INDICE QUESTO NUMERO - Privati e famiglie · 2019-02-17 · Il primo italiano insignito del Premio...

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PIERO BERTOLOTTO NASCE UN NUOVO GRANDE GRUPPO BANCARIO ITALIANO GIORGIO S.FRANKEL L’EUROPA E I SUOI APPROVVIGIONAMENTI ENERGETICI

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PIEROBERTOLOTTONASCE UN NUOVOGRANDE GRUPPO BANCARIO ITALIANO

GIORGIOS.FRANKELL’EUROPA E I SUOI APPROVVIGIONAMENTIENERGETICI

INDICE QUESTO NUMERO

In copertina:veduta di Mentone. Tortona, i resti della torre campanaria della cappella del Forte San Vittorio. Anthonis van Dyck, ritratto di Maria Luisa de Cassis. Cartolina d’epoca di Pavia. Giba, miglior giocatore di volley alla World League 2006.

Servizi fotografici di Bruno Garavoglia(le foto dell’articolo su Lalla Romano sono di Alessandro Vicario. Le illustrazioni degli articoli “Milano verso il Sempione” sono tratte dal libro dallo stesso titolo, edizioni Celip;le foto del servizio su Giba sono di Gian Cerato di Boves).

Graficadi Gianni Parlacino

Fotolito StampaTipolitoEuropa - Cuneo

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 28 dicembre 2006.

Spedizione in abbonamentopostale comma 34 art. 2Legge 549/95Filiale di Cuneo

Associato all’USPIAssociazione StampaPeriodica Italiana

Questo numero di Rassegna si apre con la presentazionedella fusione del Gruppo Banca Lombarda e Piemontesenel Gruppo Banche Popolari Unite, operativa dal prossimo aprile. Il Presidente della Banca RegionaleEuropea, Piero Bertolotto, commenta il significato strategico di questa operazione, che darà origine al quarto gruppo bancario italiano.Giorgio S.Frankel, specialista di politica internazionale,analizza le problematiche dei rifornimenti energeticidell’Europa, nella prospettiva di una loro diversificazione e del reperimento di fonti alternativerispetto al petrolio.La Banca Regionale Europea ha sponsorizzato, inautunno, quattro mostre d’arte di alto profilo:“Collezioni Liechtenstein” al Museo Poldi Pezzoli, “La Pietà dimenticada di Van Gogh - Due pietà a confronto” e “Il Vangelo di Aldo Carpi” al MuseoDiocesano di Milano, “Domenico e Gerolamo Induno” a Tortona. Le commentano Annalisa Zanni, Paolo Biscottini e Fabrizio Gardinali.Piero Dadone introduce il lettore nel fascino mediterraneo di Mentone, “perla d’Europa”, dove la banca ha aperto la sua seconda filiale francese.Un ampio servizio illustrato, a cura di ArmandoBergaglio, è dedicato alla città di Tortona, la cui Cassa diRisparmio si è fusa, all’inizio di dicembre, nella BancaRegionale Europea.Il primo italiano insignito del Premio Nobel per la medicina fu Camillo Golgi, dell’Università degli Studi diPavia: ne traccia il profilo Paolo Mazzarello. Antonio Riaricorda il centesimo anniversario della nascita di LallaRomano, alla quale è dedicato il libro fotografico diAlessandro Vicario “Il paesaggio ritrovato”. AldoA.Mola, autore di una biografia di Giosué Carducci, neripercorre l’itinerario poetico e di impegno civile.Giba, campione brasiliano della squadra Bre BancaLannutti, è stato proclamato il miglior giocatore delmondo in occasione della recente World League diTokio. Daniela Groppi lo ha intervistato, per i lettori diRassegna. Una volta di più, l’abbinamento della BancaRegionale Europea con il grande volley si conferma unascelta vincente.

1 EDITORIALE2 NASCE UN NUOVO GRANDE GRUPPO BANCARIO ITALIANO

PIERO BERTOLOTTO4 LA FUSIONE DEL GRUPPO BLP NEL GRUPPO BPU10 IL GRUPPO BANCA LOMBARDA E PIEMONTESE PRIMO

NELLA CLASSIFICA DI LOMBARD11 FINANZIAMENTI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

DELLE IMPRESE12 L’EUROPA E I SUOI APPROVVIGIONAMENTI ENERGETICI

GIORGIO S. FRANKEL18 LA MOSTRA “COLLEZIONI LIECHTENSTEIN””

AL POLDI PEZZOLIANNALISA ZANNI

26 I CINQUE ANNI DEL MUSEO DIOCESANO DI MILANOPAOLO BISCOTTINI

30 IL “NOBILE QUOTIDIANO” DEI FRATELLI INDUNOFABRIZIO GARDINALI

36 MENTONE, PERLA D’EUROPAPIERO DADONE

48 TORTONA. STORIE E MEMORIA ALL’INCROCIO DI QUATTRO REGIONI

ARMANDO BERGAGLIO60 CAMILLO GOLGI, IL PRIMO NOBEL ITALIANO

PAOLO MAZZARELLO64 UN SALUTO DA PAVIA

UNA RACCOLTA DI CARTOLINE D’EPOCA, TESTIMONIANZADI MEMORIA COLLETTIVA

68 MILANO VERSO IL SEMPIONEFERRUCCIO DE BORTOLIROBERTA CORDANI

73 LA MONACA DI MONZASERGIO CAVAGNA

77 IL BEATO SISTO BRIOSCHI DA MILANO81 IL MUSEO DEI CAVATAPPI

PIETRO GIOVANNINI84 IN VIAGGIO CON ALESSANDRO VICARIO NEL

“PAESAGGIO RITROVATO” DI LALLA ROMANOANTONIO RIA

89 GIOSUÉ CARDUCCIALDO A. MOLA

92 GRANDE VOLLEY. GIBA, PROFILO DI UN CAMPIONEDANIELA GROPPI

94 NOTIZIE DALLA BANCA REGIONALE EUROPEA

Rivista della Banca RegionaleEuropean. 22 (nuova serie), anno 28

Direttore responsabile:Carlo Benigni

Direzione:Via Roma, 13 - 12100 Cuneo tel. 0171/4461fax 0171.446098e-mail:[email protected]

Autorizzazione del Tribunale diCuneo n. 2/78del 14-3-1978

Nella ancora breve, ma intensa storia della Banca Regionale Europea, che ha avuto inizio nel 1995, il 2006 sarà ricordato come un anno di sceltestrategiche. Infatti, entro il prossimo aprile sarà operativa la fusione delGruppo Banca Lombarda e Piemontese, di cui la nostra banca fa parte dal 2000, con il Gruppo Banche Popolari Unite. Tale fusione darà origine al quarto gruppo bancario nazionale: quattro milioni di clienti, 80 miliardi di euro di raccolta diretta, 1968 filiali in tutta Italia, 22.000 collaboratori.

Sarà l’incontro tra due culture aziendali che condividono gli stessi valori.Ispirati al modello federativo, entrambi i gruppi considerano essenziale che ciascuna delle banche controllate mantenga il tradizionale legame con il rispettivo territorio, a Cuneo come a Pavia, a Bergamo come a Brescia,ma anche, e si direbbe ovviamente, a Milano con una pluralistica ma importante, tradizionale presenza, proponendo una qualità di prodotti e servizi rispondente a standard competitivi quali solo una grande dimensione può garantire. Di fronte all’eventualità di un’acquisizione da parte di importanti gruppi bancari internazionali, il Gruppo Banca Lombardae Piemontese ha individuato nella BPU il partner più idoneo per costituire,con pari dignità, una nuova, grande realtà creditizia italiana. Per quantoriguarda la Banca Regionale Europea, la prospettiva è tanto più rassicurante,in quanto le sue due Fondazioni di riferimento (Cassa di Risparmio di Cuneo e Banca del Monte di Pavia) continueranno ad essere tra i massimi azionistinell’ambito del nuovo Gruppo, come lo sono a tutt’oggi di Banca Lombarda e Piemontese.

Il periodo tra il 1995 e il 2006 ha registrato, per la Banca Regionale Europea,un ciclo di forte crescita, sul piano della redditività, della patrimonializzazione,dell’espansione territoriale (da ultimo, l’integrazione della Cassa di Risparmiodi Tortona e l’apertura della seconda filiale in Francia, a Mentone). Il 2007 segnerà l’inizio di una nuova stagione: l’auspicio è che i successi della banca siano come sempre i successi della clientela, e rechino un contributo al rilancio del “sistema Italia”.

UNA SCELTA RICCA DI FUTURO

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Dal 1995 ad oggi, la Banca RegionaleEuropea ha percorso un cammino di crescita e ottenuto risultati corrispondentie talora superiori alle più ambizioseaspettative. Ha creato valore per gli azionisti, è diventata una delle banche di riferimento dell’Italia del Nord-ovest ed ha mantenuto il proprio carattere di banca del territorio, vicina al vissuto quotidiano ed alle aspettative della clientela. Non è stato facile realizzare il primo incontro tra le due diverse cultureaziendali della Cassa di Risparmio di Cuneo e della Banca del Monte diLombardia, le cui origini rispettive risalgono a metà dell’800 e alla fine del‘400, ma in breve tempo ci siamo riusciti,ed abbiamo rafforzato la leadership nellenostre aree tradizionali del Piemonte edella Lombardia. Il mercato ha compresoche il nome “Banca Regionale Europea” nedefinisce la missione, ed ha espresso fiducia.Tra gli elementi di forza sui quali ci èstato possibile contare, è da sottolineare il ruolo delle due Fondazioni di riferimento,detentrici sino al 1999 dell’intera quotaazionaria della banca. Dovendo per leggecedere la partecipazione di maggioranza,le Fondazioni hanno saputo compieretempestivamente la scelta migliore, indi-viduando come interlocutore il GruppoBanca Lombarda e Piemontese, ispirato al modello federativo, che considera uneffettivo valore aggiunto il legame dellabanca con la realtà locale, rispettandonel’autonomia e la tradizione.

Sappiamo bene quanto intensi siano icambiamenti in atto degli scenari compe-titivi, in Italia e sul piano internazionale.Sino a poco tempo fa il nostro Paese nondisponeva di “player” europei, nel settorebancario, ed era caratterizzato da un mercato statico, chiuso e rigidamenteregolamentato.

NASCE UN NUOVO GRANDEGRUPPO BANCARIO ITALIANO

DI PIERO BERTOLOTTOPRESIDENTE DELLA BANCA REGIONALE EUROPEA

Il mutato contesto generale ed i nuoviorientamenti dell’Autorità Monetaria hannooriginato una nuova dinamica e favorito la costituzione di gruppi di maggioredimensione, in grado di affrontare la scenainternazionale.

Nello scorso ottobre, diversi indicatoriavevano segnalato l’interesse di gruppibancari stranieri ad acquisire il controllodel Gruppo Banca Lombarda e Piemontese,attraverso un’Opa programmata in tempibrevissimi. Di fronte a questo scenario, il Gruppo ha avuto riflessi pronti ed hacompiuto le conseguenti scelte strategiche,individuando un partner forte, simile percultura aziendale e valori di riferimento,nel quale fondersi per dar luogo ad unnuovo soggetto istituzionale. Il partner,come è noto, è il Gruppo Banche PopolariUnite, con sede a Bergamo, di dimensionidi poco superiori rispetto a quelle di Banca

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Lombarda e Piemontese e con la confi-gurazione giuridica di banca popolare.Al di là della circostanza che ha acceleratoil processo di decisione, vi è oggettiva-mente una effettiva complementarietà tra i due Gruppi, ciascuno dei quali è benradicato sul proprio territorio, attraversole rispettive banche-rete. Una complementarietà non solo geografica,ma di competenze distintive, di specializ-zazioni e di società operative nei diversisettori, dal private al credito al consumo.Con il mese di aprile sarà pertanto opera-tivo un nuovo, grande gruppo bancarionazionale, forte di quattro milioni di clienti,1968 sportelli in tutta Italia, 80 miliardi di raccolta diretta, 22.000 dipendenti.

Per la Banca Regionale Europea la costi-tuzione del nuovo Gruppo è una garanziadi autonomia e di continuità. Sul pianofinanziario, la fusione porterà grandi vantaggi di maggior redditività, derivantidalle sinergie tra due gruppi sani, efficientie patrimonializzati. Quanto alla governance,è stata definita sulla base del principio di pariteticità, nel quadro del modello dualistico che prevede un Consiglio diGestione e un Consiglio di Sorveglianza.

Non vi sono sostanziali problemi disovrapposizione di reti sportellari, e quindidi esubero di personale presso le banchecontrollate; saranno da individuare le“best practice” di ciascuno dei due gruppi,mettendo a fattor comune i rispettivi puntidi forza. In Piemonte la Banca RegionaleEuropea vedrà rafforzato il proprio ruolodi azienda di credito di riferimento: alle sue 170 filiali si affiancheranno le 40 della rete delle Banche Popolari Unite.Una volta di più la differenza sarà fattadalla qualità del personale, dal suo impegno e dalla sua professionalità, che in questi anni hanno costituito il vero vantaggio competitivo alla base del successo della nostra azienda.

Nel futuro saranno vincenti le banche ingrado di dimostrare nei fatti di attribuirevalore strategico alla centralità del cliente.Occorrerà trasmettere una percezione di vicinanza emozionale, ridurre la tradi-zionale propensione all’autoreferenzialità,impostare processi di comunicazioneattraverso mezzi diversificati idonei a raggiungere i diversi target di riferimento,aggiornare costantemente in tempo realel’offerta di prodotti e servizi.La costituzione del nuovo Gruppo è un’irrepetibile occasione per rafforzare la mentalità vincente di chi non si limita a seguire i processi, ma contribuisce adeterminarli. La Banca Regionale Europeaha le carte in regola per essere attivamentepartecipe del ciclo che si apre. Abbiamovisione del futuro, conosciamo la nostramissione, possiamo avere fiducia nel successo di questo progetto, accolto con favore dalle istituzioni, dalla stampa,dai portatori di interesse. Si apre unanuova fase in cui, nel contesto di una logica di gruppo, il ruolo della nostrabanca nell’Italia del Nord ovest potràessere ulteriormente valorizzato.

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LA FUSIONE DEL GRUPPO BANCA LOMBARDA E PIEMONTESE NEL

GRUPPO BANCHE POPOLARI UNITE DA DUE GRUPPI FORTI E COMPLEMENTARI,

CON UNA GRANDE TRADIZIONE DI CREAZIONE DI VALORE, NASCERÀ UNO TRA I PRIMI GRUPPI BANCARI ITALIANI

• Il nuovo Gruppo risultante dalla fusione sarà tra i primi operatori inItalia con una rete di 1.968 sportelli(4° network in Italia, con una quota di mercato di circa il 6,3%), significativequote di mercato nelle aree più ricchedel Paese (2° gruppo bancario inLombardia con 935 sportelli e unaquota di mercato maggiore del 15%), e oltre 4 milioni di clienti.• La capitalizzazione di mercato aggregata sarà pari a 13,5 miliardi di euro.• Sarà adottato un modello polifunzionale, federale e integrato,con Capogruppo popolare quotata. • Sotto il profilo della corporate governance, la fusione sarà realizzatanel rispetto del principio di pariteticità;verrà adottato il sistema dualistico,organizzato attraverso un Consiglio di Sorveglianza e un Consiglio diGestione. Le Banche Rete manterrannoautonomia operativa a presidio deiterritori di tradizionale insediamento.

PRINCIPALI DIMENSIONI OPERATIVEE PROGETTO INDUSTRIALEI Consigli di Amministrazione di BanchePopolari Unite S.p.A. - BPU Banca e di BancaLombarda e Piemontese S.p.A. hanno appro-vato il progetto di fusione per incorporazionedi Banca Lombarda in BPU Banca per la creazione di un Nuovo Gruppo bancario. Il Patto di Sindacato di Banca Lombarda ha favorevolmente deliberato sul progetto di aggregazione.

L’operazione di aggregazione prevede la realiz-zazione di un progetto industriale ad elevatavalenza strategica grazie alla complementarietàdelle Banche Reti, delle Società Prodotto edella clientela. Il Nuovo Gruppo sarà il quartooperatore bancario italiano per numero disportelli e disporrà, sulla base dei dati pro-formaal 30 giugno 2006, di:• oltre 4 milioni di clienti;• raccolta diretta pari a 80 miliardi di euro circa(5º posto in Italia, 1º tra le banche popolari);• impieghi a clientela per circa 79 miliardi di euro (5º posto in Italia, 1º tra le banche popolari);

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• elevata qualità dell’attivo: sofferenze/crediti netti pari allo 0,7%;• risparmio gestito pari a circa 58 miliardi di euro (3ºposto in Italia, 1º tra le banche popolari),di cui 23 miliardi di euro riferiti all’attività di private banking (3º posto in Italia, 1º tra le banche popolari);• totale attivo di circa 110 miliardi di euro (6º posto in Italia, 2º tra le banche popolari);• 7,4 miliardi di euro di patrimonio netto aggregato (fully diluted);• utile netto aggregato pro-forma al 30 settembre2006 di 745 milioni di euro;• Core tier 1 ratio del 6,2% (fully diluted) e Total capital ratio del 10,1% (fully diluted);• rete di 1.968 sportelli (4º network in Italia, con una quota di mercato del 6,3%), senza significative sovrapposizioni;• significative quote di mercato nelle aree più ricche del Paese (2º gruppo bancario in Lombardia con 935 sportelli e una quota di mercato maggiore del 15%);• quota di mercato in termini di sportelli superiore al 10% in 21 province tra cuiBergamo (26%), Brescia (29%), Varese (29%),Cuneo (26%), Pavia (18%) e Milano (10%).

Le principali linee guida strategiche dell’operazione risultano essere le seguenti:• costituzione di un Nuovo Gruppo in grado siadi competere con i migliori attori sul mercatosia di valorizzare ulteriormente il forte radicamento territoriale anche attraverso la salvaguardia dell’identità dei marchi;• conseguimento di importanti obiettivi di crescita anche grazie alla contiguità e comple-mentarietà territoriale in aree a elevato poten-ziale di sviluppo, all’incremento delle massecritiche e alla valorizzazione delle culture edelle competenze proprie di ciascun Gruppo;• incremento delle attività a supporto della clientela, soprattutto piccole-medie imprese efamiglie, mediante l’ampliamento della gammadei servizi e prodotti offerti;• valorizzazione delle Società Prodotto presenti nei due Gruppi d’origine, anche per il tramitedi partnership con qualificati operatori internazionali;• rapido conseguimento delle sinergie previste, anche grazie al comprovato track record delmanagement dei due Gruppi nella gestione dei processi di integrazione.

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L’operazione consentirà al Nuovo Gruppo dibeneficiare di sinergie derivanti da:• ottimizzazione della consistenza degli organicinelle diverse aree infrastrutturali;• riduzione dei costi IT a seguito dell’adozione di un’unica piattaforma informatica e ditelecomunicazione di Gruppo;• contenimento delle spese amministrative anche grazie alla maggiore forza negoziale del Nuovo Gruppo;• valorizzazione su più ampia scala delle SocietàProdotto, anche per il tramite di partnershipcon qualificati operatori internazionali, e ulteriore miglioramento del livello di servizio e della qualità dell’offerta alla clientela;• messa a fattor comune delle best practice interne a ciascun Gruppo (sia in termini dicosto che di ricavo).

Le sinergie lorde stimate a regime sono pari a 365 milioni di euro annui, di cui circa 225milioni di euro da minori costi e circa 140milioni di euro da maggiori ricavi. Il raggiungimento della situazione a “regime”è previsto entro il 2010, con oltre il 90% dellesinergie conseguibili entro il 2009.Gli oneri di integrazione lordi previsti sonostati prudenzialmente quantificati in circa 380milioni di euro, di cui 360 milioni di euro spesati in conto economico nel 2007 e 20milioni di euro portati ad incremento dell’avviamento. Il potenziale di creazione di valore risulta conseguentemente nell’ordinedi oltre 2,3 miliardi di euro già al netto deglioneri di integrazione.

STRUTTURA DELL’OPERAZIONE E CONDIZIONI FINANZIARIEL’operazione troverà attuazione attraverso lafusione per incorporazione di Banca Lombardain BPU Banca, con il mantenimento della connotazione popolare. Le condizioni finanziarie, che saranno soggettead una due diligence confirmatoria, prevedonoun rapporto di cambio individuato in 0,83azioni ordinarie BPU Banca ogni azione ordinaria Banca Lombarda.Il dividendo relativo all’esercizio 2006 verràproposto nella misura di 0,80 euro per azioneper tutti i Soci della Nuova Capogruppo.La composizione del capitale post fusione saràrappresentata per circa il 54% da azioni detenuteda azionisti BPU Banca e per circa il 46% daazioni detenute da ex azionisti Banca Lombarda.E’ convenuto che gli azionisti di BancaLombarda saranno automaticamente iscritti,all’atto e per effetto dell’integrazione, nel librosoci della Nuova Capogruppo.Agli azionisti assenti, dissenzienti o astenutiall’Assemblea dei Soci di Banca Lombardaspetterà il diritto di recesso, ai sensi dell’art.2437 del codice civile, in dipendenza del cambiamento del tipo sociale e delle modifica-zioni dei diritti di voto. La fusione è subordinataalla condizione che il diritto di recesso daparte degli azionisti di Banca Lombarda nonsia esercitato per una percentuale del capitalesociale superiore al 10%. Tale condizione potrà peraltro essere rinunciatadi comune accordo dalle parti entro 10 giornilavorativi dal giorno in cui i dati definitivi

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dell’eventuale esercizio del diritto di recessosaranno stati comunicati da Banca Lombarda a BPU Banca. La fusione porterà all’integrazione delle duebanche Capogruppo, con costituzione di ununico soggetto giuridico quotato, in grado di esprimere gli indirizzi strategici, di svolgerefunzioni di coordinamento e di esercitare ilcontrollo su tutte le strutture e società delNuovo Gruppo, nell’ambito del quale le BancheRete manterranno autonomia operativa a presi-dio dei territori di tradizionale insediamento.

CORPORATE GOVERNANCELa Nuova Capogruppo, che nascerà dall’incor-porazione di Banca Lombarda in BPU Banca,avrà sede legale in Bergamo, mentre le funzionicentrali saranno distribuite tra le sedi dei dueGruppi, secondo un’equilibrata ripartizioneche tenga conto delle esigenze di funzionalitàed economicità della stessa. La denominazionesociale della Nuova Capogruppo sarà definitadi comune accordo tra le Parti in una fase successiva. Per garantire un sistema di corporategovernance che consenta ad un tempo una saldaunità di direzione e governo e la rappresentanzanell’aggregato bancario delle componenti originarie di rispettiva derivazione da BPUBanca e da Banca Lombarda, nel rispetto delprincipio di pariteticità, verrà adottato il sistemadualistico organizzato attraverso un Consigliodi Sorveglianza ed un Consiglio di Gestionecaratterizzato dagli ulteriori principi dellaalternanza e della alternatività delle caricheprincipali.Il Consiglio di Sorveglianza della Nuova Capogruppo sarà composto da 23 membri (11 espressione di BPU Banca, 11 di BancaLombarda e 1 delle liste di minoranza) tra cuiil Presidente, un Vice Presidente Vicario e dueVice Presidenti. Primo Presidente del Consigliodi Sorveglianza sarà di espressione BancaLombarda, mentre primo Vice PresidenteVicario sarà di espressione BPU Banca.Il Consiglio di Gestione sarà composto da un numero di componenti compreso tra 7 e 11 e sarà nominato dal Consiglio di Sorveglianza. Per il primo mandato triennale, il Consiglio di Gestione sarà compostoda 10 membri (5 espressione di BPU Banca e 5 di Banca Lombarda), fra cui il Presidente, il Vice Presidente e il Consigliere Delegato.

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Primo Presidente del Consiglio di Gestionesarà Emilio Zanetti, primo Vice PresidenteCorrado Faissola e primo Consigliere DelegatoGiampiero Auletta Armenise. Le parti hannoaltresì convenuto che il Presidente Zanetti ricoprirà la carica di Presidente del Consiglio di Gestione anche per il secondo mandatotriennale. Il Direttore Generale sarà designatodal Consiglio di Gestione. Quale primo DirettoreGenerale sarà nominato Victor Massiah, attualeDirettore Generale di Banca Lombarda.Alfredo Gusmini, attuale Direttore Generale diBPU Banca, sarà chiamato a far parte delConsiglio di Gestione. Il ruolo di CondirettoreGenerale sarà ricoperto da persona individuatada BPU Banca.

TEMPISTICA INDICATIVA DELL’OPERAZIONEIl progetto di aggregazione prevede la seguente tempistica:

marzo 2007:assemblee straordinarie per l’approvazione del progetto di fusione1 aprile 2007: efficacia della fusioneAprile/maggio 2007: assemblea ordinaria per l’approvazione dellaproposta di distribuzione di un dividendo unitario pari a 0,80 euro per azioneMaggio 2007: distribuzione dividendo.

L’operazione è soggetta all’autorizzazione di Banca d’Italia, dell’Autorità Garante dellaConcorrenza e degli altri organi competenti.BPU Banca è assistita da Banca Leonardo e da Morgan Stanley, con particolare riguardoai profili relativi al mercato, per gli aspettieconomico-finanziari e dallo Studio Pedersoliper gli aspetti legali.Banca Lombarda è assistita da Mediobanca eRothschild per gli aspetti economico-finanzia-ri e dallo Studio d’Angelo e dallo StudioPavesi-Gitti-Verzoni per gli aspetti legali.

1. Aggregato di BPU e BLP2. Con riferimento ad un patrimonio netto di inizio esercizio depurato del goodwill generato dall’operazione3.Al netto di oneri e imposte, costo del capitale 8%

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IL GRUPPO BANCA LOMBARDA E PIEMONTESE PRIMO IN ITALIA NELLA CLASSIFICA DI LOMBARD

ll Gruppo Banca Lombarda e Piemonteseha conquistato il primo posto nella super-classifica annuale redatta dalla rivista spe-cializzata “Lombard”. La rivista del gruppoMilano Finanza, edita in lingua inglese,pubblica ogni anno un numero specialededicato alla finanza italiana, in occasionedella riunione del Fondo MonetarioInternazionale.Nell’ambito degli 11 maggiori gruppi bancaridel Paese, il Gruppo Banca Lombarda ePiemontese è in prima posizione assoluta(dalla terza del 2005), con un superindice8,26, calcolato sulla base di una media tradiversi parametri, con particolare riferimentoalla produttività e all’efficienza operativa.

Il Gruppo Banca Lombarda e Piemontese,di cui fa parte la Banca Regionale Europea,ha realizzato, nel primo semestre del 2006,un utile netto di 169,2 milioni di euro, con un incremento del 48,4% rispetto

al corrispondente periododell’anno precedente.

LA BANCA REGIONALE EUROPEA INSIEMEA SACE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

DELLE IMPRESESTANZIATO UN PLAFOND DI 100 MILIONI DI EURO PER LE PMI

Banca Regionale Europea, del GruppoBanca Lombarda e Piemontese, e SACEhanno sottoscritto un accordo per facilitareil processo di internazionalizzazione dellepiccole e medie imprese italiane, che potrannocosì accedere a finanziamenti chirografari a medio termine per essere più competitivee pronte alle sfide internazionali. L’accordo prevede lo stanziamento di unplafond di 100 milioni di euro, messo adisposizione dal Gruppo Banca Lombarda e Piemontese, di cui BRE fa parte, e prevedeche i mutui concessi abbiano una duratamassima di 3 anni. SACE garantisce il 70%del finanziamento, a prima richiesta, secondoi parametri stabiliti dal protocollo Basilea.

Queste soluzioni nascono dalla volontà disupportare le imprese che abbiano deciso diintraprendere un programma di investimentiper sviluppare ulteriormente la presenzaall’estero: alle imprese destinatarie deifinanziamenti è infatti richiesto che unaquota del fatturato totale sia già destinataall’export. Le imprese dovranno comunquemantenere in Italia la Sede Legale, le attivitàdi Ricerca e Sviluppo e la Direzione commerciale, nonché una parte significativadell’attività produttiva. L’importo erogato potrà essere destinato a specifiche attività legate a progetti diespansione nei mercati esteri, anche se realizzate in Italia, quali: spese per l’acquistoo il rinnovo di impianti, macchinari e attrezzature, investimenti in imprese estere,spese per ricerca e sviluppo, spese per tutelare il “Made in Italy”, spese promozionali.La collaborazione tra Banca RegionaleEuropea e SACE garantirà quindi alle aziendeun accesso facilitato al credito, senza chiederealcun onere aggiuntivo, con un costo assai competitivo per operazioni di tali caratteristiche e durata.

Con questo accordo il Gruppo BancaLombarda e Piemontese conferma la suastorica attenzione verso le esigenze dellaclientela, mettendo a disposizione l’esperienzamaturata nel corso degli anni in numerosepiazze internazionali. Infatti sono in essererapporti di correspondent banking con controparti in tutto il mondo e in particolarela Banca è presente direttamente in Cinacon un ufficio di rappresentanza a Shanghai.

PattiChiari è l’iniziativa promossa dall’ABIper garantire ai clienti delle banche la massima trasparenza e la possibilità di confrontare le condizioni e l’offerta di prodotto, in un contesto di concorrenza. PattiChiari propone attualmente dieci servizi.• Conti correnti a confronto• Cambio conto, per informare sulle modalitàdi chiusura del conto corrente, con relativotrasferimento delle domiciliazioni bancarie• Servizio bancario di base, per l’apertura di un conto a basso costo che consenta l’operatività di incassi e pagamenti• Disponibilità assegni, per verificare la datadi effettiva disponibilità di un assegno versato sul conto• Faro, per sapere dove è ubicato lo sportelloBancomat più vicino• Investimenti finanziari a confronto, perverificare le tipologie di rischio ed il proprioprofilo di investitore• Obbligazioni a basso rischio-basso rendimento• Obbligazioni bancarie strutturate• Criteri generali di valutazione per un prestito, destinato agli imprenditori• Tempi medi di risposta, per mettere a confronto, per regione e per fasce di importo,i tempi di decisione delle singole banche.Per ogni informazione, www.pattichiari.it

Grazie all’accordo con il Gruppo BancaLombarda e Piemontese, SACE consolida il proprio intervento nel settore del financialcredit insurance per facilitare l’accesso al mercato dei capitali ad un vasto numerodi aziende esportatrici permettendo loro di beneficiare di finanziamenti con tassi di interesse più vantaggiosi. Con questa operazione, SACE intende proseguire nellasua attività di sostegno al sistema imprendi-toriale italiano e contribuire alla crescita suimercati esteri delle PMI italiane, per le qualile fonti di finanziamento possono diventareun fattore strategico di competitività e suc-cesso. Grazie alla sua rete di distribuzione,che vede il Gruppo SACE presente anche a Mosca, Hong Kong e Shangai, SACE sipropone come il partner per imprese e banche nell’attività di crescita sui mercatiinternazionali.

