Intervista a Teresa Cremisi (direttore generale della casa editrice Flammarion) Sui Criteri Per...

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* 45 LUNEDÌ 7 GENNAIO 2013 l a R e p u b b l i c a CULTURA ri che leggere qualsiasi cosa, fa comun- que bene? Detto altrimenti: tra una cat- tiva lettura e una buona passeggiata, lei cosa sceglierebbe? «Personalmente,scegliereiuna buona passeggiata. Però rimango convinta del fattoche,qualsiasicosasilegga,è sempre meglio che non leggere. Nella mia vita la- vorativa ho definitivamente abbandona- to ogni genere di snobismo. Compreso quello della casa editrice perfetta, che pubblicasoltantolibriperfetti».  Visto che stiamo p arlando di giudizio sui libri, conta ancora quello dei critici francesi? «Una critica unanimemente positiva su uno scrittore sconosciuto conta mol- tissimo. L’esordiente che si affaccia sulla scena letteraria e raccoglie critiche elo- giative da cinque o sei critici di gusti diffe- rentipuòtrarneun immensobeneficioin termini di mercato. Diverso il caso degli scrittori affermati, per non parlare dei be- st-seller.Quiilruolodella criticaèassolu- tamente inesistente». Televisione e radio che ruolo hanno? «Decisamente positivo, in particolare la radio. Perché è molto ascoltata ed è ric- ca di trasmissioni dedicate ai libri e quin- di ai dibattiti. Del resto si sa, i france si par- lano dalla mattina alla sera. Resta co- munque che il mercato librario rappre- senta il doppio di quello italiano, per una popolazione grosso modo identica. E questo vorrà pure dir qualcosa».  Anche lei è preoccup ata p er un possi- bile, progressivo distacco delle nuove generazioni dalla lettura? «Nient’affatto. Da cinquant’anni in qua, le giovani generazioni non hanno mai letto così tante pagine, come oggi. In un mercato europeo e nordamericano in contrazione, l’editoria per ragazzi cresce di qualche punto. E non è solo il successo di Harry Potter a portare questa crescita: ogni due o tre anni si impongono nuovi best-seller destinati ai ragazzi». PARIGI P er secoli la nostra capacità di giudizio si è formata sui libri, ba- se indiscussa della conoscenza. Ma chi giudica, a sua volta, i li- bri? Chi decide se, come e per- ché pubblicarli? Per affrontare questo te- ma, difficile pensare a una persona più adatta di Teresa Cremisi, nata ne l 1945 ad  Alessandri a d’Egitto da padre italiano e madre anglo-spagno la, che con i libri, e di libri, è vissuta una vita intera. Fin da quando, appena laureata, entrò in Gar- zanti, dove dopo una lunga trafila (lessi- cografa per i dizionari, responsabile del dipartimento scolastico, direttrice lette- raria), avrebbe finito per assumere, nel 1985, il ruolo di condirettrice generale. Il vero grande salto, però, arriva nel 1989, quando Antoine Gallimard la vuole con sé come direttrice editoriale dell’o- monima casa francese. Nel 2005, un ulte- riore passaggio: stavolta alla testa di Flammarion. Ed è qui che la incontro, a Place de l’Odéon numero 1: un indirizzo prestigioso, anche se i pochi ambienti che ho modo di vedere suggeriscono la sede di un elegante editore di nicchia, non la tolda di comando di un colosso, il quarto, della fiorente industria libraria francese. «Lei mi chiede della parte più alta e no- bile del mio mestiere. Perché giudicare un testo vuol dire valutarne la bellezza. Ma vuol dire, prima ancora, mettere in azione quella sensibilità editoriale in ba- se alla quale si capisce che è arrivato il mo- mentogiustoperpubblicarequelcertoli- bro. Ciò che formula l’editore, infatti, non è un giudizio assoluto, ma condizionato dal tempo in cui vive. Intendo dire che è molto più effimero dell’abituale giudizio sul bello, legato a un tempo infinitamen- te più lungo, che può a volte durare l’inte- ro arco di una civiltà. Per noi editori si trat- ta sempre di una valutazione contingen- te, a partire dalla quale ci assu miamo il ri- schio, quali che siano le circostanze com- merciali, di pubblicare un testo in cui si crede.Tuttoquestoriguardailcinqueper cento della nostra attività, perché l’altro novantacinque si fonda sulla pura conve- nienza: l’editore, sarà bene non dimenti- carlo, è anche e soprattutto un commer- ciante». Come avviene la scelta del libro giusto al tempo giusto? «Si deve anticipare di poco una sensi- bilità che è già nell’aria, ma non ancora ri- conosciuta e fatta propria da tutti. Biso- gna stare attenti, però, a non anticipare troppo,altrimentisirischiachequel testo non venga capito. Si ritorna così a quan to dettoprima:noieditorisiamometàintel- lettuali e metà commercianti. Occupan- doci di cose dello spirito, forse non ci comportiamo allo stesso modo del fiori- sta qui all’angolo che ieri mi spiegava co- me prima le orchidee non andassero af- fatto, mentre ora vanno alla grande e tra qualche mese, magari, cominceranno di nuovo a non vendere. Nel nostro mestie- re c’è quel