Interventi nella giornata inaugurale di Humanitas

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“Europa Cadmi soror” Ovidi, Epistulae ex Ponto, 4, 11, 55 Sopra. Cadmo uccide il drago nel luogo dove fonderà Tebe. Interventi nella giornata inaugurale di Humanitas 55 mo Incontro Culturale Mitteleuropeo giovedì 12 novembre 2020

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“Europa Cadmi soror” Ovidi, Epistulae ex Ponto, 4, 11, 55

Sopra. Cadmo uccide il drago nel luogo dove fonderà Tebe.

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55mo Incontro Culturale Mitteleuropeo giovedì 12 novembre 2020

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Giuliana Parotto Direttore scientifico di Kadmos

KADMOS E LA MITTELEUROPA

1) Il progetto di dare vita a una rivista è un segnale forte di ICM per conferire nuova linfa a un antico disegno nello spirito che ha sempre contraddistinto le iniziative e la stessa ragion d’essere dell’Istituto. Per molti dei “collegati” non sarà certo necessario presentare l’attività dell’Istituto che opera dal 1966 e ricordare i numerosi convegni che sono stati organizzati a partire dal primo, sulla Poesia, fino a quello, il 55mo, che ha luogo in questi giorni. Nemmeno sarà necessario ricordare come Gorizia sia un luogo simbolico, non solo per le sue ricchezze artistiche, paesaggistiche, culturali e enogastronomiche, ma anche perché è segnata dal passato della Prima Guerra e dall’esito della Seconda: una linea di confine tracciata in una notte, con la quale la città è stata divisa e trapassata nel mezzo: da un lato la Gorizia inserita nel contesto dell’Occidente e dall’altra la Nova Goriza, estrema propaggine dell’Oriente. Gorizia viene posta su una faglia che non è geografica ma anzitutto culturale e simbolica: l’Occidente luogo della trionfante società liberale e democratica, tollerante e aperta, individualista e brillante; l’Oriente luogo dell’oppressione e del dispotismo, del comunismo e della repressione, del grigiore e del controllo. Gorizia è, invece molto altro. Un territorio, la contea di Gorizia, Grafschaft Görz, Goriška grofja, Contee di Gurize), con un cuore per secoli mai attraversato da confini, in cui sloveno, friulano, tedesco e italiano non erano nazioni ma lingue, che si intrecciavano e si affiancavano nel gioco dell’interazione quotidiana e della cooperazione in una comune appartenenza. Da questo intreccio nasce la profonda affinità e risonanza della realtà originaria di Gorizia con la Mitteleuropa, che è anche un simbolo: quello dell’incontro e della convivenza, della differenza che non è contrapposizione ma è la base

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(e il bello) della comunicazione, del conflitto ma anche dell’attrazione. Perché non parliamo di Europa ma di Mitteleuropa?

2) Kadmos è il nome dell’Informatore Mitteleuropeo che ICM nel marzo del 1990 ha presentato al pubblico. Perché Kadmos? Così si legge nel numero 0: „il nome che si legge nella testata trae significato da un mito, e dalla profonda verità che ogni immagine mitica nasconde. Antichi poeti e storiografi greci hanno narrato la storia di Cadmo, fratello di Europa, il quale cerca la sorella rapita da Zeus e la ritrova sotto mutate sembianze dopo avere risalito il corso del Danubio, fino al centro dell’Illiria. La riprende con sé, le restituisce la sua natura originaria, e dopo l’ardua impresa sposa la dea Armonia, quasi a suggelare la felicità raggiunta. Alcuni scrittori latini rielaborano il mito di Cadmo e di Europa: fra essi, in forma definitica, Ovidoi, il poeta romano che fu costretto all’esilio e scese il Danubio in senso inverso al viaggio di Cadmo, fino a Tomi sul Ponto, oggi Costanta sul Mar Nero, in Romania. La filologia dà al mito un ulteriore significato, svelandoci che la radice di “Cadmo” è dal fenicio qudem, ossia “oriente”. La storia, splendente nella sfera dell’immaginario, accoglie i termini di ciò che la Mitteleuropa oggi vuole essere. L’Oriente che cerca l’Occidente, l’occidente che cerca l’Oriente, un’Europa ritrovata in armonia. “ Kadmos non è Europa ma salva Europa. La Mitteleuropa, raccolta nell’immagine del viaggio di Cadmo, è il luogo dell’incontro tra Oriente e Occidente. Un’idea che si capisce bene tenendo presente quanto Milan Kundera ha scritto per la New York Review of Book nel 1984. Secondo la sua opinione, la Mitteleuropa è formata da quelle nazioni che si sono sempre ritenute occidentali ma che nel 1945, dopo lo spostamento del confine russo di varie centinaia di chilometri verso ovest, hanno scoperto che improvvisamente dovevano ritenersi orientali. Mitteleuropa sarebbe così il confine orientale dell’Occidente.