PATTICHIARI, NEL SEGNODELLA TRASPARENZA

COMPIE TRE ANNI L’ATTIVITÀ DEL CONSORZIO

1 1 • R A S S E G N A N. 2 2 • I N V E R N O 2 0 0 6 - 2 0 0 7

1 2 • R A S S E G N A N. 2 2 • I N V E R N O 2 0 0 6 - 2 0 0 7

Il petrolio, il gas e il carbone sonomaterie prime divitale importanzastrategica.La geo-politicadegli approvvi-gionamentienergetici europei presentaelementi di preoccupazione:il 45 per cento del nostro importdi petrolio proviene dalMedio Oriente,area di forteinstabilità politica;il 35 per centodalla Russia, che fornisce anche il 40 per cento del gas.Occorre diversi-ficare le fonti dienergia e quelledi approvvigio-namento, per non dipendereeccessivamenteda una singolafonte o da un singolo fornitore. Una nuova prospettiva èquella del GasNaturaleLiquefatto, chenon necessita di gasdotti e consentirà al mercato del gasdi trasformarsi da regionale a globale, diventandosempre più una“commodity”energetica.

Giorgio S. Frankel, giornalista professionista,si occupa di questioniinternazionali e in particolare di Medio Oriente, petrolio e industria aerospaziale.Ha collaborato a MondoEconomico e collabora a Il Sole 24 Ore, al Corriere del Ticino(Lugano) e altre testate.

L’EUROPA E I SUOI APPROVVIGIONAMENTI ENERGETICI

DI GIORGIO S. FRANKEL

del mare del Nord, la Norvegia, un paese certamente europeo anche se non è dell’UE, e poi alla Russia, ai produttori del Mediter-raneo, al Medio Oriente e Golfo Persico, e alla regione del mar Caspio. E riguardo al petrolio e al gas del Golfo Persico e soprat-tutto del mar Caspio/Asia centrale, c’è da sottolineare che la Turchia, nel suo ruolo di grande nodo di oleodotti e gasdotti, assumeun’importanza davvero strategica per la futurasicurezza degli approvvigionamenti energeticieuropei. E questa è una “carta” decisamenteimportante che Ankara potrà “monetizzare”per pagarsi il biglietto d’ingresso nell’UE, se il negoziato andrà a buon fine.

Anche la “geo-economia” dei nostri approvvi-gionamenti energetici appare assai favorevole.Con tutti quei paesi, o quasi tutti, l’UE haimportanti rapporti commerciali, a cominciaredalla Russia, e accordi di cooperazione. Coi paesi della sponda sud del Mediterraneo,tra cui vi sono alcuni grandi fornitori di petrolio e gas, quali l’Algeria, la Libia el’Egitto, l’UE intende realizzare, col progetto“Euromed” (che, però, sembra procedere conqualche difficoltà), una grande area di liberoscambio e di cooperazione economica e politica. Al di là di questa fascia di risorseenergetiche in prossimità dei confini europei,vi è l’Africa sub-sahariana, che si prospettaora come una “nuova frontiera” del petrolio e del gas naturale, grazie alla crescente produzione soprattutto nella regione del Golfodi Guinea. Tuttavia, l’Africa col suo “oro nero”sarà anche un’importante teatro di competizionestrategica tra Stati Uniti e Cina, e l’Europarischia di trovarsi di fatto emarginata.

Questo accenno problematico al petrolio e al gas dell’Africa introduce un altro ordinedi considerazioni, e cioè che la “geo-politica”degli approvvigionamenti energetici europei, a differenza della geografia e della geo-econo-mia, presenta molti elementi di preoccupazione.Ad esempio, il Medio Oriente è politicamenteinstabile e, peggio ancora, ad alto rischio dinuove guerre. Però, da lì, arriva circa il 45 per cento del nostro import di petrolio.

L’energia torna ad essere un problema perl’Europa. Lo si è già visto all’inizio del 2006,proprio nel pieno dell’inverno, quando la brevecrisi tra Mosca e Kiev minacciò di bloccare il gas russo diretto all’Europa col gasdottoattraverso l’Ucraina, e di lasciare milioni di famiglie al freddo. Il problema, però, è soprattutto in prospettiva. Oggi, l’Europaconsuma circa il 20 per cento della produzionemondiale di petrolio, il 16 per cento del gasnaturale, il 10 per cento del carbone, e infineil 35 per cento dell’uranio. Il suo fabbisognodi energia non fa che crescere, soprattutto perquanto riguarda gli idrocarburi - il petrolio,naturalmente; ma, da oggi in poi, anche e sempre più il gas naturale, ormai nuova “stella” dell’energia mondiale. D’altra parte, le risorse interne dell’Unione Europea sonomodeste e in calo. L’estrazione di carbone è cessata quasi ovunque, e presto chiuderannoanche le miniere tedesche. E nella zona britannica del mare del Nord, la produzionedi petrolio e gas ha già iniziato il declino.Così, la dipendenza dalle importazioni nonfarà che crescere.

Secondo le proiezioni dell’Agenzia Internazio-nale dell’Energia, nel 2030 l’Europa importeràil 100 per cento del suo carbone, il 90 percento del petrolio e il 70 per cento del gas.Ovvero, salvo che per l’energia idroelettrica, il nucleare e le fonti rinnovabili, la dipendenzasarà, di fatto, totale. Nella futura corsa agliapprovvigionamenti, l’Europa dovrà competerecon gli Stati Uniti, i cui consumi di energiasono decisamente spropositati; con la Cina e l’India, il cui fabbisogno è in forte crescita(ma ancora a livelli quantitativi relativamentemodesti, nonostante gli allarmismi davveroesagerati dei media); col Giappone, infine, e con numerose economie emergenti. Tuttavia, per quanto riguarda la geografiadegli approvvigionamenti energetici, l’UE èassai avvantaggiata rispetto ai suoi concorrenti.L’UE, infatti, è letteralmente attorniata darisorse enormi - circa l’80 per cento delleriserve mondiali di idrocarburi - situate più o meno a ridosso dei suoi confini. Basti pensare all’altro grande produttore

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Quanto al gas, più del 40 per cento delleimportazioni dell’UE proviene dalla Russia,che fornisce anche circa il 35 per cento dell’import di petrolio. In breve: più o meno il 25 per cento degli idrocarburi consumatinell’UE sono forniti dalla Russia. Ma, oggi,proprio la Russia si configura come una dellegrandi incognite per i nostri futuri approvvi-gionamenti. Primo, perché non è del tuttocerto che la Russia, i cui fabbisogni internisono in forte crescita, potrà davvero rifornirel’UE nelle quantità fisiche previste. Alcuniesperti dicono che forse la Russia è già quasial limite delle sue capacità di export.Secondo, perché la Russia potrebbe decidere,per motivi politici e strategici oltre che economici, di dare priorità all’export versol’Asia, soprattutto la Cina. Terzo, perché laRussia sembra in piena transizione politica enon sappiamo bene verso quale tipo di regimestia andando, e quale sarà il suo approcciopolitico e strategico ai rapporti con l’Europa. La Russia è ormai un vero gigante sulla scenaglobale dell’energia, col 30 per cento delleriserve mondiali di gas, il 6 per cento delpetrolio, il 20 per cento del carbone e circa il15 per cento dell’uranio. È il terzo produttoremondiale di petrolio, dopo l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, e il secondo esportatore di greggio e prodotti raffinati (dopo l’ArabiaSaudita), e maggior produttore ed esportatoremondiale di gas naturale. Tra petrolio, gas edelettricità, la Russia è il magiore esportatoremondiale di energia. Negli ultimi anni, ilCremlino ha ristabilito il controllo, quasi totale,sul settore degli idrocarburi, che diventa cosìuno strumento di potenza internazionale e di sviluppo economico interno.

Un altro significativo aspetto della “geopolitica”dell’energia è la netta tendenza, in varie partidel mondo, a nazionalizzare, o ri-nazionaliz-zare, in un modo o nell’altro, gli idrocarburi e l’energia in generale. Alcuni paesi produttori,come ad esempio Algeria, Bolivia, Venezuela e Russia, hanno introdotto nuove leggi, omodifiche a leggi esistenti, o nuove disposizio-ni, o comunque nuovi orientamenti politici in modo che siano i soggetti nazionali ad avereil controllo delle società o delle principali iniziative petrolifere in ambito nazionale. E nei grandi paesi consumatori, per esempioin Europa, anche se non si “statalizza”, sitende a favorire, se possibile, la formazione e il rafforzamento di “campioni nazionali” nel settore dell’energia.

A poco a poco, si tende a dare nuova enfasi al ruolo dei governi nella conclusione di contratti di forniture energetiche, con unlento ritorno alla teoria e alla prassi, in voganegli anni Settanta, dei “rapporti Stato-Stato”nelle questioni relative al petrolio e al gas,con una conseguente politicizzazione più o meno marcata degli scambi stessi.Nell’ambito UE tutto ciò può avere effettinegativi per quanto riguarda la coesione politica europea, e sottolinea l’urgenza di un’effettiva politica energetica europea (che ancora non esiste) e l’esigenza di istituirea Bruxelles una struttura dedicata alle questioni energetiche e presieduta da un“Mister Energy”, come lo chiamano alcuni,che dovrebbe, tra l’altro, rappresentare l’UEnei negoziati coi paesi fornitori. Questa progressiva “nazionalizzazione” dell’energia, sia in senso letterale sia in sensometaforico, conclude forse la lunga stagionedelle privatizzazioni del petrolio e del gasavviate, o annunciate, o previste, o altro, negli anni Novanta. A quell’epoca, tuttavia, il paradigma dominante prevedeva energiaabbondante e a buon mercato sul medio e lungo termine, grazie alle liberalizzazionieconomiche e alle innovazioni tecnologiche.In particolare, il petrolio sembrava destinato a diventare entro breve tempo una normalecommodity come tante altre (idem per il gasnaturale), senza più tanti risvolti politici e strategici. Ad evidenza, con l’inizio deglianni Duemila, questo paradigma si è infranto,e il petrolio è tornato ad essere quello che è sempre stato: una materia prima di vitaleimportanza strategica. Lo stesso vale per il gas e, in qualche misura, anche per il carbone: non si tratta di prodotti qualsiasi. Un uomo di stato francese, Edgar Faure, diceva che il petrolio non è un “simple articled’épicerie”, cioè un prodotto che si trova dal droghiere, ma un “article de politiqueinternationale”. Un altro politico d’oltralpe,André Giraud, era ancora più drastico: “le pétrole est une matière première à forte valeurde défense, diplomatique, fiscale dans unemoindre mesure, accessoirement énérgétique».

Questo contesto geopolitico tornato ad esserepiù rischioso (e nel quale ci sarà anche unaforte competizione tra Europa, Stati Uniti e Asia) ripropone la questione cruciale dellafutura sicurezza degli approvvigionamenti. E’ un problema vasto e complesso, che puòessere esaminato sul piano politico-strategico

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(con risvolti anche militari) e su quello piùtecnico, per così dire, oltre che economico, e relativo alla struttura degli approvvigio-namenti e dei consumi. Gli aspetti tecnici edeconomici della sicurezza sono innumerevoli.Riducendo tutto all’osso, i concetti chiavesono due: diversificazione e ridondanza.

La diversificazione è un precetto che riguardatutto il sistema di approvvigionamento ener-getico. Per prima cosa, bisogna diversificarele fonti di energia, e operare con un mix difonti (petrolio, gas, carbone e altro) in mododa non dipendere troppo da una singola fonte– un errore, questo, commesso, in passato,dall’Italia (e da altri paesi) con un’eccessivadipendenza dal petrolio. In secondo luogo,bisogna diversificare le fonti di approvvigio-namento, in modo da non dipendere in misuraeccessiva dalle forniture provenienti da unsingolo paese o da una singola area geografica.In terzo luogo, bisogna diversificare, se possi-bile, anche i modi di trasporto (per esempio,oleodotti e navi cisterna), e persino le linee di comunicazione. Ad esempio, le pipelines,sia per il petrolio sia per il gas, sono moltopratiche ma comportano elementi di rigidità e di potenziale insicurezza. Possono esservinumerosi potenziali rischi geo-politici lungoil percorso (per esempio, se una condottapassa per regioni instabili o conflittuali)nonché il rischio che, per motivi politici ocommerciali, o anche per emergenze di varianatura, il paese fornitore chiuda, come si usadire, i rubinetti. Quindi, è bene potersi rifor-nire, da quel paese, anche in altro modo (per es. via mare, se possibile), ed avere i mezziper rifornirsi, in via alternativa, altrove. Se, ad esempio, importiamo tutto il nostro petrolioda un solo paese e tramite un solo oleodotto,senza avere rapide soluzioni alternative, ilnostro sistema è estremamente rigido e perico-loso, e ci troviamo esposti a molti pericoli.

Anche la ridondanza è un principio generaleestremamente importante ai fini della sicurezza.In questo contesto, si tratta di dover disporredi un eccesso di capacità, grande o piccolo, in ogni fase del sistema di approvvigionamento.Ovvero, ad esempio, un margine di capacitàproduttiva normalmente inutilizzata, per poterfar fronte a improvvisi aumenti della domanda(o ad un improvviso calo della produzione in qualche paese, per i più disparati motivi), e quindi anche, allo stesso modo, capacità di trasporto, stoccaggio e raffinazione,

superiori al livello di utilizzo normale. La ridondanza contribuisce alla flessibilità, e quindi alla sicurezza, dei sistemi nazionali e del sistema globale di approvvigionamento.Un sistema flessibile si adatta abbastanzafacilmente e rapidamente a importanti cambiamenti del contesto operativo. Un sistema rigido, invece, incontra molte difficoltà, che poi si traducono in una “crisi”e in sensibili rincari. Un caso reale di sistemarigido? Semplicemente, il sistema petroliferomondiale di oggi, dove un improvviso aumentodella domanda, o qualche incidente, grande o piccolo, in qualche parte del mondo - nonnecessariamente una guerra, ma anche unosciopero prolungato in un paese produttore, o condizioni atmosferiche che bloccano l’estrazione di greggio o il caricamento dellepetroliere, o un incendio in una raffineria, e via dicendo - bastano a mandare in “tilt” i mercati. I forti rincari petroliferi degli ultimianni sono soprattutto dovuti alle numeroserigidità dell’intero sistema globale: dal marginedi capacità produttiva ormai ridotto quasi a niente, ai “colli di bottiglia” logistici, alle carenze nel settore della raffinazione. La “grande sete petrolifera” della Cina edell’India, che avrebbe provocato la “crisi” e il caro-petrolio, è una pura e semplice leggenda, senza alcun riscontro, a lungo ripetuta ed esasperata dai media.

Ai principi chiave della diversificazione edella ridondanza, si può aggiungere un terzoprincipio generale, molto importante ai finidella sicurezza, ma di portata più ampia, ed è il principio dell’efficienza dei consumi.In breve: un incremento di efficienza ci consente di ottenere lo stesso “prodotto” consumando meno energia di prima, comedire: fare più chilometri con un litro di benzina.In termini più tecnici, una maggiore efficienzariduce, a parità di altre circostanze, la cosiddetta “intensità energetica” del ProdottoInterno Lordo, ovvero la quantità di energiaprimaria consumata da un sistema economicoper generare un’unità di PIL. Negli ultimitrent’anni, dopo gli shock petroliferi deglianni Settanta, sono stati fatti enormi progressiin tal senso, più o meno in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa. Oggi, vi sono gravi problemi di efficienza, cioè di consumi eccessivi a parità di prodotto, in Cina, India,e altre economie asiatiche in rapida crescita.E, negli ultimi tempi, questi paesi sono staticriticati a livello internazionale per i loro

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presunti “sprechi” (in parte riconducibili al fenomeno delle “delocalizzazioni”), e ciò a sua volta ha alimentato la leggendagiornalistica della “grande sete di petrolio”asiatica. Tuttavia, sembra che i più grandisprechi si consumino proprio nell’area OCSE,cioè nelle economie più ricche e avanzate. Basti riprendere alcuni dati citati dall’ammi-nistratore delegato dell’ENI, Paolo Scaroni, in un articolo assai suggestivo pubblicato dal “Financial Times” dello scorso 16 ottobre.Secondo Scaroni, se gli americani usasseroautomobili europee, o comunque efficientiquanto quelle europee in termini di chilometriper litro (o miglia per gallone), gli Stati Unitirisparmierebbero quattro milioni di barili di greggio al giorno, il che equivale alla pro-duzione petrolifera dell’Iran, terzo esportatoremondiale di greggio. Se poi in tutta l’areaOCSE si usassero automobili di ultimissimagenerazione, da 20 km con un litro, il risparmio globale sarebbe di 10 mb/g, parialla produzione dell’Arabia Saudita, numerouno mondiale del petrolio, e qualcosa di piùdi quanto consumano Cina e India messeassieme. Se poi gli americani regolassero il riscaldamento e l’aria condizionata secondocriteri europei, ci sarebbe un ulteriore rispar-mio di 5 mbg, che sommati ai precedenti 10mbg porterebbero ad un risparmio complessivopari al 15-20 per cento dei consumi petroliferiglobali.Quello che è sbalorditivo in questi esempiripresi da Scaroni è che essi riguardano solo i risparmi teorici possibili usando autovetturegià esistenti e regolando meglio i caloriferi e i condizionatori americani, senza bisogno di drastiche misure di austerity, di rivoluzioniindustriali o di soluzioni avveniristiche. Tutto ciò attiene anche alla sicurezza europea,perché minori consumi a parità di prodottoriducono l’esposizione dell’UE alle incertezzedi ogni genere derivanti dalla dipendenzadalle importazioni in una fase storica di crescente competizione internazionale per gli approvvigionamenti e di forte ripresa del valore strategico del petrolio.

Fra i tanti problemi relativi ai futuri approvvi-gionamenti energetici dell’Europa, ce ne sonodue, in tema di fonti di energia primaria, che è bene ricordare sia pure brevemente. Il primo, assai controverso, riguarda il nucleare.E’ probabile che se ne tornerà a discuteremolto presto. Intanto, la Cina ha in programmacirca 30 nuove centrali nucleari, e negli

Stati Uniti è possibile un prossimo ritorno al nucleare dopo la “Energy Policy Act” del 2005. Nell’UE, il nucleare è la principalefonte di energia elettrica, col 35 per cento del totale. D’altra parte, il 75 per cento dellanuova capacità di generazione di elettricità,entrata in servizio dopo il 1998, è costituitoda centrali termo-elettriche alimentate a gas naturale. Il problema è che, ora e inprospettiva, il mercato del gas potrebbe farsiteso, difficile, e anche insicuro, per esempio a causa della dipendenza dalla Russia.Quindi, ogni segnale di pericolo sul fronte del gas, e soprattutto riguardo la Russia,intensificherà le istanze a favore del nucleare. Secondo alcune proiezioni, entro il 2030l’Europa avrà bisogno di circa 600 GWe dinuova potenza installata, cioè l’equivalente di 500 nuovi reattori nucleari (di solito, una singola centrale ha due o più reattori), il tutto per un investimento di mille miliardidi euro. Attualmente, circa la metà dei paesidell’UE dispongono di impianti nucleari. Se l’Italia ha lasciato il nucleare, e Germania,Svezia e Belgio hanno deciso un’uscita graduale (ma finora hanno chiuso solo pochireattori), Francia e Finlandia stanno costruendoreattori di nuova generazione, mentre nelRegno Unito un recente documento governa-tivo potrebbe aprire la via alle industrie private per lo sviluppo, la costruzione e lagestione di nuove centrali elettro-nucleari.

Il secondo problema riguarda la crescita spettacolare, nel mondo e in Europa, dei consumi di gas naturale, tanto che forse si può già parlare del prossimo inizio di una nuova era nell’industria dell’energia -l’era del gas. Secondo alcune proiezioni, nei prossimi 25 anni, mentre la domanda globale di energia primaria crescerà del 60per cento, il fabbisogno mondiale di gas naturale aumenterà dell’80 per cento, col che, la quota del gas naturale nei consumitotali di energia, da poco più del 20 per cento(dato del 2002) salirà al 25 per cento entro il 2030. Dopo il 2010, il gas supererà il carbone e salirà al secondo posto, dopo il petrolio, nella graduatoria delle fonti di energia primaria a livello globale. Secondo uno “scenario” proposto nel 2005, il gas potrebbe persino superare il petroliocome principale fonte di energia nel 2025.In Europa, il gas ha superato il carbone già negli anni Novanta. Si prevede che nellaUE-30 (cioè l’UE a 25 più Bulgaria, Croazia,

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Romania, Serbia e Turchia) la quota del gassull’energia totale, che all’inizio degli anniSettanta era sotto il 10 per cento e oggi èpoco più del 20 per cento, salirà entro il 2030al 30-35 per cento, cioè quasi agli stessi livellidel petrolio. Dunque, l’ipotesi di un futurosorpasso non è poi così fantascientifica. In quantità, il fabbisogno di gas in Europaoccidentale, attualmente sui 500 miliardi dimetri cubi all’anno, contro 300 miliardi all’ini-zio degli anni Novanta, salirà a 700 mld di mc/aentro il 2020. Il problema è che la produzionenell’UE-30 ha un tracciato quasi piatto, e nelcaso britannico è in declino, anzi il RegnoUnito torna ad essere importatore di gas. Nel mare del Nord, il gas della Norvegia, che non fa parte dell’UE, è ancora in crescitama si prevede un “picco” verso il 2010, dopodichè comincerà a calare. Di conseguenzavi sarà un forte aumento delle importazioni. Un problema supplementare, che attienesoprattutto alla sicurezza, è che l’import europeo di gas si basa su un numero assairidotto di fornitori. Non ci sono certo preoc-cupazioni per la Norvegia le cui forniturecoprono il 13 per cento dei consumi, ed il 24per cento dell’import dell’UE. Tuttavia, se si esclude la Norvegia, la quasi totalità dellerimanenti importazioni proviene da due solipaesi fornitori: la Russia, che copre il 24 per cento dei consumi e il 44 per cento delleimportazioni, e l’Algeria, rispettivamente col 10 e poco più del 18 per cento. In breve, questi due soli paesi, assieme, forniscono poco più del 60 per cento del gasimportato dall’UE. Una dipendenza che sembra destinata ad aumentare, e con essa i possibili problemi di sicurezza commercialee strategica delle forniture. In futuro, tuttavia, l’UE potrà ricevere gasnaturale dalla regione del Caspio/Asia centrale(Azerbaigian, Kazakistan, Turkmenistan) e dal Medio Oriente/ Golfo Persico (Iran, Iraq),con una complessa rete di gasdotti, moltiancora in progetto, alcuni diretti (ad esempio,dal Kazakistan), altri attraverso la Turchia.Dal Nord Africa, l’UE potrà importare gasanche dalla Libia e dall’Egitto.Per ora, l’Europa non ha molti gradi di libertàin materia di gas naturale per scegliere ediversificare le fonti di approvvigionamento e i modi di trasporto, perché nella stragrandemaggioranza dei casi, il gas viene trasportatotramite gasdotti.

Tuttavia, nell’incipiente “nuova era” del gassta maturando una piccola rivoluzione industriale ed economica, quella del GasNaturale Liquefatto, che potrebbe cambiarein profondità il sistema globale del gas, renderlo più flessibile e sicuro, e favorire la formazione di un mercato del gas con un significativo grado di integrazione a livellomondiale. Col GNL, un paese importatore,dipende molto meno dal legame rigido, via pipeline, con un numero molto ristretto di fornitori, e può in teoria rifornirsi dovevuole, quando vuole e quanto vuole, purchéci siano gli impianti necessari. Il rovesciodella medaglia, per gli importatori, è che ilGNL conferisce maggior flessibilità e libertàd’azione anche agli esportatori. La soluzione del GNL è obbligata per riforniremercati non raggiungibili con un sistema dipipeline, perché oltremare o troppo lontani. Il sistema GNL ha tre componenti principali:impianti di liquefazione del gas nei paesiesportatori, navi speciali che trasportano il gas liquefatto a bassissima temperatura, e impianti di rigassificazione nei porti d’arrivo,oltre naturalmente alle necessarie reti digasdotti, a monte (dai giacimenti agli impiantidi liquefazione) e a valle (dal porto di arrivoai mercati di consumo). Il tutto richiedeinvestimenti molto elevati, talché il GNL si è sviluppato lentamente, a partire dall’iniziodegli anni Sessanta, rimanendo a lungo unanicchia di mercato per approvvigionamentimolto speciali (come nel caso del Giappone,che non ha altro modo di rifornirsi di gasnaturale) e sulla base di contratti di fornituradi 15-25 anni. Uno dei primi impianti di liquefazione fu costruito nel 1964 dallaShell ad Arzew, in Algeria. La prima navemetaniera, costruita nel 1959, la “MethanePioneer”, era una nave cargo trasformata,mentre la prima metaniera vera e propria, la “Methane Princess” entrò in servizio nel1964 e operò fino al 1998.

Negli ultimi vent’anni i costi unitari di liquefazione e rigassificazione sono scesi drasticamente, e il costo delle metaniere, pur restando molto più elevato delle normalipetroliere, si è quasi dimezzato rispetto a dieci anni fa. Così, il sistema del GNL ha cominciato ad espandersi rapidamente.Oggi, le grandi compagnie petrolifere investonomiliardi di dollari in programmi GNL inAfrica, Australia, Qatar, Qatar, Iran, Asia. La produzione, e il commercio, di GNL

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passerà da 130 milioni di tonnellate nel 2004a 375 milioni nel 2015. All’inizio del 2006,erano in funzione 18 complessi di liquefazione,con una capacità complessiva di 180 milionidi tonnellate all’anno, in 13 paesi produttori,e vi erano numerosi altri impianti in costruzione o in progetto, con entrata in servizio prevista tra la fine del 2006 e il2010, in Angola, Guinea Equatoriale, Perù,Russia, Norvegia, Yemen. Dall’altra partedella “catena”, erano operativi 37 complessidi rigassificazione, di cui 11 in Europa (compresa Turchia), mentre numerosi altriimpianti erano in programma o in corso di realizzazione, tra cui più di 20 in Europa,anche qui compresa la Turchia. A fine marzo2006, la flotta mondiale di metaniere era di 199 navi, e le previsioni per il 2010 eranodi 300 unità. Anche questo è un settore inespansione. Le metaniere sono navi moltodifficili da progettare e costruire e richiedonotecnologie molto avanzate. Fino a pochi annifa, c’erano solo otto cantieri al mondo capacidi costruirle, di cui solo due in Europa, e glialtri in Giap-pone e Corea del Sud. Ora, tra i costruttori vi è la Cina, e prossi-mamente ci saranno anche India e Polonia.In genere, le metaniere sono dedicate a specifici contratti di fornitura a lungo termine.Ora, però, aumentano le unità “non dedicate”,il che segnala un’incipiente trasformazionedecisiva della struttura stessa del mercatomondiale del GNL. Le navi non dedicatedanno flessibilità al sistema del GNL con-sentendo lo sviluppo di un mercato a breve, e persino di un mercato “spot”, il che eraquasi impensabile ancora non molto tempo fa.Questa evoluzione è possibile non solo perchéci sono più navi e a costi inferiori, ma ancheperché aumentano sia gli esportatori di GNLsia gli importatori. Il GNL sarà sempre menoun prodotto limitato ad serie di “nicchie” di mercato per ricchi operatori, e tra loroseparate, e diventerà sempre più una commo-dity energetica quasi “normale”, competitivacol gas naturale e, in futuro, forse anche colpetrolio. Un sistema GNL flessibile significheràun nuovo comparto energetico effettivamenteglobale, con implicazioni di vasta portata.Il trasporto del gas sotto forma di GNL è un sistema costoso, assai più del trasportodel petrolio o del carbone via mare, o dellostesso gas naturale tramite gasdotti. Ma su distanze molto lunghe il GNL puòessere competitivo con i gasdotti. In alcunicasi può essere preferibile al gasdotto a causa

di rischi politici e di elevate tariffe di transitolungo il tragitto del gasdotto stesso. E non ha alternative per rifornimenti oltremare. D’altra parte, in certe situazioni, le nuove tecnologie per gasdotti in acque profonde,sviluppate dall’italiana Snam e dalla russaGazprom per il gasdotto Blue Stream, possono essere competitive col GNL.

In Italia vi è, per ora, un solo impianto dirigassificazione, a Panigaglia, nel golfo di La Spezia, costruito da Snamprogetti tra il1967 e il 1970 e successivamente rinnovato e ammodernato. Lo scorso novembre, l’ENIannunciò che entro un paio di mesi avrebbepresentato il progetto per un altro impianto, o forse due. All’inizio del 2006 vi erano progetti o proposte per 10-11 rigassificatori,onshore e offshore, per fare dell’Italia un“hub” metaniero del Mediterraneo: una strategia interessante, ma anche rischiosa, che potrebbe fallire per errori di previsione o di calcolo economico, o per cambiamentidelle strategie europee, come già fallì, a suotempo, l’idea di fare dell’Italia la “raffineriad’Europa”. Questi possibili rischi riguardanoeventuali specifiche scelte dell’Italia quanto al numero di impianti e al ruolo che l’Italia potrebbe svolgere per gli approv-vigionamenti europei, ma non l’opzione delGNL in generale. In effetti, quella del GNL si pone ora, perl’Italia e per l’Europa, come una strategiaprobabilmente indispensabile in vista dellaprossima “era del gas”, per diversificare il più possibile le fonti di approvvigionamentoe ridurre i notevoli rischi commerciali, economici e strategici, di una dipendenza crescente in termini di quantità, e concentratasu due soli, grandi fornitori. Grazie al GNL, il mercato del gas, da regionale diventa globale, e gli approvvigionamenti diventanoassai più flessibili. L’UE potrà approvvigionarsiin Qatar, e altri produttori del Golfo, in Africa, in America Latina e, se del caso,anche Australia.