piccolo quid in più: di fronte a un futuro, possibile libro, l’editore dovrà fare silenzio in se stesso, e se sente che è il momento giusto, osare il necessario». Eiclassici,allora?Quelli,inteoria,do-  vrebbero andare bene sempre. «È vero fino a un certo punto. Anche lo- ro subiscono la moda. Prenda Shake- speare: ora è all’apice della sua fortuna, ma nell’Ottocento non accadeva altret- tanto. Anche i grandissimi autori cono- scono i loro cicli; pur trattandosi di cicli molto più lunghi di quelli abituali». Quanto conta la struttura di una casa editrice nella scelta e nel giudizio di un li- bro? «Quandoun’aziendaeditorialeappar- tiene a un grande gruppo quotato in bor- sa, obbedisce a regole, tempi e condizio- namenti molto diversi rispetto a quelli di una azienda familiare. Ma tutta l’editoria, più in generale, è enormemente cambia- ta da quando è entrato in campo l’uso massiccio di strumenti di controllo un tempo inesistenti. Negli anni Settanta, a fine stagione non sapevamo neppure se avevamo guadagnato o perso soldi. Ades- so si sa praticamente tutto: il sell out, la redditività. E l’uso di questi strumenti, ovviamente, cambia la vita dell’editore. Senza contare che allora c’erano vendite più lunghe e più lente. Anche questo è cambiato, con l’avvento di quella che, con orribile termine, si chiama bestselle- rizzazione». Girando nelle librerie parigine, ho avuto l’impressione che la saggistica ab- bia un peso ben maggiore di quanto ac- cade in Italia. «Se si riferisce all’esposizione sui ban- chi ha ragione. In Francia si pubblica molta saggistica e per lo più di ottima qualità. In termini di copie vendute inve- ce le cosiddette scienze umane sono in netto regresso rispetto a vent’anni fa». Mentre in Italia il tracollo delle vendi- te è generalizzato. «Lo so, e non riesco ancora a spiegar- melo del tutto. Ovviamente non è a causa deldigitale,chehaincisomoltopoco.Co- me poco incide in Francia: lo 0,7, 0,8 per cento. Ci sono problemi nelle librerie, è vero; alcuni attribuiscono questo tracol- lo al passaggio da sconti selvaggi a sconti molto più controllati. Io non saprei az- zardare nessuna ipotesi. Anche perché qui in Francia c’è una situazione comple- tamente diversa: una contrazione del 2,5- 3 per cento, la stessa di tutti gli altri con- sumi». Sempre in libreria ho osservato i pri- mi libri Flammarion che mi sono caduti sotto gli occhi. E nell’ordine ho visto: un saggiodiCanforasuGiulioCesare,l’ulti- mo libro di papa Ratzinger, il manuale del perfetto arrivista e una monografia di Bonnefoy su Giacometti. Cosa lega tra loro questi libri? Non a caso il motto del primo Flam- marion era: offrire libri di qualità a un prezzo accessibile e rivolti al maggior numero di persone. «A dire il vero facciamo anche i libri di Cartier a quattrocento euro, ma non per questo dismettiamo collane al prezzo di copertina di soli due euro».  Anche in un colosso generalist a come questo, resta un criterio comune di giu- dizio? «Io non posso certo giudicare tutta la nostra produzione: si tratta di mille e set- tecentotitoliall’anno!Questaè un’azien- da fatta di tanti orti. Ma le posso assicura- re che ciascuno ara, semina e coltiva al meglio il suo». Spesso mi domando: siamo così sicu- «Nulla, e nulla deve legarli. Questa ca- sa editrice è nata nel 1876, proprio qui, sotto le arcate del teatro dell’Odéon, do- ve il giovane Flammarion cominciò a stampare i testi teatrali. Ogni azienda ha il proprio Dna e quello di Flammarion è fatto di varietà e facilità di access o a un va- sto pubblico. A differenza di Gallimard, che nasce cinquant’anni dopo, e si lega a una élite alto borghese, alla grande lette- ratura e alla rivista Nrf ,Flammarionèuna casa editrice generalista : da noi si pubbli- caletteraturapopolareedi altolivello,ab- biamo un enorme catalogo di storia e fi- losofia, e da quarant’anni in qua ci occu- piamo di tutto ciò che sta tra l’arte e i libri di pratiques , come li chiamano i france- si». “La parte più nobile del mio mestiere è stabilire cos’è bello, ma non voglio nascondere l’altra parte: devo vendere” “Anche i grandissimi autori subiscono la moda Shakespeare ora è all’apice della fortuna, ma non era così nell’Ottocento” L’italiana alla testa di Flammarion: “Come decido di pubblicare un libro? Faccio silenzio dentro di me e sento se è il momento giusto” FRANCO MARCOALDI L’ARTE DE L GIUDIZIO/ 4 . CREMISI La serie Oggi tendono a confondersi le differenze tra vero e falso, bello e brutto, morale e immorale, necessario e superfluo. Per capire con quali criteri giudicare le cose abbiamo intervistato studiosi, filosofi, teologi e personaggi del mondo della cultura. Oggi parla Teresa Cremisi, presidente e direttore generale del gruppo Flammarion Teresa © RIPRODUZIONE RISERVATA DISEGNO DI GABRIELLA GIANDELLI “Noi editori, intellettua li decaduti  saremo salvati dai lettori ragazzini”  

