Internazionale N. 1133-18-22 Dicembre 2015

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7/23/2019 Internazionale N. 1133-18-22 Dicembre 2015 http://slidepdf.com/reader/full/internazionale-n-1133-18-22-dicembre-2015 1/132 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo Visti dagli altri La crisi bancaria e i piani del governo George Monbiot L’ipocrisia che minaccia il pianeta internazionale.it Svetlana Aleksievič  Storia di un uomo che volò come un uccello 3,00 18/22 dicembre 2015        P      I   ,      S      P      E      D       I      N       A      P   ,      D      L                                                 A      R      T          ,             D      C      B      V      R                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Arundhati Roy e John Cusack incontrano Edward Snowden

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Ogni settimanail meglio dei giornalidi tutto il mondo

Visti dagli altriLa crisi bancariae i piani del governo

George Monbiot L’ipocrisia cheminaccia il pianeta

internazionale.it

Svetlana Aleksievič  Storia di un uomoche volò come un uccello

3,00€18/22 dicembre 2015  

     P     I  ,     S     P     E     D      I

     N      A

     P  ,     D     L

                                          A     R     T        ,           D     C     B     V     R

                                                                   

                                                                           

          

                         

          

                         

                     

                    

Arundhati Roy eJohn Cusack

incontranoEdward Snowden

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Sommario

     i   n    t   e   r   n

   a   z     i   o   n   a     l   e .     i    t     /   s   o   m   m   a   r     i   o

La settimana

  16 I nuovi equilibri

nella battagliasul clima

   Mediapart

  20 Francia

  Open Democracy22 Spagna  Ctxt

 

26 Iraq   Al Monitor 

  28 Stati Uniti 

The Economist

 

30 Afghanistan   Financial Times

  35 Il rigore

scientificodi Primo LeviThe New York Times

37 La crisi bancariae i pianidel governoThe Wall Street Journal 

  62 Scuole per eredi   Le Monde

  68 Le lavoratrici

invisibilinelle case libanesi

  Good

  74 Una strana

normalità   New Scientist

  80  Le luci di Calais  Giulio Piscitelli

  86  Samantha

Flores García  Celia Gómez Ramos

 

88  Distesa

di ghiaccio Financial Times

 

92  Samandal  Barrack Rima

  95  La forza

del trailer  The Verge

 

108 Storia di un uomoche volò comeun uccello

  Svetlana Aleksievič 

  113 Femminismo

spaziale  The Atlantic

   

121 Lafinanza

islamica  conquista l’Asia  Ta Kung Pao

 

98 Cinema, libri,musica, arte

Le opinioni

12 Domenico Starnone

27 Amira Hass

40 Joseph Stiglitz42 David Randall

100 Goff redo Fofi

102 Giuliano Milani

104 Pier Andrea Canei

111 Tullio De Mauro

 

12 Posta

15 Editoriali

127 Strisce

129 L’oroscopo

130 L’ultima

Tutto quello che non si può direGli orrori della guerra in Vietnam e l’ipocrisia dell’occidentesullo Stato islamico. Le colpe del capitalismo e l’arroganzadegli Stati Uniti. Arundhati Roy e John Cusack incontranoEdward Snowden (p. 44). Foto di Platon (Trunk/Contrasto)

Articoli in formatomp3 per gli abbonati

Giovanni De Mauro

Tra le tante storie dell’11 settembre ce n’èuna meno nota. Quel giorno di quattordicianni fa venne chiuso lo spazio aereo degliStati Uniti e centinaia di voli provenientida ogni parte del mondo furono costrettiad atterrare altrove. Alcuni arrivarono aGander, una cittadina canadese di

diecimila abitanti. Nel giro di poche oreatterrarono 38 aerei da cui sbarcarono6.122 passeggeri e 473 membri degliequipaggi. Erano spaventati, disorientati,senza informazioni (all’epoca i cellularistatunitensi non funzionavano in Canada).La cittadina si mobilitò per aiutare quelliche vennero chiamati i plane people.Le scuole, le caserme dei pompieri, le saleda ballo e le chiese furono trasformate indormitori, le persone anziane e le donneincinte vennero ospitate nelle case, gliabitanti di Gander prepararono pasti,

off rirono vestiti, coperte e cuscini,giocattoli per i bambini, il necessario perlavarsi. A ognuno fu data la possibilità ditelefonare e collegarsi a internet. Furonoorganizzate gite, vennero impegnati glistudenti delle scuole superiori. Andòavanti così per giorni. Poi gli aereidecollarono e tutti tornarono a casa.Potrebbe finire qui ma c’è un seguito, e unastoria di solidarietà diventa anche unastoria di gratitudine. Sul volo Delta 15appena decollato da Gander il personale dibordo nota qualcosa di strano. Tutti si

chiamano per nome, si scambiano i numeridi telefono, si raccontano come hannotrascorso gli ultimi giorni. A un certo puntouno dei passeggeri chiede di usare ilmicrofono. Di solito non è consentito, mavista la situazione il comandante accetta.Il passeggero dice di voler fare qualcosaper ringraziare gli abitanti di Gander epropone di creare un fondo con cui pagaredelle borse di studio per i ragazzi dellacittadina canadese. Fino a oggi hannoraccolto un milione e mezzo di dollari ehanno aiutato duecento ragazzi ad andare

all’università. È anche uscito un libro, Il giorno in cui il mondo arrivò in città.u

Ognisettimanailmegliodeigiornalidituttoilmondo

VistidaglialtriLacrisibancariaeipianidelgoverno

GeorgeMonbiotL’ipocrisiacheminacciailpianeta

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SvetlanaAleksievič 

Storiadiunuomochevolòcomeunuccello

3,00€18/22dicembre2015 n.1 1 33anno23

ArundhatiRoyeJohnCusackincontrano

EdwardSnowden

Tuttoquellochenonsipuòdire

Good Fondato nel 2006 è un trimestrale pubblicato negli Stati Uniti. L’articolo a pagina 68 è uscitoil 31 agosto 2015 con il titolo Inside the fi ght to unionize Lebanon’s domestic workers. Open Democracy Fondato nel 2001 è un sito britannico di politica internazionale e cultura.

L’articolo a pagina 20 è uscito il 14 dicembre 2015 con il titolo Front national:victorious defeat . Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articolidell’Economist.

Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015  5

“Se non vivete nell’illusione,è probabile che siate nella norma”

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Immagini

Fine di un’epocaBuenos Aires, Argentina9 dicembre 2015

La presidente uscente dell’Argentina,Cristina Fernández, davanti a decine di

migliaia di sostenitori che si sono riunitia plaza de Mayo per salutarla dopo ottoanni al governo. Il 10 dicembre ha giu-rato come presidente il conservatoreMauricio Macri, che a sorpresa ha bat-tuto al ballottaggio il candidato del par-tito peronista al governo. Cristina Fer-nández non ha partecipato alla cerimo-nia d’insediamento del suo successoree per la prima volta dallafine della ditta-tura militare nel 1983 non c’è stato il tra-dizionale passaggio di testimone. Fotodi Maria Eugenia Cerutti (Ap/Ansa)

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Immagini

Il popolo di HamasGaza, Striscia di Gaza14 dicembre 2015

Migliaia di persone hanno partecipatoai festeggiamenti per il 28° anniversario

della fondazione di Hamas, il movimen-to islamico palestinese. Il gruppo è natonel 1987, dopo l’inizio della prima intifa-da, per resistere all’occupazione israe-liana della Cisgiordania e della Strisciadi Gaza. In origine aveva il doppio obiet-tivo di opporsi a Israele con la lotta ar-mata e fornire servizi sociali alla popola-zione. Nel 2005 Hamas ha partecipatoalle prime elezioni palestinesi e dal 2007governa la Striscia di Gaza. È considera-to un gruppo terroristico da Israele, StatiUniti, Unione europea, Canada e Giap-

pone. Foto di Mustafa Hassona (Anadolu Agency/Getty Images)

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ImmaginiIl ponte sospesoWeng’an, Cina7 dicembre 2015

Il ponte in costruzione sul fiumeQingshui, nella provincia sudoccidenta-le del Guizhou, dovrebbe essere inaugu-rato il 25 dicembre. Lungo 1,13 chilome-tri e sospeso a 406 metri sopra il fiume,sarà uno dei più alti del mondo e ridurràdi un quarto la distanza tra Guiyang, ilcapoluogo della regione con quasi tremilioni di abitanti, e Weng’an.  Foto diWu Dong   un (Xinhua/Zuma/Ansa)

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Editoriali

“Deve decidere la democrazia, non un pugno dipersone vendute agli interessi stranieri, personeche non hanno niente in comune con la gran mag-gioranza dei polacchi”, ha detto il 13 dicembredurante un comizio Jarosław Kaczyński, presi-dente del partito conservatore Diritto e giustizia(Pis). Pochi giorni prima Kaczyński aveva dichia-

rato in tv che il “tradimento nazionale” è un trattogenetico della “parte cattiva del popolo polacco”.Kaczyński ritiene che la vittoria del Pis alle elezio-ni presidenziali e parlamentari non gli abbia datosolo il diritto di governare, ma anche di off enderequelli che non hanno votato per lui e istigare unaparte della popolazione contro di loro.

Kaczyński e i suoi sostenitori sono “la partemigliore della nazione”, mentre i suoi avversarisono venduti o stupidi. Il suo partito vuole cam-biare la Polonia, mentre la corte costituzionale, dicui il Pis sta cercando di prendere il controllo inmodo illegittimo, “protegge colleghi e amici”. Il12 dicembre a Varsavia e in altre città polacchehanno manifestato decine di migliaia di quei cit-

tadini “venduti” e “stupidi”. Nessuno li ha porta-ti in autobus alle manifestazioni né li ha organiz-zati attraverso parrocchie e sindacati. Sono scesiin piazza di loro iniziativa, per senso civico.

Queste persone non vogliono negare i risulta-ti delle elezioni. Accettano le regole della demo-crazia e la vittoria del Pis. Non credono che i loro

avversari siano la parte peggiore del paese. Riten-gono invece che la democrazia sia qualcosa di piùdi una decisione di Kaczyński e che debba esserela corte costituzionale a stabilire cosa è conformealla costituzione. Vogliono che il presidente An-drzej Duda (Pis) prenda le sue decisioni nell’inte-resse di tutti i cittadini, e non solo dei suoi elettori.Pensano che non spetti a Kaczyński decidere co-me devono vivere, quali giornali devono leggeree soprattutto chi è un buon polacco e chi no.

Sempre il 12 dicembre il Pis ha organizzatouna contromanifestazione di fronte alla corte co-stituzionale a Varsavia. Uno dei cortei andavaverso la democrazia, l’altro marciava deciso versola dittatura.u dp

La Polonia rischia la dittatura

Paweł  Wroński, Gazeta Wyborcza, Polonia

Come rispondere al Front national

Laurent Joff rin, Libération, Francia

La sera del 13 dicembre, dopo che al secondo tur-

no delle elezioni regionali francesi è stato scon-giurato il rischio di una vittoria del Front national(Fn), non si parlava d’altro che della necessità dirispondere alla rabbia degli elettori con delle ri-forme radicali. Il giorno dopo era già chiaro cheniente sarebbe cambiato. Eppure basta osservarela crescita dell’Fn per capire che un certo tipo dipolitica cinica e meschina deve finire. Uno deitratti distintivi dei nostri tempi è la distanza tragovernanti e governati. Non fare niente significafavorire l’ascesa di un nazionalismo intollerante.

Spetta ai politici elaborare i programmi. Ma sipuò fare qualche esempio di come la politica po-

trebbe recuperare un po’ dellafiducia dei cittadi-ni. Al centro di tutto c’è il valore della parola deipolitici, azzerato da anni di promesse non mante-nute. Perché non obbligare tutti gli eletti, com-preso il presidente, a presentare un resoconto delloro operato a intervalli regolari? Avviene già inmolte città, dove i sindaci sono ancora rispettatidai loro elettori. La politica economica svolge unruolo fondamentale nella lotta alla disoccupazio-ne. Finora il governo ha puntato a raff orzare leaziende: non sarebbe ora di sostenere anche la

domanda, aumentando il potere d’acquisto delle

classi più povere? Bruxelles non vuole? Ma na-scondendosi dietro le ossessionifinanziarie dellaCommissione europea il governo francese scre-dita se stesso e l’Europa. L’immigrazione fa pauraall’elettorato. Quindi bisogna smettere di occu-parsene e lasciare campo libero all’Fn? Oppure,come ha fatto Angela Merkel che non è certoun’utopista irresponsabile, stabilire una politicachiara di fermezza e apertura con cui risponderealle tentazioni demagogiche e xenofobe? L’emar-ginazione è una piaga della società francese. Adestra e a sinistra, molti sono favorevoli a un red-dito minimo che garantisca a tutti condizioni di

vita decenti. Diversi paesi hanno già adottato so-luzioni di questo tipo. Cosa ci sarebbe da perderea sperimentare una riforma simile, che darebbeuna forte spinta all’integrazione?

In realtà non mancano gli esempi di misureinnovative che potrebbero alleviare le difficoltàdei cittadini. Manca solo il coraggio politico. Piùche le politiche, è l’impotenza di chi governa a di-struggere la fiducia. Siamo arrivati a un punto incui il rifiuto di correre dei rischi è più pericolosodei rischi stessi.u  ff  

“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante se ne sognano nella vostrafilosofia”William Shakespeare , Amleto Direttore Giovanni De MauroVicedirettori  Elena Boille, Chiara Nielsen,Alberto Notarbartolo, Jacopo ZanchiniEditor Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi,

visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni),Camilla Desideri (America Latina), SimonDunaway (attualità), Francesca Gnetti,Alessandro Lubello (economia), AlessioMarchionna(Stati Uniti), Andrea Pipino(Europa), Francesca Sibani (Africa e MedioOriente), Junko Terao (Asia e Paci fico), PieroZardo (cultura, caposervizio)Copy editor Giovanna Chioini (web,caposervizio) , Anna Franchin, PierfrancescoRomano (coordinamento, caporedattore),Giulia ZoliPhoto editor Giovanna D’Ascenzi (web), MélissaJollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)Impaginazione  Pasquale Cavorsi (caposervizio),Valeria Quadri, Marta RussoWeb Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli,Andrea Fiorito, Lucia Magi, Stefania Mascetti(caposervizio), Stella Prudente, Martina Recchiuti(caposervizio), Giuseppe RizzoInternazionale a Ferrara Luisa Ciff olilli,Alberto EmilettiSegreteria  Teresa Censini, Monica Paolucci,Angelo Sellitto Correzione di bozze SaraEsposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori

sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Marina Astrologo, Giuseppina Cavallo, StefaniaDe Franco, Andrea De Ritis, Federico Ferrone,Giorgia Neri, Floriana Pagano, Andrea Pira,Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, IreneSorrentino, Andrea Sparacino, Bruna TortorellaDisegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sonodi Scott Menchin Progetto grafico Mark PorterHanno collaborato Gian Paolo Accardo, LucaBacchini, Francesco Boille, Catherine Cornet,China Files, Sergio Fant, Anita Joshi, FabioPusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour,Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie,Guido VitielloEditore Internazionale spaConsiglio di amministrazione Brunetto Tini(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot(vicepresidente), Alessandro Spaventa(amministratore delegato), Antonio Abete,Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro,Giovanni Lo StortoSede legale via Prenestina 685, 00155 RomaProduzione e diff usione Francisco VilaltaAmministrazione  Tommasa Palumbo,Arianna Castelli, Alessia Salvitti

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Attualità

16 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

La mattina di domenica 13dicembre, qualche ora dopola firma dell’accordo di Pa-rigi sui cambiamenti clima-tici, Yeb Saño affida a untweet tutto il suo sconcerto:

“Qualcuno mi può dire cosa c’è di così nuo-vo e di così rivoluzionario nella Cop21 enell’accordo di Parigi? Sono tutt’orecchi”.Saño è l’ex capo negoziatore delle Filippine:il suo discorso in occasione della conferen-

    M    A    R    T    I    N    A    R    G    Y    R    O    G    L    O                D    I    V    E    R    G    E    N    C    E            

L’installazione Ice watch dell’artista Olafur Eliasson, realizzata a Parigi in occasione della conferenza sul clima

za sul clima del 2013, a Varsavia, rimaneuno dei più forti mai pronunciati alle confe-renze sul clima. Mentre l’uragano Haiyanstava devastando il suo paese e uccidendomigliaia di persone, Saño supplicò con lelacrime agli occhi i rappresentanti dei varistati di trovare un accordo per agire controil riscaldamento globale e cominciò unosciopero della fame che sarebbe duratofinoalla fine della conferenza. Qualche mesedopo il governofilippino lo escluse dalla sua

delegazione. Oggi Saño si batte con le orga-nizzazioni della società civile.

L’accordo sul clima approvato alla con-ferenza di Parigi il 12 dicembre ha suscitatoreazioni entusiastiche, addirittura appas-sionate. “Oggi la specie umana si è riunitaintorno a una causa comune”, ha dichiaratoKumi Naidoo di Greenpeace international.“È una svolta per l’umanità”, ha aff ermatoMichael Brune, direttore del Sierra Club,una delle principali ong ambientaliste degli

I nuovi equilibrinella battaglia sul climaJade Lindgaard, Mediapart, Francia

L’accordo raggiunto il 12 dicembre a Parigi non è il migliore né il peggiorepossibile. Ma cambia i rapporti di forza tra i paesi e introduce novità importanti

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esi. In percentuale, per esempio, l’Etiopiapropone di ridurre le sue emissioni moltomeno dei paesi dell’Unione europea, ma ilsuo sforzo è già molto grande. Questo siste-

ma volontario è alla base del successo dellaCop21: più di 180 stati hanno accettato diaderire. È per questo che l’accordo di Parigiè universale. Ma per i grandi paesi emer-genti riuniti nel gruppo dei Basic (Cina, In-dia, Brasile, Sudafrica), questo nuovo siste-ma è molto pericoloso: anche loro, infatti,sono costretti a ridurre le emissioni. Alla fi-ne hanno comunque deciso di adattarsi perdiversi motivi: perché l’inquinamento at-mosferico soff oca le loro grandi città, per-ché le energie rinnovabili sono un settore inpieno sviluppo e perché i cambiamenti cli-

matici sono una minaccia concreta.Queste trasformazioni stanno cambian-

do la geopolitica climatica. Il gruppo G77più la Cina, che rappresenta l’85 per centodegli abitanti del pianeta, non vede di buonocchio un principio di diversificazione cheriduce la sua influenza. Ma l’unità di questogruppo è solo di facciata. Il gruppo, infatti,comprende le isole del Pacifico, seriamenteminacciate dall’aumento del livello delleacque, e l’Arabia Saudita, contraria a qual-siasi riduzione vincolante delle emissioni dianidride carbonica. Inoltre le potenze come

la Cina, l’India, il Brasile e il Sudafrica ante-pongono i loro interessi di breve periodo(continuare a usare il carbone e a deforesta-re) alle esigenze dei paesi vulnerabili.

Negli ultimi mesi all’interno di questoeterogeneo sud si sono aperti diversi frontidiplomatici: ci sono state la dichiarazionesino-americana dell’autunno 2014, l’alle-anza per l’energia solare stipulata da Fran-cia e India, la creazione di un’ambiziosacoalizione tra l’Unione europea e diversipaesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico,e altre iniziative simili. Questa frattura del

blocco del sud può far diminuire la pressio-ne sui paesi ricchi affinché rispettino l’ob-bligo morale di saldare il loro debito clima-tico. Ma può anche fare gli interessi dellenazioni vulnerabili: “Dopo il 2020 i finan-ziamenti per il clima non potranno veniresolo dai paesi sviluppati. È un punto fonda-mentale, ci vogliono più soldi e quindi piùdonatori”, spiega Monica Araya, espertadel Forum dei paesi vulnerabili.

In questo contesto la Cina si è impegna-ta fino all’ultimo per salvaguardare i suoiinteressi. Ha fatto ritirare dall’accordo unafrase sulla cooperazione finanziaria sud-sud, ma ha anche annunciato di voler versa-

Stati Uniti. Tuttavia le associazioni e i mo-vimenti che si battono contro il riscalda-mento globale (Amici della Terra, Attac ecosì via) sono molto critici. Le reazioni, in-

somma, sono diverse, e riflettono non solodivergenze ideologiche ma anche i muta-menti in corso nei rapporti di forza tra statie gruppi di paesi.

I paesi vulnerabili I cambiamenti clima-tici alimentano i disastri: uragani, alluvioni,siccità. La consapevolezza di questa minac-cia ha dato vita a un nuovo concetto geopo-litico, quello della vulnerabilità, stabilito inbase a criteri geografici (riguarda paesi in-sulari, con estese zone costiere o territorisotto il livello del mare, desertici e così via)

ed economici (più si è poveri, meno mezzi sihanno per proteggersi dalle catastrofi am-bientali). I paesi vulnerabili si battono daanni per il riconoscimento di un aumento di1,5 gradi come soglia massima tollerabile.La richiesta era sempre stata ignoratadall’Onu, che al vertice di Copenaghen del2009 avevafissato il limite a due gradi. Ladiff erenza tra le due cifre non è di poca im-portanza. Per limitare il riscaldamento a 1,5gradi, bisognerebbe infatti ridurre i gas ser-ra entro il 2050 di una quota compresa tra il70 e il 90 per cento. È uno sforzo considere-

vole, a cui molti paesi (in particolare l’Ara-bia Saudita e l’India) si sono opposti. Ma laFrancia e l’Unione europea hanno accetta-to il nuovo limite, ottenendo così il sostegnodei paesi vulnerabili all’accordo in corso e altempo stesso indebolendo l’unità del bloc-co dei paesi del sud, cioè il cosiddetto grup-po G77 più la Cina. Il paragrafo a) dell’arti-colo due dell’accordo di Parigi (“continuan-do l’azione per limitare l’aumento delletemperature a 1,5 gradi”) è una vittoria per ipaesi vulnerabili. Lo stesso vale per l’artico-lo 8 sulle “perdite e i danni” (loss and dama-

 ge in inglese). È la prima volta che un tratta-to internazionale riconosce l’importanza diquesto tema, emerso in occasione dellaCop19 di Varsavia: come assicurare, inden-nizzare e aiutare le nazioni vittime di danniirreversibili legati all’aumento delle tempe-rature.

Il problema è che questa vittoria è pura-mente teorica: nell’accordo, infatti, non èprevisto alcuno strumento per garantirnel’operatività. È da qui che nasce la rabbia diSaño: “Il meccanismo di loss and damage potrebbe essere migliorato e raff orzato. Ècosì utile? Chiedetelo alle isole”, dice. Poiaggiunge: “Ci sono anche molte inesattez-

ze. ‘Continuare l’azione per limitare l’au-mento delle temperature a 1,5 gradi’ è unaspecie di buon proposito, non certo un im-pegno vincolante”. I negoziati sul clima ri-

mangono prigionieri dello “scisma di real-tà” analizzato dal sociologo Stefan Aykut edalla storica della scienza Amy Dahan: so-no slegati dalla realtà fisica, economica epolitica del mondo.

I grandi emergenti La sfida della Cop21 èstata la diff erenziazione tra il nord e il suddel pianeta. Nel 1992 la convenzione sul ri-scaldamento globale aveva diviso il mondoin due: da una parte i paesi sviluppati, chesono i più ricchi e i responsabili storici delleemissioni di gas serra, dall’altra i paesi in

via di sviluppo, che devono essere aiutati acrescere emettendo meno anidride carbo-nica e adattandosi alla crisi climatica.

Ma il mondo è cambiato, e questa distin-zione non è più valida: in termini assoluti, laCina è il paese che emette più anidride car-bonica, davanti agli Stati Uniti. Ma nessunovuole impedire di svilupparsi e di usciredalla povertà ai 300 milioni di indiani chenon hanno accesso alla corrente elettrica.Per questo nella conferenza di Lima del2014 è stato adottato un nuovo sistema diregolazione, in base al quale ognuno decide

il proprio obiettivo di riduzione dei gas serra(i cosiddetti Indc, gli impegni nazionali peril taglio delle emissioni). Per definizionequesti obiettivi variano in funzione dellaricchezza e del modello economico dei pa-

Da sapereRatifiche e sanzioni

uPer entrare in vigore, l’accordofirmato a Pari-gi deve essere ratificato, accettato o approvato,a partire dal 22 aprile 2016, da almeno 55 paesi

che rappresentino il 55 per cento delle emissioniglobali di gas serra. L’accordo è “giuridicamen-te vincolante”. Lo hanno detto chiaramente ilpresidente francese François Hollande e ilministro degli esteri Laurent Fabius. La defi-nizione suscita però qualche dubbio tra i giuri-sti, considerato che non sono previste sanzioniper i paesi che non rispettano gli impegni presi.uIn quanto trattato internazionale, l’intesa diParigi dovrà essere “applicata in buona fededalle parti”. È previsto anche un meccanismo ditrasparenza per controllare le informazioni for-nite dai paesi sui tagli delle emissioni. Gli impe-gni nazionali sulla riduzione dei gas serra (i co-

siddetti Indc) non fanno formalmente partedell’accordo, sono su base volontaria e possonoessere rivisti ogni cinque anni. Le Monde

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Attualitàre 3,1 miliardi di dollari per aiutare i paesipoveri ad aff rontare la crisi climatica. Pe-chino ha aspettato lafine dell’ultimo giornodei lavori per dare la disponibilità a soste-

nere l’accordo, che non avrebbe maifirma-to se non l’avessero fatto anche gli Stati Uni-ti. Rimasta spesso in silenzio nelle sessioniplenarie, la Cina ha tenuto una posizionemolto rigida nei negoziati suifinanziamen-ti. Uno dei suoi rappresentanti ha accusatoil Gruppo intergovernativo sul cambiamen-to climatico (Ipcc) di difendere gli interessistatunitensi.

Gli stati più poveri È una delle grandi sor-prese di questa Cop: i paesi più poveri, inparticolare quelli africani, non si sono fatti

sentire molto. Qualche conferenza stampa,ma pochi interventi critici in sessione ple-naria; nessuna off ensiva strategica per otte-nere garanzie e risorse prima del 2020; nes-suna protesta quando l’articolo suifinanzia-menti a lungo termine è stato svuotato dellesue parti più ambiziose. Il gruppo G77 più laCina non si è interessato alla questione enon l’ha usata per creare spaccature con ipaesi del nord. L’articolo che chiedeva didestinare il 50 per cento dei finanziamentiin parti uguali per la riduzione delle emis-sioni e l’adattamento ai cambiamenti cli-

matici (provvedimento chiesto da tempodai paesi meno sviluppati) è stato ritiratodai negoziati sotto la pressione di Cina, In-dia e Brasile. “Per influenzare i negoziatibisogna essere pronti a dire no. Ma i paesipoveri vogliono risorse, per questo spessodicono sì”, dice un osservatore.

La loro arrendevolezza è stata alimenta-ta dalle promesse di investimenti e di aiuti abreve termine fatte all’inizio della confe-renza. Parigi, per esempio, ha promesso unmiliardo di euro per l’adattamento e duemiliardi per lo sviluppo delle energie verdi

in Africa entro il 2020. Un’iniziativa moltoabile, perché ha permesso a diversi politicidei paesi poveri di ottenere qualche risulta-to ancor prima dell’inizio dei negoziati. Maquesto non ha impedito che l’Africa fossedimenticata nel paragrafo sui beneficiaridegli aiuti per l’adattamento.

Gli Stati Uniti Anche rimanendo quasi indisparte e prendendo raramente la paroladurante le sessioni plenarie, gli Stati Unitisono stati comunque uno dei paesi protago-nisti della Cop. Senza Washington non sisarebbe arrivati all’accordo. Ogni articolo,ogni paragrafo è stato studiato con atten-

zione affinché corrispondesse all’executiveorder  di Barack Obama sul clima, grazie alquale il presidente statunitense puòfirmareil trattato senza dover passare per il con-gresso, dove gli scettici sui cambiamenticlimatici sono molto numerosi. Nell’accor-do non dovevano esserci obblighi precisisul taglio dei gas serra né impegni finanzia-ri vincolanti. L’intesa doveva invece preve-dere una marcia indietro sui cento miliardi

di dollari di contributi che il nord si era im-pegnato a versare ogni annofino al 2020. Diquesto si è discusso fino agli ultimi minutidei negoziati. L’articolo sui finanziamenti,uno dei più dibattuti, alla fine riprende leformulazioni della dichiarazione sino-ame-ricana dell’autunno 2014. La sera della fir-ma dell’accordo Obama ha dichiarato:“Nessuno accordo è perfetto, compreso

questo. Ma l’intesa definisce un quadro sta-bile, di cui il mondo ha bisogno per risolverela crisi climatica”.

L’Europa È stata la grande assente dellaCop21. Si è sentita poco, e ha perso diversebattaglie, come quella sul mantenimentodei vincoli sulle emissioni marittime e aero-nautiche. Ma ha contribuito a far toglieredall’accordo l’obiettivo della decarbonizza-

zione, cosa che ha indebolito il trattato. Di-visa tra modelli energetici contraddittori,incarnati dalla Polonia (carbone) e dallaGermania (energie verdi), l’Europa apparebloccata. Il suo rappresentante alla confe-renza, il commissario Miguel Arias Cañete,si è limitato a rispettare le consegne previ-ste dal suo mandato, definite dalle direttivesull’energia e sul clima.u adr 

18 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

    X    A    V    I    E    R

    T    E    S    T    E    L    I    N             

    D    I    V    E    R    G    E    N    C    E            

Le opinioni Un piccolo passo avantiu

 “Per l’India adattarsi aicambiamenti climatici e gesti-re le perdite e i danni che nederivano è un problema moltoserio, anche considerando icicli regolari di siccità, alluvio-ni e perdita di raccolti e be-stiame”, scrive il quotidianoindiano The Hindu.“Nell’accordo non ci sonomolte buone notizie perDelhi. Nel testo si parla dicento miliardi di dollari difi-nanziamenti all’anno da qui al

2020, una cifra palesementeinadeguata agli eventi cata-strofici che si verificano nel

mondo. La speranza è chel’accordo di Parigi possa al-meno spingere l’opinionepubblica a fare pressione suipolitici e a chiedere un’intesamigliore e un impegno chiarodei paesi sviluppati sul tagliodelle emissioni e sull’aumentodei fondi per i paesi in via disviluppo”.u“La Cina”, scrive l’agenziastampa cinese Xinhua, “‘èdisposta a lavorare con gliStati Uniti e altri attori globali

per garantire l’applicazionedell’accordo e raff orzare lacooperazione bilaterale nella

lotta ai cambiamenti climati-ci’, ha spiegato il presidenteXi Jinping. Ma tutti i paesidevono riconoscere che l’ac-cordo di Parigi non basta avincere la battaglia contro ilriscaldamento globale. Il suc-cesso va celebrato, ma se l’in-tesa, raggiunta tra mille diffi-coltà, non sarà seguita daazioni concrete perderà ognivalore. Allafine saranno i fat-ti e non solo le ambizioni amantenere in vita l’obiettivo

dei due gradi centigradi co-me tetto massimo per il ri-scaldamento globale”.u as

Un’installazione a Parigi per la Cop21, 2 dicembre 2015

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http://slidepdf.com/reader/full/internazionale-n-1133-18-22-dicembre-2015 19/132Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 19

Rispetto a quello che avreb-be potuto essere, è un mi-racolo. Rispetto a quelloche avrebbe dovuto essere,

è un disastro. Nel ristretto ambito incui si sono svolti i colloqui, l’accordoapprovato dalla conferenza Onu sulclima di Parigi è un grande successo. Ilsollievo e il compiacimento con cui èstato accolto il testo confermano il fal-limento del vertice di Copenaghen disei anni fa, in cui i negoziati si protras-

sero ben oltre i tempi previsti per poi fi-nire nel nulla. L’accordo sul tetto fissa-to per il riscaldamento globale (“ben aldi sotto dei due gradi centigradi”), do-po che per tanti anni questa richiestaera stata respinta, può essere visto co-me una clamorosa vittoria. Da questo eda altri punti di vista, il documentofi-nale è più forte di quanto molti siaspettassero.

Ma appena si esce da questo ambitoristretto, le cose appaiono in modo di-verso. Dubito che qualcuno dei nego-

ziatori sia veramente convinto che gra-zie a questi colloqui il riscaldamentoglobale si manterrà al di sotto dei duegradi. Considerate le deboli promesseche hanno fatto i governi a Parigi, per-fino due gradi sono un obiettivo ambi-zioso. Anche se alcuni paesi hanno ne-goziato in buona fede, probabilmenteil vero risultato del vertice sarà comun-que un cambiamento climatico perico-loso per tutti e letale per alcuni.

I nostri governi si preoccupano dinon oberare di debiti le prossime gene-razioni, ma hanno appena deciso di la-

sciargli un’eredità ancora più pericolosa:l’anidride carbonica prodotta dall’uso deicombustibili fossili, e le conseguenze alungo termine che questo avrà sul clima.

Con un aumento delle temperature di

due gradi, ampie regioni della superficieterrestre diventeranno meno abitabili, eprobabilmente le loro popolazioni saran-no colpite da fenomeni estremi: periodi disiccità più lunghi in alcune zone e inonda-zioni devastanti in altre, che potrebberoinfluire notevolmente sull’approvvigiona-mento alimentare. In molte parti delmondo, isole e zone costiere rischierannodi essere inghiottite dalle onde.

La combinazione tra l’acidificazionedegli oceani, l’estinzione dei coralli e loscioglimento dei ghiacci dell’Artide po-

trebbe comportare la scomparsa di interecatene alimentari marine. Sulla terra, leforeste pluviali potrebbero recedere, ifiu-mi prosciugarsi e le zone deserticheespandersi. Il marchio della nostra era po-trebbero essere le estinzioni di massa.Questi saranno i risultati di quello che idelegati di Parigi hanno definito un suc-cesso, e che invece si dimostrerà moltoprobabilmente un fallimento. Mentre nel-le prime stesure dell’accordo si specifica-vano date e percentuali, il testo definitivomira solo a “raggiungere il più presto pos-

sibile il picco globale delle emissioni di gasserra”. Il che può significare tutto e niente.

Vent’anni di rinviiA dire la verità, la colpa di questo falli-mento non andrebbe attribuita a Parigi,ma all’intero processo. Il tetto di due gradiche oggi è un obiettivo improbabile daraggiungere, all’epoca della prima confe-renza delle Nazioni Unite sul cambiamen-to climatico, che si svolse a Berlino nel1995, era perfettamente raggiungibile.Vent’anni di rinvii, dovuti alle manovre –palesi, segrete e spesso decisamente sini-

stre – della lobby dei combustibili fos-sili, alle quali si è aggiunta la riluttanzadei governi a spiegare al loro elettorato

che le decisioni a breve termine hannoun costo a lungo termine, hanno fattoin modo che lafinestra delle opportu-nità sia ormai chiusa per tre quarti.

Per quanto i suoi risultati costitui-scano un passo avanti importante ri-spetto a tutto quello che è successo pri-ma, l’accordo di Parigi è ridicolo. Men-tre in genere i negoziati sui rischi glo-bali cercano di aff rontare tutti gliaspetti del problema, quelli sul clima sisono concentrati esclusivamente sulconsumo di combustibili fossili, senza

tenere conto della produzione.A Parigi i delegati si sono solenne-

mente impegnati a ridurre la doman-da, ma a casa loro i governi continuanoad aumentare la produzione. Quellobritannico si è perfino imposto l’obbli-go, in base alla legge sulle infrastruttu-re del 2015, di “sfruttare al massimo ilpetrolio e il gas del Regno Unito”.L’estrazione dei combustibili fossili èun fatto concreto. Ma l’accordo di Pari-gi è pieno di fatti molto meno concreti,di promesse che possono non essere

mantenute o fatte slittare. Finché i go-verni non si impegneranno a lasciare icombustibili fossili dove sono, conti-nueranno a vanificare l’accordo chehanno appenafirmato.

Con Barack Obama alla Casa Bian-ca e un governo dirigista a presiedere inegoziati di Parigi, questo era il massi-mo che si potesse ottenere. Nessunodei probabili successori dell’attualepresidente degli Stati Uniti mostreràmai lo stesso impegno. In paesi come ilRegno Unito, le grandi promesse fatte

all’estero saranno vanificate da me-schine marce indietro all’interno.Qualsiasi cosa succederà non farà cer-to piacere alle generazioni future.

I delegati si congratulano con sestessi per aver raggiunto un accordomigliore di quanto si aspettassero, madovrebbero anche scusarsi con tuttiquelli che hanno tradito.u bt

George Monbiot è un giornalista bri-tannico esperto di ambiente. Sui cambia-menti climatici ha scrittoCalore! (Longa-nesi 2007).

Finché continueremoa usare i combustibilifossili, ogni intesasul clima sarà inutile

L’ipocrisia che minacciail pianeta

George Monbiot, The Guardian, Regno Unito

L’opinione

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20 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Francia

 Com’è possibile che in una delledemocrazie più vecchie delmondo si alzi un gran polveroneper un voto regionale? Perché

siamo così preoccupati dall’identità di rap-

presentanti che al massimo decideranno suquestioni locali come le scuole, le strade el’assistenza sociale? Per quale motivo ciconcentriamo così tanto sulla politica loca-le, quando a Parigi, alla Conferenza sulcambiamento climatico delle Nazioni Uni-te, per la prima volta si decide di combattereil riscaldamento globale? È forse perché noifrancesi siamo da sempre inclini a dramma-tizzare tutto quello che riguarda la politica,il nostro sport nazionale?

Il secondo turno delle elezioni regionali,il 13 dicembre, si è concluso con tutti glischieramenti che cantavano vittoria e an-nunciavano la sconfitta degli avversari.

L’estrema destra del Front national (Fn)

non ha conquistato nessuna regione ma haottenuto 6,8 milioni di voti (il suo risultatomigliore) e ha definito il risultato una “scon-fitta vittoriosa”. Oggi l’Fn ha consiglieri intutte le regioni e la sua leader, Marine LePen, punta ad arrivare al ballottaggio dellepresidenziali previste per il maggio 2017.

Il Partito socialista (Ps) del presidenteFrançois Hollande e i suoi alleati ambienta-listi e di sinistra hanno raggiunto il 31 percento e un “successo senza gioia”. Hannoconservato cinque regioni e hanno aiutatola destra gollista a sconfiggere l’Fn in tre re-

gioni ritirando i loro candidati in nome del“Fronte repubblicano”. Prima del voto il Pscontrollava tutte le regioni della Franciametropolitana tranne una.

Una risposta aggressivaDurante la campagna elettorale il Ps ha te-muto a lungo una Waterloo politica. Tuttele regioni sotto il suo controllo sembravanoinfatti poterfinire nelle mani della destra odel Front, con la popolarità di Hollande aiminimi storici. Ma la reazione decisa delpresidente agli attacchi del 13 novembre aParigi ha cambiato le cose. Con l’imposizio-ne dello stato di emergenza e il bombarda-

mento del gruppo Stato islamico, la popola-rità di Hollande è tornata a crescere.

I Républicains dell’ex presidente Nico-las Sarkozy hanno cantato vittoria dopo

aver conquistato sette regioni, inclusa l’Îlede France, dove si trova Parigi. Ma per l’expresidente, che solo pochi giorni prima delvoto sognava di fare l’en plein, è stata unadelusione. Principale forza di opposizione aun governo impopolare e incapace di af-frontare la crisi economica e una disoccu-pazione ormai al 10,2 per cento, i Républi-cains sognavano di ripetere il successo deisocialisti del 2010, raff orzando la traballan-te posizione del proprio leader in vista dellepresidenziali del 2017.

I distacchi tra i partiti sono stati minimi.

La sinistra ha perso la Normandia per cin-quemila voti e l’Île-de-France per 60milavoti su 3,8 milioni. Alla fine i risultati sonostati un’insperata boccata di ossigeno per lasinistra e uno schiaff o per la destra e Sar-kozy, la cui leadership è a rischio. La strate-gia scelta dall’ex presidente di seguire ilFront sui temi dell’immigrazione, del na-zionalismo e dell’ordine, che nel 2007 si erarivelata vincente, questa volta è stata un fal-limento. La vicinanza tra l’Fn e l’ala piùestremista dei Républicains ha dimostratola validità della tesi del fondatore del Front,

Jean-Marie Le Pen, secondo cui “il popolopreferisce sempre l’originale alle copie”.

All’indomani del voto il quotidiano fran-cese Libération ha titolato: “Sollevati ma…Fn sconvolto, Ps miracolato, destra scossa”.I problemi che la Francia dovrà aff rontarenei 18 mesi che la separano dalle prossimeelezioni presidenziali non sono stati risolti,e ancora una volta la polvere viene nascostasotto il tappeto.

Il punto è che il modo in cui la Franciasta reagendo alla crisi attuale – che è econo-mica, culturale (anzi multiculturale), socia-

le, legata all’ordine, all’immigrazione e allefrontiere – è molto simile a quello di altri pa-esi europei, soprattutto del nord: il successodi un’estrema destra aggressiva e naziona-lista (che a volte fa parte delle coalizioni digoverno), un crescente sentimento anti-europeo e un diff uso senso di incertezzadavanti a un mondo che appare incompren-sibile.

I francesi vogliono proteggere i loro con-fini dai profughi, che arrivano soprattuttoda paesi musulmani, esattamente comesuccede nel Regno Unito. In questa situa-zione, è interessante notare come le conse-guenze della chiusura dei confini britannici

La vittoria tristedel fronte repubblicano

Dopo il successo al primo turno,il Front national non è riuscitoad aggiudicarsi nessuna regione.Ma la sua “sconfitta vittoriosa”non deve tranquillizzare isocialisti e la destra gollista

Patrice de Beer, Open Democracy, Regno Unito

             X    I    N    H    U    A    N    E    W    S    A    G    E    N    C    Y             E

    Y    E    V    I    N    E             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Nicolas Sarkozy a Parigi, il 13 dicembre 2015

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ricadano proprio sulla Francia, con migliaiadi persone bloccate nella famigerata “giun-gla” di Calais in attesa di raggiungere l’In-ghilterra. Come succede nei Paesi Bassi e in

Danimarca, e in parte in Svizzera, Germa-nia e Austria, anche in Francia sempre piùspesso i cittadini si aggrappano ai valori na-zionali per difendersi dall’esterno.

Facce nuove

Cosa accadrà in un paese che dopo decennidi bipartitismo torna a un sistema tripartiti-co? In passato c’erano i comunisti, la sini-stra e la destra, mentre oggi ci sono una si-nistra divisa, una destra spaccata (e segnatada faide interne) e il Front national, finoraestromesso dal potere da un muro di vetro

efficace ma sempre più sottile. Tutto questospiega l’aumento senza precedenti dell’af-fluenza alle urne tra il primo e il secondoturno di queste regionali, che ha bilanciatogli 800mila nuovi voti conquistati dall’Fn.

Anche se in alcune aree del paese ilFront ha ottenuto il 40-45 per cento dei vo-ti, la maggioranza dei francesi continua anon volere l’estrema destra al governo. Manon è detto che le cose resteranno così. So-stenere che gli elettori dell’Fn siano tuttiestremisti è sbagliato, ma è innegabile chesiano sempre di più le persone sedotte dalla

propaganda repressiva e sciovinista dell’Fn,basata su slogan e promesse impraticabili.Vale anche la pena sottolineare che il Frontsembra avere due anime.

Gli elettori del nord e dell’est sostengo-no Marine Le Pen, che si rivolge soprattuttoalla classe operaia colpita dalla chiusuradelle fabbriche e dalla perdita dei posti dilavoro. I sostenitori del partito nel sud delpaese sono invece schierati con la nipote diMarine, Marion Maréchal-Le Pen, 26 anni,attenta ai pensionati più conservatori, agliex coloni francesi d’Algeria e ai cattolici ul-

traconservatori, a cui aveva promesso lafi-ne dei finanziamenti per i programmi dicontrollo delle nascite. L’altra grande pro-messa di Marion era costringere gli arabi diFrancia a vestirsi all’occidentale, cosa chequasi tutti già fanno.

Ma quanto contano simili questioniquando l’elettorato sembra aspirare sem-plicemente a un rinnovamento dello scac-chiere politico? Molti francesi votano il par-tito di Le Pen semplicemente perché vo-gliono facce nuove al governo e non i solitipolitici al potere da decenni (Sarkozy ha ri-coperto la sua prima carica elettiva a 22 annie oggi ne ha 60, mentre Hollande ha comin-

ciato a fare politica nel 1981 con l’allora pre-sidente François Mitterrand). Oggi la Fran-cia dà l’impressione di non riuscire a libe-rarsi dei suoi vecchi politici, aggrappati al

potere a spese dei più giovani.Per vent’anni ci hanno ripetuto che l’Fn

era una minaccia da sconfiggere con le ri-forme sociali ed economiche. Queste rifor-me, però, non sono mai state fatte. Ci hannoparlato di nuove politiche e nuove facce percombattere la crisi economica, ma le cosenon sono mai cambiate. Ormai scollegatidal paese, i politici di destra e di sinistra pas-sano più tempo nelle stanze del potere chetra la gente. Parlano di piani di sviluppo damilioni di euro a persone che fanno quadra-re i conti con il salario minimo e vorrebbero

semplicemente un lavoro e un ambientesicuro in cui vivere. Hanno perso di vista larealtà e non riescono a riconnettersi con laFrancia. In questa situazione il Partito so-cialista è più che altro un peso per Hollande.

Immobile e diviso, sta perdendo l’appoggiodella base. Incapace di trovare nuova linfafuori dal suo apparato, il Partito socialistanon ha saputo presentare candidati giovani

che avrebbero potuto salvare il nord e le re-gioni di Parigi e Lione dalla nuova e più di-namica generazione di politici conservato-ri. Sostanzialmente il Ps sembra essereconsapevole della necessità di un cambia-mento, ma completamente incapace diattuarlo. Il partito, inoltre, è spaccato incorrenti opposte: quella moderata del pri-mo ministro Manuel Valls e quella più disinistra. Il resto dell’universo della sinistraè composto da movimenti ambientalisti edal più radicale Front de gauche, a sua vol-ta spaccato e con un leader, l’europarla-

mentare Jean-Luc Mélenchon, che di-sprezza Hollande ancor più di Sarkozy.

Per quanto riguarda i Républicains e laloro alleanza con i centristi, anche qui ledivisioni non mancano, con i moderati dauna parte e i sostenitori della fallimentarestrategia di destra seguita da Sarkozydall’altra. Nella corsa per le primarie del2016 in vista delle presidenziali dell’annoseguente, gli ex primi ministri Alain Juppée François Fillon sono in leggero vantaggiosu Sarkozy, che però ha il sostegno dell’alapiù conservatrice dei Républicains. Resta

da capire se il partito sopravvivrà, si spac-cherà o, come i socialisti, deciderà di serra-re i ranghi per motivi strategici più che ide-ologici.

Al ballottaggio delle presidenziali delmaggio del 2017 parteciperanno solo duecandidati. Per la sinistra e la destra le divi-sioni sono garanzia di fallimento. Hollandelo sa e lo sanno anche Sarkozy e i suoi rivali.Riusciranno i due fronti a restare unitifinoad allora? Smetteranno di farsi paralizzaredal Front national? Cominceranno final-mente a difendere le loro strategie econo-

miche, i loro valori democratici e l’adesionedella Francia all’Unione europea? In politi-ca un mese è un periodo di tempo abbastan-za lungo, figuriamoci un anno e mezzo.Dopo gli attentati del 13 novembre Hollan-de è riuscito a salvare il Partito socialista daltracollo alle regionali. Sarà in grado di ripe-tersi? Ma, soprattutto, riuscirà il mondopolitico francese a impedire al Front disfondare il fragile muro di vetro che finoral’ha tenuto lontano dal potere?u as

Patrice de Beer è un giornalista francese. È stato corrispondente di Le Monde da Wa-shington e Londra.

Da sapereI risultati del secondo turno

u Il 13 dicembre 2015 i francesi hanno votatoper il secondo turno delle elezioni regionali.Il Front national (Fn) di Marine Le Pen, che il6 dicembre era stato il partito più votato in seiregioni, è stato sconfitto ovunque. Dopo ilprimo turno il Partito socialista (Ps) avevadeciso di ritirare i propri candidati nelle treregioni dove non aveva possibilità di vincere, eil 13 dicembre molti elettori di sinistra hannovotato per i candidati della destra gollista. IlFront ha comunque ottenuto 6,8 milioni di voti,il suo risultato migliore in termini assoluti. IRépublicains di Nicolas Sarkozy hanno vinto

in sette regioni, mentre il Ps ne ha conquistatecinque. In Corsica ha vinto Gilles Simeoni,della coalizione autonomista Femu a Corsica.

