“INTERVENTI - Associazione Profeta · 2012-12-03 · 4) Nella comunicazione vi sono un linguaggio...

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Dicembre 2012 “INTERVENTI ASSISTENZIALI A DOMICILIO” Dott.ssa Adriana CANUTO

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Dicembre 2012

“INTERVENTI

ASSISTENZIALI A

DOMICILIO”

Dott.ssa Adriana CANUTO

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RELAZIONARSI

La Comunicazione interpersonale

La comunicazione può essere definita uno scambio di messaggi, ed è essenziale

nell’interagire con gli altri.

Saper comunicare in modo efficace è un fattore decisivo per ottenere un lavoro

qualitativamente efficace nei servizi socioassistenziali e sociosanitari.

Alcuni importanti studiosi come D.J.Beavin e P.Watzlawick,hanno approfondito il

fenomeno della “comunicazione” e hanno identificato regole con le quali

comprenderlo più a fondo, a vantaggio di quanti vogliono migliorare il livello delle

loro relazioni, le regole sono le seguenti:

1) E’ impossibile non comunicare : le parole, i gesti, la mimica, le posture

corporali, le azioni, sono comportamenti che trasmettono significati alle

persone che osservano.

2) Nella comunicazione vi sono contenuto e relazione: ogni messaggio contiene

sempre la qualità del rapporto che è sotteso tra coloro che parlano.

3) Nella comunicazione vi è una è una sequenza che viene definita punteggiatura:

chi assiste potrà percepire una serie di continui scambi.

4) Nella comunicazione vi sono un linguaggio numerico ed un linguaggio

analogico: possiamo dire che la comunicazione non verbale è quella analogica

e che quella numerica è quella verbale.

5) Nella comunicazione vi può essere complementarietà o simmetria: ovvero

basati sull’uguaglianza degli attori o sulla loro disuguaglianza., non intendendo

con questo debolezza o inferiorità.

Due persone che parlano tra loro non solo si scambiano messaggi verbali ma con il

loro modo di porsi, di trasmettere, interagiscono nel senso che si influenzano

reciprocamente. Il silenzio in una data postura, un certo atteggiamento suscitano

reazioni complementari in chi li registra in quanto interlocutore.

La comunicazione è un bisogno essenziale per l’essere umano.

Uno studioso di linguaggio umano, il linguista R.Jakobson durante lo studio dei

fenomeni comunicativi, ha scoperto la struttura universale dei processi

comunicativi:

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feedback

Emittente Messaggio Destinatario

pensieri, idee codificazione decodificazione pensieri,idee,

atteggiamenti atteggiamenti

intenzioni,ecc. Canale intenzioni,ecc.

contesto

Il contenuto informativo è il messaggio, chi legge è il ricevente,, chi lo invia è

l’emittente; la carta e l’inchiostro utilizzato per realizzare il messaggio costituisce il

canale .

Il messaggio su che cosa significa il comunicare e la sua importanza specialmente

nelle relazioni di aiuto, rappresentano il codice comunicativo.

Il passaggio delle informazioni avviene in un contesto (che può essere un libro) che,

condiziona perciò la comunicazione.

Il contesto determina i ruoli e le posizioni dei soggetti che sono in relazione tra di

loro e influenza in modo decisivo il processo comunicativo.

La comunicazione infatti, se gestita in modo accorto e consapevole, consente di

affrontare situazioni complesse e difficili, di istaurare relazioni gratificanti per la

persona utente-cliente e per evitare incomprensioni con i suoi familiari, allo scopo di

sostenere tutti loro in un processo terapeutico ed assistenziale.

La gestione efficace dei processi comunicativi consente inoltre di risolvere e

negoziare eventuali conflitti anche tra gli operatori.

Per quanto sin qui detto viene fuori che la comunicazione nel suo aspetto più tecnico,

è quello di trasmettere informazioni, presupponendo una fonte emittente ed un

soggetto ricevente, che si scambiano messaggi e informazioni relativamente a una

serie di contenuti.

La relazione interpersonale è un concetto più vasto della comunicazione perché

comprende gli aspetti comunicativi dello stare insieme.

La relazione per sua natura, va oltre la pura comunicazione di significati e apre la

strada ad altri aspetti delle persone che solitamente non emergono. Durante una

relazione difatti ci si mette in gioco, quasi sempre si da vita ad una specie di

comunicazione molto profonda, che non trasmette significati ma, sensazioni, stati

d’animo sentimenti.

Questo fa capire che la relazione è qualcosa che va oltre la comunicazione, perché

fissa tra le persone legami profondi; quindi nella comunicazione si trasmettono parti

perché lo scambio è totale: si trasmette tutta la persona.

In particolare nelle professioni socio sanitarie, a differenza delle altre, la relazione si

arricchisce di una componente fondamentale che è il: dato umano.

La relazione professionale tra un operatore ed un utente è, prima di tutto

profondamente umana, in quanto si struttura fra una persona che chiede aiuto ed

un’altra che fa di tutto per darglielo.

Ad esempio la relazione interpersonale tra un operatore ed un soggetto che si rivolge,

è essenzialmente una relazione d’aiuto, che si costruisce e si modifica sulla base del

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vissuto. Entrambi portano qualcosa in questa relazione ed entrambi vogliono trarne

qualcosa.. Il malato porta il suo sconforto e il suo bisogno di essere curato,

l’operatore porta la sua competenza professionale e il suo desiderio di riuscire nel suo

ruolo di curante. Entrambi portano anche il desiderio di essere accettati, amati e

rispettati.

Non bisogna mai dimenticare che la comunicazione e la relazione interpersonale tra i

due diventa vero aiuto solo quando emergono sopra ogni cosa, gli aspetti legati

all’umanità, prima ancora della professionalità.

E’ importante tuttavia considerare che non è sufficiente fermarsi alle buone

intenzioni, perché sicuramente sorriso, gentilezze e buone maniere sono elementi

indispensabili per una relazione efficace ma, occorre investire anche in competenza

tecnica, ossia bisogna attivarsi per imparare l’arte dell’aiuto,

Lo psicologo R.Carkhuff ha individuato 4 abilità che sono alla base del processo di

aiuto:

- prestare attenzione;

- rispondere;

- iniziare;

- comunicare.

Carkhuff dice:” l’aspetto più difficile del processo di aiuto è riuscire ad andare al di la

di dove l’altro è attualmente”.

Il processo di aiuto è un’operazione complessa, che richiede particolare attenzione da

parte di chi lo eroga. Pertanto, chi chiede aiuto desidera essere trattato con

professionalità, attraverso un rapporto serio, dove non c’è spazio per luoghi comuni o

battutine di spirito.

L’eccessiva confidenza, quando non richiesta, provoca senz’altro qualche disagio,

una battuta di spirito che potrebbe passare inosservata da parte di una persona sana,

può scatenare nella persona malata un grave senso di disagio. La relazione di aiuto è

qualcos’altro, è un essere sempre in tensione nell’offrire all’altro il meglio di sé.

Quale dovrebbe essere il giusto atteggiamento dell’operatore nei confronti

dell’utente?

La risposta a tale quesito sta in un modo di essere, ci riferiamo all’empatia, che

come sostiene Rogers, è qualcosa di molto complesso che definisce:”il percepire lo

schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti

emozionali, come se una sola fosse la persona, ma senza mai perdere di vista questa

condizione di “come se”.

In sostanza l’emapatia diventa un mezzo per sondare la vita dell’altro, per aiutarlo a

capire ciò che gli succede, senza però interferire sui suoi sentimenti,sulle sue

concezioni ideologiche, sui suoi vissuti inconsci, sulle sue emozioni.

L’operatore che si serve dell’empatia diventa un mezzo per sondare la vita dell’altro,

per aiutarlo a capire ciò che gli succede, senza però interferire sui suoi sentimenti,

sulle sue emozioni.

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L’operatore che si serve dell’empatia entra ed esce dalla vita del soggetto senza mai

lasciare traccia di sé, egli vi entra a scopo terapeutico, per fluidificare la

comunicazione senza lasciare le proprie convinzioni ed i propri valori.

Possiamo dire che vi è nell’empatia una comprensione più profonda che ci permette

di avvicinarci all’esistenza della persona stessa.

Della parola empatia si è troppo abusato, in realtà essa è più un processo che uno

stato comunicativo e come tale presuppone tappe che vanno così riassunte:

- la qualità non giudicante e accettante del clima empatico permette alle persone

di assumere un atteggiamento valorizzante.

- essere ascoltati da qualcuno che comprende rende possibile alle persone di

ascoltare con più attenzione il proprio vissuto interiore.

- La maggiore comprensione e valutazione di sé, opera aspetti nuovi

dell’esperienza, ciò contribuisce a sviluppare un concetto di sé più accurato.

La strada per diventare empatici sembra quella della vera disponibilità all’ascolto

mantenendo il giusto distacco da un coinvolgimento emotivo, tutt’altro che positivo.

Per ottenere questo c’è bisogno di due elementi:

- addestramento o formazione;

- interesse per la persona.

E’ evidente quanto sia importante nella relazione umana la sfera delle emozioni e dei

sentimenti, quindi nei programmi di formazione degli operatori sociali e sanitari

dovrebbe sempre essere riservato uno spazio alla competenza emotiva, intesa come

abilità di saper riconoscere le proprie ed altrui emozioni e saperle ricondurre a un

senso positivo dell’assistenza e della vita in genere.

Ogni paziente è sicuramente portatore di più emozioni, ma spesso non è invitato ad

esprimerle, a raccontarle. La parte razionale ha quasi sempre il sopravvento: bisogna

prima capire, comprendere riflettere, circostanziare saper spiegare, ossia sono queste

azioni che necessitano di un tempo lungo per essere elaborate. L’emozione invece

non ha bisogno di avere legami ma di trovare spazi idonei e progetti per potersi

rivelare. Solo in questo condizioni la comunicazione legata all’emozione diventa

completa e può produrre un cambiamento nelle persone.