3) Il senso della “salvezza dell’Europa”, che Kadmos/Mitteleuropa opera, è molto diverso ieri da oggi. Negli anni 90 si sentiva ancora l’eco delle

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pietre del muro di Berlino che cadevano e le immagini delle folle che si incontravano e si abbracciavano erano ben presenti negli occhi di tutti. La definitiva vittoria dell’Occidente, della democrazia liberale e del capitalismo non aveva, tuttavia, accecato gli sguardi degli uomini e degli intellettuali animatori di ICM. Il trionfo del capitalismo e lo sviluppo economico che investiva anche i territori una volta oltre-cortina, il libero scambio delle merci, la compenetrazione economica sono state viste come conquiste importanti ma anche fragili: insufficienti per costruire l’Europa se non accompagnate da una compenetrazione culturale profonda, possibile soltanto promuovendo forme di dialogo e confronto, costruendo ponti, intensificando le reciproche relazioni. Gli eventi felici della trasformazione e della caduta dei muri, insieme con la consapevolezza della necessità del dialogo tra le culture della Mitteleuropa segnano la nascita, nel marzo del 1990, dell’Informatore Mitteleuropeo con cui ICM si propone appunto di rendere feconda questa nuova libertà dotandosi di uno strumento per superare l’incomunicabilità tra culture diverse. Una scelta che, nell’ottimismo della definitiva vittoria della libertà, della democrazia e del capitalismo, testimonia della sensibilità e dell’attenzione che scaturiscono dall’aver vissuto tensioni culturali, politiche, nazionali in modo più intenso e drammatico, in altri termini, in prima persona. L’Informatore, con la direzione scientifica di Quirino Principe, è pensato come pubblicazione pluri –linguistica, destinata ad apparire in ungherese, in ceco, in tedesco, in sloveno e in italiano. Una scelta, questa, che rispecchia l’intento di valorizzare non solo le singole lingue della Mitteleuropa ma, con e dietro queste, le esperienze culturali specifiche di ogni popolo, nell’ottica del dialogo che solo permette la ricerca delle affinità, l’esplorazione di ciò che accomuna ma anche distingue. Il dialogo che sostanzia la Mitteleuropa.

4) Già alla fine degli anni Novanta la situazione è mutata. Le speranze suscitate dalla caduta del Muro sono state notevolmente se non tradite, perlomeno ridimensionate. Nella seconda edizione di

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Kadmos. Studi mitteleuropei, uscito nel 2001, si ricorda quanto “fragile possa apparire il disegno di un’Europa concepita ancora prevalentemente sotto il profilo economico e amministrativo. I tragici eventi che hanno ridisegnato la mappa dei Balcani rappresentano la spina più dolorosa. Essi dimostrano che l’economia e la politica nel modo in cui vengono oggi troppo spesso intese, sono rimedi deboli e provvisori: possono lenire le ferite, non curare il male. Il problema ha un’altra radice, affonda nella logica dei confini, nel contrasto etnico, negli schieramenti ideologici e religiosi, in quel fitto intreccio di contraddizioni che, a partire dall’Ottocento, ha segnato lo sviluppo e le distorsioni dell’idea di Nazione.“ (Presentazione al n. 1 di Cadmos). La rivista è qualcosa di diverso dall’Informatore: raccoglie interventi di alto livello scientifico, addentrandosi in temi complessi, che investono la cultura mitteleuropea. Ricordo il saggio illuminante di Egon Schwarz Che cosa non è la Mitteleuropa, ma anche saggi più specifici che toccano autori e temi caratteristici della cultura mitteleuropea.

5) Oggi non siamo nell’epoca dell’abbattimento dei muri ma in quello della costruzione di muri nuovi. L’Europa è cambiata e non rappresenta più ulteriormente l’“Occidente”, ma piuttosto una “potenza di mezzo” – Herfried Münkler scrive Macht in der Mitte: Die neuen Aufgaben Deutschlands in Europa, 2015 - posta tra l’ Occidente rappresentato da un’ America, sempre più lontana e disinteressata, e da una Gran Bretagna che non partecipa più al progetto europeo da una parte, e un oriente che sembra essersi chiuso rispetto alle promesse di democrazia che si erano profilate con Gorbaciov e da cui fa capolino ancora la antica figura del dispotismo orientale, nel nome di Vladimir Putin. L’Europa “potenza di mezzo”, col suo cuore tedesco, non ha portato affatto pacificazione interna, ma ha fatto nascere antichi fantasmi, che si pensavano scomparsi. Non appena l’equilibrio fragile dell’economia, la promessa di un maggiore benessere per tutti gli europei, ha scricchiolato con la crisi del 2008, abbiamo visto riemergere forme di nazionalismo che hanno re-

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interpretato i peggiori cliché e fatto risorgere immagini di inquietante violenza. Angela Merkel ritratta come il nuovo Hitler, l’egemonia tedesca come la riedizione del Reich millenario. D’altra parte si ripresenta il disprezzo nordico per i “Pigs” da rieducare, che ha riportato in luce vecchi pregiudizi: i paesi del sud Europa sarebbero, per natura, parassitari e corrotti, incapaci di badare a se stessi. I nazionalismi, risorti, hanno prodotto partiti che sono al governo in molti paesi e che esprimono realtà chiuse; i movimenti “identitari” sbandierano cultura e appartenenza non come basi per aprirsi a un dialogo ma come barriere che escludono e respingono. La crisi del Covid ha fatto poi risorgere i confini, come anche a Gorizia si è visto, ed ha fatto vacillare per un momento l’intero progetto europeo. I timori che hanno animato l’intera impresa di Kadmos si sono rivelati, insomma, del tutto fondati.