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http://slidepdf.com/reader/full/internazionale-n-1133-18-22-dicembre-2015 22/13222 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Spagna

“L’altro giorno ho scoperto chel’elettricità è più cara a Val-lecas che a Beverly Hills”. Ilriferimento del leader di

Podemos, Pablo Iglesias, al quartiere diMadrid in un’intervista in tv non è casuale.Vallecas è una roccaforte della sinistra. EIglesias, che ci vive, non si è lasciato sfuggi-re l’occasione di strizzargli l’occhio. Qui,

alle porte della cintura operaia di Madrid, ladestra non ha mai vinto. “La sinistra è forte.Siamo lavoratori”, commenta il cliente diun bar mentrefinisce la colazione, prima direcarsi a Valdemoro, dove fa il meccanico.

Nessuno si stupirebbe se alla elezionidel 20 dicembre il partito più votato a Valle-cas fosse Podemos. Su una panchina di cal-le Peña Gorbea un uomo di 59 anni beveuna birra al sole con un amico. Non è unpensionato giovane. “Sono elettricista, manon trovo lavoro”, dice. “Ho sempre votatoper i socialisti. Mio fratello no, è di Izquier-da unida (Iu). Ma l’ultima volta ha votatoper Manuela Carmena”. Alle comunali di

maggio, la candidata della piattaforma disinistra Ahora Madrid, oggi sindaca dellacapitale, a Vallecas ha preso il 42 per cento

dei voti. L’ottimismo, però, oggi scarseggia.“È perché non è solo Vallecas a votare”, di-ce una ragazza. Lavora da quando aveva 12anni e non andrà a votare. “Non posso, sonoromena”, spiega con un marcato accento diMadrid, sorridendo. È abituata a vederefacce sorprese quando rivela dov’è nata. Glistranieri sono il 14,4 per cento della popola-zione del quartiere, e la maggioranza vienedalla Romania. La ragazza ha poco più divent’anni ed è rassegnata: il voto non cam-bierà nulla. “Ci sono persone che, per pau-ra, non vogliono cambiamenti”, dice.

La questione si fa ancora più chiara nelbar dove lavora Stela, dall’altra parte di ave-nida de la Albufera. “Prima qui veniva con-tinuamente gente, gruppi di lavoratori. Oraè sempre vuoto”, spiega. C’è un solo cliente,un romeno che ha lavorato nell’edilizia. Havissuto il boom e il declino del settore cheha dato da vivere a buona parte della classeoperaia nel primo decennio del duemila,ma anche i sotterfugi dei datori di lavoroper non pagare e l’assenza dei controlli sullavoro. “La sinistra. Deve vincere. Gli altrisanno solo tagliare”, aff erma. “Che ne san-no quelli della crisi…”, lo interrompe Stela.In mezz’ora è passato solo un cliente per un

caf è. Off re la casa. A Vallecas la disoccupa-zione è al 23 per cento, il 7 per cento in piùrispetto alla media cittadina. Qui la princi-pale preoccupazione è il lavoro. “Di lavoro

ce n’è molto, ma invece di dividerlo, tuttifanno giornate più lunghe”, dice un’altraragazza, che fa la cameriera e vive nel quar-tiere da un anno. “È questo che ci ha frega-to. Ti fanno lavorare di più per lo stessocompenso. O per meno”, aggiunge un’altradonna, infermiera in una casa di riposo, an-che lei convinta che con il voto non cambie-rà nulla.

È difficile trovare chi spera che le elezio-ni portino dei cambiamenti. Un’eccezioneè un operaio che cerca di rollarsi una siga-retta con le mani sporche d’intonaco. “Vo-

terò Podemos”, dice alzando lo sguardo.Lavora qui di fronte, in una delle mense so-ciali del quartiere. Sono le 13.30 e le personeche hanno mangiato nel primo turno co-minciano a uscire. “Qui non troverai moltelibrerie. In compenso ci sono diverse casechiuse. C’è più prostituzione che sulla Granvía. E molta povertà. E miseria”.

Nel quartiere la campagna elettorale vaa rilento. Un manifesto annuncia un comi-zio di Alberto Garzón, di Iu, mentre vicinoallo stadio del Rayo Vallecano sui muri sivedono le scritte dei tifosi della squadra lo-

cale. Il calcio è uno degli strumenti che ivallecanos  hanno per rivendicare la loroidentità, quel carattere speciale che inorgo-glisce chi vive nel quartiere. Un murale congrandi lettere bianche su sfondo rosso loriassume in tre parole: “Valentía, coraje ynobleza”, valore, coraggio e nobiltà.u  ff  

    S    U    S    A    N

    A    V    E    R    A             R    E    U    T    E    R    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Il primo ministro Mariano Rajoy in tv. Madrid, 14 dicembre 2015

La speranza nelle urne

Il 20 dicembre gli spagnolivoteranno per eleggere il nuovo

parlamento. Reportage daldistretto madrileno di Vallecas,feudo storico della sinistra

Álex Moreno, Ctxt, Spagna

u Alla vigilia del voto del 20 dicembre la Spa-

gna è in una situazione politica inedita. Comeconferma un sondaggio realizzato dalla socie-tà Metroscopia, è ormai superata la fase in cuidue partiti (i popolari del Pp e i socialisti delPsoe) prevalevano sugli altri e l’incertezza erasolo su quale dei due avrebbe ottenuto la mag-gioranza. Il prossimo parlamento sarà domina-to da quattro partiti – Ciudadanos e Pode-mos oltre a Pp e Psoe – che devono definire illoro peso in un nuovo sistema dove, a meno digrandi sorprese, nessuno avrà la maggioranza.L’equilibrio che sembra delinearsi non è una ri-voluzione, ma un cambiamento profondo. E ri-sponde al desiderio degli spagnoli, che chiedo-

no ai partiti di negoziare e costruire consensoperché sono stufi di assistere a scontri sterili inun quadro politico polarizzato. El País

Da sapereGrandi cambiamenti

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Americhe

28 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Più autonomiaper gli insegnanti

Kristina Rizga, MotherJones, Stati Uniti

 Q

uando nel 2002 George W. Bushfirmò il No child left behind act,

la riforma delle scuole elementa-ri e secondarie, aveva al suofian-

co il senatore democratico Ted Kennedy e ildeputato repubblicano John Boehner.All’inizio di dicembre il senato e la camerahanno votato a grande maggioranza percambiare quella legge. Anche la nuova nor-ma è sostenuta da entrambi i partiti, mastavolta il motivo è il comune disprezzo perla legge di Bush.

Negli ultimi decenni il ruolo svolto dalgoverno federale nell’organizzazione dellescuole pubbliche si è allargato sempre di

più, e la legge del 2002 proseguiva in quelladirezione. Con l’obiettivo di aiutare i bam-bini provenienti da famiglie svantaggiate ecreare uniformità nell’insegnamento a li-vello nazionale, la norma obbligava gli statiafissare un livello minimo di apprendimen-to nella lettura e in matematica e assegnavaai singoli stati e ai distretti scolastici la re-sponsabilità di raggiungere quel livello.Dopo il 2002 gli alunni sono stati sottopostia esami annuali con l’obiettivo di innalzarei livelli minimi e di colmare il divario di ren-dimento tra ifigli di famiglie ricche e quellidi famiglie povere. Per un certo periodo ilrendimento degli studenti, soprattutto di

quelli appartenenti alle minoranze, è deci-samente migliorato e il divario tra studenti

neri e bianchi si è ridotto. La legge stabilivache tutti avrebbero dovuto raggiungere ilivelli minimi di apprendimento attribuitialla loro fascia d’età nel campo della letturae della matematica entro il 2014. Ma l’obiet-tivo non è stato raggiunto. Inoltre, visto chela normativa richiedeva di sottoporre gliallievi a esami ricorrenti per valutare i pro-gressi delle scuole, gli insegnanti hannocominciato a protestare perché erano co-stretti a dedicare troppe ore di lezione apreparare gli studenti agli esami. E di con-seguenza anche i due principali partiti, per

motivi diversi, hanno cominciato a chiede-re che la legge fosse cambiata.

La nuova legge, chiamata Every studentsucceeds act, è stata ratificata dal presiden-te Barack Obama il 10 dicembre. Il ruolodel governo federale è ridimensionato. Isingoli stati potranno decidere quali sianole responsabilità delle scuole e in che modovada valutato il loro rendimento. Ma do-vranno continuare a sottoporre gli studentia esami di lettura e di matematica e garan-tire maggiore trasparenza sui risultati rag-giunti. Resta da vedere se la nuova leggecontiene gli ingredienti giusti per migliora-re le scuole pubbliche statunitensi.u fp

Cambia la legge per le scuolepubbliche statunitensi

The Economist, Regno Unito

Dopo l’approvazione di una nuo-va legge per le scuole elemen-tari e secondarie, ora negli Sta-ti Uniti tutti si chiedono se que-

sti cambiamenti miglioreranno il livello diapprendimento e colmeranno i divari nelrendimento degli alunni. La risposta è: nonè detto. Il provvedimento non affronta iprincipali problemi del sistema scolastico.

Anche se prevede molti passi importantinella giusta direzione (come l’aumento deifinanziamenti alle scuole per l’infanzia), silimita a perfezionare i criteri di valutazionedegli istituti e degli insegnanti, e questo nonè sufficiente per aumentare il livello dell’ap-prendimento. Usando metodi più raffinatiper misurare la temperatura di un pazientenon si curano automaticamente le cause diuna malattia. Gli insegnanti, come i medici,devono migliorare continuamente le lorotecniche e le loro capacità di giudizio pro-fessionale per poter rispondere alle esigen-

ze di tutti gli allievi.

Divario incolmabileMolti studi dimostrano che le scuole mi-gliorano quando gli insegnanti hanno piùmargine di manovra. Perciò ci sarebbe bi-sogno di riforme che innalzino lo stipendiodegli insegnanti, e gli permettano di piani-ficare lezioni più coinvolgenti adeguandol’insegnamento e i programmi ai risultatidegli studenti.

Un altro problema è che negli Stati Unitistoricamente le riforme dell’istruzione si

scontrano con grossi ostacoli soprattuttonelle scuole frequentate in maggioranza daalunni provenienti da famiglie a basso red-dito. Negli ultimi dieci anni la diff erenza trailfinanziamento per singolo studente dellescuole ricche e delle scuole povere è au-mentata del 44 per cento. Meno fondi signi-fica meno insegnanti qualificati e classi piùnumerose. È difficile immaginare che il pa-ese possa fare progressi significativi nel col-mare il divario di apprendimento e di op-portunità se queste disparità non sarannoaff rontate con la stessa attenzione che negliultimi anni è stata dedicata alla standardiz-zazione degli esami.u fp

    C    H    I    P    S    O    M    O    D    E    V    I    L    L    A                G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S            

Barack Obamafirma la legge sull’istruzione. Washington, 10 dicembre 2015

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 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 29

ARGENTINA

Le prime mossedi Macri Il 10 dicembre il conservatore

Mauricio Macri (nella foto) hagiurato come nuovo presidentedell’Argentina. La cerimoniad’insediamento è stata boicotta-ta da Cristina Fernández, chenon ha fatto il tradizionale pas-saggio di consegne della bandapresidenziale. Il 14 dicembre ilnuovo presidente ha annunciatoda Pergamino, nella provincia diBuenos Aires, un importante ta-glio delle tasse alle esportazionidei prodotti agricoli, che sono labase dell’economia nazionale.“Macri sa che dovrà prenderedecisioni dure e impopolari, maha deciso di cominciare con lebuone notizie”, scrive il corri-spondente del País Carlos Cué.

STATI UNIT I

Gli autistisi organizzano Il consiglio comunale di Seattle

ha approvato una legge che per-mette agli autisti di servizi ditrasporto privato come Uber diformare dei sindacati. “È la pri-ma città statunitense ad appro-vare un provvedimento simile”,scrive il New York Times. Lalegge prevede anche che nellecompagnie di taxi e di auto a no-leggio ci sia una rappresentanzasindacale. “È l’ennesimo gratta-capo per Uber, che in Californiasta aff rontando una class actiondi alcuni autisti che chiedono diessere considerati impiegati atempo pieno”.

    M    A    R    C    O    S    B    R    I    N    D    I    C    C    I             R    E    U    T    E    R    S         

    C    O    N    T    R    A    S    T    O         

COLOMBIA

Accordosulle vittime

 Il 15 dicembre il presidente dellaColombia Juan Manuel Santos ei rappresentanti della guerrigliadelle Farc hannofirmato all’Ava-na l’accordo definitivo sul risar-cimento delle vittime del con-flitto armato interno. SecondoLa Silla Vacía, “era il punto piùdifficile tra i cinque in discussio-ne a Cuba. Ora la firma della pa-ce, prevista per marzo del 2016,è irreversibile. La questione deiprocessi ai responsabili dei cri-

mini durante il conflitto doveva,da una parte, essere soddisfa-cente per i colombiani e, dall’al-tra, superare l’esame della giu-stizia penale internazionale”.“L’accordo”, scrive El Especta-dor, “prevede la creazione diuna commissione per la verità edi un’unità speciale per la ricer-ca delle persone scomparse”.

IN BREVE

Canada Il 10 dicembre un pri-mo gruppo di 163 rifugiati siriani

è stato accolto all’aeroporto diToronto dal premier Justin Tru-deau (nella foto). Il paese acco-glierà 25mila profughi siriani en-tro lafine di febbraio 2016.Stati Uniti-Cuba I governi deidue paesi hanno raggiunto unaccordo il 10 dicembre a Miamisulla ripresa, dopo 52 anni, deicollegamenti postali diretti.Stati Uniti Il 14 dicembrel’esercito ha annunciato che ilsoldato Bowe Bergdahl, per cin-

que anni ostaggio dei taliban inAfghanistan, sarà processatoper diserzione.

Stati Uniti

Corruzione incontrollata

Il 5 dicembre del 2011 l’agentespeciale Gus Gonzales si è appostatocon la sua macchina fotografica nelparcheggio di un supermercato aBrownsville, in Texas. Dovevaraccogliere le prove di unacompravendita di armi legata alnarcotraffico messicano. È rimastosconvolto quando ha visto che il

compratore era Manny Peña, un ispettore dell’Us customsand border protection, l’agenzia governativa che si occupadi vigilare sulle frontiere. “Peña è stato condannato acinque anni e licenziato”, scrive il Texas Observer, “mala sua storia è solo uno dei casi di corruzione che hannocolpito l’agenzia negli ultimi anni”. A partire dall’11settembre 2001, man mano che il governo federale davapiù potere all’agenzia per controllare le frontiere con ilMessico e che la sua struttura burocratica cresceva,l’agenzia diventava ingestibile. E decine di agenti hannoapprofittato della confusione per darsi al traffico di droga,di armi e di migranti. E grazie all’inefficienza delle autorità

di controllo il più delle volte sono riusciti a farla franca.◆

Texas Observer, Stati Uniti

    N    A    C    H    O    D    O    C    E             R    E    U    T    E    R    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

São Paulo, 13 dicembre 2015

Brasile

In piazza contro Dilma Rousseff 

Il 13 dicembre migliaia di persone hanno manifestato in più di centocittà brasiliane a favore della messa in stato d’accusa della presiden-te Dilma Rousseff , accettata il 3 dicembre dal presidente della ca-mera Eduardo Cunha. Secondo Carta Capital, la partecipazione èstata inferiore a quella delle proteste antigovernative di agosto. ASão Paulo c’erano 40mila persone, a Rio de Janeiro cinquemila.◆

    M    A    R    K    B    L    I    N    C    H             R    E    U    T    E    R    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

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30 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Asia e Pacifico

 Come se in Afghanistan ultima-mente la situazione non fosseabbastanza disastrosa – la cadu-ta (temporanea) di Kunduz nelle

mani dei taliban, l’arrivo del gruppo Stato

islamico (Is), il fallimento del negoziato dipace tra il governo e i fondamentalisti isla-mici, la crisi economica – la faida tra diversefazioni taliban potrebbe peggiorare la situa-zione. Il 5 dicembre i taliban hanno smenti-to la notizia, diff usa dal governo di Kabul,secondo cui il loro leader, il mullah AkhtharMansour, sarebbe stato ucciso in uno scon-tro a Quetta, in Pakistan, il 2 dicembre. Nonè ancora chiaro se Mansour sia stato ferito osia morto. Questa mancanza di chiarezzarisponde all’ossessione dei taliban per lasegretezza, soprattutto ora che sono alleprese con divisioni politiche e lotte tra clansempre più profonde. Il mullah Mansour

La lotta per il poteredei taliban afgani

Le divisioni sempre piùprofonde tra i fondamentalistiislamici rischiano di portare altracollo il paese, già messo adura prova dalla crisi politica edeconomica

Ahmed Rashid, Financial Times, Regno Unito

     A     P              A     N     S     A

Taliban di una fazione separatista a Farah, 3 novembre 2015

aveva preso il comando del movimento a

luglio, dopo la rivelazione che il mullahOmar, il suo fondatore, era morto nel 2013.Nonostante le critiche Mansour era statoscelto come leader, anche grazie alla pres-sione del Pakistan, che sperava in una tran-sizione senza scossoni. Da allora Mansourè considerato da molti taliban come un bu-rattino manovrato da Islamabad. Probabil-mente l’attacco del 2 dicembre è stato orga-nizzato dai sostenitori del rivale di Man-sour, il mullah Mansour Dadullah. La noti-zia che il vice di Mansour, sheikh Haibatul-lah Akhunzada, sarà nominato capo provvi-

sorio alimenta il sospetto che Mansour siamorto o infin di vita. In ogni caso lui o il suosuccessore dovranno aff rontare rivali poli-tici contrari a qualsiasi trattativa di pace.

Le vittime di questo caos sono molte. Laprima è senz’altro Kabul. Il governo afgano,incapace di attuare le sue politiche al di fuo-ri delle grandi città, si è via via indebolito.La sua credibilità tra gli afgani è in forte caloe sta cedendo il controllo di diverse aree ru-rali ai taliban. Kabul sperava di riceverel’appoggio di Islamabad alla conferenza re-gionale organizzata nella capitale pachista-na il 9 dicembre. Nonostante il presidenteafgano Ashraf Ghani abbia accusato il Paki-

stan di non fare abbastanza per contenere italiban afgani, alla fine i due paesi e i lorovicini hanno promesso di cooperare di piùper mettere fine alla minaccia dei fonda-

mentalisti. Ma il crescente conflitto internoal movimento islamista rende poco proba-bile l’avvio di un negoziato a breve.

L’alleanza necessariaLa situazione è imbarazzante anche per iservizi segreti pachistani, perché l’attaccocontro Mansour è avvenuto a Quetta, in Pa-kistan, dove vivono molti capi del movi-mento islamista. Stati Uniti e Nato sonostati più discreti nel criticare Islamabad perl’accoglienza che continua a dare ai taliban,ma sono molto preoccupati per il caos e la

presenza dell’Is in almeno tre delle 34 pro-vince afgane. Gli occidentali stanno pen-sando di lasciare un piccolo contingentestrategico in Afghanistan per i prossimi dueanni. In ogni caso a pagare il prezzo più altosaranno gli afgani, perché la guerra internaai taliban per il territorio, il controllo dellefrontiere e la gestione del commercio delladroga dividono il paese sempre di più.

L’Afghanistan è segnato anche dagliscontri tra i taliban e l’Is, con i primi che cer-cano di arrestare l’avanzata dei jihadisti e illoro potere di attrazione sui taliban insoddi-

sfatti. Il Pakistan resta la pedina fondamen-tale dello scacchiere. Come i suoi militarigestiranno la frattura e la lotta di potere in-terne ai taliban è fondamentale per qualsia-si processo di pace. Se Islamabad cercheràancora di influenzare l’elezione di un nuovoleader taliban, potrebbe provocare una rea-zione ancora più violenta sia dei ribelli sia diKabul. Se invece i pachistani restassero indisparte è probabile che le fazioni talibancontinueranno a combattersi ancora a lun-go, e questo potrebbe mettere a rischio lasicurezza del Pakistan. Forse è arrivato il

momento che Islamabad imponga ai tali-ban un ultimatum costringendoli a lasciarele loro comode residenze a Quetta e Pesha-war e tornare a casa. Questo metterebbeenorme pressione sul gruppo, che a quelpunto farebbe meglio a trovare un accordocon Ghani. Anche Kabul deve capire che èmeglio che aiuti il Pakistan a prendere ledecisioni giuste invece di sprecare il pococapitale diplomatico rimasto dopo i suoiattacchi contro il Pakistan.u as

Ahmed Rashid è un giornalista pachista-no. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Peri-colo Pakistan (Feltrinelli 2013).

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32 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

AUSTRALIA

Troppi indigeniin carcere

 Sono passati quasi 25 anni daquando il governo creò unacommissione per studiare lecause dell’elevato numero diaborigeni nelle carceri, e glistessi problemi sociali indivi-duati allora persistono, scriveThe Saturday Paper. Gli abo-rigeni sono il 2,5 per cento dellapopolazione australiana ma il28 per cento dei detenuti e il 20per cento dei morti in carcere.Negli ultimi 15 anni il numero

dei detenuti aborigeni è au-mentato del 57 per cento. La si-tuazione è preoccupante so-prattutto per le donne e i ragaz-zi: dal 2000 il tasso di incarce-razione delle aborigene è au-mentato del 60 per cento (quel-lo degli uomini del 35 per cen-to); quanto ai giovani aborigeni,la probabilità che finiscano inprigione è 31 volte più alta ri-spetto ai coetanei bianchi. Cir-ca il 16 per cento degli aborige-

nifi

nisce in prigione per multenon pagate.

Pechino registra13 milionidi cinesi

Secondo l’ultimo censimento, gliheihu, i cittadini cinesi senza certi-ficato di residenza (hukou), sonopiù di 13 milioni. In almeno la metà

dei casi si tratta di bambini nati fuori dai li-miti imposti dalla legge del figlio unico. Il10 per cento circa èfiglio di coppie non spo-sate o non è stato registrato alla nascita e ilresto non ha i documenti per diverse ragio-ni. Finalmente il governo ha deciso che dal1 gennaio riconoscerà a questi cittadinil’hukou. A chi ne è sprovvisto, infatti, non

sono riconosciuti molti diritti fondamenta-li e vive con difficoltà: non può ricevereun’istruzione adeguata, trovare un lavorostabile né accedere al sistema di previdenzasociale. Pechino deve aumentare l’impegnoeconomico per correggere questa situazio-ne. Molti giovani heihu sono senzatetto,non sanno dove sono nati né in quale stazio-ne di polizia possono andare a registrarsi.

Gran parte dei cittadini senza residenzaproviene dalle regioni occidentali, che sonoanche le più povere e quelle dove il governodeve aumentare gli sforzi per soddisfare ibisogni della popolazione.

Le amministrazioni locali dovranno col-laborare tra loro perché, per evitare le mul-te, molte famiglie non registrate si spostanoda una città all’altra. Il processo di registra-zione si baserà anche sullo scambio di in-formazioni tra i dipartimenti. Per ottenerel’hukou, per esempio, serve un certificato dinascita. Ma a volte è introvabile, altre volte,nei casi dei bambini nati in casa, semplice-mente non esiste. È necessario, quindi, che

ospedali e strutture sanitarie collaborino. Isingoli dipartimenti non possono farsi cari-co del problema nel suo complesso: gli ufficiper gli aff ari sociali si occupano delle ado-zioni e dei senzatetto, gli uffici previdenzia-li delle spese mediche e dell’assistenza per idisoccupati, il dipartimento per la scuola edell’istruzione degli heihou. Le autorità lo-cali e nazionali devono facilitare l’accesso

agli uffici per la residenza e incoraggiare icittadini a presentarsi alle stazioni di poliziaper chiedere il loro certificato. u ap

Péngpài, Cina

Cina

     R     E     U     T     E     R     S              C     O     N     T     R     A     S     T     O

Shenyang, 13 novembre 2015

CINA

Sovranitàinformatica

A una conferenza dedicata a in-ternet, il 16 dicembre il presi-dente Xi Jinping ha ribadito l’in-violabilità della sovranità infor-matica di ogni paese. Per Xi laCina, dove 650 milioni di perso-ne usano internet, dovrebbeavere una voce in capitolo nelladefinizione delle leggi globaliche governano la rete e dei con-tenuti da censurare, scrive laBbc. Il 14 dicembre si è svolto ilprocesso a Pu Zhiqiang, accusa-

to di incitamento all’odio etnicoper aver denunciato online laviolenza della polizia contro gliuiguri nello Xinjiang. Il verdettoè ancora ignoto.

IN BREVE

Pakistan Il 13 dicembre 23 per-sone sono morte nell’esplosionedi una bomba in un mercato aParachinar, nel nordovest delpaese. L’attentato è stato riven-

dicato dal gruppo sunnitaLashkar-e-Jhangvi.

Quanto ci vorrà per decontaminare e smantellarel’impianto nucleare di Fukushima, dato che nemmeno irobot sono riusciti a entrare nelle zone dove si trovano ilcarburante e i detriti? Per Naohiro Masuda, scelto dallaTepco (l’azienda proprietaria della centrale) per guidare losmantellamento dell’impianto danneggiato dal terremotoe dallo tsunami dell’11 marzo 2011, non c’è nulla di certoperché “non ci sono precedenti”. Per i più ottimisti ci

vorranno circa cinquant’anni. Mentre il governo, allafi

nedel 2011, aveva definito la situazione “sotto controllo”.u

Giappone

Un disastro senzafine

     K     Y     O     D     O              R     E     U     T     E     R     S              C     O     N     T     R     A     S     T     O

L’impianto Fuskushima daiichi, 11 marzo 2015

Asia e Pacifico

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Visti dagli altri

Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 35

Primo Levi studiò chimica a Tori-no e feceva il chimico quandoall’età di 24 anni si unì ai parti-giani italiani che resistevano

all’occupazione nazista del Norditalia, co-minciata nel 1943. Fu arrestato dai fascistie consegnato ai tedeschi, che lo mandaro-no ad Auschwitz – che lui chiamava il lager,

dove sopravvisse un po’ per pura fortuna,un po’ perché fu messo a lavorare in una

fabbrica di gomma sintetica, che sfruttavai prigionieri come manodopera. Tornato inItalia, nel 1947 pubblicò Se questo è un uo-mo, la sua testimonianza sulla detenzionead Auschwitz, e lavorò per trent’anni inuna fabbrica di vernici. In quel periodoscrisse racconti, poesie, libri di memorie,saggi, un romanzo e nel 1975 Il sistema pe-riodico, la sua autobiografia, dove ognunodei capitoli ha il nome di un elemento chi-mico, alcuni sono dei veri e propri raccontibrevi.

Levi è celebre in tutto il mondo per latranquilla lucidità di Se questo è un uomo,così poco incline alla spettacolarizzazione,

e per la miscela stranamente toccante didati scientifici e di imprevedibile fantasiadi  Il sistema periodico. Negli Stati Uniti isuoi libri sono stati pubblicati alla rinfusa:ad alcuni è stato cambiato il titolo per mo -tivi di marketing (Se questo è un uomo è di-ventato Survival in Auschwitz ); alcuni sonostati tradotti e pubblicati in forma incom-pleta; altri non sono mai stati tradotti. Thecomplete works of Primo Levi, che esce ora acura di Ann Goldstein, è il frutto di sei anni

di trattative per l’acquisizione dei diritti ecomprende tutti gli scritti pubblicati di Le-vi, con traduzioni nuove o riviste. A ventot-to anni dalla morte dello scrittore i tre vo-lumi evidenziano la vastità e la coerenzadel suo genio e mettono in luce in modosorprendentemente chiaro quanto la suaprofessione di chimico abbia influenzatoprofondamente l’opera disorientante delmoralista Levi e la sua concezione unicadella psicologia e della storia.

Primo Levi diede due spiegazioni di-verse su com’era diventato scrittore. Unavolta dichiarò: “Scrivo proprio perché sonochimico”. In altre circostanze disse: “Sen-

Il rigore scientificodi Primo Levi

Negli Stati Uniti sono usciti tre

volumi con tutti gli scritti diLevi. Una raccolta che dimostraquanto il mestiere di chimicoabbia influenzato l’operadello scrittore

Edward Mendelson, The New York Times, Stati Uniti

    J    E    R    R    Y    B    A    U    E    R                L    U    Z    P    H    O    T    O            

Primo Levi nella sua casa a Torino negli anni ottanta

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za l’esperienza di Auschwitz probabilmen-te non avrei scritto nulla”. Entrambe le af-fermazioni sono vere. Levi ritornò da Au-schwitz con “un bisogno di raccontare”, di

rendere testimonianza. “I ricordi mi bru-ciavano dentro”, disse. Eppure li registròcon il freddo distacco dello scienziato. Ciòche rese tanto unici e memorabili i suoiscritti su Auschwitz fu il rifiuto dell’autoredi lasciarsi andare a prediche o a proclamisugli orrori che descriveva, convinto chebastassero i fatti.

Il rischio di generalizzareEra così rigoroso nel rispetto dei fatti dascrivere con più rabbia su quei tedeschi chedopo la guerra giustificavano o negavano

la realtà del lager. E così, la prosa più in-quieta in The complete works of Primo Levi sitrova in un capitolo della sua tardiva medi-tazione su Auschwitz, I sommersi e i salvati(1986), in cui descriveva le lettere che gli

avevano inviato alcuni lettori tedeschi di Sequesto è un uomo. A una di queste, partico-larmente ipocrita e autoassolutoria, Levirispose con una lettera che definì in seguito“forse la sola iraconda che io abbia maiscritto”.

Stilisticamente Levi si ispirò alle rela-zioni che si redigono di solito negli stabili-menti chimici per render conto del lavorosvolto nelle settimane precedenti. Ma nelsuo stile e nei suoi contenuti non c’era pro-prio niente di neutrale. A diff erenza di qua-si tutti gli altri autori del novecento che

scrissero di scienza, Levi non pensò maiche i valori le fossero estranei, anzi. Gli ele-menti e i composti chimici erano morali oimmorali, esattamente come gli esseriumani: “il sodio è un metallo degenere”,scriveva. “I cloruri in genere sono genta-glia”; il cerio “appartiene alla equivoca ederetica famiglia delle terre rare”. L’etica,così come la intendeva Primo Levi, non èun insieme di norme o di leggi imposte dachissà quale potenza divina che sta oltre larealtà ordinaria, ma è parte integrante del-la realtà: è un dato di fatto, non un’opinio-ne. Nel lager come in laboratorio, perderedi vista l’etica era perdere di vista la realtà

dei fatti. A proposito dei nazisti che aveva-no ripreso il mito del superuomo di Nietz-sche, Levi scriveva: “È degno di medita-zione il fatto che tutti, il maestro e gli allie-

vi, siano usciti progressivamente dalla re-altà a mano a mano che la loro morale siandava scollando da quella morale, comu-ne a tutti i tempi ed a tutte le civiltà”.

L’essenza della barbarie nazista, per Le-vi, era la riduzione di esseri umani a oggettianonimi, mere istanze di una categoria col-lettiva (gli ebrei, per esempio), che possonopoi essere massacrati collettivamente per-ché privi di valore individuale. Di contro, ilnocciolo della scienza era per lui il rifiuto diogni generalizzazione e teoria che trascen-desse la realtà delle cose particolari. Nel

lavoro del chimico, diceva, “occorre diffida-re del quasi-uguale (…) Le diff erenze posso-no essere piccole ma portare a conseguenzeradicalmente diverse”. E aggiungeva que-sto laconico commento, quasi una morale:

“Non solo nel mestiere del chimico”. Al pa-ri di tutti i grandi pensatori che hanno riflet-tuto sulla scienza, Levi era consapevole chela scienza sbaglia troppo facilmente e chegli scienziati sono troppo inclini a crederealle loro ipotesi. Il suo racconto Visto di lon-tano è una parabola sulla fallibilità dellascienza, scritta come se fosse un rapportoredatto da esseri intelligenti che abitanosulla Luna, con le loro osservazioni sullaTerra. Intendono fiduciosamente le cittàcome cristalli inorganici, le navi come crea-ture marine migratrici e gli stadi di calcio

come crateri vulcanici; ma restano inter-detti di fronte all’oscuramento pervasivo,rotto qua e là da improvvisi sprazzi di luce,che ci fu tra il 1939 e il 1945.

Per Levi, qualsiasi tentativo di “capire”o “comprendere” – che si trattasse dellereazioni chimiche o del genocidio nazista– rischiava di cadere nell’errore di genera-lizzare sul “quasi-uguale”: “Ciò che comu-nemente intendiamo per ‘comprendere’coincide con ‘semplificare’(…) Questo de-siderio di semplificazione è giustificato, lasemplificazione non sempre lo è. È un’ipo-tesi di lavoro, utile in quanto sia ricono-sciuta come tale”.

Forse, scriveva, l’odio dei nazisti “nonsi può comprendere, anzi non si deve com-prendere, perché comprendere è in qual-che modo giustificare”. Bisogna invece ri-

conoscere ciò che esso è: “Se comprendereè impossibile, conoscere è necessario, per-ché ciò che è accaduto può ritornare, le co-scienze possono nuovamente essere se-dotte e oscurate: anche le nostre”.

Levi scandalizzò alcuni suoi lettori rife-rendo quello che definiva un “fenomenoangosciante ma immancabile”, da lui os-servato ad Auschwitz, e cioè la “zona gri-gia” tra oppressori e oppressi, in cui alcunitra i secondi diventavano i “privilegiati”che davano manforte ai loro carcerierinell’opprimere gli altri prigionieri. “Ci ren-

diamo conto”, scrive, “che tutto questo èlontano dal quadro che ci si usa fare, deglioppressi che si uniscono, se non nel resi-stere almeno nel sopportare”. Ma puravendo osservato che “anche le nostre”coscienze possono essere sedotte, Levinon sapeva che farsene della fantasia livel-latrice secondo cui i cuori di tutti sarebberougualmente colpevoli: “Non so, e non miinteressa sapere, se nel mio profondo si an-nidi un assassino, ma so che vittima incol-pevole sono stato ed assassino no”.

The complete works of Primo Levi com-

prende i suoi numerosi racconti di fanta-scienza, garbatamente satirici, ambientatiin un futuro prossimo. In quei racconti, lanostra cultura tecnologica moderna, purcosì pacifica, tratta gli esseri umani comecose, come oggetti che svolgono funzioni, epossono quindi essere rimpiazzati da mac-chine. Un poeta acquista un versificatoremeccanico per fare meno fatica; una foto-copiatrice tridimensionale produce un du-plicato esatto della moglie o del marito dichi la usa, completo di una personalità eperfino di ricordi. Il messaggio implicito è

che non sono solo gli assassini nazisti a di-menticare che cosa vuol dire essere umani.

Nessun desiderio di vendettaLevi univa in sé la passione per la dignitàumana e un profondo fatalismo circa la li-bertà umana. Nelle memorie e nelle prosedi Levi, tutti hanno un carattere e una per-sonalità nettamente definiti, ma nessunocambia dal didentro, nessuno compie unascelta decisiva, nessuno conosce per espe-rienza diretta le concessioni reciprocheche connotano le relazioni intime. Anzi,qualsiasi cambiamento nella vita persona-le è frutto di qualcosa che somiglia a una

L’essenza della barbarie nazista, perLevi, era la riduzione di esseri umania oggetti anonimi, mere istanzedi una categoria collettiva

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I

l governo italiano cerca di placare larabbia delle oltre centomila personeche avevano investito i loro soldi in

quattro piccole banche proponendola creazione di un fondo con cui compen-sarle. Tra loro ci sono famiglie che hannoperso i risparmi di una vita.

Il parlamento esaminerà un emenda-mento del governo, inserito nella legge distabilità per il 2016, che dovrebbe istituireun fondo di solidarietà di circa 100 milionidi euro,finanziato dal sistema bancario ita-liano. I dettagli sui criteri di eleggibilità esulle cifre corrisposte saranno precisati inseguito. “Il governo darà una risposta”, hadichiarato l’11 dicembre il ministrodell’economia Pier Carlo Padoan. La deci-sione del governo arriva mentre la Com-

reazione chimica ineluttabile. Parlando diun suo amico che non si era compromessocon il fascismo, Levi disse che “aveva rea-gito bene al reattivo delle leggi razziali”

imposte agli ebrei italiani. E parlando di sestesso scriveva: “Se non ci fossero state leleggi razziali e il Lager, io probabilmentenon sarei più ebreo, salvo che per il cogno-me. Invece questa doppia esperienza, leleggi razziali e il lager, mi hanno stampatocome si stampa una lamiera”.

Primo Levi aff ermò sempre di non nu-trire desideri di vendetta. La vendetta neiconfronti di un nazista sarebbe stata vanaquanto nei confronti di un agente chimicodistruttivo, per esempio l’acido solforico.

La crisi depressivaCiò che più contava per Levi – più della vi-ta, più della felicità – era la capacità di re-stare se stessi anche davanti alla morte. Aproposito di sé e dei suoi compagni di pri-gionia ad Auschwitz, scriveva: “Siamoschiavi, privi di ogni diritto, esposti a ognioff esa, votati a morte quasi certa, ma cheuna facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difen-derla con ogni vigore perché è l’ultima: lafacoltà di negare il nostro consenso”.

Commentando l’opera dello scrittorecinquecentesco François Rabelais, Levi

scriveva: “Non ci assomiglia certo… ma ciè vicino come un modello… per il suo mododi scrivere, così alieno da tipi e da regole”.L’avversione di Levi per i tipi e le regole –per qualsiasi cosa pretenda di plasmare larealtà dall’esterno – si avverte in tutte lesue opere e va dal suo disprezzo per i rego-lamenti criminali del lager riguardo agliebrei come categoria alla sua indiff erenzaai riti dell’ebraismo e alla legge ebraica.L’ebraismo gli interessava come cultura enon come religione. Non ha scritto quasinulla sulle credenze dei suoi antenati ebrei

piemontesi, ma molto sul loro dialetto e sulloro caratteristico vocabolario.

Nel 1987, poco dopo un’operazione allaprostata, Levi confidò a un’amica di esserein preda a “una brutta crisi depressiva”,anche se sperava “con tutta l’anima diuscirne presto”. Due giorni dopo, quandosi uccise, era ancora al culmine della suapotenza di scrittore. Nelle settimane pre-cedenti aveva scritto alcuni dei suoi rac-conti più spigliati, sotto forma di intervistea una giraff a, a un ragno e ad altri animali.Morì a 67 anni, e le tremila pagine di Thecomplete works of Primo Levi ci appaionoora tragicamente poche.u ma

La crisi bancariae i piani del governo

Matteo Renzi propone di creareun fondo di solidarietà per gliinvestitori che hanno perso i lorosoldi, ed è favorevole aun’inchiesta parlamentaresugli istituti di credito italiani

Giovanni Legorano e Liam Moloney,

The Wall Street Journal, Stati Unitimissione europea ribadisce quanto sia im-portante proteggere il consumatore e infor-mare gli investitori sui rischi legati ai loroinvestimenti.

Il 22 novembre 2015 il governo Renzi haapprovato un piano di salvataggio da 3,6miliardi di euro per la Cassa di Risparmiodi Ferrara, la Banca Marche, la Banca Popo-lare dell’Etruria e del Lazio e la Cassa diRisparmio di Chieti, quattro piccoli istitutidi credito. In base a quanto stabilito nel de-creto, il salvataggio non richiede l’utilizzo

di soldi pubblici.Il piano approntato dal governo e dalla

Banca d’Italia prevede che per ciascunadelle quattro banche si separi la parte buo-na del bilancio da quella cattiva.

Alla prima (la cosiddetta good bank) so-no state conferite tutte le attività diversedai prestiti “in soff erenza”, cioè quelli lacui riscossione non è certa. Nella seconda(la bad bank) saranno concentrati i prestitiin soff erenza delle quattro banche salvate.Le banche buone verranno ricapitalizzateda un fondo finanziato da grandi istituti dicredito, il cosiddetto Fondo di risoluzione,e il loro capitale verrà aumentato in modo

    M    A    T    T    E    O    M    I

    N    N    E    L    L    A                O    N    E    S    H    O    T            

Matteo Renzi a Roma il 10 dicembre 2015

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Soluzioni nascoste

per aiutare le banche

Le politiche monetarie dellaBanca centrale europeadovrebbero avere caratteregenerale. Ma stanno diventandoun modo per sollevare dai debitii singoli stati, scrive Münchau

Wolfgang Münchau, Financial Times, Regno Unito

 Quello che sta succedendo in Italiaci insegna molto sui limiti praticie politici per risolvere la crisi deldebito. Allafine bisognerà ricor-

rere alla forma più rozza attualmente di-sponibile: la stampa di moneta da partedella Banca centrale europea (Bce).

Un pensionato italiano si è tolto la vitadopo essere stato coinvolto in un bail in (ilsalvataggio di una banca che viene fattousando i soldi degli investitori). Come mol-ti altri risparmiatori inesperti di finanza,

aveva acquistato dalla sua banca obbliga-zioni subordinate (obbligazioni il cui rim-borso, nel caso di problemi finanziari perchi le ha emesse, avviene successivamentea quello dei creditori ordinari) pensandoche fossero poco rischiose. Ma grazie a unanuova normativa europea, quando unabanca fallisce i primi a pagare sono gli azio-nisti, poi i possessori di obbligazioni subor-dinate; solo dopo intervengono i fondi eu-ropei di salvataggio.

La banca del pensionato suicida era unodei quattro piccoli istituti bancari locali che

negli ultimi tempi erano stati sottoposti aun processo per non farle chiudere. A paga-re per il loro salvataggio non sono stati sologli azionisti e chi aveva obbligazioni subor-dinate, ma anche l’intero sistema bancarioitaliano. Visto che le quattro banche nonsono le uniche in pericolo in Italia, questocaso solleva interrogativi inquietanti su co-me vengono gestite le crisi delle istituzionifinanziarie. L’Unione europea si è dotata diuna normativa sui salvataggi bancari, laBank recovery and resolution directive(Brrd), ma il sistema è sottofinanziato. So-prattutto, manca la copertura di bilancio.Questo alimenta i dubbi sulla politica ma-

croeconomica dell’eurozona, in particola-re della Bce. In un mondo ideale, una crisidel debito del settore privato si aff ronta conuna procedura precisa. Ci possono esseretre opzioni: il fallimento, una procedura dirisoluzione bancaria o la creazione di unabad bank, con il governo che di solito si ac-colla le attività in perdita della banca in

difficoltà. Notoriamente noi europei nonsiamo bravi nel risolvere le crisi: ci sonosempre interessi consolidati che si metto-no di traverso. Siamo più per l’extend and

 pretend: allunghiamo i termini dei prestitiin sofferenza e facciamo finta che sianosolvibili. Le statistiche italiane dicono cheil volume di questi prestiti è di 200 miliardidi euro.

Spazio di manovraSe i pensionati cominciano a suicidarsi,vuol dire che il processo di salvataggio non

ha più copertura politica. È quello che stasuccedendo oggi in Italia. Lo stato non ha isoldi per fare questi grandi interventi sullebanche. Il governo ha esaurito lo spazio dimanovra concesso dalle regole europee.

La soluzione della crisi del debito pub-blico o privato attraverso la stampa di mo-neta si chiama monetizzazione del debito,ed è vietata dalle leggi europee. La Bce èautorizzata ad acquistare strumenti di de-bito, ma solo per la politica monetaria, nonper sollevare dai debiti qualcuno. E qui siapre una grande zona grigia.

Lo scopo ufficiale dei programmi di ac-quisto di titoli di stato e privati da parte del-la Bce (il quantitative easing ) è raggiungereun livello più alto di inflazione. Ma se que-sta operazione si protrae per molto temporischia di diventare una specie di strumen-to improprio per risolvere le crisi bancarie.L’establishmentfinanziario tedesco, infat-ti, accusa la Bce di monetizzare il debito,anche se i componenti del consiglio diret-tivo non lo ammetteranno mai. Alla finel’eurozonafinirà per monetizzare il debitonon perché è la cosa giusta da fare, ma per-ché le regole e gli ostacoli politici non le la-sciano scelta.u  fas

che sia pari ad almeno il 9 per cento delleattività ponderate per il grado di rischio. Inogni caso questo salvataggio impone per-dite agli azionisti e ai titolari di obbligazio-

ni subordinate (obbligazioni il cui rimbor-so, nel caso di problemifinanziari per chi leha emesse, avviene successivamente aquello dei creditori ordinari) che hannovisto sparire i loro investimenti. Le critichedegli investitori e dei partiti nei confrontidel piano sono aumentate rapidamente,ma la vicenda è esplosa il 10 dicembre do-po la notizia del suicidio di un uomo cheaveva perso centomila euro di risparmi in-vestiti nella Banca Popolare dell’Etruria edel Lazio.“È un episodio molto grave”, hadichiarato Carlo Rienzi, presidente del Co-

dacons. “È importante ricordare a chi inquesti giorni ha perso tutti i risparmi inve-stiti nelle quattro banche che non tutto èperduto”.

Proteggere gli investitoriIl 10 dicembre il presidente del consiglioMatteo Renzi ha difeso la scelta del gover-no, sottolineando che era impossibile evi-tare perdite per gli azionisti e per i titolaridi obbligazioni subordinate a causa delleregole europee aggiungendo che l’esecuti-vo avrebbe cercato “alcune soluzioni, dove

è possibile” per rimborsare gli investitori.Renzi ha inoltre sottolineato che il decretodel governo ha salvato migliaia di posti dilavoro e i depositi delle quattro banche.Pressato dall’opinione pubblica, il giornodopo Renzi ha aggiunto che il governo èfavorevole a un’inchiesta parlamentare su“quello che è accaduto nel settore bancarioitaliano”. Il governo ha scelto di salvare lebanche prima del 2016, cioè prima dell’en-trata in vigore delle regole europee che im-porranno perdite anche ai titolari di altreobbligazioni e ai conti correnti.

Il salvataggio ha alimentato i dubbi deifunzionari italiani ed europei sul fatto chei piccoli investitori possano acquistare pro-dotti ad alto rischio e sulla loro conoscenzadelle nuove regole.

La Banca d’Italia ha dichiarato che, allaluce delle nuove regole sul salvataggio, lebanche dovranno aumentare i loro sforziper proteggere gli investitori. “Dobbiamoprendere in seria considerazione la possi-bilità di vietare la vendita dei prodotti piùrischiosi ai piccoli investitori”, ha dichiara-to Carmelo Barbagallo, che guida il dipar-timento vigilanza bancaria e finanziariadella Banca d’Italia.u as

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Le opinioni

40 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

L’8 dicembre Angus Deaton ha ricevutoil premio Nobel per l’economia “per lasua analisi del consumo, della povertàe dello stato sociale”. A ottobre, pocodopo l’annuncio dell’assegnazione delpremio, Deaton aveva pubblicato in-

sieme ad Ann Case un ottimo studio su Proceedings ofthe National Academy of Sciences, una ricerca che me-rita attenzione almeno quanto il Nobel. Analizzandoun’enorme quantità di dati sulla sanità ele cause di morte degli statunitensi, Case

e Deaton evidenziavano un declinodell’aspettativa di vita e delle condizionidi salute per i bianchi di mezza età, so-prattutto quelli con un titolo di studi pario inferiore al diploma. Tra le maggioricause di morte emergevano il suicidio, ilconsumo di droga e l’alcolismo.

Gli Stati Uniti si vantano di essere unodei paesi più ricchi del pianeta, e negliultimi anni (fatta eccezione per il 2009) illoro pil pro capite è cresciuto costante-mente. La buona salute e la longevità dovrebbero esse-re indicatori di prosperità. Ma anche se hanno una spe-

sa sanitaria pro capite superiore a quella di quasi tutti glialtri paesi (e la cifra aumenta se parliamo di percentua-le del pil), gli Stati Uniti sono ancora lontani dai risulta-ti dei paesi con la più alta aspettativa di vita. La Francia,per esempio, spende meno del 12 per cento del pil perl’assistenza sanitaria (gli Stati Uniti arrivano al 17 percento), ma l’aspettativa di vita dei francesi è tre anni piùalta di quella degli statunitensi.

Per molti anni si è creduto che questa diff erenza ri-flettesse il divario tra bianchi e neri, un fattore che è in-negabile. Secondo uno studio pubblicato nel 2014,l’aspettativa di vita dei neri era di quattro anni inferioreper le donne e di oltre cinque anni inferiore per gli uo-

mini rispetto a quella dei bianchi. Questa disparità nonè solo un’innocua conseguenza di una società più ete-rogenea, ma un sintomo della vergogna che sta alla ba-se della società statunitense: la discriminazione controi neri, che si riflette nel fatto che il reddito medio dellefamiglie nere è meno del 60 per cento di quello dellefamiglie bianche. Gli eff etti di questa disparità sono an-cora più gravi perché gli Stati Uniti sono l’unico paesesviluppato a non considerare l’accesso all’assistenzasanitaria un diritto fondamentale.

