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Andrea Biancardi, Enrica Mariani e Manuela Pieretti (a cura di) INTERVENTO LOGOPEDICO NEI DSA LA DISCALCULIA Diagnosi e trattamento secondo le raccomandazioni della Consensus Conference Logopedia in età evolutiva Direzione Luigi Marotta in collaborazione con FLI – Federazione Logopedisti Italiani

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Andrea Biancardi, Enrica Mariani e Manuela Pieretti (a cura di)

INTERVENTO LOGOPEDICO NEI DSALA discALcuLiA

Diagnosi e trattamento secondo le raccomandazioni della Consensus Conference

Logopedia in età evolutivaDirezione Luigi Marottain collaborazione con FLI – Federazione Logopedisti Italiani

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I n d i c e

7 Presentazione della collana «Logopedia in età evolutiva» (Luigi Marotta e Tiziana Rossetto)

11 Introduzione (Andrea Biancardi, Enrica Mariani e Manuela Pieretti)

PRIMA PARTE Lo sviluppo delle competenze aritmetiche

17 Cap. 1 Sistemi di start-up neurocognitivo nell’apprendimento dei numeri e del calcolo (Manuela Piazza)

45 Cap. 2 Evoluzione dei modelli interpretativi dello sviluppo atipico delle abilità di calcolo (Luisa Girelli)

SECONDA PARTE Il bambino prescolare: traiettorie di sviluppo e potenziamento

65 Cap. 3 Sostenere la cognizione numerica e prevenire le difficoltà in età prescolare (Martina Brazzolotto e Daniela Lucangeli)

81 Cap. 4 Potenziare le competenze aritmetiche: un’esperienza con bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia (Cristina Caciolo)

95 Cap. 5 Dalla prevenzione alla riabilitazione in un servizio di neuropsichiatria infantile (Rosa De Maio, Oriana Cappellini, Greta Masciadri e Raffaela Valsecchi)

TERZA PARTE Le difficoltà di apprendimento di numeri e calcoli

115 Cap. 6 Livelli di comorbidità tra dislessia, disortografia e discalculia (M. Cristina Cutrone e Andrea Biancardi)

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137 Cap. 7 Lo sviluppo dell’abilità di calcolo. I sistemi e i processi sottostanti: dalla corrispondenza biunivoca al Sistema Attentivo Esecutivo (Francesco Benso, Eleonora Ardu e Alessandra Giacobbe)

169 Cap. 8 Cognizione numerica e strategie di calcolo alla scuola secondaria: risultati di una ricerca (Christina Bachmann e Lauro Mengheri)

193 Cap. 9 Riconoscere e diagnosticare la discalculia evolutiva(Andrea Biancardi, Christina Bachmann e Claudia Nicoletti)

213 Cap. 10 Difficoltà specifiche nei numeri e nel calcolo: la riabilitazione (Enrica Mariani e Manuela Pieretti)

223 Cap. 11 APPbilitazione del sistema dei numeri e del calcolo (Monja Tait)

QUARTA PARTE La discalculia a scuola

247 Cap. 12 Il bambino con discalculia nella scuola primaria: cinque cose da fare (Luciana Lenzi e Enrico Angelo Emili)

279 Cap. 13 Matematica e discalculia nella scuola secondaria di primo grado: indicazioni operative per la conquista dell’autonomia (Laura Crivelli e Maddalena Papini)

313 Cap. 14 Il ragazzo con discalculia nella scuola secondaria di secondo grado (Lucia Ferlino e Luigi Oliva)

QUINTA PARTE Oltre la discalculia

349 Cap. 15 Le difficoltà di risoluzione dei problemi matematici (M. Chiara Passolunghi e Elisa Cargnelutti)

367 Cap. 16 Abilità numeriche e di calcolo nella disabilità intellettiva (Luigi Marotta, Serena Rossi,Fortunata Salvaguardia e Cristina Caciolo)

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IntroduzioneAndrea Biancardi, Enrica Mariani e Manuela Pieretti

Lavorare a questo volume ha rappresentato per noi curatori, uno psicologo e due logopediste, una nuova occasione di dialogo e collaborazione che ci ha permesso di guardare al problema sotto punti di vista e prospettive interpre-tative differenti. Lo scambio di idee e il confronto, come sempre, ci hanno aiutato a crescere professionalmente e hanno rafforzato il convincimento che solo da un lavoro di équipe possa scaturire una proficua presa in carico delle situazioni problematiche. In questo libro, come in altri della stessa collana, sono stati preziosi i contributi dei professionisti clinici, come quelli del mon-do della scuola: integrazione indispensabile se davvero si vuole intervenire efficacemente nei disturbi dell’apprendimento.

Ciò premesso, vorremmo cogliere l’opportunità che questa breve introdu-zione ci offre per una riflessione su una questione che ci sta molto a cuore e che questo libro non affronta nel dettaglio: il ruolo dei logopedisti nella diagnosi di Discalculia Evolutiva. Il tema è a nostro avviso molto interessante, e non riguarda solo la Discalculia Evolutiva, ma più in generale il ruolo degli esperti di linguaggio, per l’appunto i logopedisti, nella valutazione dei bambini con sospetto Disturbo Specifico di Apprendimento. Come dicevamo è un tema a noi molto caro, ed è un argomento sul quale discutiamo nel nostro piccolo team di psicologi e logo-pedisti, a significare che diverse professioni possono affrontare insieme questioni che solo apparentemente coinvolgono una sola categoria professionale.