6) Il progetto di rilanciare Kadmos nasce in questo clima e si lega a una domanda: perché recuperare questo mito, in che senso può la Mitteleuropa salvare ancora Europa? Vi è un libro famoso e profetico, scritto nel 1923 e pure interamente pensato in un’ottica globale, che ci dà un importante stimolo di riflessione. Paneuropa di Koudenhove Kalergi, è una lucida analisi della situazione politica europea tra le due guerre da cui l’autore trae la convinzione che il progetto di Pan Europa sia una scelta obbligata, la cui unica alternativa è la guerra e la conseguente periferizzazione dell’Europa intera trasformata in oggetto delle politiche di altri, ben più forti, soggetti. Una profezia interamente avverata con la contrapposizione tra i due blocchi. Ma non è tutto: Koudenhove Kalergi vede nei paesi originati dalla dissoluzione dell’Impero Austro – Ungarico la cellula germinale dell’Europa: una nuova sintesi che farebbe intravedere un modello di Europa caratterizzato da solidarietà e uguale rispetto verso l’esterno e dall’indipendenza verso l’interno, dove la comunità politica è una ricerca volta al futuro e caratterizzata dal dialogo e non uno stabile possesso o tantomeno espressione di rapporti di forza. Un modello

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che esclude, dunque, per definizione, l’esistenza di posizioni egemoniche, di un centro nazionale attorno a cui ruotano molte periferie, come emerge invece nelle considerazioni di Münkler. La Mitteleuropa non è, dunque, solo un’idea utopica, un vuoto no where dove si agglutinano vane speranze o vaghe idealità. Ha invece un ruolo politico, è il soggetto politico necessario per far nascere un’Europa caratterizzata dall’integrazione e non dall’egemonia, dove le diversità e differenze caratteristiche della Mitteleuropa si trasformano in forza centripeta e non sono insignificanti periferie in mezzo a forze contrapposte.

7) Lo scopo per cui la rivista Kadmos viene fatta oggi rinascere resta, interamente, nello spirito di ICM: quello del dialogo, del superamento dei confini, della conoscenza tra culture diverse, delle identità ibride, delle sfumature e di confini “porosi”. È evidente che questo lavoro da “costruttori di ponti” è oggi più urgente che mai: la rinascita dei nazionalismi con i loro tratti beceri e aggressivi impone la ricerca del confronto, impone la riedizione in forma nuova del progetto degli anni 90 e del 2001. Il contesto in cui si colloca è quello del distretto culturale, di cui ci ha parlato Nico Fornasir (?), che meglio interpreta l’antico cuore indiviso della Contea di Gorizia e fa riemergere un modello di convivenza e di appartenenza antecedente alla nascita di nazioni e nazionalismi e a questi alternativo.

8) La nuova versione di Kadmos ha un obiettivo ambizioso: vuole essere la sintesi tanto dell’Informatore quanto della Rivista. La Rivista ha l’obiettivo di diventare una rivista “scientifica”, anche dall’abominevole punto di vista dell’Anvur. Questo significa che verranno raccolti articoli e lanciate call sulle tematiche della Mitteleuropa e dell’Europa, che verrà istituito, accanto al comitato di redazione, anche un comitato scientifico. A questo sarà affidato il processo di peer review, ovvero di revisione e controllo dei contributi, che verranno poi pubblicati. Nello spirito che contraddistingue ICM e Kadmos la rivista ospiterà articoli in tutte le lingue della mitteleuropa, e il comitato scientifico sarà

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internazionale. Evidentemente una rivista di questo tipo è diretta, in primo luogo, ad un pubblico colto e ad esponenti del mondo accademico, ma non esclude chiunque possa essere interessato ai temi della Mitteleuropa.

9) La vera novità, tuttavia, è l’Informatore Mitteleuropeo. Si tratta di uno strumento che richiama il primo Informatore, che voleva soprattutto essere un mezzo pensato per favorire il contatto, lo scambio e le informazione tra soggetti, anche istituzionali, interessati a sviluppare il discorso sulla Mitteleuropa. Le potenzialità dell’Informatore sono, oggi, molto più ampie. Le nuove tecnologie permettono di estendere lo spettro e le caratteristiche della comunicazione e dell’interazione, ben oltre quanto poteva offrire l’Informatore degli anni Novanta. Il mezzo digitale, infatti, consente non solo di pubblicare testi scritti, ma anche di caricare materiali visuali, fotografie, piccoli film. L’Informatore può favorire forme di comunicazione più spontanee, capaci di restituire vissuti e impressioni, memorie e testimonianze. Uno strumento, quindi, meno rigido, più aderente alla realtà odierna di cui può ricostruire e restituire la trama. Questa trova espressione nelle forme della quotidianità, della narrazione personale, fatta di sfumature, di sguardi su oggetti e situazioni. Tutto quello che non trova posto in una rivista scientifica, ma che è forse anche più importante come strumento di comunicazione, di dialogo e di incontro tra culture.