Pensate ad un paziente che sta per affrontare un intervento chirurgico del quale ha

paura, all’operatore socio sanitario compete l’accoglienza di questa paura e la sua

contestualizzazione, al fine di ricondurla ad una dimensione umana, che non può

risolversi solo in atteggiamenti tranquillizzanti generici ma, deve concretizzarsi nel

comunicare al paziente l’assoluto rispetto per la sua paura, invitandolo al tempo

stesso a non bloccare eventuali reazioni di pianto e cosi via.

Ricordiamoci sempre che gli uomini sono degli esseri che hanno bisogno della

relazione, di carezze e di attenzioni; quando veniamo privati di questo soffriamo.

Felliozat (1998) dice che il nutrimento relazionale avviene attraverso tre semplici

azioni alla portata di tutti:

dare

ricevere

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chiedere.

Il verbo dare si riferisce all’operatore e lo invita a utilizzare tutta la gamma dei

sentimenti positivi, attraverso i gesti che più li rappresentano: la carezza, l’attenzione,

il sorriso, l’ascolto, la parola tenera, la dolcezza, la comprensione, il farsi carico,

l’esprimere interesse e così via.

Il verbo ricevere si riferisce all’utente, ma è ovvio che l’operatore ha una certa

responsabilità se si è impegnato nel dare.

Il verbo chiedere vale per entrambi, ma l’operatore può far molto se attua un

programma di aiuti e di interventi diretti sulla persona, sorretto da un continuo

registro emotivo, centrato sul chiedere al paziente le sue tendenze emotive: cosa ha

provato, come si sente e come si sentiva prima e dopo l’intervento, quali sentimenti

prevalgono durante la relazione utente/operatore. E’ importantissimo che l’operatore

chieda all’utente cosa prova in determinati momenti: non un interrogatorio, ma una

condivisione, , una relazione sui sentimenti provati, senza espressione di giudizio,

senza valutazione, ma tanta comprensione empatica e tanto cuore nel comunicare con

l’altro.

ASPETTI EDUCATIVI della RELAZIONE

Nella relazione tra operatore socio-sanitario e utente non sono rari i momenti in cui il

primo si trova nella situazione di dover trasmettere delle informazioni legate alla cura

ed all’aspetto generale dell’essere utente ricoverato oppure, ancora più

frequentemente, che il secondo si rivolga al primo instaurando un dialogo a tutto

campo, cioè spaziando su tematiche sociali o di attualità.

E’ evidente che queste tematiche di ampio respiro risultano molto importanti dal

punto di vista comunicativo ed educativo in quanto l’operatore viene chiamato in

causa come una persona che sa , conosce l’ambiente e le sue regole: in una parola, è

in grado di dare le risposte giuste. In questa situazione l’operatore assume un ruolo

educativo, quasi di maestro nei confronti del soggetto.

Si pone quindi il problema di chiarire quanto peso abbia il rapporto puramente

comunicativo all’interno della relazione educativa che si instaura tra operatore e

utente.

A tale scopo sono utili due precisazioni che riguardano:

gli elementi del comunicare

la trasmissione di significati.

Per quanto riguarda il primo punto, occorre ricordare che il soggetto si trova come al

centro di una triade relazionale dove esiste un complesso sistema di comunicazioni

interpersonali. La triade vede tre momenti significativi: utente/medici,

utente/operatori, utente/famiglia. Ognuno di questi momenti ha un terreno

comunicativo privilegiato, ma inevitabilmente connesso con gli altri. Ne consegue

però che tutte le comunicazioni che si incrociano all’interno di questa ipotetica triade

hanno un unico argomento: il corpo del soggetto o, meglio, la persona.

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In pratica, la persona paradossalmente cede il suo corpo agli operatori perché riceva

una diagnosi e, quindi, una terapia.

Ma il corpo, a sua volta, comunica e dà informazioni preziose che a volte la voce non

evidenzia chiaramente: è questo un livello di comunicazione molto profondo, quindi

molto importante e che ci deve far riflettere.

E’ necessario quindi prestare molta attenzione al linguaggio del corpo, che quasi

sempre ci rivela aspetti inediti.

COMUNICAZIONE EFFICACE

E’ evidente per quanto sin qui detto, l’importanza che l’operatore deve dare alla

comunicazione, a quali strategie deve ricorrere, quali strumenti utilizzare nel

tentativo di migliorare i suoi interventi. L’obiettivo che dovrà sempre avere è quello

di riuscire ad avere sempre una comunicazione efficace; per raggiungere questo

obiettivo è necessario:

- assunzione o interiorizzazione di comportamenti favorevoli alla

comunicazione;

- eliminazione di eventuali ostacoli.

Riferendosi al primo punto, è necessario auspicare che i comportamenti idonei da

adottare sono:

Ascoltare, questa è una delle prime importanti operazioni da mettere in atto per

favorire la comunicazione. Ascoltare significa mettersi al servizio dell’altro, per

dimostrargli che siamo ben disposti verso di lui e di ciò che dice.

Ascoltare significa anche capire più in profondità le motivazioni che spingono l’altro

ad aprirsi nei nostri confronti, gli danno la prova che siamo in perfetta sintonia

comunicativa con lui; perciò è bene controllare i nostri comportamenti non verbali.

Bisogna stare attenti a non fare due cose contemporaneamente (ad es. ascoltare e

scrivere).

Prestare attenzione ad usare le pause di silenzio, quando un assistito, specialmente

anziano, deve comunicare i suoi pensieri o le sue preoccupazioni, dobbiamo avere

cura di aspettare restando in silenzio, perché questo lo aiuterà a concentrarsi per

trovare le parole ma, gli farà comprendere che viene da noi accettato per quello che è.

Quando il nostro assistito sta parlando con noi, dobbiamo avere cura anche di

chiedere conferma di quello che ha detto, non tanto per far capire che è difficile

seguirlo ma, fargli arrivare il messaggio che siamo interessati a ciò che sta dicendo.

Quando questo avviene ricordiamoci che il messaggio che l’operatore fa arrivare è :

sono veramente interessato a te, tranquillizzati per me non sei un numero.

Gli elementi fin qui riferiti favoriscono la comunicazione, tuttavia risulta interessante

soffermarci anche sulle condizioni che ne ostacolano la comunicazione.

-non avere tempo per ascoltare tutto ciò che l’assistito ci vuole comunicare.

-essere sbrigativi negli incoraggiamenti, questo creerà ansia nell’assistito.

- impegnarsi a limitare i giudizi per le azioni sbagliate commesse dall’assistito.

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LA RELAZIONE CON LA PERSONA ASSISTITA

La personalità, il comportamento e la stessa struttura psichica dell’uomo si

sviluppano e realizzano in stretta correlazione con il contesto socio-culturale.

La dimensione sociale ha uno sviluppo notevole nello sviluppo della personalità.

Abbiamo parlato finora dell’importanza della comunicazione che coinvolge la nostra

personalità con le implicazioni emotive e sentimentali, adesso invece ci dobbiamo

occupare del ruolo sociale che può assumere la comunicazione, proprio come

categoria importante della società.

Il gruppo è per definizione un insieme di persone che si uniscono per raggiungere un

obiettivo comune.

Le leggi che governano i gruppi sono diverse e dipendono dai componenti e dal loro

numero, dagli obiettivi, dalle risorse, dalla gerarchia tra i membri. Tra questi occupa

uno spazio di rilievo l’aspetto comunicativo tra i componenti del gruppo. Possiamo

dire che la stessa vita del gruppo è fortemente legata alla comunicazione che in esso

avviene.

La comunicazione è uno degli elementi più importanti della vita del gruppo stesso, e

si confronta con tre regole:

- all’interno di ogni situazione le relazioni tra i partecipanti sono sempre regolate

da un leader;

- l’alleanza tra i componenti del gruppo crea potere;

- perché il gruppo continui a vivere è indispensabile che si osservino le regole.

Se ci fermiamo a riflettere su queste tre regole, ci rendiamo conto che la regola

presente in ognuna di esse è la comunicazione.

Nella prima infatti possiamo supporre che l’autorità del leader viene affermata a

seconda della sua capacità nel comunicare.

E’ vero anche che un leader nominato a livello istituzionale, molto spesso non viene

riconosciuto, il suo prestigio e la sua autorità vengono spesso contestate, attraverso

comportamenti apparentemente innocenti, ma in realtà molto pericolosi per il

funzionamento del gruppo stesso.

Nella seconda regola non possiamo immaginare un’alleanza sulle persone che non sia

basata sulle relazioni, sui cenni di consenso, sui sorrisi e sulle affermazioni verbali di

conferma. E’ evidente che le alleanze tra i vari componenti il gruppo sono quasi

sempre regolate dalla capacità di comunicare.

Il terzo aspetto è fortemente legato alla capacità del leader di rendere efficace la

comunicazione sulla possibilità che ogni membro senta il rispetto delle regole come

un forte dovere.

IL BISOGNO DELLA COMUNICAZIONE

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L’essere umano quando è inserito in un contesto sociale, manifesta uno dei suoi

principali aspetti legati alla sua natura: comunicare. Perciò se riconosciamo che

comunicare costituisce un bisogno, dovremmo soddisfarlo ogni volta che ne sentiamo

il bisogno.

Rogers ebbe giustamente a sottolineare che quando il bisogno di comunicazione nion

viene soddisfatto, si genera nella persona un sentimento di disperazione e di inutilità.

Pensate perciò ad un operatore che non è abituato a comunicare, egli difatti oltre ad

essere un erogatore di comunicazione è anche un fruitore visto che è costretto a

relazionarsi con il proprio gruppo di lavoro. Ci riferiamo ai frequenti colloqui che gli

operatori hanno tra loro o con altri colleghi per pianificare gli interventi a favore

dell’utente. E’ chi8aro che i continui contatti nel gruppo di lavoro possono

ingenerare sentimenti negativi, per cui è facile intuire come sentimenti di antipatia,

freddezza e disinteresse possano prendere il sopravvento sul bisogno di comunicare.