Sappiamo che per fare diagnosi di DSA e quindi anche di Discalculia Evolutiva il logopedista non è ritenuto, almeno formalmente, indispensabile,

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per quanto per la formulazione della diagnosi sia necessario considerare anche le abilità linguistiche. Nelle strutture o negli ambulatori privati psicologi e me-dici possono fare diagnosi da soli, se le normative regionali lo prevedono, e ciò accade in effetti in molte regioni italiane. Spesso è sufficiente somministrare al bambino una scala psicometrica multicomponenziale come la scala Wechsler, che attribuisce uno specifico punteggio verbale. Oppure eseguire prove di com-prensione linguistica (PPVT e TROG, ad esempio), le quali tolgono eventuali dubbi sulle abilità linguistiche, perlomeno recettive, di un bambino. E così i giochi sembrano fatti, il logopedista è al di fuori del percorso diagnostico! Da quello riabilitativo in parte lo sarebbe già, e i nostri sforzi editoriali attuali e passati (Biancardi, Mariani, Pieretti, 2003; 2011; Pieretti, Mariani, Biancardi, Vari, 2008) testimoniano che invece proprio i logopedisti li vorremmo dentro questo percorso, per la loro competenza non solo nei trattamenti riabilitativi ma anche per quanto riguarda la diagnosi.

Cosa può osservare il logopedista quando un bambino accede ai servizi per sospetto DSA? E se non si tratta più di un bambino piccolo, di prima, seconda o terza classe della scuola primaria ma di un ragazzo della scuola secondaria di primo o di secondo grado che per la prima volta accede a un servizio diagnostico? È ancora utile la valutazione delle abilità linguistiche? E cosa andrebbe osservato in questi casi? E anche una volta stabilito quello che ci interessa valutare, quali sono gli strumenti che il logopedista può mettere in campo?

Se valutiamo un aspetto come il repertorio lessicale in entrata e in uscita, o la comprensione morfosintattica, è molto probabile che le risposte che ot-terremo saranno quelle che già ci aspettiamo: buone abilità in comprensione, possibili difficoltà nel lessico in produzione se il DSA si incardina in un quadro di difficoltà linguistica espressiva, peraltro spesso già evidenziata in seconda infanzia. Ma ci sono altre cose da osservare: come si organizzano le abilità fonologiche in compiti di programmazione fonologica, di memoria di lavoro verbale-uditiva, in prove cioè che valutano l’organizzazione linguistico-fonolo-gica in bambini più grandi o a volte addirittura in ragazzi di scuola secondaria, casi che sempre più spesso accedono ai nostri servizi?

Abbiamo trovato alcune risposte interessanti in materiali di recente pub-blicazione, alcuni dei quali solo recentemente disponibili in lingua italiana. Ci riferiamo in particolare a prove di ripetizione di pseudoparole tarate per bam-bini più grandi, ad esempio la prova di Bilancia e Bertelli (VAUMeLF, 2006). I dati normativi di questa prova sono utilizzabili fino alla prima secondaria di primo grado, per quanto si osservino errori e difficoltà di ripetizione anche in ragazzi più grandi.

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IntroduzIone 13

Un altro strumento che ci sembra particolarmente utile è la scala Nepsy II (Urgesi et al., ed. it. 2011), ed è un vero peccato che questo tipo di test non sia, almeno in parte, accessibile alla figura professionale del logopedista, pur includendo una sezione sulle abilità linguistiche. In tal senso nella scala Nepsy II risultano essere particolarmente interessanti: la prova Comprensione di Istruzio-ni, che valuta in modo più complesso le abilità di comprensione morfosintattica con modalità simili al ben conosciuto Token Test; la prova Memoria narrativa, una prova di memoria di prosa piuttosto complessa, eseguita nella modalità di rievocazione spontanea e guidata. Per le abilità basiche di integrazione tra programmazione e memoria di lavoro citiamo inoltre le prove di ripetizione di pseudoparole (anche se noi preferiamo la già menzionata prova di Bilancia e Bertelli) e la prova di ripetizione di frasi. Nella batteria Nepsy II sono poi contenute altre prove da cui attingere (memoria di nomi, memoria di lista immediata e differita, interferenza di parole, ecc.). Il pregio di queste prove è che sono state standardizzate fino ai 16 anni di età e che si integrano bene con gli altri test.

Difficile pensare a una fattiva collaborazione e integrazione delle pro-fessionalità se non verrà incoraggiata una condivisione di pensieri, saperi e strumenti piuttosto che un approccio monoprofessionale.

Questo volume, e l’intera collana, a nostro avviso avviano il lavoro nella giusta direzione.

La prima sezione del libro è dedicata a un approfondimento dei modelli neurocognitivi di sviluppo delle competenze aritmetiche, premessa indi-spensabile per poter riconoscere, interpretare e infine trattare le difficoltà di apprendimento di numeri e calcolo.