Romeo Pignat Direttore artistico – Primalinea

UNA FRONTIERA VIRTUOSA TRA UMANESIMO E TECNOLOGIA

Dopo l’intervento di Giuliana concentrato sul COSA, sarà mio compito avvicinarvi al COME, che è in corso di definizione. Qui entra in scena il rapporto tra contenuto e contenitore, che nel web diventa anche strumento di pubblicazione. Internet ha scompaginato le carte: il giornale diventa anche edicola. Si trova ovunque e da nessuna parte: potenzialmente universale, ma quasi sempre invisibile. A ben pensarci, si mettono in discussione confini storici…

Ora facciamo un passo indietro nel tempo. Qualche giorno fa, con emozione, mi sono trovato tra le mani una Divina Commedia stampata da Aldo Manuzio nel 1502. Immaginate: in quelle pagine c’è tutta la complessità della cultura e della tecnica di Dante, i suoi cento canti, i suoi 14.233 versi imbrigliati in terzine incatenate. Ma c’è anche la complessità della macchina da stampa appena inventata da Gutenberg, c’è la tecnica sopraffina di Manuzio e di Ippolito Grifo che ha dato vita al corsivo, ci sono i sottili spessori di piombo impiegati dai tipografi per far respirare i caratteri mobili. È il coesistere tra il poema e la stampa che eleva all’ennesima potenza il valore di entrambi. Se i tipografi leggessero di più e gli scrittori mettessero piede in qualche tipografia, entrambi migliorerebbero i loro mestieri. Un male del nostro tempo è la “fanatica specializzazione”, che allontana l’umiltà curiosa e cementa i “pori” delle frontiere - dove passa l’aria dell’altro - trasformandole in confini.

Ma veniamo a Kadmos. Anche se Kadmos nascerà in primavera, è già qui tra noi, in gestazione dentro il grande ventre di Internet. Le diapositive che Daniele “manovra” a distanze molto variabili dai relatori, vivono già in kadmos.info, sono già per tutti e ovunque. Sono conquiste “sudate” in questi giorni, in cui giovani e meno giovani, umanisti e tecnici, “registi” e “attori” si sono confrontati e hanno

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Romeo Pignat Direttore artistico – Primalinea

UNA FRONTIERA VIRTUOSA TRA UMANESIMO E TECNOLOGIA

Dopo l’intervento di Giuliana concentrato sul COSA, sarà mio compito avvicinarvi al COME, che è in corso di definizione. Qui entra in scena il rapporto tra contenuto e contenitore, che nel web diventa anche strumento di pubblicazione. Internet ha scompaginato le carte: il giornale diventa anche edicola. Si trova ovunque e da nessuna parte: potenzialmente universale, ma quasi sempre invisibile. A ben pensarci, si mettono in discussione confini storici…

Ora facciamo un passo indietro nel tempo. Qualche giorno fa, con emozione, mi sono trovato tra le mani una Divina Commedia stampata da Aldo Manuzio nel 1502. Immaginate: in quelle pagine c’è tutta la complessità della cultura e della tecnica di Dante, i suoi cento canti, i suoi 14.233 versi imbrigliati in terzine incatenate. Ma c’è anche la complessità della macchina da stampa appena inventata da Gutenberg, c’è la tecnica sopraffina di Manuzio e di Ippolito Grifo che ha dato vita al corsivo, ci sono i sottili spessori di piombo impiegati dai tipografi per far respirare i caratteri mobili. È il coesistere tra il poema e la stampa che eleva all’ennesima potenza il valore di entrambi. Se i tipografi leggessero di più e gli scrittori mettessero piede in qualche tipografia, entrambi migliorerebbero i loro mestieri. Un male del nostro tempo è la “fanatica specializzazione”, che allontana l’umiltà curiosa e cementa i “pori” delle frontiere - dove passa l’aria dell’altro - trasformandole in confini.

Ma veniamo a Kadmos. Anche se Kadmos nascerà in primavera, è già qui tra noi, in gestazione dentro il grande ventre di Internet. Le diapositive che Daniele “manovra” a distanze molto variabili dai relatori, vivono già in kadmos.info, sono già per tutti e ovunque. Sono conquiste “sudate” in questi giorni, in cui giovani e meno giovani, umanisti e tecnici, “registi” e “attori” si sono confrontati e hanno

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cercato di fare del proprio meglio per capirsi e imbastire qualcosa di buono. Siamo ben oltre il Power Point sullo schermo di una sala conferenze. Anche i relatori sono sparsi nelle loro case in un territorio sconfinante. La pandemia che ci ha recluso nei nostri gusci domestici, ci porta paradossalmente dentro le intimità e le vite degli altri. Quello che sta avvenendo era impensabile solo un anno fa. È un bene? Un male? È semplicemente inevitabile. L’importante è che non sia arido e autoreferenziale.

Da una parte bisogna comprendere e rispettare il peso, la stratificazione delle tecnologie che hanno reso possibile il miracolo: grandi dati, videocamere, Full HD, HTML, informazione ubiqua più leggera degli spessori dei tipografi…

Dall’altra dobbiamo farci due domande: tutta questa tecno-scienza a cosa servirebbe senza “qualcosa da dirci”? Qui c’entra l’umanesimo. E questo “qualcosa da dirci” che valore avrebbe senza un senso e una direzione? Qui entra in gioco l’uomo.

“Cultura” deriva da “coltivare”. Qualcuno ha detto (forse Claudio Magris): “cultura è dare un senso a quello che si fa”. Sarebbe bello che l’esperienza di Kadmos restituisse un senso.

