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Internazionale Lombardia News n. 19 – novembre 2016 A cura del Dipartimento delle politiche europee e internazionali di cooperazione e migratorie Cisl Lombardia E adesso Europa, che fai? Sono passati pochi giorni dalla clamorosa vittoria di Donald Trump alla Presidenza USA e dopo i fuochi d’artificio, prima della pessima campagna elettorale e poi dell’inevitabile rito dei complimenti e degli auguri da parte di amici ed avversari, vengono adesso le cose serie, in particolare per l’Europa. [...] Voci dall’Europa e dal mondo » COP 22: le cinque questioni chiave per la CES » Turchia: continuano i licenziamenti, Preoccupata la CSI » CESE ILO: Dialogo sul futuro del lavoro Prospettive europee » Previsioni economiche d’autunno » La povertà in Europa: i dati Eurostat 2015 » Indice della giustizia sociale in Europa » Europarlamentari in visita ai campi profughi » Città europee “verdi” Immigrazione e cittadinanza » Reinsediamento e ricollocazioni: rispettare gli impegni » Rapporto sulla protezione internazionale in Italia » L’impatto dell’economia immigrata Cooperazione allo sviluppo » Quante risorse per gli aiuti allo sviluppo » La valutazione di impatto nella cooperazione » Cop 22: dichiarazione interreligiosa sul clima Inoltre in questo numero: Premiato un film prodotto da Iscos A Monza: Convegno sulla violenza alle donne ANOLF Lombardia CISL Lombardia ISCOS Lombardia CISL Lombardia

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InternazionaleLombardia News

n. 19 – novembre 2016

A cura del Dipartimento delle politiche europee einternazionali di cooperazione e migratorie Cisl Lombardia

E adesso Europa, che fai?Sono passati pochi giorni dalla clamorosa vittoria di Donald Trump alla Presidenza USA edopo i fuochi d’artificio, prima della pessima campagna elettorale e poi dell’inevitabilerito dei complimenti e degli auguri da parte di amici ed avversari, vengono adesso le coseserie, in particolare per l’Europa. [...]

Voci dall’Europa e dal mondo» COP 22: le cinque questioni chiave per la CES

» Turchia: continuano i licenziamenti, Preoccupata la CSI

» CESE ILO: Dialogo sul futuro del lavoro

Prospettive europee» Previsioni economiche d’autunno

» La povertà in Europa: i dati Eurostat 2015

» Indice della giustizia sociale in Europa

» Europarlamentari in visita ai campi profughi

» Città europee “verdi”

Immigrazione e cittadinanza» Reinsediamento e ricollocazioni: rispettare gli impegni

» Rapporto sulla protezione internazionale in Italia

» L’impatto dell’economia immigrata

Cooperazione allo sviluppo» Quante risorse per gli aiuti allo sviluppo

» La valutazione di impatto nella cooperazione

» Cop 22: dichiarazione interreligiosa sul clima

Inoltre in questo numero:Premiato un film prodotto

da IscosA Monza: Convegno sulla

violenza alle donne

ANOLF Lombardia

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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In primo piano

E adesso Europa, che fai?di Franco Chittolina | 13 novembre 2016

Sono passati pochi giorni dalla clamorosa vittoria di Donald Trump alla Presidenza USA e dopo i

fuochi d’artificio, prima della pessima campagna elettorale e poi dell’inevitabile rito dei

complimenti e degli auguri da parte di amici ed avversari, vengono adesso le cose serie, in

particolare per l’Europa.

Qualcuno già pronostica che per il nazional-populismo in grande spolvero possa valere la regola

del “non c’è due senza tre”: dopo i successi sulle due sponde dell’Atlantico, prima di Brexit e adesso

di Trump, potrebbe venire adesso il turno di uno tsunami sul continente europeo.

Il pensiero va a importanti consultazioni elettorali dei prossimi dodici mesi, quando saranno

chiamati alle urne a inizio dicembre gli elettori italiani per il referendum costituzionale e quelli

austriaci per la ripetizione del ballottaggio presidenziale, gli elettori olandesi e francesi in

primavera per elezioni politiche e presidenziali e, in autunno, quelli tedeschi per le elezioni federali

e la Cancelleria.

Sarà bene che almeno stavolta all’Europa servano le lezioni del recente passato per non farsi

prendere alla sprovvista, ingannata dai sondaggi e sorda all’inquietudine e alle paure dei suoi

cittadini.

Innanzitutto non bisognerà illudersi che il 2017 sia per l’Unione Europea e per l’Italia una

passeggiata.

Il nostro Paese è da tempo alle prese con una crisi sociale ed economica che non finisce di finire,

come confermano per l’Italia le recenti previsioni della Commissione su una crescita debole, un

deficit strutturale in aumento, un debito pubblico che non accenna a ridursi e una disoccupazione

sostanzialmente congelata. Questo lo scenario sociale ed economico che farà da sfondo al voto

del 4 dicembre e a non improbabili elezioni politiche nei mesi che seguono.

Non sarà molto più allegra la situazione, a primavera, in Olanda e Francia, due Paesi fondatori

dell’Ue dai quali potrebbero venire forti ripensamenti per la prosecuzione del processo di

integrazione europea. In Olanda il nazional-populismo aveva portato nel 2014 al Parlamento

europeo oltre il 34% di euroscettici. In questi ultimi mesi la Francia vede crescere il consenso per

la destra ultra-conservatrice, nazionalista e eurofobica, di Marine Le Pen che al primo turno delle

presidenziali di maggio potrebbe arrivare in testa nel voto e presentarsi al ballottaggio non del

tutto priva di speranze visto quello che è appena capitato nelle elezioni americane.

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Meno allarmanti, ad oggi, le prospettive elettorali in Germania, dove si mantiene un quadro

politico più stabile, nonostante avanzino movimenti euroscettici, anche qui a dominante

nazionalista, che alimentano brutti ricordi di un passato che la Germania continua a scontare,

nonostante la solidità della sua vita democratica, favorita da un’economia rassicurante, ma anche

minacciata da nuove sacche di povertà e di disagio. Molte cose possono ancora capitare di qui al

giorno delle elezioni tedesche, quando per l’Unione europea, verrà meno l’alibi della cautela e del

rispetto delle sensibilità politiche nazionali che ne sta paralizzando la capacità di iniziativa.