Nonostante questo alcuni statunitensi bianchi han-no cercato di addossare ai neri la colpa della loro bassaaspettativa di vita chiamando in causa le loro abitudini.Sarà anche vero che uno stile di vita meno sano è piùfrequente tra gli statunitensi più poveri (di cui una gran-

dissima maggioranza sono neri), ma a loro volta questeabitudini sono una conseguenza delle condizioni eco-nomiche, per non parlare del razzismo. Lo studio diCase e Deaton dimostrava che queste teorie non sonopiù attuali. Gli Stati Uniti stanno diventando una socie-tà sempre più divisa, non solo tra bianchi e neri ma an-che tra l’1 per cento più ricco e gli altri, e tra i più istruitie i meno istruiti, a prescindere dalla razza. Ora questodivario può essere misurato non solo in termini di red-

dito, ma anche di morti premature: an-che i bianchi muoiono prima quando il

loro reddito diminuisce.Questa non è certo una sorpresa per

chi studia la disuguaglianza. Il redditomediano di un lavoratore maschio atempo pieno si è abbassato rispetto a 40anni fa. Lo stipendio dei diplomati ma-schi si è ridotto di circa il 19 per cento nelperiodo preso in esame da Case e Dea-ton. Per restare a galla molti statunitensiavevano contratto prestiti a tassi viciniall’usura. Nel 2005 l’amministrazione

Bush aveva reso più difficile per le famiglie dichiararebancarotta e liberarsi dal debito. Poi è arrivata la crisi

finanziaria, che ha fatto perdere a molti statunitensi illavoro e la casa. Quando i fondi per la disoccupazionesi sono esauriti, gli statunitensi sono stati abbandona-ti a sé stessi, mentre il governo salvava le banche cheavevano causato la crisi.

I requisiti fondamentali di uno stile di vita borghesesono diventati irraggiungibili per molti statunitensi. Lacrisi ha rivelato la loro vulnerabilità. Quelli che avevanoinvestito nel mercato azionario hanno visto evaporarebuona parte della loro ricchezza, mentre quelli che ave-vano investito nei titoli di stato hanno subìto un sostan-ziale azzeramento della pensione quando la Federalreserve ha tagliato gli interessi a breve e lungo termine.

Di fronte all’aumento esponenziale della retta univer-sitaria, l’unico modo per assicurare aifigli un’istruzioneadeguata è diventato indebitarsi. L’aumento della pres-sione finanziaria non poteva che mettere le famigliedella classe media in una condizione di grande stress, enon sorprende che questo abbia prodotto un aumentodell’abuso di droghe, dell’alcolismo e dei suicidi.

La Commissione internazionale per la misurazionedelle performance economiche e l’avanzamento socia-le, per cui Deaton ha lavorato, ha sottolineato che spes-so il pil non è un buon indice del benessere di una socie-tà. Ora i dati sul declino delle condizioni di salute deglistatunitensi lo confermano. Quello che è stato il paesedella classe media per antonomasia potrebbe prestodiventare un ex paese della classe media.u as

La disuguaglianzauccide la classe media

Joseph Stiglitz

JOSEPH STIGLITZ

insegna economiaalla Columbiauniversity. È statocapo economistadella Banca mondialee consulenteeconomico delgoverno statunitense.

Nel 2001 ha vinto ilpremio Nobel perl’economia.

Ormai il divario tra

le classi sociali puòessere misurato nonsolo in termini direddito, ma anchedi morti premature:anche i bianchimuoiono primaquando il lororeddito diminuisce

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Le opinioni

42 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

In questo periodo dell’anno nel Regno Unito enegli Stati Uniti si leggono notizie di scuole chenon mettono in scena spettacoli natalizi perpaura di off endere gli studenti di altre religio-ni. La cosa curiosa è che in questi articoli nonc’è mai un musulmano (o indù, buddista, sikh

o ebreo) che si dichiari anche lontanamente off eso. Ipresidi delle scuole sono spinti a prendere queste de-cisioni da un timore tipico del ventunesimo secolo:urtare qualche sensibilità.

È una cosa totalmente irrazionale

ma, visto che oggi il mondo sembra pie-no di persone che trovano offensivoqualcosa o qualcuno, ha una sua bizzarralogica. Ogni giorno sui social network lepersone che sostengono di essere stateoff ese sono talmente tante che l’enormi-tà di internet fatica a contenere i lorosentimenti feriti.

Nelle università il risentimento dialcuni e la paura di offendere di altristanno influenzando l’insegnamento e ildibattito. Soprattutto negli Stati Uniti, i professori evi-tano di parlare di violenza, sesso o stupro perché qual-

che studente potrebbe esserne turbato, riducendocosì i programmi di storia e di letteratura a una serie distorielle per bambini. Molti atenei hanno introdotto“spazi sicuri” dove gli studenti possono andare se ve-dono o sentono qualcosa che li spaventa.

Il genetista Richard Dawkins, che insegna a Ox-ford, ha trovato questa idea così insensata da twittare:“Un’università non è uno ‘spazio sicuro’. Se avete biso-gno di uno spazio sicuro, tornatevene a casa, abbrac-ciate il vostro orsacchiotto e succhiatevi il pollice finoa quando non sarete pronti per l’università”. Forsepensate che abbia esagerato (o magari vi sentite off e-si). Ma dovete sapere che quando la Brown university

nel Rhode Island ha organizzato un dibattito sulla“cultura dello stupro”, ha messo a disposizione deglistudenti uno “spazio sicuro” dotato di videogiochi,cuscini, coperte, libri da colorare, biscotti, pasta damodellare e video di cuccioli.

Diversi personaggi pubblici, come l’ex segretaria distato Condoleezza Rice o la femminista GermaineGreer, si sono visti annullare un invito a parlare in uncollege britannico o statunitense perché alcuni stu-denti potevano rimanere turbati da quello che aveva-no da dire o perfino, che Dio ci scampi, “da quello cherappresentavano”. La reazione appropriata a quelloche ci disturba quindi non è più discutere, argomenta-re o al limite mandare a quel paese, ma vietare.

Ai miei tempi, se all’università veniva qualcuno

che non ci piaceva protestavamo (una volta io stessoho tirato un pomodoro a un ministro, anche se pur-troppo l’ho mancato), ma non pensavamo certo di direche la sua presenza urtava la nostra sensibilità. Ovvia-mente allora non c’erano i social network, che oggisono gli spazi preferiti per sostenere che abbiamo su-bìto un’off esa, per chiedere che qualcuno o qualcosasia messo all’indice o per mandare messaggi aggressi-vi a chi non si può mettere all’indice. Ma forse non so-

no solo dei canali. Non è che in partesono anche la causa di tante off ese?

Molte persone vanno su Facebook,Twitter o qualsiasi altro sito e, dato che lìlo fanno tutti, sentono la necessità dimettere a nudo ogni giorno le loro emo-zioni, di dire se sono tristi o felici e diesprimere le loro simpatie o antipatie.Raccontano tutti i dettagli della loro vi-ta, quindi sono portate a vedersi come lestar del loro melodramma personale. Eal pari delle vere star diventano semprepiù egocentriche e ipersensibili. Uno dei

modi in cui cercano di dare lustro alla loro immagine èdimostrarsi virtuose esprimendo la loro reazione emo-

tiva a tutto quello che succede o dicendo quanto si so-no sentite off ese dalle dichiarazioni di qualcuno.

Trovo questa suscettibilità molto strana. Se qual-cuno fa un’aff ermazione razzista, fascista, sessista ocontro le persone della mia età, penso che sia stupidoo forse schiavo di una religione primitiva. Non restosconvolto né dall’aff ermazione stessa né dalla presen-za della persona che l’ha fatta. Ma a quanto sembrasono un caso anomalo: c’è moltissima gente capace disentirsi off esa diverse volte al giorno. Aggiungeteci imonomaniaci, i troll  psicotici, quelli che seguono lemode, gli agitatori da salotto sempre pronti a lanciareun nuovo hashtag e avrete tutti gli ingredienti per cre-

are un’enorme pressione online da applicare a qualsia-si organizzazione o singolo individuo.

Oggi le persone possono scegliere – e su internetmolte lo fanno – di comunicare solo con chi la pensacome loro o con quelli con cui condividono una qual-che identità costruita che sono stati incoraggiati a con-siderare fondamentale per determinare le loro reazio-ni a qualsiasi cosa. Nei casi peggiori queste comunitàpossono costituire l’antitesi del confronto. Serrano iranghi e limitano le menti, e alla lunga producono ilfascismo tipico di chi è intellettualmente isolato. Stra-no che i social network, che dovrebbero essere unmezzo per diff ondere nuove idee e favorire il liberodibattito, abbiano anche questa capacità di generare eraff orzare l’intolleranza.u bt

Il fascismo emotivodei social network

David Randall

DAVID RANDALL

è stato senior editor

del settimanaleIndependent onSunday di Londra. Hascritto quest’articoloper Internazionale. Ilsuo ultimo libro è

Tredici giornalistiquasi perfetti (Laterza2007).

Oggi le persone

possono scegliere– e su internet moltelo fanno – dicomunicare solo conchi la pensa comeloro o con quelli concui condividonouna qualche identitàcostruita

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Tutto quello

che non si può direJohn Cusack e Arundhati Roy, Outlook, India

In copertina

Gli orrori della guerra in Vietnam e l’ipocrisia dell’occidentesullo Stato islamico. Le colpe del capitalismo e l’arroganzadegli Stati Uniti. L’attore statunitense John Cusack e la scrittriceindiana Arundhati Roy sono andati a Mosca per incontrareEdward Snowden. Ecco la storia del loro viaggio

    O    Z    I    E    R    M    U    H    A    M    M    A    D             T    H    E    N    E    W     Y

    O    R    K    T    I    M    E    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Un convogliodell’esercito

statunitensein Iraq,25 marzo 2003

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In copertina

Ogni stato-nazione tende all’imperialismo. Questo è ilpunto. Attraverso le banche, gli eserciti, le polizie segrete,la propaganda, i tribunali e le carceri, i trattati, le tasse, lalegge e l’ordine, i miti dell’obbedienza civile, e soprattuttole presunte virtù civiche. Tuttavia, dobbiamo dire che dallasinistra politica ci aspettiamo di meglio. E giustamente.Cifidiamo di più di quelli che mostrano una certa dose dicompassione, che denunciano i ripugnanti accordi socialiche rendono la guerra inevitabile e il desiderio umano on-nipresente, cose che assecondano l’egoismo delle multi-nazionali, incoraggiano gli appetiti e il disordine, devasta-no la Terra.–Daniel Berrigan, poeta e sacerdote gesuita

Una mattina, mentre scorrevo le noti-zie – l’orrore in Medio Oriente, ilbraccio di ferro tra Russia e StatiUniti sull’Ucraina – mi è venuto inmente Edward Snowden e mi sonochiesto come se la stesse passando a

Mosca. Ho cominciato a immaginare una conversa-zione tra lui e Daniel Ellsberg (l’uomo che nel 1971 re-se pubblici i documenti del Pentagono sulla guerra inVietnam). E poi, stranamente, la mia fantasia ha fattoentrare nella stanza una terza persona, la scrittrice in-diana Arundhati Roy. Ho pensato che sarebbe stato

bello farli incontrare.Avevo sentito un intervento di Roy a Chicago e l’ave-

vo incontrata molte volte. È una persona con cui è facileentrare in sintonia, e parlando con lei si arriva prestoalla conclusione che non esistono idee predeterminatee che niente può essere dato per scontato. Chiacchie-rando con Roy mi sono reso conto che nella maggiorparte dei discorsi sulla sorveglianza e sulla pubblicazio-ne di documenti riservati c’è un aspetto che va perduto,o rimane non detto: il modo in cui questi discorsi sonopercepiti fuori dagli Stati Uniti e dall’Europa. Il dibatti-to su questi temi si è gradualmente concentrato sullaviolazione del diritto alla privacy dei cittadini statuni-

tensi da parte delle grandi aziende.Ilfilosofo Rudolf Steiner diceva che qualsiasi perce-

zione o verità isolata e scissa dal contesto generale ces-sa di essere vera: “Quando una qualsiasi idea emergealla mia coscienza non ho pacefino a quando non entrain armonia con il resto dei miei pensieri. Quel concettoisolato, separato dal resto del mio mondo mentale, èassolutamente insopportabile. Esiste un’armonia inter-na tra i pensieri. Quando il mondo dei nostri pensieripresenta questo carattere di armonia interna, abbiamola sensazione di possedere la verità. Tutti gli elementisono collegati tra loro, ogni cosa isolata è un’anomalia,una non verità”. In altre parole, ogni idea isolata chenon è collegata alle altre ma viene comunque conside-rata vera (una sorta di verità di nicchia) non è solo catti-

va politica, è anche fondamentalmente falsa. Credoche il pensiero e la scrittura di Arundhati Roy cerchinoquesta unità di pensiero. E per lei, come per Steiner, laragione viene dal cuore.

Conoscevo Edward Snowden e Daniel Ellsberg per-ché avevamo lavorato insieme alla Freedom of thepress foundation, un’organizzazione non profit che pro-

muove la libertà d’espressione. Sapevo che Roy ammi-rava molto entrambi, ma era rimasta sconcertata dallafotografia di Edward che stringe tra le braccia la ban-diera statunitense apparsa sulla copertina di Wired.D’altra parte, era rimasta molto colpita anche dal fattoche nell’intervista Edward raccontava di aver deciso direndere pubblici i documenti della National securityagency (Nsa) dopo aver scoperto che l’organizzazionepassava a Israele le informazioni sui palestinesi che vi-vono negli Stati Uniti. Roy pensava che Snowden edEllsberg avessero compiuto atti di grande coraggio, an-che se avevo l’impressione che le sue idee politiche fos-sero più in sintonia con quelle di Julian Assange.

“Snowden è il serio e coraggioso santo della riforma li-berale”, mi ha detto una volta. “Mentre Julian Assangeè una sorta di profeta selvaggio e radicale che vaga inquesto deserto da quando aveva sedici anni”. Avevoregistrato molte delle conversazioni tra me e Roy, sem-plicemente perché erano così intense che avevo la sen-sazione di doverle riascoltare diverse volte per capirequello che veramente ci stavamo dicendo. Lei non sem-brava accorgersene o, se lo notava, non sembrava che leimportasse. Quando le ho chiesto se potevo usare alcu-ne delle trascrizioni, ha detto: “Va bene, ma togli tuttele stupidaggini. Almeno le mie”.

Eccone una parte.

Arundhati Roy Mi chiedo solo: cosa significa quel-la bandiera statunitense per le persone che sono fuoridagli Stati Uniti? Cosa significa in Afghanistan, in Iraq,in Iran, in Palestina, in Pakistan o anche in India, che èla vostra nuova logica alleata?

John Cusack Nella sua situazione, Edward ha po-chissimo margine di errore per gestire la sua immagine,il suo messaggio, efinora ha fatto un lavoro incredibile.Ma basta quell’iconografia per infastidirti?

AR Sì, significa che dobbiamo dimenticarci del ge-nocidio degli indiani d’America, dello schiavismo, diHiroshima, della Cambogia, del Vietnam…

JC E perché dovremmo dimenticarcene?Ridiamo.AR Sto solo dicendo che in un certo senso sono con-

tenta – colpita – dal fatto che esistano persone così intel-ligenti e compassionevoli da essere pronte a tradire lostato. Sono eroiche. Hanno rischiato la vita, la libertà.Ma poi c’è una parte di me che pensa: come hanno maipotuto crederci? Da cosa sono rimaste deluse? Può maiesistere uno stato che agisce moralmente? Una super-potenza che agisce moralmente? Non capisco chi si il-lude che certi eccessi siano solo aberrazioni. Cioè, locapisco a livello intellettuale, ma una parte di me vuolemantenere quell’incomprensione. A volte la mia rabbiaha la meglio sulla loro soff erenza.

JC Giusto, ma non pensi di essere troppo dura?

JOHN CUSACK 

è un attore,sceneggiatore eproduttorecinematograficostatunitense. Fa parte

della Freedom of thepress foundation,un’organizzazionenon profit chepromuove la libertàd’espressione.

QUESTOARTICOLO

è uscito il 16novembre 2015 sulsettimanale indianoOutlook, con il titolo“Things that can andcannot be said”.Racconta il viaggiofatto nel dicembre del2014 da John Cusack

e Arundhati Roy perincontrare EdwardSnowden a Mosca.

ARUNDHATI ROY

è una scrittriceindiana. Ha vintoil Booker prize con

 Il dio delle piccole cose nel 1997. Il suo ultimolibro è I fantasmi del

capitale (Guanda2015).

Un viaggioper capire il mondo

John Cusack

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AR Può darsi (ride). Ma poi, quando mi sono sfoga-ta, penso che negli Stati Uniti c’è sempre stata una veraresistenza dall’interno, e questo è meraviglioso. Ci so-no stati soldati che si sono rifiutati di combattere, chehanno bruciato le loro medaglie. Non credo chenell’esercito indiano ci sia mai stato un obiettore di co-scienza. Neanche uno. Negli Stati Uniti potete essereorgogliosi di questo, sai? E Snowden è uno di loro.

JC Ho la sensazione che la posizione di Snowden siapiù radicale di quello che lascia intendere. Deve stare

molto attento.AR Dopo l’11 settembre 2001 si aspettano che di-

mentichiamo tutto quello che è successo prima, perchéla storia comincia da lì. D’accordo, ma dal 2001 quanteguerre sono cominciate, quanti paesi sono stati distrut-ti? Oggi il nuovo simbolo del male è il gruppo Stato isla-mico (Is), ma come è cominciato quel male? È più mal-vagio fare quello che fa l’Is, cioè andare in giro a tagliarele gole? Anche le miliziefinanziate dagli Stati Uniti fan-no le stesse cose, solo che non mostrano le decapitazio-ni in tv. O è più malvagio contaminare le riserve d’ac-qua, bombardare con l’uranio impoverito, tagliare i ri-fornimenti di medicine, dire che la morte di mezzomilione di bambini a causa delle sanzioni economicheè un “duro prezzo” ma “vale la pena di pagarlo”?

JC È quello che ha detto l’ex segretaria di stato sta-tunitense Madeleine Albright a proposito dell’Iraq.

AR Certo, l’Iraq. È giusto costringere un paese adisarmarsi e poi bombardarlo? Continuare ad alimen-tare il caos nella regione? Fingere che si sta combatten-do il fondamentalismo islamico quando in realtà sistanno facendo cadere tutti i regimi islamici che nonsono fondamentalisti? Quali che fossero le loro colpe,né l’Iraq né la Libia avevano governi islamici fonda-mentalisti, e lo stesso vale oggi per la Siria. Lo stato isla-

mico più fondamentalista di tutti, ovviamente, è la vo-stra alleata Arabia Saudita. In Siria prima eravate dallaparte di quelli che volevano deporre Assad, giusto? Eora improvvisamente siete con Assad e volete combat-tere l’Is. L’America è come un ricco gigante impazzitoche si muove goff amente tra i poveri con le tasche pienedi soldi e di armi, e li getta in giro a caso. Non sapeteneanche a chi li state dando, quale fazione violenta sta-te armando contro un’altra, vi sentite tanto importantiquando in realtà… Tutta la distruzione che c’è stata do-po l’11 settembre, tutti i paesi che sono stati bombarda-ti, non hanno fatto altro che riaccendere e amplificareantichi antagonismi. Non hanno necessariamente ache fare con voi, esistevano già da secoli prima che na-scessero gli Stati Uniti. Ma l’America non riesce a capire

    O    L    E    V    O

    N     U

    E    X    K     Ü    L    L

    P    E    R    G    E    N    T    I    L    E    C    O    N    C    E    S    S    I    O    N    E    D    I    J    O    H    N     C

    U    S    A    C    K

    O    L    E    V    O

    N     U

    E    X    K     Ü    L    L

Edward Snowden con John Cusack e Arundhati Roy a Mosca, dicembre 2014

Snowden e RoyRoy, Ellsberg, Snowden e Cusack

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In copertina

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di essere in fondo irrilevante. E perversa. I vostri van-taggi a breve termine sono le catastrofi a lungo terminedel mondo, di tutti, anche di voi stessi. Scusami se con-tinuo a dire “voi” parlando di Stati Uniti o di America,mentre in realtà intendo dire il vostro governo. C’è unagrande diff erenza.

JC Certo.

AR Sovrapporre le due cose come ho fatto finora èstupido, sono caduta in una trappola, così è più facileper la gente dire “lei è antiamericana, e anche lui è an-tiamericano”, ma non è vero. Certo che no. Ci sonocose che adoro dell’America. E poi, cos’è un paese?Quando qualcuno mi chiede di “raccontargli dell’In-dia”, io dico: quale India? La terra dei poeti e della folleribellione? Quella che produce musiche suggestive esplendidi tessuti? Quella che ha inventato il sistemadelle caste e celebra il genocidio dei musulmani, deisikh e il linciaggio dei dalit? Il paese dei miliardari? Oquello dove ottocento milioni di persone vivono conmeno di mezzo dollaro al giorno? Quale India? Quan-

do la gente dice America, quale intende? Quella di BobDylan o quella di Barack Obama? New Orleans o NewYork? Fino a pochi anni fa l’India, il Pakistan e il Ban-gladesh erano un unico paese. In realtà erano moltipaesi, se si contano anche i principati. Poi gli inglesihanno tracciato una linea e oggi sono tre stati, due deiquali hanno armi atomiche puntate l’uno contro l’al-tro: la bomba dei fondamentalisti indù e quella deifondamentalisti musulmani.

JC Secondo me l’estremismo islamico e l’eccezio-nalismo americano vanno a braccetto. Sono come dueinnamorati.

AR Dormono nello stesso letto in un motel da quat-

tro soldi. E anche il fondamentalismo indù è lì da qual-che parte. È difficile tenere il conto di tutti i compagni diletto, cambiano così rapidamente. Ogni bambino chenasce da loro è l’ultima progenie dei mezzi per combat-tere la guerra eterna.

JC Se riesci a fabbricare un nemico veramente mal-vagio, puoi dire a tutti: “Guardate quanto è cattivo”.

AR I vostri nemici sono sempre fabbricati per servi-re ai vostri scopi, no? Come si può avere un nemico buo-no? Bisogna averne uno estremamente cattivo e la suamalvagità deve continuamente aumentare.

JC Riprodursi come metastasi, giusto?AR Certo. Non si può continuare a dire sempre le

stesse cose.JC Sì, allafine ti stanchi.AR Non c’è veramente alternativa alla stupidità. Il

cretinismo è il padre del fascismo. Non abbiamo difesacontro i cretini.

JC È questo il problema.Ridiamo.AR Non è tanto il fatto che raccontano bugie: è il ti-

po di bugie che diventa umiliante. Hanno perfino smes-so di preoccuparsene. È una commedia. A Hiroshima eNagasaki ci sono centinaia di migliaia di morti, poi calail sipario e tuttofinisce lì. Poi arriva la Corea. Poi il Vie-tnam e l’America Latina. Ogni tanto cala il sipario e lastoria ricomincia da capo. Si fabbricano nuovi sistemi divalori e nuove indignazioni, si cancella la storia.

JC E anche il contesto.AR Certo, non esiste più né contesto né memoria.

Ma la gente una memoria ce l’ha. C’è stato un momentoin cui le donne afgane – almeno quelle di Kabul – girava-no per le strade. Potevano studiare, diventare dottores-se e chirurghe, muoversi liberamente, indossare quelloche volevano. Questo succedeva sotto l’occupazione

sovietica. Poi gli Stati Uniti hanno cominciato afinan-ziare i mujahidin. Reagan li definiva i “padri fondatori”dell’Afghanistan. Ha resuscitato l’idea di jihad, ha pra-ticamente creato i taliban. E che ne è stato delle donne?In Iraq, prima della guerra, le donne erano scienziate,dottoresse, direttrici di musei. Non sto difendendoSaddam Hussein o l’occupazione sovietica dell’Afgha-nistan, che è stata brutale e ha causato la morte di cen-tinaia di migliaia di persone. Sto solo dicendo che oggi,con queste nuove guerre, interi paesi sono precipitatinel caos, le donne si sono dovute infilare di nuovo il bur-qa, e non per scelta. Nel 2001 ci hanno detto che la guer-ra in Afghanistan era una missione femminista. I mari-

nes andavano a liberare le donne dai taliban. Si puòimporre il femminismo con le bombe? E oggi i talibansono tornati a Kabul e presto ricominceranno a fare af-fari con gli Stati Uniti. Io non vivo in America, ma quan-do sono qui, mi sembra di impazzire, il mio cervello vain tilt sentendo il linguaggio che usano. Da fuori non èdifficile capire, perché il copione è noto. Ma negli StatiUniti sono tanti quelli che sembrano bersi la propagan-da senza battere ciglio.

Ecco un altro dei nostri scambi.JC Allora, che ne pensi? Quali sono le cose di cui

non possiamo parlare in una società civile, se siamo

bravi animaletti addomesticati?AR  (ridendo) Di quanto a volte è immorale predica-

re la nonviolenza?Si riferiva al suo reportage Nella giungla con i maoisti 

(Internazionale 851), in cui ha raccontato il periodo pas-sato nelle foreste dell’India centrale con i guerriglieriche combattevano i paramilitari e le milizie private checercavano di cacciare gli indigeni dalle loro terre ven-dute alle aziende minerarie.

JCNegli Stati Uniti si può parlare dell’Is ma non del-la Palestina.

AR In India si può parlare della Palestina ma nondel Kashmir. Oggi non possiamo parlare del massacro

di migliaia di musulmani nel Gujarat, perché NarendraModi potrebbe diventare primo ministro (e in eff etti loè diventato a maggio del 2014). Dicono: “Mettiamociuna pietra sopra”.

JC Una pietra pesante.AR E possiamo decidere il posto più conveniente in

cui lasciare i segni della storia. La storia è uno studio delfuturo, non del passato.

JC Voglio solo sapere di cosa non posso parlare, cosìeviterò di farlo.

AR Per esempio, puoi dire che è sbagliato decapita-re le persone con un coltello, anche se poi puoi farglisaltare la testa con un drone. Non è così?

JC Il drone è un’arma chirurgica e veloce. Così nonsoff rono, no?

“Come si può

avere un nemicobuono? Bisognaaverne unoestremamentecattivo e la suamalvagità devecontinuamenteaumentare”

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AR Ma anche alcuni muzzlim, come dite voi, sonomacellai professionisti. Uccidono rapidamente.

JC Cos’altro si può e non si può dire?AR Questa è una bella domanda. A proposito del

Vietnam, si può dire: “Gli asiatici non danno nessunvalore alla loro vita, e quindi ci costringono ad assumer-ci il fardello del genocidio”. È quasi una citazione.

JC Di Robert McNamara, all’epoca ministro delladifesa, che allafine decise di “servire i poveri”.

AR Sì, ma prima progettò il bombardamento diTokyo, in cui morirono 80mila persone in una sola not-te, e poi organizzò la distruzione del Vietnam. Poi di-ventò presidente della Banca mondiale e si prese curadei poveri del mondo. Alla fine della sua vita era tor-mentato da una domanda: “Quanto male devi fare per

poter fare del bene?”. Anche questa è una citazione.JC È un amore difficile.AR Altruismo del cazzo.

Queste conversazioni si erano svolte al tavolo della miacucina, in alcuni locali di New York, in un ristorantinoportoricano che era diventato il nostro posto preferito.Un giorno, d’impulso, ho chiamato New Delhi: “Vuoivenire a Mosca a conoscere Daniel Ellsberg ed EdwardSnowden?”.

“Non dire sciocchezze”.“Se riesco a organizzare l’incontro, vieni?”.C’è stato un attimo di silenzio, poi l’ho sentita sorri-

dere al telefono.“Ma sì, andiamo”.u 

Non si parlapiù di giustizia

Arundhati Roy

Il telefono ha squillato alle tre di mattina. EraJohn Cusack che mi chiedeva se volevo andarecon lui a Mosca a conoscere Edward Snowden.Avevo incontrato John diverse volte. Avevocamminato per le strade di Chicago con lui, unuomo alto e massiccio, un po’ ingobbito nella

sua felpa nera con il cappuccio per non farsi riconosce-

re. Avevo visto e amato parecchi dei film che ha scrittoe diretto e sapevo che si era schierato subito dalla partedi Snowden con The Snowden principle, un saggio cheaveva scritto pochi giorni dopo la notizia delle rivelazio-ni di Snowden, quando il governo americano chiedevala sua testa. Avevamo parlato per ore, ma l’ho ricono-sciuto come un vero compagno solo quando ho apertoil suo frigorifero e non ci ho trovato altro che un vecchioclacson d’ottone per autobus e un paio di piccole cornadi cervo nel freezer.

Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto molto andare atrovare Snowden a Mosca.

Con noi avrebbe viaggiato anche Daniel Ellsberg, loSnowden degli anni sessanta, l’uomo che aveva pubbli-cato i documenti del Pentagono durante la guerra del

    M    O    I    S    E    S    S    A    M    A    N             M    A    G    N    U    M             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Soldati tedeschi nella provincia di Kunduz, in Afghanistan, ottobre 2009

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In copertina

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Vietnam. Avevo incontrato brevemente Daniel diecianni prima, quando mi aveva regalato il suo libro Se-

crets. A memoir of Vietnam and the Pentagon papers.Dan è piuttosto duro con se stesso in quel libro. Solo

leggendolo – e dovreste farlo – si comincia vagamente acapire l’inquietante combinazione di senso di colpa eorgoglio con cui ha dovuto convivere per quasi cinquan-ta dei suoi 84 anni. Questo fa di lui un uomo complicatoe combattuto, metà eroe e metà spettro tormentato, unuomo che da decenni cerca di scontare le sue colpe delpassato parlando, scrivendo, protestando e facendosiarrestare per atti di disobbedienza civile.

Nei primi capitoli di Secrets racconta che nel 1965,quando era un giovane impiegato del Pentagono, arrivòl’ordine direttamente dall’ufficio di Robert McNamara

(“Era come se venisse da dio”) di raccogliere i dettaglisulle “atrocità” commesse dai vietcong durante gli at-tacchi ai civili e alle basi militari in tutto il Vietnam.McNamara, che all’epoca era ministro della difesa, ave-va bisogno di quelle informazioni per giustificare le sue“azioni di rappresaglia”, il che essenzialmente signifi-cava che aveva bisogno di una scusa per bombardare ilVietnam del Sud. La persona che “dio” aveva scelto perraccogliere informazioni su quelle “atrocità” era DanielEllsberg.

“Mentre scendevo nella Joint war room per fare delmio meglio non avevo dubbi né esitazioni. Questo è ilricordo con cui devo convivere”, racconta Dan nel suolibro. “Dissi seccamente al colonnello che avevo biso-gno dei dettagli delle atrocità. Volevo soprattutto i par-

ticolari più cruenti delle ferite inferte agli americani aPleiku e a Qui Nhon. Dissi al colonnello che avevo biso-

gno di ‘sangue’. La maggior parte dei rapporti non rife-riva i dettagli più sanguinosi, ma altri sì. Il responsabiledel distretto era stato sventrato davanti a tutto il villag-gio, e anche la moglie e i quattro figli erano stati uccisi.‘Magnifico! È questo che volevo sapere! È di questo cheabbiamo bisogno! Ne voglio ancora! Può trovare altrestorie simili?’”.

Nel giro di poche settimane fu annunciata l’opera-zione Rolling thunder. I jet americani cominciarono abombardare il Vietnam del Sud. In quel piccolo paesedall’altra parte del mondo, a tredicimila chilometri daWashington, furono mandati qualcosa come 175milamarines. La guerra sarebbe andata avanti per altri otto

anni. Secondo le testimonianze raccolte da Nick Tursenel libro Kill anything that moves, quello che l’esercitoamericano fece in Vietnam mentre avanzava di villag-gio in villaggio con l’ordine di “uccidere tutto quelloche si muove” – comprese le donne, i bambini e gli ani-mali – fu altrettanto atroce, ma su scala ancora maggio-re, di quello che l’Is sta facendo oggi, con l’ulteriorevantaggio di avere l’appoggio dell’aviazione più poten-te del mondo.

Allafine della guerra erano morti tre milioni di viet-namiti e 58mila soldati americani ed erano state sgan-ciate abbastanza bombe da coprire l’intero Vietnamcon uno strato d’acciaio alto diversi centimetri. Tornia-mo a Dan: “Non sono mai riuscito a spiegare a me stes-so – quindi non posso spiegarlo a nessun altro – perché

    T    Y    L    E    R    H    I    C    K    S             T    H    E    N    E    W     Y

    O    R    K    T    I    M    E    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Soldati statunitensi in un palazzo di proprietà di Uday Hussein. Baghdad, aprile 2003

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rimasi al Pentagono dopo l’inizio del bombardamento.La semplice voglia di fare carriera non è una spiegazio-ne sufficiente. Non ero destinato a fare altre ricerchedel genere, ero venuto a conoscenza solo del minimoindispensabile. Il lavoro di quella notte è stato la cosapeggiore che abbia mai fatto”.

Quando ho letto Secrets sono rimasta sconvolta. Da

un lato per l’ammirazione e la simpatia che provavo perDan, e dall’altro per la rabbia che provavo, non verso dilui, naturalmente, ma verso quello a cui aveva ammes-so così candidamente di aver partecipato. Quei duesentimenti correvano su binari paralleli che si rifiutava-no di convergere. Sapevo che quando la mia rabbiaavesse incontrato la sua saremmo diventati amici, e co-sì è stato. Forse il mio disagio iniziale, la mia incapacitàdi reagire con semplicità e generosità a quello che chia-ramente era stato un atto di coraggio e di coscienza daparte di Dan, aveva qualcosa a che vedere con il fattoche sono cresciuta nello stato del Kerala, dove nel 1957andò al potere uno dei primi governi comunisti demo-

craticamente eletti del mondo. Come in Vietnam, an-che da noi c’erano giungle,fiumi, campi di riso e comu-nisti. Sono cresciuta tra un mare di bandiere rosse,cortei di operai e persone che intonavano “Inquilab zin-dabad” (viva la rivoluzione). Se un vento impetuosoavesse portato la guerra del Vietnam tremila chilometripiù a ovest, sarei stata anch’io un “muso giallo”, che sipoteva uccidere, bombardare, eliminare con il napalm,un altro cadavere per aggiungere colore locale alle sce-ne di Apocalypse now. Anche se gli Stati Uniti hanno per-so la guerra, Hollywood l’ha vinta. E oggi il Vietnam haun’economia di mercato. Quindi chi sono io per pren-dermela così a cuore dopo tanti anni?

Ma all’epoca nel Kerala non avevamo bisogno deidocumenti del Pentagono per essere arrabbiati per laguerra in Vietnam. Ricordo che da bambina partecipaial mio primo dibattito scolastico vestita da donna viet-cong, avvolta nel sarong stampato di mia madre. Parlaidei “cani dell’imperialismo” con l’indignazione che miavevano insegnato. Giocavo con bambini che si chia-mavano Lenin e Stalin (non c’erano piccoli Leon e Trot-sky, forse li avrebbero esiliati o fucilati). Invece dellecarte del Pentagono ci sarebbe voluto qualcuno che ciraccontasse le purghe di Stalin o del Grande balzo inavanti cinese e i milioni di vittime che avevano causato.Ma il partito comunista sosteneva che quei fatti erano

frutto della propaganda occidentale o diceva che eranonecessari per far trionfare la rivoluzione.

Nonostante il mio scetticismo verso i vari partiti co-munisti indiani (il partito marxista del Kerala disse cheil mio romanzo Il dio delle piccole cose era anticomuni-sta), sono comunque convinta che sia stata la sconfittadella sinistra (e con questo non intendo il fallimentodell’Unione Sovietica né la caduta del muro di Berlino)a metterci nella situazione stupida e imbarazzante incui ci troviamo oggi. Perfino i capitalisti sono costrettiad ammettere che, almeno a livello intellettuale, il so-cialismo è un degno avversario. La tragedia di oggi nonè solo che milioni di persone che si definivano comuni-ste o socialiste sono state materialmente liquidate inVietnam, Indonesia, Iran, Iraq e Afghanistan, o che la

Russia e la Cina, dopo aver fatto la rivoluzione, sonodiventate economie capitaliste, o che negli Stati Uniti laclasse operaia è stata distrutta e i suoi sindacati sman-tellati, o che la Grecia è stata messa in ginocchio o cheCuba presto sarà assorbita dal libero mercato: la trage-dia sta anche nel fatto che il linguaggio della sinistra, ildiscorso della sinistra, è stato emarginato e rischia di

essere estirpato del tutto. Tutti i protagonisti del dibat-tito hanno tradito quello in cui sostenevano di credere,ma almeno un tempo la discussione verteva sui temidella giustizia sociale, dell’uguaglianza, della libertà edella ridistribuzione della ricchezza. Oggi sembra chenon ci sia rimasto altro che questo farfugliare paranoicosu una Guerra al Terrorismo il cui unico scopo è esten-dere la Guerra, aumentare il Terrorismo e nascondereil fatto che i conflitti di oggi non sono aberrazioni marientrano nella logica del sistema, servono a difendereuno stile di vita i cui piaceri e le cui comodità possonoessere garantiti solo a pochi eletti con una continua lot-ta per l’egemonia. Sono Guerre per gli stili di vita.

Ecco una cosa che volevo chiedere a Ellsberg e aSnowden: possono mai esistere guerre gentili? Guerrerispettose? Guerre buone? Guerre che rispettano i dirit-ti umani?

Il dibattito di un tempo sulla giustizia è stato sostitu-ito da una versione comica, quella che di recente Ni-cholas Kristof, opinionista del New York Times, ha de-finito “i discorsi a letto di Bill e Melinda Gates”: conver-sazioni su “quanto hanno imparato regalando 34 mi-liardi di dollari”, con i quali, secondo un calcolo appros-simativo di Kristof, hanno salvato 33 milioni di bambinida malattie come la polio. Ecco alcuni passaggi dell’ar-ticolo: “‘Spesso chiacchieriamo della fondazione Gates

a letto’, ha detto Melinda. ‘Ci sproniamo a vicenda’. Billpensava che Melinda si concentrasse troppo sulle ope-razioni sul campo mentre lei pensava che Bill passassetroppo tempo con i politici. I Gates si insegnano anchedelle cose a vicenda, dice Melinda. Per quanto riguardai problemi delle donne, hanno seguito il suggerimentodi lei di investire in contraccezione, ma hanno anchestabilito nuovi parametri per soddisfare Bill. Così, tra lecose che hanno imparato in quindici anni di filantropia,una potrebbe sicuramente essere applicata a tutte lecoppie: ascolta tuo marito, o tua moglie!”.

Nei prossimi quindici anni, prosegue Kristof senzaun pizzico d’ironia, hanno in progetto di salvare la vita

di altri 61 milioni di bambini. Con tutti quei soldi inun’unica stanza da letto-sala riunioni, come fanno Bille Melinda a dormire la notte? Se siete gentili con loro egli presentate un buon progetto, potrebbero concederviun finanziamento per permettere anche a voi, nel vo-stro piccolo, di salvare il mondo.

Ma siamo seri: cosa ci fa una coppia con tutti queisoldi, che sono solo una piccola percentuale degli osce-ni profitti della loro azienda? Pur essendo una piccolapercentuale, sono miliardi, e sono sufficienti a deciderele priorità del mondo, a comprare le politiche dei gover-ni, a determinare i programmi universitari, afinanziareong e attivisti. Quei soldi gli danno il potere di plasmareil mondo come vogliono. Politica a parte, e anche se so-no pieni di “buona volontà”, vi sembra corretto? Chi

“Ecco una cosa

che volevochiedere a Ellsberge a Snowden: possono maiesistere guerre gentili? Guerrerispettose? Guerrebuone? Guerre cherispettano i dirittiumani?”

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decide cosa è buono e cosa non lo è?Questo, più o meno, è il punto in cui siamo ora, poli-

ticamente parlando.Per tornare a quella telefonata alle tre del mattino,

all’alba ho cominciato a darmi da fare per il bigliettoaereo e il visto per la Russia. Ho scoperto che avevo bi-sogno di una prenotazione confermata in un albergo di

Mosca, timbrata e approvata da qualche ministero rus-so. Come diavolo avrei fatto a procurarmela? Avevosolo tre giorni. Ma l’assistente di John ha magicamenteorganizzato tutto e me l’ha mandata per corriere. Quan-do l’ho vista il mio cuore ha saltato un battito. Il Ritz-Carlton. La mia ultima avventura politica era stata coni guerriglieri maoisti nella foresta di Dandakaranya. Ela prossima sarebbe stata al Ritz? Non era solo questio-ne di soldi. Il fatto era che non avevo mai immaginato ilRitz-Carlton come campo base – o come sede – di qual-siasi attività politica seria.

Passando davanti alle lunghe code alle porte delsorvegliatissimo consolato statunitense sono arrivata

all’ambasciata russa. Era vuota. Agli sportelli con lescritte “passaporti” e “visti” non c’era un’anima. Nonc’era neanche un campanello e nessuno a cui rivolger-mi. Attraverso una porta semichiusa ho intravisto dellepersone che si muovevano nell’ufficio. Non c’era nessu-nafila all’ambasciata del paese in cui in passato c’eranotutte le file immaginabili. Varlam Šalamov ne dà unanitida descrizione nei Racconti di Kolyma, il suo libro suigulag: code per il cibo, per le scarpe, per qualche strac-cio da indossare, una lite mortale per un pezzo di panesecco. Mi è tornata in mente una poesia sullefile di An-na Achmatova, che a diff erenza di molti altri era so-pravvissuta al gulag. Più o meno.

Nei terribili anni della e ž ovšč ina ho trascorsodiciassette mesi a fare la coda presso le carceri

di Leningrado.Una volta un tale mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che,

certamente,non aveva mai udito il mio nome, si ridestò daltorpore proprio a noi tutti e misussurrò all’orecchio (lì tutti parlavano sussurrando):Lei può descrivere questo?E io dissi: Posso.Allora una specie di sorriso passò

su quello che una volta era stato il suo volto.

Achmatova, il suo primo marito Nikolaj Gumilëv,Osip Mandelštam e altri tre poeti facevano partedell’acmeismo, un movimento culturale. Nel 1921 Gu-milëv fu fucilato da un plotone d’esecuzione per attivi-tà controrivoluzionarie. Nel 1934 Mandelštam fu arre-stato per aver scritto un’ode a Stalin che mostravaqualche segno di satira e non era abbastanza convin-cente. Sarebbe morto anni dopo, pazzo e aff amato, inun campo di transito in Siberia. Le sue poesie (soprav-vissute su foglietti di carta nascosti nelle federe deicuscini e nelle pentole, o imparate a memoria da per-sone che gli volevano bene) sono state ritrovate dallasua vedova e da Anna Achmatova.

Questa era la sorveglianza nel paese che ha off ertoasilo a Ed Snowden, ricercato dal governo statuniten-se per aver denunciato un sistema di sorveglianza chefa impallidire il Kgb e la Stasi. Se la storia di Snowdenfosse un romanzo, un buon editore giudicherebbe lasua simmetria narrativa un espediente da quattrosoldi.

Finalmente in uno degli sportelli dell’ambasciatarussa è comparso un uomo che ha preso il modulo conla mia richiesta di passaporto e di visto e mi ha detto ditornare il giorno dopo. Quando sono arrivata a casa,sono andata dritta alla libreria per cercare un brano di Buio a mezzogiorno di Arhur Koestler che avevo sotto-lineato molto tempo prima. È il passaggio in cui il com-pagno N.S. Rubashov, un tempo funzionario d’altorango del governo sovietico, è stato arrestato con l’ac-cusa di tradimento. Nella sua cella ricorda: “Tutti inostri princìpi erano giusti, ma i risultati sono sbaglia-ti. Questo è un secolo malato. Abbiamo diagnosticatola malattia e le sue cause con esattezza microscopica,

ma ogni qualvolta abbiamo applicato il bisturi nuovimali si sono sviluppati. La nostra volontà era pura eferma, avremmo dovuto essere amati dal popolo. Mail popolo ci odia. Perché siamo tanto odiati? Abbiamoportato al popolo la verità e sulle nostre labbra essasuona come una bugia. Abbiamo portato la libertà enelle nostre mani essa appare come una sferza. Abbia-mo portato la vera vita, e dove risuona la nostra voce lepiante avvizziscono e s’ode un fruscio di foglie secche.Abbiamo portato la promessa del futuro, ma la nostralingua balbettava e ringhiava”.

Letto adesso sembra una conversazione intima tradue vecchi nemici che hanno combattuto una lunga,

dura guerra e non sanno più distinguersi l’uno dall’al-tro.

La mattina dopo ho ritirato il mio visto. Andavo inRussia.u

 Passando davantialle lunghe codealle porte delsorvegliatissimo

consolatostatunitense sonoarrivataall’ambasciatarussa. Era vuota. Agli sportelli nonc’era un’anima

Sul ghiacciodella piazza Rossa

John Cusack

Nella settimana successiva abbiamodovuto organizzare tutto. Il tempoera poco, e abbiamo fatto tutto di cor-sa. Roy era riuscita a ottenere il visto,ma per Ellsberg era un po’ più diffici-le: ha passato qualche anno della sua

vita a organizzare una rappresaglia nucleare statuni-tense contro un possibile primo attacco russo, in prati-ca a progettare la cancellazionefisica dell’Unione So-vietica. All’epoca dei segreti atomici e della teoria deldomino era in quelle stanze. Successivamente ha su-bìto più di 85 arresti per disubbidienza civile, uno deiquali avvenuto in Russia sulla Sirius, la nave di Green-peace che protestava contro i test nucleari. Ma allafine

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scono i limiti della loro politica. Se disubbidisci sei li-cenziato o ti tagliano i fondi. E poi c’è sempre il gioco dicontrapporre i “finanziati” ai “nonfinanziati”, in cui ilprotagonista diventa ilfinanziatore. Non sono contra-ria ai finanziamenti, perché non abbiamo altra scelta,ma dobbiamo sapere se siamo noi a portare a spasso ilcane o viceversa. O chi è il cane e chi siamo noi.

JC Io sono decisamente il cane, e decisamente miportano a spasso.AR Succede dovunque, non solo negli Stati Uniti:

reprimi, picchia, spara, arresta tutti quelli che puoi eregala soldi a quelli che non puoi sottomettere, cosìgradualmente si smussano gli angoli. Stanno creandoquelle che in India si chiamano paaltu sher , tigri doma-te. Una sorta di finta resistenza, per lasciar sfogare lagente senza che faccia troppi danni.

JC Quando è stata la prima volta che hai parlato alWorld social forum?

AR Nel 2002, credo, a Porto Alegre, poco prima chegli Stati Uniti invadessero l’Iraq.

JC A Mumbai. E poi sei tornata l’anno dopo ed erastato…

AR Totalmente “ong-izzato”. Tanti grandi attivistierano diventati agenti di viaggio. Dovevano solo pen-sare ai biglietti e ai soldi, far volare la gente avanti eindietro. I partecipanti al forum hanno improvvisa-mente dichiarato: “Solo non violenza, niente più lottaarmata”. Erano diventati gandhiani.

JC Quindi tutti quelli impegnati nella lotta arma-ta…

AR Fuori, tutti fuori. Molte delle lotte rivoluziona-rie eranofinite. E io ho pensato: che cazzo. La domandache mi faccio è questa: se ci sono persone che vivono in

villaggi sperduti nella foresta, a quattro giorni di cam-mino da qualunque posto, e arrivano mille soldati abruciare i villaggi, a uccidere e stuprare per spaventar-li e costringerli a lasciare la loro terra perché un’azien-da mineraria se ne vuole impossessare, che tipo di non-violenza gli consiglierebbero i paladini dell’establi-shment? La nonviolenza è la politica radicale trasfor-mata in teatro.

JC Funziona solo se c’è un pubblico…AR Esattamente. E chi può attirare il pubblico? Ci

vogliono un po’ di soldi, qualche personaggio famoso,no? Gandhi era una superstar. La gente delle forestenon ha quei soldi, quel potere di attirare il pubblico.

Quindi non ha un pubblico. La nonviolenza dovrebbeessere una tattica, non un’ideologia predicatadall’esterno alle vittime della violenza di massa. Io hoavuto bisogno di tempo per digerire queste cose.

JC Si sente ancora l’odore degli enzimi della dige-stione.

AR  (ridendo) La rivoluzione non può essere finan-ziata. Non saranno mai i fondi fiduciari e le fondazionia portare il vero cambiamento.

JC Ma qual è lo scopo secondo te?AR Lo scopo è mantenere il mondo sicuro per il li-

bero mercato, gli aggiustamenti strutturali, la privatiz-zazione, il fondamentalismo liberista, tutti mascheratida democrazia e legalità. Molte ong finanziate dallemultinazionali – non tutte, ma molte – sono diventate

“Pensa a unacollana di perle. Le perle in sé sonobelle, ma unavolta in filateinsieme nellacollana non sono più libere dirotolare in girocome vogliono”

il suo visto è arrivato. E anche il mio.Nel frattempo, in India, la più grande paura di Arun-

dhati Roy era diventata realtà. A maggio Narendra Mo-di era stato eletto primo ministro.