Entriamo ora per sommi capi nella struttura del nostro progetto. Kadmos sarà un sito, o piattaforma, o blog, o portale, o contenitore da definire con un neologismo, che includerà due macro-aree: - Kadmos_Studi mitteleuropei, la rivista scientifica semestrale; - Kadmos_Informatore mitteleuropeo, la pubblicazione online con

contributi di carattere giornalistico, narrativo, eventualmente multimediali, complementare alla rivista.

Non mancherà una cornice istituzionale, delineata dal menù principale e finalizzata a valorizzare complessivamente Kadmos, il contesto in cui nasce (Gorizia, ICM), i progetti che maturano in questo contesto, come il Distretto GO-Mosaico. Non dimentichiamoci: Kadmos ha una dimensione “glocal”, che trae fertilità dal terreno locale in cui è

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coltivato, ma al tempo stesso deve cogliere i climi favorevoli dall’altrove, che possono contribuire a una coltivazione fruttifera. Potremmo quindi pensare anche a un’area blog, a una finestra aperta e dinamica, che selezioni e accolga eventi, idee, impressioni dalla Mitteleuropa e oltre.

La rivista Kadmos_Studi mitteleuropei occuperà uno spazio ad hoc della piattaforma e sarà concepita in forma rigorosamente scientifica. Con cadenza semestrale, sarà costituita da articoli di studiosi in ambito umanistico della Mitteleuropa, nelle varie lingue madri, senza traduzioni, presentati in file PDF scaricabili. Gli articoli saranno accessibili sia singolarmente, sia dentro la relativa pubblicazione semestrale. A livello tecnico l’impegno maggiore sarà organizzare in modo efficiente gli articoli, lavorando con abstract, tag e categorie, per favorire la ricerca (search) dentro il sito, e indicizzare la “biblioteca progressiva” in Google.

Kadmos_Informatore mitteleuropeo, diversamente, costituirà una e propria vera pubblicazione online: continuativa o periodica, da valutare. Gli articoli – o più propriamente i contenuti – potranno essere di varia natura: testi, servizi fotografici, video, audio. L’informatore potrà essere integrato con canali social specializzati: p.e. YouTube per i video, Sound Cloud per gli audio, Calameo per i PDF. Questo modus operandi rende più efficiente la gestione e valorizza l’Informatore nel web: l’Informatore, infatti, aspira a rivolgersi a un pubblico più ampio, parlando di luoghi, persone, pensiero, futuro della Mitteleuropa, attualizzando questi temi, in coerenza con le proposte della rivista. Anche la redazione potrà e dovrà abbracciare più collaboratori, cercando di avvicinare differenti punti di vista e, soprattutto, differenti generazioni, con un generoso slancio di continuità.

Kadmos_Informatore mitteleuropeo è una sfida difficile da immaginare. Richiede l’adattamento a soluzioni digitali in continua evoluzione. Pensiamo solo all’uso delle molteplici lingue della Mitteleuropa. Come gestirle? Con flessibilità: ora optando per rigorose traduzioni da

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madrelingua; ora ricorrendo ai traduttori automatici integrati nel sito, come Free Website Translation o il generatore di didascalie multilingue di YouTube. Si tratta di strumenti approssimativi, ma che migliorano con i progressi dell’intelligenza artificiale. A questi va affiancata l’intelligenza umana di chi produce i contenuti, per esempio creando interviste o audiovisivi con commenti brevi, che tendano a una chiarezza traducibile artificialmente. Perché il progetto sia sostenibile, tecnologia e umanesimo devono interfacciarsi con buon senso attraverso una frontiera porosa. Solo così sarà possibile creare uno strumento duttile che parli a molti, di tante età, superando le distanze tra tante torrette d’avorio di culture solitarie e un progressivo imbarbarimento culturale al di là dei reticolati.

Come ha suggerito l’amico Igor Waltrisch, altrettanto importante, in questa stessa direzione sarà integrare, nel sito, risorse e contenuti esterni di qualità: riconoscere e selezionare con attente operazioni di scouting, anche attraverso gli algoritmi della tecnologia digitale, il valore “pronto per l’uso” che può arrivare dall’altrove. Creare collegamenti stabili, non solo estemporanei, con questo altrove. Pensare il sito come un aggregatore e, insieme, come il nodo più prezioso di una rete preziosa.

Da parte nostra come “creativi”, parola che sinceramente m’imbarazza, c’impegneremo a fondo per creare un ambiente Kadmos dove vivere e invitare gli ospiti con soddisfazione. Accanto alla tecno-scienza e alla cultura umanistica, per chiudere il cerchio delle “cose fatte bene”, serve un terzo ingrediente spesso sottovalutato: lo sguardo artistico. Come insegnano Dante e Manuzio e come scrive Italo Calvino: “La creatività è come una marmellata che va spalmata su una solida fetta di pane.” È una cosa che deve essere piacevolmente seria.

Ricordando infine che in greco antico “arte” si scrive “téchne”, lascio volentieri la parola a Massimiliano Zollia, che sulla “téchne” ha molto da dirci. Grazie.

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Max Zollia Socio e amministratore delegato di Zollia Holding Vice presidente di Brovedani Group

CULTURA PER L’AZIENDA E AZIENDA PER LA CULTURA

Come consigliere di Zollia Holding e vicepresidente di Brovedani Group, mi piace sottolineare come il sostegno della nostra azienda di famiglia a ICM sia nel segno di un rapporto pluridecennale con l’associazione inaugurato da mio papà Benito e, insieme, sia motivato dal mio entusiasmo per il progetto Kadmos, per la sua profonda sintonia con la filosofia e la cultura della nostra azienda.