É in queste condizioni non proprio brillanti che l’UE deve rapidamente attrezzarsi per fare fronte

ai probabili shock in provenienza da oltre Atlantico, tanto sugli sviluppi del commercio

internazionale minacciato da riflessi protezionisti che sulle scelte di politica estera e di sicurezza

esposte alle fibrillazioni che potrebbero manifestarsi in seno alla NATO, senza dimenticare

l’annunciata marcia indietro degli USA sulle politiche di salvaguardia ambientale.

Ce n’è a sufficienza per pronosticare un 2017 di grandi cambiamenti, di cui oggi è prematuro

anticipare gli esiti. Quello che è sicuro è che nulla sembra più sicuro in questo mondo sempre più

turbolento.

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Voci dall’Europa e dalmondo

A cura di CISL Lombardia

COP 22: le cinque

questioni chiave per la

CES

«Un anno dopo la COP 21 e l’adozione

dell’Accordo di Parigi, le notizie per quanto

riguarda il clima sono particolarmente

preoccupanti. Le temperature continuano a

salire e il mondo si avvicina ogni giorno di più

al momento in cui le perturbazioni climatiche

non saranno gestibili.

I fenomeni metereologici estremi si

succedono con una cadenza inquietante

esponendo milioni di uomini e di donne a un

disagio sia materiale sia psicologico. Di fronte

a questo quadro non si può restare in attesa

ma è necessario amplificare e accelerare gli

sforzi per ridurre le emissioni di gas-serra e

adottare politiche adattive ai cambiamenti in

atto.

«A pochi giorni dalla Conferenza di

Marrakech la CES formula cinque domande

prioritarie che riflettono le inquietudini del

movimento sindacale europeo e

internazionale».

Comincia così il documento con il quale la

Confederazione Sindacale Europea (CES)

rende nota la sua posizione in vista della COP

22. Seguono i cinque punti-chiave del

comunicato.

In primo luogo, la CES accoglie

favorevolmente la rapida ratifica

dell’Accordo da parte dell’Unione Europea e

chiede altrettanta celerità agli Stati membri,

auspicando che «l’entrata in vigore apra la

strada all’applicazione senza indugi delle

principali disposizioni». Particolarmente

importanti sono ritenuti i contributi

nazionali, gli investimenti pubblici e il

coinvolgimento dei partner sociali.

La CES sottolinea, inoltre, l‘urgenza dell’avvio

dei negoziati su quegli elementi dell’Accordo

di Parigi che richiedono ancora alcune

decisioni, ad esempio il «quadro di

trasparenza» le «modalità del bilancio

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mondiale», «le linee guida sui Contributi

nazionali», la definizione dei meccanismi che

garantiscano il rispetto dell’accordo.

L’auspicio della CES è che le decisioni

adottate a Marrakech non indeboliscano

l’attuale quadro e non affievoliscano

l’imperativo della “Giusta transizione”.

La CES ribadisce la sua preoccupazione per lo

scarto tra gli impegni collettivi nella lotta al

surriscaldamento e la limitatezza degli

impegni nazionali. Invita altresì Commissione

europea e Stati membri a rivedere al rialzo gli

obiettivi 2030 intensificando sforzi e

investimenti in quei settori capaci di creare

occupazione (efficientamento degli edifici,

trasporti sostenibili, economia circolare,

energie rinnovabili).

Il Comunicato CES contiene anche l’invito a

integrare gli imperativi della giusta

transizione e del Decent Work come evocato

nel preambolo dell’Accordo di Parigi facendo

riferimento anche ai Principi per la Giusta

transizione adottati dall’Organizzazione

Internazionale del Lavoro, «riferimento

riconosciuto e offerto ai governi e ai partner

sociali disponibili a fare in modo che la giusta

transizione diventi una realtà.

Infine, gli ultimi riferimenti del Comunicato

riguardano il finanziamento della lotta al

cambiamento climatico e la gestione dei

flussi dei migranti ambientali.

Non solo bisogna onorare gli impegni assunti

fino al 2020 (100 miliardi di dollari per i Paesi

in via di sviluppo) ma bisogna anche mettere

a punto un piano per perpetuare tale

sostegno

I cambiamenti climatici - conclude la CES –

amplificheranno le migrazioni e l’Ue deve

contribuire a costruire una risposta politica

globale che non può prescindere dal

riconoscimento in sede ONU dello status di

rifugiato ambientale.

07 novembre 2016 | SINDACATO | per

approfondire

Turchia: continuano i

licenziamenti,

preoccupata la CSI

Il governo turco del presidente Erdogan ha

licenziato oltre 10.131 dipendenti pubblici. I

licenziamenti raggiungono così quota

100.000 dal golpe di metà luglio.

I licenziamenti riguardano persone che

lavorano nei ministeri e nelle agenzie

afferenti ai settori della sanità,

dell’educazione (dove insiste il maggior

numero di licenziamenti e le nuove

assunzioni possono seguire criteri di assoluta

arbitrarietà) e della giustizia.

I provvedimenti sono stati adottati come

conseguenza di nuovi decreti dello stato di

emergenza deciso dal Consiglio dei ministri

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dopo il tentativo di golpe. Arrivano così a

dieci i decreti adottati; molti di essi avranno

conseguenze permanenti per la politica,

l’economi e la società del Paese.

La scorsa settimana almeno 11

rappresentanti del partito di opposizione

HDP sono stati arrestati, dopo che era stata

abolita, nello scorso mese di maggio,

l’immunità parlamentare di oltre 130

deputati eletti. Il partito HDP (Halklarin

Demokratik Partisi, - Partito Democratico dei

Popoli) ha annunciato la sospensione delle

proprie attività parlamentari, intanto

procedono anche gli arresti di giornalisti

(sono oltre 100 ad oggi quelli in carcere) le

chiusure di giornali e il blocco di siti web,

profili social e connessioni internet.

Sharan Burrow, Segretaria generale della

Confederazione Sindacale Internazionale

(CSI) ha dichiarato che ad oggi in Turchia la

democrazia è una «pura impostura».