Ho incontrato Roy a Londra. Lei era lì già da un paiodi settimane per tenere una serie di conferenze sul suonuovo saggio su Gandhi e B.R. Ambedkar. All’aeropor-

to di Heathrow mi ha detto come se niente fosse che inIndia c’era gente che bruciava manifesti con la sua fac-cia. “Sembra che io istighi i gandhiani alla violenza”,ha spiegato ridendo. “Ma sono rimasta delusa dallaqualità delle mie foto che hanno scelto”.

Siamo andati insieme a Stoccolma per incontrareDaniel Ellsberg, che era lì per partecipare alla cerimo-nia dei Right livelihood awards – qualcuno li chiama iNobel alternativi – perché tra i premiati c’era ancheEdward Snowden. Da lì saremmo partiti insieme perMosca.

La premiazione si è svolta nella sala del parlamento.Gli organizzatori avevano gentilmente invitato anche

me e Roy. Ma ci siamo detti che, visto che entrambi cisaremmo sentiti a disagio nei parlamenti dei nostri pa-esi, che cazzo ci facevamo in quello svedese. Perciòabbiamo gironzolato nei corridoi fino a quando nonabbiamo trovato una piccola balconata da cui poteva-mo assistere alla cerimonia. I nostri posti vuoti ci guar-davano con riprovazione. I discorsi erano lunghi. Sia-mo sgattaiolati via e abbiamo camminato attraverso igrandi saloni fino a quando non ci siamo imbattuti inuna stanza vuota allestita per un banchetto. Dovevaesserci una metafora da qualche parte. Ho riacceso ilregistratore.

John Cusack Che senso ha la beneficenza comestrumento politico?

Arundhati Roy È una vecchia storia, no? Se vuoicontrollare qualcuno, aiutalo. O sposalo.

Ridiamo.JC La politica del vecchio amante ricco.AR Ingloba la resistenza, conquistala,finanziala.JC Addomesticala.AR Costringila a dipendere da te. Trasformala in

un progetto artistico o in un prodotto di qualche tipo.Nel momento in cui quella che consideri un’organizza-zione estremista diventa istituzionalizzata e finanzia-ta, èfinita. E lo fanno anche in modo intelligente. Qual-

cuno fa veramente un buon lavoro.JC Come l’ong American civil liberties union.AR Èfinanziata dalla fondazione Ford, vero? Ma fa

un ottimo lavoro. Non puoi criticare le singole personeche si impegnano.

JC La gente vuole fare qualcosa di utile.AR Sì. E sono proprio queste buone intenzioni che

vengono strumentalizzate. È una faccenda complicata.Pensa a una collana di perle. Le perle in sé sono belle,ma una volta infilate in una collana non sono più liberedi rotolare in giro come vogliono. Se pensi a quante ongsono nel libro paga delle fondazioni Gates, Rockefellero Ford, c’è qualcosa che non va, no? Trasformano po-tenziali rivoluzionari in destinatari della loro generosi-tà e poi, discretamente, senza darlo a vedere, stabili-

LE FOTODI QUESTOARTICOLO

Le immagini disoldati in guerra sonotratte dal libro War is

beautiful , in cui loscrittore statunitense

David Shields haraccolto 64 fotopubblicate in primapagina dal New YorkTimes tra il 2001 e il2013. Il suo obiettivoera denunciarel’immagine positivaed estetizzante dellaguerra.

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missionarie della “nuova economia”. Giocano con ilnostro immaginario, con le parole. L’idea di “diritti

umani”, per esempio, a volte mi preoccupa. Perché ilconcetto di diritti umani ha sostituito quello molto piùampio di giustizia. I diritti umani sono fondamentali,sono il minimo che chiediamo. Ma spesso diventano ilfine ultimo. Quello che dovrebbe essere il minimo di-venta il massimo, tutto quello che ci possiamo aspet-tare. Ma i diritti umani non sono sufficienti. Ilfine ulti-mo deve essere sempre la giustizia.

JC I diritti umani sono, o possono diventare, uncontentino, prendere il posto della giustizia nell’im-maginario politico?

AR Pensa al conflitto israelo-palestinese, peresempio. Se confronti una mappa del 1947 con una di

oggi, vedi che Israele, con i suoi insediamenti illegali ,si è mangiato quasi tutta la terra dei palestinesi. Inquella battaglia, se si tratta di giustizia, bisogna parla-re degli insediamenti. Se invece si parla di diritti uma-ni, si può dire: “Hamas viola i diritti umani”, “Israeleviola i diritti umani”. Quindi hanno torto entrambi.

JC Diventa un’equivalenza.AR Anche se non lo è. Ma questo discorso sui dirit-

ti umani è perfetto per le tv, per gli analisti delle grandiatrocità e per l’industria della condanna (ride). Chiesce più pulito dall’analisi delle atrocità? Gli stati sisono arrogati il diritto di legittimare la violenza, quindichi viene criminalizzato e delegittimato? Di solito chioppone resistenza.

JC Quindi i diritti umani tolgono ossigeno alla giu-

stizia?AR I diritti umani tolgono storia alla giustizia.

JC La giustizia ha sempre un contesto…AR Sembra quasi che io disprezzi i diritti umani,

ma non è così. Dico solo che parlare di giustizia, anchesemplicemente sognare la giustizia, è rivoluzionario. Illinguaggio dei diritti umani tende ad accettare uno sta-tus quo che è intrinsecamente ingiusto, e cerca di co-stringerlo ad assumersi le proprie responsabilità. Mapoi, naturalmente, la violazione dei diritti umani faparte integrante del progetto del neoliberismo edell’egemonia globale.

JC Perché non c’è altro modo di imporre quelle po-litiche se non con la violenza.

AR Infatti, non c’è. Ma se parli di diritti umani dai

l’impressione che stai lottando per la democrazia, perla giustizia. Un tempo gli Stati Uniti andavano in guer-ra per abbattere le democrazie, perché erano una mi-naccia per il libero mercato. Certi paesi stavano nazio-nalizzando le loro risorse, proteggendo i loro mercati.Quindi le vere democrazie dovevano cadere. E sonostate abbattute in Iran, in Cile, in tutta l’America La-tina.

JC La lista sarebbe troppo lunga.AR Oggi la democrazia è stata rimodellata per es-

sere a favore del libero mercato. Quindi gli Stati Unitifanno le guerre per instaurare le democrazie. Prima leabbattevano, oggi le instaurano. Le ongfinanziate dal-le multinazionali e il concetto di responsabilità socialedelle aziende rientrano in questa nuova forma di de-

    J    O    H    N    M    O    O    R    E             A    P             A    N    S    A         

Un iracheno bacia la mano di un marine statunitense a Falluja, in Iraq, aprile 2004

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mocrazia. Fa tutto parte dello stesso meccanismo.JC Sono tentacoli della stessa piovra.AR Hanno occupato gli spazi rimasti vuoti quando

gli “aggiustamenti strutturali” hanno costretto gli statia tagliare la spesa pubblica – per la sanità, l’istruzione,le infrastrutture, l’acqua pubblica – trasformando quel-li che dovrebbero essere diritti – all’istruzione, alla sa-

lute e così via – in attività assistenziali a cui pochi pos-sono accedere. La Pace s.p.a. a volte è preoccupantequanto la Guerra s.p.a. È uno strumento per incanalarela rabbia della gente. Ci stanno manipolando e nem-meno ce ne accorgiamo. Il Fondo monetario interna-zionale e la Banca mondiale, le organizzazioni menotrasparenti che esistano, danno milioni alle ong checombattono contro la “corruzione” e per la “trasparen-za”. Sono a favore della legalità, purché siano loro afare le leggi. Vogliono la trasparenza per poter stabiliz-zare la situazione e permettere al capitale di spostarsiin giro per il pianeta senza incontrare ostacoli. Voglio-no ingabbiare la gente e far circolare i soldi.

JC È una questione di efficienza, no? Mercati stabi-li, mondo stabile. C’è una grande violenza in questaidea di volere un “clima favorevole agli investimenti”.

AR In India quell’espressione è intercambiabilecon la parola “massacro”. Mercati stabili, mondo insta-bile. Efficienza. Tutti ne parlano. È sufficiente per fartivenire la voglia di essere favorevole all’inefficienza ealla corruzione (ride). No, sul serio, se pensi alla storiadelle fondazioni Ford e Rockefeller, in America Latina,in Indonesia – dove quasi un milione di persone, perlo-più comunisti, sono state uccise dal generale Suharto,con l’appoggio della Cia – in Sudafrica, al loro rapportocon il movimento per i diritti civili degli Stati Uniti, e a

quello che fanno oggi, è molto inquietante. Hannosempre lavorato in stretta collaborazione con il dipar-timento di stato statunitense.

JC E ora la Ford finanzia L’atto di uccidere, il docu-mentario su quei massacri. Denunciano i macellai, manon i loro mandanti, non chi li ha finanziati.

AR Hanno tanti soldi, possonofinanziare qualsiasicosa, cose bruttissime e bellissime, documentari, armiatomiche, lotte per i diritti di genere, festival della let-teratura e del cinema, cattedre universitarie, qualsiasicosa, purché non interferisca con il “mercato” e lo sta-tus quo dell’economia. Una delle “opere buone” dellaFord è stata finanziare il Council of foreign relations

(Cfr), che collabora con la Cia. Tutti i presidenti dellaBanca mondiale, dal 1946 a oggi, arrivano da lì. La fon-dazione Ford ha finanziato anche la Research and de-velopment corporation (Rand), che lavora a strettocontatto con il ministero della difesa americano.

JC È dove lavorava Dan. È lì che ha messo le manisui documenti del Pentagono.

AR Le carte del Pentagono! Non credevo ai mieiocchi quando le ho lette: i bombardamenti delle dighe,le carestie decise a tavolino. Ho scritto l’introduzionedel libro For reasons of state, in cui Noam Chomsky ana-lizza le carte del Pentagono. In un capitolo cita una let-tera o un rapporto, forse di soldati al fronte, a propositodei meravigliosi risultati del fosforo bianco mescolatoal napalm: “Si attacca ai musi gialli come merda su una

coperta, e li brucia fino all’osso”. Erano contenti per-ché il fosforo bianco continuava a bruciare anche quan-do i vietnamiti che erano stati bombardati saltavanonell’acqua per impedire che la loro carne continuasse aconsumarsi.

JC Te lo ricordi a memoria?AR Non riesco a dimenticarlo. Mi ha bruciatofino

all’osso.JC Stavi dicendo che la fondazione Ford hafinan-

ziato il Rand e il Cfr.AR  (ridendo) Sì, è una commedia sexy, anzi una

tragedia sexy. La Ford hafinanziato il Cfr e il Rand. Ro-bert McNamara è passato dalla direzione della FordMotors al Pentagono. Perciò, come vedi, siamo accer-chiati.

JC E non solo dal passato.ARNo, anche dal futuro. Il futuro è Google, no? Nel

suo libro When Google met WikiLeaks, Julian Assangedice che non c’è molta diff erenza tra Google e l’Nsa. Letre persone che sono andate con Eric Schmidt (l’ammi-

nistratore delegato di Google) a intervistare Julian era-no Jared Cohen (direttore di Google ideas ed ex funzio-nario del dipartimento di stato e del Cfr, consulente diCondoleezza Rice e di Hillary Clinton), Lisa Shields eScott Malcolmson, anche loro ex dipendenti del dipar-timento di stato e del Cfr. Ma quando parliamo di ong,c’è un’altra cosa a cui dobbiamo stare attenti.

JC Cosa?AR Se gli attacchi alle ong vengono dalla parte op-

posta, dall’estrema destra, noi che critichiamo le ongper motivi completamente diversi facciamo unafiguraterribile. Per i progressisti diventiamo noi i cattivi.

JC È sempre la solita storia dei “finanziati” e “non

finanziati”.AR In India, per esempio, il nuovo governo è riu-

scito a vincere mettendo le comunità le une contro lealtre. Lo ha fatto nel Gujarat nel 2002, e anche nel 2014,prima delle elezioni, in un posto chiamato Muzaff arna-gar: decine di migliaia di musulmani sono stati costret-ti a fuggire dai loro villaggi e a rifugiarsi nei campi pro-fughi. Alcuni di quelli che sono accusati dell’eccidiodel 2002 oggi sono ministri. Il loro uso della violenzapiù sfrenata fa rimpiangere perfino l’ipocrisia dei di-scorsi sui diritti umani. E in futuro, se le ong che lottanoper i diritti umani cominceranno a strillare, il governole costringerà a chiudere. Non dovrà fare altro che ri-

volgersi aifinanziatori, e ifinanziatori, chiunque siano,soprattutto quelli interessati all’enorme “mercato” in-diano, cederanno alle richieste e passeranno dall’altraparte.

JC Pensi che allafine Modi ci riuscirà?AR È difficile dirlo. Non c’è una vera opposizione,

sai. Ha la maggioranza assoluta e un governo che con-trolla completamente. Le istituzioni sono piene deisuoi amici, stanno modificando i programmi dellescuole e delle università, e riscrivendo la storia in mo-do assurdo. È tutto molto pericoloso. E una buona per-centuale dei giovani, degli studenti, di quelli che usanointernet, della classe colta e, naturalmente, dei grandiimprenditori, è con lui, la destra indù è con lui. Sta ab-bassando il livello del dibattito pubblico, dicendo cose

“Lo scopo finale èmantenere ilmondo sicuro peril libero mercato, gli aggiustamentistrutturali, la privatizzazione, il fondamentalismoliberista, tuttimascherati dademocrazia elegalità”

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In copertina

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come: “Gli indù avevano già scoperto la chirurgia pla-stica al tempo dei Veda, altrimenti perché avremmo undio con la testa di elefante?”.

JC (ridendo) Lo ha detto sul serio?AR Sì! È pericoloso. D’altra parte, è così fasullo che

non so quanto può durare. Ma per ora c’è gente che in-dossa le maschere di Modi e agita le braccia quando

passa. È stato eletto democraticamente. Purtropponon c’è niente da fare. È per questo che quando sentodire “il popolo” o “l’opinione pubblica”, come se fosseil depositario finale della moralità, a volte rabbrividi-sco.

JC Come si dice, il kitsch è la maschera della mor-te.

AR Più o meno. Comunque, anche se in parlamen-to non esiste opposizione, in India c’è tanta opposizio-ne popolare. Se vai un po’ in giro per il paese trovi per-sone brillanti, giornalisti, attivisti, registi. Se vai nellaparte indiana del Kashmir, o in uno dei villaggi adivasiche stanno per essere sommersi da una diga, il livello

di comprensione di tutto quello di cui stiamo parlando– la sorveglianza, la globalizzazione, l’ong-izzazione – èaltissimo. Il buon senso dei movimenti di resistenza,anche se sono vestiti di stracci e messi con le spalle almuro, è incredibile. Mi basta guardare loro per nonperdere lafiducia (ride).

JC Perciò il dibattito sulla sorveglianza di massaper te non è una novità?

AR Ovviamente i dettagli sono nuovi anche perme, come l’aspetto tecnico e le dimensioni del feno-meno, ma per molti indiani che non si considerano“innocenti” la sorveglianza è qualcosa di cui sonosempre stati consapevoli. La maggior parte delle per-

sone che sono state giustiziate sommariamentedall’esercito o dalla polizia erano state rintracciate tra-mite i loro cellulari. Nel Kashmir le autorità controlla-no da anni i telefoni, le email, gli account di Facebook,oltre ad abbattere porte, sparare sulla folla, eff ettuarearresti di massa e torturare con una ferocia che fa im-pallidire quella di Abu Ghraib. La stessa cosa succedenell’India centrale.

JC Credi cha la ragione di tutto questo sia l’avidità?AR Sì.

Quella sera, alla fine della cerimonia per la consegnadei premi, ci siamo incontrati con Dan e la mattina do-

po abbiamo preso il volo per Mosca. Con noi c’era an-che Ole von Uexküll della Right livelyhood foundation,un uomo adorabile dagli occhi chiari e dai modi impec-cabili. Ole stava andando a consegnare il premio a Ed,che non poteva ritirarlo a Stoccolma. Sarebbe stato connoi anche nei giorni successivi. Durante il volo Danleggeva furiosamente l’ultimo saggio di Roy, The doc-tor and the saint, scarabocchiando appunti su un bloc-chetto giallo. Il mio cervello ha cominciato a lavorare.Mi chiedevo cosa pensasse Roy di quel piccolo circovolante che sfrecciava verso Mosca. Cosa avrei impa-rato da quella che lei chiama – con soave perfidia e unbagliore di malizia negli occhi scuri – “la prospettivadei musi gialli”? Con la sua smorfia da amichevole im-bonitrice riesce a disarmarti in qualsiasi momento, ma

i suoi occhi vedono le cose e le amano con una tale pas-sione che a volte mi spaventa.

Mentre attraversava il controllo passaporti del pae-se che un tempo avrebbe voluto annientare, Dan hafatto il segno della pace. Poco dopo eravamo sulle geli-de strade di Mosca. Il Ritz-Carlton è appollaiato a po-che centinaia di metri dal Cremlino. La piazza Rossa

sembra più grande in tv, durante tutte quelle orribiliparate militari. Vista da vicino è molto più piccola. Do-po il check-in ci hanno portato in una sala per vip conuna splendida vista sul Cremlino e un cartellone pub-blicitario dell’Audi sulla terrazza: “The Ritz Terracebrought to you by Audi”. Tanto per ricordare, propriodavanti alla tomba di Lenin, che il capitalismo ha vintoe ha messofine alla storia.

Alle dodici del giorno dopo ho ricevuto in camera latelefonata che aspettavo.

L’incontro tra questi due simboli viventi della co-scienza americana sarebbe stato un evento storico.Doveva succedere. Vedere Ed e Dan che si scambiava-

no aneddoti e appunti è stato commovente e profonda-mente stimolante, e la conversazione con Roy e i dueex uomini del presidente è stata straordinaria. È stataprofonda, intelligente, spiritosa, generosa, con queltocco di leggerezza che un’intervista formale nonavrebbe mai potuto avere. Pur essendo consapevoliche eravamo controllati da forze più grandi di noi, ab-biamo parlato. Forse un giorno l’Nsa ci mostrerà il ver-bale della nostra riunione. La cosa più incredibile era lasintonia che regnava in quella stanza. Non trapelavasolo dalle parole, ma dal modo in cui si parlava, nonsolo dal detto ma anche dal non detto, dal calore e dallerisate. Ma questa è un’altra storia. Dopo due giorni e

venti ore indimenticabili passati insieme, abbiamo sa-lutato Ed, chiedendoci se lo avremmo mai rivisto.

Nelle ultime ore con lui, Dan ha raccontato in tutti isuoi terrificanti e minuziosi dettagli la storia della corsaagli armamenti, una storia di bugie, una storia apoca-littica di carneficine e riti di morte.

A un certo punto Dan ha accennato a Robert McNa-mara, il suo superiore al Pentagono, definendolo un“moderato”. Roy ha spalancato gli occhi, ma Dan le haspiegato che, rispetto a certi altri pazzi furiosi comeEdwin Teller e Curtis LeMay, eff ettivamente lo era. Latesi moderata e ragionevole di McNamara, ha dettoDan, era che agli Stati Uniti bastavano 400 testate nu-

cleari. Perché dopo le 400 “il rendimento del genoci-dio decresce”. Si appiattisce. “Con 400 uccidi la mag-gior parte delle persone, con 800 non ne uccidi moltedi più. Con 400 testate si potevano uccidere 1,2 miliar-di persone su 3,7 miliardi, che all’epoca erano l’interapopolazione del pianeta. Quindi perché averne mil-le?”.

Roy ascoltava senza dire molto. Nel suo saggio La fine delle illusioni, scritto dopo i test atomici indiani del1998, si è messa seriamente nei guai aff ermando: “Seè antipatriottico protestare contro le armi atomiche, iochiedo la secessione e mi dichiaro una repubblica mo-bile”. Dan, che sta scrivendo un libro sulla corsa agliarmamenti, mi ha detto che è stata una delle cose piùbelle che abbia mai letto sull’argomento. “Non siete

 Mentreattraversava il

controllo passaporti del paese che untempo avrebbevoluto annientare,Dan ha mostratoil segno della pace. Poco dopoeravamo sulle gelide strade di Mosca

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d’accordo”, ha chiesto Roy rivolta a chiunque fosse di-sposto ad ascoltare, “che le armi atomiche siano l’ine-

vitabile corollario dell’idea della Grande Nazione?”.Appena Ed se n’è andato, Dan è crollato sul mio let-

to, esausto e felice, con la braccia aperte. Ma poi è scop-piata una tempesta. È diventato angosciato e teso. Hacitato qualcosa da L’uomo senza patria, di Edward Eve-rett Hale, la storia di un ufficiale della marina degli Sta-ti Uniti processato e condannato dalla corte marziale.Il protagonista dice che da quel momento andrà di na-ve in nave, senza sentir mai più pronunciare il nome“America”. Nel racconto, un personaggio recita alcuniversi della poesia Patriottismo di Walter Scott:

Lì respira un uomo con l’anima morta

per non aver mai detto a se stesso“Questo è il mio paese, la mia patria”

Dan ha cominciato a piangere. Tra le lacrime ha detto:“In un certo senso, sono ancora un patriota, non per lostato ma…”. Ha parlato di suo figlio, del fatto che eradiventato maggiorenne durante la guerra del Vietnam,e ha detto che un tempo pensava che fosse destinato alcarcere. “La cosa migliore che le persone migliori delnostro paese come Ed possono fare è andare in prigio-ne o in esilio in Russia? Nel mio paese siamo arrivati aquesto. È orribile”. Lo sguardo di Roy esprimeva com-prensione, ma era chiaramente sconvolta.

Era la nostra ultima sera a Mosca. Siamo andati afare una passeggiata sulla piazza Rossa. L’illuminazio-

ne del Cremlino era magica. Dan si è allontanato perandare a comprare un colbacco. Camminavamo con

cautela sull’infido strato di ghiaccio che copriva la piaz-za, cercando di indovinare quale fosse la finestra diPutin e se fosse ancora al lavoro. Roy continuava a par-lare come se fosse ancora nella stanza 1001 del Ritz.

AR Il rendimento del genocidio decresce. Ma dicosa stiamo parlando? Di matematica o di economia?Forse di zoologia. Mao diceva di essere pronto a vederemilioni di cinesi morire in una guerra atomica purchéla Cina sopravvivesse. Sto cominciando a trovare sem-pre più nauseante che nei nostri calcoli rientrino sologli esseri umani. Distruggiamo la vita sulla terra, masalviamo il nostro paese. Che cos’è? Stupidità o follia?

Quando penso a quanta violenza, quanto sangue,quanta distruzione ci sono voluti per creare le grandinazioni, gli Stati Uniti, l’Australia, la Gran Bretagna, laGermania, la Francia, il Belgio, perfino l’India e il Paki-stan.

JC L’Unione Sovietica.AR Sì, avendo distrutto così tanto per crearle, dob-

biamo avere le armi atomiche per proteggerle, e il cam-biamento climatico per mantenere il loro stile di vita.Un doppio piano di annientamento.

JC Dobbiamo tutti inchinarci alle bandiere.AR E adesso che sono sulla piazza Rossa, posso an-

che dirlo: al capitalismo. Ogni volta che pronuncio laparola capitalismo, tutti pensano…

JC Che sei marxista.

    B    A    Z    R    A    T    N    E    R             R    E    U    T    E    R    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

Un ufficiale statunitense in un campo di papaveri nella provincia di Kandahar, in Afghanistan, aprile 2012

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AR C’è molto marxismo in me, ma la Russia e laCina, pur avendo fatto le loro sanguinose rivoluzionied essendo diventate comuniste, non la pensavano poimolto diversamente sulla necessità di accumulare ric-chezza, strappandola alle viscere della terra. E oggianche loro sono arrivate al capitalismo. Ma anche ilcapitalismo fallirà. Dobbiamo immaginare qualcosa di

diverso. Finché non lo avremo trovato, continueremocosì.JC A brancolare…AR Migliaia di anni di decisioni ideologiche,filoso-

fiche e pratiche hanno modificato la superficie dellaterra, le coordinate della nostra anima. Per ognuna diquelle decisioni, forse ce ne sarebbe stata una alterna-tiva, che si sarebbe potuta prendere.

JC E ancora si può.AR Naturalmente. Io non ho la soluzione pronta.

Non ho neanche l’arroganza di volerla avere. Ma pensoche la resistenza al potere sia vecchia quanto lo stessodesiderio di accumulare potere. È questo che mantiene

l’equilibrio nell’universo, il rifiuto di ubbidire. In fon-do, cos’è un paese? È solo un’unità amministrativa.Perché gli attribuiamo un significato mistico e lo difen-diamo con le bombe atomiche? Non posso inchinarmidavanti a un’amministrazione, non è intelligente. I ba-stardi faranno quello che devono fare, e noi faremoquello che dobbiamo fare. Anche se ci annientano, al-meno avremo fatto da contrappeso.

Guardando Roy mi sono chiesto a che guai sarebbeandata incontro tornando in India, e mi è tornato inmente un vecchio proverbio jugoslavo: “Dì la verità escappa”. Ma qualcuno non scappa, neanche quando

forse dovrebbe. Sa che mostrandosi debole non faràche incoraggiare quei bastardi.

Improvvisamente si è girata verso di me e mi haformalmente ringraziato per aver organizzato l’incon-tro con Snowden: “Si presenta come un uomo di que-sto sistema gelido, ma solo la passione può averlospinto a fare quello che ha fatto. Non è un uomo delsistema. Era questo che avevo bisogno di sapere”.

Tenevamo d’occhio a distanza Dan che contrattavacon il venditore di cappelli. Temevo che potesse scivo-lare sul ghiaccio.

“Allora, signora Roy”, le ho chiesto, “che eff etto facamminare sul ghiaccio della piazza Rossa a una per-

sona che ha tanto marxismo dentro di sé?”. Lei ha an-nuito con aria saggia, dando l’impressione di prenderesul serio la mia domanda da talk show. “Penso che do-vrebbe essere privatizzata, ceduta a una fondazioneche lavora instancabilmente per i diritti delle detenu-te, l’abolizione del lavoro infantile e il miglioramentodei rapporti tra mezzi d’informazione e aziende mine-rarie. Magari alla Bill e Melinda Gates”. Sul volto avevaun sorriso triste. Potevo quasi sentire gli armonici rin-tocchi del suo pensiero con la stessa chiarezza con cuisentivo quelli delle campane che avevano i riempitol’aria gelida e il vento tagliente di quella notte d’in-verno.

“Ascolta”, ha detto. “Dio è tornato nella piazzaRossa”.u

Cosa dovremmoamare?

Arundhati Roy

“Io non ho lasoluzione pronta.

 Ma penso che laresistenza al

 potere sia vecchiaquanto lo stessodesiderio diaccumulare

 potere. È questoche mantienel’equilibrionell’universo, ilri fiuto diubbidire”

L’antivertice di Mosca non è statoun’intervista formale. Ma neancheun convegno clandestino. La cosa po-sitiva è che Edward Snowden non èstato prudente e diplomatico come alsolito. Quella negativa è che le battu-

te, i botta e risposta e l’umorismo che hanno caratte-rizzato l’incontro nella stanza 1001 non sono riprodu-cibili. Non li posso raccontare nei minimi particolaricome meriterebbero. Ma, al tempo stesso, non possonon scriverne. Perché è successo. E perché il mondo èun millepiedi che procede un centimetro alla volta sul-

la base di milioni di conversazioni reali. E questa, sen-za dubbio, è stata reale.

Quello che contava, forse ancora più di quello checi dicevamo, era l’atmosfera che regnava nella stanza.C’era Edward Snowden che, per usare le sue parole,dopo l’11 settembre aveva “cantato le lodi di Bush” e siera schierato a favore della guerra in Iraq, mentre alcu-ni di noi avevano fatto l’opposto. Ormai era troppotardi per parlarne, naturalmente. Ormai l’Iraq è statoquasi distrutto. E la mappa di quello che con condi-scendenza chiamiamo il Medio Oriente è stata brutal-mente ridisegnata (ancora una volta). Eppure eravamotutti lì a parlarne in quel bizzarro albergo di Mosca.

Bizzarro lo era di sicuro. La lussuosa hall del Ritz-Carlton era piena di milionari ubriachi, inebriati dalnuovo denaro, e di bellissime ragazze, per metà conta-dine e per metà supermodelle, che incedevano sui lorotacchi vertiginosi al braccio di quei gorilla, gazzellesulla via della fama e della fortuna che pagavano il lorodebito ai satiri che gliele avrebbero fatte raggiungere.Nei corridoi si poteva assistere a scazzottate, sentiregente che cantava, vedere camerieri in livrea spingeredentro e fuori delle stanze carrelli carichi di cibo e ar-genteria. Nella stanza 1001 eravamo così vicini alCremlino che se avessimo messo la mano fuori dallafinestra avremmo potuto quasi toccarlo. Fuori nevica-

va. Eravamo nel pieno dell’inverno russo, al quale nonè mai stato riconosciuto del tutto il ruolo svolto nellaseconda guerra mondiale.

Edward Snowden è molto più minuto di quanto miaspettassi. Piccolo, esile, agile come un gatto domesti-co. Ha salutato Dan con entusiasmo e noi con grandecordialità.

“So perché è qui”, mi ha detto sorridendo.“Perché?”.“Per farmi diventare un estremista”.Ho riso. Ci siamo sistemati a caso sulle sedie, sugli

sgabelli e sul letto di John.Ed e Dan erano così contenti di incontrarsi, e ave-

vano tanto da dirsi, che sembrava quasi scortese inter-romperli. A volte cominciavano a parlare in uno strano

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codice: “Sono passato da uomo della strada diretta-mente a Ts-sci” (Top secret-Sensitive compartmented

information). “No, te lo ripeto, non era Ds (Depart-ment of state), era Nsa (National security agency)”.“Prisec o Privac?”. “Si parte da Talent keyhole” (Ac-cesso a materiale secretato).

È passato un po’ di tempo prima che avessi la sen-sazione di poterli interrompere. La disarmante reazio-ne di Snowden quando gli ho chiesto della foto con labandiera americana è stata alzare gli occhi al cielo edire: “Non lo so. Qualcuno mi ha messo in mano unabandiera e ha scattato la foto”. E quando gli ho chiestoperché, mentre in tutto il mondo milioni di personemanifestavano contro la guerra in Iraq, lui l’aveva con-siderata giusta, mi ha risposto con lo stesso tono disar-

mante: “Avevo abboccato alla propaganda”.Dan ha parlato a lungo del fatto che gli americani

che decidevano di lavorare per il Pentagono o per l’Nsadi solito non avevano letto nulla sull’eccezionalismoamericano e sulle guerre del passato. Lui ed Edwardavevano visto con i loro occhi quello che succedeva, intempo reale, ed erano rimasti così inorriditi da decide-re di parlare rischiando la libertà e la vita. La cosa piùevidente che hanno in comune è un forte senso, quasitangibile, di rettitudine morale, di quello che è giusto equello che è sbagliato. Una rettitudine che era emersachiaramente non solo quando avevano deciso di rive-lare quello che consideravano moralmente inaccetta-bile ma anche quando avevano scelto di fare quel lavo-ro: Dan per salvare il suo paese dal comunismo, Ed per

salvarlo dal terrorismo islamico. Quello che hanno fat-to quando sono rimasti delusi è stato così sconvolgente

e drammatico che hanno finito per essere identificaticon quell’unico atto di coraggio morale.

Ho chiesto a Snowden cosa pensasse della capacitàdi Washington di distruggere un paese e della sua in-capacità di vincere una guerra, nonostante la sorve-glianza di massa. Credo di aver formulato la domandapiuttosto brutalmente, dicendo qualcosa come:“Quando è stata l’ultima volta che gli Stati Uniti hannovinto una guerra?”. Ci siamo chiesti se fosse giustoparlare di genocidio a proposito delle sanzioni econo-miche e della successiva invasione dell’Iraq. Abbiamodiscusso del fatto che la Cia sapeva che il mondo stavaandando verso un’epoca di guerre non più tra nazioni

ma all’interno delle nazioni, in cui la sorveglianza dimassa sarebbe stata necessaria per controllare la po-polazione, e si stava preparando ad aff rontarla. E delfatto che i soldati dovevano trasformarsi in poliziottiper amministrare i paesi che avevano invaso e occupa-to, mentre i poliziotti, anche in posti come l’India, ilPakistan e Ferguson nel Missouri, venivano addestra-ti a comportarsi come soldati per soff ocare le rivolteinterne.

Ed ha parlato a lungo del fatto che “stiamo andan-do come sonnambuli verso uno stato della sorveglian-za totale”. Cito le sue parole perché aveva già detto piùvolte una cosa simile: “Se non facciamo nulla, rischia-mo di andare come sonnambuli verso uno stato dellasorveglianza totale, un superstato che ha sia la capaci-

    A    S    H    L    E    Y    G    I    L    B    E    R    T    S    O    N          

    V    I    I             L    U    Z    P    H    O    T    O         

Marines battono in ritirata a Falluja, in Iraq, novembre 2004

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altre culture, gli altri paesi sono considerati semplicitestimoni del processo principale, anche se sono vitti-me delle guerre degli Stati Uniti. Servono solo a raff or-zare lo sdegno dell’accusa o l’indignazione della dife-sa. Condotto in questi termini, il processo serve solo araff orzare l’idea che possa esistere una superpotenzamoderata che agisce moralmente. Non la stiamo forse

vedendo in azione? Non stiamo assistendo alla suasoff erenza? Non vediamo i suoi sensi di colpa? I suoimeccanismi di autocorrezione? In questi dibattiti, cheappaiono accesi e intelligenti, si parla continuamentedi opinione pubblica, sicurezza e terrorismo, ma comesempre queste parole rimangono definite in modo va-go e in genere sono usate nel modo in cui il governodegli Stati Uniti vorrebbe che venissero usate.

È vergognoso che Barack Obama abbia approvatouna “lista di venti persone da uccidere”. O no? Su qua-le elenco erano i milioni di persone che sono state uc-cise nelle guerre americane?

L’interesse pubblicoSu tutti questi temi Snowden è costretto a mantenereun atteggiamento strategico. È nella posizione impos-sibile di dover negoziare i termini della sua amnistiacon le stesse istituzioni che si sono sentite tradite dalui, e i termini della sua permanenza in Russia con quelGrande Filantropo che è Vladimir Putin. Perciò le su-perpotenze lo hanno messo in una posizione tale dacostringerlo a stare molto attento a come usa i rifletto-ri e alle cose che dice pubblicamente.

Ma, a parte quello che non si può dire, la conversa-zione sulla fuga di notizie è molto aff ascinante: è real-politik, seria, importante, piena di termini legali. Si

parla di spie e caccia alle spie, di segreti e di personeche svelano segreti. È un universo adulto e coinvolgen-te. Ma se diventa il sostituto di un pensiero politico piùampio e radicale, allora quello di cui parlava il poeta epacifista gesuita Daniel Berrigan quando scriveva“ogni stato-nazione tende a diventare un impero”, di-venta un discorso un po’ più scomodo.

Sono stata contenta di vedere che quando ha fattoil suo debutto su Twitter (raccogliendo mezzo milionedi follower in meno di un secondo), Snowden ha detto:“Prima lavoravo per il governo. Ora lavoro per il pub-blico”, il che implica che il governo non lavora per ilpubblico. Questo è l’inizio di un discorso sovversivo e

scomodo. Per “governo”, naturalmente, intende direquello degli Stati Uniti. Ma chi intende per “pubblico”?Il pubblico statunitense? Quale parte del pubblico sta-tunitense? Prima o poi dovrà decidere. Nelle demo-crazie la linea di separazione tra un governo eletto e “ilpubblico” non è mai molto chiara. Di solito le élite so-no tutt’uno con chi governa. Dal punto di vista dellacomunità internazionale, se una cosa chiamata “pub-blico americano” esiste veramente, è una categoriamolto privilegiata. L’unico pubblico che conosco è unlabirinto piuttosto complicato.

Stranamente, quando ripenso a quell’incontro alRitz di Mosca, la prima cosa che mi viene in mente èun’immagine di Daniel Ellsberg, dopo tutte quelle oredi conversazione, steso sul letto di John con le braccia

tà illimitata di usare la forza sia quella di sapere tuttodelle persone che prende di mira, ed è una combinazio-ne molto pericolosa. Questo è il futuro che ci aspetta.Loro sanno tutto di noi e noi non sappiamo nulla di loro,perché agiscono in segreto, sono privilegiati, sono unaclasse a parte, un’élite, la classe politica, la classe chegestisce le risorse, non sappiamo dove vivono, cosa fan-

no, chi sono i loro amici. Loro invece possono saperetutto di noi. Questa è la direzione in cui stiamo andan-do, ma forse possiamo ancora cambiare qualcosa”.

A un certo punto Dan ha detto che se negli StatiUniti ci fosse un altro attentato simile a quello dell’11settembre il paese diventerebbe uno stato di polizia.“Oggi non siamo uno stato di polizia, non ancora. Main futuro potremmo diventarlo. Mi rendo conto cheforse sto esagerando. I bianchi della classe mediaistruiti come me non vivono in uno stato di polizia. Mai neri e i poveri sì. Se ci fosse un altro 11 settembre, pen-so che ci sarebbero centinaia di migliaia di arresti. Imediorientali e i musulmani verrebbero rinchiusi nei

campi d’internamento o espulsi. Dopo l’11 settembresono state arrestate migliaia di persone senza nessunaaccusa specifica. E in futuro potremmo arrivare a quel-lo che abbiamo fatto ai giapponesi durante la secondaguerra mondiale. Centinaia di migliaia di persone rin-chiuse nei campi o espulse. Secondo me da questopunto di vista la sorveglianza è fondamentale. Sapran-no chi arrestare, avranno già tutti i dati”.

Mentre Dan parlava mi sono chiesta, ma non hoosato dirlo: “Le cose sarebbero andate diversamentese Snowden non fosse stato bianco?”.

Abbiamo parlato di guerra e avidità, di terrorismo edi quale fosse la sua definizione più appropriata. Abbia-

mo parlato di paesi, di bandiere e del significato dellaparola patriottismo, dell’opinione pubblica, della mo-ralità pubblica e di come può essere mutevole e facil-mente manipolata. Non è stata una conversazione deltipo domande e risposta. Eravamo un gruppo piuttostoincongruo. Io, Ole e tre americani scomodi. Anche JohnCusack, che aveva pensato e organizzato quell’impresa,ha alle spalle una storia importante, una famiglia dimusicisti, scrittori, atleti che si sono rifiutati di crederea tutte le stronzate della propaganda.

Che ne sarà di Edward Snowden? Potrà mai torna-re negli Stati Uniti? Non mi sembra molto probabile. Ilgoverno statunitense – lo Stato dietro lo Stato, ma an-

che i due principali partiti politici – vuole punirlo perl’enorme danno che ha inflitto al sistema della sicurez-za. Se non riusciranno a ucciderlo o a mandarlo in pri-gione, saranno costretti a usare tutti i mezzi possibiliper limitare i danni che ha fatto e continua a fare. Unodi questi mezzi è cercare di contenere e indirizzare aproprio vantaggio il dibattito sulle rivelazioni suscitatodallo stesso Snowden. In una certa misura lo hanno giàfatto. Nel dibattito in corso sui mezzi d’informazioneoccidentali a proposito della Sicurezza nazionale edella Sorveglianza di massa l’attenzione è sempre spo-stata sull’America. L’America e i suoi comportamenti.Sono morali o immorali? Giusti o sbagliati? Quelli chehanno diff uso documenti riservati sono patrioti o tra-ditori? In questo rigido schema le altre prospettive, le

 A un certo puntoDaniel Ellsberg hadetto che, se gli Stati Unitidovessero esserecolpiti da un altroattentato simile aquello dell’11settembre, il paesediventerebbe unostato di polizia

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aperte come un Cristo che piange pensando a quelloche gli Stati Uniti sono diventati: un paese in cui i citta-dini migliori devono finire in prigione o in esilio. Lesue lacrime mi hanno commosso, ma anche preoccu-pato, perché erano le lacrime di un uomo che ha vistola macchina molto da vicino. Un uomo che un tempodava del tu alle persone che la controllavano e contem-

plavano freddamente l’idea di annientare la vita sullaterra. Un uomo che ha rischiato la pelle per denunciar-le. Dan conosce tutti gli argomenti, sia quelli a favoresia quelli contro. Usa spesso la parola imperialismo perdescrivere la storia e la politica estera americana. Og-gi, quarant’anni dopo aver reso pubblici i documentidel Pentagono, sa che la macchina è ancora in vita, an-che se le persone che ai suoi tempi la facevano funzio-nare non ci sono più. Le lacrime di Dan Ellsberg mihanno fatto pensare all’amore, alla perdita, ai sognima, soprattutto, al fallimento.

Che tipo di amore è quello che proviamo per un pa-ese? Quale paese sarà mai all’altezza dei nostri sogni?

Che sogni erano quelli che sono stati infranti? La gran-dezza delle grandi nazioni non è forse proporzionalealla loro capacità di essere spietate? La vetta del “suc-cesso” di una nazione non corrisponde forse all’abissodel suo fallimento morale? E anche del nostro falli-mento? Non ha fallito anche l’immaginazione di noiscrittori, artisti, radicali, antinazionalisti, individuali-sti, scontenti? Il nostro tentativo di sostituire le nazio-ni e le bandiere con un Oggetto d’Amore meno letale?Gli esseri umani sembrano incapaci di vivere senza laguerra, ma sono anche incapaci di vivere senza amore.Quindi la domanda è: cosa dobbiamo amare?

Scrivere di queste cose mentre una marea di profu-

ghi sta inondando l’Europa a causa della politica este-ra dell’Europa e degli Stati Uniti in Medio Oriente miporta a chiedermi: chi è un profugo? Edward Snowdenè un profugo? Senza dubbio lo è. A causa di quello cheha fatto non può tornare nel posto che considera il suopaese (anche se può continuare a vivere dove si sentepiù a suo agio, cioè su internet). Quelli che scappanodalle guerre in Afghanistan, Iraq e Siria e vanno in Eu-ropa sono profughi delle Guerre per lo stile di vita. Male migliaia di persone che a causa delle stesse guerresono imprigionate e uccise in paesi come l’India, i mi-lioni che sono costretti ad abbandonare le loro terre ele loro fattorie, che sono esiliati da tutto quello che

hanno conosciuto – la loro lingua, la loro storia, il pae-saggio che li ha plasmati – non sono lo stesso tipo diprofughi. Finché la loro infelicità rimane entro i confi-ni arbitrariamente tracciati del “loro” paese. Eppure losono. E in termini numerici sono la grande maggio-ranza degli abitanti del mondo. Purtroppo, però, nontrovano posto in un immaginario imprigionato in unagriglia di paesi e confini e avvolto nelle bandiere.

Tutti da AssangeForse il più famoso profugo delle Guerre per lo stile divita è Julian Assange. Il fondatore e direttore di Wiki-leaks sta scontando il suo quarto anno come ospite-fuggiasco in una stanza dell’ambasciata ecuadorianaa Londra. I poliziotti britannici sono in una saletta pro-

prio davanti all’ingresso principale. Ci sono cecchinisul tetto che hanno l’ordine di arrestarlo, sparargli otrascinarlo via se si azzarda a mettere un piede fuoridella porta, che in termini giuridici è un confine inter-nazionale. L’ambasciata è di fronte ad Harrods, i gran-di magazzini più famosi del mondo. Il giorno in cuiabbiamo incontrato Julian, Harrods succhiava e rispu-

tava centinaia, forse addirittura migliaia di personefreneticamente impegnate nello shopping natalizio.In quella elegante strada di Londra, l’odore dell’opu-lenza e dell’eccesso si mescolava a quello della pauradella libertà di parola del Mondo Libero. Si stringeva-no la mano e giuravano che non sarebbero mai statiamici.

Il giorno (o meglio, la sera) in cui abbiamo incon-trato Julian, la sicurezza non ci ha permesso di portarenella stanza né cellulari né macchine fotografiche néqualsiasi strumento di registrazione. Quindi anchequella conversazione rimarrà ufficiosa. Nonostantequello che è successo al suo fondatore e direttore, Wi-

kileaks continua tranquillamente il suo lavoro. Pocotempo fa ha off erto un premio di centomila dollari achi sia in grado di fornire prove “inoppugnabili” con-tro il partenariato transatlantico per il commercio e gliinvestimenti (Ttip), l’accordo di libero mercato tral’Europa e gli Stati Uniti che mira a dare alle multina-zionali il potere di citare in giudizio i governi se pren-dono decisioni che possono danneggiare i loro profitti.Tra questi reati potrebbero rientrare l’aumento del sa-lario minimo, l’incapacità di prendere seri provvedi-menti contro i “terroristi” che impediscono alle com-pagnie minerarie di lavorare o, tanto per fare un esem-pio, hanno la sfacciataggine di rifiutare l’off erta delle

sementi geneticamente modificate brevettate dallaMonsanto. Il Ttip è un’altra arma, come la sorveglian-za di massa e l’uranio impoverito, per combattere leGuerre degli stili di vita.

Guardando Julian Assange seduto dall’altra partedel tavolo, pallido e teso, che non sentiva il sole sullapelle da novecento giorni ma si rifiutava di sparire o diarrendersi, ho sorriso all’idea che nessuno lo conside-ra un eroe o un traditore australiano. Per i suoi nemici,Julian ha tradito molto più che un paese. Ha traditol’ideologia delle élite dominanti. Per questo motivo loodiano ancora di più di Edward Snowden. Lo odianoprofondamente.

Spesso ci dicono che la nostra specie è sull’orlodell’abisso. È probabile che la nostra superba e boriosaintelligenza abbia superato il nostro istinto di sopravvi-venza e la strada per tornare indietro sia stata spazzatavia. Se è così, non c’è molto da fare. Ma se c’è qualcosache si può ancora fare, non saranno certo quelli chehanno creato il problema a trovare la soluzione. Proteg-gere le nostre email servirà a qualcosa, ma non a molto.Rivedere la nostra idea di cos’è l’amore, cos’è la felicità– e cos’è un paese – forse potrebbe servire. E anche rive-dere le nostre priorità. Un’antica foresta, una catenamontuosa, la valle di un fiume sono più importanti esicuramente più amabili di quanto possa mai essere unpaese. Potrei piangere per la valle di unfiume, e l’ho fat-to. Ma per un paese? Oddio, non lo so…u bt

 Proteggere lenostre emailservirà a qualcosa,ma non a molto. Rivedere la nostraidea su cos’èl’amore, cos’è la felicità – e cos’è un

 paese – forse potrebbe servire. Eanche rivedere lenostre priorità

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Economia

Due miliardi e 400miladollari. Ecco quantovalgono le persone riu-nite in questa mattinadi giugno a New York,nella sala conferenze

del lussuosissimo albergo Trump SoHo. Ed

è una valutazione per difetto: nella sala cisono 48 persone tra i 22 e i 35 anni, ognunadelle quali un giorno avrà un patrimonio dialmeno cinquanta milioni di dollari. Per es-sere invitati a questa conferenza, il patri-monio dev’essere di mamma e papà. Infattisi tratta di un “corso di addestramento perla gestione patrimoniale” rivolto esclusiva-mente a quelli che il mondo della finanzachiama i nextgen, cioè la prossima genera-zione di ricchi eredi.

Con il numero di milionari in continuoaumento in tutto il mondo – secondo il Cre-

dit Suisse e l’Ubs, nel 2014 c’erano 2.325 mi-liardari, mentre nel 2019 ci saranno 53 mi-lioni di milionari – sta crescendo sempre dipiù anche il mercato dei servizi per futurieredi. Al riparo dagli sguardi indiscreti i fu-turi eredi sono ascoltati, vezzeggiati, cocco-lati, lusingati. Sono in tanti a occuparsi diloro: le banche, che vogliono mantenere ilcontrollo anche sui discendenti dei clientipiù ricchi; i family o ffices, strutture specializ-zate nella gestione patrimoniale; le associa-zioni incaricate di formarli e di off rirgli unarete di sostegno; le organizzazioni di bene-ficenza, che contano di farne dei generosidonatori; gli psicologi chiamati per disinne-

Scuole

per erediLouis Couvelaire, Le Monde, FranciaFoto di Dougie Wallace

In tutto il mondo le grandi banche organizzano

dei corsi sulla gestione dellefinanze destinatiaifigli dei milionari. L’obiettivo è mantenereil controllo sul patrimonio delle loro famiglie

scare i possibili conflitti familiari; le univer-sità private, che organizzano programmi sumisura per loro. Tutti sono in prima lineaper smentire il proverbio: “La prima gene-razione costruisce, la seconda mantiene, laterza distrugge”.