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Organizzata con il sostegnodella BancaRegionaleEuropea, ha inaugurato la nuova Sala del collezionistaallestita pressoil museo

LA MOSTRA DELLECOLLEZIONI LIECHTENSTEINAL POLDI PEZZOLI

DI ANNALISA ZANNI

La collezione dei Principi del Liechtenstein è senz’altro una delle più importanti al mondo,ma fino a pochi anni fa era quasi sconosciutaal grande pubblico. In effetti le raccolteLiechtenstein erano state aperte al pubbliconel palazzo di Rossau (Vienna) dal 1807 finoal 1938, anno del trasferimento della famigliaa Vaduz; solo nel 1985 erano state presentatein una importante, ricca mostra presso il Metropolitan Museum di New York. Nel 2004 il Palazzo di Rossau è stato riaperto,presentando parte delle collezioni storicheaccanto alle nuove acquisizioni volute dai dueultimi sovrani, Franz Joseph II e Hans Adam II.È quindi per il Poldi Pezzoli motivo di compiacimento essere stato scelto quale sedeitaliana della presentazione delle raccolte e di avere con questa importante mostra internazionale inaugurato la nuova Sala delcollezionista, nella quale verranno presentatenei prossimi anni importanti collezioni privatemilanesi e lombarde mai esposte al pubblico. Partner unico di questa esposizione, che haavuto un grande successo di pubblico e critica,è stato Banca Regionale Europea, che ha scelto anche nel 2006 di affiancare il PoldiPezzoli nella sua attività espositiva, confer-mando il suo fondamentale e continuativoappoggio di questi ultimi anni.

LA STORIA DELLA FAMIGLIA La casata del Liechtenstein è una delle piùantiche dinastie europee e deve il suo nome al Castello Liechtenstein, situato a sud diVienna, di proprietà della famiglia già nel XII secolo. La storia di questa casata é stataprofondamente segnata dalle vicende bellichedel XX secolo ma forse non è a tutti nota la nascita “politica” di questa dinastia, che è avvenuta nel corso del Seicento. Fedeli agli Asburgo anche militarmente durante la Guerra dei Trent’anni, i Liechtenstein si convertirono al cattolicesimo e ricevettero il titolo ereditario di principe imperiale e nuoviterritori in Boemia e Moravia (oggi RepubblicaCeca). Per avere diritto ad un seggio nelgoverno del Sacro Romano Impero, nel 1699il principe Johann Adam acquistò il dominiodi Schellenberg e nel 1712 la contea di Vaduz.

Nel 1719, per decreto di Carlo VI le dueContee diventarono un principato con il nomedi Liechtenstein. Il Principato divenne unostato sovrano nel 1806, con la disgregazionedell’Impero. Durante la Seconda GuerraMondiale, i Liechtenstein persero tutti i possedimenti in Austria e Cecoslovacchia e si ritirarono a Vaduz, che nel conflitto rimase neutrale. Le enormi perdite del dopoguerra furono progressivamente compensate dalla fortissima crescita economicadel Liechtenstein, che attualmente è uno dei più ricchi stati del mondo.

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A sinistra: Anthonis van Dyck,ritratto di JohannVIII, conte di Nassau-Siegen(1626-1627)

Sopra:Anthonis van Dyck,ritratto di Maria Luisa de Tassis(1629-1630 circa)

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IL COLLEZIONISMO DEI PRINCIPIIl primo collezionista della famiglia fu GeorgIII von Liechtenstein (ca. 1360–1419), vescovodi Trento che nel 1412 ricevette la dignità di principe imperiale. In un inventario dei suoi beni redatto nel 1410 sono elencati manoscritti miniati e numerosi oggetti d’artedecorativa tra cui oreficerie, argenterie, preziose vesti e paramenti. Nel corso della storia di quattro secoli di collezionismo, particolarmente importanti si sono rivelate alcune figure di principi: nel XVI secolo il principe Hartmann vonLiechtenstein (1544-1585) possedeva quadried arazzi e arricchì la dinastia con importantiraccolte di testi rari, tuttora conservati. Appassionato e raffinato collezionista fu sicuramente il primo principe della famiglia,Karl I (1569-1627). Estremamente colto, nel 1599 divenne Gran Maggiordomo a Pragadell’imperatore Rodolfo II (1552-1612), chenel 1608 gli concesse la dignità principesca

ereditaria, per essere infine nominato viceré di Boemia, sotto l’imperatore Ferdinando II(1578-1637). Karl possedeva nella sua residenza praghese una notevole raccolta di dipinti e oggetti degni di una Kunstkammere, nella sua residenza principale nella Moraviadel sud (oggi Repub-blica Ceca), una Cameradegli argenti con novecento pezzi e anchearazzi e tappeti, mobili preziosi, oreficerie,vasi di pietra intagliata e ben ottantré dipinti.Importante committente per un’ampia cerchiadi orafi, gioiellieri e intagliatori di gemmeanche italiani che lavoravano per lui, Karlaveva un debole per le pietre e i metalli preziosi, come testimoniano i commessi dipietre dure, una cassapanca con modanaturedi bronzo dorato, per la quale Ottavio Miseroni(1567-1624) percepì a Praga un compenso di1134 fiorini, ed un ripiano di tavolo eseguitoquasi contemporaneamente (1620–1623) nell’opificio dei Castrucci.

Sopra:Peter Paul RubensMarte e Rea Silvia(1616-1617 circa)

A destra: Antonio Susini,Nesso rapisceDeianira(1600 circa)

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sede del maggiorascato, dove, nella galleria al secondo piano, il principe Johann AdamAndreas poté presentare per la prima volta i suoi tesori, quasi tutti precedentementecustoditi nel castello di Feldsberg, in un degnoallestimento, un vero e proprio tempio dellemuse. Fra di essi vi erano tredici opere diRubens (di cui alcune furono vendute tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento alla National Gallery di Ottawae di Washington) e numerosissimi bronzi fiorentini, fra cui le repliche dagli originali di epoca classica del Fauno e della VenereMedici degli Uffizi, da lui commissionate a Massimiliano Soldani-Benzi. Fra il 1693 ed il 1697, dopo lunghe contrattazioni, il principe riuscì ad aggiudicarsi da Genova il ciclo rubensiano di Decio Mure, che eraallora attribuito a Van Dyck, a quei tempiancora più stimato di Rubens. Al principeJohann Andreas si deve inoltre l’acquisizionedella maggior parte dei dipinti di Van Dyck:

il ritratto di Maria de Tassis,acquisito nel 1710, è tuttora uno dei ritratti più famosi dellaraccolta Liechtenstein ed è statauna delle opere più amate dellamostra. La famiglia De Tassis,originaria di Bergamo, alla finedel Quattrocento istituì il primosistema postale in Europa, chenel Seicento si diffuse in tutto il continente. Il padre della giovane, Antonio De Tassis, rimasto vedovo, si stabilì adAnversa dove nel 1629 divennecanonico della cattedrale; fu tral’altro uno dei maggiori intenditorid’arte e collezionisti delle Fiandre.L’abito della giovane figlia Mariasegue i dettami dell’ultima modaparigina dell’epoca: lo rivelano il grande collare di pizzo rialzatoe le ampie maniche legate danastri a creare rigonfiamenti(gozzi). Lo sfarzo delle vesti è accentuato dal ventaglio dipiume di struzzo, dalle perle e dalle preziose croci da petto.Le pennellate liquide, evidentinelle delicate tonalità dellapelle, delle perle opalescenti e delle tenui variazioni nellalucentezza delle maniche di raso contribuiscono a dar vita al ritratto.

Suo figlio Karl Eusebius von Liechtenstein(1611–1684) si diede ad ampliare sistematica-mente l’opera intrapresa dal padre: più volteegli indicava ai suoi discendenti di impiegareil denaro per costruire “bei monumenti…ad eterna e immortale memoria”. Grande fu l’interesse da lui rivolto alla pitturae alla scultura italiane, ai dipinti di Rubens(per la chiesa parrocchiale di Feldsberg egliacquistò già prima del 1643 la monumentaleAscensione dell’artista) e ai bronzi fiorentini. Il figlio di Karl Eusebius, Johann AdamAndreas I von Liechtenstein (1662–1712),approfittando del momento storico propizio(nel 1683 i Turchi erano appena stati scacciatida Vienna quando egli iniziò ad acquistareterreni per edificare il suo palazzo estivo), potéfar costruire innumerevoli castelli decorati e arredati sotto la sua regìa, divenendo così ilmaggior committente di opere architettonichebarocche dell’Europa centrale. A lui si deve la creazione del magnifico palazzo in Bankgasse,

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Dello stesso artista è stato presentato nellamostra un altro importante ritratto: quello del principe Giovanni VIII, conte di Nassau-Siegen (1583–1638), condottiero al servizio di Emanuele di Savoia, di Maria de’ Medici e poi degli spagnoli e dell’imperatore. Tra i membri della famiglia dediti al collezio-nismo di opere, che spesso si scambiavano tradi loro, di grande rilievo fu la figura di JosephWenzel von Liechtenstein, che riuscì a riunireun’importante raccolta di dipinti, tra cui unosplendido Ercole al bivio di Pompeo GirolamoBatoni (1708–1787), che riprende un dipintodi Annibale Carracci del 1596 conservato al

Museo di Capodimonte a Napoli. Il tema di Ercole al bivio godette di grande popolaritànel Seicento e nel Settecento, tanto che lo stessoBatoni lo affrontò numerose volte. Nel dipintodel Liechtenstein Museum, realizzato nel 1748,la figura del Vizio, personificazione di un’ideaastratta, è stata resa in modo straordinaria-mente seducente. Durante il suo soggiornoparigino come ambasciatore (1737-1741),Joseph Wenzel commissionò due suoi splendidiritratti a Hyacinthe Rigaud (1659-1743), il più celebre ritrattista di Parigi autore anchedi un ritratto del Re Sole e acquistò quattrodipinti di Jean-Baptiste-Simeon de Chardin

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(1699–1779) che furono venduti nel Secondodopoguerra quando il principato attraversòmomenti davvero difficili. Interessante anche da un punto di vista storico-documentario sonodue vedute di Rossau del 1759 commissionatea Bernardo Bellotto (1722-1780), che dannoimportanti informazioni sull’aspetto che avevanoall’epoca il palazzo e il parco. Il principeapprezzava anche la scultura bronzea, arte cuisi sentiva legato in quanto capo dell’artiglieriaaustriaca e quindi delle fonderie imperiali: tra suoi più famosi acquisti va ricordata la statua equestre di Ferdinando I de’Medici del Giambologna (1529–1608).

Nel 1767, nel primo catalogo a stampa dellagalleria del maggiorascato, vi erano elencaticinquecentouno dipinti e centottantasei sculturementre, alla morte del principe Alois Josef I(1759–1805), la pinacoteca ormai unificata comprendeva (dopo due vendite all’asta da lui realizzate nel 1799 e nel 1800) ottocento dipinti, trecentosei dei quali erano stati acquistati dallo stesso Alois Josef poco prima della morte. Anche durante il suo regno, la galleria fu sottoposta a costanti trasformazioni e si ampliò notevolmente grazie alle sue commissioni a diversi artisti, tra cui Antonio Canova (1755-1822). Si deve invece al nuovo principe Johann Josef I (1760-1836) il trasfe-rimento delle collezioni nel “palazzo in villa” a Rossau(1807-1810), dove si scelse un allestimento che utilizzava per i dipinti quasi ogni centimentro quadrato di parete: in effetti ben settecentoundici dipinti furono acquistati dal principe nel corso del suo maggiorascato e quindialla sua morte la pinacoteca com-prendeva milleseicentotredici quadri.I principi del Liechtenstein ebbero con alcuni artisti una collaborazione particolarmente intensa testimoniata, come nel caso di Friedrich von Amerling(1803-1887), dai tanti ritratti della collezione, soprattutto i ritratti infantili di carattere privato. Nella mostra è stato presentato uno splendido dipintoeseguito dall’artista intorno al 1835 ed acquistato dall’attuale principe nel 2003: Lo sguardo trasognato. La modella è forse Elise Kreuzberger, ritratta numerose volte dall’artista, che amava ripetere lo stesso soggetto per studiarne più a fondo il carattere. Lo sguardo sognante della giovane

si accompagna al realismo del velo trasparentetrattenuto dalla mano e del taglio delle paginedel libro, aperte a ventaglio. Amerling, espo-nente di spicco della cultura Biedermeier, tennecontatti con l’Accademia di Brera a Milano efu molto amico di Francesco Hayez di cui lamostra ha presentato un suntuoso dipinto,anch’esso recente acquisto del principe HansAdam II. La grande tela, esposta a Brera nel 1851, si ispira ad una romanza di AndreaMaffei, poeta e amico di Hayez, che fu poiripresa da Camillo Boito nel suo racconto“Senso” cui si ispirò Luchino Visconti per il suo famosissimo film. Il consiglio alla ven-detta ritrae Rachele, che indossa la maschera, mentre suggerisce a Maria di vendicarsi dell’amante che l’ha tradita. Il volto altero,muto e pensoso della giovane donna rivela la decisione ormai presa, che condurrà il giovane al patibolo. Amerling collaborò infine,insieme a Jacob von Falke (1825-1897), alla riorganizzazione della galleria, voluta dal successore di Johann Josef I, il principeJohannes II (1840-1929). Gli interessi di questoultimo ben rappresentano la cultura dellaseconda metà dell’Ottocento: egli amava infattisoprattutto l’arte del Trecento, Quattrocento edel primo Cinquecento, e i primitivi fiamminghi,nonché la scultura contemporanea. Ma lo appassionavano anche i maestri venezianisettecenteschi e la pittura dell’Ottocento. Loaffiancò in questo suo percorso l’insigne storicodell’arte berlinese Wilhelm von Bode (1845-1929), che fu anche l’autore del primo catalogoillustrato della galleria, nel 1896. La galleriavenne riallestita secondo il gusto dell’epoca,mescolando mobili, arazzi, manufatti di artiminori, scultura e pittura e assumendo quindiun’atmosfera più accogliente. L’affinità con la formazione e le caratteristiche della collezionedi Gian Giacomo Poldi Pezzoli, creata in quellostesso periodo, è evidente e ha guidato la sceltadelle opere Liechtenstein per questa mostra -curata da Johann Kraeftner e Lavinia GalliMichero e presentata dal 28 settembre al 17dicembre 2006 - che ha privilegiato il tema del ritratto e il rapporto con l’arte classicanella pittura e nella bronzistica. Johann II procedette inoltre al restauro e riallestimento di innumerevoli castelli di famiglia, tra i quali l’avita fortezza Liechtensteinsituata a sud di Vienna e il castello di Vaduz,allora in rovina, che rese possibile l’emigrazionedella famiglia da Vienna nel 1938, in conseguenza dell’Anschluss. Il principe Franz Josef II von und zu Liechtenstein(1906-1989) fu pertanto il primo a spostare daVienna e dalla Moravia il baricentro dei propriinteressi verso la capitale del Liechtenstein.

A sinistra:HyacintheRigaud,ritrattodel principeJosef Wenzel vonLiechtensteincon le insegne dell’Ordinedel Toson d’Oro(1740)

Sotto: AndreaMantegnaattribuito a,Marsia/SanSebastiano(1490-1500circa)

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Nel 1945, durante le ultime settimane delconflitto, anche le collezioni d’arte vennerotrasferite dalla sede originaria al castello diVaduz: da allora Vaduz è divenuta sede dellecollezioni principesche. La perdita di gran parte del patrimonio dopo la Seconda guerramondiale fu motivo della vendita di importantiopere d’arte, tra le quali il famosissimo ritrattodi Ginevra de’ Benci di Leonardo, acquistatodalla National Gallery di Washington, primache l’attuale principe regnante Hans-Adam IIvon und zu Liechtenstein (nato nel 1945)potesse riassestare la situazione economica. Dopo questa riorganizzazione completa deisettori economici in varie fondazioni, dallametà degli anni Settanta in poi è ripresa unaattiva politica di collezionismo e proprio negliultimi tempi sono stati acquistati importantiopere. Questa nuova fase è stata inauguratanel 1977 con l’acquisto di Marte e Rea Silvia,bozzetto rubensiano del quale il MuseoLiechtenstein possiede la tela dal 1710.L’opera testimonia la passione di Rubens per il mondo antico e, insieme, l’importanzadello studio della numismatica nel Seicento,

come rivela la posizione della Vestale seduta.Tra le numerose acquisizioni successive sonostati presentati nella mostra il gruppo scultoreodi Antonio Susini ispirato al GiambolognaNesso rapisce Deianira, che si è affiancato al regale busto di giovane, forse AlessandroMagno, spettacolare ritratto colto, che riprendemotivi classici e fonti letterarie, opera realiz-zata intorno al 1522 dall’artista mantovanoPier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico; al prezioso bronzetto dorato attribuito adAndrea Mantegna che rappresenta un uomolegato ad un albero identificato sia con Marsiache con San Sebastiano e probabilmente realizzato con la collaborazione dell’orafomantovano Gian Marco Cavalli tra il 1490 e il 1500. La recente politica di acquistiè riuscita ad ampliare le raccolte di sculturafiorentina barocca e tardo-barocca, la raccoltadi pietre dure nonché le collezioni di epocaBiedermeier arricchendole di importanti dipinti,porcellane e grafiche, proseguendo cosìdegnamente la storia secolare di una delle più importanti collezioni private del mondo.

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A sinistra: Pier Jacopo Alari-Bonacolsi detto l’Antico, busto di un giovane (Alessandro Magno?) (1522 circa)

Francesco Hayez,Il consiglio alla vendetta(1851)

Sopra:Friedrich von Amerling,Lo sguardo trasognato(1835 circa)

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Il Museo Diocesano di Milano ha celebrato i primicinque anni di attività attraversodue mostre, chehanno destato un vivo successo di pubblico e di critica.La prima ha pertitolo “La Pietàdimenticatadi Van Gogh - Duepietà a confronto”.È l’unica opera disoggetto religiosodi Van Gogh,dipinta nel 1889,quando il pittore si trovava nell’ospedaledi Saint Rémy, e viene esposta a confronto con laPietà di Delacroix,suo modello. La seconda, “Il vangelo di Aldo Carpi”, presenta un ciclodi 29 vetrate raffigurantiepisodi dellaVergine e di Cristo,provenienti dallaChiesa di SantaMaria del Cenacolodi Milano. Le due mostresono state organizzate con il sostegno dellaBanca RegionaleEuropea.

I CINQUE ANNI DEL MUSEODIOCESANO DI MILANODUE GRANDI MOSTRE: LA PIETÀ DIMENTICATA DI VAN GOGH, IL VANGELO DI ALDO CARPI

DI PAOLO BISCOTTINIDIRETTORE DEL MUSEO DIOCESANO DI MILANO

Il quinquennale dell’inaugurazione del MuseoDiocesano, avvenuta nel novembre del 2001,ha offerto l’occasione di riflettere sul ruoloche l’istituzione ha avuto nel corso di questianni, in cui si sono svolte molte e importantiiniziative, e su quello che può avere riguardoad un futuro che, a celebrazioni chiuse, è già qui, nei progetti e nel dibattito che si è aperto. Gli interventi del Sindaco LetiziaMoratti, del Presidente della Regione Lombardia,Roberto Formigoni, dell’assessore alla CulturaVittorio Sgarbi, hanno tutti messo in risaltonon solo l’eccellenza raggiunta, ma anche la progettualità in essere circa la ricostruzionedel quarto lato del Chiostro, interamentedistrutto dai bombardamenti del 1943. D’altro lato gli interventi del Cardinale Dionigi Tettamanzi, di S.Ecc .Mons Piacenza,Presidente della Pontificia Commissione di Arte Sacra e di Mons. Luigi Crivelli,Presidente della Fondazione Sant’Ambrogio,hanno voluto sottolineare il ruolo pastoraledel Museo e la sua vocazione ad essere strumento di rappresentazione del sacro, nellapreziosa formula per visibilia ad invisibilia. In questo senso ci sentiamo chiamati ad evidenziare sempre più l’identità di un Museoche non potendo ormai disattendere il proprioimpegno anche nei confronti del secolo che si è appena concluso e di quello nuovo, pure si sente fortemente interrogato propriosul senso del suo fare. Dove stiamo andando e quale orizzonte è innanzi al nostro sguardo?Certamente la domanda implica una riflessionelunga, che non si può esaurire in queste pocheparole. Possiamo però dire con convinzioneche sempre di più il Museo vuole proporsicome il luogo in cui l’opera d’arte offra al visitatore quell’occasione per meditare e quellospazio silenzioso che la nostra quotidianitàcerca di censurare. Questo tentativo ci ha ispirato nel tempo e continuerà ad essere alcentro dei nostri progetti. Il Museo Diocesanoguarda lontano e crede che i temi della contemporaneità debbano lambire le sue iniziative, anche quando esse sono rivolte ad argomenti lontani dall’oggi, perchè il presente con la sua a volte scandalosaviolenza, ci provoca costantemente e ci richiama a nuovi linguaggi e a nuove fatiche.

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Vetrata di Aldo Carpi, dalla Chiesa di Santa Maria del Cenacolo di Milano

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L’analisi del tessuto pittorico delle vetratedella Chiesa di Santa Maria del Cenacoloconsente di verificare quanto detto e di cogliereinnanzi tutto nello svolgersi della narrazioneuna marca di lieve, ma indubbia improntaespressionistica, che da subito sposta l’atten-zione alla dimensione europea della pittura.Ma è nei brani, nei dettagli e per così direnel fraseggio di tale tessuto che è dato cogliereil senso di un percorso che liberamente, ma coerentemente, riflette esperienze diverse,da Cézanne a Picasso e, suo tramite, alla sensibilità cromatica che da El Greco trapassanelle Demoiselles, percepibile sin dalla primavetrata raffigurante l’Annunciazione, nel lembopiù chiaro della veste di Maria, che sullo sfondosi avvia verso Elisabetta (in collegamentodinamico con la vetrata successiva).Analogamente nello stesso ritmo narrativo è lecito avvertire il rapporto con Corrente,che evidenzia una presa di posizione alternativanei confronti del dogmatismo formale delNovecento, in accordo con una nuova forma dilibertà espressiva che dal post-impressionismocreato da Ensor e Van Gogh giunge fino agli espressionisti tedeschi e ai Fauves.

Così in questo tentativo, si giustifica la preziosamostra dedicata alle vetrate di Carpi provenientidalla soppressa chiesa del Cenacolo in viaGabba a Milano e realizzate dal grande artistanella seconda metà degli anni Cinquantaquando, finalmente rientrato a Milano dopoGusen, ritorna alla famiglia, alla pittura, allaAccademia, alla vita e, quindi, al senso profondoe spirituale che è in essa. Le guerre, il campo di concentramento, costituiscono certamente lo sfondo dolorosodell’esistenza di Carpi che, in ogni caso, riesce a non farsi distruggere dal dolore, riemergendone con nuovo vigore, recuperatoproprio nella fiducia consapevole nelle forzedella vita e più intrinsecamente nel suo sensoreligioso. A ciò ci riconducono queste vetratecon le Storie di Gesù e di Maria, in cui tuttopare ricomporsi in una visione serenatrice,che tenta una coraggiosa mediazione fra i diversi tempi della narrazione, fra lo spazioesterno alla chiesa e quello interno, fra un passato lontano ed un presente vivo e bruciante. Quello di Carpi, ma anche quello di ogni uomo che, nella chiesa, sappia scoprire,nel nastro delle vetrate, l’orizzonte della propria vita. E non sarà inutile, al proposito,rammentare che si tratta di una chiesa di unordine religioso, di suore che certamente fondano la loro preghiera quotidiana nellameditazione di Cristo e di Maria.Nella chiesa di Santa Maria del Cenacolobastava sollevare lo sguardo per sentirsi immersiin un fascio avvolgente di luce e di colori che emanava dalle vetrate oggi giunte in questoMuseo Diocesano per ricongiungere valoristrettamente religiosi ad altri pertinenti la sferadell’arte, quella di un momento importante dellastoria culturale di Milano e quella personaledi Aldo Carpi, che sviluppa, con propensionenarrativa, valori propri della tradizione pitto-rica lombarda, a partire, sostiene Guido Ballo,dalla stessa Scapigliatura lombarda. Se ciò è in parte vero - si osservi comunqueche la predilezione per “la luce dei grigi” ha il suo tramite in Gola e che la tendenzaalla riduzione del tema a racconto del quoti-diano deriva direttamente dagli epigoni e nondall’avvio del realismo lombardo dell’Ottocento- è altrettanto vero che il riferimento ad unatavolozza tipicamente lombarda andrà, almenoa partire dal secondo dopoguerra in poi, dila-tandosi ed estendendosi nei molteplici contattimilanesi, favoriti senza dubbio anche dallasua postazione di Direttore dell’Accademia di Brera.

Sopra: la Pietà dimenticatadi Van Gogh

A destra, dall’alto:la Pietà di Eugène Delacroix

Vetrata di Aldo Carpi

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In sintonia con gli artisti di Corrente ancheCarpi, e ben lo si rileva nelle vetrate del MuseoDiocesano, avverte la necessità di rompere laretorica ufficiale senza cadere nella genericità.Gli è in questo percorso vicino Renato Birolli,una delle più interessanti personalità di artistadel nostro tempo, che testimonia l'intensosforzo di sprovincializzazione compiuto dalla pittura italiana nella prima metà delNovecento. Nelle figure di Birolli e di Carpi,pur nei diversi ambiti, si rispecchia, insomma,tutto intero lo sforzo della cultura italiana di adeguarsi ai più avanzati modelli europei,fino all’apertura alle forme più innovativenella seconda metà degli anni Cinquanta,quando Carpi realizza le vetrate della Chiesadi Santa Maria del Cenacolo. Il riferimento all’arte Informale e quindi alla tendenza verso un nuovo modo di creareimmagini senza il ricorso alle forme ricono-scibili precedentemente usate, ci consente di rileggere brani della pittura delle vetratericonoscendo rapporti importanti (da Burri a Morlotti) e soprattutto lo sforzo di abbando-nare qualsiasi pregiudizio formale per scoprireun nuovo linguaggio artistico, spesso carat-terizzato da libere pennellate e densi strati di colore. Una libertà che ben corrispondeallo stato d’animo di un artista che esce dal tunnel della guerra e del campo di concentramento e si addentra nei percorsiluminosi della nuova pittura e della rinnovataadesione alla vita.

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Esposta a Tortona,in una mostrasostenuta dallaBanca RegionaleEuropea e dalGruppo BancaLombardae Piemontese,un’ampiarassegna delleopere di duegrandi interpretidella pittura milanese di metàOttocento

IL “NOBILE QUOTIDIANO” DEI FRATELLI INDUNO

DI FABRIZIO GARDINALI

Una bambina, dagli abiti popolani, ma puliti e dignitosi, bussa, con il batacchio, ad un portoncino di legno, in male arnese, di unacasa che doveva aver visto stagioni migliori.Non è una catapecchia, come dimostrano l’arcoin pietre ben strutturato, il bassorilievo sul latosinistro è solo logorato dal tempo e dal volgeredelle sorti dei suoi abitanti. La ragazzina è ben pettinata, all’orecchio ha un anellino d’oro,volge lo sguardo ai suoi piedi. Sulla soglia giace il corpo senza vita di un soldato. La mano abbandonata accanto al fucile; unrivolo di sangue si allarga, sotto la sua spalla,sul selciato dissestato. Nella bambina non vi è paura né sorpresa. L’atteggiamento, con gliocchi dalle palpebre leggermente abbassate, è di osservazione un po’ distaccata, quasi lievemente seccata da quell’ingombro propriosulla porta di casa: è l’aspetto non di una infante, ma già di una donna, e pure che havisto tante cose, forse troppe, e che, comunque,ha imparato presto a comprendere che la vita e la morte camminano assieme e l’unica soluzione, per andare avanti, è accettarle con muto fatalismo. Si tratta di “Il soldato morto”, un olio su teladel 1854 di Gerolamo Induno, una delle 61tele della bella mostra “Domenico e GerolamoInduno. La storia e la cronaca scritte con il pennello”, ospitata a Palazzo Guidobono di Tortona fino al 7 gennaio 2007.L’evento, realizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio della cittadina dell’alessandrino,in collaborazione con l’Istituto Matteucci diViareggio, e curata da Giuliano Matteucci, rappresenta un appuntamento importante e un “ritorno” di rilievo. Era da molti decenniche non si presentava al pubblico un cosìampio insieme di opere dei due fratelli Induno,fra i principali interpreti della pittura milanesedi metà Ottocento. Per la precisione da una antologica alla Biennaledi Venezia del 1922 e da una retrospettiva al Castello Sforzesco di Milano del 1933, i due artisti lombardi non ebbero più, finora,esposizioni dedicate esclusivamente a loro.Anche se, nonostante una certa “distrazione”della critica, nei quadri rendono uno spaccatosignificativo, sovente originale, sicuramentepartecipato della vita loro contemporanea,osservata sotto molteplici punti di vista.

Le opere sono state disposte secondo un criteriotematico, in nove sezioni, ognuna abbinata a uno scritto di commento, tratto, per lo più,dalle “Gemme d’Arte Italiana”, pubblicazione di critica dell’epoca, che ripercorrono l’itinerariocreativo dei due pittori milanesi, evidenziandogli argomenti che furono oggetto dei loro interessi. Si tratta di quadri sovente provenientida collezioni private o da alcune istituzionibancarie e museali, come Brera, Palazzo Pitti,Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi.Si alternano opere note, come “L’imbarco aGenova del Generale Garibaldi”, ad altre menoconosciute, come “Ritratto di Aleardo Aleardi”o il “Garibaldi al Vascello. Roma”. Una piccolatela del 1849, carica di fascino sia espressivosia per tecnica usata, di Gerolamo, che ha la particolarità di una dedica, in basso: “G.mo Induno all’amico carissimo/ e commi-litone Enrico Guastalla/ 1885”, fatta a quasiquarantanni di distanza. E’ una testimonianzadella movimentata vita dell’autore, che preseparte a quell’episodio risorgimentale, della difesadi Roma, dove fu gravemente ferito, al casino

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A sinistra:Gerolamo Induno,Il soldato morto1854

Sopra:Domenico Induno,Un pensiero a Garibaldi1863

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Barberini, e, secondo la leggenda, fu proprio il Guastalla, eroico combattente, a portarlo insalvo. E’ una piccola, ma significativa, paginadi un legame umano e anche ideale durato nel tempo. O l’inedito “Ascoltando la notizia”,non datato: un prezioso e particolareggiatointerno, dove un gruppo di donne è radunatoattorno ad una di loro intenta a leggere le notizie del giorno, davanti ad una finestra dalla quale si intravede uno scorcio di Roma.Sono esempi di quella pittura, a volte un po’frettolosamente, dalla critica liquidata con la definizione “di genere”, sottintendendo una sua intrinseca “facilità”, ma che, in realtà, è interpretata dai fratelli Induno in modo originale, forse più vicino al concetto delBiedermaier, dove vi è il senso di ripiegamentointimistico, legato a valori “privati” e all’anelitodi una società stabile.

