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INDICE IL TERRORISMO La lotta al terrorismo, intemo e internazionale, è un impegno irrinunciabile a difesa della libertà e della civile convivenza. Tipologia D: tema di ordine generale pago 11 PAPA WOJTYLA, PROFETA DI PACE Un pontificato, quello di Giovanni Paolo II, di svolta nella storia della Chiesa e dell'umanità intera. Tipologia D: tema di ordine generale pago 14 NO ALLA GUERRA La crisi irachena e il terrorismo hanno tradito le speranze in un mondo finalmente in pace nel nuovo secolo. Ma non bisogna rassegnarsi all' inevitabilità della guerra, che èsempre una catastrofe per l'umanità. Tipologia D: tema di ordine generale pago 17 L'EUROPA UNITA Il cammino fin qui svolto dall'Unione Europea e le prossime tappe. Tipologia B: saggio breve pago 21 TSUNAMI E ALTRE CATASTROFI NATURALI Un uso più saggio del territorio può ridurre i danni provocati dalle catastrofi naturali. Tipologia D: tema di ordine generale pago 24 DEVOLUZIONE E FEDERALISMO La "devolution" è compatibile con l'idea democratica di federalismo? Tipologia D: tema di ordine generale pago 28 4LE RIFORME ISTITUZIONALI L'attuale dibattito sulle rifonne istituzionali in Italia: repubblica parlamentare o presi- denziale? Semipresidenzialismo, premierato, cancellierato. Tipologia B: saggio breve pago 31 UONU, UN POSSIBILE GOVERNO DEL MONDO? L'evoluzione degli equilibri internazionali richiede che si affrontino in modo nuovo

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INDICEIL TERRORISMOLa lotta al terrorismo, intemo e internazionale, è un impegno irrinunciabile a difesa della libertà e della civile convivenza. Tipologia D: tema di ordine generale pago 11PAPA WOJTYLA, PROFETA DI PACE Un pontificato, quello di Giovanni Paolo II, di svolta nella storia della Chiesa e dell'umanità intera.Tipologia D: tema di ordine generale pago 14NO ALLA GUERRALa crisi irachena e il terrorismo hanno tradito le speranze in un mondo finalmente in pace nel nuovo secolo. Ma non bisogna rassegnarsi all' inevitabilità della guerra, che èsempre una catastrofe per l'umanità.Tipologia D: tema di ordine generale pago 17L'EUROPA UNITAIl cammino fin qui svolto dall'Unione Europea e le prossime tappe.Tipologia B: saggio breve pago 21TSUNAMI E ALTRE CATASTROFI NATURALIUn uso più saggio del territorio può ridurre i danni provocati dalle catastrofi naturali. Tipologia D: tema di ordine generale pago 24DEVOLUZIONE E FEDERALISMO La "devolution" è compatibile con l'idea democratica di federalismo?Tipologia D: tema di ordine generale pago 284LE RIFORME ISTITUZIONALIL'attuale dibattito sulle rifonne istituzionali in Italia: repubblica parlamentare o presidenziale? Semipresidenzialismo, premierato, cancellierato.Tipologia B: saggio brevepago 31UONU, UN POSSIBILE GOVERNO DEL MONDO?L'evoluzione degli equilibri internazionali richiede che si affrontino in modo nuovo i contrasti nel mondo e le violazioni dei diritti umani.Tipologia B: articolopago 34I SOLDATI ITALIANI E LA PACEIl rinnovamento delle nostre Forze Annate al servizio della democrazia e della pace. Tipologia D: tema di ordine generale pago 37BIODIVERSIT À ED EFFETTO SERRA L'effetto serra pregiudica la biodiversità, quindi attenta alla possibilità di vita in futuro sul nostro Pianeta.Tipologia D: tema di ordine generale pago 40LA DIFESA DEI DIRITTI UMANIDal diritto alla libertà ai diritti sociali, dal diritto alla pace a quello di vivere in un ambiente sano: la lotta per i diritti umani segna le tappe del progresso civile e sociale.

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Tipologia B: articolo pago 43IL RAZZISMOUna malattia purtroppo ancora diffusa dopo tante tragedie del passato.Tipologia D: tema di ordine generale pago LA SOCIETÀ MULTIETNICASi scriva un saggio sulla prospettiva di una società multietnica, aperta all'incontro di più culture, che sembra profilarsi in un prossimo futuro.Tipologia B: saggio brevepago 50L'ISLAM E L'ITALIALa presenza sempre più massiccia d'immigrati musulmani nel nostro Paese impone la ricerca di una convivenza che sia in accordo con le loro esigenze religiose e culturali e, nel contempo, rispettosa delle leggi e dei valori democratici dell 'Italia.Tipologia D: tema di ordine generale pago 53LA FAME NEL MONDOLa tragedia di sei milioni di bambini che nel mondo armualmente muoiono per la denutrizione è la più grande emergenza umanitaria del XXI secolo.Tipologia D: tema di ordine generale pago 56PUBBLICITÀ COMMERCIALE E PROPAGANDA POLITICALa manipolazione delle coscienze attuata, soprattutto attraverso i mass-media, dalla pubblicità commerciale e dalla propaganda politica.Tipologia D: tema di ordine generale pago 59I GIOVANI E LA MUSICALa musica, linguaggio universale dei giovani di oggi.Tipologia B: saggio breve pago 62MASS MEDIA E LIBERTÀ D'INFORMAZIONENon c'è vera democrazia senza libertà di6,stampa e d'infonnazione, ma questa oggi è minacciata dal processo di concentrazione

- della proprietà delle testate giornalistiche edelle reti televisive.Tipologia D: tema di ordine generale pago 65IL LAVOROIl lavoro dà un senso all'esistenza dell'individuo nella società, ma è importante che sia gratificante ed opportunamente tutelato. Tipologia D: tema di ordine generale pago 68IL COMPUTER ED INTERNET Nell'era dei computers e di Internet l'umanità ha davanti a sé immense potenzialità di sviluppo.Tipologia D: tema di ordine generale pago 71GENETICA E PROBLEMI MORALI La genetica è la scienza di questo nuovo secolo, ma il suo progresso pone sempre nuovi interrogativi.Tipologia D: tema di ordine generale pago 74