Questa mattina a New York l’incontro è

organizzato dalla banca svizzera Ubs. Nellahall dell’albergo non si scorge alcun indiziodi quest’incontro molto esclusivo. Al terzopiano, invece, l’istituto finanziario ha fattole cose in grande: accoglienza personalizza-ta, presenza di tutti i grandi dirigenti dellabanca, colazione raffinata. I futuri eredi ar-rivano alla spicciolata, hanno lo sguardo unpo’ disorientato, il volto teso, l’andatura esi-tante. Alcuni hanno curato il loro aspettoper apparire seri e motivati: i ragazzi indos-sano vestiti scuri con il fazzoletto nel taschi-no e cravatte chiare, mentre le ragazze por-

tano scarpe con il tacco basso e gonne stret-te in vita. Arrivano da diverse zone degliStati Uniti e non si sono mai incontrati pri-ma. Non sanno dove né con chi sedersi, so-no affiancati dal loro consigliere di fiducia,che non li perde mai di vista. Questi baby-sitter di lusso sono sempre sul chi vive. Unodi loro, Drew, sorriso smagliante e scarpelucide, è arrivato da San Francisco con leduefiglie, di 22 e 26 anni, del suo cliente piùimportante: “Se le perdi di vista anche unsecondo, rischi di fartele rubare da un colle-ga”, mi dice.

Gli eredi si alzano a turno e si presenta-no con poche parole: “Mi guadagno da vive-

re fabbricando pretzel e non mi piace ilcioccolato”; “Lavoro con mio padre nel set-tore immobiliare, mi piacciono il whisky, ilgolf e il cinema”. Non hanno niente in co-mune a parte il fatto che un giorno sarannoricchi e non sanno niente del mondo dellafinanza.

L’Ubs gli mette a disposizione i suoi mi-

gliori esperti, incaricati di aff rontare i temiindispensabili per il “bravo” erede: obbliga-zioni, tassi d’interesse, beni immobili, inve-stimenti alternativi, prestiti, contratto ma-trimoniale. La prima sessione del corso ri-guarda le azioni in borsa. Interviene Jona-than Woloshin, un uomo sulla cinquantinacon i capelli grigi, le bretelle, la cravatta ros-sa e la spilla della bandiera statunitense sulrisvolto sinistro della giacca. Woloshin è unanalista dei mercati borsistici e dirige l’uffi-cio ricerche dell’Ubs. Con il suo modo diparlare rapido alla Woody Allen, dispensala prima lezione della giornata, intitolata:“Perché la gente compra azioni?”. Wolo-

     I     N     S     T     I     T     U     T     E

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shin fa riferimento afilm come Wall street eUna poltrona per due, e con abilità organizzauna presentazione piena di immagini e didisegni. È importante mantenere viva l’at-tenzione del suo pubblico.

In tutto il mondo gli istituti finanziaricontrollano con attenzione questi ragazziper la semplice ragione che gli eredi, non

appena i genitori passano a miglior vita,hanno la fastidiosa tendenza ad andare al-trove. “Dobbiamo conquistare la lorofidu-cia prima che ereditino”, spiega Judy Spal-thoff , manager del settore gestione patri-moniale dell’Ubs e principale responsabiledei programmi per i nextgen organizzati ne-gli Stati Uniti, a Londra, a Singapore e inSvizzera. “Se non si crea subito un legamecon loro, andranno via”, conferma MoneyK., responsabile del dipartimento nextgen della Citigroup. E aggiunge: “Più di millefigli di ricchi clienti in tutto il mondo hannoseguito le nostre conferenze”.

Una di queste comprende un seminario

sulle vendite all’asta organizzato da Chri-stie’s, che per l’occasione ha preparato unavenditafinta. “Le famiglie di questi ragazzispesso possiedono delle collezioni di ogget-ti preziosi e noi cerchiamo di insegnargli aguardare e a valutare le opere d’arte”, rac-conta Money K. “Gli diamo un catalogo euna somma da investire, e loro devono spie-

garci perché hanno fatto una certa off ertasu una determinata opera”.

Ma le banche non sono le uniche a inte-ressarsi a questi futuri eredi. L’Institute forprivate investors (Ipi), un’organizzazionespecializzata “nell’educazione alla gestio-ne patrimoniale” a cui fanno capo trecentofamiglie in tutto il mondo (l’80 per centonegli Stati Uniti), organizza a New York del-le lezioni con ospiti prestigiosi. A maggiocirca quaranta nextgen hanno potuto ascol-tare Dylan Lauren, lafiglia del celebre stili-sta Ralph, raccontare il successo della Dy-lan’s Candy Bar, la rete di negozi di cara-melle che ha creato nel 2001. Dylan ha

spiegato come gestire il nome di famiglia,come farne un punto di forza, come lancia-re il proprio marchio e così via.

All’Insead, la prestigiosa scuola di com-mercio vicino a Fontainebleau, in Francia,nel corso del programma Family enterprisechallenge (il costo è seimila euro a testa per

cinque giorni) i partecipanti arrivano confratelli, sorelle e genitori per studiare deicasi fittizi. Ecco un esempio: una madrechiama lafiglia per annunciarle la decisionedi vendere l’hotel a un gruppo che le ha fat-to un’off erta interessante. Che fare? Primadi tutto bisogna analizzare la situazione fa-miliare: origini, matrimoni, divorzi, suicidi,dispute, cose non dette, situazione dei ni-poti, tutto è passato al setaccio. Vendere onon vendere? Se sì, a quali condizioni? Lefamiglie hanno tre ore e mezzo per studiareil caso.

A Londra la società di consulenza De-loitte usa un metodo diverso. Gli apprendi-sti eredi vanno a fare una passeggiata: dan-no un’occhiata alle cucine di un ristorante,girano per i quartieri poveri della città, visi-tano associazioni di beneficenza. “L’obiet-tivo è di farli entrare in contatto con la realtàche li circonda, anche se a volte è difficileeducarli”, dice Peter Leach, dirigente dellaDeloitte. “Alcuni continueranno a vivere direndita e non possiamo farci niente”.

Servizifilantropici

In generale lafilantropia è il modo miglioredi rivolgersi a questi ragazzi senza annoiar-li. “È bello che la nuova generazione sia so-cialmente più consapevole”, dice MindyRosenthal, presidente dell’Ipi a New York.“Questi ragazzi vogliono avere un’influen-za positiva”.

Non a caso da qualche anno le banchehanno creato dei dipartimenti specializzatiin servizi filantropici. Alla conferenzadell’Ubs l’animatore principale è WilliamSutton, responsabile dei servizifilantropicinegli Stati Uniti. Will, come lo chiamano i

suoi colleghi, ha i capelli lunghi e somigliaai giovani che vuole sedurre. Attira la loroattenzione citando un dato che li fa rabbri-vidire: “Solo il 9 per cento dei componentidella terza generazione riesce a conservareil patrimonio di famiglia”.

Questa percentuale non è sfuggita aquelli della famiglia Hewlett-Packard, ches’incaricano personalmente di preparare iloro discendenti: tutti i futuri eredi, infatti,devono passare per la Flora family founda-tion, creata alla fine degli anni novanta. Ècosì che si è formata Marianne Gimon, 39anni, nipote di uno dei fondatori del colossodell’informatica: “Ognuno dispone di

Londra, Regno Unito

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Economia

 50mila dollari da dedicare a una causa”,racconta. “Mia cugina aveva dodici anniquando seguì qui il primo corso, e inquell’occasione diede quattromila dollari aun’associazione che si occupa di bambini”.

Sensibilizzare gli eredi fin dall’infanziaè l’obiettivo di alcuni dei responsabili di

questi corsi. L’Ubs, per esempio, ha lancia-to un programma pilota online destinato aibambini delle elementari. Si chiama “Capi-re il denaro” e prevede l’uso di giochi in 3d,video e animazioni, oltre a un social net-work specifico.

A Saint Louis, negli Stati Uniti, la Matterfamily office gestisce invece la fortuna diuna cinquantina di famiglie statunitensi esegue i bambinifin dall’età di sei anni. Nellasua sede c’è una stanza dove si svolgono imoney camps, piccoli corsi di familiarizza-zione al denaro. I muri e il soffitto sono tap-

pezzati da gigantesche riproduzioni di ban-conote da cento dollari. “Crea un ambientemolto divertente”, dice Diane Milburn, 66anni, insegnante in pensione e dipendentedella Matter. Capelli castani a caschetto,maniere raffinate e sorriso gioviale, Mil-burn va in giro per gli Stati Uniti per orga-nizzare “interventi” presso le famiglie, in-ventando mille astuzie per divertire i futurieredi e al tempo stesso per trasmettergli “ilsenso di responsabilità”. Ai più giovani in-segna a riconoscere e a contare le monete:“Molti non le hanno mai viste, i loro genito-

ri sono abituati a tirare fuori la carta di cre-dito o a usare conti prepagati”. Quandohanno dieci anni, li manda al centro com-merciale con una lista della spesa e unasomma di denaro. Devono confrontare iprezzi, comprare in modo intelligente, nonspendere tutto e soprattutto distinguere trala necessità e il piacere. A dodici anni gli dàduecento dollari per organizzare un pome-riggio in famiglia, compresa la cena. Questeesperienze servono per far capire meglio larealtà a persone che di solito vanno in va-canza in jet privato in luoghi da sogno.

Milburn fa anche comprare ai suoi allie-vi dellefinte azioni in borsa. Dopo ogni ses-sione manda un piccolo rapporto e le sueraccomandazioni ai genitori, a cui fornisceanche un mazzo di 52 carte create per avvia-re il dialogo in famiglia. A ogni carta corri-sponde una domanda: per te è più impor-tante amare il lavoro che fai o guadagnaremolto denaro facendo un lavoro che non tipiace? Come vorresti essere ricordato?Quale organizzazione di beneficenza ti fa-rebbe piacere sostenere e perché?

Alcuni si chiedono se tutti questi inse-gnanti nonfiniscano per sostituirsi ai geni-tori. “C’è chi mi dice che preferisce parlare

di sesso con i figli, non di denaro”, esclamaWhitney Kenter, della Matter. Si credevache i genitori statunitensi fossero disinibitirispetto al denaro, ma nel caso dell’ereditàsi chiudono nel silenzio, come gli europei.

Un ranch alle Hawaii

Nella famiglia Russell l’argomento è statoaccuratamente nascosto. “Da noi non si èmai parlato di niente, tanto meno del patri-monio di famiglia”, si rammarica Zac Rus-sell. Grassottello e con il volto paff uto, il ra-gazzo parla lentamente ma a lungo. A 27anni cerca di sintetizzare la storia della suavita, in cui fa fatica a mettere ordine. Suononno paterno fece fortuna nella finanzasenza mai lasciare Tacoma, piccola città asud di Seattle. I suoi genitori erano deglihippy e hanno vissuto a lungo nel rifiutodella ricchezza per poi regalarsi un ranch di

160 ettari alle Hawaii e uno yacht. “Ma vo-liamo sempre in classe economica”, precisail ragazzo. A dodici anni, quando ha fatto iconti per la prima volta, ha calcolato il prez-

zo di vendita dell’azienda di famiglia: se-

condo le sue stime vale un miliardo di dol-lari. “Già allora”, dice, “non ne potevo piùdi tutti questi segreti”. E ancora oggi nonsa niente di cosa l’aspetta e quando. Nel2013 Zac ha creato una società di consulen-za in storytelling , che aiuta cioè i suoi clien-ti a trasformare la loro storia personale inuna strategia d’impresa. “Per ottenere unapiccola somma con cui cominciare ho do-vuto sostenere il mio progetto davantiall’azienda di famiglia”, racconta. “Sai diessere ricco ma in realtà non hai niente.Non è normale”.

Zac è lucido e interviene regolarmentealle conferenze dell’organizzazione nonprofit Nexus, una sorta di “comunità plane-taria” di futuri ricchi generosi. Fondata nel2011, riunisce duemila ragazzi di settantapaesi con l’obiettivo di metterli in contattocon gli imprenditori sociali. Zac è stato invi-tato alla Casa Bianca, al congresso degliStati Uniti e alle Nazioni Unite per il solofatto che un giorno sarà ricco. Conteso dallebanche, ha partecipato a diverse conferen-ze alla Hsbc e alla Citibank. “Lì non sonopiù né un ciccione né il figlio viziato di ric-chi”, dice sorridendo. “In realtà si trattasoprattutto di terapie di gruppo”.

Le banche e le altre organizzazioni at-tente a quest’élite di eredi ricorrono aglipsicologi per formare i loro consiglieri o peroccuparsi direttamente delle famiglie.“Spesso questi ragazzi sono depressi”, sot-tolinea Xavier Gautier, uno psicologo spe-cializzato in famiglie ricche. Dietro le quin-

te quest’uomo discreto di cinquant’anni sioccupa dei più importanti eredi di Franciain uno dei momenti più delicati della loroesistenza: la preparazione alla successione.Da oltre quindici anni lavora per “aiutarli alottare contro il rifiuto, gli abbagli, i silenzi ei tabù”. La sua attività “funziona molto be-ne”, assicura Gautier. Inutile chiedergli inomi, è talmente riservato che mette addi-rittura dei codici alle sue cartelle mediche.“Nessuno deve sapere che in una famigliac’è un conflitto e si rischia l’implosione”.Non farebbe bene agli aff ari né all’econo-

mia. Infatti un giorno la maggior parte diquesti futuri eredi non avrà solo un riccoconto in banca, ma anche un’azienda e deidipendenti. “Se si rischiasse di perdere soloun portafoglio di titoli o del denaro contan-te non sarebbe la fine del mondo”, dice unconsulente. “Ma qui si tratta dell’interaazienda”.

Luc Darbonne, ex amministratore dele-gato della Daregal, un’azienda che producespezie ed erbe aromatiche, è stato uno deipazienti di Gautier. Oggi, a 65 anni, sembrasoddisfatto. Da quasi due anni suo figlio

Charles ha preso in mano le redinidell’azienda. “Con successo”, si rallegra ilpadre, che ora è presidente della sezionefrancese del Family business network,un’associazione che ha 27filiali sparse per ilmondo e riunisce novemila proprietari diaziende a conduzioni familiare. Darbonneorganizza a sua volta conferenze e incontriper i nextgen.

In un mondo segnato dagli eccessi delcapitalismo selvaggio, l’impresa di famigliaè un valore sicuro. “Queste aziende sonopiù stabili, hanno una visione a lungo termi-

ne, azionisti più pazienti, un nome da difen-dere e concludono una sorta di contrattosociale implicito con la comunità in cui ope-rano”, spiega Christine Blondel, ricercatri-ce dell’Insead e fondatrice di FamilyGover-nance, una società di consulenza sulla suc-cessione nelle imprese a conduzione fami-liare. “È importante formare gli eredi perfarne dei bravi dirigenti o azionisti”. Secon-do Gautier è impossibile dire se questi sfor-zi saranno ripagati: “Nessuno può prevede-re le conseguenze sociali di una generazio-ne che non ha guadagnato niente e che si èlimitata a ereditare”. Lo scopriremo moltopresto.u adr 

L’Ubs ha lanciato unprogramma pilotaonline per i bambinidelle elementari

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Libano

ni, come l’Etiopia, le Filippine o qualchealtro angolo remoto del pianeta. La lonta-nanza da casa unisce questo variegatogruppo di donne che non avrebbero altrimotivi per ritrovarsi nella stessa stanza.

Ayaly ha portato alla festa altre duedonne etiopi, che se ne stanno educata-mente sedute ad ascoltare l’uomo sul palcoche parla in nepalese al microfono. PoiGemma Justo, segretaria generale del sin-dacato delle collaboratrici domestiche,prende la parola. Justo, Ayaly e altre donne

In una sala piena di sari dai colorivivaci, Birtukan Ayaly, che indos-sa l’abito bianco della domenicasecondo la tradizione etiope,sembra un po’ fuori posto. Ayalyè una delle leader del movimento

per sindacalizzare le collaboratrici dome-stiche che lavorano nelle case dei ricchi li-banesi. Molte delle donne che come leipartecipano a questa festa per il capodan-no nepalese a Beirut sono collaboratricidomestiche. Tutte vengono da posti lonta-

sono venute a questa festa nepalese perpromuovere il loro sindacato delle collabo-ratrici domestiche. Il gruppo, fondato neldicembre del 2014, non è ancora ricono-sciuto dal governo. Anzi, la legge libanesevieta alle collaboratrici domestiche di or-ganizzarsi in un sindacato. Ma queste don-ne sono convinte che superare gli ostacolilegali e ottenere il riconoscimento del go-verno siano passi fondamentali per tutela-re i diritti delle collaboratrici domestichestraniere, una categoria vulnerabile spesso

Le lavoratrici invisibilinelle case libanesi

Laura Kasinof, Good, Stati Uniti. Foto di Natalie Naccache

In Libano vivono migliaia di collaboratrici domestiche straniere. Non hanno dirittie spesso sono considerate di proprietà dei datori di lavoro

    G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S    R    E    P    O    R    T    A    G    E

Miles, 25 anni,filippina, fa la collaboratrice domestica a Beirut. Luglio 2012

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impunemente maltrattata in tutto il MedioOriente. “Namaste”, dice Justo, anche se èoriginaria delle Filippine. S’interrompe perchiedere a una donna accanto al palco ditradurre il suo discorso dall’inglese, “per-ché è importante”.

“In tutto il mondo stanno riconoscendo

il nostro sindacato, tranne che in Libano”,annuncia Justo a qualche centinaia di per-sone presenti in sala. “Per questo dobbia-mo lavorare duramente. Voglio invitaretutte voi il 3 maggio – non possiamo farlo il1 maggio perché è un giorno lavorativo – al-la prima protesta pacifica ufficiale del sin-dacato delle collaboratrici domestiche.Vogliamo che sia riconosciuto in Libano”,prosegue Justo. Nella sala esplode un ap-plauso.

Per molti versi queste donne sono for-tunate. Non sono recluse in casa, come

capita a molte collaboratrici domestiche.La domenica fanno quello che vogliono, ene approfittano per organizzare una gran-de festa da ballo. Le donne nepalesi trasci-nano Justo e Ayaly in pista, mentre unadelle amiche etiopi di Ayaly si è già buttatanella mischia e balla imitando i movimentidelle altre donne.

Nel 2010 c’erano almeno 250mila colla-boratrici domestiche straniere in Libano esi stima che in tutto il Medio Oriente sianocirca 2,1 milioni. Ma la cifra reale potrebbeessere il doppio, dato che molte non sono

registrate. Spesso lavorano per un numerodi ore ragionevole, ricevono salari che nonsarebbero possibili nei loro paesi d’origine,mandano i soldi alle famiglie e si ambien-tano nel paese di adozione, come ha fattoAyaly. Si occupano dei lavori domestici edella cura dei bambini, e così consentonoalle donne del posto di avere tempo liberoe fare carriera. Molte altre collaboratricidomestiche, però, subiscono soprusi terri-bili. Alcune sono costrette a lavorare settegiorni a settimana, senza poter mai usciredalle case in cui lavorano, e il loro passa-

porto gli viene sottratto per scoraggiare itentativi di fuga. Molte sono vittime dellebugie di agenzie che gli organizzano ilviaggio all’estero promettendo salari econdizioni di lavoro che non si concretiz-zano mai.

Poi ci sono i casi di violenze fisiche epsicologiche: stupri, riduzione in schiavi-tù, percosse. Secondo le stime di Humanrights watch, nel 2008 in Libano è mortaalmeno una collaboratrice domestica allasettimana. Solo quattordici di queste mor-ti sono state causate da problemi di salute,negli altri casi si è trattato di omicidio, disuicidio o di tentativi di fuga finiti male.

Nella società libanese l’idea che le collabo-ratrici domestiche siano una proprietà èmolto diff usa. Gli attivisti per i diritti uma-ni sono convinti che il problema principalesia lo squilibrio di potere tra lavoratrici edatori di lavoro.

Quando le donne arrivano in Libano, in

Arabia Saudita, in Kuwait o in Qatar perlavorare come domestiche, il datore di la-voro ha il controllo del visto grazie a un si-stema noto come kafala, o sponsorizzazio-ne. Lo stesso sistema funziona anche per ilavoratori di altri settori, come quello edi-lizio. In origine la kafala faceva parte delsistema tradizionale dell’ospitalità versogli stranieri in Medio Oriente: il datore dilavoro si assumeva la responsabilità delbenessere di una persona proveniente daun altro paese. Oggi è il principale stru-mento di sfruttamento dei lavoratori: tutto

il potere è nelle mani del datore di lavoro eil dipendente non ha scelta. Se uno stranie-ro si lamenta delle condizioni, il datore dilavoro può minacciare di farlo espellere dalpaese. E i dipendenti non possono lasciareil loro posto in cerca di altre opportunità,dal momento che i visti sono legati ai dato-

ri di lavoro. Non possono neppure lasciareil paese senza permesso. Il datore di lavoropuò essere una brava persona. Ma confida-re nella gentilezza di uno sconosciuto inassenza di protezione legale è rischioso. Ledonne che fuggono dagli abusi e non rice-vono assistenza dalle loro ambasciate, co-

me capita spesso alle etiopi, finiscono nelbaratro burocratico delle leggi sull’immi-grazione. Non hanno passaporto, vivonolontane dal loro paese d’origine, ma nonsono rifugiate e quindi non possono chie-dere protezione.

Di bocca in boccaDelle 165 collaboratrici domestiche immi-grate intervistate per un’indagine condottada Kafa, un’organizzazione femminista li-banese, nessuna sapeva del sistema dellakafala prima di arrivare in Libano. Più del-

la metà era pagata meno di quanto gli erastato promesso nel paese d’origine, e l’82per cento riteneva di essere obbligata a la-vorare. Nel 77 per cento dei casi erano co-strette a lavorare più di quattordici ore algiorno. Metà di loro erano rinchiuse in ca-sa. La maggioranza aveva dovuto conse-gnare i documenti d’identità e l’8 per centoaveva subìto violenze sessuali. “L’interosistema di assunzione è basato sullo sfrut-tamento. Le agenzie per il lavoro conosco-no bene la situazione in Libano, ma la na-scondono”, sostiene Ghada Jabbour, co-

fondatrice di Kafa e direttrice dell’unitàsullo sfruttamento e il traffico di esseriumani.

È qui che vorrebbe inserirsi il sindacatoin cui Ayaly rappresenta le donne etiopi.L’obiettivo è offrire protezione legale aqueste donne e fornirgli un senso di appar-tenenza alla comunità. Il sindacato speradi incoraggiare i datori di lavoro libanesi aconsiderare queste donne non come og-getti di loro proprietà, ma come dipenden-ti che hanno diritto ad andare in ferie, ascegliere per chi lavorare e a un salario mi-

nimo. Per ora gli sforzi del sindacato sistanno concentrando sugli aiuti alle donnein situazioni di vulnerabilità e sulla ricercadi nuove iscritte. Le notizie diff use dal sin-dacato passano di bocca in bocca nei luo-ghi d’incontro delle collaboratrici dome-stiche, come le chiese, ma solo tra quelle acui è concessa una giornata di riposo.

“Le collaboratrici domestiche dovreb-bero poter dire la loro, e non per carità o atitolo personale”, dice Mustapha Said,dell’Organizzazione internazionale del la-voro (Ilo) in Libano. “Ognuna di questedonne vive isolata in casa e non conosce lalingua né le leggi, e questo non fa altro che

Da sapereSenza tutele

u

 In Libano ci sono almeno 250mila lavoratricidomestiche straniere registrate. Provengonosoprattutto dall’Etiopia, dalle Filippine, dalNepal, dallo Sri Lanka, dal Bangladesh edall’Africa subsahariana. Altre 75mila sonoirregolari.uIl sistema di reclutamento nei paesi diorigine, noto come kafala o programma disponsorizzazione, lega le donne a un unicodatore di lavoro, a cui restano vincolate unavolta arrivate in Libano.uL’esclusione dalla legge nazionale del lavorole priva di diritti e tutele, come la possibilità diavere un salario minimo, di organizzarsi in un

sindacato, di stabilire un orario di lavorofi

sso,di ricevere il congedo per malattia.Ilo, associazione Amel

250milalavoratrici

domestiche in Libano

125milanon possonouscire di casa

 Fonte: Good

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Libano

renderla più sola, fragile e sfruttata. Avereun sindacato è necessario per considerareil Libano un paese che rispetta i diritti uma-ni. È necessario anche per i datori di lavoro,perché riconosce una categoria professio-nale”.

Il sindacato e le ong che si occupano del-

la questione chiedono innanzitutto l’aboli-zione del sistema della kafala, uno dei prin-cipali ostacoli quando si tratta di proteggerele donne da possibili abusi. Un altro proble-ma è che le collaboratrici dome-stiche sono escluse dalla legisla-zione sul lavoro del Libano, quin-di tecnicamente non hanno ilpermesso di avere un sindacato.Ho provato a parlare con un fun-zionario del ministero del lavoro delle ri-chieste del sindacato. Quando allafine sonoriuscita a parlare al telefono con il ministro

del lavoro Sejaan Azzi, lui si è rifiutato di ri-spondere: “Non abbiamo niente da dire suquesto argomento”, ha dichiarato.

I difensori dei diritti umani sostengonoche il governo libanese ha fatto pochi pro-gressi. Nel 2011 ha creato un contratto stan-dard per le collaboratrici domestiche, cheperò è pieno di lacune. Per esempio non siparla di salario minimo ed è molto difficileper le collaboratrici domestiche sottrarsi aun contratto indesiderato. Anche se nel2011 il Libano ha approvato un’importanteconvenzione dell’Ilo che stabiliva i diritti

delle collaboratrici domestiche, la legge na-zionale è molto indietro rispetto a quantostabilito dall’accordo.

Castro Abdullah è il capo della Federa-zione nazionale dei sindacati dei lavoratorie degli impiegati in Libano (Fenasol). Serio,alto e dall’aspetto compassato, è assoluta-mente determinato ad aiutare le donnestraniere che arrivano in Libano in cerca diuna vita migliore. Il suo ufficio si trova inuna zona povera di Beirut, è severo e spo-glio, con qualche bandiera libanese e alcunilibri. Castro lavora giorno e notte e quando

sono andata a trovarlo nel suo ufficio c’erasempre una lunga fila di collaboratrici do-mestiche che chiedevano assistenza legaleo aiuto sulle norme sull’immigrazione.

La Fenasol ha una lunga storia di batta-glie a sostegno degli stranieri, all’inizio so-prattutto armeni e curdi. Castro dice di pro-vare vergogna per gli abusi ai danni dellecollaboratrici domestiche nel suo paese eper il fatto che la risposta del ministero dellavoro a questo problema rasenti il razzi-

smo. Quando le donne arrivano in cerca diun lavoro, dice, “non sanno nulla del Liba-no. Non conoscono la lingua. Vengono pic-chiate, maltrattate. Abbiamo cominciato a

pensare a un modo per risolverequesto problema e aiutarle a otte-nere i loro diritti”. Abdullah con-sidera il sindacato un rifugio perle donne maltrattate e un gruppodi sostegno che può interagire

con la polizia in loro difesa. “Ci sono donnestuprate che non hanno un posto dove an-dare”, dice. “Non c’è un sistema che si pren-

da cura di loro”.

Il debito da ripagareBirtukan Ayaly vive in un appartamentomodesto ma ben arredato in una stradinainterna di un quartiere povero di Beirut. Lasua camera da letto è piena di foto dei duefigli e della sorella minore. Racconta che ilmarito l’ha abbandonata quindici anni fa,lasciandola sola a prendersi cura dei duebambini piccoli. Il desiderio di garantireun’educazione e un futuro migliore ai figli,oggi entrambi studenti universitari in Etio-

pia, l’ha spinta a cercare lavoro all’estero a23 anni. “Magari riesci anche a trovare lavo-ro in Etiopia, ma il salario non basta permandare avanti una famiglia”, spiega inarabo. “Ti basta solo a mangiare e a com-prare i vestiti. Non riesci a mettere da partenulla e se non hai un’istruzione non trovilavoro”.

I mediatori che lavorano nelle aree rura-li, dove i villaggi hanno a malapena l’elettri-cità e quando va bene una scuola elementa-re, spingono le ragazze ad andare all’esteromostrandogli, per esempio, la grande casa

che una donna più anziana ha potuto com-prare per la sua famiglia dopo aver lavoratoin Medio Oriente. Queste ragazze magarivedono una vicina più anziana di ritorno dal

Medio Oriente con indosso abiti che loronon si sognerebbero mai. Ho parlato conuna decina di etiopi che hanno lavorato inMedio Oriente come collaboratrici dome-stiche e tutte mi hanno raccontato di essereandate all’estero di loro volontà, ma la metàcontro il volere dei genitori. Le donne spes-

so si indebitano per pagare i mediatori cheorganizzano il viaggio all’estero, e questo lerende ancora più vulnerabili.

“Devono pagarsi il biglietto. Alcune de-vono prendere in prestito solo poche centi-naia di dollari, altre migliaia. Sono cifreenormi per loro”, racconta Ghada Jabbour.“Per estinguere il debito devono lavorare.Per questo accettano di sopportare gli abu-si. Di fatto gli viene estorto il consenso”.

Quando chiedo ad Ayaly e alle altre per-ché tante donne continuano ad andare inMedio Oriente nonostante i rischi, ricevo

sempre la stessa risposta: ogni donna pensadi poter essere quella fortunata. “Pensanosolo a trovare un lavoro. È normale”, diceAyaly.

Dopo che molti casi di abusi sulle colla-boratrici domestiche sono diventati di pub-blico dominio e che l’Arabia Saudita ha mi-nacciato di espellere i migranti etiopi senzadocumenti, nell’autunno del 2013 il gover-no di Addis Abeba ha vietato ai suoi cittadi-ni di andare in Medio Oriente con visti dilavoro. Divieti simili sono stati introdotti inaltri paesi, come il Nepal. Questo però ha

favorito il traffico di esseri umani. “Ci sonoprove del fatto che questi divieti siano statiin realtà controproducenti. Sono semprepiù numerosi i migranti che percorrono vieirregolari con costi più elevati e in condizio-ni di maggiore vulnerabilità”, aff erma BinaFernandez, autrice del libro Migrant dome-stic workers in the Middle East e docenteall’Università di Melbourne.

Ad Addis Abeba incontro due sorelle(entrambe mi chiedono di non usare il lorovero nome) che hanno lavorato in MedioOriente come collaboratrici domestiche,

guadagnando circa 150 dollari al mese. So-no tornate in Etiopia ma non hanno trovatoun lavoro che gli garantisca un salario digni-toso. Entrambe mi hanno detto che sareb-bero disposte a tornare in Medio Oriente senon fosse per il divieto in vigore. Grazie allostipendio da domestiche la loro famiglia siè potuta permettere alcuni beni di lusso co-me la tv a schermo piatto e mobili migliori.Mi siedo con loro nel majlis, una sorta disoggiorno pieno di cuscini colorati sparsisul pavimento, comune nelle case deglietiopi musulmani.

“Volevo migliorare le condizioni di vitadella mia famiglia”, dice Aysha, 21 anni, la

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Da sapere Morti silenzioseNel 2007 sono morte in Libano 95 lavoratrici etiopi. Numero di decessi per causa di morte.  Fonte: Good

Suicidio 40 | Morte per caduta dall’alto (spesso un tentativo di fuga) 24 | Malattia 14 | Altro 17 | 

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più giovane delle due sorelle. Aysha è an-data all’estero quando aveva solo 17 anni,

una cosa illegale, ma le donne falsificanospesso i documenti d’identità. Secondo leiad Addis Abeba “le ragazze sanno che pos-sono capitare cose brutte” quando vannoall’estero per fare le domestiche. “Ma cisono anche quelle che hanno avuto espe-rienze positive, perciò avevo sentimenticontrastanti all’idea di partire. Ho decisoche qualsiasi cosa mi fosse accaduta, sa-rebbe stato per volere del destino”. Se ildivieto venisse abolito, Aysha tornerebbein Medio Oriente.

Chiedo ad Aysha, che lavorava a Dubai,

e alla sorella maggiore Fatima, che lavora-va in Arabia Saudita, perché non provano apartire per vie illegali. “Ci vogliono duemesi circa, si rischia di essere stuprate ouccise”, risponde Fatima. “Lo fanno le ra-gazze che vengono dalla campagna e nonsono informate”. Dico alle sorelle del lavo-ro che il sindacato sta facendo per cambia-re le cose in Libano. “Sono scettica su que-ste iniziative”, risponde Aysha. “Non credoche funzionino”.

Avere una domestica è relativamentepoco costoso in Libano. Costa di più man-dare i bambini all’asilo, e questo incoraggial’uso delle domestiche come tate. Un altro

elemento importante è il prestigio sociale.Se i vicini hanno una domestica, allora le

altre famiglie della zona se ne devono pro-curare una per dimostrare di appartenerealla stessa classe sociale.

L’anno scorso per la festa della mammaun’agenzia di collocamento per collabora-trici domestiche a Beirut ha organizzato“un’offerta speciale” per “coccolare” lamamma con una domestica. Questo sfac-ciato disprezzo per l’umanità delle lavora-trici straniere e la tendenza a considerarlesemplici merci è evidente quando fingo divoler assumere una collaboratrice dome-stica e visito due uffici che organizzano il

reclutamento.Il primo è luminoso e relativamente

professionale. All’ingresso sono appesi ilposter di una tigre siberiana bianca e uncrocefisso. Una segretaria mi porge il cata-logo delle domestiche. Scorro foto di etiopie keniane, ragazze in abiti carini con sorrisiforzati. Una è nata nel 1994 , un’altra stan-do alla didascalia nel 1982, ma dimostradiciott’anni al massimo. Indossa pantalonirosa acceso e una maglietta verde lime conun gufo di paillette. Sono colpita da quantosia facile assumere una collaboratrice do-mestica. Devo solo presentarmi all’ufficioe pagare per il viaggio, come mi spiega la

segretaria. “Lefilippine sono migliori”, midice. “Le etiopi sono un po’ stupide. Le ke-

niane invece vanno bene”.Parlo con il secondo agente di recluta-

mento nel retro di uno squallido negozio diabiti da donna gestito da una libanese coni capelli biondo platino, ciglia finte eun’enorme pelliccia addosso nonostante ilcaldo. L’agente, con un principio di calvi-zie, è seduto su uno sgabello davanti a mee mi spiega le diff erenze di prezzo: ordina-re una filippina costa 4.500 dollari, perun’etiope ne bastano duemila. Ci sono an-che nepalesi, srilankesi, e la lista prosegue.A una filippina devo pagare un salario più

alto, circa trecento dollari al mese, contro i150 dollari per un’etiope.

“Non può darle un giorno libero, né iltelefono o internet. Appena hanno un tele-fono possono scappare e nessun altro levorrebbe in Libano”, mi spiega l’agenteporgendomi un foglio e una penna per ap-puntarmi i prezzi. “Appena le concedeteun giorno libero, si troverà un fidanzato.Hanno tutte un marito a casa e unfidanza-to qui. Non può mai sapere cosa fa duranteil giorno quando esce di casa. Abbiamo an-che la possibilità di un percorso accelera-to”, prosegue l’agente. Mi spiega che sicco-me possono essere necessari anche due

    G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S    R    E    P    O    R    T    A    G    E

Jane,filippina, fa la domestica a Bchamoun. Agosto 2012

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Libano

mesi per far arrivare una ragazza dal suopaese d’origine a Beirut, si può ricorrerealle domestiche fuggite da altri datori dilavoro. “Deve pagarle di più, circa 400 dol-lari al mese, ma non ci sono costi di viag-gio. Non hanno i documenti, perciò sullacarta sarebbe una cosa illegale, ma non c’è

nulla da temere, perché il governo non fanessun controllo”.

Soddisfatti o rimborsati

Ci sono circa cinquecento agenzie autoriz-zate in Libano e un numero molto maggio-re di agenzie illegali, perciò si tratta di unsettore redditizio. “Queste agenzie sonocollegate a ogni sorta di altre attività, so-prattutto quelle di import-export in MedioOriente”, spiega Bina Fernandez. “La stes-sa compagnia che organizza il reclutamen-to di collaboratrici domestiche può occu-

parsi anche di esportazioni di bestiame odi trasferimenti di denaro”.

In entrambe le agenzie mi dicono chese non sarò soddisfatta della mia collabo-ratrice domestica dopo tre mesi potrò re-stituirla. Molte donne rimandate indietrovengono rinchiuse negli stanzini dell’agen-zia e non possono andarsene. Spesso sonopicchiate, mi raccontano gli attivisti per idiritti umani. Poi vengono date a un’altrafamiglia con l’ordine di lavorare. “Le trat-tengonofinché qualcun altro non è dispo-sto ad assumerle, perciò si tratta di lavoro

forzato”, aff erma Roula Hamati, ricerca-trice e responsabile delle campagne di sen-sibilizzazione per l’organizzazione di dife-sa dei diritti umani Insan.

Hicham al Bourji, presidente del sinda-cato dei proprietari delle agenzie di collo-camento in Libano, è consapevole del fattoche le domestiche assunte tramite questeagenzie a volte sono maltrattate. Mi diceperò che i divieti imposti ai visti di lavoro inMedio Oriente non fanno altro che alimen-tare questi abusi, perché hanno l’eff etto direndere l’intero processo clandestino.

Rimprovera inoltre il lento sistema giudi-ziario del Libano che non approva le legginecessarie a proteggere queste donne.

Anche se Al Bourji aff erma di essere fa-vorevole a maggiori protezioni legali per lecollaboratrici domestiche, il suo tono cam-bia quando gli parlo della lotta che il sinda-cato sta facendo per ottenere queste prote-zioni. “Se vado in qualsiasi paese devo ri-spettarne le regole, che siano giuste o sba-gliate”, dice. “Le leggi nel nostro paesestabiliscono che le collaboratrici domesti-che non possono essere iscritte a un sinda-cato. Sarà anche stupido, ma è la legge”.

Un pomeriggio nell’ufficio della Fena-

sol chiedo ad Ayaly di raccontarmi le storiepiù significative che ha sentito sulle colla-boratrici domestiche etiopi in Libano. Re-sta per un momento seduta con lo sguardoa terra prima di rispondere con tono sicuro:“Ameera” (il suo nome, come tutti gli altridi seguito, è stato cambiato per ragioni disicurezza).

Ameera è una ragazza arrivata in Liba-no attraverso il Sudan cinque anni fa, rac-conta Ayaly. Ha lavorato come domesticaper due anni, ma è scappata quando ha ca-

pito che il suo datore di lavoro non avevaintenzione di farla tornare a casa al termi-ne del contratto, una cosa di cui si lamenta-no molte collaboratrici domestiche.

Decido di andare alla ricerca di Ameerainsieme ad Ayaly. Stando a quanto sappia-mo, Ameera vive con un’altra etiope in unquartiere alla periferia di Beirut, dove alposto dei cartelloni di moda ci sono quelliche inneggiano ai leader barbuti di Hez-bollah. Alla fine riusciamo a trovare il po-sto. Sulla vetrina del locale è attaccatadella carta da parati, così non si può sbir-

ciare dentro. Nonostante l’assenza di lucenaturale le etiopi che vivono all’interno ri-dono e sono allegre.

La capofamiglia, la minuta Fauzia, pre-para senza sosta l’injera, lo spugnoso paneetiope, su una cucina da campeggio, lan-ciando ogni pezzo appiccicoso e fumantesu un tavolo, dove un’altra donna lo impac-chetta e lo ripone su una tovaglia stesa sulpavimento accanto ad altre decine di con-fezioni pronte per essere vendute. In unangolo della stanza dorme il piccolo Amin,ilfiglio di tre settimane di Ameera. Il padreè un siriano che ha abbandonato Ameeradopo che è rimasta incinta. Ameera non sa

se si trova in Libano, né se è ancora vivo.Lei non può tornare in Etiopia perché ilbambino non può viaggiare senza il per-messo del padre. È molto magra e ha il vol-to incorniciato da uno strettohijab blu.

Ameera è andata in Libano dopo il ri-torno della sorella, che aveva lavorato co-

me domestica a Beirut. “Vedevo il modo incui mia sorella aveva aiutato la mia fami-glia, e volevo fare la stessa cosa”, raccontacon sincerità. Le chiedo se all’inizio haavuto paura a trovarsi in un paese scono-sciuto, e lei mi risponde di no. Aveva unpiano. “Volevo lavorare per due anni e poitornare a casa, ma il mio datore di lavoroera cattivo, così sono scappata”.

Ameera racconta di essere stata semprechiusa in casa e costretta a lavorare. Dove-va badare a sette bambini e occuparsi an-che della casa della suocera, senza avere

mai un giorno di riposo. Il suo datore di la-voro le impediva di mandare lo stipendiodi 150 dollari alla famiglia in Etiopia. Dopopoche settimane ha cercato di andarsene,contattando la sua agenzia e dicendo chele cose non andavano bene. “Che sfortu-na”, le hanno risposto. “Dopo due anni,quando il mio contratto stava per scadere,ho chiesto di poter comprare una valigiaper tornare in Etiopia. Non me lo hannopermesso”, racconta ancora. Era semprepiù evidente che il datore di lavoro nonaveva alcuna intenzione di farla tornare a

casa. Perciò mentre la famiglia era riunitain soggiorno lei è scappata dalla porta prin-cipale portando con sé solo i vestiti cheaveva addosso. Come le altre donne inquesto negozio trasformato in rifugio, èfuggita senza il permesso di soggiorno né ilpassaporto. Nel frattempo ha incontratoun uomo ed è nato Amin, e ora lei e il bam-bino vivono qui con le altre donne. Forma-no una sorellanza tenuta assieme dal biso-gno di un aiuto reciproco. Vengono da am-bienti diversi in Etiopia. Ameera è musul-mana, un’altra ha una foto di Gesù come

sfondo del telefono. Queste diff erenze, pe-rò, non hanno importanza per loro.

Se il sindacato delle collaboratrici do-mestiche potesse aiutare un numero mag-giore di lavoratrici straniere e diventasseun’organizzazione ufficialmente ricono-sciuta in Libano, queste donne e altre co-me loro potrebbero chiedere aiuto per ot-tenere un nuovo passaporto o farsi restitu-ire quello vecchio. Potrebbero inoltre rice-vere assistenza legale nel caso di maltrat-tamenti da parte dei datori di lavoro. Èquesto il futuro in cui spera Birtukan Ayaly,e per questo sta conducendo la sua bat-taglia.u gim

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Era evidente che ildatore di lavoro nonaveva intenzione difarla tornare a casa.Perciò mentre lafamiglia era in salottolei è scappata

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Scienza

La mia memoria è nellanorma? Non sono portataper i quiz di cultura genera-le. Posso ricordare oscuridettagli di conversazioniavvenute molto tempo fa,

ma non mi ricordo mai l’altezza delle mon-

tagne che ho scalato o i nomi dei gruppipop. Invece il mio collega Richard è bravis-simo a ricordare i fatti, ma non sa che pesciprendere quando deve richiamare allamente i particolari delle sue esperienzepassate. Dovremmo preoccuparci?

In realtà la memoria è strettamente le-gata all’azione di dimenticare: il cervelloscarta gran parte dei dati sensoriali che ri-ceve. “Domani ricorderemo abbastanzabene una conversazione che abbiamo avu-to oggi”, afferma il neurobiologo JamesMcGaugh, dell’università della California,

a Irvine. “Nel giro di una settimana moltedi quelle informazioni andranno perse”. Edopo un anno quella conversazione saràdimenticata.

I ricordi sensoriali diretti durano solopochi istanti. Alcuni diventano ricordi abreve termine, come un numero di telefonoappena digitato. È difficile stabilire unaquantità esatta, ma in media un cervelloriesce a tenere a mente quattro cose allavolta per trenta secondi al massimo.

Un’informazione particolarmente im-portante o significativa, per esempio unaconversazione che contiene un insulto per-sonale, si fissa nella memoria a lungo ter-

mine. “Ricordiamo in modo selettivo echiaro i fatti che ci colpiscono a livello emo-tivo”, spiega McGaugh. La memoria a lun-go termine si divide in due grandi tipologie:la memoria semantica registra i concetti,come l’idea di un treno, invece quella epi-sodica riguarda le nostre esperienze perso-

nali, come un particolare viaggio in treno.Tutti conoscono almeno una persona

con una memoria fattuale enciclopedica.Le persone con una memoria episodicasono una scoperta più recente. “Questepersone ricordano fatti di tanti anni fa co-me io e lei ci ricordiamo quelli della setti-mana scorsa”, aff erma McGaugh. C’è an-che il caso opposto, quello di persone chefanno fatica a ricordare perfino le espe-rienze più recenti. “Sanno che quel fatto èavvenuto, ma non sono mentalmente ca-paci di andare indietro, neanche di una

settimana”, spiega Daniela Palombo, stu-diosa di memoria autobiografica alla Bo-ston university.

La maggior parte delle persone si trovatra questi due estremi. Come vuole il cli-ché, le donne di solito hanno una memoriaepisodica migliore. Quanto alla memoriasemantica, gli uomini tendono a ricordaremeglio le informazioni spaziali, mentre ledonne sono più brave con quelle verbali,come gli elenchi di parole. Anche il tipo dipersonalità può influire: le persone apertea nuove esperienze di solito hanno una me-moria autobiografica migliore. L’invecchia-mento influenza la capacità di ricordare le

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esperienze personali più che la memoriadei fatti. Lo stesso vale per la depressione.Se dopo aver compiuto 40 anni vi accorgeteche non riuscite a ricordare nomi nuovi,non è per colpa del cervello sovraccarico (lacapacità di memoria è quasi illimitata). Ilvero motivo è che una serie di cambiamen-

ti graduali nella struttura del cervello, comeil calo della densità dei dendriti che contri-buiscono a formare le connessioni tra i neu-roni, rendono meno efficiente la creazionee il richiamo dei ricordi.

Finché non vi accorgerete di avere diffi-coltà a svolgere attività semplici fatte tantevolte o a seguire il filo di un discorso, nondovrete preoccuparvi più di tanto se la me-moria segue vie misteriose. La memoria èsoggettiva, spiega lo psicologo britannicoCharles Fernyhough, della Durham uni-versity. “Le persone ricordano quello che

per loro è importante. Ognuno di noi hainteressi diversi e questo influenza i pro-cessi mentali”, aff erma. “A mia moglie in-teressano i fiori. Quando siamo in un giar-dino io vedo solo un’accozzaglia di colori,mentre lei ricorda tutto, anche i minimiparticolari”.

La memoria è un sistema formato daparti mobili che cambiano nel tempo, per-ciò è ovvio che la variabilità sia alta. “Cisono grandi diff erenze tra una persona el’altra”, aff erma McGaugh. “Il fatto che nontutti ricordiamo le stesse cose è una carat-

teristica della memoria umana”.– AlisonGeorge

Il mio tempo di attenzione è nella nor-ma? Negli ultimi minuti ho provato a con-trollare le condizioni atmosferiche con lamente. Grazie a una fascia Eeg che registral’attività elettrica del mio cervello, devo so -lo indirizzare i pensieri verso un posto piùcaldo e smetterà di piovere, uscirà il sole egli uccellini cominceranno a cantare. Al-meno sul mio smartphone. Ma più mi sfor-zo e più la pioggia aumenta.

L’apparecchio che sto usando si chiamaMuse e serve a controllare i pensieri erran-ti, e quindi a ridurre lo stress e aiutare laconcentrazione. Quando la mente divaga,ci sentiamo in colpa. “Le prove aneddoti-che indicano che la maggior parte dellepersone pensa di avere una mente che di-vaga più della media”, dice JonathanSchooler, dell’università della California aSanta Barbara. Schooler ha provato a misu-rare in laboratorio i livelli “normali” di at-tenzione, chiedendo alle persone di leggereestratti di Guerra e pace di Lev Tolstoj e in-terrompendole a intervalli non prestabilitichiedendogli le loro impressioni. Questi

Una strana

normalità New Scientist, Regno Unito. Foto di Chrissie White

Non vi concentrate per più di dieci secondi

di seguito? Dimenticate il nome di una personasubito dopo averla conosciuta? Sentite delle voci?Significa che il vostro cervello è nella media

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studi hanno rivelato che trascorriamo tra il15 e il 50 per cento del tempo con la testa trale nuvole. Una tale mancanza di concentra-zione può sembrare davvero inefficiente,ma forse non lo è. “È improduttiva perquello che stiamo facendo al momento”,aff erma Schooler, “ma è produttiva rispet-

to a quello a cui stiamo pensando, qualsiasicosa sia. Magari mentre leggo un libro pen-so a organizzare una festa: la mia capacitàdi lettura è compromessa, ma faccio deipassi avanti nell’organizzazione della fe-sta”. Avere la testa tra le nuvole è un trattoevolutivo che aiuta a pensare e fare proget-ti per il futuro, attività che a loro volta favo-riscono una creatività squisitamente uma-na. Forse però la nostra mente divaga trop-po. Una preoccupazione comune è che laconcentrazione risenta delle tante distra-zioni provenienti dalla tecnologia. Secondo

un recente rapporto pubblicato dalla Mi-crosoft, dal 2000 al 2013 in Canada la so-glia di attenzione media è scesa da 12 a 8secondi, uno in meno di un pesce rosso.