Ma nei due fratelli, specie in Domenico chepiù la praticò, la pittura che mette in scena il mondo del quotidiano, anche degli umili,però fino ad un certo punto, non ha un valorepietistico e, anche se vi è una certa morale, è temprata da una vena di ironia che le toglieogni aspetto edificante. Gli interni sono modesti, ma non mancano, qua e là, mobili,oggetti, abiti che parlano di un certo gusto, piccoli accenni di benessere, magari passato.Non si raffigurano, insomma, i “pezzenti”, al limite i “poveri vergognosi”, quelli che levicende umane hanno condotto ad una vita di indigenza, da una precedente più degna.Dentro queste tele vi sono moltissimi richiamiculturali, anche preziosi. Sicuramente adHayez, che, in un certo senso, fu “maestro” ad entrambi, ma anche all’arte del Settecentoveneto, dal Piazzetta al Tiepolo, a rimandi al Caravaggio per l’uso della luce e delle ombre,e ai Fiamminghi del Seicento, nella ricostru-zione particolareggiata degli interni, nellacaratterizzazione dei personaggi e nell’uso di alcuni “trucchi”, quali gli specchi nei qualisi riflettono le immagini o i quadri nei quadri.Anche Gerolamo, il più giovane, era nato nel1825, mentre Domenico, che lo aveva avviatoalla pittura era del 1815, che fu il “cronista”delle battaglia per l’Unità nazionale, in particolare le avventure di Garibaldi e la guerradi Crimea, alle quali prese parte di persona, è scevro dalle tentazioni della “pittura di storia”.Non vi è retorica in esse, bensì la raffigurazionedel sacrificio e della durezza dello scontro bellico, della vita militare, aspra e feroce anche quando ad animarla vi è un ideale “forte”e condiviso in pieno. Si ipotizzo una sorta di“scuola”, o “atelier”, degli Induno, ma in realtàessi, pur avendo matrici culturali comuni e temiricorrenti in entrambi, seguirono vie diverse.

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In alto a sinistra:Gerolamo Induno,Il salvataggio del cagnolino1865 c.

A sinistra:Gerolamo Induno,Garibaldi alVascello. Roma1849 c.

In alto:Gerolamo Induno,Lo sgombero oL’antiquario1887

A destra:Gerolamo Induno,La cuciniera1854

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Per altro l’arte italiana, dopo la metà del secolo,prese strade più vicine al realismo, spesso di carattere “sociale”, come in Lombardia MosèBianchi, per arrivare allo “sperimentalismo”dei Macchiaioli e, più tardi, ai Divisionisti.Anche se, a ben vedere, nella produzione deidue si scorgono i germi, gli antefatti stilistici e tematici, di ciò che verrà dopo. Si noti, a soloesempio, l’argomento della donna ingannatanell’amore, lasciata per convenienza economicae opportunità sociale, che assiste sconsolata e da lontano al matrimonio dell’uomo amatocon un’altra. Si trova in “Tradita”, del 1866, diGerolamo Induno, ambientato in chiave urbanae borghese, e verrà ripreso di pari, sul pianotematico, collocandolo nel mondo umile ruraledella Pianura Padana, da Pellizza da Volpedo in “Speranze deluse”, di trent’anni successivo.

Gerolamo Induno,L’odalisca1881

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Gerolamo Induno,Tradita!1866

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MENTONE, PERLA D’EUROPADI PIERO DADONE

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Garavan, la prima delle due baie della città di Mentone, per noi italiani che vi arriviamodalla Riviera di Ponente attraverso il ponteSan Lodovico, rappresenta quasi lo spalancarsidi una finestra sui tropici. Fino agli anniNovanta la sensazione era sottolineata daldover esibire i documenti alla frontiera, al di là della quale l’azzurro marino e celeste,palme, limoni, aranci, bouganvillee e ognigenere di piante in fiore anche fuori stagioneci davano la sensazione di sfiorare le meteesotiche dei depliant turistici, ora alla portatadi chiunque, ma per lungo tempo buone soload affollare sogni notturni e a occhi aperti.Naturalmente quell’incanto paradisiaco siesercita soprattutto su chi giunge a Mentonedalla Val Roya o dall’entroterra di Sospel, ma anche arrivando dall’Aurelia, il panoramadell’ampia e soleggiata promenade ReineAstrid appare diverso rispetto ai pur notevolipaesaggi della Riviera italiana. Perché laggiùsole e mare si coniugano nella nostra mentecon un’idea, magari stereotipata, della Francia:l’eleganza, la cultura, la storia, la erre arrotatadella lingua, insomma sembra materializzarsiin quella baia la sintesi di Parigi, Saint Tropez e Martinica. Luoghi che molti italianinon hanno mai visitato e non visiteranno mai nella loro vita, ma che sembra loro di conoscere dopo essere stati a Mentone. Chissà se avevano la stessa sensazione i nostriprogenitori di migliaia di anni fa quando,accucciati nelle caverne dei Balzi Rossi, buttavano lo sguardo sulla baia Garavan in una giornata di sole. Forse quelle erano le “seconde caverne” degli abitanti della Valle delle Meraviglie, che d’estate amavano villeggiare “bord de mer”, ma, indecisi fra est e ovest, si piaz-zavano a metà strada. Invece noi italiani del ventesimo e ventunesimosecolo abbiamo scelto: la “secondacasa” la preferiamo a Mentone e così,quasi in silenzio e con un fare pacifico e amichevole, siamo riuscitinell’intento di italianizzare almeno in parte la città, obiettivo che scia-gurate campagne di nostri governantinel corso dei secoli avevano fortuna-tamente fallito. Perché Mentone, diversamente da Nizza, non è mai stata “piemontese”. Il primo villaggionasce come porto del castello di Puypin nel XIII secolo e la Conven-zione di Aix del 1262 tra Carlo Id’Angiò e la Repubblica di Genova ne riconosce la signoria al nobile genovese Guglielmo Vento.

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Ma i suoi eredi nel 1346 venderanno la signoriaper 16.000 fiorini ai Grimaldi di Monaco, che l’incorporano in quello che poi diverrà la “Principauté”. Un Principato che, in queisecoli percorsi da guerre pressochè quotidiane,è riuscito a difendere la sua indipendenza sottole ali protettive dei potenti di turno: la Spagnadal 1525 al 1641 e la Francia dal 1641 al 1790,quando anche a Monaco e Mentone soffia il vento della Rivoluzione: si caccia il Principee si chiede l’annessione alla Francia del “Terzo stato”. Il Congresso di Vienna nel 1815riporta l’orologio europeo all’Ancien Régime e così i Grimaldi tornano a regnare su Monaco,Mentone e Roquebrune. Finché nel 1848, sottola guida del commerciante di agrumi CarloTrenca, che ha studiato a Torino e guarda alle riforme liberali di Carlo Alberto, questeultime due località si ribellano dichiarandosi“Città libere” sotto la protezione del Regno di Sardegna. Ma la definitiva annessione al Piemonte non va in porto, perché nel 1853Trenca muore e le due città vivono in unimpasse istituzionale fino al 15 aprile del 1860,quando, chiamati a esprimersi in un referendumprevisto dagli accordi tra Cavour e Napoleone III,i mentonesi, con 833 “sì”, 54 “no” e 2 schedenulle, votano per l’annessione alla Francia.La Menton francese coltiva da subito unavocazione prevalentemente turistica, trasforman-dosi man mano anche sul piano urbanistico.Nel 1850 la città contava 8 hotel, 4 pensioni,90 appartamenti affittati a forestieri. Nel 1913,alla vigilia della prima guerra mondiale, hotel e pensioni saranno diventati 62 con 4.500camere, pronte a ospitare, soprattutto durantel’inverno, una clientela proveniente dalla GranBretagna, dalla Russia, da Germania e Austria,dai Balcani.

Il secondo tentativo di annessione l’Italia fascistalo mette in pratica occupando una Mentonequasi completamente deserta il 25 giugno del1940, dopo che Mussolini ha dichiarato guerraalla Francia. I comandi transalpini avevanoprovveduto per tempo a sfollare i mentonesiverso ovest, fin nelle regioni dei Pirenei, per cui l’esercito italiano e le camice nereoccupano una “città morta” e neanche tutta,perché non riescono ad andare più in là dellametà del Golfe du Soleil. Ma si procede subitoal saccheggio delle case e a tal scopo si portano“in gita” a Mentone anche i giovani avanguar-disti liguri, come testimonia il racconto auto-biografico di Italo Calvino “Gli avanguardisti a Mentone”, pubblicato nel 1953 dalla rivista“Nuovi Argomenti”: “…Nei corridoi illuminatida lampadari pareva la fiera: ognuno mostravae vantava il suo bottino e architettava lemaniere migliori per nasconderlo…“Tutto quelche c’è è nostro e nessuno può dirci niente! -proclamò il nostro centurione Bizantini -. Io vi dico questo: che un giovane che si trovaqui oggi e non porta via niente, è un fesso! Sissignore, un fesso! E io mi vergognerei di stringergli la mano!’…”.Nei tre anni di “annessione”, fino al settembre1943, vengono cambiati i nomi a strade, insegne e segnali stradali, si impone la liraquale moneta ufficiale e l’italiano come lingua(Si parla italiano e si saluta romanamente!), le carte d’identità devono menzionare la razzadel titolare, viene tagliata la testa del “coqgaulois” sul monumento di annessione dellacittà alla Francia e tutta un’altra serie dinefandezze per italianizzare forzatamente una città che non ne vuole sapere, nonostantemolti cognomi degli abitanti siano da secoli di chiaro richiamo peninsulare.

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Al punto che Louis Caperan-Moreno, nella sua“Histoire de la population mentonnaise” (1981)parla dell’8 settembre 1943 come della veraliberazione di Mentone, che restò ancora alungo in mano ai tedeschi:“Malgré l’occupationallemande, les Français ont ressenti le départdes Italiens comme une libération”(pag.123).Dopo la fine della guerra naturalmente c’èvoluto un po’ prima che gli italiani venisserovisti di buon occhio in quei paraggi della Côted’Azur. I circa 14.000 mentonesi sopravvissutie tornati in città, 10.000 in meno dei residentinel 1939, nell’aprile del 1952 subiscono anchei gravi danni di un’enorme frana delle collinedel Careï, che sommerge parte della città. Per cui sarà solo negli anni Sessanta chedecollerà definitivamente la rinascita diMentone, tornata nel finale di quel decennio a contare 25.000 residenti fissi. Lentamente la città cresce in tutte le direzioni, al vecchioporto si affianca il nuovo nella Baie Garavan,cresce il numero di hotel e pensioni, ma anchequello dei “batiments” zeppi di “studio” ealloggetti “deux ou trois pièces”, offerti comeinvestimento da seconda casa. E a partiredagli anni Ottanta questi diventano l’oggettoprincipale del desiderio degli italiani, che si sentono chiedere cifre da capogiro percoronare il sogno di un posto letto a Sanremo,Alassio o Borghetto Santo Spirito.

Di là i prezzi sono più ragionevoli e poi si ènientemeno che sulla Costa Azzurra di BrigitteBardot e Grace Kelly, dove si arriva con lasemplice formalità dell’esibizione della cartad’identità, perché ormai siamo tutti “europei”.Comincia così “l’invasione” pacifica, benaccolta, anzi invocata, degli “Italiens”, che tuttora non accenna a diminuire, anche se i prezzi del mattone sono inevitabilmente lievitati a livelli tra i più cari della Côte. Sono soprattutto cuneesi, piemontesi, ma anche milanesi e lombardi a piantare la bandierina di un pied à terre in quella che il geografo Élisée Reclus ha definito “La perle de la France”. La lira vale sempremeno, ma le agenzie immobiliari mentonesi,in centro più numerose di charcuterie, boucherie e boulangerie, non fanno le schizzinose, basta rispettare il cambio delmomento, arrivato a sfiorare anche le 400 lire per un franco. Agli italiani non par verodi aver trovato un forziere in cui profondere i loro malfermi risparmi, (uno “studio” ognianno aumenta di almeno il 10% il propriovalore) e intanto permette loro di trascorrerevacanze e week end nella terra dei vip.

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E magari, con la seconda ondata di risparmiaccumulata anche grazie ai vertiginosi rendimenti a due cifre dei Bot, “farsi” la barcada ormeggiare ben in vista nei porti che imentonesi hanno provveduto immediatamentead allargare. Per cui, con l’approssimarsi del terzo millennio, per indicare un segnodistintivo di qualcuno che si invidia, si ammirao si commisera, si dice “Ha la barca a Mentone”,perchè ormai l’alloggio non distingue più un granchè, visto che ce l’hanno in tanti.

Altro segno di adeguamento dei mentonesi ai gusti degli ospiti sono le spiagge, che unpo’ lungo tutta la Costa Azzurra sono pietrose,libere e con doccia, ma non risultano tra quellepiù gradite dagli italici bagnanti, amanti dellasabbia, l’ombrellone, le sdraio ben allineate,la cabina, il bagnino, il baretto. Et voilà! In tal guisa vengono conciati gli arenili dellaBaie de Garavan, che sono poi anche quellipiù vicini alla frontiera. Ma gli italiani sonointraprendenti anche per parte loro e cono-scono a menadito i bisogni irrinunciabili dei connazionali: un buon caffè, la pizza e la pastasciutta come Dio comanda. Ecco quindi spuntare il “Caffè italiano”, la pizzeria “W la mamma” e altri locali che il turista italico amerebbe trovare anche alleMaldive, nel Borneo e in Groenlandia. Così le insegne nella lingua dantesca si affiancanoa impronte lasciate da altri europei che frequentavano il luogo in epoche precedenti,come gli inglesi, in onore dei quali quasi tutte le piazze si chiamano “square”. La città ora, soprattutto durante i week end e les jours fériés in generale, vede stratificarsila presenza dei suoi residenti stanziali e temporanei, secondo una geometria abbastanzaben definita. Gli stanziali, francesi e immigratidi varia provenienza (per la verità menonumerosi che in altre città transalpine), sono di gran lunga prevalenti lungo le stradeun po’ più distanti dal bord de mer.

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Sotto i mandarini di rue Partouneaux e deiJardins Biovès, al marché nei pressi della gareroutière, nelle zone della Mairie e degli altriuffici istituzionali, scorre la vita normale di unacittà i cui abitanti sono alle prese con le pro-blematiche quotidiane: fare la spesa, andare a scuola, in banca, alla posta, negli uffici, dalmedico, all’ospedale. Sulle spiagge di Garavaninvece prevalgono gli italiani, al punto chespesso la loro è la prima lingua nei conversarisulle sdraio. E quand’è seconda, vuol dire cheal primo posto risultano le varie sfumaturedel dialetto piemontese. Verso sera, abbronzatie luccicanti di creme, gli italici vacanzieriprendono possesso della Promenade du Soleile delle pedonali del centro storico, dove sonoriconoscibili, prima ancora di proferir parola,dalle griffe indossate a seconda della stagione.Pienone che si riscontra anche nella sala delle slot machines del Casinò per cui, a tratti,appare come soddisfatto il ricorrente desideriodi italianizzare Mentone. Anche perché inquelle ore del venerdì e del sabato i francesipaiono essersi trasferiti tutti a Ventimiglia,città dallo charme infinitamente minore, comeanche i suoi prezzi. Sono questi ad attirare i transalpini, durante il mercato del venerdì e al sabato, quando prendono d’assalto banca-relle, negozi di scarpe e liquori, supermercatie hard discount. L’idioma prevalente in quelleore a Ventimiglia è quello di Proust e un marziano poliglotta che scendesse su quellacosta il sabato pomeriggio, avrebbe difficoltà a capire la vera linea di demarcazione tra i due Paesi latini. In quelle ore, a cavallo deiponti di San Ludovico e San Luigi, si realizzaeffettivamente l’osmosi europea agognata dai padri del federalismo. Per assurdo, favorita da alcune scorie deisistemi fiscali pre-Maastricht, come la differentetassazione sugli alcoolici che gonfia il fatturatodelle vinicole di Ventimiglia (numerose comegli “Immo” a Mentone) grazie alle vendite di pastis marsigliese. Intanto che le pharmaciementonesi smerciano le aspirine alla metà del prezzo praticato in Italia. Poi però ladomenica, con i negozi chiusi, Ventimiglia sisvuota dei francesi, mentre Mentone accoglieentrambe e altre ancora nazionalilà, seppureun po’ suddivise per zone, come si dicevadianzi. E non è detto che gli italiani faccianosempre la figura stereotipata di quelli cheamano solo pavoneggiarsi sul lungomare,magari con i vestiti appena comprati ai “saldi”o negli “outlet” di cui è rigonfia la madrepatria.Se ne vedono anche al museo nel Bastion,dedicato a quel nobile figlio adottivo dellacittà che fu il pittore e poeta Jean Cocteau,

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Nata nel 1997, la Camera di Commercio Italianadi Nizza è una libera associazione di impresesenza scopo di lucro riconosciuta dal governo italiano e francese. Essa ha come obiettivo lo sviluppo delle relazioni economiche e culturali tra la Francia, l’Italia e il Principato di Monaco.La profonda conoscenza del tessuto economico ita-liano e un forte radicamento in una Regione per la quale l’Italia rappresenta il primo partnercommerciale (il10,8% delle importazioni equivalentea 2,624 Mld di euro e il 16,4% delle esportazioniequivalente a 2,484 Mld di euro), sono stati gli atout che hanno prodotto, nell’anno in corso,un ulteriore incremento della rete di contatti e delle collaborazioni con importanti organismi economici, istituzionali e con la stampa.Grazie alla densa rete di contatti nel mondo istituzionale, alle sue relazioni con operatori attivinei più svariati settori, con le associazioni di cate-goria e con la stampa dei due Paesi, la Camera è divenuta un importante punto di riferimento economico in grado di fornire una fitta gamma di servizi ed attività destinati alle aziende italianee francesi che vogliono incrementare o avviareun'attività oltre frontiera. Struttura al servizio dell’impresa, la Camera è composta da equipe di specialisti a disposizioneper rispondere a qualunque domanda in ambitofiscale, contabile, sociale, legale e commerciale. I servizi proposti vanno dai più semplici come il servizio di segretariato, il recupero IVA, la domiciliazione, la traduzione e l’interpretariato per arrivare a servizi più strutturati come l’orga-nizzazione di incontri professionali, analisi di mercato e posizionamento strategico dei prodotti.Qualunque sia la natura del progetto la Cameradi Commercio Italiana è sempre in ascolto perinformare, consigliare, accompagnare e seguirel’azienda lungo tutto l’arco di sviluppo del progettoimprenditoriale. Nel corso di questi ultimi anni,oltre al rafforzamento del servizio all’impresa, il grande dinamismo e la professionalità nellagestione hanno orientato la struttura allo sviluppodi nuovi settori di attività come quello della

comunicazione, della formazione linguisticae aziendale, pur conservando i suoi assi operativicaratterizzanti.Più di 60 gli eventi organizzati fra missioni, conferenze ed iniziative di sviluppo che hannocoinvolto circa 1500 operatori, 6 pubblicazionisolamente nel primo semestre dell’anno oltre alle numerose delegazioni di giornalisti ricevuti a Sophia Antipolis e nel resto della Francia. Rinforzato inoltre sensibilmente il fronte della promozione territoriale, attraverso momenti dedicatial grande pubblico ma soprattutto con eventi B2B dedicati alle imprese che sempre di più siaffermano come strumento di sviluppo economico.Il 2006 ha registrato un forte incremento delle attività rivolte alla creazione di nuove imprese sia in Italia che in Francia grazie a servizi strutturatidi marketing, accompagnamento ed informazionediretti alle aziende ed alla stretta collaborazioneinstaurata con la locale Chambre des Métiers.Tale politica ha prodotto, nel primo semestre del2006, un considerevole aumento degli scambioltre ad un aumento del tasso di penetrazione dei due mercati grazie a soluzioni ah hoc perogni specifica situazione. Per incrementare il forte radicamento sul territorioche già la caratterizza e per rendere ancora più capillare ed efficace l’assistenza ai soci, coadiuvando al contempo l’azione del quartiergenerale di Nizza, è stata decisa l’apertura di un’antenna a Mentone presso la nuovasede della Banca Regionale Europea.“La vicinanza geografica rappresenta un atoutimportante per la creazione di nuove imprese e l’implementazione delle attività già esistenti. La nostra presenza all’interno di una banca comela BRE agevola l’avvicinamento delle differentirealtà imprenditoriali permettendo di svilupparestrategie di contatto efficaci, basate sulla cono-scenza diretta e profonda del tessuto economico,delle aziende che lo compongono garantendo,per ogni tipo di azione, un supporto completosotto il punto di vista informativo, organizzativo e progettuale” – ha dichiarato il Presidente della Camera Nicola Caprioni.

che ha decorato anche la sala matrimoni delmunicipio. Oppure se ne incontrano al museodella preistoria, a quello del Palais Carnolès,nella basilica Saint Michel, al “ThéâtreFrancis Palmero” o ai numerosi concerti chefioriscono nella stagione estiva. Si sente anchepronunciare l’idioma italico passeggiando peri giardini di Val Rahmeh, delle Colombières,delle Serre de la Madone, alla Fontana Rosa,in Square des Étas-Unis e lungo le viuzze del borgo medievale di Gorbio sulla collina,con veduta panoramica dell’intero golfo.Qualcuno poi s’arrampica fino al villaggio diSaint Agnès oppure desidera temerariamenteprovare l’ebbrezza di percorrere qualchemetro sul sentiero a precipizio del “Passo

LA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA DI NIZZA, PORTA D’INGRESSO PER LA FRANCIAA MENTONE HA SEDE PRESSO LA BANCA REGIONALE EUROPEA

della morte” a Castellar, dove ci hanno rimesso la pelle o hanno rischiato di farlomolti emigranti e contrabbandieri nel corsodei secoli. Dove però la presenza italiana si manifesta prevalente, a volte quasi totaliz-zante, è pur sempre nella zona vicina al mare.Perché è quel grande specchio d’acqua che ciattira, che fa la differenza con le nostre belle,ricche, accoglienti città dell’entroterra padano.Che se uno abita a Sanremo o a Varazze, forse sente meno il bisogno di un posto al sole di Mentone, “Perla d’Europa”, anche se attorno a Natale esso pare risplendervi purela notte, quando un ondulato manto luminososovrasta per intero l’estensione del lungomare.

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Un’altraopportunità

in Costa Azzurra

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L’AGENZIA DI MENTONEDELLA BANCAREGIONALE EUROPEA

Dal 6 dicembre la Banca Regionale Europeaè presente a Mentone con una nuovaAgenzia, nella centralissima Avenue de Verdun 21, che si affianca a quella di Nizza, operativa da tre anni. Ora la numerosa clientela italiana con interessi sulla Costa Azzurra ha un’oppor-tunità in più. • L’apertura del conto può essere richiestaanche in Italia, presso una filiale della BancaRegionale Europea. • Chi possiede un immobile potrà effettuaretutti i pagamenti (dalla taxe foncière alle bollette alle quote condominiali) attraverso il nuovo conto, che potrà alimentare direttamente dall’Italia. • Chi desidera acquistare una casa puòrichiedere mutui a finanziamenti alle condi-zioni del mercato francese, molto interessanti,con il vantaggio della consulenza della banca, che conosce bene il settore immobiliare locale.L’Agenzia di Mentone è cordialmente a disposizione della clientela anche il sabato mattina, con personale italiano e francese.

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TORTONA. STORIEE MEMORIA ALL’INCROCIO DI QUATTRO REGIONIDI ARMANDO BERGAGLIO

“Giace al piede di un colle, alla sommità del quale è posto un castello. Da due lati delquale, calando al basso, due lunghe ali sivanno a giungere con le mura della città. La città è al piano cinta di muro antico con torri et fossi intorno da tre lati, restandodall’altra parte serrata dal monte e dalle ali che ascendono al castello”.

Questa sommaria descrizione di Tortona, redattada un ingegnere militare nel 1602, pur con i dovuti aggiornamenti, potrebbe essere ancoraattuale. La collina del Castello, è vero, ricordasolo nel nome l’antica e potente fortezza: essa oggi rappresenta per i Tortonesi un luogodella memoria, dove, dimenticato il fragore delle armi e dei numerosi assedi subiti, è possibile fare una tranquilla passeggiata o praticare un po’ di footing tra il verde e i grandiosi ruderi ancora superstiti, disseminatiqua e là. Al piano, invece, dove si stendevano le mura che cingevano la città, venne aperta nei primi decenni dell’Ottocento la strada di circonvallazione (oggi Corso Romita). Poi arrivò la strada ferrata che, benché attesa e invocata, costituì un ostacolo allo sviluppourbano verso Ovest, e la città dovette ricavarsinuovi spazi o attorno al colle o allungandosilungo le statali per Milano o per Genova. La posizione geografica di Tortona, all’incrociodi due grandi direttrici stradali, quella in dire-zione Sud-Nord che collega il mare (e il porto di Genova) con la pianura padana (quindi conMilano e il centro Europa), e quella in direzioneOvest-est (tra Torino e l’Italia centrale e orientale),ha sempre condizionato la sua storia, nel bene e nel male. Trovandosi lungo importanti percorsicommerciali, Tortona divenne, inevitabilmente,una località strategica a lungo contesa.

L’Abbazia di RivaltaScrivia, XII secolo

Questo lo compresero gli Etruschi che già alcunisecoli avanti Cristo scelsero quello che era ancoraun insediamento ligure come base commercialee tappa nei loro trasferimenti verso il LagoMaggiore, dove fioriva la civiltà di Golaseccae con quelle popolazioni, operavano attivi scambicommerciali. E fu grazie agli Etruschi se qui,attorno al VI/V secolo a. C., fu introdotta la viticoltura, come documentato dal recente rin-venimento di vinaccioli negli strati più profondidel tratto superstite delle mura romane sulla collina del Castello. Sulla scorta di esami dilaboratorio essi risalirebbero ad alcuni secoliavanti Cristo, pertanto costituirebbero la piùantica e sicura testimonianza della viticoltura in Piemonte. Anche i Romani, consapevoli della favorevole posizione del centro ligure, lo elevarono a ‘municipium’, poi a colonia colnome di Julia Dertona. La nuova città fu fondatasulla Via Postumia (aperta nel 148 a.C. da Aquileiaa Genova) e, successivamente, dalla romanaDertona partiva la via Emilia Scaura che portavaad Aquae Statiellae (Acqui Terme), poi a Vada(Vado Ligure), quindi alle Gallie. Un’altra stradaconsolare, la via Fulvia, si spingeva nel cuoredell’attuale Piemonte. L’importanza di Dertonacolonia romana e nodo stradale è confermata dal continuo rinvenimentodi reperti archeo-logici, particolar-mente numerosi negli ultimi decenni:significativi gli scavi lungo l’antica via Postumia, in località Fitteria, doveaffiorarono grandiosi monumentifunerari, mentre tra corso Repubblicae corso Garibaldi, ai primi AnniNovanta, venne alla luce una necropolicostituita da un centinaio di tombe,molte delle quali conservavano ancorapreziosi corredi funerari. È imminentela riapertura, nel cinquecentescoPalazzo Guidobono, del Museo Romano- chiuso ormai da quasi vent’anni -dove troveranno degna collocazione i numerosissimi reperti (lucerne, stelifunerarie, epigrafi, fregi, vasi e utensilidi uso quotidiano, oltre al pezzo di maggior pregio, il sarcofago di Elio Sabino). Il restauro del palazzo,tra l’altro, ha permesso di recuperare il soffitto ligneo cinquecentesco ricca-mente decorato in un salone a pianoterra, mentre negli scantinati sono affioratiun tratto del selciato del foro romano e pavimenti a mosaico, oltre ad una singolare“nivera”, un capolavoro di arte muraria, doveveniva raccolta e conservata la neve per l’estate.Nello storico palazzo vengono ora allestitemostre temporanee. Attualmente sono in corsodue esposizioni: una, al piano superiore, dedicata ai dipinti dei fratelli Induno, l’altra, al piano terra, presenta i reperti archeologici

romani facenti parte della collezione di Cesare Di Negro Carpani (1829-1889). Nel palazzo a lato, in via Ammiraglio Mirabello, (a seguito del trasferimento del Municipio nella recuperata‘Caserma Passalacqua’), si sono resi disponibiliampi locali, dove finalmente troverà una sedeadeguata la pinacoteca comunale (in prevalenzadipinti di pittori locali, tra Settecento e Novecento)e la biblioteca civica, con una ricca dotazionedi pergamene, incunaboli e cinquecentine, ed una ‘sezione tortonese’, che rappresenta una preziosa fonte di notizie sul territorio. Lungo la stessa via, più oltre, si affaccia anche il Teatro Civico, riaperto nel 1990 dopo decennidi abbandono. Era stato inaugurato nel 1838 e ripete la struttura propria dei teatri ottocente-schi, con pianta a ferro di cavallo e tre ordini di palchi, oltre alla platea e al loggione. Il sipario (sul quale è rappresentato il mito del ‘Ratto di Euridice’) e gli affreschi della voltasono opera di Luigi Vacca, allora il pittore dicorte presso i Savoia, mentre il progetto del teatroè dell’architetto tortonese Pietro Pernigotti. Nel cortile del teatro e dell’ex-municipio è ancoravisibile un’ala superstite di un chiostro, in cotto,a due ordini di colonne. Si tratta dell’antico

monastero dell’Annunziata, soppressoda Napoleone con decreto del 16 agosto 1802 (assieme ad altri 9 conventi cittadini) e ceduto alla città.Eretto alla fine del Cinquecento,apparteneva alle monache agostinianeche avevano fama di essere partico-larmente abili nel lavorare la pagliaintrecciata ed erano molto ricercati i loro cappellini. Ma chi passava daTortona - questo avvenne anche nel1538 quando vi sostò il Papa Paolo III con il suo affollato seguito, compreso il cantiniere Sante Lancerio -acquistava vini, tessuti di lana, formaggi(in particolare le robiole di Montebore,recentemente recuperate), tartufi, funghi detti spinaroli e cacciagione. I tartufi, poi, erano una preziosamoneta per ottenere favori dai Visconti e dagli Sforza, che erano particolarmente sensibili a queste leccornie della gastronomia tortonese.

