INTERVISTA A AKI KAURISMAKI L’ALTRO VOLTO DELLA...

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INTERVISTA A AKI KAURISMAKI Parlare con Kaurismäki è come trovarsi dentro a uno dei suoi film. Come i suoi personaggi, lui fuma troppo, beve troppo e dà spesso risposte di mezza riga. Come i suoi attori, parla per lo più senza intonazione lasciando all’interlocutore il compito di decifrare quali siano le battute e quali no. Come le storie che racconta, ti fa ridere e ti commuove. Spesso allo stesso tempo. Avrei voluto smettere di fare film ma sentivo di dover reagire. Anche se il cinema non cambia il mondo. Oggi è il denaro che conta. È vero che da giovane ha vissuto per un po’ da homeless? Non posso rispondere a questa domanda. Sono nato da solo e morirò da solo, assomiglio a un essere umano perché ho un cuore. Per il resto sono un extraterrestre. Negli ultimi anni il tema dell'immigrazione è molto presente sui media e nei films. Si, ma non è facile farli perché le persone sono sempre meno sensibili, non hanno più cuore. E' per questo che ho scelto di usare la chiave dell'umorismo. Che è sempre stata la chiave del grande Chaplin. Oggi il numero dei rifugiati non è tanto diverso da sessant'anni fa, prima li accoglievamo, ora dobbiamo considerarli nemici? Che fine ha fatto la nostra umanità? In Finlandia siamo sei milioni, i rifugiati sono 20mila, e c'è chi vive questo numero esiguo come fosse un'invasione. Non riesco a comprenderlo, ad accettarlo”. Cosa rappresenta per lei il cinema? Jean Renoir con La grande illusione voleva fermare la Seconda guerra mondiale, ma il cinema non cambia il mondo e non ci è riuscito. Ma almeno ci ha provato. E' il nostro dovere, non saresti un essere umano se non provassi. Se anche solo qualcuno vedrà il mio film e comprenderà la posizione dell'altro, di chi oggi è rifugiato come domani potremmo essere noi, allora va bene. Mi piace pensare che questo sia stato il mio ultimo film”. L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA REGIA Aki Kaurismaki INTERPRETI Sherwan Haji Sakari Kuosmanen Ilkka Koivula Janne Hyytiäinen Nuppu Koivu SCENEGGIATURA Aki Kaurismaki FOTOGRAFIA Timo Salminen MONTAGGIO Samu Heikkila DURATA 98’ ORIGINE FINLANDIA 2017 Filmografia I Daniel Blake (2016) Centro historico (2012) Miracolo a Le Havre (2011) A ciascuno il suo cinema (2007) Le luci della sera (2007) L’uomo senza passato (2002) Nuvole in viaggio (1996) Vita da boheme (1992) Ho affittato un killer (1990) Leningrad cowboys go america (1989) La fiammiferaia (1989)

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INTERVISTA A AKI KAURISMAKI

Parlare con Kaurismäki è come trovarsi dentro a uno dei suoi film. Come i suoi personaggi, lui fuma troppo, beve troppo e dà spesso risposte di mezza riga. Come i suoi attori, parla per lo più senza intonazione lasciando all’interlocutore il compito di decifrare quali siano le battute e quali no. Come le storie che racconta, ti fa ridere e ti commuove. Spesso allo stesso tempo. Avrei voluto smettere di fare film ma sentivo di dover reagire. Anche se il cinema non cambia il mondo. Oggi è il denaro che conta. È vero che da giovane ha vissuto per un po’ da homeless? Non posso rispondere a questa domanda. Sono nato da solo e morirò da solo, assomiglio a un essere umano perché ho un cuore. Per il resto sono un extraterrestre. Negli ultimi anni il tema dell'immigrazione è molto presente sui media e nei films. Si, ma non è facile farli perché le persone sono sempre meno sensibili, non hanno più cuore. E' per questo che ho scelto di usare la chiave dell'umorismo. Che è sempre stata la chiave del grande Chaplin. Oggi il numero dei rifugiati non è tanto diverso da sessant'anni fa, prima li accoglievamo, ora dobbiamo considerarli nemici? Che fine ha fatto la nostra umanità? In Finlandia siamo sei milioni, i rifugiati sono 20mila, e c'è chi vive questo numero esiguo come fosse un'invasione. Non riesco a comprenderlo, ad accettarlo”. Cosa rappresenta per lei il cinema? Jean Renoir con La grande illusione voleva fermare la Seconda guerra mondiale, ma il cinema non cambia il mondo e non ci è riuscito. Ma almeno ci ha provato. E' il nostro dovere, non saresti un essere umano se non provassi. Se anche solo qualcuno vedrà il mio film e comprenderà la posizione dell'altro, di chi oggi è rifugiato come domani potremmo essere noi, allora va bene. Mi piace pensare che questo sia stato il mio ultimo film”.

