Intervista a - liceoaristosseno.it · 10 Maggio 2009, ore 10.30 … in casa Manzoni … Casa...

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Intervista a: Alessandro Manzoni Qualche notizia su l’intervistato .:: Dati anagrafici ::. Data di nascita: 07/03/1785 Luogo di nascita: Milano Data del decesso: 22/05/1873 Luogo di decesso: Milano Padre: Pietro Antonio Madre: BECCARIA Giulia Nobile ereditario Si Titoli nobiliari Signore di Moncucco Prima moglie: BLONDEL Enrichetta Seconda moglie: BORRI Teresa Figli: Clara Pietro Giulia Cristina Sofia Matilde Enrico Vittoria Filippo Parenti: Beccaria Cesare, avo materno Taparelli D'Azeglio Massimo, senatore, genero, marito di Giulia Baroggi Cristoforo, genero, marito di Cristina Trotti Lodovico, genero, marito di Sofia Giorgini Giovanbattista, marito di Vittoria Redaelli Emilia, coniugata con Enrico Catena Emilia, coniugato con Filippo Luogo di residenza: Milano Indirizzo: Via Morone Professione: Possidente Cariche e titoli: Professore emerito dell'Università di Napoli dall'11 febbraio 1862 Socio corrispondente dell'Accademia della Crusca di Firenze dall'11 dicembre 1827 Membro onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 26 novembre 1839 Presidente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 1859 al 1861 Presidente onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 19 dicembre 1861 Membro dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti dal 18 luglio 1847 Socio dell'Accademia delle scienze, lettere e arti di Modena dal 1860 Socio ordinario della Società reale di Napoli dal 23 febbraio 1864 Socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino Socio onorario dell'Accademia di belle arti di Milano .:: Nomina a senatore ::. Nomina: 29/02/1860 Categoria: 20 Relatore: Luigi Cibrario Convalida: 11/04/1860 Giuramento: 08/06/1860 Onorificenze: Commendatore dell'Ordine di S. Giuseppe (Granducato di Toscana) Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia dal 22 aprile 1868

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Intervista a: Alessandro Manzoni

Qualche notizia su l’intervistato

.:: Dati anagrafici ::. Data di nascita: 07/03/1785 Luogo di nascita: Milano Data del decesso: 22/05/1873 Luogo di decesso: Milano Padre: Pietro Antonio Madre: BECCARIA Giulia Nobile ereditario Si Titoli nobiliari Signore di Moncucco

Prima moglie: BLONDEL Enrichetta Seconda moglie: BORRI Teresa Figli: Clara

Pietro Giulia Cristina Sofia Matilde Enrico Vittoria Filippo

Parenti: Beccaria Cesare, avo materno Taparelli D'Azeglio Massimo, senatore, genero, marito di Giulia Baroggi Cristoforo, genero, marito di Cristina Trotti Lodovico, genero, marito di Sofia Giorgini Giovanbattista, marito di Vittoria Redaelli Emilia, coniugata con Enrico Catena Emilia, coniugato con Filippo

Luogo di residenza: Milano Indirizzo: Via Morone Professione: Possidente Cariche e titoli: Professore emerito dell'Università di Napoli dall'11 febbraio 1862

Socio corrispondente dell'Accademia della Crusca di Firenze dall'11 dicembre 1827 Membro onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 26 novembre 1839 Presidente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 1859 al 1861 Presidente onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 19 dicembre 1861 Membro dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti dal 18 luglio 1847 Socio dell'Accademia delle scienze, lettere e arti di Modena dal 1860 Socio ordinario della Società reale di Napoli dal 23 febbraio 1864 Socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino Socio onorario dell'Accademia di belle arti di Milano

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina: 29/02/1860 Categoria: 20 Relatore: Luigi Cibrario Convalida: 11/04/1860 Giuramento: 08/06/1860 Onorificenze: Commendatore dell'Ordine di S. Giuseppe (Granducato di Toscana)

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia dal 22 aprile 1868

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10 Maggio 2009, ore 10.30 … in casa Manzoni …

Casa Manzoni. Via Morone - Milano

Villa Manzoniana di Brusuglio (Cormano - Mi)

- VETRÓ : Buongiorno, Senatore, la ringrazio per avermi ricevuto. È davvero un grande onore per me poter intervistare una celebrità del suo calibro.