Abbazia diRivalta Scrivia,XII secolo.Affreschiinterni

In basso:PalazzettoMediovale,sede dellaFondazioneCassa diRisparmiodi Tortona,“Atélier Sarina”

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Dall’alto:piazza Aristide Arzano, facciata di Palazzo Guidobono, XV secolo, attuale sede del museo civico

Il sarcofago di Elio Sabino

Interno del museo civico

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Singolari le testimonianza dei viaggiatori delGrand Tour che, diretti a Roma attraverso la viadi Genova, passando da Tortona, ricordavanoforse la definizione di Strabone (“Dertona, cittàillustre…”), quindi pensavano di cogliere già aTortona le prime testimonianze di quella grandezzache poi avrebbero apprezzato nella sua pienezzauna volta giunti a Roma. A Tortona essi cercavano,di solito, il sarcofago di Elio Sabino (che, ritrovatonel 1598, evidentemente, godeva di vasta fama),ma rimanevano anche piacevolmente sorpresi dal paesaggio. Per la verità un po’ meno dalla cittàe dai suoi abitanti, perchè la realtà si presentavaben diversamente da come era stata immaginata.Il Merula, uno storico alessandrino del Cinque-cento, ricorda come, benchè fossero trascorsitresecoli dalla distruzione del Barbarossa, “sopravvi-vono i vecchi fornici delle porte e le cloache semi-dirute, da cui facilmente comprendiamo quantograndi e numerose fossero state le costruzionidella città”. E qualche tempo dopo, l’umanista e geografo boemo Filippo Cluverio, rimproveral’indolenza dei Tortonesi, colpevoli d'aver lasciatoperire tanti e tanto preziosi documenti dell'antica floridezza di Dertona, “come appare dagli antichisepolcri che si vedono semidiruti su entrambi i lati della Via Postumia”. Ai primi del Seicentoanche nell’opera di Pietro Bertelli (“Teatro d’Italia”,Vicenza 1616, che contiene la prima rappresen-tazione grafica di Tortona) è presente il richiamoad una grandezza ormai decaduta: “Dalle sepolture et altri marmi antichi, acquedotti,mirabili colonne, medaglie et altre infinite antichità, che tuttodì si scuoprono in questa città,si può comprendere che ne’ tempi antichi fossehabitata da nobilissimi personaggi...”

Al Cinquecento, con l’arrivo degli Spagnoli, risalel’ampliamento della fortezza sulla collina resosinecessario in seguito all’introduzione delle armida fuoco. Questo comportò anzitutto l’abbandonodelle ultime abitazioni civili ancora arroccate lassùo sulle pendici, ma soprattutto il forzato abbandonodell’antica cattedrale romanica, che fu inglobatanelle nuove fortificazioni e, quindi, ridotta amagazzino delle polveri (ma nel 1609, colpita da un fulmine, andò completamente distrutta). Si dovette, così, provvedere alla costruzione diuna nuova cattedrale, al piano, dopo aver demolitol’antica chiesa di San Quirino. I lavori furonoavviati nel 1574 e la chiesa, benché non ancora ultimata, fu consacrata nel 1583, mentre lo spazioantistante, ampliato, la ‘platea maior civitatis’, o ‘Piazza Grande’ per i Tortonesi, divenne la sededel mercato (ma già in epoca romana era il “forumfrumentarium”). A seguito della costruzione dellacattedrale la piazza subì cambiamenti radicali e il Palazzetto Medioevale a sinistra del duomorimane, così, la sola costruzione sopravvissuta di quel periodo. Oggi è la sede della FondazioneCassa di Risparmio di Tortona, ed ospita, tra l’altro, l’esposizione permanente delle collezionid’arte della Fondazione stessa: vi sono raccoltidipinti dei pittori locali tra Ottocento e Novecento(Saccaggi, Barabino, Dossola, Patri, Sala,Boccalatte, Cuniolo), una sala, poi, è riservata a 15 dipinti di Pellizza da Volpedo. Vi sono inoltrerappresentati altri pittori divisionisti (Nomellini,Morbelli, Fornara, Gambogi). La raccolta si vacontinuamente arricchendo a seguito di acquisi-zioni o di donazioni, per cui presto la pinacotecatroverà una nuova collocazione in più ampi localiattigui al Palazzetto Medioevale recentementeacquistati.

Ruderi del castello,i resti della torrecampanaria dellaCappella del ForteSan Vittorio, seconda metà XVIIIsecolo

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Inoltre un piano del Palazzetto è occupato dall’ “Atélier Sarina”, dove sono esposti burattinie scenari appartenuti ad una famiglia di burattinai attiva nella zona per circa un secolo,fino agli Anni Cinquanta. Dopo il Duomo, fuavviata la costruzione del Palazzo Vescovile cheha conservato il bel portale a bugnato sovrastatodal grande stemma dei Gambara, tre vescoviappartenenti ad una illustre famiglia bresciana,che nel Cinquecento ressero la diocesi di Tortona. Lo stemma - un bassorilievo che rappresenta ungambero - non appare ben conservato: questo sispiega col fatto che quando a Tortona, nel 1798,venne istituita la municipalità repubblicana, inbase al principio dell’uguaglianza proclamatodalla Rivoluzione Francese, vennero scalpellatigli stemmi delle case nobiliari per cancellareogni segno di differenze sociali (anche se benpresto i Tortonesi si accorsero che gli idealirimasero solo tali, per cui si usava dire: “Liberté - égalité - fraternité: i frances in carossae i turtunes a pé”.). Del palazzo è in corso unimportante restauro che a lavori ultimati, metteràin risalto i notevoli pregi artistici, soprattuttoall’interno, dove è conservato, tra l’altro, un prezioso trittico di Macrino d’Alba (datato 1499).Quindi la Piazza del Duomo (o Piazza Maggioreo Piazza Grande) divenne, oltre che il sagratodella principale chiesa della Diocesi, il centrodella vita cittadina e la sede delle manifestazionireligiose, civili e commerciali della città o lo sce-nario per la celebrazione dei grandi avvenimenti.

Uno degli eventi più significativi in passato eral’entrata del Vescovo per la presa di possessodella vasta diocesi, risalente al IV secolo, che estende il suo territorio sulle province diAlessandria, di Pavia e di Genova (un tempoanche di Piacenza). Da una delle porte dellacittà egli raggiungeva la piazza del Duomo cavalcando una mula bianca, preceduto da unvalletto che su un cuscino portava una croce ed una chiave, i simboli del potere spirituale sui fedeli, ma anche del potere temporale sulle‘Quindici Terre del Vescovado’ un territorio nella collina a sud est di Tortona, con capoluogoa Carezzano Maggiore, poi ceduto dal VescovoPeyretti ai Savoia nel 1784, in permuta con il Feudo di Cambiò, sulle sponde del Po.Quando, dopo ogni assedio o occupazione, la città cambiava padrone, i nuovi governatoriattraversavano la piazza in pompa magna perrecarsi in Duomo a cantare in forma solenne il 'Te Deum' in segno di ringraziamento, a cuidoveva unirsi tutta la cittadinanza. Qui venneeretto “l'albero della libertà” nel gennaio del1799, quando i Francesi allontanarono dalla città i Savoia (e, per l’occasione la piazza venne ribattezzata ‘Place de la Liberté’), e qui i Tortonesi accolsero festosamente Papa Pio VII nel 1814, in viaggio verso Roma dopo le traversie della parentesi napoleonica.

Tortona Area collinare – Antichemura romane di Dertona (anticadenominazionedella città in epocaromana)

In basso:i sotterranei di PalazzoGuidobono,antica ghiacciaiain dialetto “ra nivera”

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Durante gli anni del Risorgimento i Tortonesi in Piazza del Duomo tributarono grandi onori aCarlo Alberto nel 1848 e a Vittorio Emanuele IIe Napoleone III nella primavera del 1859, primadella battaglia di Montebello, oppure si trovaronoin piazza nel settembre del 1870 per salutarefestosamente Roma Capitale d'Italia. E in Piazzadel Duomo i Tortonesi si riunivano anche perdivertirsi: in occasione della festa patronale, a Santa Croce, in maggio, veniva eretto l'alberodella cuccagna, si gareggiava nella corsa nei sacchi o si ammiravano i fuochi artificiali, o nelsecolo appena passato si assisteva alla corsa deicamerieri o al rogo di Giraffone, alla conclusionedella sfilata dei carri allegorici di Carnevale. Dal 1902, sempre a Santa Croce, qui avviene l’estrazione dei numeri della tombola (il primopremio allora era un cavallino bardato di tuttopunto con calesse). E alla domenica pomeriggioqui ci si dava appuntamento per ascoltare i concerti musicali eseguiti dalla banda musicaledell'esercito. Per abbellire la piazza, nel 1875,furono demolite le vecchie casupole sul latoopposto al Duomo, sostituite da un nuovo palazzocon portici. A quegli stessi anni risale l’attuale facciata del Duomo, un restauro discusso che fecerimpiangere la primitiva facciata in cotto. Nel 1961fu costruito il palazzo della sede centrale dellaCassa di Risparmio di Tortona, l'ultimo grandeintervento edilizio compiuto in questa piazza.

La piazza del Duomo è delimitata, sul latoorientale, dalla Via Emilia, il principale asse viario che attraversa il centro storico da nord asud per tutta la sua lunghezza. Il tratto meridio-nale è in larga parte porticato, esito di una notevole opera di risanamento e di ampliamentoavviato nella prima metà dell’Ottocento, mentrenegli anni a cavallo della prima guerra mondialeil percorso porticato venne prolungato nel nuovo palazzo in cemento armato - il PalazzoFrascaroli -, ma inserito garbatamente nel vecchio tessuto urbano: nel soffitto dei porticisono stati affrescati i ritratti dei tortonesi illustrio gli stemmi nobiliari delle famiglie che hannofatto la storia della città. Lungo la via Emilia si aprono alcune piazze,quasi a darle un più ampio respiro: provenendoda sud si incontra subito la Piazza Malaspina, su cui si affaccia il settecentesco Palazzo Barenghi,con portici e sul lato opposto la facciata affrescata con meridiana dell’antico convento di Santa Caterina. Poco dopo Piazza del Duomo si raggiunge la Piazza Gavino Lugano, in parteporticata, dominata al centro dal monumento a ‘Tortona Dolente’, dello scultore OdoardoTabacchi, eretto (1890) a ricordo dei Tortonesicaduti nelle patrie battaglie del Risorgimento; a due passi, verso la collina, sorge la più anticachiesa della città, Santa Maria dei Canali, con facciata e struttura interna romanica.

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Proseguendo lungo la via Emilia si incontranodue piazzette, che formano uno spazio unico,dominato da una torre ricostruita nel 1940 sullefondamenta di una preesistente torre, davantialla quale si affaccia il già ricordato PalazzoGuidobono, con facciata gotica, restaurata; a lato un palazzo con orologio e campana, già“Collegio delle scuole”, ma in epoca napoleonicafu la sede del Municipio, per questo lo slargoantistante era popolarmente noto come la‘Piazzetta della Merì”, cioè del municipio. Sulla via Emilia si trova anche la chiesa di SanMatteo, con una Madonna su tavola di Barnabada Modena (XIV sec.), mentre nel cortile emer-gono i resti di una misteriosa struttura romana,che affonda negli scantinati, dove è venuto allaluce il lastricato del foro romano. Poco distantesi trova la chiesa di San Giacomo, con facciata einterno barocco e attorno ad essa sorgono alcunistorici palazzi, prestigiose residenze della nobiltàtortonese (i palazzi Orsi-Carbone, Guidobono-Garofoli, Massa Saluzzo, Frascaroli).Alla periferia meridionale, nell’antico borgo di San Bernardino, ormai saldato alla città, sorgeil Santuario della Madonna della Guardia (1928-1931) legato all’opera di Don Orione (che quiavviò la sua opera, oggi presente in quattro continenti, e qui è sepolto, in una artistica urna):ormai la torre, alta 60 metri, sovrastata da unagrande statua in rame dorato della Madonna di14 metri, è una nuova icona della città, assiemealla storica torre sul castello.Il forte, ricordato nelle memorie di viaggio edagli storici, è ben rappresentato in una acque-rello del Bagnetti, il pittore che seguì Napoleonenella prima campagna d’Italia. Purtroppo del castello oggi restano solo pochi ruderi. E pensare che Napoleone, giunto qui il 3 maggio1796, rimase sorpreso dalla sua imponenza e ilgiorno dopo si affrettò a scrivere al Direttorio:“L'Armata d'Italia ha preso ieri possesso diTortona, ove abbiamo trovato una bellissima

fortezza, che è costata più di 15 milioni al re diSardegna, che contiene cento pezzi di cannone e casematte per 3000 uomini....”. Potenziato l’armamento del Castello, vi vennero raccolti iprodotti delle contribuzioni per il vettovaglia-mento, e fu scelto come piazza di custodia deitesori e delle spoliazioni compiute in Lombardia,Liguria ed Emilia. Ma qualche anno dopoNapoleone non lo ritenne più sufficientementesicuro, forse egli temeva che potesse cadere nellemani degli Austriaci, i quali che ne avrebberofatto una base per un eventuale attacco allaFrancia. E così, nella primavera del 1801, ordinòl’immediato e totale smantellamento della fortezzasul colle e l'atterramento delle mura che cingevano,in un immenso abbraccio di pietra, la città. Di quella fortezza - ampliata pochi decenni prima,quando Tortona era passata sotto i Savoia - èrimasta, tra pochi anche se imponenti ruderi, una torre sul pianoro alla sommità del colle,assurta poi a simbolo della città.Nella proposta di un itinerario artistico non puòmancare la visita all’abbazia di Rivalta Scrivia, a7 km da Tortona, che sorge, isolata, nella campa-gna tra la statale per Novi Ligure e lo Scrivia.L’originaria comunità monastica - citata la primavolta nel 1151 - andò ampliandosi fino ad aggregarsi all’ordine cistercense (1180). A partire da quell’anno iniziarono i lavori dicostruzione del nuovo complesso abbaziale. La chiesa rispecchia fedelmente i moduli propridell’architettura cistercense, anche se la facciataoriginaria nel XVII secolo venne abbattuta, assieme all’ultima campata della chiesa, perlasciare spazio all’imponente villa patriziacostruita a lato; in quella circostanza furonodemoliti pure tre bracci del chiostro, del qualerimane solo il lato attiguo alla chiesa; a metà di esso si apre la sala capitolare, in stile gotico-cistercense, di particolare grazia e bellezza. E’ certamente il complesso artistico di maggiorrilievo nell’area tortonese.

A sinistra:Palazzodei MarchesiPassalacquadi Villalvernia,cortile e porticato interno

Sotto: piazzettaDerthona, Teatro civico 1836 /38

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DALL’AGRICOLTURA ALL’INDUSTRIA:I TRATTORI ORSITortona, sorta su un’ideale linea di confine tra lapianura e la collina, è sempre stata un importantemercato agricolo, al servizio di un vasto territorio.La vite e la frutta erano (e sono tuttora) le colti-vazioni prevalenti nella collina, frumento, mais e ortaggi in pianura, e in entrambe le zone, inpassato, prosperava l’allevamento del bestiame.E proprio dall’agricoltura venne la spinta per la prima industrializzazione: infatti agli inizi del Novecento una piccola azienda artigiana,gradatamente assunse le dimensioni di un grandecomplesso industriale, leader nella produzionedi attrezzature agricole, la ditta “Orsi Pietro eFiglio”. Dopo la prima guerra mondiale, abban-donata la modesta officina di fabbro allaCommenda, Giuseppe Orsi costruì un grandestabilimento in zona Porta Voghera, fino a mettere in produzione, primo in Italia, il ‘tiro’completo per la trebbiatura: locomobile (poi iltrattore), trebbiatrice e imballatrice. E fu la “Orsi”a fornire le macchine per la trebbiatura del fru-mento nei territori bonificati dell’Agro Pontino.Fu attiva fino ai primi anni Sessanta, poi, sia per la concorrenza straniera, sia per il mancatoaggiornamento tecnico, l’industria dovette chiudere i battenti. Qualche anno fa è statoaperto un interessante il Museo delle macchineagricole, allestito dal Comune di Tortona proprionegli antichi capannoni Orsi, dove si può seguirel’evoluzione delle macchine prodotte dalla celebre azienda cittadina.Il settore metalmeccanico, dai primi delNovecento, ha sempre caratterizzato lo sviluppoindustriale di Tortona. Nel Dopoguerra, accantoalla produzione dei ‘torni a controllo numerico’e a nuovi settori produttivi, ebbe un notevoleimpulso l’industria delle materie plastiche. Oggi a Tortona (27 mila abitanti) prevalgonoaziende dalle dimensioni più artigianali cheindustriali, ma si è svilup-pato ampiamente il terziario(come l’interporto di RivaltaScrivia, dove opera ancheun notevole ParcoScientifico e Tecnologico) e, sempre in questa zona, non lontana dagli accessialle autostrade, è in attouna sorprendente espansionenel settore della logistica.Questo, ieri come oggi, grazie alla favorevole posi-zione geografica di Tortona,all’incrocio di grandi vie dicomunicazione, autostradalie ferroviarie.

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IL TORTONESEIl Tortonese (40 comuni, 60 mila abitanti) è un territorio ai margini del Piemonte, dove si riscontrano influssi lombardi, ma anche liguried emiliani. Un’area, quindi cui risulta difficiledare una precisa identità. La pianura è lambitadal Po, mentre la montagna è già esposta ai ventimarini che soffiano dalla Liguria, tanto che su una carta geografica del Seicento - la cartadell'ing. Bergonio - invece dell'indicazione delnome del monte - il Chiappo - si legge: “Da qui si vede il mare”. È questa la vetta più altadell’Appennino piemontese e un cippo ricordache lì si incontra anche il confine di tre regioni,Piemonte, Lombardia ed Emilia, mentre poco piùa sud, si incontrano Piemonte, Emilia e Liguria. Al centro poi dell’area tortonese si trova un’ampiafascia collinare, dai paesaggi dolci e sconfinati,in un continuo rincorrersi di paesi d’altura e dipaesi di fondovalle, tra versanti assolati segnatidalla festosa geometria dei vigneti, attraversatida torrenti (il Curone, il Grue, l’Ossona) chedanno una particolare fertilità al suolo. Questo spiega la sorprendente varietà di paesaggiin uno spazio geograficamente ristretto: in pochedecine di chilometri dalle sponde del Po e dalpaesaggio contrassegnato dalle culture cerealicole,dai pioppeti (e, un tempo, anche dalle risaie),si raggiungono, passando attraverso le colline,

i 1701 metri dei monti Ebro e Chiappo, copertidi boschi e di pascoli, e di lì, ancora qualche

decina di chilometri in linea d’aria si arriva al mare. “Nulla è più ricco, più fertile, meglioombreggiato d’alberi e di più bel verde. È lo stesso aspetto dei nostri più bei dintorni del paese di Borgogna”, scriveva nel 1740 Charlesde Brosses nelle sue memoria sul viaggio inItalia, passando per Tortona, mentre Standhalannotava nel 1801: “Il paesaggio è splendido. Ci accompagna in distanza il profilo delle colline”.

UN’AGRICOLTURA DI ECCELLENZA: ORTAGGI, FRUTTA, TARTUFI E VINI…Chi in passato, percorrendo la via Emilia o stradaRomea, attraversava il territorio tortonese rimaneva colpito dalla fertilità della campagna e dalla bellezza del paesaggio. Nel CinquecentoAndrea Bacci, autore del trattato “De naturalivinorum historia”, scriveva "Passando dalPiemonte e andando verso la Lombardia (Tortona,allora, apparteneva al Ducato di Milano), la stessa amenità di quei vitiferi colli piemontesisi continua su tutta la linea dei colli che sovra-stano il Po nella vasta pianura della via Emilia,sui quali si trovano tante città fra campi e vignetiubertosissimi”. Pietro Bertelli, ai primi delSeicento, annotava, a proposito della provinciatortonese: “Ha buono, fertile territorio, & produ-cevole di frumento, orzo, & altre biade, con buonissimi vini; & guado, & altre cose necessarieall’huomo.” Un secolo dopo il Sesti (in ‘Castelli e fortezze di Lombardia’) di Tortona scriveva:“La sua giurisdizione comanda quarantacinqueterre e luoghi, quelli della pianura dilettevolisoprabondano di formento, biada e gualdo per le tinture. Quelli che sono nella montagna,benchè vivano con qualche povertà, raccolgonodelicati vini, tartufoli, funghi e varietà di caccia”.Oggi la struttura economica del Tortonese è essenzialmente basata sull’industria e sul terziario, tuttavia l’agricoltura costituisce ancoraun’apprezzabile voce. Si tratta di un’agricolturaspecializzata: infatti accanto alle colture tradi-zionali della pianura (frumento, mais, foraggi,tabacco) si sono sviluppate le colture orticole,soprattutto nella bassa Valle Scrivia, i cui mercatiprincipali sono Castelnuovo Scrivia e Sale. Per questo i prodotti di quel piccolo ma ferti-lissimo territorio tra lo Scrivia e il Po, possono fregiarsi del marchio “Alta qualità Bassa ValleScrivia” e nel corso dell’estate, ogni paese organizza una sagra collegata ad un suo prodottotipico: il fagiolo ad Alzano Scrivia, il sedano ad Alluvioni Cambiò, l’aglio a Molino dei Torti,la patata a Guazzora, il melone ad IsolaSant’Antonio, la cipolla a Pontecurone, lo zuc-chino a Sale e lo spinacio a Castelnuovo Scrivia. Nelle valli del Curone e del Grue è molto estesala produzione di pesche (le pesche di Volpedo,ad esempio, si possono acquistare fresche ognigiorno nei Magazzini Harrods a Londra).

A sinistra, dall’alto:teatro civico, 1836/38;vista interna dopo il restaurocompletato nel1990

Via Luca Valenziano

Sopra: via Emilia,casa Barenghi

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A Garbagna si trovano le ciliegie (la qualità autoc-tona ‘bella di Garbagna’). Ancora a Garbagna haluogo in autunno la Sagra delle Castagne, comepure a Selvapiana, in alta Val Curone. Un altroprodotto che da sempre ha dato lustro a questevalli è il tartufo: dai primi Anni Ottanta a SanSebastiano si organizza una frequentatissima‘Fiera regionale del Tartufo’, altre mostre-mercatohanno luogo in autunno a Tortona, ad Avolascaed a Sant’Agata Fossili. Comunque si può affermareche il tartufo è presente tutto l’anno: in febbraioil nero pregiato, in maggio il bianchetto, a fineagosto lo scorzone o i primi bianchi pregiati, finoad autunno inoltrato. La viticoltura ha originilontanissime. Oggi si produce il barbera e il cortese Doc Colli Tortonesi. Vi opera un’attivaCantina Sociale, sorta nel 1931, la prima inPiemonte per quantità di uva conferita, e qui si può anche visitare un museo della bicicletta:120 esemplari di velocipedi, dalla storica ‘draysina’fino alla biciclette da corsa dalle ruote lenticolari,oltre alle biciclette usate dai grandi campioni del passato (a cominciare da Fausto Coppi). Una autentica ed inattesa sorpresa… Intanto si sta creando nuovi spazi un gruppo digiovani, intraprendenti viticoltori che, coniugandotradizione e nuove competenze tecniche, hannosaputo creare prodotti di eccellenza, a cominciaredal vino timorasso, ottenuto da un vitigno autoc-tono recuperato in anni recenti. La presenza,sempre più numerosa, dei vini tortonesi nelleguide specializzate e nei concorsi enologici sono una conferma della nuova, felice stradaintrapresa dalla rinnovata enologia tortonese.

PRESTIGIOSI RICHIAMIDisponendo di un po’ di tempo, una escursionenel Tortonese non deluderà. Le valli del Curone,del Grue, e dell’Ossona offrono scorci paesag-gistici e richiami artistici di grande interesse.Basti pensare al villaggio di San SebastianoCurone, con le strade interne piuttosto strette ein pendenza, le case addossate le une alle altre,unite, a volte da archi, e i portali ingentiliti da fregi e una piazza che è un gioiello. Il fittotessuto urbano, conservatosi miracolosamenteintatto nel tempo (era un punto di sosta obbligato lungo la ‘Strada del sale’), richiama le architetture proprie dei borghi liguri e ricorda un passato di nobiltà e di benessere.

LA CASSA DI RISPARMIO DI TORTONAINTEGRATA NELLA BANCA REGIONALEEUROPEA

Piazza del Duomo,la sede della banca

Dallo scorso 4 dicembre è operativa la fusione della Banca Cassa di Risparmio di Tortona nella Banca Regionale Europea,che già ne possedeva l’intera quota azionaria. Ispirata ai valori del legamecon il territorio, ai quali fa riferimento il modello federativo del Gruppo Banca Lombarda e Piemontese, la Banca Regionale Europea è presentenell’Italia nord-occidentale, con una rete di 290 filiali in Piemonte,Lombardia, Valle d’Aosta ed Emilia, ed amministra una raccolta globale di oltre 20 miliardi di euro.Con la fusione si completa il piano strategico originale della BancaRegionale Europea, costituita nel 1995, in seguito alla fusione tra la Cassa di Risparmio di Cuneo e la Banca del Monte di Lombardia, con l’obiettivo di presidiare il territorio di una macro-regione.

Sotto: palazzoGuidobono,cortile con reperti romani

A destra: piazza AristideArzano, torremedioevaleantistantePalazzoGuidobono

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Ridiscendendo la valle una sosta è d’obbligo a Volpedo, il paese natale di Giuseppe Pellizza,autore del ben famoso “Quarto Stato”. Qui si potrà visitare lo studio del pittore, tornato all’aspetto originario dopo attenti restauri: vi sono conservati gli strumenti di lavoro, gli oggetti di uso quotidiano, i libri, il cospicuoepistolario e alcune sue opere significative. Merita una visita anche il museo didattico perconcludere con un itinerario dedicato ai luoghipellizziani, che furono lo scenario o lo sfondo di numerosi suoi dipinti, riprodotti sul postoattraverso gigantografie, a cominciare dalla piazza Quarto Stato. In paese – entrato nellaclassifica dei ‘Borghi più belli d’Italia’ – grazieall’Associazione ‘Pellizza da Volpedo’ si stannopreparando per il 2007 importanti manifestazionie mostre, in occasione del centenario dellamorte del grande artista volpedese.Castellania, sulla collina a Sud-est di Tortona, ci ricorda un altro illustre personaggio di questaterra: Fausto Coppi. E’ una manciata di case (è il comune più piccolo della provincia, i cuiabitanti non superano il centinaio) distesa traboschi e vigneti e dominata dalle gemini torri di Sant’Alosio. Al centro del paese la casa natale di Fausto Coppi e, ai margini, la modernacappella con a lato i monumenti sepolcrali checonservano le spoglie di Fausto e del fratelloSerse. Un Centro Documentazione e un piccolomuseo raccolgono documenti e testimonianzedel più grande e più popolare corridore della storia del ciclismo.

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Primo italianoinsignito delPremio Nobel,Camillo Golgidefinì il metodoistologico che ha reso possibilel’esplorazionedell’architetturanervosa, recando da Paviaun contributoessenziale allafondazione delleneuroscienze e alla ricerca biomedica.

CAMILLO GOLGI, IL PRIMO NOBEL ITALIANO

DI PAOLO MAZZARELLO

Il 26 ottobre 1906 giungeva a Pavia un telegramma da Stoccolma che annunciava aCamillo Golgi, professore di patologia generalee istologia, il conferimento del premio Nobelex aequo con lo spagnolo Santiago Ramón yCajal. Era il punto culminante di un’avventurascientifica straordinaria iniziata tanti anniprima con l’invenzione della reazione nera, il metodo istologico che rese possibile l’esplo-razione sistematica dell’architettura nervosa.Per quell’anno era stata messa a disposizione la cospicua somma di 191.840 franchi francesi,la metà dei quali spettava al ricercatore italiano. Il premio riconosceva la straordinariaimportanza degli studi di Golgi sull’anatomiadel sistema nervoso. Lo stesso 26 ottobre, il «Corriere della Sera» riportava la breve notizia giunta da Stoccolma e il giorno dopo,con un tempismo davvero eccezionale, il giornale pubblicava un lungo e dettagliatoarticolo in terza pagina dove si ricordavano le tappe della straordinaria carriera scientificadi Golgi, la sua affiliazione alle più celebriaccademie del mondo, la sua notorietà assaimaggiore “all’estero che in Italia, per quellatrascuranza delle migliori forze nostre, ch’èuno dei difetti abituali degli italiani”. Si ricordava come lo scienziato, per primo,fosse riuscito “a penetrare l’oscura istologia del cervello”, rendendo dunque aggredibilescientificamente “il più difficile problema, l’insuperabile scoglio della biologia”.Il riconoscimento di Stoccolma era il puntoculminante di una carriera scientifica iniziatatanti anni prima agli albori dell’Unità d’Italia.Nato nel 1843 a Corteno (oggi Corteno Golgi)un piccolo paese in alta Valcamonica nel 1843,Golgi non avrebbe certo potuto immaginare il posto straordinario nel campo scientifico che il destino gli avrebbe riservato.

Si era iscritto all’Università di Pavia con l’unicoscopo di ottenere la laurea in medicina peresercitare la professione medica, così come il padre, medico di Corteno, aveva fatto ventianni prima. Dopo la laurea ottenuta nel 1865,Golgi lavorò a Pavia presso l’Ospedale di SanMatteo in alcuni reparti ospedalieri e, segna-tamente, in quello psichiatrico diretto da CesareLombroso in procinto di gettare le basi degli studi antropologici e criminologici che, alla fine del secolo, lo avrebbero fatto diventare un autentico fenomeno culturaleinternazionale.