«Il governo turco – prosegue Burrow – lede le

libertà fondamentali di espressione, quelle

sindacali e si prende gioco del parlamento

arrestando i membri in carica. Ancora una

volta il presidente turco si avvale di un

manipolo di uomini che hanno fallito la presa

del potere, per liberarsi dei fondamenti

elementari della democrazia. La CSI ha già

messo in guardia sui rischi di una deriva

dittatoriale della Turchia e della conseguente

persecuzione dei lavoratori su base etnica o

per reati di opinione».

Nel corso di una riunione del Comitato

Esecutivo della CES che ha reso nota la sua

profonda preoccupazione al presidente della

Commissione europea Jean-Claude Juncker,

il Segretario CES, Luca Visentini ha dichiarato

che «La Turchia deve rispettare i valori

democratici e le libertà sindacali stabilite

dalle convenzioni ONU e dai Trattati

internazionali».

«Condanniamo il mancato golpe ma non

possiamo accettare la distruzione dei mezzi

di sussistenza di centinaia di migliaia di

famiglie, nella maggior parte dei casi senza

prove».

10 novembre 2016 | SINDACATO | per

approfondire

CESE ILO: dialogo sul

futuro del lavoro

Il Comitato Economico e Sociale Europeo

(CESE) e l’Organizzazione Internazionale del

Lavoro (OIL – ILO) hanno avviato un dialogo

di ato livello sul futuro del lavoro, riunendo

otre 300 rappresentanti dei partner sociali e

delle organizzazioni della società civile con

l’obiettivo di individuare i principali motori di

cambiamento del lavoro e dell’economia in

Europa, anche attraverso la valorizzazione

delle buone pratiche e delle esperienze più

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positive messe in atti a livelo nazionale e

locale.

Lavoratori e datori di lavoro sono chiamati a

confrontarsi con sfide sempre più rilevanti,

dovute alla globalizzazione ma anche alla

diffusione dei contratti di lavoro atipico e a

cambiamenti tecnologici che impattano sulla

natura stessa del lavoro. Non è un caso, forse

che uno dei dati dell’ultimo eurobarometro

(primavera 2016) riguarda proprio le

percezioni di insicurezza legate alla propria

situazione occupazionale che rappresentano

un problema per il 47% degli europei.

Al dialogo di alto livello sono intervenuti

anche Il presidente del CESE Georges Dassis,

il direttore dell’OIL – ILO Guy Ryder, e la

commissaria Ue per l’Occupazione e gli affari

sociali Marianne Thyssen che nei loro

interventi hanno fatto riferimento alla

doppia natura (opportunità e rischi) e ai

cambiamenti in atto:

«Al fine di costruire un futuro migliore per

tutti dobbiamo assicurarci che la società

civile prenda attivamente parte alla

costruzione di risposte per le nuove sfide, ma

al tempo stesso deve saper sfruttare le

opportunità che nascono dalle profonde

trasformazioni in atto» ha dichiarato il

presidente del CESE.

Analogo invito ad un ruolo attivo è stato

rivolto dal direttore generale OIL ILO a tutti

gli attori del mondo del lavoro «il futuro del

lavoro non è predeterminato e il futuro

dell’Europa dipenderà in larga parte dal

futuro del lavoro in Europa».

Allo «zoccolo duro dei diritti sociali» ha

invece fatto riferimento Marianne Thyssen

definendolo «essenziale per mercati del

lavoro e sistemi di protezione sociale

efficienti».

Proprio il pilastro europeo dei diritti sociali è

stato oggetto di una consultazione pubblica

che si chiuderà a fine anno e a cui stanno

partecipando Stati membri, partner sociali e

rappresentanti della società civile a dire

dell’esigenza di «risposte politiche che

prendano in considerazione l’agenda della

giustizia sociale nel contesto della

trasformazione del mondo del lavoro».

La sessione di dialogo di alto livello prevede

tavole rotonde su temi quali: il posto del

lavoro nella società, l’evoluzione delle forme

e delle condizioni di lavoro, gli effetti

dell’innovazione tecnologia sui luoghi e sulla

governance del lavoro.

15 novembre 2016 | ORGANIZZAZIONI

INTERNAZIONALI | per approfondire

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Prospettive

EuropeeA cura di CISL Lombardia

Previsioni economiche

d’autunno

Sono state diffuse il 9 novembre scorso le

previsioni economiche d’autunno della

Commissione europea. Si tratta, come

afferma la stessa Commisisone di previsioni

particolarmente esposte al rischio di revisioni

al ribasso vista l’instabilità del contesto

politico attuale (Brexit) e dello scenario

mondiale.

Viene pronosticata una «crescita a livello

moderato» in cui ostacoli e fragilità

ridimensionano la portata dei deboli segnali

positivi in tema di lavoro e consumi privati.

In termini di numeri si prevede per la zona

euro una crescita del PIL pari all'1,7% nel

2016, all'1,5% nel 2017 e all'1,7% nel 2018

(previsioni di primavera: 1,6% nel 2016 e

1,8% nel 2017). La crescita del PIL nell'intera

Ue dovrebbe seguire una tendenza analoga

attestandosi all'1,8% quest'anno, all'1,6% nel

2017 e all'1,8% nel 2018 (previsioni di

primavera: 1,8% nel 2016 e 1,9% nel 2017).

I consumi continueranno ad essere il motore

della crescita, sostenuti da aspettative

positive in tema di occupazione e da

moderata ripresa dei salari. Gli scenari relativi

alla politica monetaria e su quella di bilancio

sono definite rispettivamente

«accomodanti» e «non restrittivi» questo

dovrebbe determinare da un lato un ruolo

positivo degli oneri finanziari (che

continueranno a sostenere la crescita) e

dall’altro il proseguire della riduzione del

disavanzo del bilancio aggregato della zona

euro.

Le criticità evocate in questa edizione delle

Previsioni attengono all’incertezza politica.

alla lentezza della crescita nella zona extra-

Ue, alla debolezza del commercio mondiale,

al basso livello di performance economica

degli ultimi anni (che se continua rallenterà la

crescita) e alla fine di elementi positivi quali il

calo dei prezzi petroliferi e il deprezzamento

monetario.