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I BENI ARTISTICI E CULTURALI L'immenso valore spirituale dei tesori della nostra arte e della nostra cultura: testimonianze di civiltà e d'identità nazionale.Tipologia B: articolo pago 77TELEVISIONE E GIORNALI_Un confronto che rivela pregi e limiti in entrambi questi grandi mezzi della comunicazione di massa.Tipologia D: tema di ordine generale pago 80I VALORI MORALIÈ importante che ognuno abbia dei forti valori morali in cui credere e ai quali ispirare la propria condotta.Tipologia D: tema di ordine generale pago 83

INDIVIDUO E SOCIETÀL'uomo si realizza integrandosi nella comunità in cui vive, diventando parte attiva della società.Tipologia D: tema di ordine generale pago 86LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATAGli episodi sanguinosi di criminalità organizzata mantengono al centro dell'interesse dell'opinione pubblica questo deprecabile fenomeno ancora presente nella società italiana. Si scriva un articolo in merito.Tipologia B: articolo pago 89LA LIBERTÀ E LA LEGGEIl rapporto indissolubile tra libertà del cittadino ed osservanza della legge.Tipologia B: saggio brevepago 93IL CAROVITARialzo dei prezzi e calo dei consumi: una conseguenza, per alcuni, dell'introduzione dell'euro, per altri dell'assenza di controlli sui prezzi di merci e servizi.Tipologia D: tema di ordine generale pago 96L'EMANCIPAZIONE FEMMINILE E LA FAMIGLIAIl processo di emancipazione della donna e 1'evoluzione della famiglia in Italia negli ultimi decenni.Tipologia B: saggio brevepago 99IL DIRITTO ALLA SALUTEIl diritto alla salute, un diritto dell'individuo, ma anche della società.Tipologia B: saggio brevepago 103IL LAVORO MINORILEUn'autentica e perdurante piaga sociale è lo8sfruttamento del lavoro dei minori, costretti addirittura ad odiose forme di schiavitù in alcuni Paesi del Terzo Mondo.Tipologia B: saggio brevepago 106I SENTIMENTI E LE EMOZIONIL'emotività è parte integrante della psiche, ma la società ipertecnologica in cui viviamo sembra lasciare sempre meno spazio ai nostri

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sentimenti e alle nostre emozioni.Tipologia D: tema di ordine generale pago 111L'AMICIZIAQuali sono i caratteri dell' amicizia? Questa è ancora possibile oggi, nella società dell’ individualismo.e delle tecnologie informatiche?FEDE E RAGIONE Ha ancora senso l'antico conflitto oppure, soprattutto dopo i recenti successi della genetica e delle altre scienze, il rapporto tra fede e ragione deve essere ripensato in una nuova prospettiva?Tipologia D: tema di ordine generale pag.118STATO E CHIESALa separazione di Stato e Chiesa e l'indipendenza di ciascuno nel proprio campo, civile il primo e religioso la seconda, ribadite dalla nostra Costituzione, costituiscono una conquista del pensiero politico moderno.Tipologia D: tema di ordine generale pag.122L'ENERGIA PULITADall'acqua energia per il futuro: l'idrogeno è tra le fonti rinnovabili di energia pulita in un futuro non lontano.Tipologia B: articolo

I MALI DEL MONDO ATTUALEI primi anni di questo XXI secolo sembrano aver tradito le speranze in un mondo migliore: ancora imperversano l'incubo della guerra, la minaccia del terrorismo, il dramma di una sempre più diffusa povertà, l'aggressione alla natura.Tipologia D: tema di ordine generale pag.129RICERCA SCIENTIFICA E "FUGA DI CERVELLI" L'importanza della ricerca scientifica, in un Paese industrializzato, è fondamentale per lo sviluppo economico e la competizione con gli altri Paesi: purtroppo in Italia ci si rende conto di ciò solo quando suona l'allarme per la "fuga dei cervelli".Tipologia B: articolopago 133POLITICA E BENE PUBBLICOL'attuale crisi della politica non deve fare smarrire ai cittadini il significato alto della stessa, cioè di nobile impegno per il bene di tutti.Tipologia D: tema di ordine generale pag.136LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA La democrazia rappresentativa appare nel nostro Paese insidiata dal clima di rissa che turba i rapporti tra i partiti, dalla crescente disaffezione dei cittadini alla politica e dal conflitto fra alcune istituzioni dello Stato.Tipologia D: tema di ordine generale pag.140I PROBLEMI DELLO SPORT

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Le attuali difficoltà dello sport in Italia e le possibili soluzioni.Tipologia B: saggio breveVIOLENZA AL CINEMAE IN TELEVISIONEQuale rapporto si può stabilire fra scene di violenza, viste al cinema o in televisione, e comportamento aggressivo?Tipologia D: tema di ordine generale pag.147LA SCUOLA FORMA I CITTADINI DI DOMANIIn un Paese democratico la scuola svolge l'insostituibilefunzione di preparare i cittadini consapevoli di domani, coscienti del valore assoluto della libertà e aperti al confronto delle idee.Tipologia D: tema di ordine generale pag.149LA SOLIDARIETÀ DEVE VINCERE SULLA TECNOLOGIALa nostra società ipertecnologizzata ed informatizzata rischia di ritrovarsi arida e vuota se non è animata da un diffuso spirito di solidarietà.Tipologia D: tema di ordine generale pag.152IDEALI ED IMPEGNO SOCIALE Avere degli ideali in cui credere "riempie la vita".Tipologia D: tema di ordine generale pag.155AppendiceALCUNE TRACCE DI ATTUALITÀ ASSEGNATE AGLI ESAMI DI STATO DEGLIANNISCORSi