- MANZONI : Buongiorno, professore. Molto gentile da parte sua … si accomodi. - VETRÓ : Grazie … Come sta?! - MANZONI : Bah … ho avuto giorni migliori, direbbero gli Inglesi. Ma non voglio tediarla

con le mie tristi vicende personali. A parlarne non basterebbe un’altra vita. Proceda pure con la sua intervista, la prego.

- VETRÓ : Mhm … certo ... certo … Comincio subito. Le rivolgerò poche domande mirate per conto dei lettori di “Tarantoincartolina”. Perciò non Le ruberò molto del suo tempo prezioso.

- MANZONI : Sarò lieto di rispondere alle sue domande e soddisfare così le aspettative dei suoi lettori! Nel frattempo posso offrirle qualcosa da bere?

- VETRÓ : La ringrazio, è molto gentile da parte Sua. Magari alla fine di questa nostra chiacchierata. Da noi si dice … “prima il dovere e poi il piacere”.

- MANZONI : Sono perfettamente di accordo con il suo pensiero. Cominci pure. - VETRÓ : Senatore, può raccontare ai lettori di “Tarantoincartolina” cosa l’ha indotto a

scrivere “I Promessi Sposi”, diventato poi un best seller europeo?! Mi risulta che esso sia l’unico romanzo presente nel mare magnum dei suoi scritti.

- MANZONI : Benché non sappia una iota d’inglese, mi sembra di capire che per best seller lei abbia ad intendere uno scritto che ha avuto molto successo perché in tanti sono stati a leggerlo, e quindi ad averlo acquistato.

- VETRÓ : Eccellente intuizione ... Senatore.

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- MANZONI : Beh … devo ammettere che non avrei scommesso un soldo sul fatto che la mia unica opera narrativa sarebbe diventata così famosa in Italia e all’estero ... Veda … Mi capitò di leggere nel 1819 la versione francese fresca ancora di stampa di “Ivanhoe”, dello scozzese Walter Scott. Tratta della storia di un cavaliere sassone ambientata nel 1194, ai tempi del re inglese Riccardo Cuor di Leone. La lessi una seconda volta, per gustarne meglio le belle novità stilistiche e le trovate narrative davvero ammirevoli, che avevano il chiaro scopo di intrigare il lettore e indurlo a scorrere avidamente le pagine, per vedere come andava a finire. Aggiungo che a tutt’oggi considero Scott, oltre che amico e maestro, l’ Omero del romanzo storico europeo. Non lo nego ... di lì a poco decisi di scrivere anch’io qualcosa che contenesse quelle novità, ma non avevo ancora le idee chiare in merito. Mi trovavo nella mia villa di campagna a Brusuglio, che dal centro di Milano dista circa 7 chilometri. Adoro recarmi lì quando posso. In quella zona non manca il buon vino prodotto dai miei amici contadini, che mi chiamano affettuosamente dôn Lisander. Gente alla buona, schietta e genuina, come il nettare d’uva che producono. Non le nascondo che di tanto in tanto non disdegno farmi una bella bicchierata assieme a loro … e la partitella a carte ci scappa sempre in quella circostanza. Naturalmente nel giorno che Domineddio ci consente il riposo dal lavoro. Beh … senza portarla tanto alla lunga, fu proprio nella mia villa che mi giunse come per incanto l’illuminazione in merito a quanto avrei scritto. Il caso volle che mi ero portato - come faccio sempre, d’altronde, - alcuni libri da leggere per trascorrere lì il mio tempo libero in piena pace: la Storia di Milano dell’intellettuale Giuseppe Ripamonti, che tratta della epidemia di peste avvenuta nel 1630 nel Ducato della mia città nativa, e un saggio di Melchiorre Gioia, uno storiografo ed economo di gran pregio, devo dire. Nel suo scritto si può leggere il passo di una “grida”, cioè una legge emanata dal Governatore di Milano, chiamata così perché veniva gridata nelle strade da pubblici ufficiali, per informare i cittadini del Seicento che non sapevano né leggere e né scrivere. Proprio in quella si assicuravano pene e sanzioni severe a chiunque avesse impedito la celebrazione di un matrimonio. Nel mio romanzo storico, dunque, la peste e le grida avrebbero marcato il territorio delle non poche peripezie affrontate dai fidanzati Renzo Tramaglino e Lucia Mondella a causa di Don Rodrigo, un signorotto locale che s’invaghisce della popolana e cerca a tutti costi d’impedirne l’unione legittima con il promesso sposo!