E’ fondamentale che l’operatore si impegni a far passare la comunicazione anche tra i

colleghi, così come con gli utenti ed i suoi familiari.

Per essere credibile deve dare tangibile segni proprio al destinatario delle sue cure,

ossia lo deve rassicurare che all’interno dell’èquipe c’è comunicazione. Questi

messaggi sono molto importanti sia per rassicurare l’assistito, sia per spingere

l’operatore a relativizzare eventuali dinamiche difficili nel gruppo.

E’ importante partire da una posizione che punta a valorizzare l’altro, la

comunicazione perciò è un’operazione abbastanza complessa che può essere definita

un”arte”, difatti se pensiamo alle che fanno grande uso della comunicazione nel

proprio lavoro,notiamo che sono molto attenti al tono della propria voce,le posture

del corpo , l’abbigliamento, senza lasciare niente all’improvvisazione. Del resto

partendo da questo punto di vista non è sbagliato fissare delle linee guida, da usare

come indicatore di massima nell’affrontare contesti comunicativi differenti.

I bambini preferiscono comunicare per metafore facendo ricorso, per esempio, alle

loro fantasie ed ai loro vissuti.,vanno dunque privilegiati: la conversazione ed il

gioco.

Con l’adolescente, in genere i problemi si moltiplicano per la loro caratteristica fase

di crescita e di crisi nelle scelte che lo accompagnano. L’operatore socio-sanitario che

abbia a che fare con loro deve sempre ricordarsi che manifestano la loro rabbia quasi

sempre sul piano comunicativo, pertanto loro devono porsi in una situazione di vera

comunicazione.

Quando gestiamo un anziano dobbiamo sempre tenere presente che le patologie

legate all’età alterano l’udito, oppure la voce. Bisognerà prestare attenzione ad evitare

situazioni di disturbo, rumori, suoni, adeguare la tonalità della voce alle reali sue

capacità.

Sarà importante considerare le sue capacità sensoriali, l’anziano che si accorge che i

suoi familiari sono presi da mille impegni di lavoro, sentirà una profonda solitudine e

senso di sconforto. Fondamentale sarà l’opera di mediazione utilizzata dall’operatore

perché da un lato dovrà attivarsi perché l’anziano non si percepisca come un inutile

peso e dall’altro fungere da filtro e da stimolo verso i familiari perché sottraggano del

tempo ai loro impegni per dedicarne di più al loro parente.

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L’operatore dovrà avere sempre cura di ricordarsi che l’anziano ha bisogno di parlare,

di comunicare perchè attraverso questo, lui riceve la conferma che esiste, e lo farà

parlando dei suoi ricordi, che per lui sono essenziali.

L’importante è ricordare che comunicare non significa comandare, bensì proporre,

consigliare, aiutare.

IL RAPPORTO INTERPERSONALE CON I FAMILIARI

L’assistenza al malato è un processo di relazione interpersonale nel quale l’operatore

aiuta un individuo, una famiglia, una comunità a prevenire la malattia e la sofferenza,

oppure aiutare a trovare un significato alla malattia.

L’ammalato deve potersi porre in maniera attiva nei confronti della sua malattia,

questo lo si può ottenere se l’operatore impronta il rapporto su atteggiamenti autentici

e trasparenti che possono suscitare la fiducia del paziente, egli durante la malattia

vive una situazione ed una esperienza che lo coinvolge profondamente dal punto di

vista sia fisico che psichico.

Lo stato di malattia può far regredire la persona, tanto da delegare la malattia alla

società. Gli operatori svolgono un ruolo importantissimo nel recupero del processo di

maturazione della persona malata, in modo che egli possa accettare la malattia come

momento diverso della vita.

Aiutare la persona a guarire significa anche mettere in atto tutte le tecniche di

competenza in modo corretto.

L’aspetto psicologico del paziente deve essere sempre tenuto presente. Ed è

importante ricordare che l’uomo conserva sempre il suo pieno valore personale,

anche da ammalato.; è evidente che l’aiuto prestato per superare la malattia, deve

essere rivolto oltre che all’aspetto fisico, anche alle manifestazioni psichiche emotive.

Possiamo facilmente dedurre come sia importante il ruolo dell’operatore perché viene

ad incidere profondamente sul benessere del paziente, questi sono importanti

interventi di tipo etico. Il rapporto con il paziente deve essere corretto in ogni

momento; il paziente si trova spesso in una situazione di inferiorità fisica e, a volte,

psichica, queste condizioni possono determinare l’instaurarsi di una poco corretta

relazione interpersonale.

Un atteggiamento troppo formale ad esempio può tradursi in una sensazione di

freddezza, ma anche un atteggiamento troppo familiare e confidenziale, può urtare la

suscettibilità del paziente, per questo è sempre utile chiedersi quale potrà essere

l’effetto delle parole che pronunciamo.

Quando in un sistema familiare si presenta lo stato di malattia di un congiunto, è

inevitabile che ciò comporti e crei un clima di grande tensione per i familiari.

Queste situazioni possono ingenerare in loro l’assunzione di comportamenti irritanti,

al punto da diventare da intralcio per l’assistenza quotidiana.

Di fronte a questa manifestata invadenza, l’operatore socio sanitario deve dimostrarsi

fermo nell’impedire che, questi comportamenti si traducano in un danno collettivo,

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anche non dovrà dimenticare di esercitare la sua pazienza, accompagnata da umana

comprensione. Non si esclude comunque la possibilità che l’operatore abbia ad

opporsi con grande fermezza, qualora dovesse trovarsi a contrastare comportamenti

incivili,nocivi anche per la serenità degli altri ammalati.

E’ buona norma contenere anche l’invadenza e la scorrettezza dei parenti, che per

ottenere delle prestazioni di riguardo per il loro congiunto, elargiscono regalie. E’

civile ricordarsi che non si possono sostenere certi comportamenti perché contrastano

fortemente con il principio dell’uguaglianza che è un caposaldo della nostra civiltà.

Le informazioni ai parenti è buona norma che le notizie, soprattutto quelle di ordine

clinico, siano fornite sempre da una stessa fonte autorizzata, questo ha il duplice

scopo di evitare eccessive notizie siano esse allarmistiche eccessivamente

ottimistiche.

Nel rapporto operatore- parente si incontrano o si scontrano due modi di essere. Il

familiare con il suo bagaglio di bisogni che desidera vengano soddisfatti, l’operatore

con il suo ruolo professionale non sempre privo di pregiudizi e a volte condizionato

da norme che creano difficoltà alla libertà dei rapporti. Per capire la dinamica dei

rapporti è importante comprendere prima di tutto se stessi, il proprio modo di essere,

perché l’etica delle relazioni umane è basata sul contributo che ognuno può dare con

la propria etica e intelligenza.

LAVORARE IN GRUPPO, LE DINAMICHE ALL’INTERNO DEL GRUPPO DI

LAVORO

Gli studiosi definiscono il gruppo come un insieme di individui che interagiscono tra

loro facendo riferimento a modelli comuni di comportamento che si ritengono parte

del gruppo inteso come un insieme omogeneo.

L’identità, il riferimento a modelli di comportamento comuni e il senso di

appartenenza sono i tratti che contraddistinguono il gruppo.

All’interno di ogni gruppo ognuno ogni componente ha uno status sociale intendendo

con questo la posizione che ognuno ricopre e l’insieme delle azioni che ci si aspetta

siano messe in atto nella interazione con gli altri.

Solitamente tutte le ricerche sia psicologiche sia sociologiche hanno sempre

dimostrato quanto sia importante per il lavoro del gruppo stesso, il clima che si

respira, le norme effettive che si dà, la sua coesione interna, la possibilità che i diversi

componenti possano risolvere costruttivamente eventuali conflitti o contrasti che

insorgono tra di loro.

I gruppi di lavoro sono gruppi strumentali intendendo con questo che hanno degli

obiettivi da raggiungere e che. sono assai diversi tipo quelli di divertirsi o di attività

ricreative, questi si chiamano gruppi di tipo espressivo.

I gruppi si distinguono anche in relazione al numero dei componenti; per un’attività

che richiede una fattiva collaborazione il numero migliore è quello di 4 o 5 membri,

perché in questo modo i ruoli si possono ripartire in modo che ci sia da parte di tutti

una maggiore responsabilizzazione rispetto agli obiettivi che bisogna raggiungere.

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I gruppi si distinguono anche in relazione alla coesione interna e possono essere

aperti o chiusi,e ancora possono essere omogenei o eterogenei.

Ogni gruppo da quello familiare a quello amicale ha una sua struttura, ogni membro

ha un ruolo.

Nel caso del “mobbing” la vittima ha appunto il ruolo del “capro espiatorio” dei

conflitti che esistono nel gruppo. In altre occasioni può accadere che un individuo

può ostacolare l’attività del gruppo, opponendosi al leader. In altri casi ancora può

accadere che un componente voglia mettersi al di sopra degli altri.

Spesso, soprattutto all’inizio di attività può accadere che i componenti entrino in

contrasto tra di loro. Se questi contrasti degenerano in conflitto aperto, allora può

succedere che ci sia lo sfaldamento del gruppo stesso.

Il gruppo deve riuscire a trovare modi e forme di organizzazione dei conflitti per

riuscire a valorizzare le diversità, nell’interesse di tutti i suoi componenti.

I modi in cui i componenti del gruppo stesso interagiscono e comunicano tra di loro,

configurano la struttura stessa del gruppo e le sue modificazioni determinano la sua

stessa dinamica.

Le reti di comunicazione di un gruppo sono perciò il modo in cui i suoi componenti

comunicano tra di loro e la qualità di ciò permetterà la sua stessa coesione.

Sebbene non esista una regola che permetta di creare il gruppo perfetto, dobbiamo

ricordare che opera in stretto contatto con gli altri, deve lavorare nel gruppo facendo

in modo che di,sostenendo il leader, di valorizzare e non appiattire il contributo degli

altri componenti,

All’interno di ogni gruppo ci sono degli individui che assumono sia spontaneamente,

sia per nomina, il ruolo di guida, questi hanno il compito di indirizzare gli altri al

raggiungimento degli obiettivi, essendo egli capace di richiamare gli altri al

riconoscimento e condivisione delle regole.