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Gli aumenti previsti per il PIL sono, secondo

la Commissione, generalizzati e dovrebbero

avere impatto positivo su tutti gli Stati Ue.

Notizie buone, o migliori che in passato,

riguardano anche gli investimenti che

dovrebbero ripartire (+3,3% nel 2016, +3,1%

nel 2017 e +3,5% nel 2018), sostenuti anche

dal Piano Juncker e dalla progressiva

attuazione dei progetti finanziati con i fondi

UE 2014-2020.

Una dinamica debolmente positiva è prevista

anche per l’occupazione: si parla di crescita

dell’1,4% dell’occupazione sia per l’Ue sia per

l’eurozona nel 2016 e di un andamento

positivo ma più contenuto nei due anni

successivi.

Altri dati contenuti nelle Previsioni

riguardano: il rischio inflattivo determinato

dai prezzi dell’energia di cui si prevede un

aumento (l’inflazione passerebbe

dall’attuale 0,3% registrato sia per la zona

euro sia per l’Ue, a valori che nel 2018

dovrebbero attestarsi rispettivamente

all’1,4% e 1,7%); la riduzione dei disavanzi

pubblici (si prevede una riduzione del

rapporto debito/PIL dal 91,6% nel 2016

all'89,4% nel 2018) e, infine di commercio

internazionale : «Si prevede che le

importazioni crescano più rapidamente delle

esportazioni nella zona euro, dove l'avanzo

delle partite correnti dovrebbe diminuire nel

periodo contemplato dalle previsioni».

Proprio a partire dalle previsioni pubblicate a

inizio novembre è stato elaborato il

pacchetto di governance del semestre

europeo presentato la settimana successiva

(16 novembre 2016) che comprende: l’analisi

annuale della crescita, una comunicazione

sull'orientamento di bilancio della zona euro,

una raccomandazione sulla politica

economica della zona euro, e da un'analisi

approfondita delle condizioni economiche,

sociali e del mercato del lavoro. Di tutti

questi documenti si darà conto sul prossimo

numero di Internazionale Lombardia News.

09 novembre 2016 | ECONOMIA| per

approfondire

La povertà in Europa: i

dati Eurostat 2015

Eurostat, l’istituto di Statistica europeo ha

pubblicato i dati aggiornati al 2015 sulla

popolazione Ue a rischio di povertà o

esclusione sociale, condizione che nel 2015

ha coinvolto 119 milioni di individui, pari al

23,7% della popolazione.

Si torna, quindi, dopo tre anni consecutivi di

aumento (2009-2012) e un calo progressivo

negli anni seguenti, agli stessi livelli del 2008.

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Vengono prese in esame anche le differenze

tra Stati membri: quelli in cui la situazione è

più difficile sono Bulgaria, Romania e Grecia

con quote di popolazione a rischio di povertà

pari a 41,3%, 37,3% e 35,7% rispettivamente;

all’estremo opposto si collocano i Paesi

nordici: in Svezia è a rischio di esclusione il

16% della popolazione, leggermente più alte

le quote di Finlandia (16,8%) e Danimarca

(17,7%); ma anche la Francia (il cui dato è

come quello danese) e la Repubblica Ceca

(14%).

Nel panorama europeo, l’Italia fa registrare

tassi di rischio povertà ed esclusione più

elevati della media (28,7%), dato in aumento

di oltre tre punti percentuali che equivale a

oltre 7 milioni di persone.

Il rischio di povertà o esclusione sociale si

configura quando una persona vive almeno

una delle seguenti condizioni: insufficienza

delle risorse economiche dopo i

trasferimenti sociali, grave deprivazione

materiale, bassa intensità lavorativa del

nucleo familiare.

Una persona su 6 (il 17,3% della popolazione)

è a rischio di povertà monetaria dopo i

trasferimenti di Welfare, ha cioè un reddito

disponibile inferiore alla soglia di rischio

povertà.

La severa deprivazione materiale è una

condizione vissuta dall’8,1% dei cittadini

europei: il dato è in calo sia su base annua, sia

rispetto al 2008, le riduzioni sono

rispettivamente di 0,7 e 0,4 punti percentuali.

Infine le persone che vivono in nuclei a bassa

intensità lavorativa (cioè in cui gli adulti

lavorano per meno del 20% del tempo

disponibile per l’occupazione sono il 10.5%

della popolazione Ue di età inferiore ai 59

anni. Le situazioni più difficili si registrano in

Grecia, Spagna e Belgio, Paesi in cui i valori

vanno dal 16,8 al 14,9% mentre i tassi più

contenuti di bassa intensità lavorativa

appartengono a Lussemburgo (5,7%) e Svezia

(5,8%). La percentuale registrata in Italia è

dell’11,7%: poco più di sette milioni di

persone.

17 ottobre 2016| SOCIALE| per approfondire

Indice della giustizia

sociale in Europa

Secondo l’edizione 2016 del Social Justice

Index, pubblicato come ogni anno dalla

Fondazione Bertelsmann, la giustizia sociale

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è migliorata nella maggior parte degli Stati

Ue, dopo che anche a causa della crisi, tra il

2012 e il 2014 si erano raggiunti un po’

dovunque i livelli più bassi.

«Solo nei prossimi anni – precisano però dalla

Fondazione – , sapremo se si tratta di una

tendenza stabile e di lunga durata o di una

dinamica temporanea».

Sicuramente si è arrestata la «tendenza al

ribasso» registrata in molti Paesi dal 2008 per

quanto riguarda la partecipazione anche se

quasi nessuno degli Stati Ue (fanno eccezione

Regno Unito, Polonia, Lussemburgo,

Germania e Repubblica Ceca) raggiunge i

livelli pre crisi.

Cresce ad esempio la partecipazione al

mercato del lavoro (i Paesi virtuosi sembrano

essere Irlanda e Italia) ma non si può ancora

parlare di una vera e propria inversione di

tendenza in termini di giustizia sociale perché

i segni lasciati dalla crisi soprattutto nel sud

dell’Europa (Spagna e Grecia in particolare)

sono molto profondi.