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7/30/2019 Intervista a Teresa Cremisi (direttore generale della casa editrice Flammarion) Sui Criteri Per Valutare - Repubblica…

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LUNEDÌ 7 GENNAIO 2013

la Repubblica 

CULTURA

ri che leggere qualsiasi cosa, fa comun-que bene? Detto altrimenti: tra una cat-tiva lettura e una buona passeggiata, lei

cosa sceglierebbe?«Personalmente, sceglierei una buonapasseggiata. Però rimango convinta delfatto che, qualsiasi cosa si legga, è sempremeglio che non leggere. Nella mia vita la-vorativa ho definitivamente abbandona-to ogni genere di snobismo. Compresoquello della casa editrice perfetta, chepubblica soltanto libri perfetti».

 Visto che stiamo parlando di giudiziosui libri, conta ancora quello dei criticifrancesi?

«Una critica unanimemente positivasu uno scrittore sconosciuto conta mol-tissimo. L’esordiente che si affaccia sullascena letteraria e raccoglie critiche elo-giative da cinque o sei critici di gusti diffe-renti può trarne un immenso beneficio intermini di mercato. Diverso il caso degliscrittori affermati, per non parlare dei be-st-seller. Qui il ruolo della critica è assolu-tamente inesistente».

Televisione e radio che ruolo hanno?

«Decisamente positivo, in particolarela radio. Perché è molto ascoltata ed è ric-ca di trasmissioni dedicate ai libri e quin-di ai dibattiti. Del resto si sa, i francesi par-lano dalla mattina alla sera. Resta co-munque che il mercato librario rappre-senta il doppio di quello italiano, per una

popolazione grosso modo identica. Equesto vorrà pure dir qualcosa».

 Anche lei è preoccupata per un possi-bile, progressivo distacco delle nuovegenerazioni dalla lettura?

«Nient’affatto. Da cinquant’anni inqua, le giovani generazioni non hannomai letto così tante pagine, come oggi. Inun mercato europeo e nordamericano incontrazione, l’editoria per ragazzi crescedi qualche punto. E non è solo il successodi Harry Potter a portare questa crescita:ogni due o tre anni si impongono nuovibest-seller destinati ai ragazzi».