Il conduttore del gruppo può assumere stili di leadership assai diversi tra loro. Il

leader può esercitare una conduzione di tipo autoritario, ciò a dire che impone le

forme di comunicazione e di relazione. Altri stili sono invece democratici ed

autorevoli, in questo caso il conduttore assume comportamenti che favoriscono la

comunicazione reciproca tra i membri del gruppo, manifestando attenzione e rispetto

per le diverse idee, in modo da assicurare una partecipazione democratica.

Queste indicazioni sono particolarmente utili a chi lavora in servizi che si occupano

di aiuto alla persona; si è scoperto infatti che la stessa struttura comunicativa interna

ad un gruppo può agevolare la sua partecipazione a rendere il lavoro qualitativamente

efficace.

Nei gruppi possono prodursi fenomeni di distorsione interpretativa e decisionale, per

evitare che ci siano distorsioni interpretative, è necessario adottare strategie di analisi

come il problem-solving.

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METODOLOGIA DEL LAVORO PROFESSIONALE

Il lavoro in equipe e il Piano Assistenziale Individualizzato

L’équipe assistenziale

L’équipe assistenziale è formata da figure che collaborano fra di loro per raggiungere

insieme un obiettivo comune che consiste nel rispondere in modo soddisfacente al

bisogno dell’utente (anziano, handicappato, disabile psichico, ecc..). La persona esce

quindi dal ruolo di oggetto passivo dell’assistenza e si pone al centro del gruppo,

quale componente principale del team e al tempo stesso destinatario delle cure.

Il lavoro d’équipe

Il lavoro d’équipe è indispensabile per offrire un’assistenza che corrisponda sempre

più all’esigenze del paziente in quanto la multidisciplinarietà del gruppo fa sì che

l’individuo venga considerato non limitatamente alla sua patologia, al suo schema di

terapia o all’intervento assistenziale necessario, ma in modo globale perché l’uomo

deve essere valutato come entità unica anche se manifesta problemi e bisogni

differenti fra loro.

Figure dell’équipe assistenziale

1) Medico

2) Psicologo

3) Assistente Sociale

4) Infermiere Professionale

5) Fisioterapista

6) Operatore Assistenziale (OSS, OSA, OTA)

7) Animatore

8) Educatore Professionale ( nel caso l’utente sia un disabile psichico)

Il Piano assistenziale individualizzato

Il piano si articola in varie fasi:

- analisi del bisogno/ problema rilevato ( ad esempio l’incapacità del paziente di

alimentarsi da solo): la multidisciplinarietà del gruppo permette di analizzare il

problema nella sua completezza (l’incapacità del malato, ad esempio, può

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derivare da una limitazione organica, da inadeguatezza delle posate o da un

prolungato periodo di disuso delle attività perché imboccato da mesi dagli

operatori);

- individuazione del percorso assistenziale : lavorare per raggiungere l’obiettivo

(es. programmazione di sedute riabilitative all’uso delle posate) che può essere

* a breve termine: gli esiti dell’intervento sono riscontrabili nell’immediato;

* a medio termine: serve più tempo per verificare la bontà dell’intervento;

* a lungo termine: il progetto ha un lungo sviluppo e richiede molto tempo;

- individuazione di “ chi fa, che cosa”: la figura o le figure fissate durante

l’analisi del problema e la proposta del percorso assistenziale ( ad es. il

fisioterapista) vengono inserite nella pianificazione del progetto e viene

dettagliato inoltre il tipo di intervento che queste figure attueranno ( numero

delle sedute, durata e frequenza ecc…)

- definizione del momento di verifica: indispensabile per stabilire se la strada

intrapresa è quella giusta. La verifica viene eseguita dall’équipe che valuta

sempre la persona nella sua globalità ed i risultati potranno essere:

* raggiunti: in questo caso l’équipe codificherà l’intervento sperimentato (ad

es. dotazione per quel paziente di posate speciali), prevedendo verifiche a

lunga scadenza;

* parzialmente raggiunti: si valuteranno eventuali margini di miglioramento

in base agli obiettivi prefissati (es. il malato mangia da solo, ma con il cibo

sminuzzato);

* non raggiunti: occorrerà determinare se c’è stata errata valutazione del

problema, ed allora bisognerà riosservare il paziente, oppure adeguare

l’obiettivo di far alimentare il paziente, utilizzando altro tipo di cibo.

Materiale per la documentazione del proprio lavoro e passaggio di consegne

L’Operatore Socio sanitario dovrà condividere le informazioni raccolte con tutte le

figure professionali che a diverso titolo sono coinvolte nell’ assistenza.

Questo è un punto molto delicato nel processo di lavoro, perché ogni operatore deve

non solo prestare attenzione ai bisogni reali del suo assistito, ma soprattutto

condividere con gli altri tutte le informazioni che ha raccolto durante la giornata: ciò

avviene attraverso le consegne.

Le consegne rappresentano il momento di condivisione delle informazioni che

riguardano l’assistito, e sono essenziali per il concreto dispiegarsi del servizio.

In alcune realtà lavorative le consegne avvengono solo in maniera orale, in altre

invece si utilizzano delle note scritte su un’agenda o un registro di reparto.

In alcune strutture le consegne vengono fatte in maniera collettiva, anche alla

presenza degli assistiti, e si condivide tutto in maniera orale, in altre invece

consistono in annotazioni sintetiche sempre però supervisionati dalla caposala.

14

Gli strumenti utilizzati possono cambiare in relazione alla realtà operativa

(domiciliare o istituzionale); in particolare nell’ambiente ospedaliero gli strumenti

operativi utilizzati sono:

- Cartella Clinica: in essa sono raccolti tutti i dati anagrafici, anamnestici passati

ed attuali, esami clinici e strumentali, condizioni cliniche, trattamento e

risposta sulla sua efficacia. La cartella clinica è un documento legale sul quale

la Magistratura ha facoltà, qualora lo ritenga opportuno, di effettuare

accertamenti.

- Cartella infermieristica: è compilata dal personale infermieristico e raccoglie

tutti i dati utili nella pianificazione assistenziale.

- Grafici: sono fogli a schema grafico che rappresentano sinteticamente

l’andamento dei parametri vitali dell’assistito: temperatura, polso, pressione

arteriosa, respiro, diuresi ecc. La registrazione avviene ad orari standard nel

corso della giornata oppure, se le condizioni lo richiedano, più volte al giorno.

- Consegna infermieristica: è compilata quotidianamente ad ogni fine turno; su

di essa vengono segnalate osservazioni, tempi, interventi e la loro efficacia.

Chi la redige deve firmarla.

Nelle strutture territoriali le consegne consistono nella raccolta di tutte le

informazioni fornite dagli Operatori Socio Sanitari e dalle altre figure facenti parte

dell’èquipe di lavoro: esse vengono raccolte nelle schede di osservazione

individuale, strumenti, questi, importanti nelle discussioni d’èquipe.

Gli strumenti informativi di lavoro ( schede osservative, piani operativi e supporti

per le consegne quotidiane), devono essere puntualmente aggiornati, registrando

anche gli eventi rilevanti riguardanti l’ assistito, i familiari e gli altri soggetti che

con lui interagiscono.

Lavoro e riunioni d’équipe

La documentazione delle informazioni relative all’utente e degli interventi attivati in

suo favore, come si diceva, rappresentano uno strumento essenziale per il buon

funzionamento del servizio. La continuità del lavoro di cura si garantisce appunto con

quella modalità che è rappresentata da un buon passaggio di consegne: ciò permette

di comunicare le informazioni tra i vari membri dell’équipe.

Caratteristica principale dell’équipe è il metodo di lavoro seguito da ciascun

componente il gruppo in quanto ogni componente, attraverso il confronto con i

colleghi e con il coinvolgimento delle diverse professionalità, andrà alla ricerca,

ciascuno con il proprio sapere, della risposta più adeguata alla complessità del

problema.

15

L’ équipe è :

1) il momento della strutturazione del progetto che sarà condiviso con gli altri

operatori, anche nella fase attuativa;

2) il momento del confronto tra i diversi punti di vista. La molteplicità dei saperi e

delle ipotesi valutative arricchisce il sapere;

3) luogo di verifica del lavoro svolto.

Un buon gruppo di lavoro deve avere necessariamente una guida (leadership), che

avrà il compito di garantire:

1) la qualità del procedimento metodologico del lavoro (obiettivi, strumenti,

compiti, interventi, tempi di verifiche);

2) il coinvolgimento dei componenti;

3) la stima e la valorizzazione di ciascuna professionalità;

4) il mantenimento della “ tensione “ al risultato.

La nuova organizzazione dei servizi socio-sanitari e l’orientamento della legislazione

assistenziale considerano la dimensione interdisciplinare uno tra i principali fattori di

qualità del processo di cura.

Perché i servizi assumano queste caratteristiche, è necessario che il lavoro sia svolto

da operatori con adeguata professionalità e competenza, che sappiano capirsi nei loro

linguaggi specializzati, e che sappiano interagire con il lavoro che ciascuno svolge,

concordando obiettivi e modalità organizzative connesse con la realizzazione degli

obiettivi prefissati.

Questo modo di lavorare pone al centro le esigenze del soggetto e mette a sua

disposizione i saperi interdisciplinari e le differenti pratiche sociali, sanitarie e

riabilitative: lo scopo è quello di costruire un progetto e un programma comune.

Il lavoro di rete

La molteplicità dei servizi sociosanitari e l’insorgenza di problematiche più articolate

della popolazione possono frammentare le risposte, ma anche sovrapporre le

competenze professionali.

Perché alla persona sia offerta una risposta armonica, occorre che ogni servizio

interagisca con le altre realtà assistenziali coinvolte nella risposta al cittadino.

Si definisce “sistema” un insieme di elementi organizzati in vista di uno scopo. Il

“sistema a rete” è una particolare modalità operativa, fondata sulla comunicazione e

sul confronto tra i diversi soggetti del processo di aiuto.