- VETRÓ : Interessante … ma cos’è esattamente un romanzo storico?! La prego di spiegarcelo nella maniera più semplice possibile.

- MANZONI : Una parola?! … Mhm … Mettiamola così, molto terra-terra. Tu romanziere scegli un’epoca del passato e vi ambienti la tua vicenda in una maniera vicinissima al vero. Non pochi dei personaggi di quella vicenda, poi, sono realmente esistiti, ma agiscono insieme a tutti quelli che tu inventi. Questi ultimi devono muoversi e pensare in modo tale da sembrare verosimili persino alla gente in mezzo alla quale essi avrebbero potuto vivere, se davvero nati nel tempo e nel luogo in cui i fatti succedono. Nel mio caso, tutto avviene tra Lecco e Milano, negli anni che vanno dal 1628 al 1630, al tempo della dominazione spagnola. Bisogna inoltre tenere conto che un romanzo può definirsi storico solo se le persone che in esso si muovono ed operano sono coinvolte nelle vicende storiche evocate.

- VETRÓ : In che senso?! Chiarisca, cortesemente. - MANZONI : Glielo spiego con due esempi lineari. Consideriamo le grida. Io le faccio

leggere dal dottor Azzeccagarbugli a Renzo Tramaglino. Lì si trovano le penali stabilite nei confronti di chi minaccia e intimidisce un parroco per impedirgli di celebrare un matrimonio. Di peste, invece, muoiono Don Rodrigo e il Griso, il suo scagnozzo nonché bravo, due personaggi di molto peso nella mia narrazione. Ho reso l’idea?!

- VETRÓ : Capisco … A proposito, nell’ambiente intellettuale europeo Lei, Senatore, ha ricevuto lodi a non finire per avere creato un capolavoro che vede protagonisti due popolani anziché due nobili.

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- MANZONI : La cosa non può che farmi piacere. Se è vero che la scelta degli umili può definirsi una trovata innovativa rispetto a tanti romanzi storici scritti sino a oggi - iniziai a mettere “I Promessi Sposi” su carta quando avevo appena 36 anni, una vita fa, purtroppo - è pur vero che Renzo e Lucia devono interagire in mezzo ad arroganti della nobiltà, anche essi interpreti di primo piano a tutti gli effetti. E se mi consente vorrei aggiungere un’altra cosettina in merito.

- VETRÓ : Pendo dalle sue labbra, Senatore … - MANZONI : Veda, come recita il detto … l’appetito vien mangiando. In corso d’opera mi

venne in testa di convogliare tutto il movimento narrativo in tre settori che ritenni essenziali: il vero per soggetto, l’utile per scopo, e l’ interessante per mezzo, e …

- VETRÓ : Mhm … mi perdoni … Senatore … se la interrompo … sono concetti troppo colti … Potrebbe fare uno sforzo per … ?

- MANZONI : Va bene. Va bene. Ho capito … Devo essere meno cattedratico. D’accordo ... Diciamo allora che le vicende che mi ero proposto di narrare dovevano essere plausibili, o se preferisce simili al vero - come già le ho accennato. È per questo motivo che dovevano derivare dalla Storia e dalle esperienze di vita. I fatti, poi, dovevano insegnare qualcosa di buono a chiunque di noi, migliorare il nostro comportamento nei confronti del prossimo e incitarci ad una partecipazione politica più attiva e utile al bene della nostra nazione. Considerai necessario, infine, scegliere un soggetto che interessasse tanto l’uomo della strada quanto la persona colta. Per questo c’era la necessità di mettere in bocca ai miei interpreti una parlata viva, semplice e diretta. Scelsi il fiorentino, una lingua che giudicavo buona per tutti. La resi più accessibile, in modo che umili e titolati la usassero senza problemi nella vita di tutti i giorni.