IL TERRORISMOLa lotta al terrorismo, interno e internazionale, è un impegno irrinunciabile a difesa della libertà e della civile convivenza.Tipologia D: tema di ordine generale

Il ventunesimo secolo si è aperto con la recrudescenza del terrorismo internazionale. L'attacco alle Twin Towers di New York 1'11 settembre 2001; le bombe alle stazioni ferroviarie di Madrid 1'11 marzo 2004; l'attacco alla scuola di Beslan, in Ossezia, il primo settembre 2004. E poi, ancora: gli attentati dei terroristi suicidi in Iraq, il ricatto attraverso gli ostaggi, tra cui la giornalista italiana Giuliana Sgrena, la cui liberazione è costata la vita al funzionario dei servizi segreti Nicola Calipari, ucciso in un tragico incidente da soldati americani. Eventi terribili con stragi di civili innocenti, a dimostrare come il terrorismo sia

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davvero il nemico dei popoli, di tutti i popoli, in questo avvio di secolo che avremmo desiderato ben diverso.E invece l'attacco terroristico dell' Il settembre 2001, ad opera di un gruppo di piloti kamikaze dell' organizzazione Al Qaeda di Osama Bin Laden, che dirottarono alcuni aerei di linea facendoli schiantare sulle Torri Gemelle di New York e sul Pentagono di Washington, provocando oltre tremila vittime, ha dimostrato tutta.la potenzialità mici-diale del terrorismo, capace di colpire anche molto lontano e con effetti devastanti, ma ha anche spostato ad un livello più alto la necessaria risposta che gli Stati e la società ci-vile tutta devono dare a questa minaccia. Terribili sono state poi le immagini di alcune stazioni ferroviarie di Madrid, in Spagna, devastate 1'11 marzo 2004 dagli at-tentati, condotti ancora una volta da Al Qaeda, che provocarono centinaia di vittime tra inermi lavoratori pendolari; e, ancora più sconvolgenti, le immagini della scuola di Beslan, una località dell'Ossezia, nel sud della Russia, assalita nel settembre 2004 da un gruppo di terroristi ceceni, con centinaia di bambini, ragazzi e insegnanti presi in ostaggio. Il raid delle forze speciali contro i terroristi si concluse tragicamente: 330 vittime, tra cui più di 150 bambini.Molti Paesi hanno conosciuto il ter-rorismo: tra questi anche l'Italia che, nel corso degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, ha vissuto forse la fase più tragica della sua storia repubblicana, con le bande di terroristi neri e rossi che portavano il loro attacco allo Stato democratico e alla convivenza civile. Fu la stagione delle "Brigate Rosse" e di "Prima linea", per quanto riguarda il terrorismo d'estrema sinistra, con gli agguati mortali a magistrati, uomini politici, poliziotti e sindacalisti; e di "Ordine nuovo" e dei "Nar" (Nuclei armati rivoluzionari), per quanto concerne quello d'estrema destra, con le bombe delle stragi che insanguinarono la Penisola. Fu la "lunga notte" della nostra Repubbli-ca, da cui si uscì grazie al concorso di magistrati coraggiosi, delle forze politiche democratiche e dei lavoratori tutti, che posero un argine alla violenza terroristica.Ma la vigilanza democratica non deve mai venir meno, come purtroppo ci hanno ricordato i recenti omicidi dei giuristi D'Antona e Biagi e dell'agente di polizia morti ad opera di terroristi delle sedicenti nuove "Brigate Rosse".Il terrorismo internazionale è ancora più minaccioso, in quanto le sue organizzazioni hanno ramificazioni in più Paesi e sostegni finanziari

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tanto cospicui quanto occulti. Tra queste organizzazioni, Al Qaeda è forse la più pericolosa, alimentata dal fanatismo islamico fondamentalista.Ma sono convinto che i tragici eventi dell'li settembre hanno rappresentato, come spesso è accaduto in passato con gli atti terroristici più clamorosi (basti pensare al rapimento di Aldo Moro in Italia, da cui è iniziato il declino delle "Brigate Rosse"), il punto di svolta e !'inizio della parabola declinante del terrorismo, in quanto la presa di coscienza dei governi e dei cittadini democratici di tutto il mondo è stata netta e decisa. Si è così dato il via ad una guerra di tipo nuovo, la guerra al terrorismo, muovendo contro un nemico invisibile, che non ha una patria, pur avendo ramificazioni in molti Paesi, e ha in sommo disprezzo la vita umana, tanto da servirsi con cinica disinvoltura di ostaggi e attentatori suicidi.Proprio per questo gli ultimi tragici attentati non possono che rappresentare l'inizio della fine del terrorismo, in quanto non c'è futuro per chi tiene in spregio la vita degli innocenti e s'illude di poter tenere in scacco il mondo intero.Come per il terrorismo del passato, interno ai singoli Paesi, anche per il nuovo terrorismo, che si muove a livello internazionale, la solidarietà e la compattezza dell 'intera società civile, unitamente alla fennezza e alla capacità d'iniziativa dei governi, co-stituiranno un baluardo insormontabile.