Possono essere individuati quattro indirizzi nell’orientamento metodologico al lavoro

di rete:

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1) il lavoro di rete ad indirizzo terapeutico che considera la rete come una realtà

“curante”;

2) il lavoro di rete che, identificando le reti come risorse, configura un disegno

organizzativo tanto delle risorse istituzionali, quanto delle risorse naturali

(gruppi, aggregazioni);

3) il lavoro di rete che valorizza il privato sociale;

4) il lavoro di rete che valorizzi le reti naturali del soggetto, cioè i rapporti faccia

a faccia che fanno parte della sua storia.

Protocolli e piani di lavoro

La figura professionale dell’Operatore Socio Sanitario esplica la sua attività secondo

protocolli operativi predisposti dal personale sanitario e sociale della struttura presso

cui opera. Il protocollo operativo elenca e descrive le mansioni di competenza di

ogni operatore, dettagliando le procedure da mettere in atto nell’espletamento di ogni

attività e degli strumenti da utilizzare.

I piani di lavoro

I piani di lavoro riportano l’elenco delle attività che si svolgono, ad esempio, durante

i turni di lavoro. Questo strumento permette ai vari operatori di non lasciare nulla al

caso e di operare secondo indicazioni precise e standardizzate, evitando tempi morti

in alcune ore della giornata e un accumulo di attività in altre, dedicando un tempo

opportuno per lo svolgimento delle singole attività. In questo modo si ottiene che gli

interventi operativi non dipendano dalla maggiore o minore disponibilità o attenzione

del singolo operatore.

Questi strumenti rappresentano una guida che orienta il lavoro degli operatori, in

particolare si rivela utile quando non si possono fare dei passaggi di consegne

dettagliati.

La relazione di aiuto

Ogni operatore che lavora con persone in difficoltà è chiamato a vivere una relazione

interpersonale che consiste nell’incontro e nella comunicazione tra due o più persone.

Ciò che caratterizza la dinamica della relazione umana è l’interazione, ossia la

reciproca influenza dei soggetti che comunicano tra loro.

Nella relazione di aiuto diventa importante il rapporto umano che si crea tra chi soffre

e chi cerca di aiutare: il rapporto tra l’operatore e l’utente è la condizione essenziale

perché possa iniziare un lavoro di cura.

La relazione di aiuto è innanzitutto un “faccia a faccia” tra due persone che vivono

la dimensione del bisogno. La malattia, il dolore, la solitudine, la povertà sono eventi

che pongono interrogativi sia all’uomo che soffre, sia all’uomo che assiste, perché

17

noi sappiamo che ad un malato non si può rispondere solo con una buona terapia, o

ad un povero solo con un sussidio economico. Quando una persona porta il suo

bisogno, attende di essere riconosciuta nella sua globalità, e chiede agli altri di essere

attenti al suo dramma.

All’operatore è richiesta prima di tutto una “competenza umana” che lo porti alla

conoscenza dettagliata del problema e alla ricerca di tutti gli strumenti e le tecniche

utili a favorire il miglioramento della situazione di crisi. E’ con il modo di ascoltare,

di comprendere e di agire che noi “accogliamo” l’altro.

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata nel 1948 dalle

Nazioni Unite, che sancisce il “ riconoscimento della libertà inerente a tutti i membri

della famiglia umana e dei loro diritti uguali e inalienabili….tutti gli esseri umani

nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di

coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”…

Alla luce dei valori assoluti e dei diritti riconosciuti a livello internazionale possiamo

evidenziare alcuni principi fondamentali a cui si ispirano le professioni di aiuto:

1) Uguaglianza: il principio di uguaglianza non intende eliminare le differenze

culturali, storiche e personali degli uomini, anzi esso valorizza le caratteristiche

proprie di ogni individuo richiamando al diritto inviolabile di ciascuna

esistenza umana in tutte le sue espressioni ed aspirazioni. Nell’esperienza della

relazione di aiuto ciò significa creare, per ciascun uomo, tutte le possibili

opportunità che gli consentono la massima espressione della sua personalità e

dei suoi desideri.

2) Solidarietà: offrire aiuto a coloro che si trovano in stato di bisogno per far

crescere “la coscienza di sé”, perché aiutando concretamente l’altro si diventa

più consapevole delle proprie doti personali e della propria fragilità umana;

3) Responsabilità: imparare a prendersi a cuore l’interesse di chi ha bisogno, in

particolare ad occuparsi di chi è in difficoltà.

4) Coerenza: l’etica professionale dell’operatore trova riscontro nella sua

moralità, ossia nella ricerca personale del bene proprio ed altrui.

La posizione dell’operatore

Il riconoscimento dei valori sopra accennati porta l’operatore ad assumere una

posizione di :

- Accettazione: accogliere per intero la sofferenza della persona perché questo

permette di conoscere a fondo tutta la situazione. L’accettazione è

l’atteggiamento di ascolto attento della persona e della vicenda umana che sta

attraversando.

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- Valorizzazione dell’individuo: esiste un modo personale di vivere la crisi e di

superarla. L’operatore è chiamato alla scoperta dell’unicità della persona che

ha accanto ( da qui nasce il progetto personalizzato): solo così sarà favorita la

ricerca di un percorso migliorativo della qualità della sua vita.

- Riservatezza: nella relazione di aiuto l’operatore partecipa al dolore dell’altro

e garantisce la massima discrezione rispetto a quello che conosce e apprende.

E’ importante ricordare per questo il valore del segreto professionale. Esistono

oggi delle precise disposizioni legislative che obbligano i professionisti alla

tutela della privacy di ogni assistito.

- Disponibilità all’incontro: è riferito alla disponibilità che ogni operatore deve

avere ad accogliere ogni realtà per quella che realmente è, cercando di evitare

di restare intrappolato negli schemi.

- Disponibilità alla collaborazione: è riferito al rapporto con l’utente e con i

colleghi di lavoro, aspetto questo fondamentale ed indispensabile per garantire

una lettura quanto più completa possibile dei bisogni e di un intervento

multidisciplinare(lavoro d’èquipe).

Gli elementi che costituiscono la relazione d’aiuto

La relazione di aiuto si costituisce di molte componenti, questo insieme di elementi

rende poi “particolare” ogni intervento.

I soggetti (chi)

Generalmente negli ambiti lavorativi sono:

1) l’utente: chi beneficia del servizio, ossia coloro che usufruiscono degli

interventi degli operatori.

2) l’operatore: colui che attua il processo di aiuto. All’interno di un servizio gli

operatori impegnati nell’intervento di cura sono molti ( medici,infermieri,

operatori sociosanitari ecc).

3) l’amministrazione: il sistema istituzionale ed organizzativo che sostiene un

servizio: si costituisce di norme, ruoli e competenze, che permettono il

funzionamento di un servizio (Direttore, Responsabile Amministrativo,

personale amministrativo, Economo..).

Ogni componente è coinvolto nella relazione di aiuto o in modo diretto o in modo

indiretto, nel senso che l’operatore ha il rapporto diretto con il malato/utente, mentre

l’Amministrazione in modo indiretto attraverso il mantenimento delle condizioni

necessarie per lo svolgimento della cura.

I Contenuti (cosa)

Riguardano il tipo di difficoltà espressa dall’utente ( il bisogno) e il mandato

istituzionale del servizio ( la competenza).

Le problematiche complesse fanno emergere bisogni di diversa natura, ad esempio un

anziano affetto da demenza, comporta la vigilanza sui suoi comportamenti, la cura

19

della sua persona, la vigilanza e la sicurezza degli ambienti per la tutela della sua

incolumità, il sostegno alla sua famiglia.

E’ evidente come in questi casi sia fondamentale farsi carico dei problemi nel loro

insieme e dunque importante il lavoro d’èquipe.

Gli Obiettivi (perché)

La finalità del lavoro di cura è il cambiamento, intendendo con questo la ricerca della

modifica delle condizioni: l’operatore nel lavoro di cura deve attivarsi per far

intravedere all’altro la possibilità di trovare delle buone soluzioni, anche dove è

difficile. Certamente bisogna sempre ricordarsi che le soluzioni offerte non solo

devono essere realistiche, ma anche realizzabili con le risorse esistenti.

Le Modalità (come)

Intendiamo l’insieme degli strumenti professionali utilizzati nello svolgimento della

cura (la comunicazione con gli altri operatori), le abilità e l’accudimento del malato

(abilità di nursing) per favorire il benessere psico-fisico della persona.

Il Contesto (dove)

Ci riferiamo all’ambito in cui avviene la relazione di aiuto, che può essere il

domicilio, l’Istituto o i servizi residenziali e semiresidenziali. Il contesto è costituito

anche dall’insieme dei rapporti umani che si creano in un determinato ambito, che

non è solo strutturale, ossia il luogo fisico.

I Tempi(quando)

Si intende la durata del progetto e delle singole prestazioni: nella stesura del progetto

vengono stabiliti gli obiettivi, ma anche le verifiche e la scadenza del progetto, ciò

viene stabilito a seconda della complessità del caso.

Essi si possono definire:

di breve termine: i tempi utili perché l’operatore sia accettato dal paziente;

di medio termine: si prevede il tempo di qualche settimana perche si strutturi

una relazione tra operatore e paziente;

di lungo termine: si ipotizza che il rapporto per consolidarsi abbia bisogno di

qualche mese, e quindi solo dopo questo tempo si potranno verificare i benefici

dell’intervento e la soddisfazione del paziente.

E’ importante che l’operatore dedichi il giusto tempo a stare con il paziente;

concludere frettolosamente un intervento assistenziale può trasformarsi in una

mancanza di rispetto anche delle sue sofferenze.

Le Risorse (con che cosa)

Al fine di fornire un valido aiuto è necessario individuare alcuni tipi di risorse:

naturali (l’ambito fisico dove si vive);

umane ( le caratteristiche di ogni persona , le loro capacità e le loro carenze);

materiali (l’insieme dei beni di consumo);

finanziarie ( il capitale a disposizione per poter realizzare un’azione di aiuto);

20

istituzionali (gli Enti).