PARIGI

Per secoli la nostra capacità digiudizio si è formata sui libri, ba-se indiscussa della conoscenza.Ma chi giudica, a sua volta, i li-bri? Chi decide se, come e per-

ché pubblicarli? Per affrontare questo te-ma, difficile pensare a una persona piùadatta di Teresa Cremisi, nata nel 1945 ad

 Alessandria d’Egitto da padre italiano emadre anglo-spagnola, che con i libri, e dilibri, è vissuta una vita intera. Fin daquando, appena laureata, entrò in Gar-zanti, dove dopo una lunga trafila (lessi-

cografa per i dizionari, responsabile deldipartimento scolastico, direttrice lette-raria), avrebbe finito per assumere, nel1985, il ruolo di condirettrice generale.

Il vero grande salto, però, arriva nel1989, quando Antoine Gallimard la vuolecon sé come direttrice editoriale dell’o-monima casa francese. Nel 2005, un ulte-riore passaggio: stavolta alla testa diFlammarion. Ed è qui che la incontro, aPlace de l’Odéon numero 1: un indirizzoprestigioso, anche se i pochi ambientiche ho modo di vedere suggeriscono lasede di un elegante editore di nicchia,non la tolda di comando di un colosso, ilquarto, della fiorente industria librariafrancese.

«Lei mi chiede della parte più alta e no-bile del mio mestiere. Perché giudicareun testo vuol dire valutarne la bellezza.Ma vuol dire, prima ancora, mettere inazione quella sensibilità editoriale in ba-se alla quale si capisce che è arrivato il mo-

mento giusto per pubblicare quel certo li-bro. Ciò che formula l’editore, infatti, nonè un giudizio assoluto, ma condizionatodal tempo in cui vive. Intendo dire che èmolto più effimero dell’abituale giudiziosul bello, legato a un tempo infinitamen-te più lungo, che può a volte durare l’inte-ro arco di una civiltà. Per noi editori si trat-ta sempre di una valutazione contingen-te, a partire dalla quale ci assumiamo il ri-schio, quali che siano le circostanze com-merciali, di pubblicare un testo in cui sicrede. Tutto questo riguarda il cinque percento della nostra attività, perché l’altronovantacinque si fonda sulla pura conve-nienza: l’editore, sarà bene non dimenti-carlo, è anche e soprattutto un commer-ciante».

Come avviene la scelta del libro giustoal tempo giusto?

«Si deve anticipare di poco una sensi-bilità che è già nell’aria, ma non ancora ri-conosciuta e fatta propria da tutti. Biso-

gna stare attenti, però, a non anticiparetroppo, altrimenti si rischia che quel testonon venga capito. Si ritorna così a quan todetto prima: noi editori siamo metà intel-lettuali e metà commercianti. Occupan-doci di cose dello spirito, forse non cicomportiamo allo stesso modo del fiori-sta qui all’angolo che ieri mi spiegava co-me prima le orchidee non andassero af-fatto, mentre ora vanno alla grande e traqualche mese, magari, cominceranno dinuovo a non vendere. Nel nostro mestie-re c’è quel piccolo quid in più: di fronte aun futuro, possibile libro, l’editore dovràfare silenzio in se stesso, e se sente che è ilmomento giusto, osare il necessario».

E i classici, allora? Quelli, in teoria, do- vrebbero andare bene sempre.

«È vero fino a un certo punto. Anche lo-ro subiscono la moda. Prenda Shake-speare: ora è all’apice della sua fortuna,ma nell’Ottocento non accadeva altret-tanto. Anche i grandissimi autori cono-scono i loro cicli; pur trattandosi di ciclimolto più lunghi di quelli abituali».

Quanto conta la struttura di una casa editrice nella scelta e nel giudizio di un li-bro?

«Quando un’azienda editoriale appar-tiene a un grande gruppo quotato in bor-sa, obbedisce a regole, tempi e condizio-namenti molto diversi rispetto a quelli di

una azienda familiare. Ma tutta l’editoria,più in generale, è enormemente cambia-ta da quando è entrato in campo l’uso

massiccio di strumenti di controllo untempo inesistenti. Negli anni Settanta, afine stagione non sapevamo neppure seavevamo guadagnato o perso soldi. Ades-so si sa praticamente tutto: il sell out, laredditività. E l’uso di questi strumenti,ovviamente, cambia la vita dell’editore.Senza contare che allora c’erano venditepiù lunghe e più lente. Anche questo ècambiato, con l’avvento di quella che,con orribile termine, si chiama bestselle-rizzazione».

