Intelligenza sociale e biologia della...

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LEADERSHIP Intelligenza sociale e biologia della leadership Recenti studi sul cervello provano che un leader che conosce la biologia dell'empatia può migliorare le proprie prestazioni e quelle del gruppo. Un decennio di ricerca conferma, infatti, che c'è una grande disparità di performance tra leader socialmente intelligenti e leader che non lo sono. di DANIEL GOLEMAN e RICHARD BOYATZIS N el 1998 uno di noi, Daniel Goleman, pubblicò su «Harvard Business Review»il suo primo articolo su intelligenza emotiva e leadership. Si intitola- va What Makes a Leader? (Che cosa rende leader?) e su- scitò reazioni entusiaste. In tutto il mondo degli affari, e anche al di fuori, si cominciò a parlare del ruolo centra- le che empatia e conoscenza di se rivestono ai fini di una leadership efficace. Il concetto di intelligenza emotiva non ha cessato di occupare un posto di rilievo nella let- teratura sulla leadership e nelle quotidiane pratiche di coaching. Tuttavia negli ultimi cinque anni la ricerca nel settore emergente delle ncuroscienze sociali, che stu- diano quanto avviene nel cervello nel corso delle intera- zioni tra persone, ha fatto emergere importanti novità su quello che rende tale un buon leader. La scoperta saliente è-eh e certe cose che i leader fanno - in particolare mostrare empatia e mettersi in sintonia con l'umore altrui - influenzano letteralmente tanto la loro stessa chimica cerebrale quanto quella dei loro sot- toposti. Infatti i ricercatori sono giunti alla conclusione che la dinamica leader-collaboratore non rientra nella tipologia dell'interazione conscia o inconscia di due o più cervelli indipendenti, ma che piuttosto le due singo- le menti si fondono in qualche modo in un unico siste- ma. I grandi leader sono coloro che con il proprio com- portamento attivano al massimo questo sistema di interconnessione cerebrale. All'interno del continuum neurale essi si collocano all'estremo opposto rispetto al- le persone con gravi disordini sociali, quali autismo e sindrome di Asperger, che sono caratterizzate da uno sviluppo deficitario delle aree cerebrali deputate alle in- terazioni sociali. Se questo è corretto, ne consegue che un mezzo potente per diventare leader migliori è quello di inserirsi in contesti che permettano un autentico ap- prendimento dei comportamenti atti a rinforzare i cir- cuiti sociali del cervello. In altre parole, essere un capo efficace ha meno a che fare con la capacità di gestire le situazioni, o anche con la padronanza di certi insiemi di competenze sociali, che con quella di .sviluppare un sin- cero interesse verso i sentimenti positivi e un talento per Ottobre 2008

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LEADERSHIP

Intelligenza socialee biologia della leadership

Recenti studi sul cervello provanoche un leader che conosce labiologia dell'empatia può migliorarele proprie prestazioni e quelle delgruppo. Un decennio di ricercaconferma, infatti, che c'è una grandedisparità di performance tra leadersocialmente intelligentie leader che non lo sono.

di DANIEL GOLEMAN e RICHARD BOYATZIS

N el 1998 uno di noi, Daniel Goleman, pubblicò su«Harvard Business Review»il suo primo articolosu intelligenza emotiva e leadership. Si intitola-

va What Makes a Leader? (Che cosa rende leader?) e su-scitò reazioni entusiaste. In tutto il mondo degli affari, eanche al di fuori, si cominciò a parlare del ruolo centra-le che empatia e conoscenza di se rivestono ai fini di unaleadership efficace. Il concetto di intelligenza emotivanon ha cessato di occupare un posto di rilievo nella let-teratura sulla leadership e nelle quotidiane pratiche dicoaching. Tuttavia negli ultimi cinque anni la ricerca nelsettore emergente delle ncuroscienze sociali, che stu-diano quanto avviene nel cervello nel corso delle intera-zioni tra persone, ha fatto emergere importanti novitàsu quello che rende tale un buon leader.La scoperta saliente è-eh e certe cose che i leader fanno -in particolare mostrare empatia e mettersi in sintoniacon l'umore altrui - influenzano letteralmente tanto laloro stessa chimica cerebrale quanto quella dei loro sot-toposti. Infatti i ricercatori sono giunti alla conclusione

che la dinamica leader-collaboratore non rientra nellatipologia dell'interazione conscia o inconscia di due opiù cervelli indipendenti, ma che piuttosto le due singo-le menti si fondono in qualche modo in un unico siste-ma. I grandi leader sono coloro che con il proprio com-portamento attivano al massimo questo sistema diinterconnessione cerebrale. All'interno del continuumneurale essi si collocano all'estremo opposto rispetto al-le persone con gravi disordini sociali, quali autismo esindrome di Asperger, che sono caratterizzate da unosviluppo deficitario delle aree cerebrali deputate alle in-terazioni sociali. Se questo è corretto, ne consegue cheun mezzo potente per diventare leader migliori è quellodi inserirsi in contesti che permettano un autentico ap-prendimento dei comportamenti atti a rinforzare i cir-cuiti sociali del cervello. In altre parole, essere un capoefficace ha meno a che fare con la capacità di gestire lesituazioni, o anche con la padronanza di certi insiemi dicompetenze sociali, che con quella di .sviluppare un sin-cero interesse verso i sentimenti positivi e un talento per