La relazione d’aiuto nell’assistenza domiciliare

La relazione di aiuto che l’operatore mette in pratica può essere utilizzata ad esempio

nel lavoro che realizza l’assistenza domiciliare.

L’assistenza domiciliare è per definizione un servizio di sostegno alla persona ed alla

sua famiglia, si tratta perciò di un servizio qualificato che si riceve al proprio

domicilio. Il soggetto dell’assistenza domiciliare è l’utente nella sua casa. I

professionisti sanitari e sociali che intervengono nel processo di aiuto domiciliare

orientano i loro interventi riconoscendo sempre le capacità individuali e familiari.

La peculiarità della cura domiciliare è la casa, e bisogna ricordarsi che è lì che si

conserva tutta la storia e la memoria della persona. All’interno della casa la persona è

protagonista degli avvenimenti e delle relazioni e quindi in questo caso, a differenza

della struttura residenziale, l’operatore è l’ospite.

Se l’aspetto dell’utilizzo della casa da parte di un operatore richiede una familiarità

che deve tranquillizzare la persona, pensate quanto sia ancora più impegnativo per

l’intimità che viene richiesta nella pulizia e nella cura del corpo.

Accudire il malato nella sua casa, provvedendo ogni giorno alla pulizia del suo corpo,

alla preparazione dei pasti, alla pulizia degli ambienti, porta a sviluppare grande

confidenza e fa dunque crescere un legame affettivo. Un tale investimento emotivo

può procurare sofferenza al momento del distacco per la fine della prestazione, ed è

proprio per evitare che ciò accada che ogni operatore deve avere cura che il suo

lavoro sia caratterizzato da un atteggiamento di disponibilità, ma non di eccessiva

familiarità.

La cultura della domiciliarità valorizza il punto cardine di tutto il percorso

dell’assistenza domiciliare, cioè la famiglia, pertanto bisogna prevedere sempre delle

forme di supporto che possano alleviare l’onere ed il sovraccarico del peso di chi

assiste.

Perché l’assistenza domiciliare si possa realizzare è indispensabile l’esistenza di

variabili quali l’accettazione, da parte dell’utente, di operatori che gli offrono il loro

aiuto.

Nel contesto domiciliare l’operatore è impegnato a mantenere un difficile equilibrio

tra l’autonomia organizzativa professionale e la ricerca di un confronto. La

complessità di alcune situazioni di cura richiedono all’operatore la necessità di

confrontarsi con le altre figure professionali coinvolte nel processo di cura.

L’appartenenza ad un’èquipe è un sostegno efficace per l’Operatore Socio Sanitario,

perché questo lo aiuta a sottoporre al vaglio ed al confronto gli eventi critici, e

21

dunque ricevere conforto ed indicazioni sui modi più idonei da utilizzare

nell’affrontarli.

L’OSS a sua volta dovrà costantemente riferire tutte le notizie o i rilievi importanti

per una corretta assistenza, eventualmente anche per modificare il progetto

assistenziale.

Dal punto di vista operativo l’OSS a domicilio dovrà avere particolare cura

nell’igiene della persona e del suo ambiente.

Controllerà, insieme all’assistito ed eventuali familiari, la funzionalità degli spazi e

degli arredi. Per esempio verificherà:

. se il letto si trova alla giusta altezza;

. se è necessario un letto con le sponde;

. se i cuscini ed il materasso sono adatti;

. se sono necessari ausili per la deambulazione;

. l’ergonomia delle sedie;

. l’illuminazione (anche notturna);

. eventuali fonti di rumore;

. lo stato dei pavimenti ;

. lo stato dei servizi igienici e della doccia o vasca da bagno (es. presenza di

maniglioni per sollevarsi, tappetini antisdrucciolo ecc..).

L’O.S.S. verificherà che l’assistito segua scrupolosamente le terapie prescritte,

segnalando immediatamente qualsiasi dubbio di effetto collaterale e qualsiasi

variazione dei parametri della salute eventualmente riscontrati; egli cercherà il più

possibile di coinvolgere attivamente l’assistito, salvaguardandone e sviluppandone

l’autonomia residua e sarà particolarmente attento alle esigenze di socializzazione.

Il Rapporto interpersonale

L’operatore aiuta un individuo, la sua famiglia e la comunità a cui esso appartiene,

non solo a prevenire la malattia ma, soprattutto, quando gli fornisce assistenza e

quindi struttura una buona relazione , può sapientemente incidere sull’accettazione

della malattia. L’ammalato difatti deve acquisire un atteggiamento attivo nei

confronti della sua malattia, ecco perché diventa importante la qualità della relazione:

perché essa diventi produttiva è necessario sviluppare atteggiamenti di autenticità e di

empatia.

Solo un atteggiamento autentico e trasparente può suscitare fiducia nel paziente, ciò

gli permetterà di abbassare le sue difese e dunque manifestare meglio i suoi bisogni.

22

Si può parlare di rapporto empatico quando l’operatore svilupperà la capacità di

calarsi nei panni dell’altro, evitando di esprimere giudizi, quando ciò accade

possiamo essere certi di aver compiuto una buona operazione terapeutica.

Entrare nella prospettiva della relazione di aiuto permette dunque permette di tradurre

in pratica il principio del rispetto dell’altro.

Nel contesto delle relazioni di aiuto rientra anche il counseling che presenta una

chiara connotazione educativa, perché è una strategia di aiuto più profonda, in quanto

la competenza di colui che lo attua sta nel far emergere le potenzialità della persona

che ha di fronte, di far emergere i residui delle sue competenze e attraverso ciò farla

crescere.

Nelle situazioni di particolare solitudine che spesso vivono gli anziani, è importante

che l’operatore abbia buone capacità di ascolto. Il parlare, specialmente per l’anziano,

è un esercizio utile per il recupero delle sue funzioni intellettive, ma è importante per

l’operatore tenere presente che il suo ascolto deve essere partecipato.

I soggetti dell’assistenza

Diamo un breve cenno a quelli che sono i diversi tipi di utenza con cui l’operatore

socio sanitario dovrà interagire. Bisogna ricordare sempre che ogni utente è diverso

dall’altro: esistono informazioni teoriche che possono orientare l’operatore, ma la

relazione va costruita soggetto per soggetto sulla base della relazione.

L’età evolutiva

La psicologia dell’età evolutiva affronta lo studio dei cambiamenti che avvengono dal

concepimento alla maturità, passando attraverso specifiche fasi: infanzia,

preadolescenza e adolescenza.

Questi particolari periodi della vita corrispondono a tappe specifiche caratterizzate

da modificazioni fisiche, psichiche e cognitive.

Nel periodo dell’infanzia il bambino attraversa alcune tappe importanti per la

formazione dei tratti fondamentali della sua personalità.

Il periodo della preadolescenza è caratterizzata da una crescita fisica brusca e

disomogenea.

Da tale fase si sviluppa il periodo che avvia l’individuo verso l’età adulta:

l’adolescenza. Spesso come conseguenza della crescita, si determinano negli

adolescenti problematiche relative all’identità corporea ed allo sviluppo sessuale. In

questo periodo si assiste alla ribellione verso la famiglia ed al risveglio della

sessualità

L’età anziana

23

L’invecchiamento è un processo naturale, anche se fenomeno estremamente variabile

a seconda dei fattori che concorrono a far invecchiare un individuo.

I fattori che influenzano la qualità del processo di invecchiamento sono:

1. fattori biologici : predisposizione alla longevità, malattie avute nel corso della vita;

2. fattori ambientali: problemi economici, abitazione igienicamente adeguata ;

3. fattori cognitivi: l’esercizio migliora e mantiene le abilità mentali. Nell’anziano

sano le perdite che riguardano la memoria o la velocità della risposta, non

impediscono una buona attività mentale;

4. fattori psicologici: crisi di identità dovuta all’età avanzata. Con l’abbandono del

lavoro si perde il proprio ruolo, per cui bisogna abituarsi ad accettare il vuoto creato

dalla mancanza di obiettivi;

5. fattori sociali: una buona salute fisica, psichica, una florida situazione finanziaria,

la possibilità di condurre una vita sana dal punto di vista igienico permettono

all’anziano di raggiungere quella serenità mentale necessaria.

La diversità

Le principali fonti di diversità che possono interessare un OSS riguardano:

- disabilità e malattie invalidanti;

- condotte devianti;

- tossicodipendenza;

- alcoolismo.

L’appartenenza a queste categorie comporta la possibilità di emarginazione dalla vita

lavorativa, sociale ed affettiva ed un conseguente senso di disagio e disadattamento

che a volte può peggiorare la situazione esistente.

Disabilità e riabilitazione

Le disabilità permanenti sono in progressivo aumento nel nostro paese; si assiste

difatti ad un particolare aumento delle menomazioni e disabilità degli eventi

patologici quali le affezioni cardio e cerebrovascolari, le demenze, le affezioni

traumatiche degenerative dell’apparato muscolo scheletrico, le patologie

neuromotorie.

L’incidenza della disabilità risulta aumentare con il progredire dell’età.

Nelle classi più giovani di popolazione si evidenzia una aumentata frequenza di

disabilità gravi, a seguito della sopravvivenza ad eventi che in passato sarebbero stati

causa di morte (gravi traumi e politraumatismi della strada e del lavoro, le neoplasie,

ecc…)

24

Ancora più rilevante è il fenomeno delle disabilità temporanee, pertanto bisogna

organizzare delle buone risposte di intervento allo scopo di impedire che da una

condizione di menomazione si giunga ad una forma di handicap stabilizzato.

Il Piano Sanitario Nazionale, in risposta a questi bisogni, ha previsto il

potenziamento di una rete di servizi per portatori di handicap, specie a ciclo diurno,

preposti al recupero dei disturbi neuro psicopatologici e delle limitazioni funzionali.