- VETRÓ : Ho apprezzato i suoi sforzi, Senatore, grazie di cuore … Lei pensa che il romanzo storico sia destinato ad avere lunga vita come genere letterario?!

- MANZONI : Beh, in tutta franchezza le dico di sì. E le spiego il perché. Il romanzo storico permette che lo scienziato e il poeta, la ragione e il sentimento vadano a braccetto. Chiarisco. Il rigore scientifico con cui i dettagli storici vanno esposti, quello che usa appunto un uomo di scienza, non contrasta affatto, per come la vedo io, con chi invece comunica le sue esperienze personali usando il sogno, il non reale, l’immaginazione. Sono convinto che realtà e fantasia divertano molto di più i lettori. Se racconto una storia realmente accaduta che finisce tragicamente, deludo in un certo senso le aspettative di chi vorrebbe che quella storia avesse un buon fine. Allora perché non utilizzare un tale compromesso per divertire chi ti legge?!

- VETRÓ : Sa che il brano di Don Abbondio fermato dai bravi è stato tradotto nel dialetto di Taranto? Lo trova disdicevole?

- MANZONI : E perché dovrei?! Anzi … la cosa mi lusinga e non mi meraviglia affatto, anche se ignoro la sonorità di questa parlata che suppongo lei conosca bene, essendo nativo di quella città, bimare - mi hanno riferito - e amata da Orazio per via di un grazioso fiumicello. Non sono mai stato a Taranto, mi piacerebbe venirci un giorno, acciacchi permettendo. Pensi che il mio caro amico Tommaso Grossi scomparso, ahimè, da più di un lustro, ci ha lasciato innumerevoli scritti in dialetto milanese, di grande pregio sotto il profilo stilistico e dei contenuti. E poi, tanti miei conoscenti negli ambienti della Milano intellettuale trovano naturale scrivere e comporre oggi in milanese. Con il dialetto cuore e mente s’avvampano d’intimità e dolcezza, e i messaggi giungono a destinazione come se provenissero da un sogno.

- VETRÓ : Senatore, credo che ora accetterò il drink che avrebbe voluto offrirmi prima d’iniziare la conversazione. La nostra chiacchierata si è conclusa.

- MANZONI : Quando dice drink si riferisce a qualcosa da bere, suppongo?! Ma certo, certo ... Lasci allora il registratore sul tavolo e le altre minutaglie, e venga con me. In cantina ho

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in serbo uno di quei vinelli che oggi le delizierà il palato … Venga, venga, per di qua … le faccio strada.

- VETRÓ : Con immenso piacere, Senatore. Brinderemo alla salute dei lettori di “Tarantoincartolina”.

- MANZONI : Sarà al secondo bicchiere. Al primo … brinderemo alla nostra. Non le pare?! - VETRÓ : Più che giusto, Senatore, più che giusto ...

Ore 13.00. Vado via da casa Manzoni leggermente alticcio ... ho con me tre bottiglie di quel favoloso “Sfursat”, che il Senatore ha voluto a tutti costi regalarmi. Una persona squisita. Signore nel dire e nel fare ... Le conserverò per le occasioni migliori …