J. Bruce Morton, della Western univer-sity a London, in Canada, è scettico. Innan-zitutto, non c’è una misura standard dellasoglia di attenzione. “La gente vuole sapereper quanto tempo si riesce a mantenere laconcentrazione o quale dovrebbe essere lacurva di attenzione di un bambino. Tutta-via di solito gli scienziati che studiano il fe-nomeno non si occupano di questi aspetti”.

Per misurare la cosa che ci si avvicina di più– la capacità di rimanere concentrati suun’attività, o attenzione selettiva – si osser-vano gli spostamenti dell’attenzione suuna scala di millisecondi. Per esempio, sichiede a una persona di dire ad alta voce ilcolore di alcune forme mano a mano chespuntano su uno schermo, ignorando altrielementi di disturbo. Gli esperimenti diquesto tipo evidenziano che l’attenzioneselettiva è molto variabile. È bassa neibambini, forse perché il cervello in fase disviluppo deve ancora imparare a controlla-

re le zone che elaborano le informazionisensoriali in entrata. Migliorafino ai 20 an-ni, si stabilizza fino alla mezza età e poi ri-comincia a calare.

Tuttavia non ci sono prove del fatto chela tecnologia ci renda più distratti, diceMorton. Anzi, ormai è così ben studiata eintuitiva da sfruttare la nostra capacità in-nata di pensare a cose diverse nello stessomomento.

Se siete ancora preoccupati, poteteadottare degli accorgimenti. State alla lar-ga dall’alcol: quando si beve si è meno co-scienti di avere la testa tra le nuvole, diceSchooler. “Quando si consumano bevande

alcoliche la mente divaga molto di più sen-za accorgersene”. Le tecnologie che aiuta-no a controllare il pensiero, come l’applica-zione sulle condizioni atmosferiche citataprima, possono essere d’aiuto: “Le personeche tengono l’attenzione allenata hannomolto meno la testa tra le nuvole”, conclu-de Schooler.–Catherine de Lange

Le mie emozioni sono nella norma? Viè capitato di cominciare una giornata dibuon umore e pieni di determinazione perpoi sentirvi mancare il terreno sotto i piedia causa di un commento sgarbato? Sietemolto sensibili alla fame, alle sirene, agliodori forti e alle luci abbaglianti? Da bam-bini eravate timidi e riservati? Se avete ri-sposto di sì a una o a tutte queste domande,probabilmente siete “persone altamentesensibili”. Al contrario, mantenete quasisempre il sangue freddo, la calma e il con-

tegno? Non vi fate influenzare dalle emo-zioni della gente e avete una forte autosti-ma? In questo caso soddisfate alcuni crite-ri della psicopatia individuati negli annisettanta dallo psicologo canadese RobertD. Hare.

La maggioranza delle persone preferi-rebbe non rientrare nelle categorie di “alta-mente sensibile” o “psicopatico”. Gli psico-logi, però, hanno definito diversi parametriper valutare la gamma delle emozioni uma-ne, ed è molto difficile avere un punteggionella media su tutte. Per esempio secondo

la psicologa Elaine Aron, della Stony Brookuniversity di New York, una persona su cin-que è ipersensibile.

La nostra sensibilità all’ambiente di-pende da un’ingarbugliata combinazionedi migliaia di geni, spiega Michael Pluessdella Queen Mary university di Londra. Equesto è solo uno dei fattori che determina-no la nostra cornice emotiva. Nel decennioscorso gli psicologi hanno individuato deci-ne di variabili genetiche comuni alle perso-ne altamente sensibili, che regolano peresempio ormoni chiave come la serotoni-na, la dopamina e l’ossitocina. Pluess hariscontrato che molti di questi geni stimola-

Scienza

no l’attività nell’amigdala, la zona del cer-vello in cui avviene l’elaborazione delleemozioni.

Per fortuna non tutto il male viene pernuocere. Pluess ha scoperto che anche sespesso si sentono travolte dalle emozioninegative, le persone ipersensibili riescono

a cogliere meglio aspetti positivi più sottili,hanno pensieri più profondi e di solito sonopiù creative. Una sensibilità più spiccataagli stimoli esterni potrebbe addirittura es-sere un tratto evolutivo, perché facilitereb-be l’adattamento ai nuovi ambienti. In ge-nerale, aff erma Sarah Garfinkel dell’uni-versità del Sussex nel Regno Unito, le per-sone sensibili ottengono punteggi più altinei test sull’empatia. Viceversa, le personeche provano meno empatia o meno rimor-so possono essere più utili quando gli inte-ressi del gruppo vanno anteposti a quelli

individuali. “Sono il tipo di persone che li-cenzia centinaia di dipendenti per il benedell’azienda”, dice Garfinkel.

Il fatto che l’evoluzione non abbia sele-zionato una combinazione particolare digeni indica che la situazione ideale è un in-sieme di persone con tratti caratteriali di-versi. E per quanto esistano aberrazionievidenti (per esempio la psicopatia estre-ma che porta all’omicidio a sangue freddo),di solito le nostre reazioni emotive nonprendono il sopravvento. Il merito è dei cir-cuiti che collegano la corteccia prefrontale

– la zona “pensante” del cervello – all’amig-dala. “Questo significa che, entro certi li-miti, un cervello sano è in grado di control-lare le reazioni emotive con il pensiero e ilragionamento”, sostiene Garfinkel.

Volete sapere se siete ipersensibili? Da-te un’occhiata ai questionari di Elaine Aronsul sito hsperson.com/test.–Catherine

 Brahic

Le mie convinzioni sono nella norma? Alice rise: “È inutile che ci provi. Non si puòcredere a una cosa impossibile”.

“Oserei dire che non ti sei allenata mol-to”, ribatté la Regina. “Quando avevo la tuaetà, mi esercitavo per mezz’ora al giorno. Avolte ho credutofino a sei cose impossibiliprima di colazione”.

All’epoca di Lewis Carroll, autore di Ali-ce nel paese delle meraviglie(1865), crederealle cose impossibili sarebbe stato interpre-tato come un segno di squilibrio mentale.Oggi sappiamo che è abbastanza normale:sei cose impossibili prima di colazione for-se sono la regola.

Le nostre convinzioni sono come unaguida personale alla realtà: non solo ci di-cono quello che è corretto dal punto di vista

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“Le persone ricordanoquello che per loro èimportante. Ognunodi noi ha interessidiversi e questoinfluenza i processimentali”

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fattuale, ma anche quello che è buono egiusto. Plasmano il nostro comportamento.

Sarebbe bello pensare che queste guide sia-no affidabili e spassionate, ma è dimostratoche non lo sono. Le convinzioni sono ingran parte il frutto della nostra psicologiafallibile, delle sensazioni istintive, dellepersone che frequentiamo e delle diff eren-ze biologiche, per esempio quanto siamoimpressionabili. Non potrebbe essere altri-menti: se dovessimo formare le nostre con-vinzioni basandoci sull’esperienza e la ve-rifica diretta, faticheremmo a capire anchele basi della realtàfisica.

Questo non vuol dire che crediamo a

tutto. Gli adulti equilibrati di norma hannoun sistema interno di valori coerente, e inbuona parte ancorato alla realtà. Ma c’è co-munque spazio per le contraddizioni, ilpensiero magico, il soprannaturale, il para-normale e tante altre cose impossibili, nonsolo prima di colazione ma tutti i giorni e atutte le ore.

Gli studi di Peter Halligan e dei suoi col-laboratori all’università di Cardiff , nel Re-gno Unito, confermano che ogni individuoha almeno una convinzione “semideliran-te”. Si tratta di versioni ammorbidite diconvinzioni che potrebbero essere descrit-te come sintomi di una patologia mentale:

per esempio l’idea che i nostri familiari sia-no stati rapiti e sostituiti da impostori. La

maggior parte delle persone convive conpensieri simili senza problemi.

Quindi le convinzioni “normali” sonoun grande contenitore. È normale credereche dio esista ed è altrettanto normale cre-dere che non esista. Lo stesso vale per tuttele convinzioni politiche, sociali ed econo-miche di cui discutiamo all’infinito. È diffi-cile sostenere che perfino le opinioni rite-nute inaccettabili in una certa società – co-me il razzismo o l’apostasia – non siano“normali”. Se non vivete nell’illusione, èprobabile che siete nella norma. Ma d’altro

canto le illusioni sembrano vere, quindil’unico modo per essere sicuri che le vostresiano “normali” è consultare lo psichiatra.E credere a quello che vi dirà.–Graham Lawton

Sentire delle voci nella testa è nella

norma? Per Socrate era il segno che stavaper commettere un errore, per SigmundFreud era un’amata che lo accompagnavaquando viaggiava da solo: sentire le voci èuna tradizione antichissima. E come dimo-strano questi illustri esempi del passatonon sempre è un segno di pazzia, i nostripensieri quotidiani spesso ci “parlano”. Nel

2011 Charles Fernyhough e Simon McCar-thy-Jones della Durham university, nel Re-

gno Unito, hanno rilevato che nel 60 percento dei casi “il discorso interno” ha laforma di un vero e proprio dialogo.

Ma dovefinisce il discorso interno e do-ve cominciano le voci “dall’esterno”? Unateoria è che quando ascoltiamo una voceinterna “è come se fossimo noi a parlare”,spiega Fernyhough, e quindi ci sentiamopiù in grado di controllarla. Ma visto chemolti processi mentali sembrano involon-tari, la spiegazione non soddisfa del tutto.“Questa domanda è al centro dell’enigmadelle voci che sentiamo e del perché non

riusciamo a risolverlo”, afferma Ferny-hough.

Nel loro studio più ambizioso, Fer-nyhough e i suoi collaboratori hanno stima-to che tra il 5 e il 15 per cento della popola-zione percepisce delle voci come prove-nienti dall’esterno, anche se di sfuggita o inmodo occasionale. Circa l’1 per cento dellepersone non affette da malattie mentalidiagnosticate sente voci più insistenti e ri-correnti. Più o meno la stessa percentualedella popolazione soff re di schizofrenia, ilche mette in discussione il presupposto chele due cose siano collegate. Fino a questomomento non sembrano esserci grandi dif-

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Scienza

ferenze a livello cerebrale tra chi non è af-fetto da malattie mentali ma sente le voci echi non sente nessuna voce. Secondo Fer-nyhough prima di preoccuparci, la cosamigliore è farsi una domanda semplice: levoci ci danno fastidio?

Le voci non sono l’unica manifestazio-

ne dei nostri pensieri interni: la mente ciracconta anche delle storie. A volte questa“confabulazione” è un sintomo di un di-sturbo della memoria, che porta ad averefalsi ricordi. Ma succede a tutti. Gli esperi-menti dimostrano, per esempio, che quan-do una persona è costretta a prendere unadecisione casuale, in seguito inventa unanarrazione per spiegarla.

Una teoria è che questo aiuti a trovareun senso a un mondo che ci bombardad’informazioni e a dare una giustificazionerazionale a decisioni che prendiamo a li-

vello inconscio. Secondo Robert Trivers,un biologo evolutivo della Rutgers univer-sity nel New Jersey, le nostre bugie hannouna funzione più strumentale: mentendo anoi stessi, impariamo a mentire meglioagli altri. Questo ci aiuta a spiegare il feno-meno noto come positivity bias o pregiudi-zio positivo, che porta tutti a sopravvaluta-re le proprie virtù. “Ognuno di noi si collo-ca nella metà superiore della distribuzionepositiva”, dice Trivers. “Negli Stati Unitil’80 per cento degli studenti delle superio-ri ritiene di essere sopra la media per capa-

cità di leadership”. Con voci così lusinghie-re, non c’è da preoccuparsi. Basta non fi-darsi di quello che dicono.–Catherine de

 Lange

Le mie ossessioni sono nella norma? Nessuno sa da dove venga la convinzionesecondo cui gli uomini pensano al sessoogni sette secondi, ma quasi certamentenon è vera. Nel 2012 Terri Fisher dell’uni-versità dell’Ohio a Columbus, negli StatiUniti, ha dato a tre gruppi di studenti deitelecomandi e gli ha chiesto di premere il

pulsante ogni volta che pensavano al sesso,al cibo o al sonno. In una giornata gli uomi-ni hanno pensato al sesso 19 volte, le donne10. Per il cibo, le cifre sono state rispettiva-mente di 18 e 14. Per il sonno, di 10 e 9. Sequesti numeri vi tornano, potete conside-rarvi nella norma, almeno rispetto agli stu-denti dell’Ohio.

Secondo uno studio analogo di Wil-helm Hofmann, oggi all’università di Co-lonia, in Germania, le attività piacevolicome mangiare, dormire, avere rapportisessuali, bere alcolici, socializzare e fareshopping dominano i nostri pensieri spon-tanei. Gli esperimenti sono stati fatti sem-

pre con degli studenti, questa volta tede-schi. Gli argomenti meno allegri sono piùproblematici. La maggior parte delle per-sone non ci pensa mai, a meno che si trovifaccia a faccia con la morte (un incontroravvicinato con un camion o una massasottocutanea sospetta). Secondo la cosid-

detta teoria della gestione del terrore, svi-luppata negli anni ottanta, la pauradell’inevitabilità della morte spiegherebbela nostra ossessione per i piaceri immedia-ti. Non tutti sono convinti che il disagioesistenziale abbia tutto questo rilievonell’esperienza umana. Sappiamo però checirca il 15 per cento delle persone soff re di“ansia da morte”, un’ossessione morbosache quasi di sicuro corrisponde a “una si-tuazione non ottimale”, aff erma lo psicolo-go Sheldon Solomon, uno dei padri dellateoria della gestione del terrore. Secondo

alcuni quest’ansia sarebbe il segnale di pa-tologie come il disturbo ossessivo-com-pulsivo e l’agorafobia. In generale, però,l’umanità sembra condividere la stessa os-sessione per le frivolezze. Russell Hurl-burt, dell’università del Nevada a Las Ve-gas, ha cominciato a raccogliere campionidiflussi di pensieri negli anni settanta: “Horiscontrato pochissimi pensieri profondi inquesti campioni”, dice. “Ho fatto lo stessoesperimento con degli scienziati e anche lìnon ho trovato pensieri profondi”.–Caroli-ne Williams

I miei pensieri compulsivi sono nellanorma? Avere pensieri erranti è il segno diun cervello sano, ma il problema è dove sene vanno. Nella maggior parte dei casi i no-stri pensieri vagano in maniera casuale oseguono associazioni libere. In altri, inve-ce, sifissano sempre sullo stesso punto. Nelmio caso, i numeri. Passo il tempo a conta-re. Conto i passi e i gradini. Quando facciole pulizie conto gli oggetti mentre li rimettoa posto e, in modo forse un po’ ossessivo,faccio sempre in modo di rimettere a posto

un multiplo di dieci. Solo quando ho comin-ciato a studiare il fenomeno del pensiero

errante mi sono resa conto di quanto fosseradicata e inconscia quest’abitudine.

Da una rapida ricerca su internet ho ca-pito che non sono sola. Ci sono decine diforum e blog che raccontano esperienzesimili. Secondo una teoria, il pensiero com-pulsivo è un modo per tenere attivo il cer-

vello durante attività noiose o ripetitive, unpo’ come scarabocchiare su un foglio quan-do si è in riunione.

Possiamo considerarlo come un “tor-mentone”, aff erma David Veale dell’istit-to di psichiatria del Kings College di Lon-dra. Come un motivo orecchiabile che nonci togliamo dalla testa, contare serve a oc-cupare la mente inoperosa. Per Paul McLa-ren, psichiatra del Priory hospital HayesGrove, nel Regno Unito, la spiegazione èun’altra: questi pensieri rappresentano unasorta di rito mentale. “È quasi certamente

un fenomeno ossessivo”, dice. I pensieriossessivi e compulsivi, spiega McLaren,nascono come un vantaggio evolutivo per-ché ci preparano ad aff rontare futuri rischi:“È un sistema immunitario psicologico”.Ecco perché molti pensieri o riti ossessivicomuni, per esempio quelli sulla pulizia,hanno a che fare con possibili minacce. Èaddirittura possibile che i pensieri ossessivisi siano evoluti come un meccanismo permigliorare le relazioni sociali: “La tenden-za a comportarsi in modo rituale può aiuta-re la coesione sociale, e questo è un vantag-

gio adattativo”, aff erma McLaren.Tutti sperimentiamo questo tipo di pen-

siero ossessivo, di solito tra i due e i quattroanni. Spesso i bambini sviluppano compor-tamenti rituali, come non calpestare le cre-pe del pavimento, e hanno bisogno di ritilegati all’ora del sonno o dei pasti. Questoforse li aiuta a interpretare un mondo dovequasi tutto è nuovo e di cui non hanno ilcontrollo. A quell’età “abbiamo bisogno diordine e vogliamo che le cose siano sempreuguali”, aff erma McLaren. Per alcune per-sone questo desiderio non passa mai.

I pensieri ossessivi diventano un pro-blema solo quando sono invadenti e provo-cano angoscia o impedimenti funzionali. Ilfatto di contare in modo ossessivo può es-sere legato a un disturbo ossessivo-com-pulsivo, per esempio quando il desiderio dicontare per allontanare i pericoli si raff orzaproprio perché il pericolo non si materializ-za. Anche quando l’aspetto compulsivo nonè così forte, se questi riti si sono evoluti peraff rontare minacce dovrebbero acutizzarsinei momenti di ansia, osserva McLaren.“Capita più spesso di avere comportamen-ti ossessivo-compulsivi durante i periodi distress”. –Catherine de Lange u  fas

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Nessuno sa da dovevenga la convinzionesecondo cui gli uominipensano al sesso ognisette secondi, maquasi certamente

non è vera

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Un negozio afganonell’accampamento deimigranti a Calais

Le luci

di Calais

Portfolio

I migranti che vivono nell’accampamentonoto come la “giungla”, alla periferia dellacittà francese, hanno sviluppato una reteinformale di negozi, bar e ristoranti.Il reportage di Giulio Piscitelli

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Il negozio del barbiere

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Portfolio

Nel 1994, con l’inaugurazione deltunnel sotto la Manica, la città

francese di Calais è diventata ilpunto d’accesso principale al Re-gno Unito. Anno dopo annoall’imbocco del tunnel si è svi-

luppato un accampamento di migranti tra i piùgrandi d’Europa, noto come la “giungla”. Oggi civivono circa 4.500 persone, che aspettano l’occa-sione giusta per raggiungere l’Inghilterra, magarisalendo di nascosto sui camion e sui treni. Le con-dizioni di vita nel campo, privo dei servizi igieniciessenziali, sono molto difficili: i migranti dormonoin tende e di recente sono stati segnalati casi di mal-nutrizione e di scabbia. Il 26 ottobre alcune associa-zioni umanitarie hanno presentato un ricorso ur-gente per costringere lo stato francese a fare qual-

cosa, denunciando le condizioni “inumane e degra-danti” del campo. Il 23 novembre il consiglio di

stato ha dato alla Francia otto giorni di tempo perrealizzare dei punti di distribuzione di acqua e dellelatrine, creare un sistema di raccolta dei rifiuti eaprire una via di accesso per i servizi di emergenza.Pochi giorni prima i migranti si erano scontrati conla polizia per tre notti consecutive.

Il fotografo Giulio Piscitelli ha raggiunto Calaisper documentare la vita quotidiana nel campo. Ne-gli ultimi anni la situazione dei migranti è migliora-ta grazie alla nascita di una rete informale di negozi,bar, ristoranti, moschee e perfino discoteche ( fotoagenzia Contrasto).u

Giulio Piscitelli è nato a Napoli nel 1981. Questoreportage è stato realizzato nel novembre del 2015.

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Nella foto grande:un negozio dialimentari. Quisopra, dall’alto: unristorantepachistano; unristorante afgano.Qui accanto, dasinistra: un barafgano; ladiscoteca deglieritrei e deglietiopi.

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Una sera d’agosto l’acquasanta ha toccato la suafronte, quando è statafinalmente battezzatacome Samantha AureliaVicenta Flores García.

Per molto tempo il battesimo è stato un so-gno per questa messicana di 83 anni. Avevaottenuto l’atto di nascita che la riconoscevacome Samantha appena tre anni prima, an-che se erano quarant’anni che andava per ilmondo come donna.

Dopo aver fondato l’associazione civileLaetus vitae: vida plena, oggi Samanthavuole aprire una casa di riposo per anzianigay che funzioni anche come centro d’acco-glienza notturno per giovani a rischio, a cuisarebbero off erti corsi di formazione gratu-iti per l’assistenza agli anziani. Il suo impe-gno umanitario e per i diritti lgbttiq va avan-ti da decenni: è cominciato quando il suomigliore amico è morto di aids. Vedere isuoi conoscenti morire uno dopo l’altro l’haspinta ad aiutare i bambini sieropositivi, achiedere soldi per i malati di aids all’uscitadegli spettacoli e a tenere discorsi nelle uni-versità sulla prevenzione, sull’educazione

sessuale dei giovani e sulla transessualità.Il Messico degli anni trenta era diverso:

le libertà bisognava guadagnarsele da soli.Samantha è nata a Orizaba, nello stato diVeracruz, dove le tradizioni religiose e ilmaschilismo dominavano. Si chiamava Vi-cente Aurelio ed era il secondo di cinque fi-gli in una famiglia conservatrice ma amore-vole. Suo padre era sindacalista in una fab-

brica di birra e sua madre casalinga. “Sonocresciuta al 50 per cento nella fede e al 50per cento nell’omosessualità”, ricorda Sa-mantha, che va ancora a messa ogni dome-nica. Non ha mai smesso, “perché so chemio padre sarebbe contento”.

A 12 anni si accorse che le piacevano imaschi e che la sua vita non sarebbe statafacile. David era uno sportivo di successo eaveva 19 anni, Vicente ne aveva 13. Furonoamici per un anno,fidanzati per un altro an-no e amanti per un anno ancora. Si innamo-rarono con la zarzuela  Luisa Fernanda di

Moreno Torroba: “A San Antonio, como esel santo casamentero, le pido a San Anto-nio, al que más quiero”; e con la poesia diGustavo Adolfo Bécquer: “Por una mirada,un mundo; por una sonrisa, un cielo; por unbeso…, yo no sé qué te diera por un beso.”

Era il 1945. Seduti nel parco, Vicente ap-poggiava la testa sulle gambe di David. “Fuil mio principe azzurro. Mi ha insegnato abaciare, ad amare la musica”, racconta Sa-mantha, che non aveva problemi con la dif-ferenza di età ma era imbarazzata dal sesso.È stato così per molto tempo.

Da un argomento che la disturba passa auno che la entusiasma. Samantha ride con

garbo ricordando che la prima volta che sivestì da donna fu in quarta elementare. “Lamaestra ebbe l’idea di farmi vestire da ‘ne-gretta’ per la festa della scuola. Mia madrefu contentissima di cucirmi il vestito”. Sa-mantha non sa se sua madre abbia mai pen-sato di essere responsabile della sua prefe-renza per i ragazzi, perché fu proprio lei asorprenderla mentre si baciava con Davidsulla poltrona del salotto. E solo il giornodopo ebbe il coraggio di parlarne. L’unicacosa che venne in mente a Vicente fu ri-spondere con naturalezza che secondo Da-

vid baciarsi tra amici era una cosa normale.Sua madre gli chiese di non farlo mai più, egli disse che era una fortuna che non li aves-se visti suo padre: “Se vi trova vi uccide”.

Studiò pianoforte per sei anni e perqualche tempo pensò di diventare pianista.Un giorno andò da suo padre e gli disse chevoleva prendere lezioni di ballo. Per quan-to fosse maschilista, lui gli chiese quantocostava il costume e per il suo quindicesi-mo compleanno gli diede i soldi. Il proble-ma non fu suo padre, ma lo scandalo cheprovocò il fatto che un maschio frequen-tasse l’unica scuola di danza di quella pic-cola città. La gente si accalcava alle finestre

Ritratti

È stata una delle primetransessuali a non nasconderela sua identità in un paesereligioso e conservatore comeil Messico. A 83 anni continuaa impegnarsi per i malati di aidse per gli anziani omosessuali

Celia Gómez Ramos per Internazionale. Foto di Bénédicte Desrus

SamanthaFlores GarcíaVita da signora

◆ 1932 Nasce a Orizaba.◆1944 Scopre di essere omosessuale.◆1972 Adotta l’identità femminile.◆2012

 È tra i protagonisti del gay pride diCittà del Messico.◆2015 Fonda una casa di riposo per gay.

Biografia

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per spiarlo, le madri delle ballerine non lovedevano di buon occhio e in città non si

parlava d’altro. Allafine fu costretto ad ab-bandonare la danza. Ma non si fece scorag-giare. Poco dopo suo padre gli consigliò diandarsene da Orizaba il prima possibile etrasferirsi a Città del Messico, “così ti la-sceranno vivere”.

Proprio suo padre gli trovò il suo primolavoro, e vendette un’auto che aveva vinto auna riff a per pagargli un viaggio negli StatiUniti per studiare l’inglese. Al suo ritornoVicente s’iscrisse alla scuola alberghiera aCittà del Messico: negli anni sessanta chisapeva l’inglese poteva farsi strada facil-

mente nel settore. S’innamorava spesso manon cedeva mai, per orgoglio.

Una telefonata all’alba

La prima volta che Vicente si vestì da donnada adulto fu nel 1964, a 32 anni. Era per unafesta in maschera organizzata dalla suaamica Xóchitl, una transessuale che sareb-be diventata molto famosa negli anni ottan-ta. A poco a poco prese l’abitudine di essereun uomo gay durante la settimana e unadonna quando usciva nel weekend. A 34 an-ni si rifece il naso e a 38 il mento.

Nel 1972, per amore di un italiano, presela decisione. Scegliere una vita da donna

significava rinascere, di fronte a sé stessa,allo specchio e al mondo intero. Dovette ri-

cominciare da capo e ricostruirsi a partiredall’esterno. Nel 1982 si fece mettere le pro-tesi al seno. I suoi genitori non le avrebberomai viste.

Fu la prima hostess transessuale di Cittàdel Messico, nella discoteca alla moda Ca-melia la Tejana, nel quartiere di San Ángel.La gente ci andava apposta per vederla. Trail pubblico c’erano artisti e personaggi fa-mosi di quegli anni, come Enrique ÁlvarezFélix, Lucha Villa, Hugo Stiglitz, Ana Már-tin. Cominciare a lavorare come Samanthale creò problemi d’identità, perché sui do-

cumenti era ancora un uomo. Lo stesso va-leva per i viaggi all’estero. Ma questo nonbastò a fermarla. Lavorò a lungo nelle rela-zioni pubbliche per artisti come Miguel Sa-bido, Morris Gilbert, Daniela Romo, LauraLeón, Julissa, per le riviste Boys and toys eSex Gay e nell’organizzazione di spettacolidi stripper.

Oggi si prende cura del suo corpo e delsuo spirito facendo yoga al mattino, leggefino a notte fonda, partecipa a eventi cultu-rali di ogni tipo e continua ad avere la stessapassione per gli amici e le feste. “La mag-gior parte delle donne della mia età si rasse-gnano alla morte, ma io ho ancora molte

cose da fare”, dice con orgoglio. Recente-mente ha prestato la sua immagine per una

campagna per l’esame della prostata.Nel 1983, dopo la morte del padre, tornò

a casa ubriaca fradicia dopo una notte dibaldoria e telefonò ai suoi fratelli per an-nunciare che aveva deciso di vivere comeSamantha. Con sua grande sorpresa, ap-provarono la decisione. “Era ora”, le dissesorella minore.

Per quanto riguarda i diritti dei transes-suali, sostiene che “non basta rivendicarli”.Se quelli delle donne non sono ancora statiriconosciuti dopo tutto questo tempo “lastrada sarà molto lunga”.

Quando parla di sesso diventa estro-versa. Quando si mostra in società invece èaff ascinante e piena di tatto. Conosce mol-ta gente ed è molto rispettata nella comu-nità gay. Nel 2012 è stata ambasciatricedella dignità al gay pride di Città del Mes-sico, a cui partecipa regolarmente dalla suaprima edizione, nel 1978. È sempre sorri-dente è attiva. I suoi amici ripetono sempreche “solo Samantha e la vergine di Guada-lupe aprono tutte le porte”. Lei sorride edice che non è vero, ma su una cosa non hadubbi: “Come Samantha mi sento comple-tamente felice, né uomo né donna. Cosìsono libera”.u gac

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Viaggi

to e tra gli operatori turistici si ricomincia aparlare di una crescita del turismo. Anchegrazie al governo britannico, che qualchemese fa ha tolto il Gilgit-Baltistan dalla listadelle zone a rischio. “Il nostro governo de-ve convincere altri paesi a rivedere le loro

avvertenze di viaggio”, dice Nazir Sabir,celebre alpinista pachistano che ha orga-nizzato questa escursione con la sua agen-zia, la Nazir Sabir Expeditions. “Io sono trai pachistani che si sentono in colpa perchénon possono mostrare al resto del mondoquesto magnifico pezzo di terra e tutte lesue meraviglie”.

Per chi ha voglia di provare l’esperienza,raggiungere il Karakorum oggi è diventatopiù facile: a giugno del 2015 la Pakistan In-ternational Airlines ha inaugurato una seriedi voli da Islamabad a Skardu, la porta d’ac-

cesso alla regione, e visto che nella valleHunza, altra grande attrazione del Gilgit-Baltistan, sta aumentando il turismo inter-no, difficilmente il Karakorum resterà aimargini del circuito alpinistico tradizionaleancora per molto.

Lago di neve“La mia sensazione è che ci sarà una ripresadel turismo in Pakistan”, dice Jonny Bealby,fondatore di Wild Frontiers, un’agenziabritannica specializzata in viaggi d’avven-tura. Bealby ha cominciato a venire in Paki-

stan negli anni novanta. “Ho l’impressioneche le cose siano cambiate. E spero che il2017 possa essere un anno importante peril paese”.

Questo è ancora da vedere, ma una cosaè certa: nel Pakistan settentrionale il confi-ne tra turismo e avventura può diventarelabile. Purtroppo il nostro itinerario nonpassa per il K2, ma l’escursione sull’Hisparè comunque un’esperienza straordinaria: siattraversa un altopiano ghiacciato, chiama-to il Lago di neve dallo storico dell’arte sirMartin Conway, che nel 1892 fu il primo eu-ropeo a visitare questi luoghi. L’altopiano sitrova a quasi cinquemila metri sul livello

del mare ed è largo quattordici chilometri.

Conway lo descrisse così: “Senza dubbio lapiù splendida veduta di montagna a cui misia stato dato modo di assistere, e non cre-do che al mondo possa essercene una piùbella”.

Conosciuto come Lukpe lawo in linguabalti, nel periodo tra le due guerre il Lago dineve esercitò un fascino irresistibile sugliesploratori Eric Shipton e Harlod Tilman,che lo attraversarono nel 1937. I due passa-rono anni a domandarsi se le strane im-pronte che avevano visto sulla neve appar-tenessero all’homo nivalis abominabilis, al-trimenti noto come yeti.

Anche se la spedizione Shipton-Tilman

 Atta Khan dà un altro col-po per testare la resisten-za della crosta lucentedel ghiacciaio Biafo, sa-pendo che uno dei suoiscalatori potrebbe met-

tere il piede su uno strato sottile di ghiaccioe precipitare in un crepaccio. Poi srotolauna fune gialla. “Leghiamoci, non mi fidodi questa neve”, dice. Così apriamo i mo-schettoni e ci agganciamo tutti e tre alla

fune di Atta, mentre il tintinnio del metallosquarcia l’aria rarefatta. I suoi ordini sonoperentori: mettersi infila indiana e cammi-nare perpendicolarmente al burrone, per-ché se uno scivola rischia di trascinare giùtutti.

È il quarto giorno della nostra traversatadell’Hispar, un passo a 5.151 metri di altitu-dine nel cuore della catena del Karakorum,etereo bastione dalle guglie di granito nellaregione del Gilgit-Baltistan, nel Pakistannordorientale. Il Karakorum, dominato dalK2, la seconda vetta più alta del mondo, ne-

gli anni ottanta ha cominciato ad attirareun numero crescente di alpinisti. Poi leoperazioni militari in Pakistan dopo l’11settembre hanno scoraggiato quasi tutte leagenzie di viaggio internazionali, con pe-santi ripercussioni anche sugli operatorilocali. La situazione si è aggravata dopo il22 giugno del 2013, quando un gruppo diuomini armati si è introdotto nel campo ba-se del Nanga Pàrbat, montagna alta 8.126metri, uccidendo un cuoco pachistano edieci cittadini stranieri, tra cui ucraini, slo-vacchi e cinesi.

Fortunatamente l’attentato contro glialpinisti sembra essere stato un fatto isola-

Distesa

di ghiaccioMatthew Green, Financial Times, Regno Unito

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    S    T    O         

Pakistan, agosto 2015. Un picco dellacatena montuosa del Karakorum

Undici giorni sulla catenamontuosa del Karakorum,in Pakistan, per attraversarea piedi due tra i ghiacciaipiù estesi del mondo

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Viaggi

no le deviazioni per evitare i numerosicrepacci, la traversata diventa ancora piùlunga.

La nostra idea era di viaggiare leggeri eridurre al minimo il numero di sherpa, iportatori d’alta quota. Alla fine il nostrogruppo di tre alpinisti si è trasformato in

una spedizione di 42 persone. Sembra unnumero assurdofinché non ci si rende con-to che sui ghiacciai non ci sono né cibo nélegna, che i tre pasti giornalieri vengonopreparati su fornelli a kerosene e che il tuttosi basa su un misterioso algoritmo per cuipiù sono gli sherpa, più è l’attrezzatura chebisogna trascinarsi dietro. Il resto della ca-rovana – due capre e un po’ di polli – vienesacrificato lungo la strada.

Arrivati sul ghiacciaio, la sensazione diisolamento è completa. Durante gli undicigiorni di traversata, tra morene ricoperte

di mica e ghiaccio scintillante, abbiamosolo due interazioni con altri esseri umani.

La prima con un tedesco e i suoi quattrosherpa, che hanno rinunciato ad attraver-sare il passo e stanno tornando indietro

dopo essere aff ondati in uno strato insupe-rabile di neve. La seconda con Shaban Ali,un anziano pastore che si lamenta perchéla notte prima un leopardo delle nevi haucciso il suo vitello di yak (per la gioia deinostri sherpa, che decidono di comprarequella carne per mangiarla la sera stessa).Camminiamo otto ore al giorno, con glisherpa che ci precedono per preparare l’ac-campamento. Di notte fa molto freddo, mala temperatura diventa abbastanza tollera-bile con un buon sacco a pelo e il materas-sino gonfiabile che mi sono portato dietro,

anche quando piantiamo le tende diretta-mente sulla superficie ghiacciata.

Cominciamo la traversata del Lago dineve e del passo alle tre del mattino del 5luglio, indossando delle lampade frontaliper evitare gli ostacoli. Atta ci spiega che ilfreddo è nostro alleato, perché fa restarecompatta la neve lungo la strada che con-duce al passo, con il vento che scolpisceonde inquietanti sulla superficie. Se c’ètroppo sole rischiamo di sprofondare finoai fianchi, come il tedesco e i suoi sherpa.Per fortuna la superficie regge. Il soledell’alba proietta la sua luce su una crestafacendo brillare i cumuli di neve.

Le prime luci illuminano a una a una lecime che circondano il Lago di neve e chesembrano trafiggere il cielo di una tonalitàblu intenso. L’immensità e l’immobilità as-soluta del paesaggio danno la sensazione diviolare uno spazio sacro. Ci troviamo nellostesso luogo che rapì a tal punto Shipton da

spingerlo a scrivere la sua frase più memo-rabile: “Su questo spazio vuoto era scrittauna parola di sfida, ‘inesplorato’”.

Facciamo l’ultimo sforzo per raggiunge-re il passo, fermandoci spesso per respirarea pieni polmoni l’aria purissima. Anche seesausto, uno dei nostri compagni di viaggiolancia un grido inaspettato ed emozionan-te: “Pakistan zindabad” (Lunga vita al Paki-stan) e gli sherpa applaudono entusiasti.

Rabarbaro selvaticoCi aspetta ancora la parte più difficile.

Dall’ultima visita di Atta, ormai tre anni fa,l’Hispar si è ritirato, e questo rende la tra-versata più ardua. Un passaggio che primasi superava in 45 minuti ci costringe a com-battere per cinque ore con giganteschiblocchi di neve che si disintegrano lenta-mente. I pezzi si staccano senza preavviso,precipitando in pozze color turchese o sci-volando nei crepacci con un rumore chericorda gli spari d’artiglieria in lonta-nanza.

Atta crea degli scalini con un’ascia daghiaccio e blocca le funi con le viti, per per-

metterci di scendere lungo scarpate a stra-piombo. A un certo punto dobbiamo lan-ciarci da una rupe e gettarci tra le bracciaprotese degli scherpa, appena più in basso.“Sembra pericoloso, ma è facilissimo”, cispiega Atta. “Dovete solo saltare”. L’osta-colo più spaventoso è un ponte di ghiacciopericolosamente stretto tra crepacci nasco-sti dal buio. “Fate come se andaste a caval-lo”, grida Atta, invitandoci a strisciare conil sedere, in modo da abbassare il centro digravità.

Alla fine riusciamo a oltrepassare la li-

nea delle nevi perenni e scendiamo lungovalli piene di macigni e spolverate qua e làdi rabarbaro selvatico, che sbucciamo emangiamo crudo. Dopo un po’finalmenteavvistiamo la meta: il villaggio di Hispar,abbarbicato su un dirupo che si aff accia sulfronte del ghiacciaio. Shipton intitolò il suolibro sulla spedizione nel Karakorum Blankon the map, e le montagne ancora poco fre-quentate permettono un contatto direttocon la natura. Le giornate che passiamo quisono come un viaggio in un’altra dimen-sione, al di là di ogni preoccupazione terre-na. Più che un’avventura, è una medicinaper l’anima.u  fas

Atta Khan crea degliscalini con un’asciada ghiaccio e bloccale funi con le viti

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A tavola

u Negli ultimi mesi molti ristorantidi Rawalpindi hanno messo in me-nù il thali: quel particolare tipo dipasto del subcontinente indianoche prende il nome dal grande piat-to rotondo – di rame, acciaio o ar-gento – su cui sono servite diversepreparazioni, spesso a base di ver-dure, accompagnate da riso e pane.Come spiega il settimanale pakista-no Dawn, “dal quartiere di Saddara Bahria Town sono sempre di più

le persone che chiedono il thali. Ese finora questo piatto era pensatosoprattutto per i vegetariani, conquasi tutte le ricette a base di lentic-chie e latticini, oggi è comune tro-vare anche specialità di carne e pe-sce. Riso biryani, kulcha (piccoli pa-ni rotondi e schiacciati), aloo ki bhu-

 jia (patate saltate al cumino), currydi pomodori, pollo bihari, chutney di menta, khati daal (lenticchie altamarindo), sottaceti, seekh kebab (spiedini): tutto è servito in piccoli

piattini da mangiare da soli o da di-videre al massimo tra due persone.Molti ristoranti off rono ormai unmisto di verdura e carne e diversetipologie di thali, spesso legate allazona di origine delle ricette o alpiatto portante: c’è quindi il thali diHyderabad, lo Shahi Biryani thali,quello del Punjab, quello afgano equello di Kandahar”, questi ultimidue ispirati alle tradizioni gastrono-miche centroasiatiche.

Gli indirizzi segnalati dal setti-

manale Dawn sono entrambi aBahria Town: “Il primo è il ristoran-te Lahori Chaat (dove il thali com-prende anche il dessert, che a se-conda delle stagioni può essere il

 gulab jamun, frittelle rotonde ba-gnate con uno sciroppo di zuccheroaromatizzato con acqua di rose,cardamomo o zaff erano, il kheer  o il firni, due tipi di budino dolce di ri-so), mentre il secondo è il Taj Tan-door. Nel locale di MohammadShabir si serve il barbeque thali euno a base di ricette del Punjab”.

Tutti i piattidelthali 

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Graphic journalism Cartoline da Samandal

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Barrack Rima è unfilmaker e un autore di fumetti libanese nato a Tripoli nel 1972. Vive tra Bruxelles e Beirut.

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Cultura

Cinema

Nel 1998, quando comparve ilprimo trailer di Star wars: laminaccia fantasma, l’unicomodo per vederlo era com-prare un biglietto del cine-

ma per Ti presento Joe Black, Waterboy o At-tacco al potere. Cosa che, naturalmente,molti fan fecero senza pensarci due volte,magari lasciando la sala allafine del trailer.Alcuni di loro registrarono un video di dueminuti e lo caricarono su internet. La quali-tà era orribile e in alcuni casi ci volevano oreper scaricarlo, ma c’era un tale interesseche i siti che ospitavano il video andavano

in tilt di continuo. Quando arrivò il momen-to di pubblicare il secondo trailer, la produ-zione si accordò con la Apple per un’uscitain esclusiva nel formato video del softwareQuicktime. Steve Jobs definì il lancio “unamossa geniale”. Quel giorno Quicktime fu

scaricato più di seicentomila volte e il trailerfu il contenuto più visto di sempre, con 6,4milioni di download in tre settimane. Il trai-ler di La minaccia fantasma è stato un segnodi quello che avrebbe riservato il futuro. Daquel momento l’uscita di un film legato auna saga di successo è diventata sempre piùun evento da lanciare online. Gli studi cine-matografici, sotto pressione per otteneregrandi incassi nelfine settimana dell’uscitae in possesso di un contenuto atteso dalpubblico, hanno cominciato a inondarepiattaforme come YouTube e Facebook contrailer di ogni tipo. Filmati per presentarepersonaggi, per evidenziare una sottotra-

ma, pensati specificamente per un paese oun determinato segmento di pubblico. Fi-nora Star wars: il risveglio della forza è statointrodotto da diciassette filmati tra trailer,teaser e spot. I trailer di oggi non si limitanoa presentare il film. Servono a collegare i

diversi episodi, suggerire nuovi sviluppi efornire materiale per le discussioni e le con-getture dei fan, alimentando l’attesa. Quin-dici anni fa le società specializzate nellaproduzione dei trailer erano una decina,mentre oggi sono più di un centinaio. Que-ste aziende sono in competizione tra loro epropongono diversi trailer agli studi cine-matografici. Sempre più spesso i filmatiprincipali si frammentano in tanti piccolivideo. Oggi i “trailer-matrioska” sono lanorma per trasformare una piccola antepri-ma in un evento capace di suscitare grande

attenzione online. Per Terminator genisys,un breve video animato è diventato un’an-teprima del trailer, un teaser di 15 secondi,che a sua volta è sfociato nel primo trailer,presentato in pompa magna al Comic-Condi São Paulo, in Brasile. Alcuni addetti ailavori trovano questo fenomeno sconcer-tante. “Oggi pubblicizziamo la pubblicità,produciamo un’anticipazione dell’anticipa-zione di unfilm”, spiega Shawn Yashar dellaTransit, azienda specializzata nel settore. Ea loro volta ifim stanno diventando semprepiù simili ai trailer, perché alludono conti-nuamente ad altri contenuti. Pantera nera,un personaggio apparso in Avengers: age of

Star wars: il risveglio della forza ha trasformato i vecchi videopromozionali. Che ormai sonodiventati piccolifilm a sé

La forza

del trailerJosh Dzieza, The Verge, Stati Uniti

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Ultron e con unfilm tutto suo in arrivo, è ap-parso nel trailer di Captain America: civilwar . I fan hanno esaminato ogni singolo fer-mo immagine per capire chi fosse schieratocon chi. “Il segreto è creare un senso di atte-sa”, spiega Keith Johnston, professore di

cinema e televisione alla University of EastAnglia e direttore del progetto di ricercaWatching the trailer. “Ma non è più l’attesadel prodottofinito, quanto piuttosto l’aspet-tativa di qualcosa che alimenterà un’ulte-riore attesa”.

Un pubblico da intercettareIn passato i produttori avevano a disposi-zione un materiale limitato. A pochi mesidall’uscita delfilm analizzavano le sequen-ze disponibili e le montavano riempiendo ibuchi con didascalie e voce narrante. Oggi

cominciano a lavorare con grande anticipo.Il primo trailer di Il risveglio della forza è sta-to pubblicato online meno di un mese dopolafine delle riprese, rivelando la spada laserdi Kylo Ren, il droide BB-8, il Millenniumfalcon, le ali a x e lo speeder di Rey. A volte ilprocesso comincia due anni prima dell’usci-ta di unfilm, con solo una sceneggiatura dacui i produttori di trailer scelgono le scene ei dialoghi che vogliono avere a disposizioneil prima possibile. Independence day(1996),con la sua famosa esplosione della CasaBianca, è spesso citato come il primo esem-pio di questa pratica diventata ormai comu-ne. “Oggi studiamo quotidianamente il

comportamento dei fan online”, spiegaD’nae Kingsley, responsabile del settorestrategico della Trailer Park. Lavorando alprimo trailer di Suicide squad, una sorta diQuella sporca dozzina dei cattivi dei fumettiin uscita nel 2016, la Warner Bros ha valuta-

to attentamente quali personaggi includerenelfilm e con quale ruolo. Anche se Batmannel film ha un ruolo minore, la sua appari-zione di mezzo secondo nel trailer ha scate-nato ogni tipo di congetture. La Disney haprodotto internamente tutti i trailer per Ilrisveglio della forza e non ha voluto rilasciareun commento per questo articolo, ma pre-sumiamo che abbia seguito un percorso si-mile a quello della Warner Bros. Quasi tuttele scene sono selezionate per alimentarel’interesse del pubblico e di tutti i mezzid’informazione, senza rivelare nulla sulla

trama. Le immagini sono state prese da unaserie ridottissima di sequenze ma la breveapparizione della spada laser a croce e deldroide BB-8 nel primo teaser ha creato undibattito tra i fan, che a sua volta ha suscita-to l’attenzione dei mezzi d’informazione,che a sua volta ha innescato la vendita deigiocattoli del film con grande anticiposull’uscita della pellicola nei cinema. Latendenza generale è rendere il trailer unaforma d’intrattenimento in sé. Ifilmati se-guono generalmente una struttura in treatti, con un crescendo continuo. Secondouno studio di Google nei primi sei mesi del2015 il pubblico ha guardato 35 milioni di

ore di trailer su YouTube dai dispositivi mo-bili, con un aumento dell’88 per cento ri-spetto allo stesso periodo del 2014. AncheFacebook sta tentando la scalata al mercatodei trailer. La prima immagine di Finn conla spada laser di Luke è stata pubblicata su

Instagram, e per il giorno del ringraziamen-to uno spot televisivo incentrato su KyloRen è apparso in esclusiva su Facebook. Lasezione intrattenimento di YouTube comu-nica agli studi cinematografici non solo lecaratteristiche demografiche di chi ha vi-sualizzato il trailer ma anche quali scenesono state messe in pausa e riviste. Gli studisorvegliano le conversazioni sui social net-work anche per capire quali scelte fare perla produzione dei trailer successivi oltre cheper amplificare e modellare il dibattito.

Mettere sotto embargo le recensioni dei

trailer può sembrare un’assurdità, ma que-ste sono sempre più inserite in un contestoin cui la pubblicità è diventata un contenutoa sé. È lo spuntino che sfama gli spettatoridelle grandi saghe negli intervalli di tempo,sempre più ridotti, tra un episodio e l’altro.A ben guardare Avengers: age of Ultron piùche un film a sé stante era un trailer di treore sul futuro della Marvel. L’obiettivo nonè mai lo scioglimento della trama ma l’ecci-tazione, la curiosità. Ilfilm deve essere sod-disfacente ma lasciare sempre qualcosa insospeso per farti attendere un seguito o far-ti cliccare quando compare un nuovo minu-scolo teaser . u as

Cultura

Cinema

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Italieni

Ifilm italiani visti daun corrispondente straniero.Questa settimana il giornali-sta britannico Lee Marshall.

Bella e perdutaDi Pietro MarcelloCon Tommaso Cestrone, SergioVitolo. Italia, 2015, 87’●●●●●

A parlare di vicende come ladeturpazione paesaggistica esociale della terra dei fuochi ci

sarebbe solo da disperarsi. Sesolo si potesse guardare la si-tuazione con un certo distaccoolimpico che facesse vedere lameschinità di noi uomini inuna prospettiva cosmica.Questo sembra essere il mes-saggio del nuovo documenta-rio-odissea di Pietro Marcello.È un oggetto strano, aff asci-nante: in parte film di denun-cia, in parte ritratto di un uo-mo testardo e coraggioso, in

parte viaggio onirico. L’uomotestardo è Tommaso Cestro-ne, noto come l’angelo di Car-ditello per il suo lavoro di sor-veglianza della reggia borbo-nica durante gli anni dell’ab-bandono. Un lavoro prestatogratuitamente, per cui ha rice-vuto minacce di stampo ca-morristico. Cestrone, che nelfilm interpreta se stesso, èmorto d’infarto durante le ri-prese, meno di un mese prima

dell’acquisto dell’immobile daparte del Mibact, per inter-vento dell’allora ministro deibeni culturali Massimo Bray.La distanza cosmica è fornitadagli altri due personaggi delfilm: un malinconico, rozzoPulcinella e un vitello parlantedi nome Sarchiapone. Insiemeintraprendono un viaggio me-tafisico che è anche una speciedi riscossa, il trasporto diquella piccola ma tenace spe-ranza custodita da Cestronein un rifugio sicuro.