Nella seconda sezione l’attenzione è centrata sull’età prescolare, quando tutti gli sforzi sono indirizzati al potenziamento della abilità, in un’ottica di prevenzione e intervento precoce ai primi segnali di difficoltà.

La Discalculia Evolutiva conclamata è invece l’oggetto della terza parte del volume, in cui sono discussi profili di funzionamento, strumenti diagnostici e spunti riabilitativi.

Nella quarta parte viene preso in considerazione il delicato problema della gestione della discalculia in ambito scolastico: ricercatori e insegnanti hanno collaborato alla stesura di tre capitoli dedicati ai tre ordini di scuola, primaria, secondaria di primo e di secondo grado, indicando possibili percorsi didattici, strategie operative e strumenti compensativi diversificati secondo le diverse fasce di età.

Il volume si chiude con una sezione che affronta alcuni aspetti non stret-tamente inerenti la Discalculia Evolutiva, ma non eludibili quando si parla

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di difficoltà in ambito aritmetico: la soluzione di problemi matematici e le difficoltà di calcolo aspecifiche.

Il dibattito sulla presa in carico della discalculia e delle difficoltà di ap-prendimento aritmetico è ben lontano dall’essere esaurito, ma siamo convinti che il contributo portato dagli Autori di questo volume, ricercatori, clinici e insegnanti, possa essere di stimolo e riflessione per tutte le persone che vi dedicano quotidianamente il proprio tempo e le proprie energie.

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Livelli di comorbidità tra dislessia, disortografia e discalculiaMaria Cristina Cutrone e Andrea Biancardi1

La letteratura sui Disturbi dell’Apprendimento (DSA) si caratterizza in maniera prevalente per lavori basati su un approccio orientato al singolo disturbo. Molte ricerche hanno mostrato notevole interesse nel comprendere e approfondire le difficoltà di apprendimento da un punto di vista percettivo, cognitivo, educativo e riabilitativo. Si tratta di indagini comportamentali, affiancate da studi che utilizzano tecniche di neuroimaging , finalizzate alla formulazione di un modello interpretativo. L’ambito maggiormente indagato è la difficoltà di lettura, ma sono presenti ricerche scientifiche, seppure meno estese, anche in tema di discalculia e disortografia. Al contrario, l’interesse nello studio dell’associazione tra più disturbi è risultato alquanto modesto, se messo a confronto con la ricchezza di tale letteratura. È tuttavia noto che dislessia, disortografia e discalculia tendono ad associarsi in modo significativo.

Negli ultimi anni è apparsa tuttavia più chiara la difficoltà nel costruire un modello di disturbo dell’apprendimento che non tenga adeguatamente conto delle comorbidità tra di essi (Nicolson e Fawcett, 2007; Pennington, 2006). Gli autori hanno criticato l’ottica tradizionale di differenziare tra sintomi

1 Maria Cristina Cutrone è psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Neuropsicologia dello sviluppo, lavora come psicologa presso il Centro per l’Apprendimento «Tassinari» e psicologa borsista presso l’Azienda Sanitaria di Bologna. Andrea Biancardi è psicologo e psicoterapeuta, lavora come specialista ambulatoriale presso il Centro Regionale per le Disabilità Cognitive e Linguistiche in Età Evolutiva della ASL di Bologna. Coordina il Centro per l’Apprendimento «Tassinari» ed è professore a contratto presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna.

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centrali di ogni disturbo e sintomi secondari (condivisibili con altri disturbi). Hanno manifestato quindi la necessità di considerare nella costruzione di un modello interpretativo la sovrapposizione tra disturbi, anziché lo studio indipendente di essi. Nel tempo è risultato sempre più evidente l’esistenza di una co-occorrenza tra i diversi disturbi dell’apprendimento e la loro elevata associazione con una serie di altri disturbi evolutivi. Il tema della comorbidità nei e tra i disturbi specifici di apprendimento in ogni caso indirizza il dibattito nazionale e internazionale sia sul fronte delle questioni cliniche, in termini di inquadramento diagnostico e di stime epidemiologiche, sia sul fronte pretta-mente teorico (Rice e Brooks, 2004; Rispens e Van Yperen, 1997).

L’interesse nell’indagine dei disturbi specifici dell’apprendimento così come avviene nei paesi anglosassoni, sta mostrando, negli ultimi anni, segni di incremento anche nel nostro paese. La proposta di validi contributi scientifici e l’istituzione della Consensus Conference (2007; 2010) volta a definire uno spazio comune di condivisione per quanto concerne la definizione, la diagnosi e la riabilitazione dei disturbi specifici di apprendimento, ne rappresentano un esempio.

Tuttavia, la prospettiva di ricerca italiana ha per di più seguito un ap-proccio basato su un’analisi separata dei disturbi specifici di apprendimento, con attenzione soprattutto alla dislessia e in misura minore alla disortografia e alla discalculia.

La Consensus Conference (2007) riconosce, da un punto di vista de-scrittivo, la consistente co-occorrenza tra i DSA e gli altri disturbi evolutivi. I DSA presentano un profilo tipicamente eterogeneo, la costante associazione tra loro e altri disturbi risulta ormai la regola.