Don Abbondio

La tessitrice Lucia Mondella

Il tessitore Renzo Tramaglino

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Il tessitore Donn’Abbóndie e lle bbráve 7 Nuvèmbre 1628 … Quanne se scìj’ acchiò (donn’Abbòndie) da ’nnànde le dó’ galanduémene (le bbráve)1, dečíj’ jìndr’a meròdda sóve:2 nah, nah, mò síende; e sse fermòje de bbòtte. - Uè’, ze prè’, ’usseríje, - facíj’ vvúne de chìdde e ddóje, cu l’uècchie fìsse-fìsse ’mbàcce a jìdde. - Ce cummannáte? – sùbbete respunnìj’ donn’Abbòndie, azànne le sùve d’ô breviàrie, ca le rumaníj’ apíerte ind’a le máne, mànghe ca stáve míse sobb’a ’nu letturíne. - Vú’ teníte ’ndenzzióne, - cundinuóje l’ôtre, tutte ’ndregnáte3 e arraggiáte, a ccome a vvúne ca háve ’ngucciáte ’nu sott’a-jidde súje4 ca à ’zzeccáte a ffá’ ’na malazzióne, - vúje, créje, teníte ’ndenzzióne de spusáre a Rrènze Tramaglíne e Llucíje Mundèlle! - Ciové … respunnìje donn’Abbòndie, cu ’na vócia totta tríemele-tríemele: - ciové. Vú’, segnúre, vú’ síte uémene ca ù canòscene ’u múnne, e vvúje ù sapìte assèje bbuéne a ccúme vònne ’stè facènne aqquáne. ’U puveríedde d’u prèvete no ’ng’èndre: chìdde fàčene le fàtte lóre ’mbrà llóre stèsse, e ppo’ … e ppo’ avènene da nú’, a ccúme se vé a’ bànghe a ppegghià turníse5; e nnù’ … nnù’ capuèzzele6 síme d’u munecíbie. - Póca,7 - le dečíj’ ’u bbráve, ind’a rècchie, ma cu ’a parláta cundegnóse de ’nu varvascióne8 ca stè’ cumannáve, - ’stù matremònie no ’nge s’à dda fa’, nò ccréje, nò mmáje. - Ma, segnúre míje, - facíj’ donn’Abbòndie, cu a vócia mànza9 e ggendíle de ci vóle cu ccapacetésce a vvúne ca nò tténe pacénzie, - ma, segnúre míje, degnáteve cu ve mettíte vú’ ô pòste míje. Ci éve pe’ mméje, … vúje, ù vedìte bbuéne c’a mméje nò mme n’avéne níjende ’nzàcche …

1 Sgherri, sicari al servizio dei signori. In questo caso del signorotto locale spagnolo Don Rodrigo. 2 Nel suo cervello. 3 Chi mostra un aspetto torvo, minaccioso. 4 Un suo sottoposto, un inferiore. 5 Denaro. 6 Frate servente di qualsiasi ordine religioso (N. Gigante). 7 “Or bene”, “dunque”. Etimo sconosciuto. 8 Uomo che si atteggia a persona d’autorità (N. Gigante). 9 Mansueta.

“Le Zíte Prumèsse”

de

Alessàndre Manzzóne

Capìtele Príme

scrìtte cu ’a lènghe de Tàrdescrìtte cu ’a lènghe de Tàrdescrìtte cu ’a lènghe de Tàrdescrìtte cu ’a lènghe de Tàrde