Il festival di corti più im-portante dell’America Lati-na si è concluso con omaggia Kafa e Bugs Bunny Il nuovo millennio si è inaugu-rato in Colombia con una leg-ge sul cinema che ha cambiatoil settore e ha aiutato a far co-

noscere la produzione nazio-nale al di fuori del paese. Inquel periodo un gruppo diamici ha cominciato a organiz-zare un ciclo di cortometraggia Chapinero, tra i quartieri piùcreativi della capitale Bogotá.Il festival si chiamava In vitrovisual e, in poco tempo, è di-ventato uno degli appunta-menti più attesi della scena al-

ternativa della città. Poi, nel2013, il festival si è trasformatoin Bogoshorts. “Il cortome-traggio è la forma con cuiall’inizio si confrontano tutti igrandi registi”, spiega il diret-tore del festival Jaime Manri-que. “È il genere con cui co-mincia ogni esperimento cine-

matografico, perché è econo-mico, semplice da realizzare eaccessibile”. Nell’edizione diBogoshorts di quest’anno, chesi è svolta dal 9 al 15 dicembre,sono stati presentati 122 lavoriprovenienti da 35 paesi. Fuoriconcorso ci sono stati omaggia Bugs Bunny, che apparve per

la prima volta nel 1940 nelcorto A wild hare, diretto daTex Avery, e a Franz Kafa, inoccasione del centenario delle Metamorfosi. Bogoshorts nonsi riduce al calendario ufficia-le: nel 2016 i corti girerannoper più di venti città colombia-ne e saranno proiettati in diecipaesi.Semana, Colombia

Dalla Colombia

Bogoshorts, il cinema in formato ridotto

Bugs Bunny

      D     R

Diecifilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondoMassa critica

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Legenda:●●●●●Pessimo●●●●●Mediocre●●●●●Discreto●●●●●Buono●●●●●Ottimo

HEART OF THE SEA   -       -     -      

QUEL FANTASTICO…     -     -        

MR. HOLMES   - -     -     -    

SPECTRE              

IRRATIONAL MAN   - -                

HUNGER GAMES     -            

BY THE SEA - -       - -     -    

Media

REGRESSION     - -     - -     - -  

IL PONTE DELLE SPIE                    

FREE HELD

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Cultura

Cinema

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Non essere cattivoClaudio Caligari(Italia, 100’)

SicarioDenis Villeneuve(Stati Uniti, 121’)

Timbuktu Abderrahmane Sissako(Francia, Mauritania, 97’)

In uscitaFrancofoniaDi Alexander SokurovCon Louis-Do de Lencquesaing,Vincent Nemeth. Francia,Germania, Paesi Bassi, 2015, 90’●●●●●

Alexander Sokurov tratta il te-ma delle opere d’arte del Lou-vre sotto l’occupazione nazi-sta con tatto e finezza. Si met-

te nei panni dello storico e col-lega tra loro materiali diversi,mescolando documenti d’ar-chivio e ricostruzioni con il la-voro dei suoi attori. E questadiversità di fonti si rivela unformidabile punto di forza dalpunto di vista estetico. L’argo-mento principale del film è ildestino delle collezioni delLouvre all’inizio degli anniquaranta, ovvero quel tacitoaccordo a cui arrivano Jacques

Jaujard, direttore del grandemuseo francese, e il conteFranz Wolff -Metternich, re-sponsabile della Kunstschutz,il corpo militare tedesco per lasalvaguardia delle opere d’ar-te. L’audacia di Sokurov, checon L’arca russa aveva già rac-contato un grande museo,l’Ermitage di San Pietroburgo,è tutta nella stratificazione del-la sua evocazione, capace an-che di punte di umorismo inat-tese. Con quest’opera, allostesso tempo poetica e artigia-

nale, Sokurov mette in luce,meglio di qualunque pondero-sa ricostruzione storica, ciòche hanno in comune tutte leepoche e tutti i paesi: il ruolodell’arte come lingua francadella civiltà occidentale.Vincent Ostria,Les Inrockuptibles

FrannyDi Andrew RenziCon Richard Gere, Dakota

 Fanning, Theo James. StatiUniti, 2015, 92’●●●●●

Lafiammeggiante prova d’at-tore di Richard Gere è il pernosu cui ruota questo ritratto po-co convenzionale di un bene-fattore di Filadelfia, la cui ec-centricità maschera un latooscuro. Ilfilm comincia in mo-do molto più imprevedibile dicomefinisca, ma rimane un ri-uscitissimo debutto per l’auto-

re e regista Andrew Renzi. Ilbello di Franny è cercare di ca-pire esattamente quali siano leintenzioni del protagonista. Ilfilm infatti è uno studio sullasolitudine di un uomo moltoricco che non riesce a esorciz-zare demoni e sensi di colpa.Franny è un personaggio volu-tamente sgradevole mafinisceper essere un veicolo perfettoper il carisma di Richard Gere.La fotografia di Joe Andersondà un’ombra sinistra agli in-contri notturni e una sobria lu-

centezza alle scene ambienta-te nell’alta società. Ottimo an-

che il lavoro della costumistaMalgosia Turzanska.Ben Kenigsberg, Variety

Irrational manDi Woody AllenCon Joaquin Phoenix, EmmaStone. Stati Uniti, 2015, 96’●●●●●

I film di Woody Allen ultima-mente sono un malcelato ten-tativo di gestire la brutta im-magine che tutti sembrano es-

sersi fatti del regista. C’è sem-pre un uomo intelligente diuna certa età, nevrotico maprobabilmente geniale e, ascelta, una donna di una certaetà nevrotica e falsa oppureuna giovane ingenua e a volteanche falsa. Leggeteci quelloche volete ma non aspettatevigrandi risate. La preoccupa-zione di Woody Allen è dimo-strare come un genio possaessere mal giudicato dal mo-

ralismo della gente comune.E per farlo usa il mezzo più pi-gramente didascalico che cisia: una prolissa voce fuoricampo. Anzi, due prolisse vocifuori campo. Anche la foto-grafia, di solito ineccepibile,di Darius Khondji, non riescea dare brillantezza a un filmtroppo debole.Peter Keough, The BostonGlobe

Il ponte delle spieDi Steven Spielberg

Con Tom Hanks. Stati Uniti,2015, 141’●●●●●

 Il ponte delle spie è un solido esoddisfacente film di Spiel-berg. La forza dell’immaginee la ricchezza della trama so-no le stesse di Lincoln. Qui è laguerra fredda e non la guerracivile a mettere in crisi la poli-tica statunitense. Ed è TomHanks e non Daniel Day-Lewis ad assumersi il ruolo

dello scontroso eroe america-no. Quando non è noioso ilfilm, basato su una storia vera,è splendido e quando non èsplendido la noia ha un modotutto suo di farti l’occhiolino.Alcune scene sembrano dirci:“Va bene, abbiamo un com-pleto grigio, ma sotto abbiamomutande divertentissime”. Ilcontrasto voluto da Spielbergtra lefinestre inondate di lucedelle scene americane, “la

terra della libertà”, e il “fac-ciamo tutto grigio” di Berlinostanca un po’ e forse non tuttihanno voglia di 140 minuti diTom Hanks che fa il cowboybuono tipo Woody di Toy sto-ry. Detto questo, il film navigafluido e sicuro tra le rapide pe-ricolosissime della storia dellaguerra fredda.Nigel Andrews,Financial Times

      D     R

 Irrational man      D     R

 Francofonia

Ifilmdell’anno

dellaredazione

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Cultura

Libri

Marilynne RobinsonLila

 Einaudi, 274 pagine, 20 euroRobinson ha inventato Gilead,una cittadina dello Iowa doveambienta i suoi romanzi, cosìcome Faulkner, SherwoodAnderson, Carson McCullers eMargaret Laurenceraccontano luoghidell’immensa provinciaamericana. A Gilead si ferma ilperegrinare di Lila, che haavuto traversie daabbandonata e ritrovata, davagabonda tra vagabondi chesi adattano a ogni lavoro per

evitare la fame. Protetta dauna donna e dal suo coltello,

per un po’ di tempo è ospite diun bordello, la cui vita ci vienenarrata con una scrittura distupefacente misura. L’autricerimane sempre fedele aisentimenti della protagonista,in parte suo alter ego. È nelrapporto con un vecchiopastore calvinista da cui si fasposare e a cui dà unfiglio, cheLila trova il suo posto e la suapace (“per lei la quiete delmondo era una presa in giro”).Gradualmente la protagonistaaff erma una coscienza sacrale

dell’esistenza, scopreEzechiele e Giobbe e ragiona

sul senso di ogni vita. La suasete di risposte non èaff annosa, la sua adesione almondo è immediata, il suorapporto con il pastore è unagrazia che li modifica entrambisenza furia. Lila è un romanzoche non si può che definirereligioso: è l’opera di unagrande scrittrice ed è perfettoper chi, a Natale, vogliapensare al sempre nonricattato dall’ora. “La vita sullaterra è difficile e grave, e pienadi meraviglia”.u

Il libro Goff redo Fofi

Il lento risveglio alla vita di Lila

I libri dell’annodel New York Times

Cento romanzi e saggi pubblicatinegli Stati Uniti nel 2015, scelti dai criticidel supplemento letterario del quotidianonewyorchese

Kevin BarryBeatleboneJohn Lennon in Irlanda, nel1978, alla ricerca del suo sécreativo.Helen PhillipsThe beautiful bureaucratGli interrogativi esistenzialidi un impiegato.Thomas MallonFinaleUn grande aff resco storicodegli anni ottanta negli Stati

Uniti.Claudia RankineCitizen: an american lyricUna riflessione su cosa signi-fichi essere neri in una socie-tà divisa su base razziale.Garth Risk HallbergCittà infiammeUna lettura dickensiana dellaNew York tra il 1976 e il 1977.I personaggi sono per lo piùragazzini in fuga.Clarice Lispector

The complete storiesL’autrice brasiliana, da pocoriscoperta, è una delle vocilatinoamericane più originali.James HannahamDelicious foodsUn romanzo ambizioso sullaprigionia e lo sfruttamento.Magda SzabóLa portaDue donne molto diversenell’Ungheria comunista.Vu TranDragonfishUn poliziotto cerca la sua ex

moglie, un’immigrata bracca-ta nel ventre di Las Vegas.

Kamel DaoudIl caso MeursaultIn cui si immagina la storiadell’arabo ucciso sulla spiag-gia nello Straniero di Camus.Lauren Groff 

Fates and furiesDue versioni del matrimonio:dal punto di vista del marito eda quello della moglie.Miranda JulyThefirst bad manIl rapporto consensualmente

violento tra due donne, unapadrona di casa e un’ospite,sfocia in un risveglio erotico.

    P    H    I    L    I    P    P

    E    M    A    T    S    A    S             O    P    A    L    E             L    E    E    M    A    G    E             L    U    Z    P    H    O    T    O         

Fiction e poesia

Kamel Daoud

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Svetlana AleksievičLa guerra non ha un voltodi donna(Bompiani)

AlessandroLeograndeLa frontiera(Feltrinelli)

Joan DidionThe white album(Il Saggiatore)

I libridell’anno

dellaredazione

Eka KurniawanBeauty is a wound

Un romanzo sul turbolentonovecento indonesiano.N. K. JemisinThefifth season. The bro-ken earth: book oneLa civiltà rischia la distruzio-ne e la stessa Terra è un nemi-co mostruoso.Chigozie ObiomaThefishermenL’assassinio e il mistero, i ter-rori della mente e un’Africapiena di vita.

Adam JohnsonFortune smilesUna raccolta al tempo stessooscura e piena di umorismo.Jorie GrahamFrom the New World: po-ems 1976-2014L’opera di Graham è più vivacee mondana rispetto a quella diqualsiasi altro poeta di oggi.Toni MorrisonPrima i bambiniPungente fiaba contempora-

nea con echi dei fratelliGrimm e una morale brutale.Julianna BaggottHarriet Wolf ’s seventhbook of wondersLa protagonista scrive un ro-manzo che si smarrisce in unadelicata storia sulla perdita.Richard McGuireQuiGraphic novel in cui si osservaun angolo della casa d’infanziadell’autore per ere geologiche.

Jane GardamThe hollow landRacconti sull’amicizia tra dueragazzi già pubblicati in GranBretagna nel 1981.Edith PearlmanHoneydewRacconti che riescono a cattu-rare le sorprendenti svolte divite ordinarie.Ali SmithHow to be bothDue parti della storia collega-no una ragazza di oggi a un pit-tore italiano del quattrocento.

Susan BarkerThe incarnations

Un tassista cinese scopre lesue vite precedenti attraverso iquindici secoli precedenti.Joseph KanonLeaving BerlinScrittore di origini tedeschediventa una spia a Berlino Est.Hanya YanagiharaA little lifeQuattro amici dell’universitàalle prese con l’età adulta.Edna O’BrienThe love object

Racconti che descrivono un’Ir-landa stretta fra tradizione ecambiamento.Mat JohnsonLoving dayL’eroe di Johnson è tormenta-to dai fantasmi del passato.Nina StibbeMan at the helmSatira sociale britannica in cuidue sorelle cercano di far spo-sare la madre divorziata.Lucia Berlin

A manual for cleaningwomenRacconti legati tra loro in cuiBerlin analizza donne in diffi-coltà e personaggi marginali.Mary GaitskillThe mareDue famiglie, il loro ambientee un cavallo: una storia di clas-si sociali e discriminazione.Nell ZinkMislaidSvitato romanzo comico sulla

creazione e distruzione di unafamiglia statunitense.Karl Ove KnausgårdMy struggle: book 4È il più agile, il più divertente eil più maturo dei volumidell’autore norvegese.Kirstin Valdez QuadeNight at thefiestasRaccolta di racconti alla ricer-ca di verità esistenziali e sacre.Rachel CuskOutlineCompostezza, compassione erimpianto: un’alternativa al

romanzo autobiografico.Atticus Lish

Preparationfor the next lifeLa sfortunata storia d’amoretra un soldato traumatizzato eun’immigrata musulmana.Jonathan FranzenPuritySegreti e bugie vengono svela-ti in questo romanzo sulla cor-ruzione dalla trama intricata.Paul BeattyThe selloutUna satira che mette a nudo

barzellette private sull’essereneri in modo decisamentecrudo ma mai vacuo.Amiri BarakaSos: poems 1961-2013Cinquant’anni di militanzamettono in luce la potenzadelle convinzioni di Baraka (ilpoeta e critico LeRoy Jones).Elena FerranteStoria della bambinaperdutaLe amiche aff rontano l’età

adulta e si interrogano sul si-gnificato della vita nello stra-ordinario volumefinale diquesta serie.

Valeria LuiselliThe story of my teeth

Un giocoso romanzo cherichiede la partecipazionedel lettore.Michel HouellebecqSottomissioneUn professore alienato e unaFrancia senza valori cedono aun governo islamico.Viet Thanh NguyenThe sympathizerUn romanzo che dà voce aivietnamiti e porta i lettori a ri-pensare la guerra in Vietnam.

Colum McCannThirteen ways of lookingUna novella e tre racconti perdescrivere l’immaginazioneempatica di McCann.Sascha ArangoLa verità e altre bugieIn questo divertente romanzonero lo scrittore protagonistaè un imbroglione e un assas-sino.Anthony MarraThe tsar of love

and technoStorie ambientate in una cittàindustriale della Russia conlampi di umorismo nero.

 CHRI   S M CA  N DRE  W         CA ME RA P RE  S  S       C O NT RA  S T  O       Hanya Yanagihara

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Cultura

Libri

Alessandro LeograndeLa frontiera

 Feltrinelli, 320 pp., 17 euro Proseguendo con coerenza illavoro che da anni conduce suquesti temi (prima con Uominie caporali, Mondadori 2008,sullo sfruttamento dei lavora-tori stranieri nel sud, poi con Il

 Naufragio, Feltrinelli 2011,sull’aff ondamento della navealbanese Käter i Radës), Ales-sandro Leogrande aff ronta ilgrande tema dei viaggi dei mi-granti nel Mediterraneo. Con-vinto che provare pietà per lemigliaia di esuli che annegano

a due passi dalle nostre cittànon possa essere sufficiente,

Leogrande parte da alcunigrandi avvenimenti recenti,come la strage di Lampedusadel 2013, per ricostruire le sto-rie di chi è sopravvissuto e dichi invece non ce l’ha fatta.Usa testimonianze di curdiiracheni, eritrei, somali, dar-furiani, qualche volta moltogiovani, che incontra in Italia.Vivono spesso con fatica,combattendo con la quotidia-nità e con i ricordi traumatici

legati al loro arrivo. Leogran-de restituisce le voci e i carat-

teri dei suoi testimoni e lacomplessità dei mondi da cui

provengono, da cui scappanoperché preferiscono l’incer-tezza di un viaggio pericolosoalla certezza di condizioni di-sumane. Spiccano tra le altre,le storie di chi scappa dal terri-bile regime totalitario dell’Eri-trea, attorno al quale è andatocrescendo un sistema di sfrut-tamento e di ricatto che traffi-canti, rapitori e regimi vicinicontribuiscono a far prospera-re e che solo pochi volontari e

attivisti coraggiosi provano acombattere.u

Nonfiction Giuliano Milani

Le vere voci dei migranti

Angela FlournoyThe Turner house

La storia di una famiglia afro-americana è anche la storia diDetroit.Priya ParmarVanessa and her sisterRomanzo su Virginia Woolf eVanessa Bell, costruito attor-no a un diario inventato.Joy WilliamsThe visiting privilegeRacconti scritti nell’arco dicinquant’anni caratterizzatida un caustico nichilismo.

Richard Price (con lo pseu-donimo di Harry Brandt)The WhitesUn profondo romanzo polizie-sco che descrive molto bene ilmondo di chi indaga.

Nonfiction

Steve BrillAmerica’s bitter pillGuida al labirinto della sanitàstatunitense.

Maggie NelsonThe argonautsIl modo in cui i nostri corpi cidefiniscono a partire dallagravidanza dell’autrice.Robin Lane FoxAugustine: conversions toconfessionsLa vita di sant’Agostino el’ambiente intellettuale e so-ciale del tardo impero.William FinneganBarbarian days

Le amicizie competitive nelmondo del surf.Amy Ellis NuttBecoming NicoleUna coppia impara ad accet-tare unfiglio transgender.Ta-Nehisi CoatesBetween the world and meCoates mette in guardia il fi-glio dall’apparente inevitabili-tò dell’ingiustizia razziale.A cura di Ann GoldsteinThe complete works ofPrimo LeviVentotto anni dopo la morte

di Levi la raccolta di tutte lesue opere tradotte in inglese.

Anna BikontThe crime and the silenceDevastante ricostruzionedell’omicidio di massa e dellasua rimozione.Janice P. NimuraDaughters of the SamuraiNel 1871 tre ragazze giappone-si sono spedite negli Stati Unitiper scoprire la modernità.Jon MeachamDestiny and powerUna biografia equilibrata sul

presidente Bush padre.Frederik SjobergL’arte di collezionaremoscheUn appassionato di entomolo-gia off re un originale tour nelcollezionismo dei sirfidi.Henry MarshDo no harmLa vita di un neurochirurgo trainterventi e riflessioni.Michael PyeThe edge of the world

Un nuovo punto di vista sulruolo del mare del Nord nellastoria europea.

Sven BeckertEmpire of cottonUno storico dimostra comel’industria del cotone si siasempre basata sulla violenza.Heidi JulavitsThe folded clockIl diario di Julavits è una me-ditazione sul desiderio, forse,o sui fantasmi o sul tempo.Lillian Faderman

The gay revolutionUna descrizione dei progressinel campo dei diritti per i gay.

Nicholas StargardtThe German warLe vite dei civili tedeschi du-rante la seconda guerra mon-diale.Jill LeovyGhettoized: a true story ofmurder in AmericaUno studio sull’alto tasso diomicidi tra gli afroamericani.Ari Berman

Give us the ballotLa storia del voto negli StatiUniti da due punti di vista.

    T    O    M     P

    I    L    S    T    O    N             E    Y    E    V    I    N    E             C

    O    N    T    R    A    S    T    O         

Mary Beard

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Mohamedou Ould Slahi12 anni a Guantánamo

Essere un danno collateralenella guerra al terrore.Helen MacdonaldH is for hawkL’addestramento di un falco edue nature contrapposte: l’au-tore e l’animale.Carrie BrownsteinHunger makes mea modern girlCome la chitarrista delle Slea-ter-Kinney si è ritrovata attra-verso la musica.

Andrea Wulf The invention of natureResoconto del viaggio nelleAmeriche di Alexander VonHumboldt.Charlotte DeCroes JacobsJonas Salk: a lifeLa vita dello scopritore delvaccino contro la poliomielite.Gary RivlinKatrina: after thefloodLa ricostruzione e la corruzio-ne a New Orleans dopo l’ura-

gano Katrina.Dan EphronKilling a king Il tentativo di negoziare la pa-ce di Rabin viene contrappo-sto al piano del suo assassino.Vladimir NabokovLetters to VéraNabokov scrisse a sua moglielettere dettagliate e allusive.Hayden HerreraListening to stone: the artand life of Isamu Noguchi

Vita e ossessioni dello scultoregiapponese.Charles D’AmbrosioLoiteringUno dei più intelligenti e ricer-cati saggisti di oggi.David KynastonModernity Britain: 1957-62La storia del dopoguerra ingle-se continua in questo arazzo dicambiamenti sociali.Mary PilonMonopoli storiesLa vera storia del gioco delMonopoli.

Margo Jeff ersonNegroland: a memoir

Una vita trascorsa nell’élitenera di Chicago.Steve SilbermanNeurotribesSilberman off re qui una pro-spettiva molto più ampiasull’autismo.Scott ShaneObjective TroyLa storia del cittadino statuni-tense ucciso da un drone.Vivian GornickThe odd woman

and the cityIl racconto di Gornick parladei suoi bizzarri incontri aNew York ma soprattuttodell’essere soli.Oliver SacksIn movimentoLo scrittore e neurologo ab-bandona la sua compostezza esvela, in questa autobiografia,le sue vulnerabilità.Åsne SeierstadOne of us: the story

of Anders Breivik and themassacre in NorwayUn’esplorazione del lato oscu-ro della Scandinavia di oggi.

Tracy K. SmithOrdinary light

La poetessa riflette su apparte-nenza etnica, fede e la devo-zione di una madre.Luc SanteThe other ParisBohéme e criminalità nellastoria di Parigi.Dale Russakoff 

The prizeIl tentativo di raddrizzare lescuole pubbliche di Newark.Alex MarWitches of America

Una raccolta di ritratti giorna-listici di occultisti di oggi.Scott L. Montgomerye Daniel ChirotThe shape of the newIl capitalismo, il socialismo,l’evoluzione e la democrazia li-berale ci hanno fatto romperecon il passato.Mark VanhoenackerSkyfaringUna riflessione autobiograficasul fascino del volo.

Kate BolickSpinsterCome fa una donna a viveresola? L’autrice indaga nella sua

vita e in quella di altre.Mary Beard

Spqr: a history of ancientRomeI segreti del successo della me-tropoli antica.Rosemary SullivanStalin’s daughterUna biografia che svela unafi-gura complessa e tragica.Larissa MacFarquharStrangers drowningSentirsi obbligati a prestareaiuto: un mondo fatto di rigidoaltruismo e di ascetica abnega-

zione.Kathryn J. Edin e H. LukeShaefer$2.00 a dayUn resoconto essenzialesull’aumento delle famigliepovere negli Stati Uniti.Emma SkyThe unravelingL’autobiografia inquietante delconsigliere politico del genera-le statunitense Ray Odierno.Peter Moore

The weather experimentIl contributo degli Stati Unitiallo studio scientifico dellametereologia. u gim

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Vladimir Nabokov

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Dal vivo

TricaricoPavia, 18 dicembrespaziomusicapavia.it

Dj Daniele BaldelliRoma, 23 dicembrelani ficio.com

SkatalitesTorino, 22 dicembrehiroshimamonamour.orgFolgaria (Tn), 23 dicembrecinemateatroparadiso.com

Gracciano (Si), 25 dicembresonarlive.com

Mario BiondiTrieste, 21 dicembreilrossetti.itBorgosesia (Vc)22 dicembre,

 prolocoborgosesia.itGenova, 23 dicembre,carlofelicegenova.itFirenze, 28 dicembreobihall.it

Roma, 29 dicembreauditorium.comBari, 30 dicembre

 pala fiorio.it

Paolo BenvegnùRoma, 28 dicembremonkroma.club

SubsonicaOlbia, 31 dicembrevivoconcerti.com

RoninLoreto (An), 3 gennaioreasonanz.com

Paolo Benvegnù

1Niccolò ContessaTorta di noi “La mia è una torta di noi

/ non è tua nonna / facciamonoi”. Non sarebbe carino bur-larsi dei deficit linguistici degli

stranieri, ma è proprio da quiche nasce il momento più sim-patico del recentefilm La feli-cità è un sistema complesso: unkaraoke amoroso stralunato diValerio Mastandrea, da cuiNiccolò Contessa, mentedei Cani nonché qui autoredella colonna sonora, ha sfor-nato due minuti di dolce fanta-stico. Si trova su YouTube, edovrebbe dire qualcosa a chialmeno una volta nella vita haprovato a cucinare qualcosacon il gusto pieno di “noi”.

2Lonesome Leash

 Home was a feeling  Lafisarmonica futurusti-

ca che tesse la sua trama: unacassa incalzante, un vago rul-lante e voce di un cantastorie

che senti provenire da lungo li-gnaggio di hobo, vagabondi eanime gemelle di DinamiteBla. Lui ha il nome da westerndi Walt McClemente, e dal vi-vo è un polistrumentista concimeli non da uomo-orchestrama da sound system, tra loopartigianali, drum machine apedali e campionamenti ditrombetta fatti in casa. Come ilsuo album Precious futures,sbuff a, accelera, rallenta inuna techno a vapore di rimar-chevole intimismo.

3Erica Mou 

 Biscotti rotti“Scelgo sempre biscotti

rotti dalla scatola. Quante vol-te nonostante lo stesso saporeho preferito l’imperfezione”. A

integrare la torta-di-noi, uncantautorato per le ore delmattino con cortese pianoRhodes d’accompagnamento,ritmo gentile da basso, un fra-seggio vocale jazz-ma-non-proprio, e la scatola di latta chedispensa briciole d’integrità.Dal recente album Tienimi il

 posto, la cantante di Bisceglieentra in dispensa con questacanzone. Preferirne “la frasta-gliata unicità”, anche se maga-ri a qualcuno può dare sui ner-vi la briciola sotto l’unghia.

 Alrightdel rapper califor-niano Kendrick Lamar è di-ventata, di fatto, l’inno di“black lives matter”. La te-stimonianza di un’attivista

Non è un segreto: il 2015 èstato l’anno in cui, negli StatiUniti, è saltato il tappo delle

tensioni sociali. Negli ultimitre anni ho preso parte a di-verse manifestazioni, comeattivista e come inviata. Ed èstato impressionante vederegente di ogni colore prendereposizione contro l’oppressio-ne sistematica. Tra tuttele canzoni e gli slogan ,quest’anno, dai nostri smart-phone ne è emersa una piùchiaramente delle altre:

 Alright di Kendrick Lamar.L’avevo sentita il giorno chel’album di Lamar, To pimp abutter  fl  y, era uscito online.

Risentendola più volte hocapito che il dolore non è maipermanente e che attraversa-re tutti insieme tempi difficilici rende più forti. Un giornoabbiamo fatto una festa: nonso come, ma c’erano cinquan-

ta persone stipate nel nostrominuscolo appartamento.Quando è partita Alright, pertutti è diventata un negro spi-ritual . Siamo stati tutti a testabassa, ginocchia piegate,finoal momento del ritornello, incui siamo saltati con le brac-cia tese verso il soffitto bas-

sissimo. Il pezzo era appenauscito, ma è stato un momen-to importante in cui abbiamotutti sentito empatia per i no-stri morti. La lotta non è certofinita ma almeno, muoven-doci allo stesso ritmo, abbia-mo capito che con il tempo,l’unione, l’amore e l’impegnostaremo tutti bene. Alright,appunto.Desire Thompson, Vibe

Dagli Stati Uniti

Un inno afroamericano per il 2015

Playlist Pier Andrea Canei

Torta futurustica

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Kendrick Lamar

Cultura

Musica

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Album

Erykah BaduBut you caint use my phone(Motown)●●●●●

Sono passati cinque anni da New Amerykah part two e oraun mixtape fatto in casa inuna settimana o poco più e de-dicato all’uso del telefono sul-la carta non off re molto. Sonoundici brani di cui tre cover oadattamenti, uno che è trentasecondi di Badu che ripete

“hello hello”, con continuestrizzate d’occhio al singolo incui vent’anni fa la cantante di-ceva di chiamare Tyrone “andtell him come on help you getyour shit”: sarebbe facile pen-sare che questo disco sia unpo’ debole. In realtà è più ac-curato definirlo rilassato, unabreve meditazione sulla co-municazione e il fatto di esse-re connessi immersa in un’at-mosfera rétro, come nel caso

di Cell-u-lar dee-vice, che ri-chiama Hotline bling  di Drakee Why can’t we live together  diTimmy Thomas. Ma mentreDrake e il suo producer nine-teen85 hanno creato un tor-mentone campionando il bra-no di Thomas, Badu coglie alvolo la possibilità per celebra-re suoni vintage, che sia conloop di antiquati segnali di li-nea occupata o con una drum-machine Rhythm King. La co-

sa più aff ascinante è quantopoco pretenzioso sia l’atteg-giamento di Badu, che così ciricorda che una delle cose chela rende una cantante specialeè la sua capacità di intrecciareforza ed eccentricità.Jason Gubbels, Spin

Troye SivanBlue neighbourhood(Polydor)●●●●●

Troye Sivan, 20 anni, stella diYouTube e ora cantautore,

suo amore per le registrazionianalogiche. C’è Sly Stone e si

sente lo spirito di JamesBrown, ma l’intricato uso difiati, flauti e piano Wurlitzerricorda soprattutto certe im-provvisazioni jazz fusion diMiles Davis. Nell’insiemequesto lavoro è un trionfoinatteso: brillante, sexy, intel-ligente e pieno di vita. Hit nrun phase two è come un ap-puntamento alla cieca cadutodal cielo.Andy Gill,

The Independent

Ty SegallTy Rex(Goner)●●●●●

La musica di Ty Segall nascenell’intersezione di diversetradizioni del rock. Il suo lavo-ro viene etichettato comegarage rock ma dentro ci sonoanche tracce di punk, metal,folk, glam e pop da radio anni

settanta. Questo miscugliorende la sua musica inclassifi-cabile, non perché si spingeoltre certi limiti ma perchériesce a trovare un posticinotutto suo in mezzo a tanti ge-neri. In Ty Rex, album di coverdel gruppo di Marc Bolan, èinteressante sentire cosa tirafuori da un contesto già defi-nito. Rimanendo se stesso,Segall off re una prospettivanuova sulla musica dei TRex.

Nella sua carriera la band in-glese ha avuto due anime,

quella folk psichedelica equella glam, ma per il musici-

sta californiano non sono cosìdistanti: Marc Bolan ha sem-pre evocato nei testi lo stessomondo di fantasia in Techni-color, e sotto la produzione diSegall le due band diventanola stessa cosa. Certo, a luimancano l’umorismo e il cari-sma di Bolan, ma grazie allascelta di non usare il materialepiù noto alla fine Ty Rex suonacome un album di Ty Segall e,senza volere aggiungere nulla

all’opera dei TRex, è un pia-cere ascoltarlo.Daniel Bromfield,Spectrum Culture

Radu LupuComplete recordings(Decca)●●●●●

Da vent’anni Radu Lupu rifiu-ta di farsi registrare, simulacroeterno di qualcosa che dura unsolo istante. Da qui un fatto

insolito: la Universal puòcommercializzare il cofanettodi un artista in piena attivitàintitolandolo “registrazionicomplete” senza per questodire il falso. Ai dischi pubbli-cati in origine dalla Decca siuniscono qui quelli della Sony(Mozart e Schubert con Mur-ray Perahia), della Teldec(Schubert con Daniel Baren-boim) e della Emi (ancoraSchubert, con Barbara Hen-

dricks). In totale sono 28 cd.Da dove cominciare? Sicura-mente non dai concerti. Per ilresto potete andare in girosenza un progetto: vi capiteràcosì di sentire l’eco di Brahmsnel suo Beethoven o di Schu-bert (uno Schubert adolescen-te e virile) nel suo Brahms.Scoprirete uno Schumann cheè una galassia a sé. E delle so-nate per violino di Mozart conSzymon Goldberg che sonol’amicizia fatta musica.Gaëtan Nauleau, Diapason

sembra più grande della suaetà. Nel suo album di debuttola gioventù non è una festa ma

un groviglio di emozioniespresse con un pop arioso ecupo, venato di elettronica.Canzoni come la magnificaSuburbia e Talk me down trat-tano della noia della vita inprovincia e del desiderio di uncontattofisico, e anche le piùestroverse Wild e Youth sonopervase da una lieve malinco-nia. Il senso dell’album è rac-chiuso nella melodiosa Lostboy (“Sono solo un ragazzo

smarrito, non ancora prontoper essere trovato”), ed è soloa questo punto, verso la finedell’album, che si comincia asentire il bisogno di più varie-tà, di un cambio di tono e diritmo. Ma è un peccato venia-le. Nel complesso, Blue neigh-bourhood segna l’arrivo sullascena di un nuovo talento pre-coce e coraggioso.Michael Cragg,The Observer

PrinceHit n run phase two(Npg Records)●●●●●

Si poteva temere il peggio, in-vece no. Hit n run phase twopotrebbe essere il miglior al-bum di Prince degli ultimidieci anni. Forse venti. Regi-strato nell’arco di quattro anninel suo studio di Minneapolis,con un’orchestra di 16 fiati,l’album è un inno alle sue in-fluenze funk anni settanta e al Ty Segall

      D     R

Courtney BarnettSometimes I sit and think,and sometimes I just sit(Milk!)

Kendrick LamarTo pimp a butterfly(Top Dawg)

Kamasi WashingtonThe epic(Brainfeeder)

Erykah Badu

      D     R

I dischidell’anno

dellaredazione

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 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 107

Paul Virilio

Exit , Palais de Tokyo, Parigi,

 fino al 10 gennaio 2016  Exit è un progetto commissio-nato nel 2008 dalla fondazio-ne Cartier al filosofo e urbani-sta Paul Virilio, in occasionedella mostra Native land. Stopeject. È un’installazione im-mersiva, realizzata da artisti earchitetti su uno schermo cir-colare su cui scorrono mappe,grafici, figure e pixel scanditidal passaggio virtuale dellaTerra, rivestita di foreste rigo-

gliose e circondata da un alo-ne di luce bluastra. L’allesti-mento è stato riproposto alPalais de Tokyo in occasionedella Conferenza internazio-nale sul clima. Sostenuto dadati e statistiche, Virilio mo-stra come guerre, migrazioniforzate, disuguaglianza, in-quinamento e riscaldamentoglobale siano peggioratinell’ultimo decennio.Le Monde

Galleria continua

Anclados en el territorio , Aguila de oro, L’Avana, fino al 16 gennaio 2016 I vicoli dell’Avana sono unostrano posto per aprire unagalleria d’arte aff ermata a li-vello internazionale. Il 27 no-vembre Galleria continua, ungruppo d’avanguardia che daSan Gimignano, in Toscana,ha messo radici a Pechino e

Boissy-le-Châtel (nell’ Île-de-France), ha inaugurato unanuova sede nel cinema Aguilade oro. Anche dopo la ristrut-turazione, sono rimasti i gros-si proiettori di epoca sovietica.I resti di pellicole e i vecchi se-dili sfondati sono stati monta-ti in un’installazione spirali-forme dell’artista José Yaque.Grazie al disgelo con gli StatiUniti l’arte contemporaneacubana è destinata a cresceresul mercato globale.The Economist

Andrea del Sarto

The renaissance workshop inaction , Frick collection, New

York, fino al 10 gennaio 2016 È difficile pensare ad Andreadel Sarto senza un po’ di di-stanza. La sentenza “noiosa-mente perfetto” emessa daGiorgio Vasari nel cinquecen-to e affinata da Robert Brow-ning tre secoli dopo, riecheg-gia nella memoria e persegui-ta la prima retrospettiva delpittore rinascimentale allesti-ta negli Stati Uniti. Le parolecrudeli del suo ex allievo Va-sari, che lo definì pittore senzaerrori, timido di spirito e privo

di ardore, nel 1913 furono ri-badite da Ernst Jones, disce-polo di Sigmund Freud. Gran

parte delle opere in mostra al-la Frick collection sono studi.Con carboncino rosso e nero,del Sarto ha rappresentato dalvero l’estensione della pellesulla nocca di una mano e latensione di un muscolo delcollo attraverso un complessointreccio di linee. Per il cura-tore Julian Brooks questa è laprima occasione per riabilita-re il talento del pittore doposecoli di freddezza. Sicura-mente è un valido esempio dilavoro, diligenza e ricerca

compulsiva del sublime. Lalettura critica della mostra allaFrick è intensa e ben argo-

mentata e sottolinea la mo-dernità di questo artista. Il Ri-tratto di giovane uomo del 1517prestato dalla National gallerydi Londra, è unafigura fami-liare ma allo stesso tempoestranea. Un uomo che si po-trebbe incontrare in un bar oall’angolo della strada. Si giraper guardare lo spettatore. Labocca si arriccia in un’espres-sione di superiorità eterna. Lasua immediatezza fa venire lelacrime agli occhi.Financial Times

Stati Uniti

La riscoperta di un maestro malvisto

Cultura

Arte

    F    I    N    E    A    R    T    I    M    A    G    E    S             H    E    R    I    T    A    G    E    I    M    A    G    E    S             G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S

Andrea del Sarto, il Ritratto di giovane uomo della National gallery di Londra

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http://slidepdf.com/reader/full/internazionale-n-1133-18-22-dicembre-2015 108/132108 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

 Ivan Maš ovets – dottorando della facoltà di filoso fia, anno…

Dal racconto di un amico, Vladimir Stanjukevič,dottorando della facoltà difilosofia

L

ui, naturalmente, voleva andarsene sen-za farsi notare. Era sera. Il crepuscolo.Ma alcuni studenti del convitto vicino lovidero saltare. Spalancò lafinestra della

sua stanza, si mise in piedi sul davanzalee guardò a lungo in basso.

Poi si voltò di spalle, si dette una fortespinta e prese il volo… Volò dal dodicesi-mo piano.

Lì accanto stava passando una donnacon un ragazzino. Il bambino sollevò latesta in alto:

“Mamma, guarda: c’è un signore chevola come un uccello…”.

Volò per cinque secondi.Tutto questo me lo raccontò il poli-

ziotto di quartiere quando tornai al con-

vitto; risultai essere l’unico che in qual-che misura potesse definirsi suo amico. Il giorno doposul giornale della sera vidi una foto: giaceva sull’asfaltoa faccia in giù, nella posa di un uomo che vola…

Certo, posso provare a ricostruire qualcosa… anchese tutto sta scivolando via. Io e lei non usciremo mai daquesto labirinto. Sarà una spiegazione parziale, unaspiegazionefisica e non spirituale. Esiste, per esempio,il servizio fiducia. Una persona telefona e si confida:“Voglio suicidarmi”. Nel giro di quindici minuti riesco-no a dissuaderlo. Scoprono la ragione. Ma non è la ra-gione, è il grilletto…

Il giorno prima lo avevo incontrato in corridoio:

“Passa assolutamente da me. Dobbiamo parlare”.La sera gli bussai diverse volte, ma lui non mi aprì.

Attraverso la parete (le nostre stanze sono vicine), sen-tivo che c’era. Camminava. Avanti e indietro. Si agitava.“Be’”, pensai, “farò un salto domani”. L’indomani par-lai con il poliziotto.

“Cos’è?”.Il poliziotto mi indicava una cartella vagamente fa-

miliare.Mi curvai sul tavolo:“È la sua tesi… Ecco il foglio del titolo: Marxismo e

religione”.Tutte le pagine erano cancellate. E con la matita ros-

sa, in diagonale, furiosamente: “Sciocchezze!! Assurdi-tà!! Menzogne!!!”. Era la sua calligrafia… La riconobbi.

Storia di un uomo

che volò come un uccello

Certo, posso provarea ricostruirequalcosa… anchese tutto stascivolando via.Io e lei non usciremomai da questolabirinto. Saràuna spiegazioneparziale

Aveva sempre avuto paura dell’acqua… Lo ricordoda quando eravamo studenti, che aveva paura dell’ac-qua. Non diceva mai di aver paura dell’altezza…

La tesi non è venuta bene, e chi se ne importa!! Sideve ammettere di essere prigionieri dell’utopia… Maper questo bisogna saltare dal dodicesimo piano?Quanta gente oggi riscrive la tesi di laurea, di master,di dottorato, e quanti hanno paura di ammettere ad

alta voce come s’intitolavano. Si vergognano, sonoimbarazzati. Forse decise: devo sba-razzarmi di questi abiti, di questo invo-lucrofisico…

La logica del comportamento nonportava a questo, eppure l’atto è statocompiuto. Esiste il concetto di destino. Tiè stato dato un programma. Ti sei innal-zato. L’uomo s’innalza o sprofonda…Penso credesse che esiste un’altra vita. Inuno strato sottile… Se era credente? Quicominciano gli interrogativi. Se avevauna fede era senza intermediari, senza

istituzioni di culto, senza liturgia. Ma perun credente il suicidio è impossibile, lui non osa violareil piano di Dio… Spezzare ilfilo… Per gli atei è più facileazionare il grilletto. Loro non credono in un’altra vita,non hanno paura. Cosa sono settanta o cento anni? Unattimo, un granello di sabbia. Una molecola di tempo.

Una volta parlammo del fatto che il socialismo nonrisolve il problema della morte o anche solo della vec-chiaia. Lo evita…

Mi trovai presente quando in un negozio di libri usa-ti conobbe un tipo un po’ pazzo. Anche quel tizio fruga-va tra i vecchi libri sul marxismo, come noi. Poi mi rac-contò: “Senti cosa ha detto: ‘Sono io quello normale, tu

invece soff ri’. Sai una cosa? Ha ragione”.Penso che fosse un vero marxista e considerasse il

marxismo come un’idea umanitaria, in cui “noi” è mol-to più di “io”. Come un’unica civiltà planetaria del futu-ro… Passavi nella sua stanza, e lui era sul letto, circon-dato di libri: Plechanov, Marx, le biografie di Hitler, diStalin, lefiabe di Andersen, Bunin, la Bibbia, il Corano.E legge tutto insieme. Nella memoria mi restano fram-menti dei suoi pensieri, ma solo frammenti. Li ho rico-struiti dopo… Cerco il senso della sua morte… Non laragione, non il motivo… il senso! Nelle sue parole…

“Qual è la diff erenza tra uno studioso e un sacerdo-te? Il sacerdote quello che non si conosce lo conosceràattraverso la fede. Lo scienziato invece cerca di pene-trare in quel qualcosa attraverso i fatti, attraverso la co-

SVETLANAALEKSIEVIČ

è una giornalista escrittrice bielorussa.Ha vinto il premioNobel per laletteratura del 2015.Il suo ultimo libropubblicato in Italia è La guerra non ha un

volto di donna(Bompiani 2015).Questo racconto èuscito in russo con

il titolo Istorijač eloveka, kotoryj letel,

kak ptitsa.

Svetlana Aleksievič

Pop

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 GI   P I   

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110 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Storie vere

Erano le due di nottequando diverse autodella polizia diSydney, in Australia,si sono precipitate inun posto da cui eranoarrivate moltetelefonate peravvertire che c’era unomicidio in corso. Ivicini avevano sentitoun uomo gridare: “Tiammazzo! Muori!Muori!”. Poi una voce

di donna che urlava eil rumore di mobiliscaraventati per terra.Gli agenti hannocapito subito che eraun falso allarme:nell’appartamentoc’era un uomo di cuinon sono state diff usele generalità, da solo.“Mi dispiace, anche lavoce di donna era lamia”, ha spiegato.“Stavo cercando di

ammazzare un ragno,ero molto agitato. Eraenorme!”.

noscenza. La conoscenza è razionale. Prendiamo peresempio la morte. Semplicemente la morte. La morte èoltre il pensiero… Noi, i marxisti, ci siamo dati il ruolo diministri della chiesa, abbiamo detto di conoscere la ri-sposta alla domanda: come rendere tutti felici? Come?!Da piccolo il mio libro preferito era L’uomo an fibio, diAleksandr Beljaev. L’ho riletto da poco. È una risposta atutti gli utopisti del mondo. Un padre trasforma ilfiglioin un uomo anfibio. Vuole regalargli l’oceano mondiale,renderlo felice cambiando la natura umana. Un inge-gnere geniale. Gli sembra di aver penetrato il mistero…

Crede di essere Dio! Ma fa del figlio il più infelice degliuomini. La natura non si rivela alla ragione umana, silimita a sedurla…”.

Ed ecco ancora alcuni suoi monologhi, così come liricordo…

“Il fenomeno di Hitler continuerà ad agitare le men-ti ancora a lungo. A turbarle. Come funziona il mecca-nismo della psicosi di massa? Le madri portavano ifiglisulle braccia tese: ‘Ecco, Führer, prendili!!’”.

“Noi siamo i consumatori del marxismo. Chi puòaff ermare di conoscere il marxismo? Lo conoscono Le-nin, Marx? C’è il primo Marx e c’è il Marx allafine dellavita… Ci sono semitoni, sfumature, tutta questa straor-

dinaria complessità ci è sconosciuta. Nessuno accrescele nostre conoscenze. Siamo tutti interpreti…”.

“Oggi siamo paralizzati nel passato come prima loeravamo nel futuro. Anche a me sembrava di aver sem-pre odiato tutto questo, e invece viene fuori che lo ama-vo. Lo amavo?… Ma si può forse amare questa pozza disangue? Questo cimitero? Da quale fango, da quale in-cubo… di quale fango è tutto intriso?… eppure loamo!”.

“Ho proposto al nostro professore un nuovo temaper la tesi: ‘Il socialismo come errore intellettuale’. E luimi ha risposto: ‘Assurdità’. Come a dire, con lo stessosuccesso posso mettermi a decifrare la Bibbia o l’Apo-calisse. Ebbene, anche le assurdità sono una forma dicreazione… Il vecchietto è confuso. Anche tu lo conosci:

non è uno di quei vecchi asini, ma quello che è successoper lui è una tragedia personale. Io devo riscrivere latesi, ma lui come può riscrivere la sua vita? Adesso cia-scuno di noi deve riabilitarsi. In psichiatria esiste unapatologia, sdoppiamento o disturbo della personalità.Chi ne è colpito dimentica la famiglia, la posizione so-ciale, i conoscenti e perfino ifigli. La sua vita. Disturbodella personalità… È quando una persona non riesce acollegare il suo punto di vista personale, la visione uffi-ciale o la fede dello stato e i suoi dubbi, quanto è vero ciòche pensa e ciò che dice… La personalità si raddoppia,

si triplica… Gli ospedali per malattie mentali sono pienidi insegnanti di storia, di professori universitari… Piùriuscivano a ispirare, più sapevano corrompere… Per lomeno tre generazioni… e altre ancora sono infette. Mamisteriosamente tutto sfugge a una definizione… Latentazione dell’utopia…”.

“Come per Jack London. Ti ricordi il suo racconto sucome si può vivere anche in una camicia di forza? Biso-gna solo stringersi, lasciarsi andare e abituarsi… E riu-scirai perfino a sognare…”.

Adesso analizzo, seguo il corso dei suoi pensieri… emi accorgo che si preparava ad andarsene.

Stavamo bevendo il tè e lui di punto in bianco dice:

“Io so quando morirò…”.“Vanečka, ma che dici!”, esclama mia moglie. “Noi

ci stavamo preparando a trovarti una moglie”.“Scherzavo. Però gli animali non si suicidano mai.

Non violano il percorso…”.Il giorno dopo questa conversazione, la custode

trovò nel bidone dell’immondizia un suo vestito quasinuovo, e in tasca c’era il passaporto. Corse nella suastanza. Lui si confuse e borbottò qualcosa tipo che eraubriaco. Ma non toccava mai un goccio! Si riprese ilpassaporto e il vestito glielo regalò: “Ormai non miserve”.