Zollia Holding è una holding “goriziana” di famiglia che controlla Brovedani Group, Gruppo industriale con sede a San Vito al Tagliamento, in Friuli. Brovedani Group, a sua volta, opera nella subfornitura meccanica, a fianco d’importanti multinazionali, con contributi strategici in produzioni che hanno fatto la storia, come quelle degli hard disk o del Diesel Common Rail. Per avvicinarvi alla sostanza di Brovedani Group, potremmo parlare di “meccanica di precisione” o “di meccanica fine”, definizioni che tuttavia non rendono la nostra specificità. In particolare il nostro core business è la produzione in grandi serie di componenti meccanici per l’automotive, con precisioni al decimo di micron, come si suole dire. La nostra è un’impresa ipertecnologica, tra le prime in Italia ad aver adottato metodi Lean e un approccio 4.0. Ma è anche molto di più…

Papà Benito fin da subito, non appena lanciò il progetto industriale Brovedani quasi mezzo secolo fa, volle dare un taglio economico-industriale di profilo socio-culturale eticamente fondato all’Azienda, che in pochi anni, dai dodici (!) dipendenti del gruppo iniziale giunse ben presto a contarne centinaia e a superare il migliaio, sviluppandosi prima in Italia e in seguito all’estero, in Europa e in America.

Fin da subito, sia per quanto concerne le modalità gestionali e lo stile direzionale, Brovedani si caratterizzò per questa cifra culturale. Il Gruppo dirigente di cui si circondò mio Padre sposò questa linea a la

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sostenne nel tempo, nei decenni, devo dire, poiché la data dello starting up di questa meravigliosa avventura industriale e familiare è l’anno 1972.

Io ero un bimbetto appena nato allora, mio fratello Alessandro era solo un po’ più grande e così Valentina, mia sorella.

La cultura fu per l’Azienda un modo di porsi nel territorio e verso tutti coloro che oggi definiamo stakeholders, a partire dai dipendenti. E per cultura intendo una visione della missione aziendale che cercasse (e posso dire con orgoglio che ci è riuscita) di coniugare il rispetto delle Persone con la ricerca del business.

Si può dunque dire che Brovedani ha sviluppato una Cultura per l’Azienda improntata a quello che mio Padre chiamava “Spirito Brovedani”, di cui ho trovato anche tracce scritte in alcune introduzioni ai calendari annuali, che per decenni l’Azienda ha dedicato a numerosi grandi uomini e donne di cultura e di scienza, Italiani e no.

Il Calendario della Brovedani è stato ed è un’espressione di “cultura aziendale” unica, almeno dalle nostre parti. Parlare di Archimede e di Galileo può essere quasi ovvio, ma lo è meno dedicarsi anche a personaggi come l’ingegnere-economista-sociologo Wilfredo Pareto o l’esploratore umanista Pietro di Brazzà Savorgnan, senza dimenticare scienziati e tecnici in qualche modo apparentati - per ragioni tecno-scientifiche - a Brovedani, come, tra altri, Rudolf Diesel e il padre scolopio Eugenio Barsanti, che pochi riconoscono come inventore del motore a scoppio.

Ma si può anche rovesciare il termine e parlare di Brovedani come di un’Azienda per la Cultura, capace di coniugare interessi economici e sensibilità sociale mediante l’occupazione di centinaia e di migliaia di operai, impiegati e tecnici.

E poi, consideriamo l’apertura al mondo. L’Azienda della mia Famiglia, dopo avere sviluppato attività in Italia, è uscita, in Europa e Oltreoceano, fondando stabilimenti in Slovacchia e Messico, dove ha portato lo “Spirito e la Cultura” Brovedani.

Una lunga storia che continua a dipanarsi, ora, con la strutturazione di Organismi di Vigilanza Etica, coinvolgendo professionisti competenti e appassionati, tra i quali uno è tra noi e parlerà dopo di me, il professor Renato Pilutti, Presidente dei nostri Organismi di Vigilanza.

Dell’Etica aziendale, infatti, parlerà lui tra poco.

Io mi limito a dire che sono orgoglioso, insieme con tutta la mia Famiglia, di questo lungo percorso, che è riuscito a creare lavoro e coesione sociale, industria e cultura, testimoniando la capacità tutta friulana di lavorare-tanto-lavorando-bene e senza dimenticare che il lavoro viene espletato da uomini e donne di tutte le età e livelli culturali, che negli anni e nei decenni hanno sentito l’Azienda come “loro”, quasi che la “proprietà sociale” fosse un elemento che struttura la stessa “proprietà giuridica” che attiene alla mia Famiglia.

Cultura per l’Azienda e Azienda per la Cultura, due sintagmi che mi sembra possano caratterizzare anche la vita futura della Brovedani, e di interloquire con garbo e capacità di ascolto con soggetti come questo, l’Istituto di Cultura Mitteleuropeo, nato e cresciuto sul crinale delle tre grandi culture dell’Europa, quella latina, quella germanica e quella slava.

Grazie

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Una lunga storia che continua a dipanarsi, ora, con la strutturazione di Organismi di Vigilanza Etica, coinvolgendo professionisti competenti e appassionati, tra i quali uno è tra noi e parlerà dopo di me, il professor Renato Pilutti, Presidente dei nostri Organismi di Vigilanza.