da da da da

Enrico Vetrò Enrico Vetrò Enrico Vetrò Enrico Vetrò

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- Méne, mé’, - tagghiò a ccùrte ’u bbráve. Ci ’a cóse s’avév’a ddečídere cu lle strammuèttele10, vúje ’nge mettíve ’a còppele a nnúje11. Nú’ nò ssapíme níjende, e nnò vulíme cu nne ssapíme níjende de cchiúne. Óme avvesáte … usseríje ne stè capísce. - Ma vú’, segnúre, vú’ síte ghiúste asséje numúnne, arraggiunèvele assèje suvíerchie … - Ma, - tagghió a ccùrte ’stà vôte l’ôtre mastagghiúte12 d’u cumbàgne ca no ’nge avéve parláte ’nzìgne a tànne, - ma ’u matremònie no ’nge s’à dda fa’, o … - e a ’stù púnde ’na cápa jastéma,13 - o quìdde ca ù fáče, cu nò sse pènde, piccè no’nge n’à dd’avè ’u tíjembe, e … - nn’ôta jastéme. - Cìtte, cìtte, - facíj’ angóre ’u príme ’ratóre: - ’ u só’14 zì’ prèvete, jé nn’óme ca sápe a ccúme se vìve ô múnne, e nnúje sìme galanduémene, ca a jidde no ’nge le vulíme cu fačíme mále, ma à dda tenè ndennàgghie15. Ze prè’, usseríje, ’u ’llustrísseme segnóre don Rudríghe patrúne nuèstre ve reverésce a vvúje grànna-grànne. Quìste nóme fòje ’ngápe a ddonn’Abbòndie, a ccúme, jindr’ô córe de ’na burràscke de nòtte, ’nu terlàmbe ca lapperlà ’llumenésce le cóse, ma fa ca te sté jàcchie ’mmíjenze a’ nègghie, e ll’aterróre ca crèsce. Facíj’, sènza c’ù vuléve, ’nu squaraquìgghie16 grànne, e ddečíj’: - ce vúje me putíve cunzegliá’ … - Oh! Cunzegliá’ ô ’sseríje ca canuscíte ’u latíne! – tagghiò angóre a ccùrte ’u bbráve, cu ’na rísa mènza scustumáta e mmènza ’mbísa17. – A vvúje attócche. E ssòbbre a ogne ccè’ ssíje, nò ffačíte cu vve jèsse da ’mmòcche mànghe ’na paróle18 ca v’háma ’vvesáte de ’stà manére p’u bbéne vuèstre; scenò19… ehm … jé ’u stèsse ca quìdde tále matremònie se fáče. ’Nzòmme, cè ssò’ ca vvulíte cu sse díče a nnóme vuèstre ô ’llustrísseme segnóre don Rudríghe? - ’U respètte míje … - Spiacáteve cchiù’ mègghie! - … A ddesposezzióne … sèmbe a ddesposezzióne e a’ ’bbediènze -. E, ’ndramènde stè ddečéve ’stè paróle aqquáne, no ’nge ù sapéve mangh’jidde ce stè ffačéve ’na prumèsse o ’na cevelèzze.20Le bbráve l’avèrne azzètte, o fèčere vedè ca l’avèvene avúte azzètte c’u segnefecáte cchiú’ sérije. - Appòste, e bbonanòtte ô ’ssegneríje, - dečíj’ vvúne de lóre, ’ndramènde se ne stè scéve c’u cumbágne. Donn’Abbòndie, ca, ’nzígne a ppìcche tíjembe arréte, vuléve cu ddáve ’n’uècchie pe’ lle scanzá’, mó’ vuléve cu allungáve ’u bróde21 d’u descúrse e d’a cundrattazzióne. - Vú’, segnúre, … accumenzó, chiudènne ’u breviàrie cu lle dó’ máne; ma chìdde, sènza cu lle dàvene cchiù’ adènzie, pegghiárene ’a bbíje22 d’addò’ jidde avéve ’venúte, e sse ne scèrene, candànne ’na malacanzóna ca aqquáne no ’nge à vògghie cu scríve.

10 Fandonie, ciarle. Cfr.: N. Scialpi, “ ’U matremònie de Rosa Palanca” , I, v. Più grave ed efficace di “Chiàcchiere”. 11 Lett.: “Ci mettete il berretto”. Espressione idiomatica che equivale a “gabbare”, “ mettere nel sacco”. 12 Uomo forte e robusto. L’accrescitivo “compagnone” usato da Manzoni lo lascerebbe intendere. 13 Una bestemmia di quelle forti. 14 Abbreviazione di “signor/signore”. Cfr.: Michele De Noto, “’U NEYE ”, in: “LE PERSONE”. 15 Giudizio, discernimento. L’ho preferito a “giurízie” o a “giudízie” perché più incisivo e profondo nell’accezione. 16 Inchino. 17 ’Mbíse = cattivo, malvagio, feroce. 18 Espressione idiomatiche equivalenti sono: “tenére ’u cècere ’mmócche”, (tenere il cece in bocca, detto di chi sa tacere al momento giusto) e “ácque ’mmócche”, (acqua in bocca). Una interpretazione letterale, ma non meno efficace, rende più corposa, a mio avviso, l’enfasi delle parole che preludono alla minaccia vera e propria. 19 Se no, altrimenti. 20 Complimento, atto di cortesia, cosa civile. 21 Lett.: “allungare il brodo”, espressione idiomatica che sta per “prolungare un discorso quanto più è possibile”. 22 “ ’A víe”, è più moderno. La preferenza è andata alla parola anticata, in sintonia con la vetustà della parlata Manzoniana.