Il presente studio persegue il tentativo, attraverso l’attività svolta da diversi servizi coinvolti nella ricerca, specializzati nella valutazione dei disturbi dell’ap-prendimento, di offrire un contributo al tema della comorbidità osservabile nei bambini italiani, per comprendere al meglio la rilevanza e la complessità di un problema che presenta importanti ricadute cliniche, che suggerisce una maggiore attenzione all’inquadramento diagnostico, con conseguenti impli-cazioni sul piano riabilitativo.

Esso si propone di quantificare all’interno di un gruppo di bambini con diagnosi di DSA la percentuale di disturbo discalculico associato.

È stato stimato che circa il 6% della popolazione scolastica sia affetto da qualche forma di difficoltà in matematica (Kosc, 1974; Badian, 1983; Gross-Tsur, Manor e Shalev, 1996; Hein et al., 2000; Ramaa e Gowramma, 2002; Koumoula et al., 2004) e che circa il 70% di essi sia costituito da maschi (Ba-dian, 1983; Barbaresi et al., 2005).

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lIvellI dI comorbIdItà trA dISleSSIA, dISortogrAfIA e dIScAlculIA 117

Tuttavia, seppure la discalculia si manifesti con alcune caratteristiche co-muni, come le difficoltà di apprendimento in matematica e nella rievocazione di fatti aritmetici e nelle procedure di calcolo (Geary, 1993), è ancora oggi difficile individuarne gli aspetti chiave e costruire degli strumenti di misura adeguati.

In una recente review Geary (2010) conferma la sua tesi originale. Esiste un deficit nel recupero dei fatti aritmetici, ma le origini di tale deficit appaiono risultare più complesse e sfumate di quanto inizialmente sospettato.

Ci sono evidenze circa il contributo visuo-spaziale in alcuni aspetti dell’ap-prendimento matematico, ma l’identificazione di un core visuo-spaziale all’origi-ne della discalculia o delle difficoltà nell’apprendimento matematico sono state elusive. Il contributo della working memory nello sviluppo e nell’espressione di questi deficit non rappresenta ad oggi la causa assoluta. Geary riconosce inoltre le evidenze circa la presenza di un deficit nel number sense.

Nella pratica clinica è molto raro trovare casi di discalculia evolutiva puri, cioè che non presentino altri segni di disturbi specifici di apprendimento. Si tratta di un’evidenza che non si spiegherebbe bene con alcuni tra i modelli neuropsicologici più utilizzati, ad esempio quelli modulari.

Molti autori supportano l’ipotesi di un unico fattore sottostante (single factor explanation) ai disturbi di lettura e di calcolo; per alcuni è identificabile nella memoria di lavoro (Hitch e Mc Aculey, 1991; Geary, 1993), altri nella rapidità di elaborazione delle informazioni (Kail, 1992), altri nella capacità di automatizzazione (Fawcett e Nicolson, 1994). Secondo Geary alcune forme di difficoltà matematiche e di lettura possono essere identificate dallo stesso deficit di base, cioè la difficoltà nella rappresentazione e nel recupero di infor-mazioni dalla memoria semantica, e che tale deficit sia genetico ed ereditabile (Geary, 1993; 1994).

Comorbidità tra dislessia, disortografia e discalculia

La dislessia evolutiva, così come la discalculia, si associa con frequenza ad altri disturbi neuroevolutivi. Tale circostanza è stata oggetto di numerosi studi indirizzati a chiarire, anche da un punto di vista neurobiologico ed eziopato-genetico, la natura di questa comorbidità. In uno studio su larga scala, Badian (1983) ha rilevato che il 6,4% dei bambini di scuola primaria e secondaria di primo grado manifesta qualche forma di disabilità matematica e il 4,9% mani-festa qualche forma di disabilità di lettura. Il 56% dei bambini con difficoltà in lettura presenta anche scarso rendimento in matematica e il 43% dei bambini con difficoltà in matematica manifesta scarso rendimento in lettura.

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Lewis, Hitch e Walzer (1994) riportano una stima di circa il 40% in un campione statunitense di 9 e 10 anni. In Grecia, Koumoula e colleghi (2004), nel loro campione di alunni dalla terza alla quinta classe della scuola primaria, hanno riscontrato una percentuale del 12% di discalculici con associata dislessia. In Israele, in un campione di alunni del quinto anno di una scuola primaria, Shalev, Manor e Gross-Tsur (1997) hanno rilevato un’incidenza del 25% di dislessia e discalculia in associazione.

In Italia sono pochi i dati epidemiologici sulla comorbidità e quindi dobbiamo spesso rifarci a dati provenienti da altri Paesi.