Dell’Etica aziendale, infatti, parlerà lui tra poco.

Io mi limito a dire che sono orgoglioso, insieme con tutta la mia Famiglia, di questo lungo percorso, che è riuscito a creare lavoro e coesione sociale, industria e cultura, testimoniando la capacità tutta friulana di lavorare-tanto-lavorando-bene e senza dimenticare che il lavoro viene espletato da uomini e donne di tutte le età e livelli culturali, che negli anni e nei decenni hanno sentito l’Azienda come “loro”, quasi che la “proprietà sociale” fosse un elemento che struttura la stessa “proprietà giuridica” che attiene alla mia Famiglia.

Cultura per l’Azienda e Azienda per la Cultura, due sintagmi che mi sembra possano caratterizzare anche la vita futura della Brovedani, e di interloquire con garbo e capacità di ascolto con soggetti come questo, l’Istituto di Cultura Mitteleuropeo, nato e cresciuto sul crinale delle tre grandi culture dell’Europa, quella latina, quella germanica e quella slava.

Grazie

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Renato Pilutti Presidente dell’Organismo di Vigilanza di Brovedani Group Presidente nazionale di Phronesis, Associazione per la Consulenza filosofica PREMESSE EPISTEMOLOGICHE DI ETICA GENERALE PER UN’ETICA D’IMPRESA E DEL LAVORO

Già l’arch. Zollia ha introdotto il tema della stretta (anzi, necessaria) relazione esistente fra Cultura e Azienda, e viceversa.

A me ritengo spetti una riflessione che può essere utile per fondare filosoficamente il sintagma proposto da Max.

Siccome il lavoro e la sua organizzazione attiene, oltre alle strutture aziendali anche l’uomo (la donna)-al-lavoro, ciò significa che il “sapere etico” come “scienza del giudizio sul (relativamente, nel senso di non-assoluto) agire buono o malo dell’uomo”, si pone come imprescindibile.

Se tale lo possiamo ritenere, non ci possiamo esentare da una sua declinazione chiarificatrice. Se l’Etica non è un sapere generico e voluttuario, nel senso epistemico (non solo aristotelicamente inteso) è anche un “sapere scientifico”.

Ogni affermazione, per non essere apodittica, ha da esser fondata su condivise premesse assiomatiche e su sillogismi logici. L’argomentazione non può prescindere da un corretto utilizzo dei “fondamenti”.

Partirei innanzitutto da una definizione di Scienza risalente a Descartes: “Scienza è un sapere che si fonda su enunciati certi ed evidenti in forza del loro perché propri, adeguati e prossimi”. Ecco quindi che lo statuto epistemologico del lemma permette di introdurre una sorta di declinazione del termine di cui qui primariamente tratto: Etica.

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Infatti, se ci limitiamo a dire “etica”, è come se dicessimo, come l’etimologia greco-antica ci insegna, “usi e costumi”, magari considerando anche il termine confinante di èthos, che è ètnos, là dove una “ni” amplia il significato di usi e costumi relativi a un popolo. Bene.

Dobbiamo dunque porci una domanda, domanda che giornalisti, politici e affini, tanto presenti nei talk show, non si peritano mai di porsi. Sarebbe una domanda intelligente. Costoro, invece, preferiscono dare subito risposte, millantando conoscenze che spesso non hanno. “Che cosa è l’Etica, ovvero che cosa significa un comportamento etico?”

Dico subito che l’espressione “comportamento etico” è senza senso, se prima non ho provveduto a declinare il significato del termine più importante.

Infatti, se non decliniamo i vari tipi di “etica”, rischiamo di restare “impantanati” nel significato storico-etimologico del termine, senza fare alcun passo avanti.

A volte, non per stupire o scandalizzare un uditorio (di qualsiasi genere e specie) affermo che “è etico anche mutilare i genitali di una bimba”. Lo stupore scandalizzato dei presenti mi obbliga a specificare subito che per etica intendo solo il suo significato etimologico classico. La posso definire etica culturalista, nel senso antropologico-culturale. Oppure, altro esempio, “è etico anche dare un pugno in faccia a un altro”: qui sciolgo lo stupore degli astanti spiegando che si tratta di un’etica emotivista, per cui se mi arrabbio, ne consegue che…

E infine, trascurando altri esempi, posso concludere con il raccontino della difesa di Adolf Eichmann a Tel Avi nel 1961: “Sono stato sempre un buon cittadino tedesco, e ho solo eseguito gli ordini dei superiori”.1

1 Himmler, Hitler.

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Di quale etica potrebbe trattarsi? Evidentemente di un’etica prescrittivista, o no?

E dunque, come usciamo da questa empasse logico-semantica? (se di empasse si tratta).

Direi, completando il “giro” fino ad arrivare a un concetto nel quale possa esprimersi il rispetto dell’uomo come persona in tutte le sue differenze soggettive, per tratti di personalità che lo rendono irriducibilmente unico, in base alla sua genetica, all’ambiente dove ha vissuto e all’educazione (qui intesa come education, all’inglese) ricevuta, ma nel contempo uguale a tutti gli altri esseri umani in dignitas. E questa eguaglianza come la spiego, o meglio, come la fondo? Richiamando anche qui tre elementi che permettono di superare scientificamente ogni residuo fenomenologico di razzismo a-scientifico: la sua fisicità, il suo psichismo e la sua spiritualità. Questi tre elementi, che sono oggettivamente presenti in ogni essere umano,2 costituiscono il supporto teoretico per poter affermare senza tema di smentita che tutti gli esseri umani sono pari in dignità.