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Il giovane laureato iniziò così ad appassionarsiagli studi neuropsichiatrici, ma ben presto siavvicinò a un altro protagonista della medicinapavese dell’epoca, il varesino Giulio Bizzozero,un abilissimo patologo dal quale acquisì unaperfetta padronanza della tecnica microscopica.Nel 1873, dopo aver cercato invano di trovareun posto stabile nell’Università di Pavia, ottennela posizione di medico primario presso unospedale per malati cronici di Abbiategrasso.Intenzionato a riprendere l’attività scientifica,Golgi organizzò nella piccola cucina del suoappartamento un rudimentale laboratorio in cui continuare gli studi microscopici iniziatia Pavia con Bizzozero.Finalmente il 16 febbraio 1873 poteva scriverea un amico oculista dell’ospedale di Pavia:“Lavoro molte ore al microscopio. Sono feliced’aver trovato una nuova reazione per dimo-strare anche agli orbi le strutture dello stromainterstiziale della corteccia cerebrale. Faccioagire il nitrato d’argento sui pezzi di cervelloinduriti in bicromato di potassio. Ho già ottenutorisultati assai belli e spero di ottenere di più».

È questo il primo annuncio della messa a puntodi un metodo istologico rivoluzionario cheavrebbe permesso di esplorare la labirinticacomplessità strutturale del sistema nervoso,contribuendo in maniera essenziale alla fondazione delle neuroscienze. Proprio per

l’invenzione di questo metodo, la “reazione nera”, e per le sueapplicazioni, Golgi avrebbe ottenutonel 1906 il primo premio Nobel conferito a un italiano, e a tutt’oggil’unico che sia stato assegnato in campo medico-biologico peruna scoperta fatta totalmente in Italia. Facendo agire in suc-cessione, sul tessuto nervoso,due soluzioni diluite di bicromato di potassio e di nitrato d’argento,lo scienziato lombardo era infattiriuscito a ottenere la precipitazioneselettiva di un sale, il cromatod’argento, che colora in nero la singola cellula nervosa con tuttii suoi prolungamenti.

A sinistra: il diplomadel premio Nobel.Museo per la storiadell’Università diPavia

Dall’alto: i bulbi olfattori secondoCamillo Golgi;

foto di gruppo di Golgicon, i suoi allievi (per cortesia diVittorio Kienerk)

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Per motivi chimico-fisici tuttora sconosciuti, ilprecipitato va a impregnare soltanto una piccolapercentuale (fra l’1 e il 5%) dei neuroni presentinel campo microscopico. Nell’incredibile,labirintica, complessità del sistema nervoso, si riesce a evidenziare la silhouette della singolacellula, che emerge come un albero, estrattocon tutti i suoi rami e le sue radici da unainestricabile foresta. Fino a quel momento ilsistema nervoso era visto, quasi disperatamente,come una sorta di misteriosa “scatola nera”sostanzialmente inconoscibile sul piano strutturale. Golgi fornì alle scienze medico-biologiche la chiave per decifrarne l’architetturacellulare, una sorta di “stele di Rosetta” delle neuroscienze. Armato di uno strumentodi indagine tanto straordinario, l’istologo lombardo iniziò una esplorazione sistematicadi diverse regioni del sistema nervoso, scoprendo e descrivendo molte nuove cellule,ad esempio le “cellule di Golgi” del cervelletto.Inoltre aprì un importante settore di ricercaidentificando le lesioni nei corpi striati in uncaso di corea, malattia degenerativa del sistemanervoso centrale.

L’invenzione della reazione nera costituì la chiave di volta della carriera scientifica diGolgi. Nel 1875-76 gli si spalancarono le portedell’Università di Pavia, ottenne infatti la cattedra di istologia e successivamente quelladi patologia generale, diventando ben prestoun protagonista assoluto del mondo scientificoitaliano. Poco dopo il suo ingresso nella vitaaccademica scoprì, dentro lo spessore dei tendini, due corpuscoli sensitivi che verrannopoi denominati organi muscolo-tendineidi Golgi (trasduttori di tensione muscolare) e corpuscoli di Golgi-Mazzoni (sensibili agli stimoli pressori). Autentico genio dell’osservazione, di lui si diceva che “tuttociò che tocca trasforma in oro”, Golgi lasceràuna impronta indelebile nella scienza con unaserie di fondamentali scoperte che segnerannoprofondamente molti settori della ricerca biomedica, oltre alle neuroscienze, come le malattie infettive e la biologia cellulare.

Fra il 1885 e il 1892, Golgi riuscì a definirecon precisione l’insieme delle modificazionimorfologiche che subisce nel sangue l’agentemicrobico causale della malaria, il plasmodio(“ciclo di Golgi”), e soprattutto fu in grado diidentificare la coincidenza fra moltiplicazionedel parassita e accesso febbrile (“legge di Golgi”)dettando anche i periodi ottimali per la sommi-nistrazione mirata del chinino. La caratteristicaintermittenza delle febbri malariche trovavadunque, nei suoi studi, una spiegazione patogenetica, sulla base della periodicità delciclo biologico di riproduzione del plasmodio.Nel 1898 Golgi fece una delle scoperte piùgrandi della biologia cellulare, riuscendo a individuare con precisione uno dei “mattoni”fondamentali delle cellule eucariotiche: l’apparato o complesso“di Golgi”. Per questo contributo egli è, attualmente, ilbiologo italiano più menzionato nella letteraturaspecialistica internazionale.

In basso: il laboratorio di Camillo Golgi all’inizio delNovecento.Dipartimento di MedicinaSperimentale,Sezionedi Patologia Generale,Universitàdi Pavia

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Legato profondamente a Pavia, Golgi ebbeimportanti incarichi politici e amministrativi:preside della facoltà medica, rettore dellaUniversità, consigliere comunale, assessoreall’igiene e, dal 1900, senatore del Regno.Nell’istituto di patologia generale da lui direttofondò una scuola scientifica nel senso più altodel termine, paragonabile a quella torinese di Giuseppe Levi, nella quale iniziarono i lorostudi i premi Nobel Salvador Luria, RenatoDulbecco e Rita Levi Montalcini. Fra i suoi allievi, destinati a importanti scoperte,si possono ricordare Emilio Veratti che fecerilevanti osservazioni sulla struttura delmuscolo, Adelchi Negri che identificò nel cervello dell’animale rabbioso le particolariformazioni che portano il suo nome, CarloMartinotti scopritore delle cellule ad assoneascendente della corteccia cerebrale. Per un breve periodo di tempo il laboratoriodi Golgi venne anche frequentato dal norvegeseFridtjof Nansen, zoologo insigne, famosoesploratore polare e diplomatico di caraturainternazionale, vincitore di un premio Nobelper la pace nel 1922. Rilevante anche la presenza femminile nel laboratorio con nomiquali Anna Kuliscioff (che pubblicò un lavorosulle febbri puerperali), più nota come attivistapolitica della sinistra socialista, Lina Luzzani,studiosa dell’infezione rabbica, Rina Monti,famosa zoologa. Golgi fu dunque personaggiodi prima grandezza nella storia della scienza e tuttavia, nonostante l’ubiquità dell’eponimoossessivamente moltiplicato nelle pubblicazioniscientifiche, la sua è una figura sostanzialmentesconosciuta al grande pubblico, e solo in annirecenti si è iniziato uno studio sistematicodella sua opera. In questo “anno golgiano”, nel centenario dellaassegnazione del premio Nobel, l’Università di Pavia, in collaborazione con l’Università di Brescia, ha realizzato una serie di iniziativecongressuali e soprattutto la mostra Golgi,architetto del cervello che si è svolta a Paviafra il settembre e il dicembre 2006. Le migliaia di visitatori dell’esposizione hannopotuto prendere parte all’entusiasmante storia dell’esplorazione del sistema nervoso di cui Golgi è stato protagonista indiscusso.

Riferimenti bibliograficiP. Mazzarello. Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi. Bollati Boringhieri, 2006.

P. Mazzarello, A. Calligaro, C. Garbarino, V. Vannini. Golgi, architetto del cervello. Skira, 2006.

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UNA RACCOLTA DI CARTOLINE D’EPOCA, TESTIMONIANZA DI MEMORIA COLLETTIVA

UN SALUTO DA PAVIA

Per iniziativa della Provincia e con il sostegnodella Banca Regionale Europea, è stata editauna suggestiva raccolta di cartoline del primo‘900, con immagini della città di Pavia e deidintorni.“Questa bella pubblicazione dedicata alle cartoline d’epoca” - scrive nella prefazione MarioCera, vice presidente della banca - “è una testimonianza preziosa di memoria collettivacondivisa. Vi si ammirano vedute ispirate all’iconografia più nota, con i luoghi deputatialle visite, ma vi si riscoprono anche immaginidi strade, edifici, scorci del centro storicodel capoluogo e del territorio circostante, dietrole quali si percepisce il palpitare di una vitainsensa e di un’umanità attenta ed autentica.Avere le radici nei luoghi di nascita o di vitasignifica associare alle immagini esterne, di un edificio o di un vicolo antico, altre immaginiinteriori, legate a momenti di intimità, a relazioni sociali e familiari, al ricordo di stagioni lontane nel tempo. La bellezza di Paviae, in generale, delle zone circostanti, risalta, in queste pagine, dal sapiente accostamento deidiversi angoli di osservazione, in cui le vedutegenerali si alternano ai particolari, attraversoun percorso che può essere personale o sociale.

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In alto: corso Cavour.Il passaggio del tram.Sulla sinistra “La latteria pavese”,1914

A sinistra: panoramadal Ticino con un “otto con” in allenamento,1905

Sopra: piazza Grande (attuale piazza della Vittoria).Il mercato,1915

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Dall’alto: confetteriaDemetrio (corso StradaNuova angolo corsoCavour), 1912

Corso Strada Nuova,1902

Borgo Ticino. Le lavandaie al lavoro,1905

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La Banca Regionale Europea è parte integrantee viva della storia pavese e della sua provincia,della sua tradizione; aiuta a conservarne la memoria e oggi come ieri mantiene forte il proprio legame con questo nobile ed operosoterritorio”. “Osservare con calma: a questo ci inducono le cartoline” osserva Antonio Sacchi, dirigentedel Settore Beni e Attività Culturali dellaProvincia. “Il movimento non è nelle immagi-ni, è nella mente. Andare indietro nel tempo per scoprire se davvero quella città e quei luoghi sono Pavia, l’Oltrepo’, la Lomellina com’erano oppure dubitare addirittura se non siano un’altra città, altriluoghi. Siti in un mondo che ci ha preceduti,verso i quali parrebbe addirittura naturaleostentare stupore. Ma era davvero così?”. Il libro propone 94 cartoline, ed è stato realizzato con la collaborazione di Pietro Ferrari e di Andrea Massone.

Dall’alto:Naviglio Pavese. Un barcone alla Conca di Viale Bligny, 1911

Conca del Naviglio di Porta Garibaldi. Sulla destra l’edificiodelle Officine Elettriche Einstein e Garrone, 1922

Borgo Ticino. Le lavandaie e le barche agli ormeggi,1940

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MILANO VERSO IL SEMPIONE

Vue de Brieg, incisione di G.L. Lory e M.G. Lory

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Due secoli dopo. Una grande arteria che unisce Parigi a Milano, attraverso il Sempione, e la inonda di progetti architettonici, piani urbanistici, utopie moderne con il berretto frigiodella rivoluzione francese o con l’esprit dei suoi codici napoleonici. E rinnova in profondità unacittà che sarà di lì a poco capitale della borghesiaindustriale italiana, centro del progresso scientifico, luogo dei maggiori fermenti culturalidella futura Italia unita, e non soltanto sede dell’incoronazione di Napoleone re d’Italia.Quell’opera pubblica fu fatta in poco più di treanni. Milano pagò e lavorò. L’invasore non avevavesti barbariche, pur essendo di appetiti tantoprofondi quanto la cultura che ne sorreggeva le imprese. Non c’erano comuni riottosi né verdiribelli ad opporsi al progetto viario. Al massimo,come racconta Stendhal, signore milanesi preoccupate di più gelide correnti alpine svizzere.C’era una sola parola che contava, quella dell’imperatore committente. La qualità di ingegneri e di architetti non venne depressa da un’asta dei lavori con il massimo ribasso.L’ambizione non era al passivo di alcun bilancio,né la gloria poteva essere quotata in Borsacome un bene intangibile. Due secoli dopo noicontemporanei ci pigiamo nervosi in autostradeingombre e in tangenziali paralizzate. Non abbiamo alcuna nostalgia dittatoriale o tendenza alla servitù straniera, ma da decennidiscutiamo di una Pedemontana, per la qualeforse saremo chiamati a pagare, ancora una volta,una tassa di scopo, e che forse vedranno solo i nostri figli. Non avremo l’invasore alle porte,ma il declino in casa sì. Il Corridoio Cinque, unadelle grandi vie di collegamento della nuova

DUE SECOLI DOPO: IL SIGNIFICATO CIVILE DI UNA GRANDE OPERADI FERRUCCIO DE BORTOLI

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Europa, rischia di passare al di sopra delle Alpi.Il progetto di Alta Velocità ferroviaria fra Italia e Francia è disperso nei boschi di castagni della Val di Susa. Non siamo ancora riusciti a collegare con un treno veloce Torino a Milano;la Fiera più grande d’Europa c’è (meno male)ma i collegamenti per raggiungerla sono ancoraincompleti. Il Sempione era la Malpensa del-l’epoca, forse più efficiente e senza una grandedispersione di bagagli. Due secoli dopo discu-tiamo, ci dividiamo e non decidiamo, incerti sul significato civile di una grande opera. Sarà utile? È proprio necessaria? Il dibattito è vasto e faticoso e occupa lustri parlamentari e pagine di gazzette. Invano. Eppure all’iniziodell’Ottocento nessuno aveva dubbi che unagrande strada di collegamento fosse una sorgentedi civiltà. Gli spagnoli scelsero Porta Romana,gli austriaci Porta Orientale, i francesi, ovvia-mente, pensarono il Sempione, portandovi nonsolo le truppe, ma anche i progetti, ambiziosisimboli del nuovo mondo. Napoleone definì il Sempione “un’operazione di miglioramentodel territorio”. Dall’Arco della Pace, che si faràsolo nel 1838, al Foro Bonaparte, che non si farà mai, segni comunque indelebili di sensoestetico e di civiltà. E, intanto, la Milano dellaborghesia e delle professioni cresceva al pari del gusto neoclassico dei suoi architetti, dello stile dorico che si riteneva più adatto a rappresentare lo spirito repubblicano, nel fervore progettuale di nuovi edifici pubblici e servizi moderni.

Un secolo dopo, nel 1906, la grande esposizionevoluta per festeggiare l’apertura del traforo delSempione schiudeva, a una borghesia produttivaormai affermata, nuovi mercati e più solide pro-spettive. Una grande fiera nel segno della inno-vazione tecnologica, dall’elettricità al telegrafo. Uno sguardo fiducioso e orgoglioso al secolo delle grandi trasformazionisociali, ma anche dei grandi conflitti. Un capolavoro di architet-tura, purtroppo per largaparte effimero, ma anchel’apparire di molte delleistituzioni solidali dellaMilano riformista ed operaia. La costruzionedell’Acquario, le passeggiateesotiche, il quartiere egiziano, il padiglione russo.A quell’epoca Milano eragià una città protagonistadella timida globalizzazionedei mercati. Lo è ancora? Il quesito è aperto.

Certo, andando, con fatica, a Rho-Pero in occa-sione del Salone del mobile si direbbe di sì. Ma quello spirito della grande fiera, così giovanee spigliato, come emerge da questo libro,fatichiamo a riconoscerlo in una piccola metro-poli europea, un po’ indifferente, a volte invec-chiata e impaurita. Forse dovremmo oggi andarea Shanghai per ritrovarlo. Ecco, Milano era la Shanghai del tempo. Sì, ma aggiungeremmo che era migliore per tratto,cultura e charme. E quelle qualità non sonodisperse: sono nascoste nelle pieghe della schivae orgogliosa laboriosità meneghina. Tiratele fuori.Siamo inguaribili amanti ottimisti di una cittàin crisi di identità che un secolo, o due secoli,

In basso: il CastelloSforzesco(foto di StefanoGusmeroli)

A destra: sestiga bronzeasull’Arco dellaPace (foto diMauro Ranzani)

In basso a destra: nuovo PoloFiera Milanodi Rho-Pero(foto di MarioDe Biasi)

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dopo si interroga su se stessa e non sa cherisposte dare. Il viaggiatore milanese percorrequella strada napoleonica verso il Sempione,che passa tra Naviglio Grande, Ticino, lagoMaggiore e lago d’Orta, sulle tracce del genio di Leonardo, dei Visconti e dei Borromeo, fino alle pareti alpine dell’ Ossola, con lo sguar-do perso tra infinite (e sconosciute) bellezze.Respira profondo, ha l’animo compiaciuto, ma la ragione gli dice sottovoce che conservaree ricordare, purtroppo, non basta. Non è maibastato, nemmeno duecento anni fa.

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passarono mai. Da subito, invece, i ”gran turisti”romantici eleggeranno il passo come il valicopreferito per la discesa in Italia. Già nel 1809una piccola guida al viaggio è scritta a Ginevra:la forma del lago Lemano è definita “à peu prèsquelle d’un croissant” e parlando delle IsoleBorromee si annota: “Quelle charmant prome-nade pour les habitans des environs, de venir le soir des jours d’été respirer près de ces îles le parfum des citronniers et des orangers!”.Parole che descrivono la gentilezza, e la veravocazione, di quei luoghi che dovevano esseresulla “via dei cannoni”. In seguito il Sempione,con le sue magnifiche gole tra le vette ghiacciate,diventa un simbolo del viaggio romantico, un percorso sublime o iniziatico per essereintrodotti alle luminosità italiane. Si attraversail cuore di montagne che collegano, e non piùdividono, mondi diversi. Dai cupi dirupi siscende, in poco tempo, ai paesini, alle ville, ai giardini riflessi nelle acque del lago Maggiore.I dolci panorami del Bel Paese si dischiudonoagli occhi, via via che si scende dal passo. Le guide al viaggio si moltiplicano diventando,per tutto l’Ottocento, quasi dei libri d’arte, conpregiate incisioni tratte da disegni dal vero.Andar da Ginevra a Milano, passando peril Sempione, è parte del Grand Tour di molti artisti, letterati, pensatori per diversi decenni.Nel 1906 si inaugura il traforo ferroviario conla grande eco nella favolosa esposizione milanese,una sfavillante fiera che farà sognare tutta lagenerazione “del Sempione”. Nel 1819 sarà ilSimplon-Orient-Express a percorrere il celebretunnel verso mete turistiche sempre più lontane.Ma la bellezza dell’intera strada, le cittadinedel milanese ricche di chiese con preziosidipinti, il Ticino con il Naviglio Grande, il lagod’Orta, il Maggiore e le isole, le valli ossolane, i Sacri Monti, la possibilità di deviazioni in luoghi bellissimi, continuano ad attrarre,fatalmente, grandi personaggi ed emozioni.

LUNGO LA STRADA DEL SEMPIONE: UN VIAGGIO NEL TEMPO,NELLA STORIA, NELLA BELLEZZADI ROBERTA CORDANI

Ripercorriamo oggi una storica strada che va della Pace, alle montagne del passo del Sempione.È un viaggio nel paesaggio, ma anche nella storia e nello “spirito del tempo” della cittànapoleonica e della città del 1906, anno dellaEsposizione Internazionale. “Tutti abbiamoimparato qualche cosa dall’Esposizione Interna-zionale di questo 1906: abbiamo constatato il grande cammino fatto dalle industrie in Italiain ogni ramo, abbiamo misurato l'importanzadella nostra produzione che rivela un sensolatente di espansione, e l’abbiamo fatta conoscere al mondo [...] abbiamo studiato, confrontato, tratto profitto da quanto era esposto. Questa Esposizione ebbe un caratterepredominante: quello dell’arte che si è alleataall’industria per migliorarne i prodotti. L’industriadiventa artistica ogni giorno di più: e il bello,altamente educatore che ingentilisce i costumi,entra negli oggetti più comuni, anche in quellid’uso domestico, in tutte le case, quale elementodi progredita civiltà”. La chiusura dell'Esposizione milanese del1906, che celebrava, con milioni di visitatori,quella grandiosa avventura del progresso che fuil traforo ferroviario al passo del Sempione, fucommentata dal quotidiano milanese “Il Secolo”con queste parole di entusiasmo e di impegno.Il tema del bello legato all’industria - forse alla vita, si era in fondo in piena Belle Epoque -sembra essere un amato testimone da lasciarenelle mani dei posteri come segno di civiltà.Cent’anni prima, Napoleone - accolto da spetta-colari feste nelle piazze di Milano - aveva volutoche la città ripensasse la sua figura sul tema del bello e dell’utile così, con il coordinamentodella Commissione di Pubblico Ornato, si pro-gettarono piazze e monumenti. In quei primi anni dell’Ottocento Milano guardava all’Europadall’Arco della Pace, da lì partiva il corso, il lungo boulevard alberato, che portava alle vied’Europa per il passo del Sempione. Un valicoche, voluto da Napoleone stesso, fu reso carreg-giabile proprio nel 1806. Forse l’imperatoreavrebbe approvato che, proprio nella zona dovesarebbe dovuto sorgere il “suo” Foro Bonaparte,si svolgesse una celebrazione così fastosa dellamoderna via ferrata, cent’anni dopo la sua.Il tema del bello sembra avere un legame profon-do con la strada del Sempione. Il Bonaparte l’aveva fatta costruire - dai suoi valenti tecnici e ingegneri dell’Ecole des Ponts et Chaussées -per i cannoni, ma né lui né i suoi cannoni vi

In basso: l’ospizio seicen-tesco costruitodal baroneStockalperal Passo delSempione(foto di RobertoMascaroni)

A destra: Vue de Genèvedepuis Cologni, incisionedi G.L. Lory e M.G. Lory

In basso a destra: l’Isola Bella sul lagoMaggiore,sullo sfondo le montagnedel Sempione(foto diFrancescaDe Col Tana)

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Altrettanto fatalmente sembra che questa bellezza,naturale e costruita, riesca a difendersi dagliattacchi delle varie epoche. Con Milano verso ilSempione vorrei ripercorrere oggi, in compagniadella storia e del bello, questa stessa strada,rileggendo le immagini e le idee chehanno affa-scinato i viaggiatori del passato. Partendo dallacittà, anzi dalla città della memoria, per arrivareai panorami dei laghi e della wilderness dellemontagne dell’Ossola, alle soste nei luoghi d’arteche si trovano sul percorso. Con il piacere delGrand Tour, del viaggiare non per spostarsi ma

per conoscere e riscoprire, arriviamo a mete scelte,commentate da voci esperte, com’era nel gustodel viaggiatore raffinato di una volta.Un viaggio che inizia dalla città del 1806 e daquella del 1906, per arrivare agli itinerari che,nel 2006, si possono completare in poche ore.Un viaggio vicino, quindi, ma che penso porteràlontano nel tempo e proporrà nuove scoperte. Il Sempione oggi, più che un monte, una strada o un traforo, rappresenta la storia di un importante, affascinante itinerario culturale di civiltà.

I testi sono tratti, con la cortese autorizzazione degli autorie dell’editore, dal volumeMILANO VERSO IL SEMPIONE, a cura di Roberta Cordani, 2006, edizioni Celip, via Tunisia, 4 - Milano.A Milano nelle migliori librerie

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La costantevolontà di espiazione fecevivere Suor Maria de Leyva,in quarantadueanni di eroicapenitenza,nel solo desiderio di dimenticaretutto per esseremeritevoledi un amore più alto.

LA MONACA DI MONZAUN PERSONAGGIO MANZONIANO NELL’ARCHIVIO STORICO DELLA BANCA REGIONALE EUROPEA

DI SERGIO CAVAGNA

La Monaca di Monza è tra i personaggi piùirrequieti e pungenti incontrati nella storia del romanzo manzoniano. Soggetto che suscitòstudi ed una minuziosa ricostruzione della vitadella Signora di Monza. Dai registri contabilidel Monastero delle Convertite di S.Valeria,facenti parte dell’Archivio Storico della BancaRegionale Europea, si scopre il ricorrere del nome di Suor Virginia Maria de Leyva, la Monaca di Monza, che trascorse nella PiaCasa una lunga penitenza che durò dal 25 settembre 1608 fino al 7 gennaio 1650.Il Monastero delle Convertite di Santa Valeriadi Milano ebbe origine nel 1532 per merito di Buono Cremonese, un cittadino esemplare,che riuscì ad ospitare alcune femmine ravvedute in un locale presso la Chiesa di S. Valeria, a porta Vercellina. Questa iniziativafu poi rafforzata dal sostegno fattivo di alcunigentiluomini e facoltosi mercanti milanesi i quali ottennero nel 1533 un diploma ducaledi Francesco II in difesa di questo progetto. In seguito, le donne penitenti furono ospitatein locali più capienti sulla cui entrata esistevala scritta “ Casa delle povere donne convertite”.La vita delle penitenti fu sempre travagliataanche durante il nuovo soggiorno. Avvennerofughe frequenti che sollecitarono l’approvazionedi norme specifiche per poter imporre unaferma disciplina. Occorreva esigere una vitaspirituale e religiosamente osservante delleregole per il recupero delle convertite. A tale scopo il Pontefice Paolo III, nel 1538,riconosceva la casa istituita a rifugio delledonne perdute presso la Chiesa Parrocchialedi Santa Valeria a Milano e stabiliva che le donne convertite dovevano sottomettersiall’obbedienza di una Governatrice e parte-cipare alla messa quotidiana. Anche Carlo V,con decreto emanato il 19 marzo 1539, integrava la fisionomia istituzionale della Casa,riconoscendo al nuovo Monastero parte delleprerogative già concesse all’Ospedale Maggioredi Milano e ad altri Luoghi Pii. In pratica leconvertite avevano la possibilità di acquistaree possedere beni mobili. Si è visto, con questiriconoscimenti, incrementare l’attività dellaPia Casa, aumentando la presenza, dalle 20iniziali penitenti, alle 155 nel 1574.

Non mancò l’aiuto di S. Carlo Borromeo che diede la sua protezione alla Pia Casa, promuovendo raccolte di offerte in tutta la Diocesi. Le offerte, spesso anonime, sonodocumentate dai libri contabili conservatipresso l’Archivio Storico della Banca RegionaleEuropea ed ereditati, dopo la soppressione del Monastero per decreto dell’ImperatoreGiuseppe II nel 1785, dalla Banca del Montedi Milano. La documentazione è costituita da circa cinquanta registri classificabili in tre categorie: libri di cassa che riflettono la vita quotidiana del Monastero, libri mastriche integrano non solo la vita riguardante la contabilità dell’Istituto, ma offrono ancheindicazioni e dati della storia economica milanese, ed infine, i libri delle ordinazioniche documentano le delibere approvate daiDeputati del Pio Luogo. Da queste pagine è possibile ricostruire le vicende del Monasteroin tutte le sue difficoltà e capacità di supera-mento delle stesse. Nei libri di cassa, si riscon-trano sovente l’annotazione di somme riscosseda mercanti per lavori tessili effettuati dall’impegno quotidiano di tutte le convertiteche trovavano nell’attività manuale un rimediocontro i rischi dell’ozio. Nonostante ciò, alcunedelle recluse, non osservanti dei regolamenti,erano cadute in colpe gravi e poi punite con la reclusione in un camerino che prevedeval’isolamento dal resto della comunità.

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In uno di questi camerini entrò, il 25 settembre1608, la più celebre reclusa di Santa Valeria: Suor Virginia de Leyva, la Monaca di Monza. La sua ribellione, sollecitata in nome del suo titolo di feudataria del borgo milanese, fu domata da Federigo Borromeo, già dal 15novembre 1607. Il Cardinale, ormai certo della fondatezza delle voci sulla Suora, deciseil trasferimento al Monastero del Bocchetto di Milano. Il processo, a carico di Suor Virginiae delle sue complici, si concluse il 18 ottobre1608 con la condanna alla segregazione perpetua nella cella di Santa Valeria. In merito a questa cella, la Signora di Monzaebbe a scrivere ad una monaca del Lentasio:“per li miei peccati ha voluto la giustizia del Signore che sia stata posta in un carcere di brazza tre larghe, et di lunghezza de cinqueet murata la porta et finestra in tal modo chenon vedeva se non tanto spiracolo bastante perdire l’offizio” (la cella misurava 2,40x1,80 m).La sentenza, che potrebbe mostrarsi giusta perl’elevazione spirituale della peccatrice, esprimeuna particolare rigidezza sia per la continuitàche per le modalità dell’esecuzione.

È così che la potente Signora di Monza, appenatrentenne, grande nelle colpe e nello scandalo,fu destinata ad espiare i suoi peccati, percor-rendo la via del più miracoloso ravvedimento.Durante i primi anni di prigionia non compaionoregistrazioni di versamenti specifici ad eccezionedelle offerte che annualmente venivano versateal Monastero di S. Valeria da parte del CardinaleFederigo. Probabilmente queste offerte copri-vano anche la pensione che avrebbe dovutopagare la Signora di Monza. Successe che, dopoi primi dieci anni di permanenza, i Deputati di Santa Valeria (oggi sarebbero chiamatiConsiglieri) incominciarono a preoccuparsi del mantenimento della nobile Signora, cercando di attuare il dispositivo della sentenzariguardante i beni e le rendite che dovevanoessere versati al Monastero di Santa Valeria da parte del Monastero di Monza. A tale proposito, nel Mastro relativo agli anni 1620-1658 compare, in data 23 gennaio 1622, la spesa di 10 soldi per una intimazione fatta il 19 settembre 1621 alle Monache di Monza.Successivamente, nel libro cassa (1617-1624)emerge, in data 11 aprile 1622, la spesa di 19lire a causa della lite “per gli alimenti de SuorVirginia Maria che molti anni vive nella casadelle Convertite”. La controversia si accese a tal punto che il Cardinale Borromeo diedeincarico al suo Vicario Generale di studiare il caso e di proporre una soluzione definitiva.Finalmente, il 31 gennaio 1624 il Cardinalepreordinò una convenzione che poneva finealla lite. Gli accordi stabiliti fecero riferimentoalla convenzione sottoscritta fra Don Martinode Leyva e le Reverende Suore di SantaMargherita di Monza, il 15 marzo del 1589, in occasione della vestizione della sua primogenita. Il nobile militare spagnolo offrivain promessa la dote spirituale di seimila lire ed il contratto annuo di trecento lire imperiali,riducendo di molto la legittima eredità spettante, da parte della madre Virginia Marino,che era di 39.681 lire. Questi accordi finanziari,sottoscritti da Don Martino de Leyva per tacitare ogni futura pretesa della sua primoge-nita, dovevano avere completo adempimentodopo i voti presi dalla figlia. Il persistere dellamancanza dei versamenti da parte del Monasterodi Monza per il mantenimento della nobileospite, impose ai Deputati di procedere controil Monastero di Monza al fine di ottenere quantodovuto. Si trattava di applicare il dispositivodella sentenza riguardanti i beni ed i redditidi Suor Virginia; beni che dovevano esseredevoluti “ a pro del Monastero di S. Valeria di Milano, a titolo di alimenti della prigioniera,e ciò soltanto finch’ella durerà in vita…”.

