittadinanzattiva, chairman del “Global Compact Italian Network”, ricopre la carica di presidente dello steering commitee del Mes (Management e Sanità) Lab.

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Intervista a cura di Valeria Gatti al Professor Marco Frey

Marco Frey è Direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è anche ricercatore presso lo IEFE (Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente), presidente di Cittadinanzattiva, chairman del “Global Compact Italian Network”., ricopre la carica di presidente dello steering commitee del Mes (Management e Sanità) Lab.

Come definisce il “green management”?

Definisco Green management come la capacità di gestire in modo sostenibile ed efficiente le risorse all’interno di una organizzazione.

Qual è il rapporto delle aziende con le tematiche ambientali? C’è stata un’evoluzione negli ultimi anni?

Nel tempo è sicuramente aumentata la consapevolezza all’interno del mondo delle aziende. Punto di svolta è stata senza dubbio la Conferenza Internazionale sull’ Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992. Quest'anno a Rio+20 vi è stata una forte conferma dell'impegno delle imprese per la sostenibilità.

Anche all’interno delle istituzioni c’è stata questa evoluzione ma sono presenti dei limiti oggettivi che impediscono lo sviluppo a livello globale. Ad esempio le differenze economiche tra paesi occidentali e Brics rendono difficile la concertazione a livello internazionale. L’Europa ha sicuramente dedicato maggiore interesse alle tematiche ambientali ma rimane ancora molto da fare.

Come la crisi ha modificato la concezione delle tematiche ambientali da parte delle imprese?

La crisi ha avuto due ricadute, da una parte ha ridotto le disponibilità rendendo difficili gli investimenti, d’altra parte però ha spronato le imprese che avevano accantonato risorse a fare investimenti per aumentare l’efficienza, riducendo e migliorando l’uso delle risorse energetiche, idriche e anche del suolo. Tutto ciò ha permesso di realizzare un miglior posizionamento competitivo. Queste aziende virtuose infatti sono riuscite a coniugare i sacrifici richiesti dalla crisi con il maggior rispetto dell’ambiente e in molti casi sono cresciute come dimostrano i dati del rapporto del 2011 dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani. Il rapporto ha evidenziato che le imprese che hanno investito nell’internazionalizzazione e nel green hanno aumentato la propria competitività in controtendenza rispetto alle imprese che non hanno effettuato investimenti in questo campo.

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A suo avviso il green può aiutare ad aumentare l’occupazione per i giovani ad alto profilo (laurea, dottorato, master)?

Teoricamente una maggiore specializzazione e un maggior livello di istruzione possono agevolare i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, la situazione di crisi però rende comunque di difficile spendibilità i titoli acquisiti; certamente però è utile per prepararsi al futuro quando l’economia riprenderà a crescere e si uscirà dallo stallo odierno.

Ci sono però dei settori della green economy che sono anticongiunturali e che quindi continuano a crescere: come ad esempio il settore energetico, oggi più orientato all’efficienza energetica piuttosto che alle fonti rinnovabili; quello che si occupa del riciclo e del riutilizzo, visto non solo come riciclaggio dei rifiuti ma come utilizzo di sottoprodotti dell’industria, delle plastiche e dei metalli e dello sfruttamento delle biomasse di scarto; le attività che si occupano della rigenerazione e riparazione di prodotti dell’elettronica, ecc.

In poche parole le imprese che si sviluppano sono quelle che realizzano processi che permettono di “fare meglio con meno”.

Qual è la figura professionale chiave della green economy

Non si può affermare che ci siano molte “nuove figure” ma piuttosto figure della “old economy”, intesa come economia tradizionale, che si “colorano di verde” ossia che si aggiornano su nuovi processi, nuove tecnologie e nuove normative.

Nuove aree di interesse sono senza dubbio quelle che sanno valorizzare le numerose potenzialità di madre natura come l’agricoltura biologica e di prossimità, la ricerca e lo sviluppo di farmaci naturali, la depurazione fitosanitaria dell’acqua. In altri termini tutto ciò che ha a che fare con i servizi ecosistemici.

E’ presente un mismatching tra il mondo delle aziende e i profili uscenti dalle università per quanto riguarda i ruoli green? Come si potrebbe colmare?

Sicuramente un mismatching è presente, si tratta però di una fase temporanea, le Università hanno bisogno di tempo per aggiornarsi e per seguire i trend. Ovviamente non si può generalizzare, alcune università si aggiornano più velocemente mentre altre hanno bisogno di più tempo. Sicuramente le istituzioni che promuovono corsi postgraduate sono avvantaggiate perché hanno maggiore flessibilità e maggiore capacità di cogliere i cambiamenti.