Aveva deciso di sbarazzarsi di questi abiti, di que-sto involucrofisico. Sapeva in modo più sottile e detta-gliato di noi cosa lo aspettava laggiù. Ma a lui piaceva

      G      I      P      I

Pop

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Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015   111

l’età di Cristo…Si potrebbe pensare che fosse impazzito. Ma qual-

che settimana prima avevo sentito la sua presentazio-ne… Una logica di ferro! Una discussione brillante!

È bene che un uomo sappia quando morirà? Cono-scevo una persona che lo sapeva. Un amico di mio pa-dre. Quando partì per il fronte, una zingara gli lesse il

futuro: non tema le pallottole, perché non cadrà inguerra, morirà a 58 anni a casa sua, in poltrona. Lui sifece tutta la guerra, passò sotto le pallottole, si guada-gnò la fama di temerario, lo mandarono nelle missionipiù disperate. Tornò senza un graffio. Fino ai 57 annibevve e fumò, perché sapeva che sarebbe morto a 58 efino a quella data poteva permettersi di tutto. L’ultimoanno visse in modo orribile… Aveva sempre paura dellamorte. La aspettava… E morì a 58 anni a casa sua. In pol-trona davanti alla televisione.

È meglio per un uomo quando il cerchio è tracciato?Questo confine tra qua e là? Qui cominciano gli interro-gativi…

Una volta gli consigliai di scavare nei suoi ricordid’infanzia, nei desideri che aveva carezzato e poi di-menticato. Si potevano realizzare adesso… Non mi par-lava mai della sua infanzia. All’improvviso si aprì.Dall’età di tre mesi aveva vissuto in campagna con lanonna. Quando era più grandicello saliva su un troncoe aspettava la mamma… La mamma tornò quando ave-vafinito la scuola, con tre fratellini e sorelline, ognunoda un uomo diverso. All’università teneva dieci rubliper sé e il resto della borsa di studio lo mandava a casa.Alla mamma…

“Non ricordo che mi abbia mai lavato qualcosa, nep-pure un fazzoletto da naso. Ma l’estate prossima torne-

rò in campagna: cambierò la carta da parati, aggiusteròlo steccato. E se mi dirà una parola aff ettuosa, sarò feli-ce…”.

Non aveva mai avuto una ragazza……Il fratello venne a prenderlo dalla campagna. Lui

era all’obitorio… Cominciarono a cercare una donnaper lavarlo, vestirlo. Ci sono delle donne che si occupa-no di queste cose. Quando arrivò era ubriaca. Lo ve-stii io…

In campagna rimasi con lui tutta la notte da solo. Inmezzo ai vecchietti e alle vecchiette. Il fratello non ten-ne nascosta la verità, anche se lo avevo pregato di non

dire niente, almeno alla madre. Ma da sbronzo spiattel-lò tutto. Piovve a dirotto per due giorni. Al cimitero lamacchina con la bara dovette trascinarla un trattore. Levecchiette si facevano il segno della croce spaventate eaccorate:

“È andato contro la volontà di Dio…”.Il pope non voleva che venisse sepolto al cimitero:

un peccato imperdonabile… Ma il presidente del sovietdel villaggio arrivò in furgone e dette la sua autorizza-zione…

Tornammo all’imbrunire. Bagnato. Fatiscente.Ubriaco. Mi venne da pensare che i giusti e i sognatoriper qualche motivo scelgono sempre questi posti. Na-

scono soltanto qui. Mi tornarono alla memoria le nostreconversazioni sul marxismo come unica civiltà plane-taria. Sul fatto che il primo socialista fu il Cristo. E sulfatto che il segreto della religione marxista non eracomprensibilefino in fondo, anche se eravamo immer-si nel sanguefino alle ginocchia.

Ci mettemmo a tavola. Mi versarono subito un bic-chiere di vodka fatta in casa. Bevvi…

Un anno dopo, mia moglie e io tornammo al ci-mitero.

“Lui non c’è”, disse mia moglie. “Prima venivamoda lui, adesso c’è solo la lapide. Ti ricordi prima comesorrideva nella fotografia?”.

Quindi era già andato oltre. La donna è un congegnopiù delicato dell’uomo, lei l’aveva sentito.

Il paesaggio era lo stesso. Bagnato. Fatiscente.Ubriaco. Sua madre ci ricoprì di mele per il viaggio. Untrattorista brillo ci accompagnò all’autobus…u  gc

Dal 1965 Ef, Education first, si èspecializzata nell’organizzare cor-si di lingue portando gli studentifuori della loro area linguistica na-tiva grazie a una rete di quattro-cento scuole sparse nel mondo. Siva da corsi vacanza per ragazzi acorsi aziendali, da corsi generaliper adulti a corsi per particolaridiplomi o per l’accesso all’univer-sità. Lingue insegnate: inglese,francese, spagnolo, tedesco e ci-nese. Da cinque anni ai corsi si ac-compagna la produzione di unrapporto sullo stato delle cono-

scenze dell’inglese in molti paesidel mondo, settanta nel 2015. Ilrapporto, curato da Kate Bell, è di-sponibile in rete, così come i test.

Ef, diversamente da Eurobaro-meter o dall’Istat, non lavora sulleautovalutazioni di un campionerappresentativo delle varie popo-lazioni, ma osserva attraverso unesame in rete il grado di cono-scenza della lingua tra adulti (no-vecentomila nel 2014) che l’hannostudiata o la stanno studiando eaccettano di sottoporsi a doman-de di vario livello. Ogni esaminato

ottiene un punteggio e contribui-sce alla media nazionale. Si vadagli oltre settanta punti di Sve-zia, Paesi Bassi, Danimarca, aglioltre sessanta di Finlandia, Slove-nia, Estonia, Polonia e (sorpresa)Portogallo; agli oltre cinquanta divari paesi europei tra cui l’Italia,che è preceduta da Romania eSpagna ma (altra sorpresa) prece-de la Francia, quartultima in Eu-ropa, e la Russia;fino ai poco piùdi quaranta punti di Libia, paesicaucasici e africani, arabi, sud-orientali.u 

Scuole Tullio De Mauro 

L’inglese di chi lo studia

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Scienza

Nell’estate del 1962 la commis-sione statunitense per la scien-za e l’astronautica tenneun’udienza per discutere il

ruolo delle donne nel programma spazialedel paese. Gli astronauti che intervennero,tutti e tre uomini, avvertirono il congressoche se la Nasa avesse addestrato le donneper le missioni spaziali si sarebbe dovuto“ridimensionare l’obiettivo di mandare unuomo sulla Luna prima della fine del de-cennio”.

“Non m’importa chi c’è accanto a me,purché sia la persona più qualificata”, dissel’astronauta John Glenn. Fin qui un po’brusco, ma ragionevole. Dopo, però, ag-giunse: “Non mi opporrei a un programmadi addestramento per astronaute, tuttavianon ne vedo la necessità”. Il suo intervento

sembrava intendere che, certo, una donnaqualificata poteva fare l’astronauta, peròuna donna così forse non esisteva. “Perfarvi un esempio”, spiegò Glenn, “mia ma-dre potrebbe benissimo superare la visitamedica precampionato dei WashingtonRedskins, ma dubito che sarebbe in gradodi giocare una partita di football”.

Secondo un articolo dell’epoca, Glenne gli altri colleghi astronauti erano moltoir-ritati dall’idea di doversi portare delle don-ne nello spazio. Il New York Times definìGlenn “a disagio e più che seccato”.

“Finora la mancata inclusione delledonne nel progetto pilota della Nasa sem-bra soprattutto dovuta al fatto che il nostroè un mondo tutto sommato maschile”,scriveva il giornalista Louis Lasagna.

Il dibattito, definito la questione astro-naut-astronautte , alla fine ebbe un esitopositivo: le donne sono riuscite ad andarenello spazio, statunitensi comprese, a de-cine.

Oggi, in inglese, la gente chiama astro-naut una donna che fa, appunto, l’astro-nauta, e non astronautte, termineche nelmigliore dei casi suona vagamente france-se e nel peggiore decisamente assurdo. I

cambiamenti della lingua, però, sono spes-

so in ritardo rispetto ai progressi del mon-do reale. A distanza di decenni dal dibatti-to astronaut-astronautte questo ritardo ètornato d’attualità perché gli scienziati vo-gliono abbandonare il terminemanned (daman, cioè con uomini a bordo) per indicareun veicolo spaziale pilotato da uno o piùesseri umani. Semplicemente perché nonlo pilotano più solo gli uomini.

La Nasa ha già accolto il cambiamento.“I riferimenti al programma spaziale nondevono contenere indicazioni di genere”,scriveva già nel 2006l’agenzia nel manua-

le di stile destinato ai suoi redattori.

Evoluzione socialeInvece dimanned“si dice volo spaziale conequipaggio, o umano, o pilotato”, ha twit-tato di recente l’astrofisica Katie Mack.“Perché siamo nel 2015 e ogni tanto biso-gna progredire”. Mack aggiunge: “Potrestedire: ma nella mia testa ‘uomini a bordo’significa esseri umani, maschi e femmine!’Io non sono nella vostra testa né voglio en-trarci. Se volete dire ‘esseri umani’ dite‘esseri umani’”.

Forse non sorprenderà sapere che qual-cuno ha reagito alle aff ermazioni di Mackdicendo che avrebbe dovuto rivedere lasua scala di priorità: “Sicura che abbia sen-so spendere tante energie su questo?”, silegge nella replica. “Non ci sono temi ‘fem-ministi’ più impellenti?”. Reazione tantotipica quanto irritante. Le donne sonopronte a battersi per la parità e vengonocriticate o prese in giro, spesso dagli uomi-ni, solo per averlo fatto. Il fatto è che se laparità fosse la norma ci si potrebbe con-centrare tutti su altro.

“È assurdo che ne facciate una questio-ne”, disse l’astronauta Sally Ride duranteuna conferenza stampa della Nasa rispon-dendo ai giornalisti che insistevano nelfarle domande legate al fatto che era unadonna. Prima americana nello spazio nel1983, Ride veniva spesso presa in giro. Ilcomico Johnny Carson scherzava raccon-tando che un lancio era stato rinviato per-ché lei non riusciva a trovare una borsa daabbinare alle scarpe. Un giornalista dellarivista Time le chiese se i problemi inge-gneristici l’avessero mai fatta piangere. “Èun peccato”, rispose lei, “che la nostra so-cietà non si sia evoluta per niente”.u sdf  

Femminismo spaziale

Il vocabolario delle missionispaziali fatica a liberarsi dalleparole con connotazionimaschili. Ma le astronaute sonoda tempo una realtà e la linguadovrebbe cambiare

Adrienne Lafrance, The Atlantic, Stati Uniti

     N     A     S     A

Nel 1983 Sally Ride è stata la primaamericana nello spazio

Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 113

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IN BREVE

Astronomia Sono state indivi-duate alcune zone molto brillan-ti su Cerere, il pianeta nano si-tuato tra Marte e Giove, caratte-rizzato da una superficie scura.Queste aree potrebbero esserecomposte da un sale, il solfato di

magnesio, misto a rocce e forseghiaccio. È quanto emerge daidati inviati dalla sonda Dawndella Nasa, scrive Nature. Neiprossimi mesi la sonda racco-glierà dati sulla gravità del pia-neta.Biologia Batteri e funghi colo-nizzano un cadavere con unatempistica ben definita. Secon-do Science, possono quindi es-sere usati per determinare ilmomento della morte. Inoltre,

poiché i microrganismi dipen-dono dal tipo di suolo, questi da-ti possono essere usati per capi-re se il cadavere è stato spostato.

 NA  S A        J  P L   CA L T E  CH      U CL A      MP  S       DL R     I   DA 

SALUTE

La felicitànon basta

L’infelicità in sé non fa amma-lare, è la malattia che rende in-felici. Lo hanno dimostrato le719.671 donne britanniche dimezza età arruolate nel Millionwomen study che ha voluto fa-re chiarezza sul nesso di causa-eff etto tra infelicità, stress emalattia. Al momento dell’ar-ruolamento uno stato di salutecagionevole era più comune trale donne infelici. Ma, a paritàdi condizioni di salute di par-

tenza, le percentuali di mortiprecoci registrate nell’arco didieci anni tra le donne che sierano definite “per lo più” o“quasi sempre” felici erano lestesse di quelle delle donneche avevano dichiarato di nonessere “mai” felici. Dunque lafelicità e l’infelicità non han-no di per sé un eff etto diret-to sulla mortalità, concludono iricercatori sulla rivista medicaThe Lancet, smontando (al-

meno per le donne) la teoriache elevati livelli di stress escontentezza aumentino laprobabilità di ammalarsi e in-fluiscano negativamentesull’aspettativa di vita.

BIOLOGIA

L’antenatodegli uccelli L’ultimo antenato comune de-

gli uccelli moderni è vissuto inSudamerica circa 95 milioni dianni fa. Secondo Science Ad-vances, l’evoluzione di questianimali è stata modellata dalladeriva dei continenti e dai cam-biamenti ambientali. I ricerca-tori si sono basati su dati gene-tici e sui fossili. Solo 66 milionidi anni fa gli uccelli hanno co-minciato a diversificarsi e a dif-fondersi, prima in Nordamericae da lì nel vecchio mondo. L’Au-stralia e la Nuova Zelanda sa-rebbero state raggiunte attra-verso l’Antartide.

Tecnologia

Il computer più umano

Con un ragionamento induttivo gliesseri umani sono capaci diimparare un nuovo concetto anche apartire da un singolo esempio. Icomputer invece hanno bisogno dianalizzare molti dati per arrivare auna legge generale. Ora, però, in unnuovo studio nel campodell’intelligenza artificiale una

macchina ha raggiunto gli esseri umani. Il suo algoritmoè capace di riconoscere e riprodurre una letteradell’alfabeto scritta a mano, come una A, anche dopoaverne visto solo un esempio. È un compito difficile peruna macchina. Nello studio è stato usato Omniglot, unarchivio che contiene esempi di 1.623 lettere scritte amano, appartenenti a 50 sistemi di scrittura. In un test lamacchina e i volontari dovevano riprodurre una letteradopo averne visto un solo esempio. Il computer si èdimostrato in grado di farlo, come le persone. In un altrotest è stato dato al computer e ai volontari un nuovoalfabeto e gli è stato chiesto di creare nuove lettere nello

stesso stile, cosa di cui il computer è stato capace. Icaratteri prodotti dalla macchina hanno anche superato iltest di Turing: era impossibile distinguerli da quelli scrittidagli esseri umani. Il programma segna un passo avantinei sistemi di riconoscimento delle immagini.u

Science, Stati Uniti

I primi cani in provettaPer la prima volta ha avuto successo la fecondazione in vitro dei ca-ni, scrive PlosOne. È nata una cucciolata di sette animali in buonasalute. I cinque beagle e i due incroci di beagle e cocker spaniel sonofigli di due padri e tre madri, e sono stati partoriti da una quarta ca-gnolina. La tecnica potrebbe permettere il recupero di razze caninea rischio di estinzione.u

Biologia

GENETICA

Uovaterapeutiche La Food and drug administra-tion (Fda), l’ente che regola-menta farmaci e alimenti negli

Stati Uniti, ha dato il via liberaalle galline transgeniche per lasintesi del farmaco Kanuma, peril trattamento della malattia diWolman. Nel dna del volatileviene inserito un gene che pro-duce nell’uovo una versione ri-combinante dell’enzima assentenelle persone con questa rarapatologia genetica. Prima dellegalline altri due animali modifi-cati erano stati messi sul merca-to: le capre con il latte all’antico-agulante Atryn nel 2009 e i co-nigli con il latte contro l’angioe-dema ereditario nel 2014.    M

    I    K    E    C    A    R    R    O    L    L                C    O    L    L    E    G    E    O    F    V    E    T    E    R    I    N    A    R    Y    M    E    D    I    C    I    N    E    A    T    C    O    R    N    E    L    L    U    N    I    V    E    R    S    I    T    Y            

Scienza

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116 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

Il diario della Terra

  

 

 

 

 

Il periodo natalizio è quello incui si spreca più cibo. NegliStati Uniti, tra halloween e ca-podanno, ne viene buttato iltriplo del solito. E in totale sistima che vadano sprecateogni anno 34 milioni di ton-nellate di alimenti. “Ma comefare?”, si chiede un padre chedopo la festa del 31 ottobre si è

ritrovato in casa più di undicichili di dolci e caramelle.“Non possiamo lasciare che ibambini si rovinino la salutemangiando tutti questi dolciu-mi!”.

Prima di tutto, scrive la ri-vista ambientalista Grist, ilmodo migliore per sprecare dimeno è comprare di meno. Aibambini si possono proporregiochi e attività alternativeche non siano legate al cibo.

Oppure, se la casa è già pienadi caramelle, cioccolatini e al-tre leccornie, si può provare aregalarli, per esempio a uncentro anziani, o si possonoportare in ufficio per condivi-derli con i colleghi più fameli-ci. Sprecarli sarebbe davveroun peccato, vista la quantitàd’acqua, energia e terreni chemediamente serve per pro-durre qualsiasi alimento.

Un’altra idea è cercare di

svuotare il frigorifero primadelle feste, in modo da prepa-rarlo per i pranzi di famiglia.Certo, per quanto ci sforziamodi non cucinare troppe cose,d’immaginare quanto arrostomangerà lo zio e se i funghi inpadella piaceranno a tutti, unpo’ di avanzi ci saranno: trat-tateli con cura, invitate a cenaqualche amico il giorno dopoe poi surgelate o regalate il re-sto. E se proprio i vostri funghinon hanno avuto successobuttateli nell’umido.

Sprechi

di Natale

Ethical living

Cicloni Almeno undici per-sone sono morte nel passaggio

del tifone Melor sulle Filippinecentrali. Settecentomila per-sone sono state costrette a la-sciare le loro case.

Alluvioni Trentuno perso-ne sono morte nelle alluvionicausate dalle forti piogge chehanno colpito Kinshasa, la ca-pitale della Repubblica Demo-cratica del Congo. Altre 18 per-s0ne sono morte negli allaga-menti a Bukavu, nella provin-

cia orientale del Sud Kivu.

Terremoti Un sisma di ma-gnitudo 6,9 sulla scala Richterè stato registrato nel mar diBanda, un mare internodell’arcipelago indonesiano.Non ci sono state vittime.Scosse lievi sono state registra-te a Taiwan e in Guatemala.

Tempeste Una persona èmorta durante una tempestanell’arcipelago portoghesedelle Azzorre.

Caldo Il 13 dicembre letemperature hanno raggiuntoi 19 gradi a Central Park, aNew York, il dato più alto daquando sono cominciate lerilevazioni.

Pinguini Il ministerodell’ambiente sudafricano halanciato l’allarme per il crollodella popolazione dei pinguini

del Capo. Dal 2004 al 2014 ilnumero delle coppie riprodut-

trici si è ridotto del 90 percento, passando da 32mila atremila, a causa del trasferi-mento verso sudest dei banchidi sardine, la loro principalefonte di nutrimento.

Aquile Un esemplare diaquila delle Filippine, unaspecie a rischio di estinzione,è nato in cattività in una

riserva naturale dell’arcipe-lago.

    C    H    A    R    I    S    M     S

    A    Y    A    T             A    F    P             G    E    T    T    Y         

Bulan, Filippine

Otarie I casi di disorientamento tra le otarie, o leoni marini,della California potrebbero essere dovuti a un’alga, la Pseudo-nitsczhia. Sembra che il cervello degli animali possa esseredanneggiato da una tossina prodotta dall’alga, l’acido domoico,che confonde l’animale e ne distrugge la memoria spaziale. Lafioritura delle alghe e la produzione della neurotossina è favoritadai cambiamenti ambientali e dalle attività umane, scriveScience. Anche gli spiaggiamenti dei cetacei potrebbero esseredovuti alla tossina. Nella foto, un gruppo di otarie sul molo 39 aSan Francisco, in California.

    R    O    B    E    R    T    G    A    L    B    R    A    I    T    H             R

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Il diario della Terra

u Gli iceberg che si staccanodall’Antartide possono rimane-re a galleggiare nell’oceano peranni. Alcuni si incagliano, men-

tre altri sono trascinati dalle cor-renti che circumnavigano il con-tinente. Nell’area in cui le cor-renti sono bloccate dall’isoladella Georgia del Sud, alcuniiceberg virano verso nord.

La loro posizione così a nordnon è comune, ma nemmenorarissima. L’aspetto interessan-te, però, è che alcuni produconodelle onde nell’atmosfera. Pro-prio come le navi si lasciano die-tro una scia a forma di v nell’ac-qua, così gli iceberg più alti pos-sono lasciarsi dietro una scia

nelle nuvole a bassa quota. “Lescie di nubi si notano soprattut-to a ridosso dei due iceberg piùgrandi”, spiega Kelly Brunt, gla-

ciologa del Goddard spaceflightcenter della Nasa, commentan-do la foto. “Ma anche in uno de-gli iceberg più piccoli, subito asud di quello più grande”. Se-condo la ricercatrice i tre ice-berg sono tabulari – blocchi dal-la sommità piatta che si sonostaccati da una piattaforma dighiaccio – segno che probabil-mente raggiungono un’altezzapiù o meno simile (nell’ordine didecine di metri) rispetto al livel-lo del mare.

Questi iceberg possono en-

trare a contatto con la nebbia abassa quota e produrre scie dinubi. Due hanno anche genera-to delle increspature più in alto

nell’atmosfera. Sono nubi oro-grafiche, che si formano quandouna massa d’aria d’alta quota ècostretta a salire per superare ungrosso ostacolo. Si osservano disolito sulle isole. A diff erenzadella nebbia a bassa quota checausa una scia di nubi, la massad’aria che forma le nubi orogra-fiche non deve trovarsi allo stes-so livello degli iceberg. Bastache incontri un’interferenza ab-bastanza forte da costringerla asalire invece che a girarciintorno.–K. Hansen (Nasa)

Questa foto scattata il 27novembre 2015 dal satelliteTerra della Nasa mostra al-cuni iceberg che galleggia-

no al largo dell’isola dellaGeorgia del Sud, più di1.600 chilometri a est-nordest dalla punta del Su-damerica.

Il pianeta visto dallo spazio 27.11.2015

Le scie di nubi degli iceberg antartici

u

     E     A     R     T     H     O     B     S     E     R     V     A     T     O     R     Y              N     A     S     A

Georgia del Sud

Iceberg

IcebergIceberg

Nord

25 km

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Economia e lavoro

Negli ultimi anni l’espansionedella finanza islamica ha ri-scosso un interesse crescente.In Cina i musulmani rappre-

sentano solo una piccola percentuale dellapopolazione, ma ci sono già diverse impre-se che usano prodotti finanziari islamici.Gli esperti fanno notare che la “nuova viadella seta” (il progetto infrastrutturale lan-ciato da Pechino per collegare l’Asia, l’Afri-ca e l’Europa) attraversa molti paesi a mag-gioranza musulmana e quindi la finanzache segue i precetti del Corano potrebbe

avere un ruolo importante nella sua realiz-zazione.

Come sottolinea Viviam Jamal, diret-trice esecutiva della commissione per losviluppo economico del Bahrein, nel Me-dio Oriente e nel sudest asiatico gli investi-menti nella finanza islamica rappresenta-no un quarto della disponibilità bancaria.In questo contesto “la Cina potrebbe faremolto”, aggiunge Jamal. “Un’azione fon-damentale sarebbe quella di garantire, conleggi e regolamenti, che le istituzioni fi-nanziarie islamiche possano competere in

un ambiente imparziale”.Abdulhakeem Y. Al Khayyat, ammini-

stratore delegato della Kuwait FinanceHouse nel Bahrein, spiega che la conformi-tà dellafinanza islamica alla sharia, la leggecoranica, permette di accedere più rapida-mente ad alcune realtàfinanziarie uniche almondo: per esempio mercati emergentiislamici densamente popolati, come quellodell’Indonesia, e aree molto ricche, comequella del golfo Persico. “Le cause della cri-sifinanziaria mondiale scoppiata nel 2008sono riconducibili alla mancanza di etica ealle speculazioni irresponsabili degli inve-stitori”, aggiunge Al Khayyat. “La finanza

islamica, invece, si basa su strumenti cherispettano degli standard morali. Questatipologia di prodotti attira sia i musulmanisia i non musulmani. E dal momento chenon provocano crisifinanziarie, la loro do-manda aumenta costantemente”.

Condivisione dei rischiNella finanza islamica gli interessi sonoproibiti, così come gli investimenti in set-tori condannati dalla religione: per esem-

pio la produzione di alcol e il gioco d’azzar-do. Invece sono favorite la condivisionedei rischi e la partecipazione agli utili. Inogni caso è possibile ricavare profitti. Peresempio gli investitori che comprano ovendono obbligazioni islamiche (sukuk)non possono riscuotere interessi, ma ot-tengono un ritorno partecipando alla pro-prietà del progetto finanziato.

Jamal fornisce alcuni esempi. Quandosottoscrive un mutuo per comprare unacasa, l’acquirente che ha ottenuto il presti-to dalla banca islamica troverà sul certifi-cato di proprietà immobiliare due nomi: ilsuo e quello della banca. Sul documento

sarà chiaramente indicata la percentualeposseduta da ciascuna delle parti. Duranteil periodo in cui l’acquirente restituisce ilprestito, le quote in possesso delle particambiano. Quando il prestito sarà estinto,sul certificato resterà solo il nome dell’ac-quirente. Questa pratica riflette i princìpidi equità e condivisione dei rischi che ca-ratterizzano la finanza islamica. Jamal,inoltre, chiarisce un possibile malinteso:non occorre essere musulmani per accede-

re a questo sistema. In diversi paesi, infatti,ci sono già molte persone non musulmaneche usano prodotti e servizi finanziari isla-mici.

Jamal ricorda che il Bahrein ha una lun-ga storia come centrofinanziario islamico.Qui si concentrano banche e compagnie diassicurazione islamiche, istituti di forma-zione e ricerca, gestori di fondi e organismiinternazionali che regolano e controllanoil settore. Nel paese ci sono molte personecon la formazione adatta alla finanza isla-mica e un ambiente in grado di capire ilfunzionamento del settore.

Ma diversi stati, ormai, sono in compe-

    A    D

    E    K    B    E    R    R    Y             A    F    P             G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S         

 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015 121

Lafinanza islamica

conquista l’Asia

I prodottifinanziari conformialla sharia si stannodiff ondendo nei paesi asiatici.Soprattutto in Malesia,Indonesia e Cina

Ta Kung Pao, Cina

Jakarta, Indonesia

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122 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

tizione per diventare centrifinanziari isla-mici. “Vogliamo contribuire allo sviluppodi questo sistema ed espanderlo a livelloglobale”, dice Jamal. “E quindi non possia-mo che accogliere con favore l’aff ermarsidi centri di finanza islamica a Londra o inLussemburgo, inoltre ci auguriamo checentrifinanziari già sviluppati, come quel-lo malese, continuino a dare il loro contri-buto. Il Bahrein spesso sostiene altri paesicon lo scopo di promuovere il settore. Cre-diamo che questa sia una cosa positiva e

che possa produrre vantaggi per il paese”.Secondo una ricerca recente, oggi il gi-

ro d’aff ari della finanza islamica è di 1.810miliardi di dollari: 1.340 miliardi sono ge-stiti dalle banche commerciali islamiche,33,4 miliardi dalle assicurazioni e 29,5 mi-liardi sono costituiti da obbligazioni. Nel2020 il giro d’aff ari passerà a 3.250 miliar-di. Quest’enorme mercato ha attirato l’in-teresse di molti paesi, che stanno provandoa diventare “centri finanziari islamici in-ternazionali”.

Centri di primo pianoSecondo uno studio citato da Gulf Times,un quotidiano degli Emirati Arabi Uniti,oggi la finanza islamica ha solo due centridi primo piano: la Malesia e gli EmiratiArabi Uniti. Dubai, in particolare, rappre-senta uno dei mercati più importanti per letransazioni basate sui prodotti finanziariislamici ed è il terzo centro almondo per lo scambio dei sukuk.Alla metà del 2014 il valore diqueste obbligazioni quotate allaborsa di Dubai aveva raggiunto i

22 miliardi di dollari, di cui più di18 miliardi erano scambiati al Nasdaq Du-bai (un indice aperto agli investitori e alleaziende internazionali). La Banca islamicaper lo sviluppo, inoltre, ha già avviato unpiano per l’emissione di sukuk attraverso ilNasdaq Dubai pari a dieci miliardi di dolla-ri. Questa operazione darà un ulterioreimpulso allo sviluppo dell’emirato comecentrofinanziario islamico.

Nel maggio del 2015, invece, la Malesiaha emesso 150 milioni di dollari in obbliga-zioni islamiche. Il premier e ministro dellefinanze malese Najib Razak ha dichiaratoche “il piano permetterà di consolidare la

posizione del paese come centro finanzia-rio islamico internazionale”. Le obbliga-zioni lanciate dalla Malesia includono su-kuk con scadenza decennale e un valorepari a un miliardo di dollari e altri titoli conscadenza trentennale per un valore di 500milioni. Questi ultimi sono i primi titoli ob-bligazionari islamici al mondo ad avereuna scadenza così lunga e hanno già rag-giunto un valore sei volte superiore a quel-lo iniziale: una conferma dell’alto gradi-mento che questi prodotti finanziari ri-

scuotono sul mercato, e dellafiducia versoil sistema malese da parte dei capitali stra-nieri.

Anche il presidente indonesiano JokoVidodo ha più volte espresso la speranzache in futuro il suo paese diventi un centrofinanziario islamico mondiale. Vidodo sidice ottimista, perché l’Indonesia è il pae-se con il maggior numero di musulmani almondo ed è il più grande mercato mondia-le per l’acquisto dei sukuk da parte degliinvestitori privati. Gradualmente divente-rà il principale stato a emettere obbligazio-

ni islamiche. Se il paese continuerà a sfrut-tare il suo potenziale, la speranza del presi-dente indonesiano è destinata a diventarerealtà.

La nuova via della setaIn questa corsa alla finanza islamica si èritagliato un piccolo spazio anche Hong

Kong. Nel settembre del 2014l’ex colonia britannica ha emes-so obbligazioni islamiche per unmiliardo di dollari, e nell’apriledel 2015 l’autorità monetaria di

Hong Kong ha annunciatol’emissione di una seconda tranche di ob-bligazioni dello stesso valore entro la finedell’anno. Il piano ha una durata comples-siva di cinque anni. Hong Kong ritiene checon questa seconda tranche potrà consoli-dare la sua posizione di centro finanziarioislamico emergente.

In Cina non ci sono ancora istituzionifinanziare islamiche specializzate, mamolte aziende pensano di aprirsi al settore.Il responsabile per l’area Asia-Pacifico del-lo Shariah Advisory Group di Ginevra, unasocietà di consulenza specializzata nellafinanza islamica, ha dichiarato all’agenzia

Reuters che “sulla spinta del progetto dellanuova via della seta oggi le imprese statalie private cinesi sono sempre più disposte asviluppare iniziative di finanza islamica”.Lo Shariah Advisory Group, per esempio,sta aiutando il gruppo Hna a finanziarel’acquisto di una flotta di navi, per una cifrapari a 150 milioni di dollari: l’operazionepotrebbe essere il primo prestito ottenutoda un’azienda cinese attraverso un istitutofinanziario islamico. Il responsabile delprogetto ha aggiunto che l’Hna ha anche

intenzione di emettere obbligazioni isla-micheo ff  shore.

Lo scorso ottobre l’azienda immobilia-re cinese Country Garden ha annunciatoun programma per l’emissione di obbliga-zioni islamiche a medio termine attraversouna società controllata con sede in Male-sia: il valore nominale dell’emissione è pa-ri a 1,5 miliardi di ringgit (circa 350 milionidi dollari). È il primo esempio di titoli im-mobiliari islamici emessi su scala naziona-le. Zhang Yansheng, direttore dell’istitutoper la ricerca economica internazionale,

ha dichiarato che il Ningxia, regione auto-noma nel nord della Cina, potrebbe diven-tare la base della cooperazionefinanziariatra Pechino e i paesi del golfo Persico. Lasperanza è che nel giro di cinque, massimodieci anni il Ningxia diventi un centro fi-nanziario islamico cinese di respiro inter-nazionale. Abdulhakeem Y. Al Khayyat,invece, ritiene che Shanghai abbia più pos-sibilità. Secondo il manager, un centro fi-nanziario islamico può fiorire più facil-mente in una borsa tradizionale. Anche ilBahrein, infatti, prima di diventare un cen-

tro finanziario islamico era una piazza fi-nanziaria già avviata.

La finanza islamica, infine, richiede ladisponibilità di professionisti qualificati.Secondo Jamal, se la Cina vuole sviluppareil settore è molto importante che la forma-zione del personale avvenga anche all’este-ro. “Anche se i professionisti cinesi dellafinanza raggiungono già un livello moltoalto, hanno ancora bisogno di impararedalle migliori realtà internazionali. La Ci-na potrebbe per esempio inviare personalein Malesia o negli istituti di formazione delBahrein. Oppure collaborare con questiistituti di formazione”.u  gn

Economia e lavoroIl presidente indonesiano Vidodo ha espresso la speranza che in futuroil suo paese diventi un centrofinanziario islamico mondiale

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PORTOGALLO

Il paradisodelle startup “Lisbona è la nuova capitale eu-ropea delle startup”, scrive LeMonde. Il merito principale è di

Empresa na hora (impresa inun’ora), un’iniziativa del gover-no che permette di avviare unanuova azienda in poco meno diun’ora. “Gli investitori sono atti-rati dal basso costo del lavoro edegli affitti”. La francese StinaGläns, per esempio, ha lasciatoBerlino per il Portogallo: “InGermania ho dovuto aspettaresettimane ed esibire un contrat-to di locazione prima di ottene-re qualcosa”. Lo stesso quotidia-no francese ha verificato il siste-ma: un suo giornalista è riuscitoad aprire un’azienda in due gior-

ni. E grazie alla Labs Lisboa,un’azienda creata dal comune eda investitori privati per favorirelo sviluppo delle startup, ha ri-cevuto assistenza per seleziona-re i dipendenti e gestire i rap-porti con i mezzi d’informazio-ne. Aziende come la Beta-I, in-

vece, organizzano la Lisbonchallenge, un evento in cui lestartup presentano le loro ideeagli investitori, che per l’occa-sione arrivano anche dagli StatiUniti e dal Regno Unito. Attra-verso un altro incubatore, Li-sboa, il giornalista di Le Mondeha trovato anche una sede, pa-gando un affitto di trecento euroal mese. Il ministero dell’econo-mia, infine, copre per sei mesifino all’80 per cento dello sti-pendio dei dipendenti assuntitra i disoccupati portoghesi o trai neolaureati.

La banca svizzera Ubs è stata unadelle prime a essere travolta dallacrisi scoppiata nel 2008, ma èriuscita a riprendersi moltorapidamente, scrive Brand Eins.“Sette anni fa l’Ubs, che all’epocaera una delle principali bancheglobali, fu travolta dalla crisi deimutui spazzatura statunitensi e

sopravvisse grazie al piano di salvataggio da 55 miliardi dieuro approntato dal governo di Berna e dalla bancacentrale svizzera”. Nel 2013, però, l’Ubs aveva giàrestituito tutti i soldi ricevuti, garantendo tra l’altro allostato interessi per circa 5,5 miliardi di euro. Oggi sonotornati anche i profitti: “Nei primi nove mesi del 2015l’utile prima delle tasse è stato di 4,8 miliardi di euro, ildoppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”.Questo ritorno alla prosperità, però, non significanecessariamente che l’Ubs abbia cambiato radicalmenteil suo modo di fare aff ari: “Dall’inizio dell’anno si sonosusseguite le notizie di indagini sulla banca, accusata di

aver favorito l’evasionefiscale in Belgio, Germania eFrancia, di aver manipolato il mercato dei cambimonetari e quello dei metalli”.◆

Svizzera

Tutto come prima

Brand Eins, Germania

SUDAFRICA

Il valzerdei ministri

 Il 14 dicembre il primo ministrosudafricano Jacob Zuma ha no-minato Pravin Gordhan mini-stro dellefinanze. Come spiegail Mail & Guardian, è il terzoresponsabile dell’economia no-minato in una settimana. Il 9 di-cembre, infatti, Zuma aveva li-cenziato l’esperto Nhanhla Ne-ne, sostituendolo con David VanRooyen, “sconosciuto ai più”.Questo primo avvicendamentoaveva avuto gravi conseguenze:

la borsa di Johannesburg e ilrand sudafricani erano crollati,mandando il paese “sull’orlo diun abissofinanziario”. Così Zu-ma ha deciso di chiamare al mi-nistero una personalità piùesperta come Gordhan, che hadi fronte una sfida enorme: ri-durre il debito pubblico e la di-soccupazione e far ripartirel’economia.

    T    Y    R    O    N    E    S    I    U             R    E    U    T    E    R    S             C    O    N    T    R    A    S    T    O         

IN BREVE

Cina Il colosso dell’e-commer-ce cinese Alibaba ha annunciato

l’acquisto del South China Mor-ning Post (Scmp), uno dei prin-cipali quotidiani di Hong Kong.L’accordo, reso noto l’11 dicem-bre, prevede un prezzo d’acqui-sto di 266 milioni di dollari. Ali-baba assumerà il controllo an-che del sito web e delle rivistelegate alla testata. L’operazioneha sollevato seri dubbi sulla pos-sibilità che il quotidiano man-tenga un grado sufficiente di in-dipendenza, soprattutto a causa

degli stretti legami tra Jack Ma,il fondatore di Alibaba, e il go-verno di Pechino.

AUSTRIA

Un paesein declino “Due anni fa Christoph Leitl

(nella foto), il capo dell’associa-zione degli industriali austriaci,aveva detto che il paese era leg-germente in declino’”, scrive laSüddeutsche Zeitung. “Ebbe-ne, chi in questi giorni ha senti-to parlare dei nuovi e deprimen-ti dati sulla disoccupazione, del-le deboli prospettive di crescitao del fallimento della catena disupermercati Zielpunkt dovreb-be ripensare alle parole diLeitl”. Per anni l’Austria è stataconsiderata un paese modelloin Europa grazie ai suoi alti tassidi crescita e allo stato sociale af-fidabile. “Quei tempi sono finiti:la disoccupazione è al 9,2 percento, la crescita è ferma daquattro anni sotto l’1 per cento, iconsumi stagnano, gli investi-menti sono in calo”. Il fatto piùpreoccupante, spiega il quoti-diano tedesco, è che l’Austria sista dimostrando incapace di in-trodurre riforme profonde e dilasciarsi alle spalle “quel soff o-

cante status quo costituitodall’esecutivo di Vienna, dai go-verni del land e dalle aziende”.Mentre la Germania si è rinno-vata lentamente dopo la riunifi-cazione e gli altri paesi europeilo stanno facendo in seguito al-la crisifinanziaria, “la piccolaAustria non ha subìto alcunoshock ed è andata avanti comesempre difendendo i grandi in-teressi e i rapporti clientelari. InAustria il patto tra i partiti al go-

verno, le aziende e i sindacatiha di fatto impedito ogni rifor-ma impor tante”.

    G    I    U    S    E    P    P    E    C    A    C    A    C    E             A    F    P             G    E    T    T    Y    I    M    A    G    E    S         

Economia e lavoro

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http://slidepdf.com/reader/full/internazionale-n-1133-18-22-dicembre-2015 127/132Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015   127

Strisce

Prendo questi

pantaloncini

42,90

paga

il signore

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L’oroscopo

Rob Brezsny

      i    n     t    e    r    n

    a    z      i    o    n    a       l    e  .      i     t       /    o    r    o    s    c    o     p    o

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 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015   129

VERGINE

 Forse nelle prossime setti-

mane non dovrai concreta-mente usare un piede di porco, maquesto rozzo attrezzo ti servirà co-me metafora. Dovunque andrai,immagina di averne uno con te. Èarrivata l’ora di scassinare qualcheporta sbarrata, forzare qualcheblocco, costringere qualche autori-tà a cedere, liberare qualche perso-na intransigente dalle suefissazio-ni. Devi sbloccare con un interven-to deciso tutto quello che è blocca-to o inceppato.

BILANCIA

Le prossime settimane sa-ranno un periodo favorevo-

le per scoprire profondità nascostee ricchezze sconosciute. Ti invitoad andare più avanti e più a fondoin tutti i modi possibili. Coltiva unrapporto più consapevole con le ri-sorse che a volte dai per scontate.Tuff andoti nell’oscurità puoi rag-giungere piaceri e tesori. Durantela tua esplorazione, tieni a mentequesto consiglio dello scrittoreT. Harv Eker: “In ogni foresta, inogni fattoria, in ogni orto del pia-

neta, quello che è sotto la terracrea quello che c’è sopra. È perquesto che concentrare l’attenzio-ne sui frutti maturi è inutile. Quelligià sugli alberi non si possonocambiare”.

SCORPIONE

Nelle prossime settimane laricerca del piacere potrebbe

prosciugare le tue capacità creati-ve, ridurre le tue possibilità di col-laborazione e logorarti. Ma è an-che possibile che aumenti le tua

creatività, ti faccia entrare in siner-gia con i tuoi alleati e ti off ra nuoveopportunità. Come andranno lecose? Tutto dipenderà dal tipo dipiaceri che cercherai. Quelli scioc-chi e mediocri che ti inebetisconofaranno rattrappire la tua anima.Quelli intelligenti, aff ascinanti ecorroboranti allargheranno la tuamente. Hai capito? Di’ “no” alladecadenza che banalizza per poterdire “wow, sì” alla felicità che ele-va lo spirito.

CAPRICORNO

Sei pronto per la Gara dellarabbia fredda? Puoi guada-

gnare il massimo dei punti espri-mendo la tua insoddisfazione in

modi che possano provocare cam-biamenti costruttivi. Ti sarà ancheattribuito un bonus se sarai capacedi comunicare con tatto sentimen-ti complicati e di usare la tua intel-ligenza emotiva per fare analisiche spingano gli altri a immedesi-marsi invece che a mettersi sulladifensiva. Quali sono i premi? Ilprimo è una svolta decisiva nel tuorapporto con un alleato che nel2016 potrebbe essere fondamenta-le per la tua crescita. Il secondo è laliberazione da una convinzioneche per te costituisce un limite.

ACQUARIO

 Martino di Tours, un mona-co francese del quarto seco-

lo, fu tra i pionieri dell’enologia.Fondò l’abbazia di Marmoutier epiantò vigneti nella tenuta circo-stante. Secondo la leggenda, il suoasino ebbe un ruolo chiave per fareuscire la viticultura dal suo statoprimitivo. A metà della maturazio-ne dell’uva, l’animale si liberò del-la cavezza e mordicchiò i rami dimolte viti. I monaci erano furiosi,

perché temevano che il raccoltofosse rovinato. Ma allafine l’uvacrebbe meglio dell’anno preceden-te e il vino che produsse fu favolo-so. Così nacque la pratica della po-tatura, che ormai è d’obbligo pertutti i viticoltori. Qual è il tuo equi-valente dell’asino di Martino, Ac-quario? Scommetto che prestoeserciterà la sua influenza.

PESCI

”Il bisogno più sentito dellanatura umana è essere im-

portanti per gli altri”, diceva l’edu-catore John Dewey. Se è così, Pe-sci, questo bisogno sarà soddisfat-to come non ti succedeva da moltotempo. Gli allineamenti astralisembrano indicare che stai perraggiungere il massimo valore agliocchi degli altri. È insolitamenteprobabile che ti vedano e ti apprez-zino per quello che sei. Se finorahai sottovalutato quanto vali, dubi-to che potrai continuare a farlo.Ora il tuo compito è fare un inven-tario realistico di tutti i modi in cui

la tua vita ha avuto un impatto po-sitivo su quella delle persone chehai conosciuto.

SAGITTARIOIl granato è considerato meno prezioso del diamante,

ma in natura tra queste due pietre c’è un rapporto pro-fondo. Dove si trovano granati in superficie è quasi sicu-

ro che ci siano diamanti in profondità. È un metafora della tua vi-ta, Sagittario. Sospetto che tu ti sia imbattuto, o stia per imbatter-ti, in una versione metaforica dei granati: forse dovresti cercare iltesoro più prezioso verso il quale ti indirizzano.

COMPITI PER TUTTI

 Prova a indovinare di cosa sarai più orgogliosoo orgogliosa tra quindici anni

ARIETE

I neanderthal erano unaspecie diversa da quella

dell’homo sapiens, il nostro ante-nato, con cui è coesistita per alme-no cinquemila anni. Allafine i ne-anderthal si sono estinti e la nostraspecie è sopravvissuta. Perché?Uno dei motivi, dice il divulgatorescientifico Marcus Chown, è chenoi abbiamo inventato l’ago percucire. I nostri neonati avevano ve-stiti che li tenevano al caldo duran-te l’inverno, mentre i bambini deineanderthal, coperti con pelli dianimali, avevano un tasso di so-pravvivenza più basso. Questovantaggio è stato molto importan-te. Penso che tu sia pronto per tro-vare e sfruttare qualcosa di piccolo

ma altrettanto decisivo per batterei tuoi concorrenti, Ariete.

TORO

L’artista concettuale RobertBarry ha creato un’installa-

zione intitolata 30 pieces, costituitada foglietti di carta su cui avevascritto: “Qualcosa che è molto vici-no nello spazio e nel tempo, mache ancora non conosco”. Secondola mia lettura dei presagi astrali,questa frase coglie lo spirito delmomento in cui stai entrando, ma

nelle prossime settimane subiràun’evoluzione. Prima diventerà:“Qualcosa che è molto vicino nellospazio e nel tempo e che sto co-minciando a conoscere”. E verso lametà di gennaio potrebbe trasfor-marsi in: “Qualcosa che mi è moltovicino e caro, e che ora conosco”.

GEMELLI

“In ognuno di noi, anche inquelli che sembrano più

moderati, c’è sempre un desiderioarcano, selvaggio e sfrenato”. Lo

ha scritto ilfi

losofo greco Platonenella Repubblica. Volevo ricordar-telo in tempo per la tua Stagione

del risveglio dei desideri profondi.Nei prossimi giorni, se vorrai, po-trai entrare in perfetta sintoniacon gli aspetti più arcani, selvaggie sfrenati dei tuoi desideri primor-diali. Aspetta un attimo! Non stodicendo che devi fare immediata-mente qualcosa per soddisfarli.Per il momento, accontentati diprovarli e osservarli. Scopri quelloche hanno da insegnarti. Prima diconsiderare la possibilità di espri-merli, aspetta il nuovo anno.

CANCRO

Complimenti! Hai infrantotutti i tuoi record di dedizio-

ne a compiti noiosi ma utili. A no-me degli altri undici segni, ti rin-grazio per la tua eroica, anche se

poco eccitante, campagna di mi-glioramento. Non solo hai purifi-cato le tue risorse emotive e ti seidato un po’ di spazio per respirare,ma hai anche reso più facile aglialtri aiutarti e starti vicino. Nonhai ancorafinito, però: c’è qualchedettaglio da sistemare prima chegli dei del sano tedio ti lascino inpace. Intanto comincia a cercare isegni della tua grande opportuni-tà di lanciarti verso la libertà. Ar-riveranno presto.

LEONELa parola inglese fl uke si-gnifica “colpo di fortuna”.

In origine veniva usata dai gioca-tori di biliardo quando gli riusci-vano tiri che non avevano nean-che cercato di fare. Più tardi il si-gnificato si è allargato ed è arriva-to a indicare qualsiasi evento posi-tivo dovuto al caso. Ho il sospettoche tu stia per essere il beneficia-rio di quella che sembra una seriedi fl uke, Leone. Almeno in un ca-so, però, ti sarai guadagnato la

buona sorte impegnandoti seria-mente ma senza darlo troppo avedere.

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L’ultima

Le regole Musica natalizia1 I canti di Natale si fanno dal vivo accanto a un pianoforte. E con un cappello da Babbo Natale in testa.2 Hai comprato il cd di Natale di Olivia Newton-John. Perché? 3 Basta con Jingle bells: la globalizzazioneprevede che tu sappia a memoria le parole di Feliz Navidad. 4 Per cantare in italiano, accantona per tre

minuti il tuo laicismo militante e cimentati in Tu scendi dalle stelle. È bellissima. 5 Con la giusta dose dicampane e campanelli qualunque brano diventa un canto di Natale. [email protected]

130 Internazionale 1133 | 18 dicembre 2015

 WA L  S H

    B    E    R    T

    R    A    M    S ,    P    A    E    S    I    B    A    S    S    I

 C O UT Y   ,T É  L É  RA MA   ,F R

A  N CI  A 

    E    L    R    O    T    O ,    E    L    P    A     Í    S ,    S    P    A    G    N    A

    G    U    S    T    A    F    S    O    N ,    S    V    E    Z    I    A

“Inseguo un sogno, ho detto ai miei genitori, e loro mihanno regalato un materasso. Forse non mi hanno capito”.

Francia: “Avanti a destra”.

25 dicembre 2050. “Buon Natale”.

Fine della conferenza sul clima di Parigi.

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