La rete dei servizi per i portatori di handicap deve essere molto ampia e abbracciare

più ambiti. Le risposte da assicurare devono essere inerenti a problemi:

. di carattere sanitario;

. relativi alla vita in famiglia;

. all’inserimento lavorativo;

. all’inserimento scolastico;

. all’impiego del tempo libero;

. alla formazione professionale;

. all’impiego di ausili, di mezzi di trasporto;

. alle barriere architettoniche ecc.

I servizi residenziali

L’inserimento del portatore di handicap nei centri residenziali può venire adottato

quando non ci sono interventi alternativi praticabili, in quanto i bisogni della persona

sono di una complessità tale da richiedere un intervento assistenziale continuativo, o

per il venire meno del supporto familiare.

I centri residenziali curano la persona con handicap e il rapporto con la sua famiglia.

Le comunità alloggio

Sono strutture a connotazione familiare che ospitano piccolo gruppi di persone con

handicap, ciascuna delle quali è autonoma nella risposta ai propri bisogni.

Anche queste strutture, così come i centri residenziali, sono collegate ai servizi

sociali e sanitari presenti sul territorio. Esse rappresentano una soluzione alternativa

all’accoglimento nei centri residenziali e consentono, fintanto che le condizioni della

persona lo permettono, di non allontanarla dal suo contesto ambientale .

I servizi semiresidenziali

I centri educativi occupazionali diurni sono strutture che ospitano persone con

handicap le cui funzioni sono molto compromesse. Al loro interno vengono svolte

attività finalizzate al miglioramento dell’autonomia del soggetto nell’alimentazione,

l’igiene personale, la vestizione e la svestizione, a favorirne la socializzazione e a

migliorarne le funzioni cognitive attraverso attività occupazionali.

Centri di formazione professionale

Vi sono poi dei centri in cui vengono svolti dei corsi di formazione professionale,

finalizzati all’apprendimento di abilità specifiche la cui acquisizione dovrebbe

facilitare l’inserimento in ambito lavorativo.

25

Lo Stato Italiano il 5 febbraio 1992 ha varato la Legge n. 104 “ Legge quadro per

l’Assistenza, l’Integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”

Stress e burnout

Gli operatori delle professioni sociali svolgono un’attività particolarmente delicata,

in cui è importante offrire calore, partecipazione ed empatia. Tutto questo comporta

notevoli capacità umane, molta pazienza ed un solido equilibrio personale. Ma la

capacità più cruciale è il senso della misura, cioè saper entrare empaticamente nella

relazione facendo sentire all’assistito la propria presenza affettiva ed emotiva, ma

sapendo anche porre un limite oltre il quale non è conveniente lasciarsi coinvolgere:

non lo è perché oltrepassare i limiti della propria professionalità, trasformando la

relazione d’aiuto in un supporto amichevole o intimo, non fa bene né all’operatore né

agli assistiti. Gli operatori devono poter essere intercambiabili senza grossi traumi

per l’assistito.

Un atteggiamento di eccessivo attaccamento, inoltre, è controproducente per

l’operatore poiché ha più persone da assistere: se eccede nel coinvolgimento emotivo

potrebbe ritrovarsi in una situazione di eccessivo stress.

Lo stress è uno stato che si manifesta quando una persona è sottoposta dall’ambiente

a pressioni (sia positive che negative) alle quali non riesce più a far fronte se non

mettendo in atto una serie di risposte di emergenza. Ciò richiede un cambiamento

delle risposte dell’organismo da più punti di vista:

- fisiologico (attivazione corporea con aumento delle attività del Sistema

Nervoso Autonomo);

- cognitivo (valutazione della situazione e pianificazione delle risposte);

- emotivo (vissuti di emozioni sia negative che positive);

- comportamentale (la risposta è di tipo adattivo e tende a ristabilire

l’equilibrio).

L’uomo dunque riesce a mantenersi in salute se le sollecitazioni dell’ambiente sono

proporzionate alla sua capacità di risposta: sollecitazioni protratte nel tempo portano

alla fase di esaurimento, cioè l’organismo non è più in grado di far fronte alla

situazione stressante e quindi subentra il rischio di burnout.

Per burnout si intende uno stato di esaurimento, di insoddisfazione sia lavorativa che

psicologica, una modalità forzata di adattamento a situazioni lavorative

insoddisfacenti e stressanti.

Letteralmente si può tradurre con “ scoppiato”, “bruciato”, “cortocircuitato”, il

lavoratore esegue le proprie mansioni svogliatamente, con grande fatica, senza

entusiasmo.

26

E’ evidente la necessità di evitare una condizione simile, sia per la salvaguardia della

propria salute che per la corretta esecuzione del proprio lavoro.

Se ci si trova in uno stato di insoddisfazione e in prossimità di un possibile crollo,

non è opportuno stringere i denti e andare avanti ma è necessario fermarsi e prendere

consapevolezza dello stress.

Si riportano una serie di segnali che possono indicare uno stato di stress:

. palpitazioni;

. instabilità emotiva;

. incapacità a concentrarsi;

. stanchezza;

. ansia;

. tremori e tic nervosi;

. insonnia;

. irrequietezza;

. disturbi digestivi;

. emicrania.

Per ridurre la tensione sono possibili alcuni di questi accorgimenti:

1) risposte focalizzate sul problema (si tratta di analizzare le condizioni di stress);

2) metodi di rilassamento (cercare di stare da soli rilassando i muscoli, attivando

immagini positive);

3) esercizio fisico (il movimento è un’ottima valvola di scarico per le tensioni);

4) dialogo interno (discorsi da fare a se stessi per controllare l’ansia).

Anche le letture appropriate possono aiutare ad acquisire tecniche di autocontrollo e

di rilassamento. E’ importante ricordare che dobbiamo essere noi a gestire le

situazioni e non devono essere le situazioni a gestire noi.

INTERVENTI SOCIALI NEI CONFRONTI DELL’ANZIANO

La letteratura sulla condizione anziana ha sviluppato nel corso degli anni 80, la

tendenza a sottolineare con enfasi il legame tra condizione anziana,benessere e

relazioni sociali.

In particolare è stato rilevato che una rete di relazione informale, come il vicinato o

quello delle amicizie, costituiscono una risorsa che permette all’anziano di soddisfare

27

i bisogni di protezione, sicurezza ed appartenenza e che riduce i rischi di

istituzionalizzazione.

Il termine “condizione anziana” non definisce una realtà uniforme, perché occorre

distinguere tra terza e quarta età, fra persone autosufficienti e persone che hanno

avuto l’impatto con il cosiddetto “evento critico”.

Anche le variabili di status socio- economico hanno rilevanza nel differenziare le

condizioni di vita di gruppi sociali omogenei per quanto riguarda l’età. Il sesso e le

collocazioni sociali occupate durante la vita attiva sono altri elementi che definiscono

una stratificazione cui corrispondono modelli di comportamento, stili di vita e di

relazione differenti.

In una società soggetta ad un rapido invecchiamento, ci sono gli anziani che si

prendono cura anche degli altri, in questi casi possiamo parlare di grande utilità

sociale ma, ci sono quelli che sono esposti al rischio dell’isolamento., condizione che

conduce facilmente alla solitudine totale. Questo rischio diventa realtà quando si

verificano eventi traumatici ( morte del coniuge, incidente, malattia socio-

economiche non so, quando le condizioni no adeguate ,quando gli anziani sono

costretti ad abbandonare l’ambiente nel quale hanno sempre vissuto e vengono

“istituzionalizzati”, quando le relazioni familiari non sono buone.

Occuparsi dei soggetti anziani significa non solo lavorare per gli altri ma, significa

anche agire affinché si instauri una nuova cultura rispondente ai diritti fondamentali

dei cittadini, del resto anche l’art. 3 della Costituzione dice che tutti i cittadini hanno

pari dignità sociale. E sono uguali davanti alla legge. Perciò coloro che rispettano

veramente la dignità del cittadino anziano non lo chiamano “nonno”, “nonnino” o

“vecchietto”, ma con il suo cognome e gli eventuali titoli,non gli danno del tu, se non

è richiesto, non lo apostrofano con il nome della malattia, non o individuano con un

numero quando è ricoverato.

L’Italia è il paese europeo con la più elevata velocità d’invecchiamento della

popolazione per cui la fascia più fragile aumenta esponenzialmente dopo i 75 anni.

A cavallo tra gli anni 60 e 70, si aveva una pessima considerazione delle strutture

residenziali, considerate prevalentemente per il loro carattere segregante;ma è proprio

in questo periodo che venne promossa la ricerca di forme di servizio socio-

assistenziale orientate maggiormente alla territorialità degli interventi.

E’ in quegli anni che il servizio di assistenza domiciliare comincia a svilupparsi al

punto da diventare uno dei servizi cardini del sistema socio-assistenziale.

L’assistenza domiciliare, infatti diventa una delle soluzioni più convenienti dal punto

di vista dell’efficacia e dell’efficienza dei risultati. Sotto il profilo qualitativo i

vantaggi di questo tipo di servizio consistono nell’assistere i pazienti senza

allontanarli dal proprio domicilio, ciò consente di mantenere le relazioni sociali e

ambientali abituali.

LAVORARE CON GLI ANZIANI, IMPATTO E MOTIVAZIONI DEGLI

OPERATORI

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Parlare di istituzionalizzazione, di ingresso nelle strutture di accoglienza significa

definire la portata che tale passaggio/ingresso determina nell’anziano e nel suo

sistema familiare.

Penso sia utile prima di ogni cosa considerare quello che rappresenta la struttura che

accoglie, ovvero una specie di contenitore, in grado di contenere tutto ciò che in esso

viene immesso, dai bisogni fisici ai vissuti emotivi.

L’operatore socio-sanitario è quella figura professionale che, all’interno delle

strutture di accoglienza (case di riposo,case protette, RSA), viene unanimemente

riconosciuta come un componente centrale dell’ossatura della struttura.

L’OSS è considerato la colonna portante, non solo per il consistente numero presente

ma, soprattutto per il tipo di compito che gli viene assegnato: dall’alzata dal letto alla

deambulazione in struttura, dall’igiene personale, all’assunzione dei pasti,

dall’ascolto delle richieste, alla proposta delle varie attività sociali.