Ottobre 2008

INTELLIGENZA SOCIALE E BIOLOGIA DELLA LEADERSHIP

promuoverli nelle persone del cui appoggio o della cuicollaborazione abbiamo bisogno.Questa visione di una leadership efficace come stretta-mente connessa a circuiti sociali particolarmente svilup-pati ci ha spinto a estendere la nostra concezione di in-telligenza emotiva che, in precedenza, si basava sulleteorie della psicologia individuale. Per valutare la lea-dership abbiamo quindi introdotto un concetto piùorientato alla relazione, quello di intelligenza sodale, de-finita come un insieme di competenze interpersonalisupportate da specifici circuiti ncuronali (con i relativisistemi endocrinì) che ispirano gli altri a essere efficaci.Naturalmente l'idea che un leader abbia bisogno diabilità sociali non è nuova. Già nel 1920 lo psicologodella Columbia University Edward Thorndike sottoli-neava che «il miglior meccanico di una fabbrica puòessere un fallimento come caporeparto per mancanzadi intelligenza sociale». In tempi a noi più prossimi, ilcollega Claudio Fernàndez-Aràoz ha condotto un'ana-lisi su alcuni massimi dirigenti di nomina recente dacui risulta che coloro che erano stati assunti per la lorodisciplina, grinta e intelligenza talvolta sono poi statilicenziati perché privi di elementari capacità sociali. Inaltre parole, le persone studiate da Fernàndez-Aràozerano dotate di abilità personali in quantità, ma l'inca-pacità di inserirsi socialmente nel loro ambiente lavo-rativo li ha condotti al fallimento professionale.La novità della nostra definizione di intelligenza socialesta nel suo fondamento biologico, che indagheremo nel-

Daniel Goleman([email protected]}è copresidente del Consortiumfor Research on Emotiona! Intelli-gence in Organizations presso laGraduate School of Professione!and Applied Psychology dellaRutgers University di Piscataway,New Jersey, e ha pubblicato di re-cente il libro SocialInteiligence:The New Science ofHuman Rela-tionships (Bantam, 2007].Richard Boyatzis(richard hoyatzis@case. edu)è titolare della cattedra di FamilyBusiness e docente presso i di-partimenti di Comportamentodelle organizzazioni, di Psicologiae di Scienze cognitive della CaseWestern Reserve University diCleveland. Con Annie McKee eFrances Johnston ha scritto Be-comìng a Resonant Leader (Har-vard Business Press, 2008).

le pagine seguenti. Basandoci sulle acquisizioni delleneuroscienze nei nostri studi e nella nostra pratica diconsulenza, nonché sui risultati raggiunti dai ricercatoriaffiliati al Consortium for Research on Emotional Intei-ligence in Organizations, spiegheremo come tradurre lenuove conoscenze relative ai neuroni specchio, alle cel-lule a fuso e all'oscillazione neuronaie in comportamen-ti pratici socialmente intelligenti, in grado di rafforzarele connessioni ncuronali tra voi e i vostri collaboratori.

Collaboratori,specchio del leader. LetteralmenteForse la più sorprendente tra le recenti scoperte delleneuroscicnze comportamentali è l'identificazione deineuroni specchio, presentì in molte diverse zone del cer-vello. I ricercatori italiani li hanno identificati per casomentre monitoravano una particolare cellula dell'ence-falo di una scimmia che si attivava soltanto quando que-sta sollevava la zampa. Un giorno l'assistente di labora-torio alzò il braccio per portarsi alla bocca un cono digelato e questo innescò una reazione nella cellula delprimate. Era la prima prova che il cervello è dissemina-to di neuroni che mimano o rispecchiano quello che faun altro essere. Questa classe di cellule cerebrali, prece-dentemente sconosciuta, funziona come un Wi-Fi neu-ronaie che ci permette di navigare nel nostro mondo so-ciale. Quando captiamo consciamente o inconsciamentele emozioni di qualcun altro attraverso le sue azioni, inostri neuroni specchio riproducono quelle emozioni.Da un punto di vista collettivo questi neuroni creanouna sensazione istantanea di esperienza condivisa.I neuroni specchio rivestono particolare importanzaall'interno delle organizzazioni in quanto spingono isottoposti a riprodurre le emozioni e le azioni dei lea-der. Gli effetti dell'attivazione dei circuiti neuronalinel cervello dei sottoposti possono essere notevoli. Inun recente studio la collega Marie Dasborough ha te-nuto sotto osservazione due gruppi, dì cui uno ricevevaun feedback negativo sulle proprie prestazioni accom-pagnato però da segnali emotivi positivi, segnatamentecenni di assenso e sorrisi, mentre all'altro veniva datoun feedback positivo ma con modalità di critica, ac-compagnandolo cioè con espressioni accigliate e pal-pebre strette. Nelle interviste raccolte in seguito alloscopo di confrontare la situazione emotiva dei duegruppi, le persone che avevano ricevuto un feedbackpositivo insieme a segnali emotivi negativi rivelaronoun sentimento della propria performance peggiore ri-spetto ai partecipanti che avevano ricevuto un feed-

