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1 INFORMARSI e COMUNICARE Al tempo del WEB e della TV A cosa serve Internet? Come le Università popolari possono avvicinare gli anziani al mondo della rete a cura di Servizi Nuovi LA CITTÀ CHE APPRENDE VI EDIZIONE GENOVA - PALAZZO DUCALE 26- 27 SETTEMBRE 2012

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INFORMARSI e COMUNICARE

Al tempo del WEB e della TV

A cosa serve Internet?

Come le Università popolari possono avvicinare gli anziani al mondo della rete

a cura di

Servizi Nuovi

LA CITTÀ CHE APPRENDE VI EDIZIONE

GENOVA - PALAZZO DUCALE

26- 27 SETTEMBRE 2012

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I n d i c e Introduzione, 3

Idee per un percorso formativo, 4

Materiali/Schede, 9

Materiali/Spunti di riflessione, 13 - Questioni cognitive, 13 - Questioni sociali, 17

Gli autori del testo contenuto in queste pagine – Alessandro Mon-tebugnoli e Cecilia Canova – rin-graziano vivamente Alessandro Aiello, Letizia Leo e Fabio Piccoli-no per le proficue discussioni svol-te in sede Auser. Naturalmente, la responsabilità delle cose scritte è sempre e solo di chi scrive.

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Introduzione Il destinatario ‘ideale’ del percorso formativo che ci apprestiamo a delineare è una per-sona anziana più o meno ‘digiuna’ di Internet. Certamente ne avrà sentito parlare, e in-torno a sé vedrà qualcuno che la usa. Ma ne ha un’idea vaga, probabilmente la sente come qualcosa di strano, inafferrabile . Di estraneo.

Nei confronti di questa persona, l’obiettivo del percorso è – spudoratamente – quello di ‘avvinarla a Internet’. O meglio, di fornirle strumenti per valutare se vale la pena di farlo. Tenersi in disparte dalla rete è una scelta tanto rispettabile quanto quella opposta; e soprattutto nei riguardi di una persona anziana, un atteggiamento paternalistico, che proponga la partecipazione al mondo digitale come un must, perché bisogna stare al passo con i tempi, sarebbe davvero insopportabile. Ma prospettare un quadro di possibi-lità e aiutare a farsene un’idea – questo, invece, è un obiettivo ragionevole, certamente consono alla missione di Auser.

Il destinatario e l’obiettivo appena indicati determinano largamente le caratteristiche del percorso: particolarmente, in un senso che qui è inutile anticipare, quanto vi è di ‘elementare’ e di ‘riflessivo’. Inoltre, l’impostazione proposta deve essere valutata te-nendo conto delle due considerazioni che seguono.

La prima ne accentua i limiti. Di anziani più o meno digiuni di Internet, certamente, ce ne sono tanti. Però è bene sapere che si tratta di una situazione transitoria. Non biso-gnerà aspettare che invecchi la generazioni dei born digital perché più o meno tutti ab-biano una certa confidenza con la rete. In larga misura, se buona parte degli anziani di oggi non conosce Internet, la ragione sta nel fatto che sono mancate occasioni di utilizzo nel corso della vita lavorativa, compreso il fatto tante anziane di oggi sono state, e sono ancora, ‘casalinghe’: condizioni sempre meno frequenti presso gli adulti di oggi, che sa-ranno gli anziani di domani. Da questo punto di vista, casomai, va detto che chiunque si occupi di invecchiamento (tanto più se attivo) dovrà porsi il problema di comprendere (e assecondare) l’evoluzione delle caratteristiche (e delle esigenze) di coloro ai quali si ri-volge.

D’altra parte – seconda considerazione, che in certo modo corregge la prima – il fatto che il percorso abbia il destinatario ideale che si è detto non toglie che altri, pure, pos-sano trovarvi motivi di interesse. Anzi, ci sentiamo di dire che chiunque voglia ‘fare il punto’ del proprio rapporto con la rete – e anche interrogarsi circa l’impatto sociale di quest’ultima – può ricavarne spunti di riflessione ed elementi di consapevolezza. Circo-stanza da tenere presente anche perché l’eventuale presenza, tra i partecipanti, di per-sone più o meno anziane, più o meno avvezze a utilizzare Internet, può ben costituire un importante fattore di vivacità delle attività formative.

Per concludere, resta da dire che questo documento è interamente affidato all’uso che vorranno farne i Presidenti delle Università popolari, in quanto organizzatori delle attività formative. E’ a loro, in effetti, che ci rivolgiamo, affinché valutino se l’ipotesi di lavoro che abbiamo elaborato merita uno sforzo di implementazione – naturalmente, con tutte le integrazioni, modificazioni, correzioni suggerite dalla loro medesima espe-rienza. Per questo, anche, dopo aver illustrato il percorso, abbiamo aggiunto qualche considerazione di ‘fattibilità’.

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Idee per un percorso formativo 1. Immaginiamo un programma di incontri (meglio che un corso) nel primo dei quali il conduttore (meglio che il docente) proponga ai presenti di prendere le mosse da questa semplice domanda: a cosa serve Internet? Meglio, a cosa può servire Internet? E imma-giniamo anche che proponga subito, come traccia per cercare di rispondere, il disegno che abbiamo presentato insieme all’Indice, oppure, se preferisce, la versione che segue (dal punto di vista dei contenuti, le due versioni sono del tutto equivalenti: cambia sol-tanto la modalità di presentazione, sicché la scelta è rimessa a valutazioni di ‘gusto’).

Naturalmente, qualunque sia la versione preferita, il disegno dovrà essere illustrato. Il conduttore, allora, dirà che i nomi – e-Bay, Google, Facebook, ecc. – si riferiscono a di-versi tipi di servizi (segnalando la circostanza che di fatto, nella maggior parte dei casi, si tratta dei nomi delle imprese che li hanno immaginati e li gestiscono); mentre le figure all’interno della ‘nuvola’ vogliono suggerire che cosa si può fare in virtù del fatto che quei servizi sono disponibili.

Detto questo, sarà bene che il conduttore passi in rassegna i diversi casi, uno per uno. Al riguardo, nella sezione Materiali/Schede di questo documento, si cerca di rendere esplicito ciò che il disegno contiene in forma implicita, costituendone quindi una sorta di debriefing. Come si vede, si tratta di indicazioni molto sintetiche, che il conduttore potrà ampliare a piacere, e certamente non avrà difficoltà a vivacizzare (con prove, simulazio-ni, ecc.). In esse, però, è presente una logica che andrebbe rispettata: ogni servizio è ri-condotto a un concept, a un’idea – possibilmente chiara, semplice, distinta, elementare.

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Del resto, su questo stesso punto – l’incisività del messaggio – le imprese che gestiscono i servizi giocano la maggior parte parte delle proprie sorti. Mentre dal lato dei fruitori, per complemento, si tratta di ricondurre un mondo fin troppo vario, complesso, sfug-gente, a significati che ognuno può comprendere.

Perciò, anche, deve essere chiaro che, per il momento, non si tratta affatto di inse-gnare a usare Google, Facebook o Amazon (in senso pratico, operazionale): piuttosto si tratta di aiutare i presenti a formarsi una visione generale, ma corretta, delle ‘utilità’ fornite dalla rete. 2. Fermiamoci un attimo. Forse, quello che precede è meno banale di quanto può sem-brare.

Intanto, il fatto stesso di articolare il discorso, come suggerito dal disegno, serve a evitare che il carattere della ‘rete’ – senza dubbio avvolgente, globale, pervasivo – fini-sca per trasformarla in un’entità che ci sovrasta, tanto potente quanto indistinta: una percezione (presente nel senso comune) che non aiuta a prendere le misure del feno-meno. In fondo, l’operazione proposta somiglia a quella di aprire una scatola e guardare quello che c’è dentro – anche per togliere di mezzo quel tanto di ‘misterioso’ che una scatola chiusa, della quale si ignori il contenuto, non manca di comunicare.