31 agosto 1622 registrazionedella partita dilire 600 a titolo di alimenti, da parte dellemonache di SantaMargherita di Monza per la celebre prigioniera

In basso: spesa di 10 soldi peruna intimazionefatta il 19 settembre 1621alle monache di SantaMargherita di Monza

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Infatti, nel libro mastro di Santa Valeria (1620-1658 c.117), risulta l’utilizzo di 600 lire, a titolodi alimenti per la celebre Suora, parzialmenteottenuti dal sequestro posto presso un grossodebitore, Ottavio Secco, delle Monache di Monza.Altri versamenti risultano fatti dallo stessodebitore, in base agli accordi fatti in precedenza,sia a saldo delle quote arretrate che per le quoteannue di 234 lire. Il 25 settembre 1622, il Cardinale Borromeo, per la giusta pietà e per l’eroico ravvedimento di suor Virginia,commutò la pena abbattendo il muro che l’aveva isolata con il resto del mondo.Questo avvenne esattamente quattordici annidopo e nello stesso giorno dell’inizio della suaprigionia. Durante il 1630, anno critico dellapeste manzoniana, i versamenti non avvenneroregolarmente. Occorre attendere l’anno 1632per constatare l’avvenuta regolarizzazione dei debiti, come si può leggere dalle scritturedel Mastro 1620-1658, c.115.Gli inesprimibili dolori e le privazioni di ognigenere non erano riusciti a piegare il povero

corpo di suor Virginia. Ormai tutte le persone,direttamente o indirettamente consce del suodramma umano, erano scomparse, lasciandolasola e, come scrive il Ripamonti, “vecchierella,curva, scarna, macilenta, venerabile, cui difficilmente, a vederla qual è, ti figurerestiche sia stata un tempo bella e inonesta”. Suor Virginia ebbe, nella comprensione e nell’autorità del Borromeo, l’unico confortosul cammino della sua eroica espiazione. Le registrazioni del Mastro, che ricordano i versamenti fatti dalle Monache di SantaMargherita di Monza per la penitente di SantaValeria, terminano con questa nota: “ 1650 Addì 7 Gennaro devono le sudette per alimenti douti ala sudeta Sor Virginia MariaLeva sino a di sudeto che è pasata a migliorevita in credito al entrata a fo 380 L. 39 “.È così che la costante volontà di espiazione fecevivere Suor Maria de Leyva, in quarantadueanni di eroica penitenza, nel solo desiderio di dimenticare tutto per essere meritevole di un amore più alto.

Nel Mastro 1620-58 c.115 si legge:“Reverendemonache di SantaMargherita di Monza in conto degli alimenti di suorVirginia Mariadevono adì, ultimo dicembre1632L. 48.185 s.-d.-”

In basso: ultimiversamenti dovutidalle Reverendemonache di SantaMargherita di Monza alle Pie Convertite di Milano pergli alimenti di suor VirginiaMaria de Leyva.Ben visibile appare la datadella sua morteavvenuta il 7 gennaio 1650

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IL BEATO SISTO BRIOSCHI DA MILANOCONFERITO ALLA BANCA REGIONALE EUROPEA, EREDE DEGLI ANTICHI MONTI DI PIETÀ, IL DIPLOMA DI FRATERNITÀ FRANCESCANA

Si sono concluse a Milano, il 22 novembre,presso la Chiesa di Sant’Angelo, le celebrazioniper i 600 anni dalla nascita del Beato Sisto daBrioschi di Milano. Tali celebrazioni erano stateavviate il 22 novembre di due anni prima, conuna solenne celebrazione nella Chiesa di SanFrancesco in Mantova. Le due chiese rivestivanoun significato particolare nella vita del BeatoSisto, un francescano nato da nobile famiglia a Milano –secondo alcuni biografi nel 1404,secondo altri nel 1406- che aveva iniziato lasua vita religiosa proprio dal convento annessoalla Chiesa di Sant’Angelo e si era poi spentoa Mantova, dove aveva vissuto per circa 50anni, proprio nel convento annesso alla Chiesadi San Francesco. Tra le due celebrazioni si è tenuta una mostra-tavola rotonda, prima a Milano, presso la Banca Regionale Europea(in cui, nel 1995, sono confluite la Banca delMonte di Lombardia, erede del Monti di Pietàdi Milano e Pavia, e la Cassa di Risparmio di Cuneo), e poi a Mantova, presso il MuseoDiocesano intitolato al vescovo di quella città,il Venerabile Francesco Gonzaga.

Ma chi era il Beato Sisto?Fu innanzitutto un maestro di spiritualità:questo è il dato più rilevante che lo riguardi.Discepolo di un grande santo, San Bernardinoda Siena, fu a sua volta maestro di una schieradi giovani laici e religiosi, fra cui il BeatoBernardino da Feltre, che avrebbe fondato -sostenuto dal frate Sisto - il Monte di Pietà di Mantova e poi quello di Pavia, e il beatoLudovico di Gonzaga, che sarebbe diventatoVicario generale dell’Ordine francescano.Fu questa sua fama di maestro che lo portòprobabilmente ad essere il confessore deglistessi marchesi di Mantova, Ludiovico Gonzagae Barbara di Brandeburgo, che troviamo effigiati dal Mantegna nella famosa CameraPicta. Una posizione estremamente delicata,che vide Frate Sisto - il quale, secondo i biografi,era tenuto in particolare venerazione daiGonzaga - partecipare anche ad alcune vicendefamiliari di questa dinastia giovane, ma inrapida ascesa, come si desume da alcune lettererinvenute presso l’Archivio di Stato a Mantova.Non per questo si dimentivcò dei poveri. Frate Sisto - dicono ancora i biografi - “fustrenuo difensore della causa del povero, fu

debellatore dell’usura, fu sostenitore della erezione del Monte di Pietà di Mantova. E lo vediamo a fianco del vessillo che si potròin trionfo alla sede del Monte di Pietà” (appenacostituito), una domenica di dicembre del 1484.Qualche anno prima, il Beato era stato nominatoCommissario presso la corte dei Gonzaga perla crociata contro i turchi promossa da Sisto IV.Dopo una vita lunga ed intensa, il Beato Sistomorì nella notte del 16 dicembre 1486 e vennesepolto, a quanto riferito dagli storici, “nel murodella cappella dei Signori”, che i Gonzaga avevano nella chiesa annessa al convento diSan Francesco. Successivamente, il corpo del beato sarebbe stato trasferito nel santuariodi Sant’Antonio di padova in Milano, dov’ètuttora venerato, per concessione di San Pio X.

La tavola rotonda tenuta a Milano è stataintrodotta dal Vice presidente della BancaRegionale Europea, prof. Mario Cera, il qualeha illustrato il ruolo passato e presente deiMonti di Pietà, che svolgono tuttora una funzione sociale ereditata dagli antichi monti.Sono seguiti gli interventi del prof. EdoardoTeodoro Brioschi, del padre don CarlosAlessandro Gonzaga di Vescovato, dello storicoGiancarlo Malacarne, di mons. Giovanni Voltae di frate Roberto Ferrari. Nel corso dellacelebrazione conclusiva tenuta nella Chiesa di Sant’Angelo in Milano è stato conferito allaBanca Regionale Europea il Diploma diFraternità Francescana.

DI EDOARDO TEODORO BRIOSCHI

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Barolo e le colline di Langa hanno da poco una nuova attrattiva. Accanto a borghi e paesida fiaba, a castelli medioevali e residenze sabude,a enoteche regionali e mille celebri cantine ma soprattutto davanti alle colline più belle del mondo è nato un nuovo, imperdibile Museo.Un nuovo Museo da queste parti non poteva cheavere a che fare o col cibo o col vino, o con tuttie due! E infatti questo è un Museo a cui tutti gli enofili (ma anche gli amanti della tavola edelle sue cerimonie) non potranno non prestareattenzione, essendo l’oggetto in esposizione il passaggio obbligato tra una grande bottigliaed un’emozionante bevuta: stiamo parlando del Cavatappi o Tirebuchon o Corkscrew o (se preferite il tedesco) Korkenziher.La citazione in varie lingue non è un vezzo del giornalista, essendo stati i suddetti Cavatappiespressione per quattro secoli della miglioremeccanica umana. Inglesi, tedeschi, francesi e poi italiani e infine svizzeri e americani hannoperfezionato in continuazione un meccanismoche in fisica è freddamente una banale molti-plicazione di vettori, mentre nell’immaginariocollettivo è un momento magico, carico disuspense, a metà tra il coup de thêatre e il giocodi prestigio, con cui un signore elegante in divisada sommelier (ma anche un simpatico oste alla buona) completa il delicato “passaggio di proprietà” di una bottiglia, dalla sua privatacantina alla nostra pubblica tavola.Il Cavatappi in effetti è molto più di un oggetto,o di un utensile. A ripercorrerne la secolare storia si capisce che su di esso gli uomini, la società e le mode hanno trasferito simboli e metafore, rendendo così anche i Cavatappiun’espressione unica e fedele del proprio tempo.DI PIETRO GIOVANNINI

COME SAPER STAPPARE (E BENE) UNA BOTTIGLIA!IL MUSEO DEL CAVATAPPI DI BAROLO

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Il Cavatappi nasce con la bottiglia (cioè quandosi iniziano a produrre vetri resistenti, e dellastessa capacità, per uso commerciale) e alla conseguente introduzione del tappo, intornodunque alla metà del ‘600. Il primo brevetto è di mr. Samuel Henshall (al solito) inglese e risale al 1785. Nel Museo, in un allestimentoespositivo di grande fascino, potrete ammirare i primi esemplari realizzati (una semplice vite piegata su se stessa) in maniera spartana,per perdervi poi tra pezzi in legno a doppia elicadella tedesca Eggers di Bremen o quelli in ferroe ottone a pignone e cremagliera della ingleseThomason, passando dalle perfette fusioni dellaHeeley & Sons di Birmingham (1884), alle levecomposte dell’atélier Jules Bart di Nancy (1919).C’è spazio per esemplari scandinavi in peltro equelli tascabili tipo coltellino svizzero, per quellida signora (presentati discretamente per profumie medicinali) e per curiosi pezzi cinesi a formadi sommelier... Sfilano poi quelli rari, preziosi,marcati con insegne, cifre e blasoni per unanobiltà del ‘700 in cui tutto era rappresentativodel proprio status sociale, pezzi in avorio, tartaruga, oro e pietre preziose, scolpiti in fili di perle o incisi in argento.E in un oggetto di potere (per di più tascabile!)come potevano mancare le allusioni sessuali?Come per gli orologi, la fantasia si spreca:

imperdibile il french can-can (americano inacciaio e celluloide) e il Cavatappi, modelloGiano bifronte, a due sessi, e soprattutto la satiradi costume con le esilaranti caricature del senatore Volstead (il crociato del Proibizionismo),trasformato lui stesso nello puro strumento diperdizione! Una cavalcata attraverso i secoli finoai più moderni e astrusi esemplari Corky a pompad’aria, passando anche per una bella fetta digrande design tricolore: da Carlo Giamelli aTullio Campagnolo, ovvero quando lo strumentodiventa stile e fantasia.

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Ma torniamo all’inizio... cioè a Torino, da dove un simpatico neo-farmacista di nomePaolo Annoni (ma in Piemonte sono tutti farmacisti, gli amanti del vino??? Da Zabaldanoa Cappellano, da De Giacomi a Oddero! Ma cosagli faranno studiare a Torino?!) si trasferisce per esercitare la nobile professione in quel diCarrù - Porta d’la Langa - come recita il cartelloall’ingresso della cittadina, famosa per aver datoi natali al primo Presidente della Repubblica(Luigi Einaudi era infatto nato qui, 24 marzo1874) ma soprattutto (se il Quirinale non si secca)per aver conservato quel miracolo che è la Fieradel Bue Grasso (quest’anno cade il 14 dicembre,come sempre di giovedì) uno spettacolo (perocchi e pance) meraviglioso che merita un articolo a parte! In ogni caso giunto a Carrù il nostro Paolo riceve un’ottima accoglienza e anche un dono: un Cavatappi appunto!È il 1987 e il tarlo della passione inizia a lavorare il farmacista in silenzio: così primarastrella in sordina mercatini e spacci locali,quindi, preso coraggio, passa a negozi specia-lizzati, antiquari e collezionisti... per approdare

infine, perso ormai ogni freno inibitore, a fiereinternazionali e grandi aste! Ho scoperto cosìche Christie e Sotheby tengono due aste all’annodedicate solo al nostro simpatico Cavatappi, astedove il dott. Annoni ovviamente non manca mai!Insomma, dagli oggi e dagli domani, ecco che in vent’anni Paolo ha messo insieme qualcosacome mille pezzi unici. Nel frattempo ha cedutola farmacia e varcata la Porta è entrato a pienotitolo in Langa: un anno sabbatico passatoprima a trovare la sede e quindi a studiare gli allestimenti per giungere in maggio ad inaugurare il luogo dove il suo “vizio” privatodiventa pubblica “virtù”: il Museo di Barolo,con esposti in pianta stabile almeno 500 pezzidella sua collezione.La cosa desta stupore e interesse non solo perché un Museo dedicato al Cavatappi nelpaese di uno dei più grandi rossi del mondo è naturaliter un’attrazione, ma anche perché i Musei del genere nel mondo sono pochissimi:uno vicino Brescia, due in Francia, uno aMonaco di Baviera, uno negli States, uno in Giappone e… stop.

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Alcune delle migliori collezioni sono inglesi, ma sono privatissime e quindi inaccessibili. In effetti l’associazione dei collezionisti diCavatappi (eh sì, sono organizzati i ragazzi!)raccoglie - solo in Italia - oltre 40 membri.Molti di più nel resto di Europa, per tacere del nuovo mondo. E allora come mai così pochiMusei? I collezionisti sono gente molto partico-lare (chi scrive appartiene alla categoria), gelosissimi delle proprie cose, spesso invidiosidegli altri, sempre insofferenti davanti ai non-esperti, e in definitiva poco o punto interessatia condividere il proprio piacere contemplativocol resto del mondo. Anche per questo il dott.Annoni è da ammirare e ringraziare: per averreso pubblico un suo momento estremamenteprivato, quasi una sorta di autodafé per questasua umana debolezza (si scherza ovviamente!)riportando al comune interesse una passioneventennale (che continua ovviamente) e nel farlo,per aver scelto un posto che di vino (e quindi di Cavatappi) se ne intende. E siccome chi colleziona orologi, li carica ogni giorno… e chi invece armi antiche, le smonta e le olia

di continuo… così chi custodisce Cavatappiesercita amabilmente anche l’abitudine dellostappo! E cosa stappereste voi con un Thomasoninglese del 1802, motto “Ne plus ultra”, a doppiavite, manico in avorio con spazzolino per lapolvere? Un Lambrusco… o un grande Barolo?!Magari una bottiglia storica, come quelle espostenel fornitissimo shop (stampe, gadget, accessori…di tutto!) del Museo, che ci inebri e possariportarci indietro nei secoli… ecco, complice la sottile nebbia invernale e il fascino senzatempo del borgo, già ci sembra di veder sfilaresotto l’arco del Castello Falletti le 325 carrà per la Corte Sabauda, mentre dalla finestradella Biblioteca, un occhialuto Silvio Pellicocontrolla che tutto si svolga secondo i desideri della Marchesa... potere del vino,fascino del tempo, uniti insieme in un unicoluogo, in un solo oggetto: il Cavatappi!

Museo del Cavatappi, piazza Castello, 4 - Barolo (CN)aperto tutti i giorni (anche festivi) tranne il giovedìtel/fax +39.0173.56.05.39www.museodelcavatappi.it - [email protected]: 4 euro intero - 3 euro ridotto

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IN VIAGGIO CON ALESSANDRO VICARIO NEL “PAESAGGIO RITROVATO” DI LALLA ROMANO

DI ANTONIO RIA

Penso che il modo migliore e più efficace di ricordare Lalla Romano (1906-2001) nelcentenario della nascita sia quello di affidarela sua “memoria” ai libri, alle parole che restano.Ecco perché in questa occasione abbiamointensificato la pubblicazione di volumi di e su Lalla Romano: li enumero brevemente in ordine di apparizione. Cominciando dal suoDiario ultimo, edito da Einaudi, libro “estremo”,quasi al confine della parola, «canto muto»: i suoi appunti, aforismi, poesie, riflessionidegli ultimi mesi prima di morire, quando -ormai quasi cieca – si aggrappava alla scrittura,come unica possibilità di sopravvivenza.Sono stati poi pubblicati dall’editore svizzeroJean Olanizsyn (Edizioni Le Ricerche) duevolumi che accompagnano le mostre di LallaRomano a Lugano e a Sanremo, frutto di unalunga ricerca rispettivamente sul suo rapportocon la Svizzera e con la Liguria, soprattuttocon gli scrittori e gli artisti liguri: volumi checomprendono anche testi inediti di Lalla e di altri scrittori. Ecco i titoli: Lalla Romano.Il silenzio condiviso e Lalla Romano fra scrittura e immagini della Liguria.

Ernesto Ferrero ha raccolto e presentato conintelligenza ed efficacia una serie di testi di Lalla per dare corpo al volume (pubblicatodagli editori Manni di Lecce) che ha intitolatoVita di Lalla Romano raccontata da lei medesima, completato dagli autoritratti di Lallada lei stessa commentati: una guida suggestivaalla vita, alle opere, alle passioni, alle ideedella scrittrice, al suo «nuovo modo di vedere e di raccontare all’insegna della modernità».L’attualità di Lalla emerge anche dal “romanzodi formazione” del giovane scrittore Paolo Di Paolo: il suo uscire dall’adolescenza e l’affacciarsi alla vita adulta, con le riflessioni, i timori, le sofferenze, le emozioni, le gioie, le scoperte di un ventitreenne che fa i conticon la vita e la scrittura. Un «viaggioiniziatico», dunque, un «diario esistenziale» questo Come un’isoladi Paolo Di Paolo, che ha per sotto-titolo Viaggio con Lalla Romano,Giulio Perrone editore in Roma, a dimostrazione della modernità di Lalla, della “fecondità” del suo“magistero” o, più semplicemente,

DEMONTE. MERCOLEDI 14 GIUGNO 2006, ORE 20,58

Sono uscita nella strada davanti all’albergo, e ho sentito l’aria. L’aria mi può bastare. È la mia aria.Lalla Romano

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del fascino che la sua scrittura ha e può avereanche sui giovani di oggi fino a suscitare questaprosa «consapevole, rarefatta, pignolamente tesa verso i moti interiori», come l’ha definita DaciaMaraini. E ancora, per Interlinea di Novara, è uscita la raccolta di tutti gli scritti e le recen-sioni alle opere di Lalla pubblicate fin dal 1951da Carlo Bo: il volume si intitola Leggere LallaRomano. Un modo per confrontare la proprialettura con quella di un critico perspicace efedele, che nel tempo ha saputo penetrare inprofondità lo stile e le invenzioni che di voltain volta emergevano dalle opere della scrittrice.Ma anche il giovane autore Alessandro Vicarioci dà un ulteriore segno della profondità dellasua ricerca sull’opera di Lalla Romano con unaltro volume di fotografie, accompagnate datesti di Lalla, dopo aver pubblicato nel 2004Paesaggi d’assenza. Sulle tracce di Lalla Romano(Edizioni Le Ricerche), che avevamo a suotempo qui presentato. Il nuovo volume si intitolaUn paesaggio ritrovato e ha per sottotitolo A Demonte e in Valle Stura sulle tracce di LallaRomano, edito a Torino da Weber & Weber e che diventerà anche mostra nel febbraio 2007presso la galleria torinese di Alberto Weber,punto di forza significativo di un’insiemedi esposizioni sull’opera complessiva di LallaRomano che stiamo approntando a Torino conil Consiglio Regionale del Piemonte e conTorino Capitale Mondiale del Libro con Roma.Di questo importante progetto di Vicario, divenuto volume e mostra, vogliamo ora diffusamente dar conto.

Come osserva argutamente Giovanni Tesio nel testo introduttivo di Un paesaggio ritrovato,per la poetica di Lalla Romano «i luoghi sonotutto»: «I luoghi sono i cardini di un viaggioche mira al segreto, all’estatico, al permanente.Luoghi determinatissimi, ma nello stesso tempoincantati, fiabeschi, remoti». E il critico letterario cita l’assunto di Lalla Romano: «Per me anche i luoghi sono un po’ come delle persone». Ed è proprio in questa direzioneche va la ricerca di Vicario, il cui scopo - notaTesio - è quello «di interpretare una scrittura,di trovare un’immagine che - nella sua diver-sità - le corrisponda. Un rapporto che va da testo a testo. Non una verifica, dunque. E nemmeno un censimento. Ma un’epifania».Ecco, questo sono le fotografie di AlessandroVicario: un’epifania, cioè una manifestazionedi quel «sentimento dei luoghi» che è un cardine della scrittura di Lalla Romano. I cui testi, soprattutto della Penombra cheabbiamo attraversato, Vicario magistralmenteinterpreta, attraversando anche lui la sua«penombra», «che è quella di un testo amatofino a incorporare il sentimento che l’informa»(Tesio). L’esattezza di Vicario, la sua «passionecreativa» trascinano anche noi - con lui - «dal paese scritto al paese reale, dalla geografiaemotiva a quella topica», del luogo concreto.Ma il suo è un «ritorno» a Demonte, non «menonecessario della sua partenza da Ponte Stura[“nome d’arte” che Lalla Romano nelle sueopere ha dato a Demonte] che l’ha ispirato»:quel «Ponte Stura» simbolico, quasi metafisico,di ogni luogo di ogni infanzia, che ha lasciatoper sempre e su tutti un’impronta indelebile.Ecco perché alla fine Giovanni Tesio parla di«“penombra” delle affinità» fra Lalla Romano

NEL VALLONE DELL’ISCHIATOR. GIOVEDI 2 FEBBRAIO 2006, ORE 15,31

I nomi di quei monti, dal suono strano e misterioso come fossero in una lingua ignota. Erano il Tinibras, il Nebius, l’Ischiator. Evocavano paesaggi artici,desolati e solenni.

NEL VALLONE DELL’ARMA. VENERDI 16 SETTEMBRE 2005, ORE 15,38

La montagna era per me (come per la mamma) la bellezza.

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come per non farsele sfuggire, le riprende davicino e le ritaglia circondandole di silenzio».Sì, proprio come nello stile di Lalla Romano:«Per me scrivere è sempre stato cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualcheimmagine, dal rumore del mondo qualchenota, e circondarle di silenzio».

Ma torniamo ai luoghi, alla centralità dei luoghi in Lalla Romano e, di riflesso, in questolavoro di Alessandro Vicario. Proprio in conse-guenza dell’importanza che i luoghi originarihanno avuto nella vita e nella scrittura di Lalla,abbiamo voluto che la celebrazione nazionaledel centenario della sua nascita, l’11 novembrescorso, avvenisse fra Demonte e Cuneo.«Demonte - ha scritto Lalla Romano in unbreve testo rimasto inedito - è sempre statoper me, e ancor più lo è adesso, non soltantoil paese reale, che sempre ritrovo non moltomutato, ma anche il simbolo di tutto quelloche ha contato nella mia vita e soprattutto nel mio lavoro, cioè nella mia scrittura». E la consapevolezza dell’importanza dei luoghid’origine emerge con sempre maggiore insistenzain Lalla Romano col passare degli anni, fino a questa dichiarazione del 2000, a pochi mesidalla sua scomparsa, in un testo, Dedicatoa Cuneo, che apriva il piccolo catalogo della

e Alessandro Vicario. Ed ecco perché, comeVicario stesso nota nel testo in volume, inquesta ricerca è stata fondamentale l’idea ispiratrice dell’infanzia, quello «sguardo infantile» che conferisce mistero alle cose. «La fotografia – egli scrive – è un accostarsialle cose, lasciando che da esse (da ciò che di esse è visibile: dalle loro apparenze) emaniun poco del loro irriducibile mistero». E conclude: «La fotografia è il mezzo d’elezioneper registrare l’apparenza delle cose. E l’apparenza - è la stessa Lalla Romano arammentarcelo - “esprime il significato dellasostanza” (In vacanza col buon samaritano)».E anche lo stile, la forma (che nell’arte èsostanza) di Alessandro Vicario concorda conlo stile di Lalla. Nel saggio in volume GigliolaFoschi, storica e critica dell’arte e della foto-grafia, nota: «Rigorosamente non nostalgiche,precise come una testimonianza, le immaginidi questo autore, ancora una volta in sintoniacon la scrittura di Lalla, non operano peraggiunte, ma per sottrazioni». Lalla Romano«asciuga le frasi fino a farle apparire comeritagliate dentro il magma incontrollabile dellavita, fino a rendere ogni parola ineluttabile,precisa come un frammento di realtà. Lui usala fotografia come un prelievo, elimina ognielemento superfluo, si pone di fronte alle cose

NEL VALLONE DELL’ARMA. VENERDI 16 SETTEMBRE 2005, ORE 15,38

In nessun’altra valle vicina o lontanac’è quell’aria. Io la riconosco all’odore leggeroche sa di latte, di strame, di erbe amare.

C’era una rispondenza fra il vento e lo scrosciodel Cant, entrambi erano un fluire inesauribile.

DEMONTE,TORRENTE CANT DAL PONTESULLA STRADA PER PEROSA. MARTEDI 31 GENNAIO 2006, ORE 13,06

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mostra L’ora del tempo. Lalla Romano a Cuneo.Dipinti, disegni, documenti e che lei avevadefinito «testamento/confessione»: «I mieigenitori erano cuneesi e io mi considerocuneese, anche se la mia patria è Demonte,capoluogo della Valle Stura. Sono nata aDemonte per caso, perché era in quel periodola residenza dei miei genitori, trasferitisi là peril lavoro di mio padre. Temo di aver pensato,qualche volta nella vita, che non avesseimportanza il luogo della mia nascita. Invecepenso che sia un segno importante del nostrodestino il sito nel quale siamo nati».E accanto a questa consapevolezza dell’im-portanza dei luoghi d’origine, emerge in LallaRomano il tema del ritorno, non tanto comeritorno fisico, materiale, ma soprattutto comeritorno simbolico: alle origini del proprio«destino», dell’originaria ispirazione dell’arte,della scrittura. E quel testo citato, Dedicatoa Cuneo, si conclude con questa affermazioneilluminante: «Ritorniamo sempre nel luogo dal quale non siamo mai partiti».Il tema del «ritorno», delle «origini» accompagnacostantemente la riflessione di Lalla Romano:basti pensare all’ultimo libro pubblicato in vitanel 2000, Ritorno a Ponte Stura: «Nelle originic’è già tutto quello che sarà. Non è determini-smo, termine odioso, ma libertà. Parola sacra».

E l’ultimo capitolo inizia proprio con questaaffermazione: «Nel modo della scrittura i ritornisono un tempo fondamentale, immobile».Anche in Diario ultimo emerge questo temadel ritorno: «Si può ritornare dove non si èmai stati? Sì, purché si ami molto quel luogo./ È un pensiero delle fiabe. / E le fiabe sonopoesia per i bambini. // Perché il ricordo è più bello del vero? / Perché è il ricordo del paese dove non siamo mai stati. / Comefacciamo a ricordarlo? / Lo desideriamo. //Possiamo desiderare di tornare in un paesedove non siamo mai stati? Sì, se l’abbiamo visitato in sogno». Lalla Romano scrive di amore,di fiabe, di poesia, di ricordo, di desiderio, di sogno: tutti temi che ritornano ampiamentenelle sue opere e che qui vengono ripresidi seguito, in una concatenazione di pensiero,il cui sviluppo porterebbe lontano. Alessandro Vicario ha compiuto questo lungoviaggio di «ritorno», di «ritrovamento», perchéquesti luoghi li ha a lungo amati, vagheggiati,contemplati - prima ancora di andarci di persona - sui libri di Lalla (soprattutto La penombra che abbiamo attraversato e iromanzi “per immagini”) e sulle fotografie di Roberto Romano. Quello che Lalla desumeda Joubert («Non ci sono libri belli se nonquelli che sono stati a lungo contemplati»)

Appartenevano al tempo di prima certe feste che io cercavo di immaginare.

DEMONTE, PALAZZO DEL MUNICIPIO, NEL SALONE IN CUI AVEVANO LUOGO I RICEVIMENTI E I BALLI. DOMENICA 7 AGOSTO 2005, ORE 15,38

Le borgate, le ultime capanne erano come le tende estreme dell’umanità sulle soglie di unaltro mondo; erano misere e privilegiate insieme.

BORGATA BIANCOTTI, NEI PRESSI DI SAN GIACOMO. MERCOLEDI 14 GIUGNO 2006, ORE 15,25

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dell’infanzia della scrittrice, consiste proprionella «rivelazione» di un luogo abitabile datutti come una metafora. Le sue fotografie non sono semplicemente documenti, tracce,ma diventano rivelatrici di un viaggio non tantonel passato, ma nel presente di ciascuno di noi.

vale anche per questa ricerca, questa mostra e questo volume di Alessandro Vicario. Dopo Paeaggi d’assenza sulla casa di Lallarimasta intatta dopo la sua morte, era questo il passo ulteriore da compiere: tornare alleorigini, non solo come scelta filologica, macome scelta di poetica. Sono stati due anni di ricerche intense, prima nell’Archivio diLalla Romano nella casa milanese; poi Vicarioha compiuto numerosi viaggi con lunghe permanenze a Demonte e in Valle Stura nell’arco delle quattro stagioni. Ma al di làdell’impegno e della serietà, vorrei mettere in evidenza - sulla scorta delle parole di Lalla- quell’insieme di sogno, di desiderio, di fiabe,e quindi di ricerca di poesia, che ha caratte-rizzato questo lavoro di Alessandro Vicario. Sì, Alessandro è «tornato in un paese dovenon era mai stato», perché prima l’aveva «visitato in sogno», cioè nella dimensione del desiderio e dell’invenzione poetica.E poi, l’importante non è andare, ma ritornare:non è trovare, ma ritrovare. È questo il «paesaggio» che Vicario ha “ritrovato”: il «paesaggio dell’anima», prima ancora delpaesaggio fisico e naturale della Valle Stura. L’epifania della ricerca di Alessandro Vicario,del suo confronto con la scrittura di LallaRomano, con la rivisitazione dei luoghi

Una vaga paura incombeva dall’alto, dalla casadel custode, alla quale non ci si avvicinava.