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“The Betrothed” by Alessandro Manzoni

..."Now then," said the bravo to him in his ear, yet in a tone of solemn command, "this marriage is not to take place, neither tomorrow, nor

ever."

Capitolo Primo

7 novembre 1628

… Quando si trovò (don Abbondio) a fronte dei due galantuomini (i bravi), disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. - Signor curato, - disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia. - Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo. - Lei ha intenzione, - proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella! - Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune. - Or bene, - gli disse il bravo,

all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai. - Ma, signori miei, - replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, - ma, signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca... - Orsù, - interruppe il bravo, - se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende. - Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...

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- Ma, - interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, - ma il matrimonio non si farà, o... - e qui una buona bestemmia, - o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... - un'altra bestemmia. - Zitto, zitto, - riprese il primo oratore: - il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente. Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: - se mi sapessero suggerire... - Oh! suggerire a lei che sa di latino! - interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo? - Il mio rispetto... - Si spieghi meglio! -... Disposto... disposto sempre all'ubbidienza -. E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio. - Benissimo, e buona notte, messere, - disse l'un d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. - Signori... - cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere.

I bravi attendono Don Abbondio

Ritratto di Manzoni all’età di venti anni

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SCHEMA LOGICO DEL ROMANZO " I PROMESSI SPOSI " 23

RENZO LUCIA

Matrimonio contrastato per scommessa da Don Rodrigo, signorotto locale

Minacce a Don Abbondio che vuol maritare la coppia popolana

Viene organizzato il rapimento di Lucia

Va a Lecco presso l'avvocato Azzeccagarbugli Si rivolge a Padre Cristoforo

Matrimonio impossibile. Niente da fare

Renzo giunge a Milano Trova protezione in convento presso la monaca di Monza

Viene coinvolto in tumulti per la scarsità del pane Viene rapita e condotta in un castello

Sfugge alla polizia e va dal cugino Bortolo al confine con la Repubblica di Venezia

Lavora al filatoio con lui a Bergamo Fa voto alla Madonna di non sposarsi se sarà libera

Al castello l'Innominato è commosso da Lucia

Egli, rapitore, è stanco delle violenze commesse

e si converte grazie al cardinale Federigo Borromeo

Lucia è liberata e trova ospitalità a Milano

Sarà ospite di Don Ferrante e Donna Prassede

Nel 1630 si assiste all'avanzata dei Lanzichenecchi

Passano per Milano per giungere a Mantova

E' in corso la Guerra dei 30 Anni tra Francia e Spagna

In Italia si battono per il controllo di Mantova e del Monferrato

La guerra e i Lanzichenecchi portano carestia e la peste

Ci sono vittime anche a Milano

Renzo si ammala ma recupera Anche Lucia si ammala, però ce la fa

23 Cfr.: “Speciale Promessi Sposi”, in: http://balbruno.altervista.org/index-207.html

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Si reca disperato al Lazzaretto in cerca di Lucia

La trova lì, dove si portano gli ammalati di peste

Lei è guarita dalla peste ed assiste una vedova a Milano

Al Lazzaretto finisce anche Don Rodrigo

Viene tradito da tutti e derubato da Griso il suo bravo

Anche Fra’ Cristoforo il confessore di Lucia muore di peste

Prima di morire scioglie il voto di Lucia perché fatto in condizione di pericolo

Violenti acquazzoni fanno terminare il contagio

Renzo e Lucia ritornano al paesello e Don Abbondio celebra le nozze

I due si recano a Bergamo ...

Renzo lavora nel filatoio acquistato con il cugino

Lucia si occupa dei figli aiutata dalla madre.

La cantina di villa Manzoni - Brusuglio

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22.05.2009

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