Continua invece ad «essere preoccupante» la

diffusione della povertà e dell’esclusione

sociale: i Paesi nordici (Svezia, Finlandia e

Danimarca), che pure hanno perso qualche

punto rispetto al 2007, confermano di essere

quelli socialmente più giusti. Nel gruppo di

testa anche Austria, Germania e Repubblica

Ceca che hanno i tassi di rischio povertà più

bassi d’Europa (un po’ in controtendenza la

Germania) e che hanno fatto progressi

importanti soprattutto in tema di accesso

alle cure (Austria) e mercato del lavoro come

accade in Germania dove però la solidarietà

intergenerazionale sembra segnare il passo.

Lo scarto tra i Paesi che stanno meglio e gli

altri si è ridotto di poco nell’ultimo anno e

resta ancora elevato. Il Rapporto registra lo

scarso impegno profuso da tutti i Paesi Ue in

tema di lotta alla discriminazione dei gruppi

vulnerabili, rafforzamento della solidarietà

intergenerazionale ed equità nella

distribuzione del reddito.

Particolarmente allarmante, poi la scoperta

secondo la quale un numero sempre

crescente di lavoratori a tempo pieno si trova

a rischio di povertà ed esclusione sociale.

I lavoratori poveri (working poor) sono oggi

circa l’8% della popolazione dell’Ue; la loro

condizione è causata soprattutto

dall’espansione dei settori occupazionali a

basso reddito e dalla «dualizzazione» del

mercato del lavoro, cioè quel processo di

segmentazione visibile in un numero sempre

più ampio di Paesi per cui da un lato ci sono i

lavoratori garantiti e tutelati e dall’altro tutti

gli altri tra cui in particolare i più giovani: la

disoccupazione giovanile ha cominciato a

ridursi ma resta altissima e lontana dai livelli

pre-crisi.

Proprio a minori e giovani il Rapporto dedica

un focus specifico sottolineando come per

loro si riducano progressivamente le

opportunità. Ciò porta con sé non soltanto

l’aumentato rischio di povertà ed esclusione

perchè mancano le opportunità di avere

lavoro e reddito (in alcuni Paesi è a rischio un

giovane su tre) ma anche la rottura della

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solidarietà intergenerazionale e il dilagare

del fenomeno NEET (Not in Education,

Employment and Training) che nell’Ue sono

stimati in una quota pari al 17,3% dei giovani

ma che in Italia arrivano al 31%.

15 novembre 2016| SOCIALE| per

approfondire

Europarlamentari in

visita ai campi

profughi

Si è svolta il 3-4 novembre scorso la visita di

11 eurparlamentari ai campi profughi vicini

ad Atene. Al rientro la capo-delegazione, la

Popolare francese Constance Le Grip ha

sottolineato la necessità di far rispettare gli

impegni di accoglienza a tutti gli Stati,

mettendo in evidenza in particolare la

difficile condizione di vita delle donne sia

durante il viaggio sia nella permanenza nei

campi: «Le donne che scappano dalle loro

case sono esposte a pericoli maggiori per la

propria integrità psicologica rispetto agli

uomini. Innanzitutto, c’è lo sfruttamento

sessuale che fa diventare molte donne

vittime della tratta. E può succedere anche

una volta che sono già in Europa, come nei

campi d’accoglienza ad esempio. Non ci

sono sicurezza e sorveglianza sufficienti, non

possono mai stare sole e anche i bagni sono

comuni. Chi lavora nei campi racconta

dell’alto livello di violenza domestica a cui

sono esposte queste donne» ha dichiarato Le

Grip.

Anche la situazione dei minori non

accompagnati risulta particolarmente grave

e c’è una situazione di ulteriore vulnerabilità

delle ragazze soprattutto dal punto di vista

psicologica.

Nella testimonanza della capo-delegazione

anche un appello alla solidarietà nei confronti

della Grecia che «ha estremo bisogno che

altri Paesi si dimostrino solidali,

particolamente per la questione dei minori»

dal momento che in Grecia non ci sono le

condizioni ottimali per poter seguire questi

ragazzi.

3 novembre 2016| SOCIALE| per approfondire

Città europee “verdi”

Due i riconoscimenti per i quali le città

europee dovevano presentare entro il 16

novembre la loro candidatura: il premio

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

13

“Green Leaf 2018” e il riconoscimento

“Capitale verde d’Europa 2019”.

Si sono candidate in tutto 28 città grandi e

piccole di tutti gli Stati membri. Il Paese che

ha avanzato il maggior numero di

candidature è il Portogallo che porta due

città (Funchal e Lisbona) a competere quali

possibili Capitali verdi 2019 e ne mette in

gara addirittura tre (Barreiro, Fundão e

Oliveira do Hospital) per il premio Green

Leaf. Tre cadidature per Italia (Firenze e

Bologna potenziali capitali verdi e Grottaglie

per il premio Green leaf), Spagna (Siviglia

come Capitale, Girona e Llorca nell’altra

competizione) e Lituania (Slytud, Jonava e

Turagé concorrono per il premio Green Leaf).

Sono due le candidature del Belgio (Gand

come Capitale e Lovanio per il premio Green

Leaf) ep er l’Albania (Karmëz e Kuke s).

Le altre città candidate al premio Capitale

verde d’Europa sono: Lathi (Finlandia) Oslo,

Pechs (Ungheria), Strasburgo, Tallin

(Estionia) e Varsavia. Competono invece per

il premio Green Leaf Gabrovo (Bulgaria)

Ludwugsburg (Germania) e Vakjo (Svezia).

Il record è stato commentato con

soddisfazione dal commissario europeo per

l’Ambiente Karmenu Vella «sono sempre di

più – ha detto – le città che hanno compreso

come l’investimento “verde” sia un

invesimento sul benessere delle persone

e.sul potenziale di crescita delle comunità

I due premi, gunti rispettivamente alla

decima e alla terza edizione, riconoscono gli

sforzi fatti dalle città per trovare soluzioni

innovative di sostenibilità ambientale capaci

di attirare investimenti (Green Capital) e per

migliorare la qualità di vita dei cittadini.