DEMONTE, ESTERNO DELLA CASA NELLA QUALE ALLOGGIAVA IL CUSTODE DEL CASTELLO.GIOVEDI 15 SETTEMBRE 2005, ORE 18.26

NEI PRESSI DI FESTIONA.VENERDI 16 GIUGNO 2006, ORE 6.10.

Alessandro VicarioUn paesaggio ritrovatoA Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla RomanoA cura di Antonio RiaWeber & Weber

LA MOSTRA

UN PAESAGGIO RITROVATOA Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla Romano

Fotografie di Alessandro Vicarioa cura di Antonio Ria e Alberto WeberGalleria Weber & WeberVia San Tommaso, 7 - 10122 TorinoTel. +39 011 19 50 06 94

dall’8 febbraio all’8 marzo 2007Orario da martedì a sabato ore 16.00 -19.00Inaugurazione giovedì 8 febbraio 2007 dalle ore 16.30

Insieme ad altre mostre in vari spazi di Torinoper il progettoOMAGGIO A LALLA ROMANONEL CENTENARIO DELLA NASCITA

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Carducci non fu solo il grande poeta di Piantoantico, Davanti San Guido,Piemonte...,fu il “maestro”della terza Italia dal Risorgimentoalla grande guerra, che egli cercò di scongiurareall’insegna dellapace e della comprensionetra le nazioni.Dette voce a unideale universale e insegnò la viadell’impegnopolitico quale dovere civico.

“Giosue Carducci: scrittore, politico, massone”Milano, Tascabili Bompiani,pp.576, 2006, euro 12,50.

GIOSUE CARDUCCI, IL “MAESTRO” DELL’ “ITALAGENTE DA LE MOLTE VITE”

DI ALDO A. MOLA

Nel centenario del conferimento del premioNobel per la letteratura (10 dicembre 1906) e della sua morte, convegni, mostre e articolipubbliche ripropongono la figura e l’opera di Giosue Carducci (Valdicastello, Pietrasanta,27 luglio 1835 - Bologna, 16 febbraio 1907).Ma perché doversene occupare? Un sinteticobilancio della sua presenza nell’editoriae nelle librerie prova che Carducci rimane in un cono d’ombra, ai margini degli studi e della divulgazione. Un sondaggio nello svolgimento dei programmi ci dice che sempremeno viene insegnato. Tanti docenti non se ne sono mai occupati, non l’hanno “in simpatia” e quindi non se ne occupano.Talora accampano che gli allievi non lo “sentono” o lo avvertono lontano, estraneo al loro mondo. Ma a chi tocca farne coglierel’attualità? E poi, del resto, dov’è l’ attualità di Dante o Machiavelli se non nel fatto che sono classici, un passato remoto da riconquistare ogni giorno con fatica? La Casa Zanichelli, che deve la sua fortunaanzitutto alla sua opera, ha cancellato Carduccidal catalogo trent’anni addietro e non dà segnidi ripensamento. La nuova edizione nazionaledi suoi scritti, con passo più lento di altre analoghe imprese, compare per i tipi dellaMucchi di Modena. Neppure il Centenario ha indotto la celebre collana I Meridiani a proporne una silloge. Sono tutti segnali chefanno temere il peggio: quando si spegnerannogli ultimi fuochi artificiali del 2007 Carducciaffonderà nell’oblio in cui giace da decenni? Per liberarlo dalla polvere e restituirlo a un’attenzione meno occasionale e precaria,occorre compiere uno sforzo per cogliere l’essenza della sua opera, andare oltre l’imma-gine che egli stesso volle lasciare di sé e intendere appieno la missione che si assegnò:il forgiatore della coscienza civile di una nazionefortunosamente giunta all’unificazione politicae capace quindi di fare da modello per le tantealtre nazioni senza Stato dentro e fuori Europa.In presenza di una Unione di 25 Stati e mentretanti altri picchiano al suo uscio Carducci rivelala sua statura di grande protagonista della storia generale dell’Otto-Novecento in una prospettiva che può farne volano del Terzo

Millennio se si vuole andare oltre la riduzionematerialistica della società a mera somma discambi economici, a mercificazione. Carducci esercitò grande influenza, diretta e indiretta, nella formazione degli italiani dall’unificazione alla seconda guerra mondiale.Quand’egli morì, il maggiore statista italianodalla proclamazione del regno a oggi, GiovanniGiolitti, sempre concreto e misurato, chiese ai due rami del Parlamento di erigergli unmonumento nazionale in Roma “perché eradegno di star vicino a Vittorio Emanuele II ed a Garibaldi”: un giudizio, questo, che vamolto oltre il pregio di tante famose poesie(Pianto antico, Davanti San Guido, Parlamento,Piemonte...) e le celebri prose. Quali meritiebbe Carducci per essere considerato uno dei tre massimi forgiatori dell’unificazione italiana? Secondo Giolitti egli aveva insegnatoagli italiani “che nulla vi è di più alto che ilsentimento della libertà, quando è congiuntoall’amore della Patria”.

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Re Vittorio divenne il primo re d’Italia facendoleva sullo Stato: Corona, forze armate, diplo-mazia, burocrazia,..., e consenso internazionale.Ora d’intesa ora in gara con Camillo Cavour,giocò d’azzardo, ma quando venne l’ora accettòcon molto realismo le regole vincolanti del“concerto europeo”. Approvò l’armistizio diVillafranca nel 1859, la cessione del Venetoalla Francia, nel 1866, da parte dell’Imperod’Austria, che mai avrebbe riconosciuto d’esserestato sconfitto dal neoproclamato regno d’Italia,il profilo molto modesto dell’ingresso in Romanel settembre 1870. Solo trangugiando amaroe a prezzo di grandi sacrifici l’Italia divenne“la più piccola tra le grandi potenze”. A qualcuno pareva poco, ma come dimenticareche per secoli era stata dominata da stranieri?“Ahi, serva Italia, di dolore ostello...” avevascritto Dante Alighieri nella Divina Commedia:indipendenza, unità, libertà erano dunquetutt’uno. Dal canto suo Giuseppe Garibaldi sipose alla guida di un movimento “di popolo”bisognoso di un uomo-simbolo. Marinaioesperto, egli fece del suo meglio per cavalcarele onde, ma talora fu travolto e rischiò di rimanerne sommerso. La traversata della Sicilianel maggio-agosto 1860 non fu affatto unapasseggiata. L’ingresso in Napoli il 7 settembrefu un gesto audace che poteva costare carissimo,come si vide un mese dopo alla battaglia del Volturno ove i borbonici si batterono con grande valore. Poi vennero la catastrofedella spedizione del 1862, intrapresa con l’ottimistico motto “Roma o morte” (non ottennela prima e rischiò di trovarvi la seconda), e quella dell’ottobre 1867, finita con la ritiratada Mentana: morti, feriti e prigionieri sotto il crepitio degli chassepots dei francesi schierati a difesa di Pio IX.

E Carducci? Di condizioni poverissime, constudio “matto e disperatissimo” (come di séaveva scritto Giacomo Leopardi) egli si formòper formare a sua volta. Indagò e fece proprigli exempla dei grandi per ergersi egli stesso a modello. Dai classici apprese a essere giustoe perfetto : nella parola, nel gesto, nel senti-mento della ricerca. Ma per Carducci perfettonon significava insuperabile: stava per compiuto,terminato, approdo di un lungo processo dicrescita e di dirozzamento, di gradi attraverso i quali l’artiere procede dalla pietra grezza alla levigata, sapendo che altri poi verrà e unirà la sua alla propria a formare l’edificioperennemente in corso di costruzione: cantiere aperto, dunque, e termine di confrontocon quanto era prima e con ciò che verrà.

Alla morte, appena cinquantenne, suo padregli lasciò in eredità qualche libro e i ferri dichirurgo. Giosue conservò i primi, tutti giàletti, e vendette i secondi. Ne cavò dieci paoli.Una miseria. Prese con sé a Firenze la madre e il fratello minore, Valfredo. L’anno doposposò Elvira Menicucci (1835-1917), coetaneae cugina (ma non consanguinea), che tra il1859 e il 1872 gli dette tre figlie e due maschi.Laureato in lettere alla Normale di Pisa, insegnante al ginnasio di San Miniato al Tedesco(tre allievi, incluso Valfredo), docente al liceodi Pistoia dal 1859, il 23 agosto 1860 accettòla nomina a cattedratico di eloquenza italianaall’Università di Bologna. All’esordio avevadue allievi. Andò in pensione nel 1904. Da cinque anni non era in grado di scrivere e la parola gli usciva a stento di bocca.Presieduto da Giolitti e su proposta del ministrodell’Istruzione Vittorio Emanuele Orlando il governo gli assegnò un vitalizio di mille lire al mese. Perduti i maschi, all’epoca Giosueaveva in casa l’Elvira e la figlia maggiore,Beatrice, vedova, coi cinque figli avuti da CarloBevilacqua, docente di matematica, mortomentre faceva lezione. Non lasciò un baiocco.Giulio Gnaccarini, marito della secondogenita,Laura, una volta la settimana aiutava il suoceroa riordinare libri e carte. La minore, Libertà(Tittì), era sposa di Francesco Masi. Carducci visse di niente: case d’affitto di grandesobrietà, quasi spoglie. Una medesima lucernavenne adattata nel tempo dapprima a petroliopoi alla luce elettrica. Quando il barone CarloBildt, ambasciatore del re di Svezia, si recò acasa sua per conferirgli ufficialmente il premioNobel, per far figurare bene l’Italia Carduccinoleggiò lampadari sfavillanti, restituiti a festafinita. Viveva tra pochi arredi ma tanti libri,

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anche rari e preziosi, inscaffalati ovunque,inclusa la camera da letto: erano la passionesuprema della sua operosa vita di studiosoinfaticabile. Nel 1902, quand’ormai sulla suafamiglia incombeva lo spettro della povertà,Margherita di Savoia, vedova dopo l’assassiniodi suo marito, Umberto I, ne acquistò per40.000 lire la biblioteca e gliela lasciò “in uso” vita natural durante. Nel 1905 la reginaacquistò anche la casa d’affitto ove il poetaabitava e il 22 febbraio 1907 la donò al comunedi Bologna col vincolo che tutto rimanessecom’era a disposizione degli studiosi. Oggi è Casa Carducci: con tanti inediti in attesa di essere indagati e pubblicati.

La Casa-Museo non doveva essere ripostiglioma fucina. Come l’aveva voluta e vissuta egli stesso: docente severo, anzitutto con sémedesimo, consigliere comunale e provincialedi Bologna, eletto deputato alla Camera nel1876, altre due volte candidato, senatore del regno dal 1890, membro della deputazione di storia patria delle province dell’Emilia e poi suo presidente, componente del Consiglio

superiore della Pubblica istruzione, accademicodella crusca, accademico dei Lincei, infaticabilecuratore delle edizioni di classici (Leopardi,Antonio Ludovico Muratori...), autore di antologie concepite quali breviari della TerzaItalia. Fu il caso delle Letture del Risorgimentoitaliano: frutto di decenni di ricerca e selezione.Carducci fu dunque il vero geniale strategadella vita culturale della Terza Italia: l’idealecui dedicò la suo esistenza. Allo scopo creòuna scuola. Al suo arrivo all’Università diBologna contava due allievi: l’indifferenzanei confronti della letteratura italiana era pressoché totale. Trent’anni dopo decine di docenti insigni facevano a gara nel plasmarealtre generazioni di discepoli destinati ai licei,agl’istituti superiori, ai convitti militari. Il fratello di Giosue, Valfredo Carducci, tra gli allievi del collegio comunale di Forlimpopoliebbe Benito Mussolini, che vi dette i primisaggi di vivacità intellettuale e politica. Perchédunque dimenticare o deformare Carducci?Tra i motivi fondamentali della sua attualitàbasti la sua concezione della lingua: un temadi cui sì è discusso e si tornerà a dibatteremolto, anche in connessione con la proposta di legge volta a dichiarare l’ italiano linguaufficiale della Repubblica. Classicista di statura superiore e maestro difilologia Carducci si schierò con Dante Alighiericontro la riduzione della lingua a un feticcioimmobile, a un “fiorentino” artefatto e lezioso:il “manzonismo degli stenterelli” duramentesferzato in Davanti san Guido. Per Carducci,originario della Versilia, cresciuto in Maremma,vissuto a Bologna e perennemente vagante per l’Italia, da Piemonte e valle d’Aosta allaValtellina, dall’Umbria alla Napoli di MatildeSerao, Scarfoglio e Benedetto Croce, dallaGenova di Giuseppe Verdi a Roma, suo supremoideale: nella visione del Carme secolare, senzatentazioni nazionalistiche né solo europee. Per Carducci Roma e l’Italia erano e sarebberorimaste idee universali. Lo comprese bene la Reale Accademia di Svezia, come hannodocumentato Kjell Espmark ed Enrico Tiozzoin studi innovatori sulle motivazioni profondedelle designazioni dei premi Nobel.Il centenario è la grande occasione per recuperare il Carducci vero: scrittore, si, maanche e soprattutto politico: della politica alta,non del piccolo cabotaggio quotidiano comeegli stesso scrisse nella lettera di rifiuto dellaCattedra Dantesca: una lezione di coerenzaculturale e di austerità etica.

A sinistra: Annie Vivanti (1867-1942), la seconda grande ispiratrice del poeta

Giosue Carducci nella sua biblioteca, nella casa di Mura di Porta Mazzini

GIBA, IL MIGLIOR GIOCATORE DI VOLLEY AL MONDOPROFILO DEL CAMPIONE DELLA BRE BANCA LANNUTTI, PRIMO ALLE OLIMPIADI DI ATENE DEL 2004, ALLA WORLD LEAGUE E AI MONDIALI DI TOKIO DEL 2006

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“Cuneo è unposto meraviglio-so dove vivere. Il club e la squadra sonofantastici.Lo scorso annoabbiamo vinto la Coppa Italia,quest’annoci riproveremo,ma io scendo in campo con i miei compagni di squadra per portare a Cuneo quelloche manca”. Si parla di tricolore…

DI DANIELA GROPPI

Cinque anni fa – nel 2001 - Gilberto GodoyAmauri, oggi per tutti “Giba”, approdava per la prima volta in Italia e accettava la chiamatadel tecnico cuneese Silvano Prandi per un postocon il club di Ferrara, che allora militava nelCampionato di Serie A1. Prandi aveva adoc-chiato il giocatore brasiliano ritenendo cheavesse un futuro da campione, il tempo gli ha dato più che ragione: oggi Giba è il migliorgiocatore di volley al mondo. Con la nazionalebrasiliana ha vinto tutto, dai recentissimiMondiali, alla World League di quest’estatecome anche le Olimpiadi di Atene 2004, ogni volta aggiudicandosi il premio di MigliorAtleta della competizione. Ciò nonostante nonsi è montato la testa e non ha neppure abban-donato l’Italia, ha scelto Cuneo dove veste la maglia della Bre Banca Lannutti dal 2003 e dove il destino ha voluto che rincontrasse il suo “talent scout”, Silvano Prandi. Le ragioni della sua permanenza in Italia vannoin parte cercate nell’albero genealogico: nellesue vene un mix emiliano-brasiliano, grazie ad una bis nonna. Come si dice “buon sanguenon mente”, Giba è una persona aperta ecomunicativa, un bravo ragazzo che, però,quando scende in campo scatena una grintaincredibile; il suo pezzo forte è la “pipe” (per gli intenditori) un gesto tecnico di attaccocon cui sfida le leggi della fisica per annientarela difesa avversaria. La carriera del ragazzo di Londrina è iniziata negli anni della scuola:“dopo aver sperimentato molti sport ho provatoun’attrazione particolare per la pallavolo, èstato lo sport che mi è piaciuto di più; - raccontaGiba - l’ho scoperto grazie ad un professore che allenava una squadra in cui, dopo circa una settimana, ha introdotto anche me”.A 16 anni Giba vince con il Brasile il Mondialeprejuniores ad Istanbul insieme al titolo dimiglior giocatore e attaccante e pensa per la prima volta: “la mia carriera è questa”. Nel 1993 l’esordio nella Serie A1 brasiliana conil Curitibanio e nel 1995 la vittoria della primaCoppa Sudamericana (ne seguirono altre tre:1997, 1999 e 2000). Il giovane atleta si fa strada dimostrando il suo talento, nel 2002 la prima medaglia d’oro ai Mondiali con la nazionale verde-oro e nel 2003 la scelta di volare oltre Oceano per giocare in Italia

“dove c’è il Campionato più bello del mondo, i giocatori più forti, club ben organizzati e ottimi allenatori. È il sogno di tutti i brasilianipoter giocare qui da voi. Naturalmente io sonostato attratto dalle origini italiane della miafamiglia, anche se in realtà solamente in tempisuccessivi ho preso i contatti con i parenti modenesi, terra di grandi pallavolisti, che combinazione!”. Dal Brasile all’Italia: lingua,clima e abitudini diverse “per fortuna quandosono arrivato in Italia non ero solo, - prosegueil campione - per uno straniero è difficileambientarsi in un paese nuovo, specialmente

GILBERTO AMAURIGODOY FILHOData di nascita23.12.1976Luogo di nascitaLondrina (Brasile) Numero Maglia 7Ruolo SAltezza (cm) 194Peso (Kg) 90Carriera:1993-1994 Curitibanio- esordio in A1 1994-1995 Cocamar 1996-1997 Chapeco’San Caetano 1997-1998 Olimpikus 1998-1999 RepotNipomed1999-2001 Minas 2001-2002 Yahoo!Italia Volley Ferrara 2002-2003 Estense 4Torri Ferrara 2003-2004 NoicomBrebanca Cuneo 2004-2005 Bre BancaLannutti2005-2006 Bre BancaLannutti

Coppa Italia 2006 Medaglia d'oro alleOlimpiadi di Atene2004World League 2005,2004, 2003, 2001 Medaglia d’oro aiMondiali 2002, 2006 Scudetti SuperligaBrasiliana 2000, 1999 Coppa dei Campioni1997Coppa Sudamericana2001, 1999, 1997,1995

FOTO GIAN CERATO, BOVES

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La pallavolo maschile vive la sua età dell'oro.Lo confermano il seguito tv, il pubblico neipalasport, l'entusiasmo di grandi sponsor e una ricerca demoscopica condotta per contodella Lega Pallavolo da StageUp e Ipsos cheevidenzia numeri record per il campionato. I dati sul bacino allargato di appassionati: 7,6milioni di individui (il 19,2% degli italiani tra i 14 e i 64 anni) nella rilevazione conclusanel giugno di quest'anno hanno dichiarato diaver seguito il Campionato di Volley MaschileSerie A1 TIM nei sei mesi precedenti. Tra questi, 1 milione e 100mila persone siconfessano regolari e non solo saltuari. Un datosuperiore del 38,7% rispetto ad un anno prima.Il 19,2% degli italiani tra i 14 ed i 64 annidichiara di aver seguito, anche solo saltuaria-mente, il Campionato di Serie A1 TIM nei sei mesi precedenti la ricerca. Praticamente 1italiano su 5 ha seguito il massimo campionatodi volley. Lo stesso dato, un anno prima, era di poco superiore al 16%, dimostrando la crescita esponenziale degli appas-sionatiche seguono il campionato. Il ritratto del tifoso: giovane e colto.L’appassionato che dichiara il suo interesse perla pallavolo di Serie A1 ha un’identità semprepiù precisa. L’identikit tipo disegna un maschio(67%), che solo in relativa percentuale è unUnder 24 (26% dai 14 ai 24 anni, ma si segnalaun 20% tra i 45 e i 54 anni), altamente scola-rizzato (il 54% ha un diploma, il 14% unalaurea). La Serie A1 TIM si conferma quindiun evento decisamente giovane: la metà delpubblico degli interessati ha meno di 35 anni. In particolare si riscontra un interesse superiorealla media fra i 14-24enni, in crescita rispetto

IL PUBBLICO DEL CAMPIONATO DI VOLLEYMASCHILE - SERIE A TIM - SALE A 7,6 MILIONIUN ITALIANO SU CINQUE DICHIARA DI AVER SEGUITO IL CAMPIONATO DI SERIE A1.

alle ultime tre stagioni sportive. Ma notevole èanche la quota di pensionati, fra gli appassionati.La TV globale. A questi dati, di per sé eccezio-nali, va aggiunto il seguito all'estero. Il massimocampionato di volley maschile è infatti visto in tutto il mondo grazie ad Al Jazeera Sport(la Lega Pallavolo Serie A è stato il primo sportitaliano in assoluto a dare le proprie immaginial canale tematico mediorientale), ESPN Brasile,Sport Klub Serbia e gli highlights ceduti alcolosso giapponese TBS a cui si aggiunge, per

garantire copertura in ogni angolo del mondo,il sito www.bwin.com che offre due match liveogni settimana. Il campionato italiano, com’ènoto, viene definito dalla stampa estera comela “NBA del volley”; tutti i più forti giocatoridel pianeta volley scelgono la Serie A tricolore,considerato universalmente la maggiore sfidamondiale per un pallavolista.

per la lingua. Con me c’era Gustavo (altro talentopluridecorato che oggi milita nella Sisley Treviso),siamo stati fortunati perché a Ferrara abbiamoincontrato bravi giocatori che ci hanno dato un grande aiuto, come Juan Carlos Cuminetti(argentino, altro mito del volley) e poi il tecnicoSilvano Prandi, che con me ha avuto unapazienza infinita”. L’Italia diventa, così, la suaseconda patria, passando da Ferrara a Cuneo;quella in corso è la quarta stagione con la squadra piemontese del presidente ValterLannutti. “Cuneo è un posto meraviglioso dove vivere mi piace tantissimo (Giba risiede a Busca con la moglie Cristina Pirv – ex campionessa di volley - e la piccola Nicoll);il club e la squadra sono fantastici, qui ho imparato a trovare il piacere di vivere in Italia.Lo scorso anno abbiamo vinto la Coppa Italia,quest’anno ci riproveremo, ma io scendo in campocon i miei compagni di squadra per portare aCuneo quello che manca”, si parla di tricolore…

Dicembre2006, laBre BancaLannuttiè primain classifi-ca nelcampio-nato diserie A1

NOTIZIEDALLABANCAREGIONALEEUROPEA

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NOTIZIEDALLABANCAREGIONALEEUROPEA

PRESTICRESO:IL NUOVO PRESTITO FACILE, VELOCE E FLESSIBILE, FINO A 50.000 EURO La Banca Regionale Europea proponeil nuovo prestito personale Presticreso,caratterizzato da condizioni moltocompetitive. L’importo del prestito può variare da 2.750 a 50.000euro; la durata da 12 a 60 mesi;

il tasso, (TAN) è del 7,25%(TAEG/ISC massimo 13,797%)1.Le formalità sono ridotte al minimo:sono richiesti la carta di identità, il codice fiscale, un documento di attestazione del reddito. I tempi di erogazione sono veloci: 48 oredalla delibera. L’ammontare dellarata è modificabile, ed è previstauna franchigia di 90 giorni permomentanee difficoltà di pagamento.

È inoltre possibile coprireil prestito con la PolizzaPrestito Protetto. Per illancio di Presticreso,proposto da tutte le banche del GruppoBanca Lombarda e Piemontese, è in programma una campagna pubblicitarianazionale,con head line: “Il prestito che cerchi è più vicino di quanto credi”.

1. Tasso promozionale suscettibiledi variazioni a insindacabile giudizio della banca

Il Consiglio di Amministrazione della Banca Regionale Europea haapprovato, nella riunione dello scorso4 settembre, la relazione di bilanciorelativa al primo semestre 2006.La massa amministrata per conto dellaclientela, comprendente la raccoltadiretta e indiretta, ammonta a euro19.204 milioni (+1,9% rispetto al 31dicembre 2005). La raccolta direttaammonta a euro 6.237 milioni (+4%);la raccolta indiretta è di euro 12.966milioni (+1%). In crescita anche ilrisparmio gestito, pari a euro 8.354milioni (+0,4%); in forte sviluppo il

collocamento di prodotti assicurativi,con un incremento dell’8,8%.L’ammontare degli impieghi è di euro6.539 milioni (+3,1%); l’incidenzadelle sofferenze nette sugli impieghialla clientela si mantiene all’1,07%.L’utile netto semestrale è di euro 50,7milioni, con un incremento del 41,8%rispetto all’analogo valore del primosemestre 2005.Il patrimonio netto ammonta, al nettodell’utile di periodo, a 904 milioni di euro, in crescita dell’1,3% rispettoal 31 dicembre 2005.

LA BANCA REGIONALE EUROPEA IN CRESCITA.I RISULTATI DI BILANCIO DEL PRIMO SEMESTRE 2006:UTILE NETTO 50,7 MILIONI DI EURO (+41,8%)

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AD ALBA UNA NUOVAAGENZIA DEDICATA ALLACLIENTELA CORPORATE E PRIVATEE’ operativa ad Alba, nella centralis-sima via Cavour, la nuova Agenzia4, dedicata alla clientela corporate e private; vi ha sede la direzionedell’Area albese. Con Pavia e Brescia,è una delle tre agenzie pilota pressole cui vetrine esterne è stato installatoun impianto di avanguardia, congrande schermo interattivo, per lapresentazione dei prodotti e servizidella banca, in costante collegamentocon le agenzie di stampa nazionali,per le news.

NUOVA SEDE A CEVAE’ stata inaugurata il 21 dicembre la nuova sede della filiale di Ceva,nella centralissima piazza VittorioEmanuele. All’incontro erano presentile autorità locali e numerosi clienti,accolti dal Capo area di Mondovì,Bruno Lombardi.

RELAZIONE DI LAUREALa dott.sa Lucia Biglione, a conclusionedel corso in Economia Aziendaledella Facoltà di Economia dell’Univer-sità di Torino, ha conseguito la laurea discutendo una relazione sul tema “Sport e sponsor: il casoLannutti spa e Piemonte Volley srl”.Lo studio presenta un’analisi accuratadella sponsorizzazione sportiva in generale e con riferimento ai principi contabili nazionali ed internazionali; nella seconda partedescrive la realtà della PiemonteVolley, alla quale fa riferimento la squadra Bre Banca Lannutti, di cui la Banca RegionaleEuropea è main sponsor. In particolare, sono analizzati il ruolo di sponsor della Lannuttispa, azienda leader nazionalenel settore del trasporto su strada, il cui AmministratoreDelegato, Valter Lannutti, è presidente della Piemonte Volley, e gli aspetti organizzativi,finanziari e gestionali dell’attività della società sportiva cuneese.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, in occasione delle festività, ha fatto comparire sullastampa quotidiana e periodica unannuncio istituzionale nel quale sonoriassunte le sue attività a favore delterritorio, con i principali interventidisposti nel 2006, e sono sottolineatii legami con la Banca RegionaleEuropea e con il Gruppo BancaLombarda e Piemontese, delle cui

rispettive partecipazioni, del 20% e del 5%, è confermato il carattere strategico.Il Documento ProgrammaticoPrevisionale 2007 della Fondazioneprevede attività erogative a favoredei diversi settori per un importo complessivo di 28 milioni di euro, e investimenti di capitale per progettifinalizzati allo sviluppo del territoriofino a 50 milioni di euro.

LA FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI CUNEO SOTTOLINEA IL LEGAME CON LA BANCA REGIONALE EUROPEA

Il signor Loris Vicentini, cliente pressola filiale di Bricherasio, è il fortunatovincitore di un Home Cinema Philips,estratto a sorte tra i titolari di Extensive (servizi di banca virtuale).Nella foto, da sinistra, DavidePanivello, direttore della filiale; LorisVicentini e Marco Mendicino, respon-sabile Unità mercato retail di Torino.

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ESTRATTE A SORTE 28 BICICLETTE “UMBERTO DEI”TRA I CLIENTI DELLE FILIALIDI MILANO NELL’AMBITODELLA PROMOZIONE DELNUOVO LAY-OUT ESTERNODELLE FILIALI DELLA BRE E DEL BANCO DI BRESCIACon l’obiettivo di rafforzare il posi-zionamento complessivo della BancaRegionale Europea e del Banco di Brescia sulla piazza di Milano, il lay-out esterno delle filiali è statomodificato, con un’insegna che riporta ed evidenzia il logo “BancaLombarda”, accanto a quello della singola banca.A supporto dell’operazione è stataorganizzata una promozione, in collaborazione con “Umberto Dei”,casa produttrice delle classiche biciclette artigianali milanesi. Tra i clienti della BRE sono stateestratte a sorte 28 biciclette (modello“Regale”); ogni filiale ha avuto unvincitore.

Il signor Gianfranco Cappello, clientepresso l’Agenzia 35 di Milano, è il fortunato vincitore di un PC portatileHP Compaq, estratto a sorte tra i titolari di Extensive (servizi di bancavirtuale). Nella foto, da sinistra:Andrea Cecere, responsabile Unitàmercato retail di Milano; MarcoPasetti, direttore dell’Agenzia;Gianfranco Cappello e FrancoArdemani, Capo area di Milano.

CLIENTI DELLA BRE DI MILANO E BRICHERASIOVINCONO PREMI DEL CONCORSO EXTENSIVE

La fortuna ha favorito i seguenti clienti:Carla Ardau, Ivana Bertoletti, FilippoBrambilla, Giuseppa Castrovinci,Carlo Michele Carini, Vincenzo Ciani,Luciano Daniotti, Fabio Fasani,Annamaria Fornara, Luigi Frigoli, Ada Fusto, Antonio Gambitta, Maria Paola Ghinamo, GiuseppinaGiami, Giuseppina Ignaccolo, Bruno Edoardo Marseglia, MariaLuisa Martelli, Elisa Montecchia,Michael Musetti, Umberto Piccone,Michele Ruggieri, Angela AntoniettaRusso, Luigia Serati, Ernesto Spagnoli,Rita Triggiani, Rita Vergottini, Mauro Vettorato, Su Cheang Xiang.

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