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back negativo ma col sorriso sulle labbra. Di fatto, ilmodo di esprimere il messaggio era più importante delmessaggio stesso. E tutti sanno che quando le personestanno meglio hanno anche prestazioni migliori. Dun-que se i leader sperano di trarre il meglio dalle propriepersone, devono continuare a essere esigenti ma farlocon modalità che promuovano nei loro team un tonoemotivo positivo. Il vecchio approccio del bastone edella carota non ha molto senso dal punto di vista neu-rologico e i tradizionali sistemi di incentivo semplice-mente non sono sufficienti per ottenere dai propri col-laboratori la prestazione migliore.Facciamo un esempio di un sistema che invece funzio-na. Si è scoperto che esiste un sottogruppo di neuronispecchio il cui unico compito è quello di captare le ri-sate e i sorrisi degli altri e di suscitare in risposta riso esorriso. Un capo molto controllato e privo di humourraramente risvegherà questi neuroni nei suoi collabo-ratori, mentre uno che ride e instaura un'atmosferaconciliante li attiverà, innescando risate spontanee ecostruendo in tal modo l'unità del suo team. Un grup-po in cui si creano dei legami è un gruppo che lavorabene, come hanno dimostrato le ricerche del collegaFabio Sala, secondo le quali i leader con le miglioriprestazioni facevano ridere i propri collaboratori inmedia tre volte più spesso rispetto a quelli che avevanoprestazioni intermedie. Essere di buon umore, emergeda un'altra ricerca, aiuta le persone a ricevere efficace-mente le informazioni e a rispondere in maniera rapi-da e creativa. In altre parole ridere è un affare serio.E sicuramente è quello che ha fatto la differenza inuna clinica universitaria di Boston. Due medici, chechiameremo Dr. Burke e Dr. Humboldt, erano in con-correnza per ottenere il posto di CEO dell'ente che ge-stiva quell'ospedale insieme ad altre strutture. En-trambi erano stati primari di reparto, erano ottimimedici e avevano pubblicato molte ricerche ampia-mente citate in prestigiose riviste mediche. Ma aveva-no personalità profondamente diverse. Burke era mol-to serio, concentrato sull'obiettivo e impersonale. Eraun inflessibile perfezionista e parlava con un tono ag-gressivo che teneva il suo staff perennemente sottopressione. Humboldt era non meno esigente ma moltopiù accessibile, persino giocoso nei suoi rapporti concollaboratori, colleglli-e pazienti. Gli osservatori nota-vano che le persone sorridevano e scherzavano, ma an-che che esprimevano le proprie opinioni più che nelreparto di Burke. 1 professionisti di talento spesso fini-vano per andarsene da quest'ultimo, mentre erano ine-

sorabilmente attratti verso il più caldo ambiente di la-voro di Humboldt. Riconoscendo che il suo stile di lea-dership era socialmente intelligente, il consiglio di am-ministrazione dell'ente proprietario dell'ospedale loscelse come nuovo CEO.

Il leader«perfettamente sintonizzato»I grandi dirigenti spesso parlano di essere leader «con lapancia». Effettivamente avere un buon istinto è una do-te di leadership ampiamente riconosciuta, in qualunquecontesto, come un vantaggio per decifrare l'umore dellapropria organizzazione o per condurre una delicata trat-tativa con la concorrenza. Gli studiosi di leadership de-finiscono questo talento come una capacità di ricono-scere gli schemi comportamentali, generalmente figliadi una lunga esperienza. Il loro consiglio è di fidarsi del-la pancia ma di sentire più campane prima dì prendereuna decisione. Quest'ultima, naturalmente, è una prassipiù che corretta, ma non sempre i manager hanno iltempo di consultare dozzine di persone.I risultati delle neuroscienze lasciano supporre chequesto sia probabilmente un approccio fin troppo pru-dente. Anche l'intuito è una funzione del cervello, chedipende in parte da una classe di neuroni chiamati cel-lule a fuso a causa della loro forma. La loro grandezzaè circa quattro volte quella delle altre cellule cerebralie sono dotate di una ramificazione molto estesa, che