Girando nelle librerie parigine, hoavuto l’impressione che la saggistica ab-bia un peso ben maggiore di quanto ac-cade in Italia.

«Se si riferisce all’esposizione sui ban-chi ha ragione. In Francia si pubblicamolta saggistica e per lo più di ottimaqualità. In termini di copie vendute inve-ce le cosiddette scienze umane sono innetto regresso rispetto a vent’anni fa».

Mentre in Italia il tracollo delle vendi-

te è generalizzato.«Lo so, e non riesco ancora a spiegar-

melo del tutto. Ovviamente non è a causadel digitale, che ha inciso molto poco. Co-me poco incide in Francia: lo 0,7, 0,8 percento. Ci sono problemi nelle librerie, èvero; alcuni attribuiscono questo tracol-

lo al passaggio da sconti selvaggi a scontimolto più controllati. Io non saprei az-zardare nessuna ipotesi. Anche perchéqui in Francia c’è una situazione comple-tamente diversa: una contrazione del 2,5-3 per cento, la stessa di tutti gli altri con-sumi».

Sempre in libreria ho osservato i pri-mi libri Flammarion che mi sono cadutisotto gli occhi. E nell’ordine ho visto: unsaggio di Canfora su Giulio Cesare, l’ulti-mo libro di papa Ratzinger, il manualedel perfetto arrivista e una monografia di Bonnefoy su Giacometti. Cosa lega tra loro questi libri?

Non a caso il motto del primo Flam-marion era: offrire libri di qualità a unprezzo accessibile e rivolti al maggiornumero di persone.

«A dire il vero facciamo anche i libri diCartier a quattrocento euro, ma non perquesto dismettiamo collane al prezzo dicopertina di soli due euro».

 Anche in un colosso generalista comequesto, resta un criterio comune di giu-dizio?

«Io non posso certo giudicare tutta lanostra produzione: si tratta di mille e set-tecento titoli all’anno! Questa è un’azien-da fatta di tanti orti. Ma le posso assicura-

re che ciascuno ara, semina e coltiva almeglio il suo».

Spesso mi domando: siamo così sicu-

«Nulla, e nulla deve legarli. Questa ca-sa editrice è nata nel 1876, proprio qui,sotto le arcate del teatro dell’Odéon, do-ve il giovane Flammarion cominciò astampare i testi teatrali. Ogni azienda hail proprio Dna e quello di Flammarion èfatto di varietà e facilità di access o a un va-sto pubblico. A differenza di Gallimard,che nasce cinquant’anni dopo, e si lega auna élite alto borghese, alla grande lette-ratura e alla rivista Nrf , Flammarion è unacasa editrice generalista : da noi si pubbli-ca letteratura popolare e di alto livello, ab-biamo un enorme catalogo di storia e fi-losofia, e da quarant’anni in qua ci occu-

piamo di tutto ciò che sta tra l’arte e i libridi pratiques , come li chiamano i france-si».

“La parte più nobiledel mio mestiere è stabilirecos’è bello, ma non voglionascondere l’altra parte:devo vendere”

“Anche i grandissimi autorisubiscono la modaShakespeare ora è all’apicedella fortuna, ma non eracosì nell’Ottocento”

L’italiana alla testadi Flammarion: “Come decido

di pubblicare un libro?Faccio silenzio dentro di mee sento se è il momento giusto”

FRANCO MARCOALDI

L’ARTEDELGIUDIZIO/4.

CREMISI

La serie

Oggi tendono a confondersi le differenze tra vero

e falso, bello e brutto, morale e immorale,necessario e superfluo. Per capire con quali criterigiudicare le cose abbiamo intervistato studiosi,filosofi, teologi e personaggi del mondo dellacultura. Oggi parla Teresa Cremisi, presidentee direttore generale del gruppo Flammarion

Teresa

© RIPRODUZIONE RISERVATA 

DISEGNODI GABRIELLA GIANDELLI

“Noi editori, intellettuali decaduti saremo salvati dai lettori ragazzini”