In secondo luogo, l’articolazione del discorso non è ‘orientata alla tecnologia’, e tanto meno ai vari devices nei quali questa è incorporata (computer, smart-phone, e-book, ecc.); casomai, è orientata alle funzionalità dei mezzi dovuti allo sviluppo tecnologico. E’ del tutto comprensibile che la ‘potenza’ di questi ultimi impressioni proprio in quanto tale; ma di questa stessa potenza, dopotutto, interessano le ‘applicazioni’, termine che non a caso, ormai, è entrato nel lessico corrente (in proposito cfr. anche l’Appendice).

Infine il passaggio decisivo, affidato a una sorta di slittamento semantico: dalle ‘fun-zionalità’ dei mezzi ai ‘funzionamenti’ di quanti li utilizzano. Quest’ultima nozione è stata impiegata tante volte che non è il caso, qui, di richiamarla1. Comunque, implicitamente, è già comparsa nel discorso, perché i nostri funzionamenti sono proprio le cose che riu-sciamo a fare, le attività che riusciamo a svolgere – in ragione, tra l’altro, dei mezzi che abbiamo a disposizione. Perché, allora, per l’ennesima volta, citarla in modo esplicito? Per sottolineare la densità del tema. I funzionamenti, le cose che riusciamo (o non riu-sciamo) a fare, sono una faccenda ‘esistenziale’: si tratta delle nostre ‘esperienze di vita’, delle “forme di vita umana” che abbiamo motivo di desiderare. Pertanto, a differenza dei mezzi che li rendono possibili, i funzionamenti sono valori in sé, di ultima istanza, e come tali costituiscono un punto di riferimento che non deve mai mancare – neppure nei discorsi intorno alla rete, a meno di non rinunciare a misurarla sul metro più impor-tante, che è anche la base di ogni intelligenza critica

Casomai, per quanto riguarda la rete, si deve osservare che molti dei servizi che ren-de disponibili hanno a che vedere con la ‘partecipazione sociale’: una sorta di metafun-zionamento (nel senso che ne comprende vari) tanto importante da riguardare profili dell’essere oltre che fare. Circa il quale, inoltre, va detto che implica standard e confron-ti: non si può partecipare attivamente alla vita della società se non si dispone di certe cose e certe competenze, appartenenti alla norma dei processi di interazione su basi col-

1 Cfr., per esempio, Servizi Nuovi, I livelli essenziali delle prestazioni sociali, Auser, 2009.

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lettive. Beninteso, non si tratta di una novità introdotta dalla rete2 – ma questa, certo, la rende evidentissima. 3. Riprendiamo il filo del percorso formativo. Fino al punto in cui l’abbiamo lasciato ha parlato il conduttore. Se l’ha fatto, però, è stato per istituire un contesto discorsivo nel quale, adesso, invita i presenti a intervenire in modo attivo. In questa nuova fase, infatti, il suo compito è quello di sollecitarli a un’autoriflessione circa le esperienze che attual-mente realizzano (o meno) nelle ‘aree della vita’ che corrispondono ai servizi offerti dalla rete.

Di un argomento così definito, è chiaro che gli ‘esperti’ sono proprio loro, i ‘discenti’ – qualunque sia il loro livello di confidenza con le tecnologie digitali. In parole povere, le ‘aree della vita’ di cui si tratta non le ha inventate Internet: piuttosto si tratta di un ‘fon-do’ di esigenze vitali (di funzionamenti, nel linguaggio del paragrafo precedente) che ri-guardano tutti, indipendentemente da come e quanto ognuno le soddisfa (e perfino da come e quanto ognuno le avverte). Con il risultato, appunto, che le ‘informazioni perti-nenti’ sono in possesso, come si dice, dei diretti interessati.

Questa è anche la ragione per cui non è soltanto possibile ma altamente opportuno che l’attività formativa sia impostata nel modo che si è detto: come un’autoriflessione, come un lavoro di ‘chiarificazione’ svolto ‘in proprio’, su se stessi, intorno alle situazioni delle quali si è (o non si è) partecipi. Naturalmente, non va taciuto che un lavoro del ge-nere ha bisogno di sostegno, guida, strumenti di supporto. Le informazioni di cui sopra sono bensì possedute dai diretti interessati, ma non necessariamente in modo consape-vole: spesso, anzi, sono proprio nascoste nelle loro menti, o anche, come si dice, ‘nasco-ste in piena luce’ (nel senso che si tratta di cose evidenti, che proprio per questo, però, troppo facilmente si danno per scontate). Anche in questa fase, dunque, il conduttore ha molto lavoro da svolgere; ma dovrà svolgerlo ispirandosi a un metodo largamente ‘labo-ratoriale’, con un approccio di tipo ‘esperienziale’, nel senso che abbiamo imparato ad apprezzare3.

4. La fase successiva consiste nel ‘mettere insieme’ gli argomenti delle prime due: i ser-vizi offerti dalla rete e le esperienze nelle ‘aree della vita’ che vengono in discussione quando si ragiona delle loro ‘funzionalità’. Con l’obiettivo, si capisce, di verificare quali progressi siano plausibili: quali esperienze, diverse e migliori, sia possibile realizzare per mezzo delle ‘utilità’ che Internet rende disponibili. Questione pertinente, si noti, sia nel caso in cui i servizi facciano già registrare un qualche livello di utilizzo (che allora si trat-terà di vedere se può diventare più avvertito), sia nel caso in cui non se ne registri alcuno (e allora si tratterà di vedere quale differenza può fare, per una persona, l’‘ingresso’ nel mondo della rete).

Qui, di nuovo, il conduttore deve parlare molto, perché i servizi già presentati nei ri-spettivi concept devono essere materia, adesso, di considerazioni più ravvicinate: e più

2 In generale, circa il rapporto tra ‘beni e servizi’ e ‘partecipazione sociale’, cfr. M. Douglas e B.

Isherwood, Il mondo delle cose, Il Mulino, 1976 (nonché la discussione delle loro tesi contenuta in Servizi Nuovi, Questioni di ecologia, Auser, 2010).

3 In proposito, cfr. Servizi Nuovi, Verso una formazione narrativa ed esperienziale, Auser, 2010.

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che di considerazioni, per la verità, di ‘dimostrazioni’ o di vere e proprie ‘esercitazioni’, ragionevolmente interattive, che facciano ‘toccare con mano’ i risultati che si possono ottenere dal fatto di impiegarli.

Questo, di per sé, non è difficile. Difficili, invece, ma anche più interessanti, sono i due compiti che seguono, in parte intrecciati.

(a) Quello che adesso viene mostrato non deve prescindere da quanto emerso nella seconda fase. Anzi deve proprio innestarsi sui risultati di quest’ultima. In effetti, si tratta di stabilire un collegamento – puntuale, esplicito, visibile – tra le possibilità offerte dalla rete e le situazioni esistenziali – criticità, esigenze, aspirazioni, ecc. – oggetto del prece-dente lavoro di autoriflessione; ovvero di mostrare come questo o quel servizio possa far presa su questioni di ‘vita vissuta’, che gli stessi partecipanti hanno riconosciuto me-ritevoli di attenzione. Insomma, si tratta di far leva su interessi reali – in modo, tra l’altro, che il fatto di entrare nel mondo della rete, ovvero di compiere nuovi passi al suo interno, possa essere avvertito come un percorso personale, controllato, piuttosto che come un ‘inchino’ alla sua potenza.