PAPA WOJTYLA, PROFETA DI PACEUn pontificato, quello di Giovanni Paolo II, di svolta nella storia della Chiesa e dell'umanità intera.Tipologia D: tema di ordine generale

L'espressione sofferente, la schiena ricurva nella fatica di trascinare il peso del corpo, il tremolio delle membra, la voce flebile e rauca: questa l'immagine di papa Giovanni Paolo II degli ultimi anni, prima che morisse il 2 aprile del 2005, a testimoniare una forza d'animo titanica, capace di vincere i mali del fisico, irrimediabilmente debilitato dai postumi dell'attentato subito nel-l'ormai lontano 1981. Ma papa Wojtyla resterà nella storia della Chiesa come uno dei suoi capi più forti e carismatici e, nella storia dell'umanità, come una delle figure spiritualmente più autorevoli e prestigiose, capace di parlare ai popoli e di farsi ascoltare da essi, indipendentemente dal loro credo religioso.Giovanni Paolo II è stato il papa della pace e dell'incontro tra le

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religioni; il papa che ha viaggiato e scritto tanto, per essere il più vicino possibile a tutti i fedeli del mondo; il papa che ha adorato i bambini, il tea-tro e la montagna. Giovanni Paolo II è stato più che mai in "prima linea" contro i mali del nostro tempo: la guerra, la povertà, il terrorismo."La pace è possibile e doverosa. Anzi, la pace è il bene più prezioso, da invocare da Dio e da costruire con ogni sforzo, mediante gesti concreti da parte di ogni uomo e ogni donna di buona volontà": con questeparole, pronunciate durante la Giornata Mondiale della Pace di qualche anno fa, papa Wojtyla aveva affermato a chiare lettere il suo impegno per quello che deve essere considerato l'obiettivo principale dell'umanità. Un impegno che si era concretizzato nella decisa opposizione a tutte le guerre combattute nel mondo, dal Medio Oriente ad alcuni Paesi poverissimi dell' Africa e dell' Asia dilaniati da conflitti interetnici che spesso i mass media dimenticano.In particolare, forte fu la sua condanna della guerra in Iraq, sia prima che essa scoppiasse, sia durante il suo svolgimento, sia dopo, quando in quel martoriato Paese si è continuato a morire per gli attentati dei terroristi e per i bombardamenti delle forze militari straniere occupanti. Tanti gli appelli lanciati da Giovanni Paolo II affinché si po-nesse fine a quella spirale di violenza che, ricordiamolo, non ha risparmiato neanche il nostro Paese: il pensiero va alla morte dei diciannove soldati italiani a Nassirya; all'uccisione del giornalista Enzo Baldoni; ai sequestri di operatori di pace e giornalisti come Simona Pari, Simona Torretta, Giuliana Sgrena; alla tragica fine di Nicola Calipari, ucciso per errore da soldati americani proprio a conclusione della liberazione della Sgrena.Con l'espressione "il mondo ha biso-gno di ponti e non di muri", più volte ripetuta, papa Wojtyla volle ribadire la necessitàdi abbattere le barriere che ancora dividono i popoli della Terra: ostacoli economici, politici, culturali, ideologici, dovuti al divario tra i Paesi ricchi del Nord del mondo e quelli poveri del Sud; ma talvolta anche materiali, come il muro recentemènte costruito dagli Israeliani in Cisgiodania a protezione dalle incursioni dei terroristi kamikaze palestinesi. Questo dopo che proprio il papa polacco aveva contribuito in maniera decisiva al crollo del comunismo nell'Europa orientale, sostenendo il movimento di Solidamosc, il sindacato alternativo polacco che negli anni Ottanta s'ispirava ai princìpi cristiani, crollo che ebbe il suo emblema nell'abbattimento del Muro di Berlino, simbolo per tanti decenni della divisione dell'Europa.

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Giovanni Paolo II ha indirizzato il mondo verso la pace anche attraverso l'impegno ecumenico, cioè favorendo l'incontro con le altre Chiese cristiane e il dialogo tra tutte le fedi religiose. Indimenticabile la sua visita ufficiale alla sinagoga di Roma, dove definì gli Ebrei "i fratelli maggiori dei cri-stiani", come pure la sua sosta presso il Muro del Pianto a Gerusalemme, il luogo santo della religione ebraica, dove, con parole accorate, chiese perdono per le persecuzioni degli Ebrei ad opera della Chiesa nel passato.Ma ricordiamo pure i suoi numerosi viaggi apostolici, in ogni angolo del mondo, per offrire, con la sua presenza, conforto nella fede ai popoli oppressi dalla miseria, dalla fame, dai conflitti interetnici, con mi-lioni di fedeli e centinaia di Capi di Stato e di Governo incontrati.La sua opera e il suo messaggio sono infine testimoniati dalle ben quattordici Encicliche e dai suoi cinque libri, l'ultimo dei quali, Memoria e identità, in cui invita l'uo-mo contemporaneo a non smarrire le proprie radici e a non lasciarsi lusingare da mode e ideologie che mascherano il male, può essere considerato, a buona ragione, il suo testamento spirituale.

NO ALLA GUERRALa crisi irachena e il terrorismo hanno tradito le speranze in un mondo finalmente in pace nel nuovo secolo. Ma non bisogna rassegnarsi all'inevitabilità della guerra, che è sempre una catastrofe per l'umanità.Tipologia D: tema di ordine generale

Avremmo voluto che nel nuovo secolo la guerra fosse stata soltanto un argomento di storia, qualcosa di appartenente al passato. Purtroppo non è così: la guerra è ancora tragicamente attuale e miete le sue vittime in tanti, troppi Paesi.È ancora guerra in Iraq, nonostante la caduta della dittatura di Saddam Hussein e lo svolgimento delle prime libere elezioni politiche nel gennaio 2005.Ci sono ancora scontri armati in Pale-stina, con attentati di kamikaze palestinesi da una parte e rappresaglie israeliane dall'altra, malgrado la ripresa del negoziato di pace tra le due parti.È ancora allarme terrorismo in tante metropoli, nel timore che le notizie di nuove terribili stragi possano sconvolgere l' opinione pubblica di tutto il mondo dopo le immagini-shock dei devastanti effetti degli at-tacchi terroristici dell' 11 settembre 200 l alle Twin Towers di NewYork e dell'Il marzo 2004 ad alcune stazioni ferroviarie di Madrid.La crisi irachena è di gran lunga la