L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA

REGIA Aki Kaurismaki INTERPRETI Sherwan Haji Sakari Kuosmanen Ilkka Koivula Janne Hyytiäinen Nuppu Koivu SCENEGGIATURA Aki Kaurismaki FOTOGRAFIA Timo Salminen MONTAGGIO Samu Heikkila DURATA 98’

ORIGINE FINLANDIA 2017

Filmografia • I Daniel Blake (2016)

• Centro historico (2012)

• Miracolo a Le Havre (2011)

• A ciascuno il suo cinema (2007)

• Le luci della sera (2007)

• L’uomo senza passato (2002)

• Nuvole in viaggio (1996)

• Vita da boheme (1992)

• Ho affittato un killer (1990)

• Leningrad cowboys go america (1989)

• La fiammiferaia (1989)

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IL REGISTA Aki Kaurismäki, nato in una famiglia della campagna finlandese, si trasferisce a Helsinki in gioventù con il fratello Mika, oggi anche lui cineasta, con il quale coltiva fin dall'infanzia la sua passione per il cinema. Sopravvive con lavori manuali, frequentando contemporaneamente cineteche e cineclub, e ben presto inizia la sua carriera come critico cinematografico. Riguardo ai suoi esordi dietro la macchina da presa, lui stesso racconta: "Forse ho pensato di fare cinema perché non sono capace di nessun lavoro onesto.

Camminavo ogni giorno su e giù per le vie del centro di Helsinki cercando di rimediare i soldi per bere, ma era sempre più difficile trovarne. Allora ci siamo detti: cominciamo a fare film. Uno ha chiesto: su cosa? Io ho risposto: su questo schifo che è la nostra vita". Decide così di creare con il fratello la casa di produzione Villealfa Filmproductions che realizza a budget ridotto i film di entrambi, opere minimali caratterizzate da uno stile tipicamente nordico, laconico ed essenziale. I due debuttano nel 1981 con il film La sindrome del lago Saimaa, documentario sulla musica rock girato a quattro mani sulle sponde del più grande lago della Finlandia. Nel 1983 realizza poi un Delitto e castigo tratto da Dostoevskj. Poi vengono Calamari Union, Ombre nel paradiso e nel 1987 Amleto si mette in affari, personale rilettura della tragedia shakespeariana in chiave anticapitalistica. Dopo Ariel (1988) realizza nel 1989 La fiammiferaia, con cui prosegue la sua indagine attraverso l'universo del proletariato tramite la storia di Iris, un'operaia di cui racconta la triste esistenza in fabbrica e le delusioni amorose. Nello stesso anno porta di nuovo la musica sul grande schermo con Leningrad Cowboys Go America, folle e surreale road movie che si dipana attraverso il mondo del rock americano. Dopo Ho affittato un killer (1990), realizza Vita da Bohème, ispirato al romanzo di Henri Murger, con l'attore feticcio di Truffaut (Jean-Pierre Léaud) come protagonista. Invece delle musiche di Puccini, Aki utilizza Mozart e i valzer francesi, spogliando la tragica storia di Mimì da ogni romanticismo. Con Tatjana (1994) Kaurismäki giunge alla più pura essenzialità nordica realizzando un'opera quasi priva di dialoghi, ambientata in un