(b) Il rapporto con la rete deve essere, anche, problematizzato. Semplificando molto, si può parlare di luci e ombre, di opportunità e minacce, di vantaggi e limiti: non per niente Internet, come tante altre cose, ha i suoi ‘integrati’ e i suoi ‘apocalittici’. Inutile osservare che si tratta di un argomento quanto mai delicato, sul quale, qui, non si pre-tende certo di dire una parola conclusiva. L’importante, però, è che il conduttore renda noto il fatto che il Web è oggetto di un dibattito, molto impegnativo, e in qualche ne suggerisca i termini – pur sempre riportandoli alle possibilità che sta proponendo ai par-tecipanti. Anche questo punto va messo in conto alla possibilità che questi ultimi realiz-zino un percorso consapevole: che non coltivino aspettative ingenue, destinate a essere deluse, e che compiano le proprie scelte avvertiti anche dei ‘contro’, oltre che dei ‘pro’. Senza tacere che in tal modo, ragionando su prospettive che li riguardano, potranno ac-quisire qualche elemento consapevolezza sul piano culturale – il che, per così dire, non fa mai male. Nel merito, la sezione Materiali/Spunti di riflessione contiene alcuni accenni alle questioni di cui si discute, affinché l’argomento non resti, qui, del tutto indetermina-to. D’altra parte ha proprio soltanto questo fine: anche il questo caso ci limitiamo a sug-gerire il senso delle cose da dire, che il conduttore potrà allargare o variare a proprio piacimento.

5. In sintesi, si può osservare che il percorso formativo delineato lavora molto sul terre-no delle motivazioni. Anzi, a partire dalla domanda iniziale – a cosa serve Internet? – un po’ tutti i passaggi sono all’insegna della ricerca di motivi plausibili, che sottraggano il discorso sulla rete a una visione troppo ‘meravigliata’ delle novità che ha introdotto e incessantemente continua a generare. Fino ad arrivare, nella terza fase, al significato più immediato del termine ‘motivazioni’: quali ragioni ho io per risolvermi a utilizzare (o uti-lizzare più a fondo) i servizi offerti dalla rete? con quali dei bisogni iscritti nella mia vita posso, ragionevolmente, metterli in rapporto?

Tutto ciò, per un verso, rispetta un requisito di ‘concretezza’, e per un altro lo manca. Lo rispetta proprio in ragione del riferimento alle esperienze di vita dei partecipanti, che viene a stabilirsi in modo esplicito, stringente; lo manca perché il profilo dell’‘addestra-mento’ all’uso della rete, se non è del tutto assente, risulta alquanto in ombra. Così, in

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un certo senso, si può dire che il percorso formativo delineato appartiene al genere ‘orientamento’ – salvo ribadire che, nei suoi limiti, mette capo a risultati ben ‘concreti’.

In effetti, crediamo che le stesse caratteristiche della rete – avvolgente, globale, per-vasiva – diano luogo a esigenze di orientamento particolarmente acute; e che queste, ragionevolmente, vadano affrontate ‘per prime’. Se non disattese, tutti i passi nel mon-do della rete, compresa l’acquisizione di una maggiore abilità nell’uso dei servizi, po-tranno essere compiuti in modo più intelligente e anche disinvolto – con il sostegno, ap-punto, di motivazioni solide. 6. Come abbiamo detto nell’Introduzione, questo documento è destinato ai Presidenti delle Università popolari, o meglio, a chiunque, in Auser, abbia compiti di progettazione e organizzazione delle attività formative. D’altra parte non pretendiamo certo che non possano sorgere problemi, dubbi, interrogativi. Per questo concludiamo con l’indica-zione di due cose da fare, ammesso che si voglia andare avanti.

La prima, alquanto banalmente, è un seminario interno, cui invitare gli stessi destina-tari di questo documento, in modo che i suddetti problemi, dubbi e interrogativi abbiano modo di manifestarsi ed essere discussi. Di più, lo scopo del seminario dovrebbe essere proprio quello di ‘falsificare’ l’impostazione proposta in queste pagine – di sottoporla a una ‘prova di resistenza’, sollevando tutte le obiezioni che vengono in mente. Se la supe-ra, magari modificandosi, avremo una ragione in più per perseguirla.

La seconda è un lavoro inteso a predisporre una condizione di fattibilità. Ammettia-mo per un attimo che la ‘prova di resistenza’ sia superata, che l’impostazione proposta, all’esito della discussione, risulti convincente quanto basta per portarla avanti. Sorge su-bito la domanda: come si fa? In particolare: dove si trovano i formatori in grado di tene-re i corsi, i cicli di incontri? Il lavoro che si immagina, allora, è proprio quello di ‘cercarli’. Verifiche preliminari hanno portato alla conclusione che esiste un buon numero di luo-ghi (soprattutto Università e centri di ricerca, ma anche qualche impresa) nei quali sono attive persone – esperte, competenti – potenzialmente in sintonia con le idee che ab-biamo esposto e potenzialmente disponibili a fornire un contributo a metterle in pratica – su basi volontarie. Di questi luoghi, appunto, si potrebbe costruire una ‘mappa’ – e non tanto ‘a tavolino’, quanto proprio stabilendo contatti e raccogliendo positive manifesta-zioni di interesse. In tal modo, le Università popolari che volessero muoversi lungo la strada indicata avrebbero una sorta di ‘bacino’ di possibili formatori con i quali interlo-quire, su un terreno, almeno in parte, già preparato. Inoltre, abbiamo ragione di ritenere che la mappa, a lavorarci con cura, risulterebbe abbastanza ‘fitta’: diciamo almeno un punto di riferimento in ogni regione (ma in molti casi di più), sicché le Università non do-vrebbero cercare i formatori troppo lontano (con evidenti implicazioni dal punto di vista dei costi).

Come è appena il caso di aggiungere, proprio per finire, che il problema di organizza-re i percorsi formativi, così impostato, si rivelerebbe al tempo stesso una opportunità – nel segno di un aumento dei rapporti che ogni Università stabilisce con le altre realtà culturali presenti nel proprio territorio.

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Materiali/Schede Note di lettura Le schede che seguono riguardano una parte dei servizi offerti dalla rete. In specie, si

tratta di servizi destinati (soltanto o anche, ma in modo consistente) alle famiglie, ri-sultando quindi esclusi tutti quelli destinati (soltanto o prevalentemente) alle impre-se. L’importanza di questi ultimi è fuori discussione: se le Information and communi-cation technologies sono quello che sono, moltissimo si deve al fatto che hanno rivo-luzionato da cima a fondo il mondo della produzione. Per ovvie ragioni, però, l’argo-mento esula dal nostro discorso.

Anche nei limiti del punto precedente, i servizi presi in considerazione sono soltanto

una parte di quelli disponibili (che in effetti sono una miriade). Inoltre, ognuno dei nomi che compaiono deve essere ritenuto rappresentativo di molti operatori che of-frono prestazioni più o meno dello stesso genere. Tuttavia, per entrambi gli aspetti, si tratta dei casi più importanti. Non a caso, nella lista, sono compresi i tre siti (di gran lunga) più visitati (nell’ordine: Google, Facebook e YouTube).

Ancora, ognuno degli operatori presi in considerazione fornisce molti altri servizi ol-

tre a quello contemplato dalla relativa scheda. In tutti i casi, però, questo costituisce il suo core business (l’attività ‘caratteristica’) e ne definisce l’immagine.

Analogamente, i servizi sono presentati nella forma ‘originaria’, quella che avevano

nella prima fase della loro storia. Ormai, per esempio, Facebook e Twitter sono utiliz-zati (anche) a fini sensibilmente diversi da quelli presi in considerazione (dove è inte-ressante notare che l’evoluzione, in parte, è stata determinata proprio dal compor-tamento dei fruitori).

Nelle schede non sono riportati numeri. Le dimensioni di massa dei fenomeni (effet-

tivamente impressionanti) sono date per scontate. Si tratta di una lacuna che, volen-do, può facilmente essere colmata.

Il termine ‘computer’ è sempre usato per indicare, in realtà, l’insieme di tutti i dispo-

sitivi (ormai molti) che svolgono analoghe funzioni di memorizzazione e connessione.

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Google Consentire la ricerca dei testi che interessano nella sterminata biblioteca del Web. Dove: o la ricerca avviene per parole chiave (libere); o il termine ‘testi’ non significa soltanto testi scritti, ma anche disegni, immagini, foto-

grafie, video, ecc.: in pratica tutto ciò che può comparire sullo schermo di un compu-ter;

o la ‘biblioteca’ si è formata quando si riusciti a ottenere che tutto ciò che può essere prodotto o riprodotto per mezzo di un computer possa essere visto per mezzo di ogni altro (naturalmente, se tale è l’intenzione dell’autore);

o ognuno dei testi può contenere rimandi ad altri testi (link), che a loro volta possono essere visualizzati istantaneamente.