Le donne hanno circuitisociali più sviluppati?» Spesso ci viene chiesto se vi siano differenze di gene-re per quanto riguarda le capacità di intelligenza socialenecessario a un leader di alto livello. La risposta è sì e no.Se è vero che in media le donne sono più brave degli uo-mini nell'avvenire immediatamente le emozioni degli altri,gli uomini tendono a godere di una maggiore sicurezzasociale, almeno nel contesto lavorativo. Tuttavia le diffe-renze di genere in termini di intelligenza sociale, che sononette nella popolazione generale, sono quasi assenti tra ileader di maggior successo. Dagli studi che MargaretHopkins della University of Toledo ha condotto su diversecentinaia di dirigenti di una grande banca sono effettiva-mente emerse specifiche differenze di genere nell'insiemedel gruppo, ma non tra gli uomini e le donne più efficaci.Ruth Malloy di May Group è giunta a conclusioni simili nelsuo studio sui CEO di aziende internazionali. È chiaro cheil genere non determina il destino neuronaie. <

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rende più facili le connessioni e più veloce la trasmis-sione di pensieri e sentimenti. Tale trasferimento ultra-rapido di emozioni, credenze e giudizi da vita a quelloche gli studiosi del comportamento chiamano il nostrosistema di orientamento sociale. Le cellule a fuso dan-no impulso alla creazione di reti neuronali che entranoin gioco ogni qual volta dobbiamo scegliere la rispostamigliore tra molte, anche in un'azione di routine comequella di selezionare le priorità della giornata in una li-sta di cose da fare. Queste cellule ci aiutano anche avalutare se qualcuno è affidabile e adatto (o inadatto)a svolgere un certo lavoro. In un ventesimo di secondorilasciano informazioni su quello che proviamo riguar-do a quella persona e tali giudizi a prima vista possonoessere molto precisi, come viene poi confermato daifollow up. Quindi i leader non devono temere di agiresulla base di questo genere di giudizi, a patto di essereanche sintonizzati sull'umore degli altri.Tale sintonizzazione è letteralmente fisica. I seguaci diun leader efficace vivono una stretta relazione nei suoiconfronti, cioè quello che con la collega Annie McKeenoi definiamo «risonanza». Si tratta di un comporta-mento che nasce per la maggior parte in maniera in-conscia grazie ai neuroni specchio e ai circuiti di cellu-le a fuso, ma che chiama in causa anche un'altracategoria di neuroni, gli oscillatori, la cui funzione èquella di coordinare tìsicamente le persone regolandomodi e tempi con cui i loro corpi si muovono insieme.Possiamo vederli all'opera quando osserviamo duepersone che stanno per baciarsi: i loro movimenti sem-brano una danza, un corpo risponde all'altro con flui-dità perfetta. La stessa dinamica ha luogo quando due

violoncellisti suonano insieme: non soltanto produco-no note all'unisono ma, grazie agli oscillatori, i lorodue emisferi destri sono coordinati in maniera piùstretta di quanto non lo siano l'emisfero destro e sini-stro di ognuno dei due.

Risvegliare i neuroni «sociali»Lattivarsi dei neuroni sociali è evidente intorno a noi.Una volta abbiamo analizzato un video che riprendevaHerb Kelleher, uno dei cofondatori ed ex-CEO diSouthwest Airlines, mentre passeggiava nei corridoi del-l'aeroporto Love Field di Dallas, la base della compa-gnia. Riuscivamo praticamente a vedere come mettevain moto i neuroni specchio, gli oscillatori e gli altri cir-cuiti sociali di tutte le persone che incontrava: distribui-va sorrisi smaglianti, stringeva la mano ai clienti dicendoquanto apprezzasse la loro scelta, abbracciava i dipen-denti e li ringraziava per il buon lavoro svolto. E in ri-sposta riceveva esattamente le stesse cose. Tipico il casodi un'assistente di volo il cui volto si illuminò quandod'improvviso riconobbe quello il suo capo: «Caro!», sus-surrò con evidente calore, e lo abbracciò con trasporto.Più tardi spiegò che con lui tutti si sentivano di famiglia.Sfortunatamente non è facile trasformarsi in un HerbKelleher o in un dottor Humboldt se non lo si è già.Non conosciamo nessun metodo preciso per rinforzare ineuroni specchio, le cellule a fuso o gli oscillatori. Se neattivano migliaia al secondo durante qualsiasi incontro ele modalità di tale attivazione ci sfuggono ancora. Inol-tre il tentativo conscio di dimostrarsi socialmente intelli-genti può spesso rivelarsi controproducente. Se ci sisforza intenzionalmente di coordinare i propri movi-

Sei un leader con intelligenza sociale?