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più ereoccupante nello scenario internazionale. E dall'inizio degli anni Novanta che, in pratica, gli Stati Uniti sono in guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein. Le ostilità comin-ciarono nella lontana estate del 1990, quando il dittatore iracheno diede ordine alle sue truppe d'invadere il confmante e ricco Kuwait. La risposta degli Stati Uniti non si fece attendere: la guerra del Golfo fu rapida e risolutiva, tanto da costringere il dittatore iracheno a lasciare il Kuwait che così riottenne la propria indipendenza. Fu una guerra sanguinosa, che costò oltre centomila morti all'Iraq, ma che non fu portata fino al punto di far cadere il regime di Saddam Hussein.La permanenza del dittatore iracheno al potere produsse tuttavia uno stato di conflittualità, destabilizzando la regione del Golfo che, non dimentichiamolo, è d'importanza strategica per l'intera economia occidentale per le sue consistenti riserve di petrolio.La guerra al terrorismo, seguita agli attentati alle Twin Towers dell'Il settembre 200 l, aggravò la condizione di conflittualità con l'Iraq di Saddam, sospettato di allestire arsenali di armi di distruzione di massa, soprattutto chimiche e batterio logiche. La guerra all'Iraq diventò quindi parte integrante della più generale guerra al terrorismo, nel senso che, come già per l' Afghani-stan, anche per l'Iraq l'obiettivo dell'amministrazione Bush è stato di colpire quei Paesi che, direttamente o indirettamente, avrebbero potuto fornire un aiuto ai terroristi.Dopo l'intervento militare in Afghanistan, che conseguì il risultato di abbattere il regime teocratico semifeudale dei Talebani, che dava ospitalità e protezione ad alcuni gruppi del terrorismo islamico e che, tra l'altro, teneva le donne in un'odiosa condizione di schiavitù, si ebbe così la guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein. Ma, nono stante il rovesciamento del dittatore e lo svolgimento delle prime libere elezioni politiche, l'Iraq non è ancora tornato alla normalità: gli attentati di terroristi kamikaze si alternano ai bombardamenti compiuti dalle forze militari americane occupanti. A farne le spese sono soprattutto le popolazioni civili, già duramente provate da tante sofferenze, mentre la rete del terrorismo internazionale resta integra e continua a minacciare il mondo.Purtroppo è forte il rischio che la guerra al terrorismo, una guerra nuova, combattuta contro un nemico invisibile, capace d'infiltrarsi nel cuore di ogni Stato e di godere di protezioni e sostegni finanziari im-pensabili, possa destabilizzare non solo il Medio Oriente, ma l'intero

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quadro internazionale.Gli Stati Uniti, con l'attentato alle Twin Towers, ordito dall'inafferrabileBin Laden, il capo di Al Qaeda, l'organizzazione terro-ristica islamica che ha ramificazioni in molti Paesi e gode di consistenti sostegni finanziari, hanno subito un'autentica e terribile aggressione alloro interno e si sentono ancora minacciati dal terrorismo islamico in-ternazionale.La lotta al terrorismo richiede unità d'intenti di tutti i governi del mondo, mentre gli Stati Uniti, per il fatto di costituire il principale bersaglio del terrorismo internazionale, credono di poter decidere per tutti. Questa lotta, invece, richiede l'avvio di una saggia politica di cooperazione dei Paesi ricchi con i Paesi poveri, in modo da arginare la miseria diffusa in tanti Paesi del Terzo Mondo, che costituisce il terreno di coltura di un risentimento antioccidentale, in parti colare antiamericano, di cui si alimentano le organizzazioni terroristiche. Ma soprattutto la lotta al terrorismo richiede che s'inter-rompa la spirale di violenza attentati-rappresaglie e che si affermi realmente la pace come valore assoluto. Il terrorismo è violenza, guerra, quindi la pace lavora contro il terrorismo; essa è un presupposto indispensabile della democrazia e della libertà, ma purtroppo sembra essere ancora un 'utopia.Infatti anche in questo abbrivio di XXI secolo la ragione delle armi sembra prevalere sull' arma della ragione: gli attentati terroristici alle Torri Gemelle di New York e la guerra a tutto campo al terrorismo mondiale, con l'intervento militare prima in Mghanistan poi in Iraq, hanno tradito le speranze in un mondo finalmente in pace al passaggio di millennio.Ma non bisogna rassegnarsi all'inevitabilità della guerra. Non deve essere lasciato nulla d'intentato per fermarla, non bisogna stancarsi d'impegnarsi per la pace. I popoli non vogliono le guerre: lo dimostrano le imponenti manifestazioni che hanno riempito di pacifisti le piazze delle grandi città di tutto il mondo.Tutte le guerre sono catastrofi del-l'umanità: non si è stancato di ricordarlo papa Giovanni Paolo Il. Anche le tante "guerre dimenticate" che si combattono in Paesi poverissimi dell'Africa (Somalia, Su-dan, Darfur, Sierra Leone, Costa d'Avorio, Liberia) e dell'Asia (India, Pakistan, Sri Lanka, Filippine): sono guerre civili e scontri etnico-religiosi di cui si sa poco o niente poiché, ben diversamente dal Medio Oriente, coinvolgono realtà troppo lontane dagli interessi delle grandi Potenze.

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L'EUROPA UNITAIl cammino fin qui svolto dall'Unione Europea e le prossime tappe.Tipologia B: saggio breve Ambito: storico-politicoDivisione in paragrafi:1) L'originaria Europa dei Sei2) I successivi allargamento della CEE3) Il trattato di Maastricht e l'euro4) L'Europa dei Venticinque e la Costitu