I contenuti dei testi non potrebbero essere più vari: dai classici latini alle ricette di cuci-na, dai più recenti risultati della ricerca scientifica all’indirizzo di un ristorante e alla vi-sualizzazione del percorso per raggiungerlo, ecc. Ormai, in effetti, gran parte del sapere, di tutti i tipi, si trova sul Web, ed è quindi accessibile da chiunque sia collegato alla rete, in qualsiasi parte del mondo, praticamente a costo zero. Ma proprio a causa della sua vastità sarebbe del tutto inutilizzabile se non esistessero adeguati strumenti (‘motori’) di ricerca. Facebook Consentire a una persona di tenersi in contatto con i propri amici. Dove: o ‘tenersi in contatto’ significa fornire informazioni su se stessi (il proprio profilo per-

sonale, quello che si pensa, quello che si fa, ecc.), condividere materiali di vario gene-re, commentare le informazioni e i materiali ricevuti, dialogare in tempo reale, pro-muovere discussioni a più voci, ecc.;

o gli ‘amici’ sono altri utenti di Facebook che hanno accolto l’invito di considerarsi tali: può trattarsi di amici nel senso ordinario della parola, ma anche di persone conosciu-te in passato con le quali si vogliono riprendere i contatti, persone conosciute più o meno occasionalmente con le quali si vogliono stabilire rapporti, ecc.

Dunque uno strumento di socializzazione che sempre più si sta affiancando a quelli di tipo tradizionale (telefonate, incontri, ecc.), a quanto pare senza prenderne il posto. Twitter Consentire a una persona di raccontare ‘minuto per minuto’, a varie altre persone, quel-lo che sta facendo, quello che sta pensando, quello cui sta assistendo; oppure, anche, di invitarle a esprimersi intorno a un certo argomento. Dove:

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o ‘raccontare’ significa scrivere messaggi molto brevi (massimo 2-3 righe); o ‘quello che sta facendo’ perloppiù significa episodi di vita quotidiana, ordinari, minu-

ti: o spesso, invece, ‘quello cui sta assistendo’ significa eventi importanti, di risonanza col-

lettiva; o ‘esprimersi intorno a un certo argomento’ significa proprio avviare (o seguire) un di-

battito, per quanto, di nuovo, nei limiti di testi molto brevi. Anche Twitter, come Facebook, appartiene alla famiglia dei social network. La peculiarità è costituita proprio dallo stretto legame con situazioni di tipo contingente (che cosa sta succedendo), che influenza anche il tipo e il tenore dei dibattiti. Amazon Consentire di fare acquisti senza spostarsi da casa. Dove: o gli acquisti possono riguardare una gamma ormai pressoché completa degli oggetti di

uso più comune; o la scelta dell’articolo avviene su cataloghi illustrati che compaiono sul proprio compu-

ter, per mezzo del quale si effettuano anche l’ordine di acquisto e il pagamento; o la consegna avviene a domicilio, in tempi prefissati. L’utilità del servizio non consiste soltanto della comodità di non spostarsi da casa, ma anche nella possibilità di confrontare prodotti e prezzi su una base di straordinaria am-piezza, nonché di ottenere informazioni su un certo prodotto leggendo le recensioni di chi lo ha già acquistato. E’ anche prevista la possibilità di formare ‘gruppi di acquisto’. eBay Consentire a una persona di mettere in vendita oggetti in suo possesso e di trovare qualcuno disposto a comprarli (e all’inverso, naturalmente, di trovare qualcuno inten-zionato a vendere qualcosa che si desidera comprare). Dove: o le persone coinvolte nello scambio possono essere sia operatori professionali sia

‘chiunque di noi’; o gli oggetti possono essere nuovi o usati; o l’oggetto che si intende vendere può essere messo all’asta oppure offerto a prezzo

fisso (magari contrattabile), come nelle transazioni più consuete. In gran parte, i motivi di interesse del servizio risiedono proprio nel fatto di facilitare la compravendita di cose usate tra le famiglie, allargando enormemente le basi dell’incontro tra domanda e offerta e creando, con vari accorgimenti legali, condizioni di maggiore affidamento tra i partner delle transazioni

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YouTube Consentire a chiunque di mettere in circolazione un video. Dove: o ‘mettere in circolazione’ significa che il video può essere guardato per mezzo di qual-

siasi computer collegato in rete; o il video può essere realizzato sia da operatori professionali che da chiunque sappia

usare una telecamera; o non possono essere messi in circolazione video già esistenti, protetti da copyright. In gran parte, l’originalità del servizio consiste proprio nella possibilità, offerta a ogni utente della rete, di filmare qualcosa e mostrarla a tutti gli altri. Un’enorme massa di episodi divertenti, curiosi, impressionanti, di eventi interessanti, come pure di perfor-mance artistiche (musicali, teatrali, ecc.), è diventata materia di intrattenimento (più che di informazione) per milioni di persone, che spesso, per mezzo di un velocissimo passa-parola, facilitato anche dai social network, decretano notevoli casi di successo (dei video in quanto tali e, talvolta, anche dei loro autori). E-mail, Skype, Home Banking, Agenda digitale

In generale, si tratta di servizi caratterizzati da un’immediata utilità ‘pratica’, legata alla possibilità di risparmiare tempo e denaro nello svolgimento di varie attività quotidiane, più o meno ricorrenti. Così: o l’E-mail consente di spedire messaggi da casa o dall’ufficio, e di farli pervenire in mo-

do pressoché istantaneo; o Skype consente di fare telefonate a costi più bassi (o anche gratis), nonché di vedere

in diretta, sullo schermo del proprio computer, la persona con cui si sta parlando; o l’Home Banking consente di effettuare da casa le più comuni operazioni bancarie (per

esempio visionare il proprio estratto conto, accreditare somme, eseguire pagamenti di vario genere);

o l’Agenda Digitale è un complesso programma del governo che tra l’altro intende ren-dere più diffuso l’uso della rete nei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministra-zione. Per esempio, pagare una multa, prenotare una visita medica, chiedere e rice-vere una ricetta, fare la dichiarazione dei redditi – tutto ciò può avvenire on line.

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Materiali/spunti di riflessione Questioni cognitive Considerazione 1 Cominciamo da un argomento semplice, da un’esperienza elementare, che per altro condiziona gran parte del nostro rapporto con la rete: la lettura a video di una pagina Web contenente un testo scritto.

Talvolta, nella comunicazione mediata dal computer, si è voluto individuare un mo-vimento di ‘ritorno’ alla parola scritta, o addirittura una sua ‘riscoperta’ (dopo la fase dominata dal parlato e dalle immagini, legata alla radio, alla televisione, al cinema). In effetti, la morfologia di gran parte delle ‘pagine Web’ sembra molto simile quella dei te-sti stampati (parole, righe, capoversi, ecc.). Ma la leggibilità di un testo scritto su un sup-porto digitale è molto diversa da quella di uno consegnato alla carta. Comunque, di fat-to, è letto in modo diverso. A quanto pare, le cose funzionano come segue.

Per prima cosa, normalmente, gli occhi si muovo in modo orizzontale lungo la parte più alta della pagina. Poi saltano un po’ più in basso e ripetono il movimento orizzontale coprendo, tipicamente, un’area più limitata di quella precedente. Infine, scendendo an-cora, scorrono il contenuto della parte sinistra della pagina in modo verticale (limitando-si alle prime parole delle righe). Qualche volta si tratta di una scansione abbastanza len-ta, che forma una tracciato continuo; altre volte si tratta di un movimento più veloce, che crea una mappa ‘a macchie’4.

La conclusione è che gli utenti del Web non leggono mai completamente i testi che contiene, soffermandosi al massimo sui primi due paragrafi e limitandosi, per il resto, agli ‘attacchi’ dei seguenti.