» Per valutare l'intelligenza sociale di un dirigente eaiutarlo a sviluppare un piano per migliorarla utilizziamoil nostro strumento di valutazione comportamentale:r«lnventario delle competenze emotive e sociali». SÌ trattadi uno strumento di valutazione a 360 gradi tramite il

uale capi, parigrado, subordinati diretti, clienti e talvoltaanche famigliari valutano un leader rispetto a sette capa-cità di intelligenza sociale. Siamo giunti a queste settearee integrando il nostro quadro di riferimento esistenterelativo all'intelligenza emotiva con i dati raccolti dai no-stri colleghi da Hay Group che, in ventanni, hanno analiz-zato con metodi quantitativi il comportamento di centi-naia di leader aziendali ad altissime prestazioni. <

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EMPATIA

• SAPETE CAPIREciò che motiva glialtri, anche coloro cheprovengono da am-bienti ed esperienzediverse?• SIETE SENSIBILIai loro bisogni?

SINTONIZZAZIONE

• SAPETE ASCOL-TARE attentamente epensate a come sisentono gli altri?• SIETE SINTONIZ-ZATI sugli umori deglialtri?

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menti con quelli di un'altra persona non si attivano sol-tanto Ì neuroni oscillatori; in queste situazioni il cervelloutilizza per avviare e guidare i movimenti altri circuitimeno efficaci e quindi l'interazione risulla forzata.Eunico modo per sviluppare con profitto i circuiti socia-li è affrontare il difficile compito di modificare il pro-prio comportamento (si veda il nostro articolo in colla-borazione con Annic McKee, Frimai Leadership: TheHidden Driver of Great Performance, «HBR», dicembre2001). Le aziende interessate allo sviluppo della lea-dership devono cominciare col valutare la disponibilitàdei singoli dipendenti a partecipare a un programma dicambiamento personale, I candidati che aderiscono de-vono innanzitutto sviluppare una propria visione delcambiamento e poi sottoporsi a una valutazione diagno-stica completa, analoga a un check-up medico, che neidentifichi i punti di forza e di debolezza dal punto di vi-sta sociale. Risultati alla mano, l'aspirante leader puòquindi seguire un percorso di formazione in quelle areespecifiche della personalità dove lo sviluppo delle abilitàsociali può dare i migliori risultati. Questa formazionepuò spaziare dall'apprendere migliori modalità di inte-razione in cui poi esercitarsi a ogni occasione, all'essereseguiti da un coach e poi ragguagliati sulle sue osserva-zioni, o all'imparare direttamente da un modello di ruo-lo. Le opzioni sono diverse ma la strada verso il successosempre impegnativa.

Come diventaresocialmente più intelligentiPer avere un'idea di che cosa significa una formazionein intelligenza sociale esaminiamo il caso di un alto di-

rigente, che chiameremo Janicc. Assunta come mana-ger nell'area marketing di un'azienda Fortune 500 perla sua esperienza, per il notevole curriculum in strate-gia e pianificazione strategica, per i suoi modi diretti eper la capacità di prevedere le questioni cruciali per ilraggiungimento degli obiettivi, dopo i primi sei mesi dilavoro navigava già in cattive acque. Gli altri managerla trovavano aggressiva e dogmatica, poco diplomaticae poco attenta a ciò che diceva e a chi lo diceva, in par-ticolare nei confronti dei superiori.Per salvare questo leader promettente, il suo capo feceintervenire Kathleen Cavallo, psicoioga delle organiz-zazioni e consulente esperto di llay Group, che la sot-topose immediatamente a una valutazione a 360 gradi.1 suoi diretti subordinati, i suoi parigrado e i suoi supe-riori le diedero votazioni basse in quanto a empatia,orientamento al rapporto, adattabilità e gestione deiconflitti. Cavallo trasse ulteriori informazioni da con-versazioni confidenziali con i più stretti collaboratoridi Janice: le rimostranze si concentravano sulla sua in-capacità di entrare in risonanza con le persone e persi-ne di notare le loro reazioni. Conclusione: non era ingrado né di leggere le norme sociali di gruppo, né di ri-conoscere i segnali emotivi delle persone di fronte allesue violazioni di quel codice. Un pericolo ancora mag-giore è che non si rendeva conto di essere troppo bru-sca nei riguardi dei superiori. Se aveva una netta diver-genza rispetto a un dirigente, non capiva quando era ilmomento di tirarsi indietro. Il suo approccio era del ti-po: «Mettiamo tutto sul tavolo e litighiamoci su», maquesto stava diventando una minaccia per il suo lavoroin quanto i dirigenti cominciavano a non poterne più.

CONSAPEVOLEZZA

ORGANIZZATIVA

• APPREZZATE LACULTURA e i valoridel gruppo o dell'or-ganizzazione?• COMPRENDETELE RETI SOCIALI ecogliete le loro regoleimplicite?

INFLUENZA

• RIUSCITE A CON-VINCERE gli altri sti-molandoli alla discus-sione e facendo appelloal loro interesse perso-nale?• RIUSCITE AD AS-SICURARVI il soste-gno delle personechiave?

LA CRESCITADEGLI ALTRI

• FATE DA COACH eda mentore con coin-volgimento personale einvestite tempo edenergia in queste atti-vità?• FORNITE UNFEEDBACK che lepersone trovano utileper il proprio sviluppoprofessionale?