zione europea5) Per un' Europa dei popoli

1) Le basi dell'integrazione europea furono poste all'indomani del secondo conflitto mondiale, quando i governi di sei Stati europei decisero di creare un'alternativa al bipolarismo USA-URSS. Così, nel 1951, fu fondata la Comunità Economica del Carbone e dell'Acciaio (CECA), costituita da Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Olanda. Gli stessi Paesi nel 1957 diedero vita alla Co-munità Economica Europea (CEE), al fine di realizzare il Mercato Comune Europeo (MEC), che divenne operante nel luglio 1968.2) Nel 1973 il numero degli Stati membri della Comunità Europea salì a nove, con l'ingresso della Gran Bretagna, dell'Irlanda e della Danimarca. Sei anni dopo a Strasbur-go, in Francia, si riunì per la prima volta il Parlamento Europeo, formato da 410 deputati eletti a suffragio universale. Nel 1981 fu la volta della Grecia di aderire alla CEE e, nel 1986, del Portogallo e della Spagna. Il1986 fu anche l'anno in cui venne ratificato l'Atto unico di Lussemburgo, che fissava al 31 dicembre 1992 il completamento del mercato europeo, con la libera circolazione, per quella scadenza, di merci, uomini e capitali.Nel 1995 gli Stati membri diventarono quindici, con l'ingresso dell'Austria, della Finlandia e della Svezia, e il numero dei deputati europei al Parlamento di Strasburgo salì a 626.3) Il 7 febbraio 1992 a Maastricht, in Olanda, si tenne un importante vertice in cui, tra l'altro, si deciso di mutare la denominazione della CEE in Unione Europea e di promuovere l'Unione monetaria europea mediante l'adozione di una moneta unica (euro).L'euro, introdotto prima come unità di conto, a partire dal primo gennaio 2002 è diventato la moneta materialmente circolante in dodici Paesi dell 'UE: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna. Tutti gli altri Paesi, tra cui la Gran Bretagna, mantengono ancora la

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propria valuta nazionale. In Italia la lira è ufficialmente fuori corso dal primo marzo 2002.4) Altre due importanti tappe, nel cammino verso l'unità dell'Europa, sono state raggiunte nel 2004: l'allargamento dell'Unione Europea, che oggi comprende venticinque Paesi membri, e la firma della Costituzione europea.Hanno fatto il loro ingresso nell'U.E. dieci nuovi Stati, per la gran parte dell'Europa orientale: Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria e Cipro. Nell'ottobre del 2004 a Roma, in Campidoglio, è stata firmata la Costituzione europea che ribadisce il valore assoluto degli inderogabili diritti degli uomini alla dignità, alla libertà, all'uguaglianza, alla solidarietà, alla cittadinanza, alla giustizia e alla sicurezza e previdenza sociale; una Carta costituzionale che si configura come una conquista di civiltà giuridica per l'intera umanità.5) Queste due importanti scadenze sono state utili anche a ribadire che l' obiettivo prioritario dell 'Unione Europea resta il conseguimento di un'unità non soltanto economica e finanziaria, ma soprattutto politica e sociale: un'Europa dei popoli e non solo della finanza e dei mercati, in cui le culture, le tradizioni, le lingue di tutte le genti del Vecchio Continente siano armonizzate in un'unica ideale comunità, nel segno della libertà e della democrazia.Ora che l'ideale europeista sta diven-tando realtà, come avevano auspicato tanti spiriti nobili del secolo scorso, dal francese Robert Schuman al tedesco Konrad Adenauer, agli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, altre sfide attendono l'Unione Europea affinché questa diventi davvero la "casa comune" di tutti i popoli del Vecchio Continente, istituzione di libertà, di democrazia e di pace.L'Europa, finalmente unita nel "corpo" e nell' "anima", potrà allora porsi come interlocutrice alla pari degli Stati Uniti nel contesto mondiale ed operare da protagonista per la soluzione dei problemi del Pianeta, come il terrorismo, la povertà, la fame, il degrado ambientale, e contribuire a realizzare un mondo di popoli frnalmente in pace.

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TSUNAMI E ALTRE CATASTROFI NATURALIUn uso più saggio del territorio può ridurre i danni provocati dalle catastrofi naturali.Tipologia D: tema di ordine generale

Quando si parla di ambiente e di tutela degli equilibri naturali non si fa mai vuota retorica, ma si pone l'attenzione su un problema di estrema importanza; quando si parla dei rischi che possono conseguire a un uso del territorio che non tenga conto dell'impatto ambientale, non si fa dell'inutile allarmismo. E infatti, dopo le catastrofi naturali, ci si chiede sempre: sarebbe stato possibile evitare quello che è successo? Si è colpevoli di vittime e danni? Purtroppo gli interrogativi del dopo servono a ben poco se, passata l'emergenza, si ritorna a devastare il territorio, senza ricavare alcuna lezione dall'esperienza subita.Bisogna convincersi che le catastrofi naturali, come terremoti, alluvioni, frane, maremoti, onde anomale, se sono inevitabili, tuttavia i loro effetti dannosi possono dall'uomo essere contenuti con una saggia opera di prevenzione e con un uso del territorio razionale e rispettoso degli equilibri ambientali.Anche gli effetti terribili e devastanti dello tsunami, l'onda anomala che il 26 dicembre del 2004 aggredì le coste di alcuni Paesi rivieraschi dell'Oceano Indiano per decine di migliaia di chilometri, pur nella sua inevitabilità, in quanto conseguenza di un maremoto di straordinaria violenza avrebbe potuto provocare danni di gran lunga inferiori se soltanto gli uomini fossero stati più accorti.Lo tsunami, parola giapponese che significa "onda del porto", è frequente lungo molte coste dell'Oceano Indiano e dell'Oceano Pacifico e, in misura molto piùcontenuta, anche lungo alcune coste del nostro Mar Mediterraneo. Si tratta di onde anomale che possono spostare masse d'acqua anche notevoli in conseguenza di un' alta marea, di un maremoto e perfino del passaggio al largo di una nave di grandi dimensioni. Quello che il 26 dicembre del 2004 si abbatté lungo gran parte dell'arco costiero dell' Oceano Indiano era uno tsunami alto più di dieci metri, attivato da un violentissimo terremoto, del nono grado della scala Richter, con epicentro nell' oceano, ad alcune centinaia di chilometri allargo dell'isola di Sumatra.La massa d'acqua che si spostò in conseguenza del sussulto sismico raggiunse le coste di Sumatra dopo circa un'ora e via via, dopo alcune