Si può obiettare che questo è anche il modo in cui leggiamo una pagina stampata quando abbiamo fretta o quando vogliamo formarci un’idea sommaria di quello che contiene. In parte è vero, ma il punto è che nelle pagine Web c’è qualcosa che sembra ‘fatto apposta’ per indurre il tipo di lettura appena detto, riscontrato dalle prove empiri-che. Questo ‘qualcosa’ andrebbe indagato in modo approfondito: forse vi ha parte la sensazione (corrispondente al vero) di trovarsi in uno spazio infinitamente più grande di quello definito dal testo che si sta leggendo; forse vi hanno parte i link presenti (per de-finizione) in ogni pagina, che ‘premono’ per essere attivati; forse qualcosa riguarda pro-prio la lettura a video, in quanto tale, indipendentemente dalla circostanza di trovarsi in rete. In ogni caso, sta di fatto che il modo di leggere le pagine Web è molto diverso da quello “imparato a scuola”, come dice l’autore della ricerca che abbiamo utilizzato: for-mulazione che di per sé contiene uno spunto interessante, soprattutto per chi è andato a scuola quando il mondo di Internet era ancora di là da venire.

4 Questo modello di lettura, che in qualche modo, a pensarci un attimo, somiglia a una ‘F’, è contenuto

in Jakob Nielsen, F-shaped Pattern for Reading Web Content, Alertbox, April 17, 2006. Si tratta del risultato di prove empiriche condotte su un campione di utenti rappresentativo, che ha mostrato un comportamento “fairly consistent across many different sites and tasks”.

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Forse, quello che precede suggerisce l’idea di un giudizio negativo. Non si tratta di questo: semplicemente, sapere come stanno le cose è meglio che ignorarlo. Considerazione 2 Da qualche tempo, la psicologia e le altre scienze che studiano la mente ci avvertono dell’emergere di nuove attitudini percettive, cognitive, comportamentali. Più evidenti nei digital native, si stanno estendendo a tutte le persone che vivono l’adattamento alla società delle reti – di certo non in modo indipendente dall’età, dal livello di istruzione, dalla condizione sociale, ecc., ma pur sempre in modo pervasivo. Non sorprendente-mente, si tratta di una maggiore rapidità nell’assumere e ‘processare’ informazioni, di una maggiore disinvoltura nel passare da un argomento a un altro, della capacità di svolgere contemporaneamente diverse azioni, dell’abitudine a una perenne partecipa-zione ai flussi comunicativi, dello sviluppo di specifiche competenze di ricezione e tra-smissione dei messaggi (legate al continuo variare dei media, dei dispositivi e dei for-mat).

Le neuroscienze, però, segnalano anche una relazione inversa tra la profondità delle capacità di analisi e il numero degli oggetti che prendiamo in considerazione, compresi rischi di blocco, di tilt, di sovraccarico. In particolare, basta che gli oggetti siano più di due perché la situazione cambi in modo radicale. Questo tema, della ‘profondità’, è inte-ressante anche perché trova riscontro nel lessico della rete. In inglese, il termine equiva-lente al nostro ‘navigare’ è surfing, dove è appena il caso di osservare che fare del surf è proprio il contrario di ‘andare in profondità’: si sfruttano le creste delle onde, per il bre-ve tempo che esistono, saltando di continuo a una all’altra. Del resto, per stare ancora a formule del linguaggio corrente, si può osservare che spesso quelli che hanno più di 50-60 anni si lamentano del fatto che i “giovani non sono più capaci di concentrarsi”.

Quest’ultima, detta così, è una sciocchezza. Ma questo, a sua volta, non toglie che un problema, in effetti, sia presente. Anzi, che sia presente un problema ‘difficile’, di quelli che non si possono risolvere una volta per tutte, con l’applicazione di una ‘regola’. Il fat-to è che ci troviamo di fronte a due valori, a nessuno dei quali conviene rinunciare, ma ognuno dei quali è ‘nemico’ dell’altro. E’ un valore la plasticità – la ‘mobilità’ – delle no-stre facoltà mentali, che la rete esalta in una misura sconosciuta a qualsiasi epoca passa-ta (cfr. anche la prossima Considerazione); ma al tempo stesso è un valore la capacità di ‘tener fermo’ un argomento, un problema, e di ‘scavarci dentro’. Dunque non si tratta di denigrare la ‘superficialità’ del surfing: essa corrisponde a un ‘modo’ dell’intelligenza, che in passato, probabilmente, è stato sacrificato da strutture del pensiero troppo rigide e che per fortuna, allora, nella rete ha trovato una formidabile possibilità di esprimersi. Però bisogna anche interrogarsi circa l’‘equilibrio’ che si è determinato nel rapporto con l’altra faccia del pensare, quella della ‘profondità’ – e di valutare se è un equilibrio sod-disfacente, che ‘va bene’.

Il giudizio, per quanto ci riguarda, non è positivo. Effettivamente, il vertiginoso au-mento delle possibilità di ‘connessione’ ha spiazzato la capacità di ‘controllarle’, di stabi-lirle nel modo sorvegliato - rigoroso, attento, ragionato – che pure sembra necessario. Effettivamente la dimensione orizzontale sembra aver preso troppo vantaggio su quella verticale; la quantità delle connessioni possibili su quanto ognuna di esse, a conti fatti, risulti significativa. Beninteso, non si tratta in alcun modo di ridurre il campo delle possi-

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bilità (cosa che del resto non sarebbe fattibile). Il problema, piuttosto, è quello di irrobu-stire il lato che attualmente sembra cedente, il modo dell’intelligenza che si ‘sofferma’ sulle cose, con il proposito di portarlo all’altezza della nuova situazione che si è determi-nata.

Nel dibattito corrente, almeno in parte, questa esigenza è presente sotto il titolo di Media and Information Literacy (IL)5. Senza nulla togliere all’importanza dell’argomento, a noi sembra che il problema sia (appunto) più profondo. Riguarda la formazione di cer-te capacità di base, che precedono qualsiasi ‘acculturamento’ direttamente legato all’uso della rete, e però incidono su di esso, perché sono tanto più importanti quanto maggiore è la massa delle informazioni che occorre processare. Riguarda, al fondo, la formazione di una “testa ben fatta”6 – tanto più necessaria quanto più complesso, am-pio, instabile, mutevole, è l’ambiente nel quale le nostre teste sono chiamate a mettersi in funzione. Considerazione 3 Il tema della connettività si presta a un discorso ancora più impegnativo. Leggiamo uno dei brani più citati di tutta la storia dell’ipertesto (la matrice concettuale del Web):

La mente umana […] opera per associazioni. Una volta che essa abbia un elemento a disposi-zione, salta istantaneamente all’elemento successivo, in base a un intrico di piste registrate nelle cellule del cervello, dalla associazione dei pensieri. Naturalmente, la mente ha anche altre carat-teristiche. Piste che non vengono frequentemente percorse tendono a svanire, gli elementi non sono permanenti, la memoria è transitoria. Eppure, più di ogni altra cosa in natura, la velocità di reazione, la complessità delle interrelazioni, il dettaglio delle immagini mentali, incutono meravi-glia.

L’uomo non può sperare di replicare completamente con mezzi artificiali i processi mentali, ma sicuramente dovrebbe essere in grado di trarne molti insegnamenti. […] Il primo insegnamen-to che dobbiamo trarre dal funzionamento della mente riguarda il processo di selezione. La sele-zione per associazione, piuttosto che per indicizzazione, potrebbe forse essere meccanizzato7.

Si annuncia qui, molti anni prima della nascita di Internet8, un dato che oggi sembra

ormai acquisito. Appunto, la rete, particolarmente il Web, ‘somiglia’ molto al modo in cui pensiamo: è una sorta di gigantesco lay out della mente umana, è una sorta di mente umana ‘pantografata’. E lo è proprio in virtù del fatto che opera (per) associazioni: leg-

5 Quest’ultima, per esempio, è ritenuta prioritaria dalla politica formativa dell’UNESCO per il decennio

2003-2012 (lo ha deciso il Congresso di Praga del settembre 2003, Towards an information literate society, seguito, l’anno successivo, dalla fondazione della International Alliance for Information Literacy). L’UNESCO chiede ai paesi membri di istituire programmi per dotare gli utenti delle competenze per la ricezione, la va-lutazione e l’uso dell’informazione e dei media, definendo l’IL come “la capacità di identificare, localizzare, valutare, organizzare e comunicare in maniera efficace le informazioni per risolvere questioni o problemi; essa costituisce il presupposto per partecipare a tutti gli effetti alla società dell’informazione, ed è parte del diritto umano fondamentale alla formazione continua”.