Si metteranno ora al lavoro le giurie di esperti

e i vincitori saranno proclamati ad Essen,

Capitale verde d’Europa per il 2017 nel

giugno prossimo.

3 novembre 2016| AMBIENTE | per

approfondire

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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Immigrazione ecittadinanza

A cura di ANOLF Lombardia

Reinsediamento ericollocazioni:rispettare gli impegni

La Commissione europea ha adottato il 9

novembre scorso la sesta relazione sui

programmi di ricollocazione e di

reinsediamento d'emergenza dell'Ue che

contiene una valutazione di quanto accaduto

dal 28 settembre 2016.

Ad oggi sono 11.852 le persone bisognose di

protezione internazionale che hanno trovato

canali legali di ingresso nell’Ue, secondo i

programmi di reinsediamento, raggiungendo

quindi la metà del numero previsto 22.504.

Le persone che invece hanno beneficiato del

programma di ricollocazione sono state

1.212 con un calo pronunciato anche se non

inatteso rispetto agli obiettivi e alle

tendenze degli ultimi mesi.

La tendenza dell’ultimo periodo (settembre,

novembre) sembra però in riduzione a

indicare che «occorrono ulteriori sforzi da

parte degli Stati membri per mantenere la

tendenza positiva osservata finora».

Gli 11.852 reinsediamenti hanno permesso

l’accoglienza di richiedenti protezione in 21

Stati di Ue (Austria, Belgio, Repubblica Ceca,

Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia,

Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia,

Liechtenstein, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia,

Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno

Unito). La Svezia, il Regno Unito e la Finlandia,

nonché gli Stati associati Svizzera,

Liechtenstein e Islanda, hanno già rispettato

i loro impegni.

I reinsediamenti riguardano anche i

progfughi siriani al centro dell’accordo UE-

Turchia del 4 aprile 2016. Si tratta

complessivamente di 2.217 siriani, di cui 603

nel periodo successivo alla precedente

relazione. Il ritmo di reinsediamento è stato

mantenuto e oltre a Belgio, Estonia, Francia,

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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Germania, Italia, Lettonia, Lituania,

Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo,

Spagna e Svezia sono stati effettuati

reinsediamenti anche in Norvegia. Gli Stati

membri dovrebbero continuare a onorare i

loro impegni di reinsediamento, anche

nell'ambito dell'attuazione della

dichiarazione UE-Turchia.

Le ricollocazioni del periodo ottobre

novembre sono state, come detto, 1.212

persone, di cui 921 dalla Grecia e 291

dall'Italia.

Il dato di ottobre è in calo rispetto ai mesi

precedenti (779, di cui 549 dalla Grecia e 230

dall'Italia) ma il dato di novembre, indica che

questo rallentamento dovrebbe costituire

un'eccezione.

La Commissione sottolinea, comunque che

«questo arresto momentaneo nell'ambito di

una tendenza complessivamente positiva

conferma che occorrono ulteriori sforzi per

aumentare il numero di trasferimenti mensili

e per mantenere stabile il ritmo di

ricollocazione. Inoltre, anche se la

ricollocazione di minori non accompagnati ha

iniziato ad aumentare, bisogna impegnarsi di

più affinché tutti i minori non accompagnati

ammissibili alla ricollocazione siano

prontamente trasferiti».

La Commissione fa inoltre appello agli Stati

membri che hanno già partecipato al

programma di ricollocazione perché

continuino ad assumere impegni e a

ricollocare su base regolare e secondo la

quota loro assegnata, abbrevino i tempi di

risposta alle richieste di ricollocazione e

condividano informazioni sui motivi di rifiuto

tramite il canale sicuro offerto da Europol, e

perché aumentino le loro capacità di

accoglienza per alloggiare i candidati alla

ricollocazione.

La Commissione invita altresì la Grecia e

l'Italia a continuare ad accrescere le loro

capacità di trattamento delle domande; in

particolare, incita la Grecia a istituire i

rimanenti centri di ricollocazione, e l'Italia a

mettere in atto gli accordi presi con Europol

e ad eseguire le prime ricollocazioni di minori

non accompagnati.

09 novembre 2016| ACCOGLIENZA| per

approfondire

Rapporto sullaprotezioneinternazionale in Italia

É stato presentato il 16 novembre scorso a

Roma il Rapporto sulla protezione

internazionale in Italia realizzato da ANCI,

Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione

Migrantes, Servizio Centrale dello SPRAR in

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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collaborazione con l’alto Commissariato ONU

per i rifugiati ACNUR UNHCR.

Il Rapporto fa il punto sul fenomeno dei

migranti forzati nel mondo e su quello dei

richiedenti protezione internazionale in Italia

e in Europa, con un importante focus sulla

salute mentale e immigrazione nel nostro

Paese.

Nel 2015 e nel primo semestre del 2016 si

sono acuite e cronicizzate molte situazioni di

guerra: si contano 35 conflitti in atto e 17

situazioni di crisi.

Tali scenari di guerra provocano la fuga di un

numero tanto maggiore di persone quanto

più lungo e cruento diventa il conflitto o

quanto più perdurano nel tempo situazioni di

insicurezza, violenza e violazione dei diritti

umani. Nel mondo, nel corso del 2015, sono

state costrette a fuggire dalle loro case circa

34.000 persone al giorno: in media 24

persone al minuto.

Altri motivi di fuga sono costituiti dalle

disuguaglianze economiche, dalle

disuguaglianze nell’accesso al cibo e

all’acqua, dal fenomeno del cosiddetto land

grabbing (la sottrazione di terreni produttivi

nei paesi più poveri) e dall’instabilità creata

dagli attentati terroristici. Nel 2015 sono

stati 65,3 milioni i migranti forzati nel mondo,

di cui 21,3 milioni di rifugiati, 40,8 milioni di

sfollati interni e 3,2 milioni di richiedenti

asilo.

Nello scenario mondiale, i Paesi che

accolgono il maggior numero di rifugiati si

trovano in regioni in via di sviluppo. La

Turchia si conferma il Paese che ospita il

maggior numero di rifugiati con 2,5 milioni di

persone accolte, rispetto agli 1,6 milioni dello

scorso anno; la Siria è il primo paese di origine

con 4,9 milioni di rifugiati.