Se osserviamo e definiamo i compiti loro assegnati, appaiono una serie di

competenze che si possono acquisire con la formazione e l’esperienza; invece per la

natura stessa del compito viene richiesto all’OSS di riconoscere i bisogni primari

dell’anziano ed il relativo soddisfacimento che, può realizzarsi esclusivamente

attraverso una relazione profonda.

L’OSS difatti diviene ben presto per l’anziano un riferimento pieno di significati

affettivi, questo determina una continua ricerca di una sintonizzazione, che non deve

essere di eccessivo coinvolgimento confusivo, ma neanche di eccessivi atteggiamenti

di “distanza”.

La relazione di aiuto con la persona affetta da demenza

La demenza senile è tra le forme di patologia più frequenti nella popolazione anziana.

Con il termine demenza si indica una malattia del cervello che comporta la

compromissione delle facoltà mentali: memoria, ragionamento e linguaggio.

Il primo sintomo è legato alla perdita, inizialmente parziale, della possibilità di

ricordare gli avvenimenti recenti, poi si associano altre alterazioni della personalità e

deficit delle funzioni cognitive. Compare l’apatia, diminuisce la capacità di fare

ragionamenti, il paziente perde l’interesse per l’ambiente e per gli altri, diventa più

aggressivo e sospettoso. Il malato comincia a manifestare una progressiva incapacità

a svolgere i compiti prima a lui familiari: questo provoca nel malato depressione ed

ansia rispetto al futuro, perché riconosce che vengono meno le sue capacità.

La famiglia, dal canto suo, di fronte a questi eventi destabilizzanti mette a dura prova

le sue dinamiche affettive, anche perché il continuo bisogno di cure richiesto

impoverisce le risorse del caregiver (familiare che aiuta); risulta evidente quale

importanza assumano i servizi che con le loro offerte supportano fattivamente chi è

impegnato nella cura.

L’Assistenza domiciliare, il Centro Diurno, il ricovero di sollievo, la Casa di Riposo,

La Casa Protetta, possono essere forme di sostegno diversificato alla famiglia.

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La demenza, per la sua complessità, richiede necessariamente l’intervento

professionale multidisciplinare ( medico, geriatra, fisiatra, psicologo, assistente

sociale, educatore, infermiere, fisioterapista, animatore, operatore socio sanitario).

L’èquipe multidisciplinare deve avere la capacità di mantenere viva la collaborazione

tra i servizi istituzionali e territoriali.

Per offrire cura al malato di demenza è importante considerare alcuni principi:

- Conoscere il paziente con la sua storia: le informazioni sulle caratteristiche

personali del paziente aiutano ad affrontare le numerose implicazioni

psicologiche della malattia e l’individuazione di proposte a lui gradite.

- Accogliere il malato e la sua famiglia: il personale impegnato nell’assistenza

dovrà essere ben preparato a livello di relazione empatica. L’accoglienza è una

modalità dell’intervento, non una tappa che segna l’inizio di un percorso

assistenziale, pertanto si tratterà di essere sempre disponibili e pazienti e di

saper tollerare alcune manifestazioni particolari del comportamento del malato

quali il disordine e la confusione.

- Accompagnare il paziente nelle azioni quotidiane: stimolare con delicatezza

tutte le capacità residue, valorizzando i successi, tralasciando i fallimenti.

L’operatore non deve avvilire il malato con proposte o troppo facili o troppo

difficili, e non deve sostituirsi a lui se non è strettamente necessario.

- Ri-orientare il malato alla realtà: l’esperienza che maggiormente aiuta nel

rapportarsi alla realtà è la relazione interpersonale che può permettere un

riconoscimento di sé attraverso la percezione dell’altro.

- Dare valore a tutto ciò che accade: le difficoltà nella comunicazione verbale

richiedono l’attenzione dell’operatore ad ogni segnale di cambiamento di

risposta, di rimanere attento a ciò che non ha voce.

- Riferirsi ad un progetto individualizzato: il progetto deve evidenziare le

priorità e i livelli dell’intervento, perché ogni singolo intervento deve essere

sempre rapportato al lavoro condiviso con l’équipe.

- Essere parte di un gruppo di lavoro: l’appartenenza ad un gruppo di lavoro è

un supporto importante per l’operatore che è a continuo contatto con il malato,

perché la gestione di alcune manifestazioni della demenza (vagabondaggio,

alterazione sonno/veglia) causano nell’operatore affaticamento fisico e

psicologico.

Il lavoro di assistenza alla persona morente

Il lavoro di cura del paziente demente è sicuramente un’esperienza professionale

ricca di affettività che deve favorire la continua ricerca di conoscenza e di

motivazioni.

L’operatore socio sanitario che svolge il proprio lavoro presso le case di riposo, le

strutture ospedaliere, i servizi domiciliari, è spesso coinvolto nell’assistenza della

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persona prossima alla morte e quando questo accade, l’impegno professionale

richiesto è sicuramente molto profondo.

Trovarsi di fronte ad un paziente morente costituisce per l’operatore un’occasione di

ricerca di senso in termini personali e professionali: specialmente per chi ha già

vissuto esperienze di lutto, sarà inevitabile un coinvolgimento emotivo che porterà ad

avvicinarsi ancora di più a chi soffre.

Non è facile assistere alla morte del paziente alla fine di un lungo lavoro di cura. Nel

lavoro assistenziale verso il morente l’operatore deve avere cura di far accettare la

vita vissuta al malato, mirando a renderlo consapevole dell’inevitabilità di quello che

accade, ciò al fine di far maturare un atteggiamento di serenità verso il momento del

distacco dalla vita terrena.

L’operatore potrà realmente strutturare una relazione di aiuto solo se adotterà

comportamenti che lo portano ad osservare ed ascoltare i desideri del malato.

Nella relazione di aiuto con il malato terminale si può tenere conto di tre momenti

che segnano un possibile percorso di maturazione.

1) Presa d’atto della diagnosi, della prognosi e dei drammatici sentimenti che ne

derivano (conflitto interiore e contraddittorietà nei rapporti con i familiari).

2) Riconoscimento dei propri vissuti di tristezza e di paura dovuti all’insorgenza

della malattia e delle sua implicazioni.

3) Accettazione della malattia e consapevolezza della fase finale dell’esistenza.

Il malato ha bisogno di trovare comprensione e condivisione per la sua sofferenza,

ecco perché occorre una vicinanza discreta che favorisca nell’altro la fiducia di farsi

accompagnare.

Il lavoro di chi assiste potrà rinforzare:

- il senso di identità del malato;

- il legame del paziente con la sua famiglia (o con altre figure significative);

- il significato positivo della realtà, pur drammatica, che vive il malato.

L’intensità emotiva ed affettiva che si crea con il malato e la sua famiglia rende

necessaria un’èquipe multidisciplinare che possa fare da cuscinetto e sostegno degli

operatori quotidianamente impegnati nella cura.

Nella cura del paziente nella fase terminale assume un importanza fondamentale il

ruolo e anche la sofferenza degli stessi familiari che, necessariamente, avranno

bisogno di essere supportati nella ricerca sia delle motivazioni sia del sollievo.

Anche dopo l’evento luttuoso la famiglia dovrà affrontare l’elaborazione della

scomparsa, per questo bisognerà prevedere per loro dei servizi o interventi che li

supportino nella ripresa.

Bisogna tenere sempre presente che l’esperienza della morte è sempre unica, ciò

significa che la presenza di tante variabili impedisce che l’esperienza possa essere

standardizzata.

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Il paziente affetto da disturbi psichici

E’ difficile dare una definizione di malattia mentale, considerata la varietà di

patologie, dalle più lievi alle più invalidanti,

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OSM) fornisce dei dati che dimostrano che

l’intero sistema sociale è coinvolto. La frequenza del malessere psichico dimostra

quanto la nostra società sia impregnata di malessere, sicuramente legato a questioni

esistenziali e sociali.

Quasi tutti gli individui, nella loro esistenza, hanno sperimentato sentimenti di ansia,

vissuto momenti di depressione o periodi caratterizzati da paure immotivate, pensieri

di tipo ossessivo o piccole fobie.

La maggior parte delle persone impara a convivere con queste sensazioni, ma si

presume che in alcuni esista un certo grado di vulnerabilità che rende il terreno fertile

al punto che si può sviluppare la malattia.

In conclusione lo stato psichico è il risultato del concorso di molti fattori.

I disturbi psichici si possono dividere in:

- disturbi del carattere (narcisismo, tendenza alla pignoleria ecc..);

- nevrosi (sofferenza ed adesione alla realtà);

- psicosi (distacco dalla realtà come nelle schizofrenie);

- disturbi dell’umore (depressione semplice o alternata a momenti maniacali ).

Nei disturbi del carattere, nelle nevrosi e nelle depressioni il paziente è in grado di

badare a se stesso e di avere una vita sociale soddisfacente.

L’intervento dell’Operatore Socio Sanitario è necessario nei casi in cui la patologia

rivesta un grado di gravità tale da impedire al paziente di vivere una vita autonoma;

questo si verifica nel caso di pazienti affetti da grave forma di depressione o psicosi.

La depressione è caratterizzata soprattutto da una caduta del tono dell’umore più o

meno grave, il paziente non ha entusiasmi per la vita e si sente inutile ed incapace.

Quando ci troviamo di fronte ad un paziente depresso è inutile stimolarlo perché

reagisca e si tiri su, perché questo lo farebbe sentire incapace e responsabile del suo

stato, mentre la depressione è una patologia che non dipende dalla volontà

dell’individuo. Anche i parenti vanno aiutati a capire la sofferenza del proprio

parente.

E’ ovvio che è necessaria da parte, dell’operatore socio sanitario, una grande dose di

pazienza e di calma, caratteristiche queste che devono necessariamente far parte del

bagaglio di qualità di un operatore addetto all’assistenza di soggetti in difficoltà.

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