In un lavoro di Tressoldi, Rosati e Lucangeli (2007) sono state confrontate le prestazioni di casi singoli per definire lo stato di disabilità in lettura e calcolo. I risultati indicano che deficit nel calcolo mentale e scritto, nel recupero dei fatti aritmetici, nei confronti e allineamenti numerici non sono associati con una condizione di dislessia. In uno studio di Gagliano, Germanò, Calabrese, Magazù, Grosso, Siracusano e Cedro (2007), condotto analizzando le cartelle cliniche di una popolazione di 301 soggetti con dislessia evolutiva (94 femmine e 207 ma-schi) di età compresa fra i 6 e i 17 anni, è stata valutata la percentuale di frequenza di comorbidità fra dislessia evolutiva e i più frequenti disturbi dell’età evolutiva. In questo lavoro è confermato il dato di un’alta comorbidità tra la dislessia e gli altri disturbi specifici dell’apprendimento: la dislessia è associata nel 70% dei casi alla discalculia, mentre nel 98% dei casi a disortografia, nell’83% dei casi a disgrafia, nel 16% dei casi a disturbi specifici del linguaggio, nel 12% al disturbo visuo-spaziale, nell’11% dei casi al disturbo da deficit dell’attenzione e nel 10% dei casi a disturbi di coordinazione motoria. Come si può notare, la frequenza di comorbidità fra dislessia evolutiva e discalculia è elevata. Stella, Franceschini e Savelli (2009) forniscono un ulteriore contributo alla ricerca sulla comorbidità nella dislessia evolutiva, su un campione di 92 pazienti per i quali è stato possibile effettuare un’analisi estensiva dei protocolli valutativi. Dai dati emerge come la discalculia sia presente in 41 soggetti su 92 (45%), la disortografia resta il disturbo specifico dello sviluppo con la comorbidità più elevata pari al 65%, la disgrafia è presente nel 43% dei casi. I dati di comorbidità emersi dal presente studio sono stati confrontati con i risultati pubblicati da Gagliano e collaboratori (2007) e i dati di prevalenza relativa risultano largamente sovrapponibili.

Alcuni studi dimostrano che circa dal 20% al 60% dei bambini con discalculia hanno associati disturbi quali la dislessia (Dyrks, Spyer, Van Lie-shout e de Sonneville, 2008; Mayes e Calhoun, 2006) o il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) (Capano, Minden, Chen, Schachar e Ickowicz, 2008; von Aster e Shalev, 2007). Una ricerca tedesca effettuata su 378 bambini ha rilevato che sebbene la presenza di dislessia sia circa del 6%,

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solo l’1,8% aveva una diagnosi di discalculia pura, mentre il 4,2% presentava discalculia in comorbidità con una diagnosi di dislessia (von Aster, Schweiter e Weinhold Zulauf, 2007).

Rourke (1993) ha indagato il profilo di bambini con difficoltà specifiche in matematica confrontandoli con bambini che presentavano difficoltà sia in lettura che in matematica. Nel primo gruppo ha riscontrato una prevalenza di problemi relativi all’ambito spaziale e alle abilità psicomotorie, nel secondo il manifestarsi di difficoltà verbali. Tali risultati indicano come la comorbidità tra difficoltà di decodifica e in aritmetica dipendano da disfunzioni a carico dell’emisfero sinistro, mentre le difficoltà specifiche in matematica siano legate a disfunzioni dell’emisfero destro. In contraddizione con quanto emerso dalle ricerche di Rourke, si pone la prospettiva teorica di Shalev, Manor e Gross-Tsur (1997). Gli autori non hanno riscontrato differenze qualitative nel profilo neuropsicologico dei soggetti con discalculia pura e discalculia associata a dislessia. La condizione associata di dislessia e discalculia determinerebbe, come unica differenza, un quadro clinico più grave rispetto alla manifestazione isolata del disturbo.

Nella rassegna di Morrison e Siegel (1991) si esaminano i profili clinici di soggetti con diversi sottotipi di disabilità aritmetiche: quelli con associata difficoltà di lettura, quelli con associata difficoltà ortografica e quelli con di-sturbo isolato. Nei primi due gruppi gli autori hanno rilevato spesso deficit in compiti di memoria verbale a breve termine e di lavoro; in quelli con disturbo specifico, sono più frequenti le difficoltà in compiti visuo-percettivi e visuo-spaziali. Nella rassegna sulla disabilità in matematica, Geary (1993) individua tre sottotipi del disturbo discalculico: il primo, con prevalente deficit nella memoria verbale, spesso associato a difficoltà di lettura, il secondo e il terzo con deficit specifici rispettivamente prevalenti nelle procedure di calcolo e nelle abilità visuo-spaziali, confermando sostanzialmente i dati di Morrison e Siegel (1991).

Rubinstein (2009), sulla base degli studi di Rutter e Sroufe (2000) e Morton e Frith (1995), individua tre fattori da tenere in considerazione per lo studio della comorbidità fra i diversi disturbi neuroevolutivi: il fattore comportamentale, inclusi la precisa definizione diagnostica del disturbo e gli strumenti utilizzati in fase di assessment, il fattore cognitivo e quello biologico. Rubinstein (2009) ritiene importante ai fini degli studi di comorbidità che i ricercatori considerino a livello comportamentale e cognitivo l’esistenza di fenotipi multipli: infatti limitare la ricerca a un solo fenotipo rischia di non tenere in considerazione la complessità degli individui con sviluppo atipico (Ginger e Kaplan, 2001).