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ore; quelle della TIlailandia, della Birmania, dello Sri Lanka e, infine, quelle della Somalia dall' altro Iato dell' oceano, in Africa.Con i sofisticati sistemi tecnologici di cui disponiamo, di avvistamento e trasmissione dei dati attraverso le reti satellitari, sarebbe stato possibile avvertire per tempo le popolazioni interessate dall' evento catastrofico, in modo da farle allontanare dalle co-ste, cioè dai luoghi maggiormente a rischio. Invece questo non è stato fatto, per l'assenza di un sistema di protezione civile capace d'intervenire in tempo reale in occasioni del genere e la responsabilità è sia dei governi locali, che non provvedono ad attivare un sistema di protezione civile, sia del mancato coordinamento nello scambio di informazioni a livello internazionale tra i governi di tutto il mondo.Ma la colpa dell'uomo non si limita all'assenza di una rete protettiva capace di allertare in caso di emergenza le popolazioni: ancora più a monte c'è da constatare come in tanti dei Paesi devastati dallo tsunami sia da anni in atto una 'POlitica di sviluppo dell'industria turistica che non tiene in alcun conto i rischi di impatto ambientale. Infatti si sono costruiti alberghi, residences, resorts e strutture di accoglienza, magari dotate di ogni comfort e tali da attirare l'interesse della facoltosa clientela occidentale, talvolta fi-nanche sul mare. In questo modo sono state distrutte foreste e palmizi che costituivano una naturale barriera lungo le coste.Basta rifletterci: se la montagna d'ac-qua che si è abbattuta su tanti villaggi turistici e altri insediàmenti urbani, penetrando frn nelle strade, nelle case, nelle halls degli alberghi, spazzando via uomini e cose, si fosse infranta contro scogli e palmizi, molto probabilmente i danni, in vittime e in cose, sarebbero stati minori.E invece i mass media hanno portato in ogni angolo del mondo le terribili immagini di devastazione e di morte, con centinaia di migliaia di vittime e interi villaggi, turistici ma anche di pescatori e di povera gente, cancellati dalla furia delle acque.Non è stato possibile nemmeno redigere un calcolo certo delle persone che hanno perso la vita in quel tragico mattino dello tsunami, ma non si è lontani dal vero se si afferma che le vittime siano state intorno alle trecentomila, di cui oltre la metà nella sola isola di Sumatra, appartenente all'Indonesia.Alcune migliaia di vittime sono turisti occidentali, anche italiani, che, andati in luoghi che la carta patinata dei depliants turistici descriveva come di sogno, vi hanno invece trovato la morte. Le immagini crudeli

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di quel tenibile mattino sono ancora davanti ai nostri occhi, pur dopo tanto tempo. E ancora oggi le cronache giornalistiche ci parlano della difficoltà di un ritorno alla vita normale da parte di sopravvissuti che hanno perso tutto in quel tragico mattino: affetti, averi, speranza del futuro. Eppure quelle popolazioni così provate devono ritornare a nutrire speranza nel futuro e ricostruire i loro villaggi e la loro economia, ma puntando ad uno sviluppo, anche nel turismo, che sia compatibile con le caratteristiche del territorio.Spesso dal male si può sviluppare il bene: dalla tragedia dello tsunami si è originata una gigantesca gara di solidarietà in tutto il mondo che non solo è stata la prova di una generosità diffusa, in tutti i Paesi e in tutte le classesociali, ma che è anche la mi-glior prova che la speranza di costruire un futuro migliore regge ancora.

28DEVOLUZIONE E FEDERALISMOLa "devolution" è compatibile con l'idea democratica di federalismo?Tipologia D: tema di ordine generale

Nell'ambito delle riforme istituzionali del nostro Paese, al centro del dibattito politico attuale c'è la proposta federali sta. Una legge di riforma in senso federali sta del Ti-tolo V della Costituzione era già stata approvata nella precedente legislatura e poi ratificata da un successivo referendum popolare "confermativo". Quella riforma ha di-stinto la potestà legislativa delle Regioni da quella dello Stato, aumentando le prerogative delle prime e allargando notevolmente il campo della legislazione concorrente, cioè le materie in cui possono legiferare sia lo Stato sia le Regioni.La Lega, che è parte dell'attuale governo di centrodestra, ha contrapposto, a quella riforma voluta dal governo dell'Ulivo, un'altra ancora più marcatamente federalista: la devolution. Il termine inglese è stato ripreso dalla riforma, proposta qualche anno fa dal governo britannico e approvata dal Parlamento di Londra, che ha "devoluto" alla Scozia alcune competenze legislative.Il progetto di devoluzione, che l'attuale governo di centro-destra ha fatto proprio, prevede di affidare alle Regioni una competenza esclusiva in materia di sanità, istruzione e polizia locale. Molte sono le perplessitàsollevate da quest'iniziativa legislativa che affiderebbe alle Regioni il diritto di legiferare in modo esclusivo su