6 Così, appunto, suona il titolo di un bel libro di Edgar Morin (E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cor-tina, 2000).

7 V Bush, Come possiamo pensare, in J. M. Nyce e P.Kahn, Da Memex a Hypertext: Vannevare Bush e la macchina della mente, Franco Muzio Editore, Padova, 1992, p. 49.

8 La prima edizione del testo di Bush è del 1945.

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giamo ancora un altro testo molto importante, dovuto a colui che il Web, poi, di fatto l’ha inventato:

Mi piaceva molto l’idea che un frammento d’informazione fosse definibile soltanto attraverso

ciò a cui è collegato, e come. In realtà nel significato c’è ben poco d’altro. La struttura è tutto. Nel nostro cervello abbiamo miliardi di neuroni, ma cosa sono? Soltanto cellule. Il cervello non sa nul-la fino a quando i neuroni non sono collegati tra loro. Tutto quello che sappiamo, tutto ciò che siamo, deriva da come i neuroni sono collegati9.

In proposito, la prima cosa da dire è che siamo in presenza di un’acquisizione la cui importanza nessuno, ormai, può seriamente revocare in dubbio. Nondimeno, si può du-bitare di un certo modo di intenderla. A partire dalla contrapposizione (già contenuta nel motivo iniziale, e pure da accogliere) tra una struttura delle informazioni di tipo associa-tivo e una di tipo gerarchico (per classi e sottoclassi, ad albero, piuttosto che a rete), del-la prima si sono progressivamente affermati tratti di debolezza, contingenza, reversibili-tà. Le associazioni che la compongono mancano, strutturalmente, di stabilità – sono ‘li-quide’, per usare un termine di moda.

Ora, questa accentuazione, questo forcing sul momento associativo, contiene a sua volta importantissimi motivi di interesse. Per coglierli, tuttavia, bisogna evitare che tutto il ragionamento si risolva nella celebrazione di un ‘io’ disperso, frammentato, aleatorio, quasi evanescente, spesso contemplato con un misto di timore e di compiacimento, co-munque vissuto come un fatto del destino. Un ‘io’, si potrebbe dire, simile a una pallina da flipper, che rimbalza da un’informazione all’altra, in modo del tutto accidentale.

Ma come affermare un’identità degna di questo nome in un mondo (effettivamente) così instabile come quello della rete? La risposta che sembra più convincente, derivata da una parte della cultura novecentesca che ha ‘incubato’ il Web, è quella che verte sull’idea di un ‘io narrativo’. Per illustrarla – senza trasformare queste modeste conside-razioni in un saggio di filosofia – ricorriamo alla seguente metafora, elaborata da Ronald Dworkin (che in effetti è un filosofo, del diritto).

Un individuo trova per caso il manoscritto di un romanzo incompiuto e si propone di aggiungervi un capitolo. Naturalmente può farlo in tanti modi. O meglio, a rigore, in infi-niti modi. Ma non in qualsiasi modo – in un modo ‘qualsiasi’. Le pagine che aggiunge po-tranno anche contenere nuovi personaggi, novità inattese, colpi di scena; però dovranno comunque essere la continuazione di quel romanzo, del quale, in un modo o nell’altro, occorre che ‘salvino’ lo svolgimento consegnato alla parte che è già scritta. Anzi, a ben vedere, il rapporto con la parte già scritta contiene un criterio di normatività interna dell’operazione che il nuovo autore si appresta a compiere, nel senso che la scelta del modo di proseguire la storia risulterà tanto più ‘felice’ se, come dice Dworkin, makes the most – quanto più ‘farà rendere’, riuscirà a valorizzare, la trama narrativa che precede.

Originariamente, la metafora è stata elaborata per illustrare – si pensi un po’ – la si-tuazione di un giudice che deve pronunciarsi su una materia controversa (in un regime di common law, come è facile immaginare). Segnaliamo questa circostanza perché la storia del Web è stata, in larghissima parte, una storia di contaminazioni: tra tecnologia e umanities, tra cultura ‘alta’ e cultura ‘bassa’, tra discipline diversissime. Se il Web è ‘un modo di pensare’, di quest’ultimo fa parte, in posizione chiave, il superamento di ogni

9 Tim Berners-Lee, L’architettura del nuovo web. Dall’inventore della rete il progetto di una comunicazio-ne democratica, interattiva e intercreativa, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 23.

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rigida separazione tra approcci, categorie e ambiti. Come si vede, siamo di nuovo alla mobilità del pensiero. Della quale, però, la metafora mostra anche la possibilità di un certo tipo di coerenza. Di preciso, la possibilità di una coerenza ‘amica’ della varietà, in grado di ‘sostenere’ (nelle due accezioni del termine: sopportare e sorreggere) la plurali-tà e la anche contingenza degli svolgimenti che sembrano belli, interessanti, ragionevoli.

Ecco, è questo tipo di coerenza che il Web mette all’ordine del giorno e però, al tem-po stesso, richiede, sollecita – come necessario ‘complemento’ alla versatilità che lo con-traddistingue. Detta così, la cosa sembrerà molto astratta. Ma in realtà si tratta proprio dei modi nei quali ci muoviamo nel mondo della rete. Di preciso, si tratta dell’impronta – più o meno nostra, originale, autentica – che riusciamo a imprime alle ‘ricerche’ che il Web rende possibili, senza determinare, in partenza, gli esiti. E allora non è tanto un ca-so che gli ultimi lavori di Ted Nelson – il padre dell’ipertesto, l’interprete più radicale del mondo digitale – vertano proprio su questo punto: a tutt’oggi, il recupero delle informa-zioni presenta notevoli lacune, non va in profondità. Questioni sociali Considerazione 4 Video killed the radio stars, la televisione ha ucciso le stelle della radio, dice una vecchia canzone dei Bubbles. Nel caso di Internet le cose non sono andate in questo modo: non ha ucciso la televisione, e nemmeno il cinema. I media di massa – generalisti, unidirezio-nali, ecc. – hanno mostrato una notevolissima capacità di resistenza. Anzi, nello stesso periodo dell’avvento di Internet, hanno conosciuto una nuova fase espansiva, venendo a occupare, nelle nostre vite, spazi (fisici e simbolici) che fanno impallidire quelli del passa-to. Certo, lo hanno fatto modificandosi, sviluppandosi (la moltiplicazione dei canali tele-visivi, le multisale, ecc.); ma senza perdere i loro caratteri di base. Come mai?

Il fatto è che il tema della narrazione va svolto in chiave collettiva oltre che individua-le (le due cose del resto sono intimamente legate) – e che la rete, in proposito, ha i suoi problemi. Come è stato osservato,

i media di massa […], messi all’angolo dai media digitali su molti versanti della comunicazione,

sembrano ritrovare, nella ricomposizione di una memoria condivisa, un nuovo ruolo, una rifun-zionalizzazione, favoriti dal fatto che la frammentarietà del Web ha difficoltà a ricostruire una narrazione storica effettivamente collettiva10.

10 E. Ilardi, Digital story telling e istituzioni culturali, in D. Capaldi, E. Ilardi, G. Ragone, I cantieri

della memoria. Digital Heritage e istituzioni culturali, Liguori, Napoli, 2011, p. 148. In precedenza, nel testo, l’autore sostiene la tesi (condivisibile) che di narrazioni collettive, e anche di ‘grandi’ narrazioni collettive, è semplicemente impossibile fare a meno, sicché il problema riguarda chi è in grado di produrle, e come. Dello stesso ordine di questioni, naturalmente, la situazione di af-fanno in cui sono venute a trovarsi le istituzioni ‘tradizionalmente’ deputate al compito (che lo assolvevano, per così dire, a mezzo stampa).