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Difficoltà specifiche nei numeri e nel calcoloLa riabilitazione

Enrica Mariani e Manuela Pieretti1

Lo scopo della ricerca, come si è visto dagli ampi contributi nei capitoli precedenti, è arrivare a sviluppare in modo pieno e soddisfacente un inqua-dramento neurocognitivo del disturbo che consenta precocemente l’identi-ficazione e la realizzazione di prassi abilitative e riabilitative efficaci. Molti autori ritengono che il progressivo chiarimento sulle aree cerebrali coinvolte nella discalculia potrebbe aiutare a definire i training più indicati per attivare un processo di riorganizzazione funzionale, puntando sulla plasticità cerebrale. Infatti, funzioni e strutture cerebrali non sono soltanto il risultato di una codi-fica genetica, ma anche dell’ambiente, e infine dell’interazione tra i due. Dal punto di vista riabilitativo, questo significa riconoscere la possibilità di creare percorsi d’intervento mirati e specifici, indirizzati al cuore del problema. Ad oggi una tale prospettiva è purtroppo ancora molto limitata e circoscritta ad alcune iniziative sperimentali ma promettenti, che descriveremo in seguito. Ancora troppo complesso, sia dal punto di vista diagnostico che da quello ria-bilitativo, definire strumenti in grado di cogliere e di sollecitare le competenze attualmente riconosciute alla base della cognizione numerica, lo sforzo del ria-

1 Enrica Mariani è logopedista e pedagogista, lavora presso la ASL Roma C. All’attività clinica affianca quella di formazione e ricerca. È docente presso il corso di laurea in Logopedia delle Università di Roma «La Sapienza» e «Tor Vergata» e presso il Master di Specializzazione sui disturbi dello svi-luppo. Manuela Pieretti è logopedista e pedagogista, svolge attività clinica, di ricerca e di formazione. Docente presso i corsi di laurea delle Università di Roma «La Sapienza» e «Tor Vergata» e presso il Master di specializzazione in disturbi della comunicazione.

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bilitatore, come vedremo più avanti, si concentra prevalentemente nel trattare il disturbo conclamato, specie nella sua componente procedurale ed esecutiva, pur senza tralasciare l’allenamento delle capacità aritmetiche pre-simboliche e pre-linguistiche. A rendere complesso il percorso riabilitativo concorrono più fattori, oltre all’usuale considerazione sulla specificità di ogni singolo bambino. Uno di questi è la presenza simultanea di altri disturbi, come la dislessia, la disprassia o il deficit di attenzione con iperattività, frequentemente associati al disturbo. Forse, però, l’aspetto più rilevante è la possibile definizione di diversi sottotipi di discalculia, che potrebbe orientare verso tipologie diverse sia di test diagnostici sia di proposte riabilitative. Anche nell’ambito aritmetico, la ricerca di evidenze cliniche sull’efficacia dei trattamenti è ancora agli inizi: tuttora non sappiamo se siano maggiormente efficaci training basati sulla memoria verbale, o sulla componente visuospaziale o su quella attentiva, ciò nonostante è chiara a tutti la necessità di intervenire quanto più precocemente possibile per contenere i disagi conseguenti al disturbo. Soffrire di discalculia rende arduo il percorso scolastico da bambini e limita le prospettive di carriera da adulti (Rivera-Batiz, 1992), oltre che interferire con le attività della vita quotidiana.

Dalla diagnosi al piano di intervento

L’esperienza clinica documenta un’ampia gamma di profili nelle abilità numeriche e di calcolo, fatto che suggerisce l’esistenza di diversi sottotipi di discalculia (Kaufmann e Nuerk, 2005; Wilson e Dehaene, 2007; Landerl et al., 2009), secondo le altre fragilità neuropsicologiche evidenziate. Come è stato ribadito, il percorso riabilitativo è largamente indirizzato dalle caratte-ristiche assunte dal profilo e appropriatamente descritte dagli strumenti di valutazione. In ambito clinico sappiamo molto bene quanto sia importante utilizzare, a tale scopo, prove di tipo neuropsicologico e non curriculare: mentre queste ultime si limitano per lo più a registrare il raggiungimento o meno di un obiettivo didattico atteso per il livello di scolarità, i test neu-ropsicologici, come quelli descritti nel precedente capitolo, si propongono di evidenziare quali processi di apprendimento siano compromessi. Ciò che conta non è soltanto segnalare la correttezza della risposta, ma anche rilevare la velocità di elaborazione e le strategie usate. Per costruire un piano d’intervento è dunque fondamentale non solo un insieme di dati quantitativi, ma anche d’informazioni qualitative.

Una volta generato il profilo neuropsicologico, questo dovrà essere riletto in base all’età e alla classe frequentata, interpretato alla luce di altre competenze

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non aritmetiche, come la memoria verbale, le abilità visuo-spaziali, o l’atten-zione per farne discendere un intervento su misura per il singolo bambino. A parità di profilo, infatti, potrebbe non essere appropriato lo stesso tipo di obiettivo riabilitativo: per tutti, vale l’esempio dell’apprendimento dei fatti aritmetici. Pur trattandosi di una caduta comune a molti discalculici, indipen-dentemente dall’età, può aver senso verificarne l’apprendibilità soltanto fino alla classe quarta primaria, smettendo di costituire un obiettivo riabilitativo per i ragazzi più grandi.