Possiamo dunque affermare che un’Etica che permetta di comprendere semanticamente un giudizio sulla bontà o malvagità di un detto o di un atto, potrebbe essere chiamata Etica del Fine, dove il Fine è costituito dalla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dell’uomo, e anche degli altri viventi e dell’ambiente tutto.

La riflessione, così composta, ho sperimentato può fornire adeguati elementi esplicativi anche per l’espressione di giudizi sul profitto di uno studente o sull’impegno di un lavoratore. In altre parole, non viene lesa la personalità, ma si tratta semplicemente di un giudizio relativo ai comportamenti.

In Brovedani, e io testimonio la sua storia di oltre un quarto di secolo, volgendo lo sguardo a un’Etica d’Impresa e del Lavoro, posso affermare che ciò che l’Ing. Benito definiva come “Spirito Brovedani”, è vissuto e si è sviluppato nel tempo in modo coerente e continuo.

2 Fisicità: siamo interfecondi; psichismo: tutti si emozionano…; spiritualità: tutti provano stupore…

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Senza volere cedere a ogni tentazione beatificante, che qui non serve, non è né nelle mie corde, né in quelle di Benito, mi pare di poter dire che questo Spirito si evoluto negli anni in diverse declinazioni.

Mi sono occupato direttamente nelle Aziende del gruppo, in Italia e all’estero, di Risorse umane per oltre vent’anni, e posso testimoniare che una delle attività più continue e considerate è stata l’analisi del clima, sia in relazione a quanto previsto dalla Legge come stress correlato al lavoro, sia come indagine voluta dalle politiche del personale definite dalla Direzioni che si sono succedute nel tempo.

Parlo di fatti che conosco perché ne sono stato in larga misura l’autore.

Da un anno e mezzo i CdA del Gruppo hanno deciso di porsi sotto l’egida giuridico-legale del Decreto Legislativo 231 del 2001, predisponendo un Codice etico e un Modello di Organizzazione e Gestione atto a conoscere come si lavora e come si rispettano le Leggi dello stato, dettagliando quasi un paio di centinaia di reati presupposto.

In ordine a ciò i CdA stessi hanno poi nominato un “Organismo di Vigilanza”, composto da figure competenti nelle varie discipline di interesse aziendale, da quelle normative e contrattualistiche, a quelle di carattere civilistico, a quelle relative alla tutela della Salute e Sicurezza dei lavoratori, di tutti gli stakeholders e dell’Ambiente.

Di questi Organismi di vigilanza ho avuto l’onore di essere nominato Presidente, per cui ho la possibilità di “vivere” l’azienda con presenze settimanali e un dialogo continuo con gli Enti direzionali e chiunque tra i dipendenti desideri parlarmi e, parlando con me, informare tutto l’Organismo di Vigilanza. Ogni mia attività è poi registrata in specifici verbali che vengono inviati al CdA, alla Direzione e a chi può essere interessato all’argomento o al fatto trattato.

Per i colleghi presenti, specifico che le prerogative dell’Organismo di Vigilanza sono, appunto di vigilanza e di segnalazione di questioni meritevoli di attenzione e di intervento.

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Ciò pone l’azienda in una posizione di tutela da eventuali atti che possano configurare dei reati, focalizzando l’attenzione della giurisdizione sugli “autori” di tali violazioni.

In tale modo si ottengono due risultati: a) il primo è quello di responsabilizzare (la responsabilità è il principio fondamentale di un atto eticamente rilevante) le persone; b) il secondo è quello di salvaguardare il soggetto-azienda da responsabilità amministrative e/ o penali di cui direttamente non è responsabile. Altro si potrebbe dire, ma mi fermo qui, per avviarmi a concludere.

Ho cercato di presentare, infine, un discorso che ci permettesse di collegare Etica e business, e dunque anche humanitas e tecno-scienze, a partire dalla gestione dell’uomo al lavoro, ma senza trascurare l’evoluzione tecno-scientifica in corso, là dove la digitalizzazione sta modificando le modalità relazionali e le tecniche lavorative in modo radicale.

Questo cambiamento interpella tutto l’Uomo e tutti gli Uomini, tutto e totalmente concerne questo interpello, cari amici!

Le aziende, in questo covid-periodo sono i luoghi frequentati più sicuri in assoluto, e anche questo attesta il sostrato eticamente fondato dell’agire aziendale e di Brovedani in particolare. L’Azienda è stata anche recentemente insignita di un premio nazionale per avere impostato politiche di welfare a favore dei lavoratori, e anche questo testimonia come il sentimento ragionato (e questo sintagma non è un ossimoro!) che il Presidente Zollia voleva mantenere e rinforzare, cioè lo “Spirito Brovedani”, non solo sia sopravvissuto, ma si sia anche evoluto, conciliando al meglio business e rispetto delle persone, laddove un’Etica d’Impresa e del Lavoro si connette con il tema dell’innovazione e dello sviluppo economico.

Aggiungo e concludo: per il Bene comune. Grazie.