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A maggior ragione, naturalmente, in quanto si insista nella celebrazione di un ‘io’ di-sperso, frammentato, ecc. Ma in effetti c’è di più, perché di fronte alla perdurante vitali-tà dei media di massa

anche Internet ha cominciato a integrare tecniche, software, percorsi di navigazione molto più basati sull’immediatezza dei media elettrici che sulla ipermediazione dei prima media digitali: la formazione dei grandi nodi della rete che ormai funzionano come veri e propri broadcaster (Goo-gle, Facebook, Twitter, YouTube, Amazon, eBay); l’utilizzo di interfacce sempre più user friendly fino ad arrivare al touch screen che permettono la navigazione anche a un bambino di tre anni che ancora non leggere e scrivere; l’uso sempre più massiccio di video, animazioni 3D, streaming. […] Oggi anche il Web è organizzato in base a poche grandi narrazioni in cui ciascuno deve forza-tamente passare per inserire le proprie storie individuali. Quando pubblichiamo gli eventi della nostra vita su Facebook, YouTube, Flick, Twitter siamo obbligati a seguire le norme di stesura che essi hanno preparato. Raccontiamo le nostre storie seguendo regole narrative imposte dall’ester-no11.

Quest’ultima affermazione suona come un’ambigua conferma della tesi contenuta al-la fine della precedente Considerazione. Il Web, il mondo delle reti, ha finito per ricono-scere la centralità del momento narrativo, compreso il nesso tra la chiave collettiva e quella individuale – ma ha anche predisposto i binari sui quali deve scorrere.

Il risultato, nel complesso, è che si pone una fondamentale questione di autenticità – forse la più importante tra quelle portate all’ordine del giorno dalla società della comu-nicazione, dell’informazione e della conoscenza, che per sua natura lavora ‘in presa di-retta’ sulla formazione (narrativa) delle identità, sociali e individuali. Il modo in cui tale questione si pone sul versante dei media di massa, che ragionevolmente continueranno a presidiare una parte decisiva delle rappresentazioni presenti nelle nostre menti, esula dai limiti di queste considerazioni. Per quanto riguarda la sua configurazione in ambiente Web, qualcosa si cerca di dire in quello che fa seguito. Considerazione 5 Una delle caratteristiche più interessanti del Web è un certo appannamento della distin-zione tra domanda e offerta, o meglio, il fatto che le due figure del produttore e del con-sumatore si trovano spesso riunite nella stessa persona, sotto il medesimo riguardo. In effetti, basta che uno riceva un’informazione e la condivida aggiungendovi un commen-to, o anche soltanto un tag, un’etichetta, o anche soltanto una segnalazione, o un link, perché si trovi ad agire su entrambi i lati del rapporto. Più che altrove, il neologismo del prosumer (producer-consumer), coniato trent’anni fa da Toffler, trova nella rete un cam-po di applicazione conforme a quello che significa; e lo stesso vale per il termine italiano ‘consum-attore’, da non molto entrato nel dibattito.

Questa possibilità di ‘attivazione’ dal lato dei consumatori è una caratteristica perva-siva, favorita dall’elevato livello di accessibilità del “mezzo di produzione”: appunto, ba-sta un computer collegato in rete. Qui, però, si vuole richiamare l’attenzione sul fatto

11 Ibidem. L’autore prosegue citando il tentativo di digitalizzare tutto il patrimonio librario ed

editoriale del mondo in corso da parte di Google, sottolineando il fatto che sarà in base agli algo-ritmi scelti dai suoi dirigenti che tra una decina d’anni noi avremo accesso alla memoria collettiva dell’umanità.

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che lo stesso ordine di considerazioni è alla base, anche, di vere e proprie ‘imprese col-lettive’, realizzate ‘dal basso’, in modo aperto, diffuso, decentrato. La più familiare è cer-tamente Wikipedia, l’enciclopedia alla quale ognuno di noi può partecipare in veste di redattore, aggiungendo una ‘voce’ (e i relativi link), correggendo o traducendo voci già esistenti, valutando la qualità dei risultati. Ma naturalmente non si può mancare di cita-re anche Linux, e in generale tutti i programmi open source, suscettibili di essere imple-mentati dai loro stessi utenti, i cui contributi, a loro volta, rispettano il principio del software libero.

Esperienze come quelle appena richiamate meritano qui attenzione non soltanto per ragioni di carattere generale, che sembrano ovvie, ma anche, in particolare, perché rin-viano, direttamente, al tema del ‘volontariato’. A tutte, infatti, è comune la circostanza che gli ‘sforzi’ richiesti per portarle avanti sono compiuti in modo libero, autonomo e gratuito. Nessuno ha mai guadagnato un centesimo scrivendo una voce di Wikipedia (nemmeno un rimborso spese…); così come il tratto saliente di Linux è il fatto di essere un sistema ‘non-proprietario’, che di per sé non è ‘commercializzato’. E infatti, nel dibat-tito, il riferimento concettuale esplicitamente chiamato in causa è quello del dono (spes-so nella formulazione ‘economia del dono’); oppure, più alla larga, ma in modo pur sem-pre pertinente, quello della ‘reciprocità’.

In proposito vi è molto su cui riflettere – al punto che qui, nei limiti di questo contri-buto, è impossibile fornire un quadro interpretativo di qualche consistenza. Nondimeno, si vuole segnalare la rilevanza – e l’attualità, per certi versi la maturità – del tema, che in termini generali potrebbe essere enunciato così: ‘il volontariato in ambiente Web’, le at-tività di volontariato ‘mediate’ dall’uso della rete. Del resto, nel dibattito, è già comparsa l’etichetta del caso – e-volunteering (nello stesso senso di e-democracy, e-governement, ecc.). Appunto, una frontiera nuova, a proposito della quale è importante aggiungere che non si deve necessariamente pensare a cose tanto impegnative come la redazione di una voce di Wikipedia o (ancor più) l’implementazione di Linux: esperienze, si potrebbe obiettare, riservate a persone che possiedono specifici expertise. Per fare un esempio d’altro genere (ma in realtà è molto di più di un esempio), esiste un intero filone di studi e di iniziative – al solito, di matrice anglosassone, ma con agguerriti cultori anche in Italia – che verte sui rapporti che le istituzioni culturali – scuole, università, musei, biblioteche, archivi, ecc. – possono stabilire con i propri utenti in chiave collaborativa, chiamandoli ad arricchire i patrimoni esistenti con l’aggiunta di informazioni, tag, notizie, commenti, materiali, ecc.; oppure, anche, chiamandoli a impegnarsi nella formazione di patrimoni nuovi, in genere legati alle loro esperienze di vita12. Insomma una forma originale di

12 Enorme successo, per esempio, ha avuto la creazione, da parte dell’Università di Oxford, di

un ambiente digitale sulla prima guerra mondiale, che il pubblico è stato invitato a riempire con ricordi, lettere, cimeli, poesie e testimonianze. Tra il marzo e il giugno 2008, sono stati raccolti 6.500 oggetti postati su un website dedicato, o depositati e digitalizzati presso le biblioteche pubbliche. Gli utenti hanno corredato i post con commenti, schede esplicative, approfondimenti. Considerato il successo ottenuto nella prima fase, il progetto è continuato su Flickr (una sorta di YouTube dedicato alla fotografia), dove la community continua a caricare materiali. Sempre in ragione dell’immediato gradimento riscontrato presso il pubblico, nel 2011 la Deutsche Biblio-thek ha avviato un progetto per ripetere l’esperienza in Germania. Di casi come questo, ormai, se ne possono citare molti. C’è solo da aggiungere che la ‘formula’ si presta bene, anche, a iniziative di taglio locale.

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crowdsourcing (approvvigionamento presso il pubblico, potremmo tradurre), circa la quale bisogna osservare almeno quanto segue.