ISPIRARE GLI ALTRI

• SIETE CAPACI DIELABORARE una vi-sione convincente, diinfondere orgoglio nelgruppo e di promuove-re un tono emotivo po-sitivo?• SAPETE ESERCI-TARE LA LEADERS-HIP tirando fuori ilmeglio dalle persone?

LAVORODI GRUPPO

• INCORAGGIATELA PARTECIPAZIO-NE di tutti i membri delteam?• SOSTENETE IMEMBRI DEL TEAMe ne incoraggiate lacollaborazione?

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INTELLIGENZA SOCIALE E BIOLOGIA DELLA LEADERSHIP

Quando Cavallo fece squillare il campanello d'allarme

presentandole il feedback ricevuto sulle sue prestazioni,

Janice naturalmente rimase colpita dalP apprende re che

il suo posto in azienda era in pericolo. Ma ciò che più la

sconvolse fu rendersi conto che il suo impatto sulle per-

sone non era quello desiderato. Cavallo le propose delle

sessioni di coaching in cui descrivere i successi e i talli-

menti degni di nota avvenuti nel corso della giornata.

Più Janiee esaminava i fatti e più imparava a riconosce-

re la differenza tra esprimere un'idea con convinzione e

agire come un pitbull. Cominciò a prevedere le reazioni

che poteva suscitare nel corso di una riunione o di una

valutazione di prestazione negativa; provò e riprovò

modi più consoni di esporre le proprie opinioni e svilup-

pò un progetto di cambiamento personale. Questa pre-

parazione mentale attiva i circuiti cerebrali deputati alle

attività sociali rinforzando le connessioni neuronali ne-

cessarie a un'azione efficace; questo è il motivo per cui

jJ0*% Leadership: dal carisma individualeal lavoro di squadra

^^ A•II V-iìM I di Francesco Miggiani /Amministratore Delegato May Group Italia

» Chi è un leader? Che cos'è la leadership? Domandeall'apparenza banali, che tuttavia, alla prova dei fatti,troverebbero una molteplicità di risposte tra loro diffe-renti. Il concetto di leadership è infatti piuttosto com-plesso e varia col variare dei contesti, delle modalitàd'espressione, dei ruoli che al leader sono affidati.Quanto al contesto, pensiamo per esempio alle differen-ze tra pubblico, privato e terzo settore, o a quelle tra im-presa e mondo polìtico. Oppure consideriamo la grandevarietà di stili di management. O, ancora, i compiti delleader: stratega, agente di cambiamento, coach, mana-ger, comunicatore...Gli stessi leader si vivono in modi diversi: c'è chi accen-tua le competenze tecniche e chi la capacità negoziale,c'è chi - anche consapevole della sua solitudine - si ve-de come colui che deve scegliere e decidere per il me-glio, oppure chi punta sulla squadra e sulla propria ca-pacità di tenerla coesa e orientata a fini comuni.Ciò che è comunque certo è che il concetto stesso dileadership si evolve col mutare delle congiunture econo-miche, tecnologiche o socioculturali, e studi come quellidi Daniel Goleman sono preziosi per interpretare questaevoluzione e per individuare le vie e gli strumenti peruno sviluppo dei leader all'interno delle organizzazioni.Il punto fondamentale del pensiero di Goleman è lospostamento del focus dall'individuo al gruppo, owero ilpassaggio dall'intelligenza individuale alla «intelligenzasociale». Nelle tesi di questo studioso, sono centrali ilteam e la relazione tra persone. L'intelligenza emotiva,fondata sull'autoconoscenza e sull'empatia, si trasferi-sce sul gruppo e su chi lo alimenta e lo guida.Anche secondo l'esperienza e l'analisi di May Group, illeader - e in particolare il leader del team di vertice - è

meno eroico e carismatico di come veniva connotato inpassato. Si definisce invece come un primus inter pares,capace di decidere ma anche di stimolare proposte edecisioni altrui, e in grado di responsabilizzare tutti icomponenti del gruppo facendo di questo una veralearning organìzation, che sa generare al proprio internotutte le competenze che le occorrono. Al leader spettadi interpretare e mettere in moto le dinamiche del grup-po, stabilendone le condizioni di funzionamento e indi-cando alle persone una visione motivante. Torniamodunque alla domanda di partenza: chi è oggi il leader?• E' una persona capace di creare un vero team, cioè

un team effettivo e non solo nominale.• E' un individuo capace di vision e in grado di tradurla

in scopi chiari, motivanti e condivisi dall'intero team.• E' un manager capace di creare il team, assicurando

che esso sia composto da persone dotate delle co-noscenze, delle abilità e delle esperienze necessaheper fare fronte ai compiti [compresi quelli di autosvi-luppo e di crescita) cui il team è chiamato.