mondo surreale, dolce e sconsolato allo stesso tempo. Due anni più tardi nasce Nuvole in viaggio, commedia che prende spunto dall'attualissima problematica della disoccupazione, mentre nel 1999 Kaurismäki realizza, nello stile del cinema muto con tanto di didascalie, il film in bianco e nero Juha, adattamento di un classico della letteratura finlandese di Juhani Abo. Del 2002 è invece il fortunatissimo L'uomo senza passato, che ha visto in tutto il mondo una consacrazione da parte della critica e del pubblico. Dopo il piccolo episodio The Trumpet, appartenente al film collettivo Ten minutes older (uno degli episodi è firmato dall'amico americano Jarmusch, attore in alcuni suoi film), nel 2006 il maestro finlandese ha confermato lo stile surreale e malinconico del suo cinema, commuovendo il pubblico con la triste storia di un solitario guardiano notturno innamorato di una donna che si rivelerà un'esca per una rapina (Le luci della sera). Nel 2011 fa centro ancora una volta con il toccante Miracolo a Le Havre. Torna al cinema con L'altro volto della speranza, vincitore dell'Orso d'Argento per la Miglior Regia al Festival di Berlino, una commedia surreale e poetica che vede incrociarsi le strade di un rifugiato siriano sbarcato a Helsinki e di un commesso viaggiatore finlandese con l'hobby del gioco d'azzardo. I suoi miti cinematografici “Lubitsch e naturalmente, Chaplin, così moderno che le sue storie fanno piangere e ridere ancora oggi. Se guardi agli Stati Uniti ti accorgi quanto Chaplin con i suoi film fosse nel giusto”

LA TRAMA Khaled è un rifugiato siriano che ha raggiunto Helsinki dove ha presentato una domanda di asilo che non ha molte prospettive di ottenimento. Wilkström è un commesso viaggiatore che vende cravatte e camicie da uomo il quale decide di lasciare la moglie e, vincendo al gioco, rileva un ristorante in periferia. I due si incontreranno e Khaled riceverà aiuto da Wilkström ricambiando il favore. Nella società che li circonda non mancano però i rappresentanti del razzismo più becero.

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La realtà vista con poesia di Alessandra Levantesi La Stampa

Qual è L’altro volto della speranza? Per il siriano Khaled (Sherwan Haji), che emerge nero di carbone dalla stiva di un cargo approdato a Helsinki, la speranza è trovare accoglienza: ed è in questa fede che, dopo essersi ripulito in un bagno pubblico, si presenta a un commissariato chiedendo asilo. Ma la tragedia di un uomo che sotto i bombardamenti di Aleppo ha perso l’intera famiglia, eccetto una sorella sparita sul confine ungherese durante la perigliosa trasferta, lascia del tutto freddi gli impersonali inquirenti; e a Khaled, per evitare di essere rispedito in patria, non resta che la clandestinità. Si direbbero le premesse per un dramma attualissimo sul tema delle migliaia di reietti in fuga da terribili scenari di guerra che stentano a trovare ospitalità in un Occidente sempre più orientato a chiudere le frontiere; ma qui stiamo parlando di un’opera di Aki Kaurismaki, un cineasta che usa penetrare la realtà per la via della poesia, cogliendo peraltro lo spirito dei tempi meglio di un cronista. Sei anni dopo Miracolo a Le Havre, il regista finlandese dedica un’ennesima, incantevole ballata al mondo a lui caro dei perdenti e degli outsiders, mettendo su - a contrasto con l’indifferenza e la crudeltà dell’establishment (nelle strade di Helsinki vagolano i brutti ceffi di una sedicente armata di liberazione ariana) - un tenero teatrino di esseri umani uniti dal caso: rifugiati, invecchiati country-rockettari, camerieri stanchi, un cuoco improbabile, e una paradossale figura di maturo commesso viaggiatore, Wikstrom (Sakari Kuosmanen), deciso a regalarsi una nuova opportunità di vita dedicandosi alla ristorazione. Solo a Kaurismaki poteva venire in mente di far sedere il lunare Wikstrom a un tavolo di biscazzieri per vincere i soldi necessari a rilevare un locale; solo Kaurismaki, con la sua capacità di svaporare la tristezza in umorismo e rinvenire la bellezza nello squallore, poteva cantare la bontà senza scadere nella retorica. La fotografia bluastra di Timo Salminen ispessisce l’atmosfera di sfumature surreali e malinconiche; nella loro laconica imperturbabilità gli interpreti appaiono buffi e toccanti, inclusa Kati Outinen, l’immancabile musa dell’autore.