16 novembre 2016| ACCOGLIENZA| per

approfondire

L’impattodell’economiaimmigrata

É stato presentato al Viminale lo scorso 11

Ottobre il sesto Rapporto annuale

sull’economia dell’immigrazione a cura della

Fondazione Leone Moressa.

Il Rapporto riprende gli ultimi dati Eurostat

(35 milioni di cittadini che risiedono in un

Paese diverso da quello di origine pari al 9,6%

della popolazione, ma il dati comprende

anche i cittadini europei e non solo quelli di

Stati terzi) ed espone la “classifca” basata

sull’indice di attrattività migratoria elaborato

dalla Fondazione Leone Moressa: i Paesi del

Nord Europa risultano più attrattivi sia sul

piano dell’integrazione che su quello del

benessere. L’Italia risulta solo dodicesima,

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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rallentata da un forte differenziale di reddito

tra autoctoni e immigrati, bassi titoli di studio

ed elevato rischio povertà.

Parlando poi dell’impatto economico, il

Rapporto sottolinea che gli immigrati

contribuiscono al sistema del welfare e alla

tenuta del sistema economico. Ad esempio,

con riferimento all’Italia vengono citati i dati

relativi alla quota di popolazione attiva

(77,6% tra gli immigrati e 63% tra gli

autoctoni) e al tasso di occupazione che si

spiegano da un lato con l’età (la popolazione

immigrata è più giovane) e in parte con lo

stretto legame tra lavoro e soggiorno.

La crisi si è fatta sentire molto dagli immigrati

occupati prevalentemente nei settori più

colpiti (ad esempio l’edilizia) ma hanno

dimostrato maggiori capacità di

adattamento

Il contributo degli immigrati alla produzione

di ricchezza è stimato in 127 miliardi di euro,

pari all’8,8% del Valore Aggiunto

complessivo.

Non poca di questa ricchezza è prodotta da

imprenditori stranieri: 656.000 nel 2015 e

soprattutto, in aumento rispetto agli

autoctoni: mentre questi ultimi diminuiscono

(-7,4% dal 2010 al 2015), gli immigrati

aumentano (+20,4%) con una prevalenza di

imprenditori provenienti da Marocco, Cina e

Romania.

Dal punto di vista fiscale, i contribuenti nati

all’estero sono 3,5 milioni nel 2015. Di questi,

2,2 milioni sono effettivi contribuenti IRPEF.

Il volume complessivo dei redditi dichiarati è

di 46,6 miliardi di euro per un gettito di 6,8

miliardi di euro.

Altre entrate fiscali oltre all’IRPEF conferite

dagli immigrati (imposte indirette, sui

carburanti, lotto e lotterie, tasse su

permesso di soggiorno e cittadinanza)

valgono circa 3 miliardi d euro (2015).

I contributi previdenziali, che contribuiscono

di fatto al mantenimento del sistema

pensionistico hanno raggiunto nel 2014 un

valore di 10,9 miliardi di euro (5% del totale

del gettito contributivo), somma che

equivale al pagamento di 640 mila pensioni.

Sommando i contributi versati negli ultimi 6

anni, si raggiunge quota 57 miliardi.

Infine, nel Rapporto viene analizzata la spesa

pubblica italiana destinata ai cittadini

immigrati (Calcolo a costi standard, ripartito

per gli utenti stranieri per ogni voce di

bilancio). Secondo questa stima, nel 2014 la

spesa pubblica per l’immigrazione ammonta

a 14,7 miliardi di euro e rappresenta l’1,75%

della spesa pubblica totale.

11 ottobre 2016| INTEGRAZIONE| per

approfondire

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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Cooperazione allosviluppo

A cura di ISCOS Lombardia

Quante risorse per gliaiuti allo sviluppo

AGIRE, network di 9 ONG italiane e la Scuola

Superiore Sant’Anna di Pisa hanno realizzato

il Rapporto dal titolo “Risorse per la risposta

alle emergenze umanitarie” che rileva gli

sforzi della comunità internazionale (un 2015

da record con 28 miliardi di dollari di aiuti

umanitari, +12% rispetto al 2014) ma anche la

loro insufficienza rispetto ai bisogni delle

popolazioni colpite da conflitti e catastrofi

naturai.

Resta scoperto il 45% del fabbisogno e l’Italia

si posiziona al diciassettesimo posto nella

classifica dei donatori globali,

Per quanto “record” la cifra di 28 miliardi è

irrisoria se si pensa che «ogni anno nel mondo

si spreca cibo per un valore di 1.000 miliardi

di dollari» e che l’entità dei bisogni umanitari

ha subito un incremento, raggiungendo

picchi allarmanti (65,3 milioni di persone

sfollate per conflitti e persecuzioni e 89,4

milioni di profughi ambientali).

Per far fronte a questa drammatica

situazione i Governi hanno investito in

assistenza umanitaria 21,8 miliardi di dollari e

l’Aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi Ocse

relativo alla spesa per l’ospitalità interna dei

rifugiati è salito dai 6,6 miliardi di dollari del

2014 a 13,9 miliardi di dollari del 2015.

Aumentano i «nuovi donatori», (Turchia,

Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Arabia Saudita)

«Il cui contributo è più che triplicato dal 2013

al 2015, soprattutto grazie alla forte risposta

dei Paesi mediorientali alle recenti crisi che

hanno colpito la regione». Infatti si tratta di

Paesi islamici sunniti coinvolti in vario modo

nelle guerre siriana/irakena o nello Yemen.

Crescono anche i donatori privati (individui,

fondazioni e aziende), il cui impegno

economico aumenta del 12,7%,

raggiungendo i 6,2 miliardi di dollari. Un

apporto essenziale per continuare ad

assicurare interventi di risposta alle

emergenze anche in Italia, dove le ONG nel

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

19

2015 hanno ricavato in media il 58% dei fondi

complessivi a loro disposizione dal settore

privato (individui, 5×1000, aziende e

fondazioni). Il 32% deriva invece da contributi

di organizzazioni internazionali (Ue

compresa) e solo il 6% da istituzioni

pubbliche italiane.