Nonostante l’eterogeneità dei quadri clinici, alcuni tratti sono notoria-mente comuni e caratteristici: la difficoltà nell’acquisizione e nel richiamo d’informazioni numeriche di base, compresa la mappatura sintattica del numero; la difficoltà nell’applicazione di procedure aritmetiche, nell’uso di strategie appropriate; la difficoltà a generalizzare gli apprendimenti e a trasferire spontaneamente i contenuti appresi da un contesto a un altro.

Tipo d’intervento e modalità operative sono tuttora disomogenei e gli esigui risultati raccolti finora appaiono talvolta contrastanti, sicuramente non univoci (Kaufmann e Von Aster, 2012).

Una meta-analisi di Kroesbergen e van Luit (2003) di studi sul trat-tamento in bambini della scuola primaria testimonia che la maggior parte degli interventi riguarda le competenze aritmetiche di base e che l’efficacia non sembra coincidere con la durata del trattamento. Inoltre, sembra che i risultati migliori si ottengano negli apprendimenti di base piuttosto che sui loro precursori, come ad esempio il concetto di quantità, o sulle strategie di problem-solving, e che, invece, puntare sulla comprensione delle strategie da utilizzare incrementi le abilità di calcolo in misura maggiore della semplice trasmissione d’istruzioni.

Gli approcci più efficaci sembrano richiedere, secondo gli autori, l’as-siduità nell’allenamento, la scomposizione del compito in sotto-obiettivi, l’interazione in piccoli gruppi di lavoro, l’uso di opportuni indizi per la scelta delle diverse strategie operative. Infine, è confermata l’importanza che il trat-tamento sia condotto da un operatore esperto, che dovrà anche incoraggiare la capacità di ricorrere a tecniche di autoistruzione.

Un lavoro ancor più recente (Ise et al., 2012), interessante anche per riguardare una popolazione a ortografia trasparente (ammesso che anche in ambito aritmetico questo sia un dato significativo) ha preso in considerazione 8 studi su bambini di lingua tedesca. Questa meta-analisi sembra contraddire la precedente, almeno per quanto riguarda il rapporto tra durata dell’intervento e sua efficacia, che sarebbe tanto maggiore quanto più a lungo e più assiduamente è stato condotto il trattamento.

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La riabilitazione della discalculia

I recenti aggiornamenti delle raccomandazioni per la pratica clinica (2010, 2011) proposti dall’Istituto Superiore di Sanità e dal P.A.R.C.C. (Panel Aggior-namento e Revisione Consensus Conference DSA/2007), spiegano con chia-rezza l’iter da seguire nella diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento e offrono un panorama accurato degli studi di efficacia dei trattamenti anche per la discalculia. «Sulla base di prove scientifiche sufficienti a supportarne l’efficacia nel breve termine, si raccomanda di trattare i soggetti con discalculia con training specialistici mirati al recupero delle difficoltà di calcolo e della conoscenza numerica» (Raccomandazione C.6), in particolare attraverso in-terventi erogati individualmente: assidui e con cadenza ciclica se focalizzati al raggiungimento della correttezza e della velocità di esecuzione; meno intensivi e più protratti se finalizzati all’acquisizione di strategie metacognitive.

Tra i vari profili di discalculia, come accennato nella parte introduttiva, prenderemo in considerazione solo quelli che coinvolgono prevalentemente un deficit nelle strategie di calcolo a mente, nelle procedure esecutive (come lettura e scrittura di numeri) e quelli in cui le maggiori difficoltà investono il calcolo, relativamente sia al recupero dei fatti aritmetici che agli algoritmi di calcolo scritto. Senza entrare nel dettaglio delle singole attività, cercheremo di dare un panorama di possibili modelli d’intervento (Biancardi et al., 2010).

Intervento globale sulle difficoltà di processamento numerico e di calcolo

È l’approccio indirizzato ai bambini discalculici dalla fine terza alla quarta e quinta classe primaria, che, solitamente, manifestano una debolezza diffusa in più aree tale da richiedere un trattamento ad ampio spettro, con l’obiettivo generale di favorire l’efficienza in tutte le abilità aritmetiche di base. Gli obiettivi specifici sono ottenere un buon controllo dei processi di transcodifica numerica e una sufficiente abilità nel calcolo a mente e scritto, stabilizzando le procedure, spesso solo parzialmente acquisite. Per quanto riguarda i fatti aritmetici, questo tipo d’intervento assume la necessità di verificare a quale livello di efficienza possano giungere le abilità di calcolo mentale dei bambini, desistendo da ogni ulteriore allenamento se appare evidente che non siano apprendibili in modo duraturo. È compito del riabi-litatore decidere quando è il caso di favorirli e quando invece occorre passare alle altre strategie di calcolo o agli strumenti compensativi, per non accanirsi su una abilità non apprendibile.