Uno sguardo lucido sulle aberrazioni di Davide Turrini Il fatto quotidiano

Toglieteci tutto, ma non il nostro Aki Kaurismaki. Il regista finlandese lascia ancora a bocca aperta per quel suo ironico e peculiare mettere in scena gli ultimi, con una lucidità morale e un rigore formale come si diceva anni fa ‘bressoniano’. L’altro volto della speranza è un ulteriore slittamento verso una storia minima, particolare, che sa poeticamente riassumere il valore di un tutto. Khaled è un ragazzo siriano in fuga da Aleppo, emerso da un carico di carbone di una nave finlandese. Wikström è un maturo commesso viaggiatore che molla professione, magazzino di camicie, cravatte e moglie, vince al poker, e rileva un ristorantino di ultima categoria. Khaled, in attesa di ritrovare la sorella unica superstite della famiglia massacrata sotto le bombe, incontra casualmente Wikstrom. Un paio di (fasulli) pugni in faccia l’uno all’altro alla John Wayne vicino a un bidone del pattume, e il ragazzo viene subito nascosto, assunto e regolarizzato dal neo ristoratore, quindi aggiunto alla strampalata truppa di dipendenti di lunga data del locale. Kaurismaki gioca felicemente la carta della tragicommedia, esplorando la dolorosa quotidianità del migrante che chiede asilo senza perdere la dignità, come l’elegante e onorevole tentativo dell’uomo quasi da pensione che si reinventa piccolo imprenditore con quell’allure triste da finlandese silente. Entrambi i personaggi sono intrisi di un umorismo dissacrante tipico di Kaurismaki: stralunati e disincantati verso le storture del mondo, troppo intelligenti per prendersi hollywoodianamente sul serio nel contrastarle da eroi, uniti da un cuore d’oro che porta perfino al salvataggio straordinariamente inspiegabile, di un bellissimo cagnetto. Kaurismaki prosegue la sua idea di cinema basata sulla inquadratura essenziale, macchina da presa sempre fissa che mai si muove, mai carrella o stringe su un dettaglio. Quel che accade rimane sempre dentro ai bordi del quadro quasi come una confessione di realismo estremo nell’atto totale della falsificazione/invenzione del racconto. “Con questo film, cerco di fare del mio meglio per mandare in frantumi l’atteggiamento europeo di considerare i profughi o come delle vittime che meritano compassione o come degli arroganti

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immigrati clandestini a scopo economico che invadono le nostre società con il mero intento di rubarci il lavoro, la moglie, la casa e l’automobile”, spiega Kaurismaki. “Nella storia europeoa la creazione e l’applicazione di pregiudizi stereotipati contiene un eco sinistro. Ammetto serenamente che L’altro volto della speranza è per certi versi un film di tendenza che tenta senza alcuno scrupolo di influenzare le visioni e le opinioni dei suoi spettatori, cercando al tempo stesso di manipolare le loro emozioni al fine di raggiungere questo;dal momento che tali sforzi falliranno immancabilmente, quello che ne resterà è, mi auguro, una storia onesta e venata di malinconia trainata dal senso dell’umorismo, ma per altri aspetti anche un film quasi realistico sui destini di certi esseri umani qui, oggi, in questo nostro mondo”. In punta di piedi