Poiché sia il leader sia il team nel suo insieme vivono si-tuazioni in intenso divenire, è fondamentale l'apprendi-mento continuo, che consente al leader stesso e allasua squadra di aggiornare e arricchire le capacità deisìngoli e dell'insieme. Infine, come abbiamo visto, è ne-cessaria una capacità di «vibrare all'unisono», facendodel team in sé un soggetto per così dire intelligente. An-che se ci muoviamo in pieno nell'ambito dell'immateria-lità, ciò non significa che non sia possibile - anzi neces-sario - un approccio pratico e sperimentale: svilupparele competenze di leadership richiede un esercizio inten-sivo, un feedback preciso e prove costanti. <

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gli atleti olimpici investono centinaia di ore nel ripercor-rere mentalmente i propri movimenti.A un certo punto Cavallo le chiese di scegliere all'in-terno dell'organizzazione un leader dotato di eccellen-ti capacità di intelligenza sociale e Janice individuò unalto dirigente, un veterano esperto sia nell'arte dellacritica, sia in quella di esprimere disaccordo durante leriunioni senza danneggiare le relazioni. Gli chiese dipartecipare al proprio percorso di coaching e passò aun ruolo in cui poteva lavorare assieme a lui e dove ri-mase due anni. Janice ebbe la fortuna di trovare unmentore che vedeva lo sviluppo del capitale umano co-me parte integrante del lavoro di un leader. Molti altriavrebbero preferito gestire un dipendente problemati-co per renderlo inoffensivo, piuttosto che aiutarlo amigliorare. Il nuovo capo di Janice l'accettò perché ri-conosceva che i suoi punti di forza erano preziosi eperché la sua pancia gli diceva che poteva migliorarese opportunamente guidata.Prima delle riunioni le faceva da coach, prendendo inesame il modo di esporre il suo punto di vista sullequestioni controverse e di rivolgersi ai superiori, e lainiziava all'arte della valutazione delle prestazioni. Os-servandolo continuamente, Janice imparò a essere po-sitiva verso le persone anche quando ne sfidava le posi-zioni o ne criticava le prestazioni. Passare del tempoaccanto a un modello vivente di comportamento effi-cace fornisce ai nostri neuroni specchio uno stimoloperfetto che ci permette di sperimentare direttamente,interiorizzare e infine emulare ciò che osserviamo.La trasformazione di Janice è stata sincera e globale.In un certo senso è diventata un'altra persona. Se cifermiamo a riflettere, questa è una lezione molto im-portante che ci viene dalle neuroscienze: dato che ilcomportamento crea e sviluppa le reti neuronali, nonsiamo necessariamente prigionieri dei geni o delleesperienze vissute nella prima infanzia. Gli adulti pos-sono cambiare se, come Janice, sono pronti a mettercila buona volontà. Man mano che procedeva nella for-mazione, i comportamenti sociali che apprendeva di-ventavano sempre più automatici, quasi una secondanatura. In termini scientifici, Janice stava consolidan-do i propri circuiti sociali attraverso la pratica. La ri-sposta degli altri creava una più profonda ed efficaceconnessione dei loro cervelli con il suo e in tal modone rinforzava i circuiti in un circolo virtuoso. Risultato:Janice passò dall'orlo del licenziamento a una promo-zione non a uno, ma a due livelli superiori.Pochi anni dopo alcuni membri del suo staff lasciarono

l'azienda perché non erano soddisfatti e Janice chiesea Cavallo di tornare. Quest'ultima scoperse che, ben-ché padrona dell'arte di comunicare e di connettersicon i propri pari e con i superiori, Janice talvolta tra-scurava ancora i segnali che i diretti sottoposti le lan-ciavano per tentare di farle comprendere la propriafrustrazione. Con il supporto di Cavallo riuscì, però, asuperare la situazione riportando attenzione ai bisogniemotivi del suo staffe mettendo ulteriormente a puntoil suo stile comunicativo. I sondaggi sulle opinioni deisottoposti svolti prima e dopo il suo secondo percorsodi coaching rivelarono un netto aumento del loro coin-volgimento emotivo e della loro intenzione di rimane-