16 novembre 2016| AIUTI ALLO SVILUPPO| per

approfondire

La valutazione diimpatto nellacooperazione

Uno degli effetti della nuova legge sulla

cooperazione è sicuramente la nuova

centralità della valutazione di impatto delle

azioni realizzate.

In questo quadro il network Link 2007 ha

elaborato il documento dal titolo “Policies di

valutazione di impatto di iniziative di

cooperazione allo sviluppo”, un vero e

proprio vade mecum per chi opera sul campo.

Partendo dall’assunto che la valutazione di

impatto deve essere impostata ex-ante, il

vade mecum definisce in che cosa consiste il

valore sociale che deve essere misurato

quando si parla di valutazione di impatto è il

«il cambiamento tangibile e duraturo

generato da un’organizzazione in un

determinato contesto d’azione. In tal senso,

la creazione di valore sociale non è

contrapposta a quella di valore economico».

Centrali in questo tipo di valutazione sono,

poi il coinvolgimento degli stakeholders,

l’attenzione alle modalità di realizzazione

dell’azione e il focus specifico sulle

dimensioni della resilienza e della riduzione

della vulnerabilità dei beneficiari.

Altre questioni affrontate dal vade mecum

riguardano gli aspetti metodologici della

valutazione, con una predilezione per i

«modelli olistici», l’uso combinato di variabili

qualitative e quantitative, l’utilizzo di metodi

di misurazione che restituiscano un valore

economico monetario,

La valutazione di risultato dovrebbe

prendere in considerazione quattro

dimensioni di misurazione: sociale,

economica, politica e ambientale.

La valutazione rafforza l’accontability

dell’intervento, in primis rispetto ai

beneficiari. Considerando prioritario questo

obiettivo, la valutazione dà conto dei successi

o insuccessi dell’azione alla pluralità degli

stakeholders, tra i quali i donatori e quanti vi

hanno operato. La valutazione deve

obbligatoriamente includere anche eventuali

impatti negativi, connessi con il

cambiamento generato che deve essere

adeguatamente descritto. Il processo di

misurazione deve essere reso noto ed

esplicitato. E’ inoltre auspicabile che venga

sottoposto a convalida esterna, da parte di

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

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soggetti qualificati, al fine di garantire la

massima indipendenza dei risultati ed evitare

il rischio di sovrastime, in caso di valutazione

positiva.

Rispetto alle fonti si prediligono sistemi di

rilevazione diretta ove la raccolta dei dati

sistematica è prevista in fase di

progettazione.

16 novembre 2016| AIUTI ALLO SVILUPPO| per

approfondire

Cop 22: dichiarazioneinterreligiosa sulclimaIl documento, firmato da oltre 230 leader

religiosi di 44 Paesi è stato consegnato a un

alto funzionario dell’Equipe sui cambiamenti

climatici del Segretario delle Nazioni Unite.

La Dichiarazione invita gli Stati a gestire in

maniera equa la transizione verso

un’economia a basse emissioni di carbonio ed

esorta i governi a spostare migliaia di miliardi

di investimenti da combustibili fossili ad

energie rinnovabili, in linea con l’accordo di

Parigi e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

(SDGs).

La Dichiarazione interreligiosa è stata

promossa da più di 30 organizzazioni

internazionali di ispirazione religiosa tra cui

FOCSIV ed è un unico potente invito per la

giustizia climatica che unisce le voci dei

leader delle diverse confessioni religiose di

tutto il mondo tra i quali: il Dalai Lama, Mons.

Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della

Pontificia Accademia delle Scienze, il

Reverendo Olav Fykse Tveit, Segretario

generale del Consiglio Mondiale delle Chiese,

Sayyid M. Syeed della Società Islamica del

Nord America, l’Arcivescovo Desmond Tutu e

oltre 220 altri rappresentanti religiosi.

Particolarmente importanti le adesioni di 4

Vescovi italiani e di illustri rappresentanti dei

Salesiani, Gesuiti, Domenicani, Cappuccini,

Suore Francescane, Benedettini e

Carmelitani.

La Dichiarazione è pienamente coerente con

il forte messaggio del Segretario Generale

dell’Onu Ban Ki-moon che più volte ha

sottolineato l’urgenza di reindirizzare gli

investimenti verso le energie rinnovabili,

riconoscendo il forte impatto dell’azione

religiosa nella questione climatica: «la terza

più grande categoria di investitori, che

possono contribuire alla creazione di edifici

religiosi sostenibili. Investire eticamente in

prodotti sostenibili ed essere di esempio per

gli stili di vita di miliardi di persone, le cui

azioni possono incoraggiare i leader politici

ad agire con più coraggio nel proteggere le

persone e il pianeta».

16 novembre| 2016| CAMBIAMENTO

CLIMATICO| per approfondire

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Internazionale Lombardia Newsn. 19 novembre 2016

21

Progetti

Premiato un film prodotto da ISCOS CISL

Data inizio Data fine

Comunicazioni sull’attività in corsoIl film “Pesci piccoli”, di Tommaso Facchin, girato in Cina e prodotto da Iscos Cisl, ha vinto a Brescia

il premio “Salute e sicurezza sul lavoro” del Concorso Gavioli. Facchin è già vincitore del Premio

Gavioli nel 2012 con Dreamwork China, documentario sempre prodotto da Iscos.

La storia del film è quella di Small fish, organizzazione non governativa che offre supporto e

consulenza legale ai lavoratori di Yongkang (Zhejiang) e racconta une delle facce non conosciute

della Cina attuale. Una testimonianza toccante della complessità politica, fisica ed esistenziale

della condizione operaia in quella che oggi è l’”officina del mondo”.

Per saperne di più

Bacheca24 novembre 2016 ore 14.30

I Panni sporchi non si lavano in famiglia

Convengo sulla violenza contro le donne | palazzo della

Provincia Monza Brianza | Scarica l’invito

Redazione:Marina Marchisio, Miriam Ferrari, Paola Bordi, Luis Lageder, Tino Fumagalli

Con il contributo di In collaborazione con

FNP – Lombardia Associazione per l’incontro

delle culture in Europa (APICE)