di Emiliano Morreale Repubblica I film di Kaurismaki sono buffe e desolate visioni dell’Europa, esempi originalissimi di cinema politico non ideologico, con uno spirito che richiama addirittura certo cinema dell’epoca dei fronti popolari. Emarginati, immigrati clandestini, disoccupati, i suoi personaggi si trovano davanti alle piccole e grandi tragedie della vita, e alla solidarietà dei simili, accompagnate da un occhio partecipe, mai patetico, capace di trovare la giusta distanza tra ciò che vede e il pubblico, senza compiacere ma senza mettersi al di sopra dei personaggi o degli spettatori. Quest’ultimo titolo, vincitore del premio per la miglior regia a Berlino (ma tutti si aspettavano l’Orso d’oro) è piacevolmente simile ad altri film come “Miracolo a Le Havre” o “Nuvole in viaggio”, con la stessa inimitabile, spontanea giustezza di tono e gli stessi colori pastello. Khaled è un profugo siriano che chiede asilo in Finlandia, ma la polizia lo imprigiona e vuole rispedirlo indietro. Wilkström è un rappresentante di camicie in difficoltà, che decide di giocarsi (letteralmente) tutto per aprire un improbabile ristorante sushi. Le loro strade, separate per la prima parte del film, si incontrano, a illustrare un’alleanza di solitudini e un esempio di surreale fratellanza. Le musiche di cantanti scalcinati come i protagonisti accompagnano la storia come una ballata, i silenzi diventano gag comiche, o accolgono

monologhi che, spiazzando mitemente lo spettatore, in pochi minuti svelano l’orrore della guerra e l’arrivo in Europa. Kaurismaki sembra raccontare quasi nulla, a piccoli tocchi, e racconta invece tantissimo, le cose davvero importanti; sembra minimale, e punta al cuore dell’epoca. In un film dall’aspetto così svagato, si finisce col ridere (a fior di labbra) e col commuoversi (senza vergognarsi), come non capita in film che cercano il coinvolgimento più diretto dello spettatore. Razzismo e burocrazia

di Maurizio Porro Corriere della Sera

Kaurismäki fa parte di quella specie rara di cineasti che andrebbe protetta perché offre al cinema una valenza (e violenza) morale inserendola in uno stile, perfino in una maniera. Con misura cinica e humour da Keaton, parco di parole ma generoso di suggestioni e distributore di solitudini, il finlandese Aki narra L'altro volto della speranza in una Helsinki da fantascienza. E mescola le parallele disavventure di un ragazzo siriano uscito spazzacamino dal carbone di un cargo e di un commerciante di camicie che lascia la moglie per cambiar vita: vince a poker, rileva «La pinta dorata», ristorante che cambierà look, dal sushi all'India. Le due strade si incrociano senza un sorriso e il ragazzo, che cerca la sorella missing al confine ungherese nel tragitto Aleppo-Danzica, è assunto nella quasi metafisica trattoria. L'autore non bara con le parole, si fida del silenzio, ha una scrittura limpida, senza macchie né baffi, dice le cose in modo semplice e inequivocabile: in giro c'è razzismo e i burocrati sono così ottusi da dichiarare Aleppo luogo sicuro. Dietro la compostezza del welfare che lascia pochi spiccioli di pìetas di mancia, il vero senso di queste vite azzoppate si nasconde negli sguardi e nei luoghi da zombies: il giovane che racconta la sua mini Odissea vive da recluso nel centro rifugiati ed il ricco commerciante lascia la moglie e il suo bicchiere senza una parola poggiando sul tavolo le chiavi e l'anello matrimoniale. Un capolavoro di sintesi come tutto il film, tutto senza zucchero