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Le attività di conseguenza consistono in esercizi di conteggio seriale, crescente e decrescente, anche con numerazioni diverse da 1, per consolidare l’efficienza rispetto alla linea dei numeri; compiti di lettura e scrittura di nu-meri, utilizzando apposite griglie, diversi sistemi di allineamento dei numeri, i marcatori sintattici; esercizi di conteggio per decine e scomposizione dei numeri per favorire, in un secondo momento, l’acquisizione di strategie di semplificazione del calcolo a mente; uso di matrici per stabilizzare gli algoritmi di risoluzione nel calcolo scritto, senza dimenticare la necessità di incoraggiare la costruzione di un atteggiamento di attesa sul risultato.

Il training di solito prevede uno o più cicli di trattamento della durata di tre mesi, con due o tre sedute settimanali, alternando talvolta attività di piccolo gruppo (non più di tre bambini) a momenti individuali.

Intervento settoriale sulle abilità di transcodifica

Il presupposto di quest’approccio è che, se il calcolo può essere in qualche modo vicariato da una calcolatrice o da una tabella, l’errore di lettura e/o scrit-tura del numero può di fatto vanificarne l’uso. In alcuni profili clinici sebbene sia stata raggiunta una certa autonomia nel calcolo mentale e scritto, l’accuratezza e la rapidità nella transcodifica numerica rimangono così compromesse da richiedere un intervento mirato e intensivo. Di solito si tratta di studenti delle scuole secondarie di primo, ma anche di secondo grado. L’intervento poggia soprattutto su esercizi di transcodifica numerica, ma attinge anche ad alcune attività relative alla linea dei numeri e alla codifica semantica. Il protocollo, che si è mostrato efficace, prevede un ciclo di dodici sedute bi o trisettimanali, precedute e seguite da un test di verifica delle competenze possedute.

Le attività consistono in esercizi di riconoscimento di numeri su matrici di crescente complessità (per quantità di elementi, per intervallo numerico e per tipologia: con e senza lo zero; con e senza il marcatore sintattico; ecc.); esercizi di scrittura di numeri «assistita» ed esercizi di dettato, a partire da quello di cifre; ripetizione di numeri; lettura di numeri di diversa complessità e lunghezza ed esercizi di ordinamento di numeri che impongono la lettura; esercizi di transco-difica dal codice alfabetico scritto al codice arabico, con e senza individuazione e lessicalizzazione del miscellaneo. Infine, per consolidare l’efficienza rispetto alla linea dei numeri, sono proposti anche esercizi di conteggio in avanti e all’indietro per 1, 5 e 10 partendo da numeri superiori al cento. Il conteggio risulta quasi sempre un’attività difficile per i dicalculici, e proprio per questo deve essere sempre oggetto di attenzione per l’importanza che esso riveste non solo per le attività relative al sistema dei numeri ma anche per il calcolo mentale e scritto.

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Il training sulla transcodifica è inevitabilmente piuttosto noioso, e richiede la piena disponibilità del ragazzo coinvolto, col quale si concordano tempi e obiettivi che diventano, in questo modo, più facilmente riconoscibili, verificabili e, in definitiva, perseguibili.

Training su componenti specifiche e sugli strumenti compensativi

In questo caso si tratta di intervenire su componenti settoriali delle abilità numeriche e di calcolo o di favorire la conoscenza e l’uso di strumenti compensativi, avvalendosi di tempi e modalità di intervento più brevi, a volte addirittura inserite all’interno di un altro training già avviato, ad esempio sulla lettura e la scrittura. In questo modo, si può insegnare, a seconda delle esigenze, a utilizzare adeguatamente la calcolatrice e la tavola pitagorica, o a monitorare il calcolo scritto, o ad apprendere le strategie per semplificare il calcolo mentale. I destinatari di questo approccio sono bambini e ragazzi più grandi con l’obiettivo di aiutarli a superare le difficoltà aritmetiche connesse alla vita sociale e all’esperienza quotidiana, minimizzando il disagio nelle atti-vità scolastiche. Le modalità e gli obiettivi specifici dipendono dal problema presentato e prevedono tempi solitamente brevi, da poche sedute a pochi mesi di trattamento.

Un ultimo approccio è dedicato ai bambini con difficoltà di appren-dimento della lettura e della scrittura, i migliori candidati alla discalculia evolutiva anche quando non sembrano avere incertezze nei prerequisiti del calcolo o nelle attività di ragionamento numerico e aritmetico. Nei primi anni di scolarizzazione non è ancora presente, nelle attività proposte, quello che è difficile per loro: il sovraccarico della memoria di lavoro (che serve per leggere e scrivere i numeri e per contare all’indietro), il recupero di etichette lessicali (che serve per leggere e scrivere i numeri, per contare all’indietro e per le tabelline), la possibilità di automatizzare procedure (che serve nel calcolo scritto e nel conteggio). Un intervento precoce, con attività integrate con quelle già avviate per la lettura e la scrittura, ha l’obiettivo di preparare il bambino ai nuovi compiti, cercando di favorire il miglioramento delle sue competenze.

Si tratta, quindi, di irrobustire le competenze sulla linea dei numeri, conso-lidare la codifica semantica, allenare la lettura e la scrittura dei numeri primitivi e mostrare le regole di costruzione degli altri numeri, allenare il calcolo a mente.

Com’è noto, non tutti i dislessici saranno necessariamente anche discal-culici, ma a nostro avviso si tratta comunque di un intervento che è opportuno proporre.