La chimica dello stress» Quando una persona è sotto stress, l'impennata degliormoni specifici - adrenalina e collisolo - influenza pesan-temente le sue facoltà di ragionamento e di cognizione. Atassi ematici bassi il cortisolo facilita il pensiero e le altrefunzioni mentali e, in tal senso, una pressione per il rag-giungimento del risultato che giunge al momento giusto ole critiche mirate dei propri collaboratori hanno un loro ruo-lo. Tuttavia, quando le richieste di un leader diventano trop-po pesanti per un sottoposto, i livelli di cortisolo in aumentocon l'aggiunta di una scarica di adrenalina possono portarealla paralisi fondamentali funzioni mentali. L'attenzione sifissa sulla minaccia rappresentata dal capo anziché sul la-voro da svolgere, così la memoria, la creatività e la capacitàdi pianificazione si volatilizzano. Le persone ricadono nellevecchie abitudini, a prescindere da quanto queste possanoessere inadeguate per affrontare le nuove sfide.Una critica mal espressa o una scenata di rabbia da partedel leader possono comunemente innescare una scaricaormonale. Infatti, quando vogliono studiare in laboratorio gliormoni dello stress ai massimi livelli, gli scienziati simulanoun colloquio di lavoro in cui il candidato viene fortemente edirettamente criticato, un'esperienza simile a quella di vederaffossare la propria performance da parte del capo. Allostesso modo i ricercatori sono giunti alla conclusione chequando qualcuno ritenuto da una persona molto importan-te esprime verso di essa disprezzo o disgusto, i circuiti dellostress di quest'ultima rilasciano un'esplosione di ormoni ela frequenza cardiaca registra rapidamente un aumento di30-40 pulsazioni al minuto. Poi, a causa della dinamica in-terpersonale dei neuroni a specchio e degli oscillatori, latensione si estende alle altre persone. Prima che si possarendersene conto, le emozioni distruttive hanno contagiatol'intero gruppo e inibito le sue prestazioni.Gli stessi leader non sono immuni dal contagio dellostress, una ragione in più per trovare il tempo di capire labiologia delle proprie emozioni. <

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INTELLIGENZA SOCIALE E BIOLOGIA DELLA LEADERSHIP

re in azienda. Janice e ilsuo staff produssero an-che un incremento dellevendite del 6% in un an-no e, dopo un secondoanno di successi, vennemessa a capo di una divi-sione con miliardi di fat-turato. È chiaro che leaziende possono trarrenotevoli benefici se le lo-ro persone seguono il ti-po di programma portatoa termine da Janice.

Misurazioni quantitativedell'intelligenza socialeUn decennio di ricerca conferma che c'è una grandedisparità di prestazioni tra leader socialmente intelli-genti e leader che non lo sono. 1 risultati relativi aun'importante banca nazionale, per esempio, rivelanoche il livello delle competenze sociali di un dirigente èmaggiormente predittivo delle sue prestazioni annualirispetto alle competenze di autocoscienza e autoge-stione proprie dell'intelligenza emotiva (per una brevespiegazione del nostro strumento valutativo si veda ilbox «Sei un leader con intelligenza sociale?»).Uintelligenza sociale si rivela particolarmente impor-tante nelle situazioni di crisi. Esaminiamo l'esperienzadei dipendenti di un grande sistema sanitario provin-ciale canadese che aveva subito una riorganizzazionecon drastici tagli. I sondaggi interni rilevavano che ilpersonale di prima linea era frustrato perché non ri-usciva più a fornire ai pazienti cure di alto livello. Danotare che i lavoratori i cui capi avevano un basso pun-teggio in termini di intelligenza sociale riferivano untasso di bisogni insoddisfatti dei pazienti tre volte su-periore a quello denunciato dai loro colleghi con lea-der più incoraggianti, mentre il livello di esaurimentoemotivo saliva addirittura a quattro volte tanto. Diconverso gli infermieri con capi socialmente intelligen-ti mostravano un buon grado di salute emotiva eun'aumentata capaqità di prendersi cura dei pazienti,anche durante i periodi di stress dovuti ai licenziamen-ti (si veda il box «La chimica dello stress»). Questi stu-di dovrebbero diventare letture obbligatorie per iboard delle aziende in crisi che, nella selezione di chideve guidare l'istituzione attraverso acque agitate, ten-

dono a privilegiare l'esperienza a discapito dell'intelli-genza sociale. In tempi di crisi un manager ha invecebisogno di entrambe.

Esplorando le scoperte delle neuroscienze si rimane col-piti dalla stretta corrispondenza tra le migliori teorie psi-cologiche dello sviluppo e i circuiti cerebrali organici direcente individuazione. Negli anni '50, per esempio, il pe-diatra e psicoanalista inglese D.W. Winnicott vedeva nelgioco un modo per accelerare l'apprendimento dei bam-bini. Sulla medesima lunghezza d'onda, il medico e psi-coanalista britannico John Bowlby sottolineava l'impor-tanza per le persone di avere una base sicura a partiredalla quale muovere alla conquista dei propri obiettivi,potersi assumere dei rischi senza paure ingiustificate edesplorare liberamente nuove possibilità. I manager incal-liti possono pensare che sia assurdamente autoindulgentee finanziariamente improponibile occuparsi di questeteorie in un mondo in cui i risultati di bilancio sono la pie-tra di paragone del successo. Tuttavia, man mano chenuovi metodi di misurazione scientìfica dello sviluppoumano vanno a confermare quelle teorie e le mettono inrelazione diretta con le prestazioni, il cosiddetto lato softdel business dopo tutto comincia ad apparire meno soft.

(Traduzione di Maria Peroggi) Ristampa n. 08070

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