(a) In effetti, nelle esperienze in questione, il ruolo del Web risulta decisivo: sia come mezzo per lanciare le iniziative, per invitare alla partecipazione; sia come mezzo che i partecipanti utilizzano per fornire i propri contributi; sia come ambiente nel quale, tipi-camente, attorno alle iniziative, si formano comunità che a loro volta funzionano come ‘casse di risonanza’ di quello che succede.

(b) Molte delle esperienze contemplano il tema della memoria in modo esplicito e pregnante. In un certo senso, vogliamo dire, è presente in tutte, se è vero che il ruolo delle istituzioni culturali è precisamente quello di conservare, vivificare e rinnovare pa-trimoni ereditati dal passato. Ma spesso, oltre a ciò, il tema della memoria acquista un’evidenza puntuale, specifica – proprio come invito a partecipare alla ricostruzione di tradizioni, vicende, ambienti. Con il risultato, notevole, che il discorso incontra di nuovo il motivo della narrazione. Le esperienze in questione mostrano come la ‘frammentarie-tà’ del Web possa ben coagularsi attorno alla scrittura, a più mani, di storie collettive – mostrano come la forma di comunicazione incorporata nella rete, proprio in ragione dei livelli di partecipazione che è in grado di promuovere, possa generare racconti nei quali le identità si coltivano, si formano in modo autentico, piuttosto che essere ‘prese in pre-stito’. E per altro verso, naturalmente, va sottolineato quanto le esperienze in questione siano confacenti alle risorse – di memoria, appunto – possedute dalle persone anziane.

(c) Anche l’attivazione degli user ha il suo lato d’ombra. Non basta che qualcosa ‘ven-ga dal basso’ perché sia degno di approvazione, interessante, valido. E’ evidente che esi-ste un problema di ‘controllo di qualità’ circa i contributi che ognuno di noi può fornire a un’iniziativa culturale di taglio partecipativo. In proposito, allora, bisogna dire che il rap-porto con le istituzioni – sebbene, di per sé, non garantisca nulla – è una risorsa che può fare la differenza tra un’iniziativa ben fatta, alimentata dal basso e di profilo alto, e una esposta a troppi rischi di approssimazione. Tante volte, del resto, abbiamo insistito sul rapporto che occorre istituire tra il sapere degli ‘esperti’ e quello ‘laico’, comune, conte-stuale, al di fuori di qualsiasi pretesa di autonomia da parte del secondo: il caso in esame si iscrive in questo stesso schema. Del resto non soltanto per esigenze di qualità dei ri-sultati, ma anche per evitare profili di ‘marginalità’, di collocazione ‘periferica’ nel qua-dro dei processi culturali. Nonché, si può aggiungere, per ‘costringere’ le stesse istituzio-ni ad aprire le porte ai cittadini, ovvero a reinterpretare il proprio ruolo all’altezza di una situazione che ormai, di fatto, consente inediti livelli di partecipazione. Considerazione 6 Quanto, e soprattutto come, i social network hanno modificato il quadro dei rapporti tra le persone? Quanto i rapporti on line – ognuno davanti al suo computer – hanno spiazza-to quelli face to face, nei quali si è presenti in carne e ossa? Oppure, anche, i rapporti ‘telefonici’, nei quali, almeno, si è presenti con propria voce? E quanto, nei rapporti on line, interviene un elemento, di nuovo, di superficialità – un coinvolgimento scarso, ri-dotto, a basso regime? O forse un coinvolgimento dissimulato, incerto, un po’ nascosto?

Difficile, anzi, difficilissimo rispondere. Le evidenze empiriche (quelle che emergono dalle indagini di campo) non sono affatto conclusive. Anche perché ognuna di esse ri-chiede un complicato lavoro di interpretazione. In base a quali ipotesi è stata ottenuta?

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quali ‘preconcetti’, sul piano dei valori, contenevano il campione, le domande, la rileva-zione? Questioni, beninteso, che si possono porre circa qualsiasi ‘indagine di campo’, circa qualsiasi ‘rilevazione’ – ma ancor più intriganti quando si tratti, appunto, dei nostri modi di comunicare.

In una situazione tanto problematica, il miglior partito sembra quello di (cercare di) venire in chiaro della ‘posizione’ da cui si affronta l’argomento. I ‘preconcetti’, appunto – che dobbiamo essere sempre pronti a mettere in discussione, ma senza i quali, in par-tenza, nulla è comprensibile. Ne diciamo due, uno ‘esistenziale’ e uno ‘teoretico’.

Il primo ha a che vedere con l’età, e fa il paio con l’atteggiamento già citato nella Considerazione numero due. Vogliamo dire che chi ha più di 60/65 anni, o forse anche meno, non può non considerare con una certa perplessità la quantità di tempo che i gio-vani passano su Facebook o su YouTube. Stiamo generalizzando, ovviamente, sia dal lato degli adulti/anziani, sia da quello dei giovani. Ma il fatto è che la questione si presenta proprio così, come un mutamento delle dinamiche relazionali pervasivo, di tipo genera-le, che in verità sarebbe strano se non determinasse un qualche attrito. La nostra propo-sta, allora, è quella di riconoscere la difficoltà di cui si tratta, di assumerla, anzi, con una certa radicalità – per ragionarci sopra. Possibilmente insieme ai giovani. Se il tema della intergenerazionalità fosse oggetto di meno retorica; se la discussione andasse oltre un’interpretazione pure ragionevole, ma un po’ banale (i nipoti che insegnano ai nonni a usare il computer); se innanzi tutto si riconoscessero gli elementi di asprezza presenti nei rapporti tra le generazioni – questi ultimi, forse, potrebbero uscirne davvero miglio-rati. Le Università popolari sembrano il luogo ideale per mettere a confronto le diverse esperienze del comunicare legate a diverse stagioni dei mezzi di comunicazione.

Dal lato che abbiamo detto ‘teoretico’ la proposta è quella di esplorare l’ipotesi che il nuovo getti nuova luce, anche, sull’antico. L’idea è che proprio i progressi della tecnica mettano in risalto, come per contraccolpo, la peculiarità delle materie che il loro para-digma, nonostante tutto, non riesce a catturare. Quanti più programmi siamo in grado di scrivere per i nostri computer, tanto più significativi risultano i casi in cui non riusciamo a scriverli (a quanto pare, l’intera questione dell’‘intelligenza artificiale’ conferma il punto in discussione). La possibilità di sostituire i rapporti face to face con rapporti on line por-ta a una diversa evidenza le situazioni nelle quali sembra che la sostituzione tradisca il senso dei rapporti – proprio in quanto si riconosca che in altre situazioni, invece, va be-nissimo. Sviluppi di questo genere sono tutt’altro che infrequenti e anzi, in un certo sen-so, formano la trama di quella differenziazione dei codici che costituisce il motivo più profondo di tutta la modernità. Così, per esempio, specificamente moderna è la nozione di ‘bellezza della natura’13, affacciatasi proprio quando quest’ultima ha cominciato a es-sere pensata come un insieme di cause e di effetti, di forze e quantità, perdendo l’incanto che l’avvolgeva da tempo immemorabile. E allora, in fondo, non sembra tanto peregrina l’idea che i social network non spiazzino necessariamente la parola detta a vo-ce, con tutti i significati che la fisicità del meduim consente di trasmettere, e anzi solleci-tino a comprendere meglio il suo valore. In fondo, ancora, si tratta di ragionare bene su

13 Com’è noto, né il modo antico né il medioevo conoscono la natura come oggetto di rappre-

sentazione artistica: i ‘paesaggi’ sono un’invenzione dei pittori moderni. L’affermazione del testo, per altro, si riferisce anche alla nozione così come è entrata a far parte del nostro ordinario modo di sentire.

Page 22: INFORMARSI e COMUNICARE Al tempo del WEB e della TVimages.auser.it/f/cca2012/a_/a_cosa_serve.pdf · Del resto, su questo stesso punto – l’incisività del messaggio – le imprese

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una delle affermazioni più celebri (e fraintese) di tutta la scienza dell’informazione: “il medium è il messaggio”.