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materie così importanti e delicate. Pensiamo, ad esempio, al l'istruzione: si correrebbe il rischio di promuovere venti sistemi scolastici differenti, quante sono le Regioni in Italia, con programmi, titoli di studio e percorsi scolastici diversi da Regione a Regione, magari privilegiando Manzoni e Fogazzaro in Lombardia e Verga e Tomasi di Lampedusa in Sicilia.Pensiamo anche all'impossibilità, per lo Stato, d'intervenire in materia di sanità, dato che la proposta di legge sulla devolu-zione prevede la competenza "esclusiva" delle Regioni. A queste ultime, pertanto, verrebbe lasciata la gestione di un servizio pubblico di grande importanza, con il rischio di suddividere l'attuale sistema sanitario nazionale in tanti servizi regionali i quali, a seconda delle disponibilità finanziarie di ogni amministrazione locale, potrebbero diversamente garantire ai cittadini italiani il diritto alla salute. In pratica, un cittadino italiano residente a Milano potrebbe fruire di servizi sanitari più efficienti e più ampi rispetto ad un cittadino italiano residente in Basilicata o in Calabria. Il fondamentale diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, verrebbe cosÌ esercitato diversamente dai cittadini della Repubblica.Anche per quanto riguarda la polizia, la diversa disponibilità finanziaria delle Regioni potrebbe provocare ripercussioni molto gravi, magari con una pubblica sicurezza più efficiente in alcune Regioni e meno in altre, con il prevedibile rischio di trovare tra queste ultime quelle più infestate dalla criminalità organizzata, notoriamente presente soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno.L'iter che la legge di devoluzione dovrà seguire per essere promulgata è molto lungo poiché, come per tutte le leggi di riforma çostituziona1e, è prevista la doppia approvazione di ciascun ramo del Parlamento a di-stanza di tre mesi l'una dall'altra, quindi la necessità di un referendum popolare "confermativo" nel caso le ratifiche parlamentari avvengano a maggioranza semplice e non con quella speciale dei due terzi come prevede il dettato costituzionale.Il dibattito sulle riforme istituzionali è molto importante ed il federalismo può rappresentare anche un salto di qualità della democrazia nel nostro Paese, nella misura in cui concede alle istituzioni locali maggiori possibilità di gestione delle risorse. Ma questo non deve avvenire a discapito dell'unitànazionale e soprattutto non deve creare di-scriminazioni fra le Regioni più e meno ricche della Penisola.Bisogna ricordare che furono federalisti alcuni grandi spiriti democratici del passato, a cominciare

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da Carlo Cattaneo il quale, durante il Risorgimento, rappresentòl'opzione federalista repubblicana nella causa nazionale.La battaglia per il federalismo deve quindi essere combattuta all'interno di una maggiore democratizzazione dello Stato e della vita politica italiana, nel senso di dare una più larga autonomia decisionale alle istituzioni locali, ma sempre nel mantenimento dell 'unità nazionale e nella prospettiva di una maggiore integrazione europea. Qualsiasi ipotesi federalista che, invece, vo-lesse favorire la fruizione separata delle risorse da parte delle Regioni più ricche ed economicamente sviluppate, andrebbe nella direzione opposta e sarebbe soltanto frutto di un egoismo localistico e, in ultima analisi, antidemocratico.

LE RIFORME ISTITUZIONALIL'attuale dibattito sulle riforme istituzionali in Italia: repubblica parlamentare o presidenziale? Semipresidenzialismo, premierato, cancellierato.'Tipologia B: saggio breve Ambito: politico-giuridicoDivisione in paragrafi:1) L'Italia è attualmente una repubblica

parlamentare2) I modelli presidenziale e semipresiden

ziale 3) Il premierato e il cancellierato 4) Com_ si può modificare la Costituzione

1) L'Italia, secondo la Costituzione, è una Repubblica parlamentare, in quanto al centro della vita politica è il Parlamento che, eletto dai cittadini, decide l'indirizzo politico generale dando la fiducia al governo. Anche il Presidente della Repubblica e Capo dello Stato è eletto dal Parlamento a Camere riunite con l'aggiunta di una rappresentanza delle Regioni.Questa centralità del Parlamento viene messa in discussione dalle varie proposte di riforma istituzionale che puntano a rafforzare l'Esecutivo anche per dare al Paese una maggiore stabilità di governo.Alcune di queste proposte s'ispirano anche a modelli vigenti in alcuni ordinamenti istituzionali stranieri, in particolare per quanto concerne la repubblica presidenziale, il semipresidenzialismo, il premierato e il cancellierato.2) Nella repubblica presidenziale, come lo sono gli Stati Uniti, il Presidente è, nel contempo, capo del governo e capo dello Stato. Eletto dai cittadini, nei quattro anni del suo mandato esercita un ampio potere: nomina i suoi ministri, che solo a lui rispondono, e determina !'indirizzo politico generale, non dipendendo

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dalla fiducia del Parlamento.In realtà, pochi in Italia vorrebbero che la nostra Repubblica parlamentare diventasse una repubblica presidenziale, tanto che si preferisce parlare piuttosto di semipresidenzialismo. È il modello adottato dalla Francia e si chiama così perché il potere esecutivo è diviso tra il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dai cittadini, e il Primo Ministro, che è nominato dal capo dello Stato, ma deve ottenere la fiducia del Parla-mento.3) Nel "premierato", il modello istitu-zionale seguito dalla Gran Bretagna, diventa premier, cioè capo del governo, il leader della coalizione che ottiene la maggioranza dei seggi in Parlamento. A lui spetta il compito di formare il governo e di nominare i ministri, mentre il Capo dello Stato si limita a garantire i poteri istituzionali, non avendo alcuna voce nell' indirizzo politico di governo. Proprio questo sembra essere il limite di tale sistema che finisce per concedere al premier un potere quasi assoluto, inclusa la possibilità di sciogliere anticipatamente le Camere.Nel "cancellierato", il modello di go-verno che è in vigore in Germania, il Cancelliere federale, cioè il capo del governo, èil leader della maggioranza che vince le elezioni e viene eletto dal Parlamento federale (Bundestag) su proposta del Capo dello Stato. Il Cancelliere esercita il potere esecutivo, propone al Capo dello Stato i ministri da nominare e può restare in carica anche se messo in minoranza, nel caso che la nuova maggioranza non sia in grado d'indicare un successore ("sfiducia costruttiva").4) Non sembra esserci, almeno per il momento, identità di vedute tra le forze politiche italiane che stanno valutando la possibilità di una riforma del modello istituzionale: la gran parte dello schieramento di centrodestra è orientata verso il semi- presidenzialismo alla francese; nello schieramento di centrosinistra invece alcune forze politiche sono divise tra il "premierato" all'inglese e il "cancellierato" alla tedesca ed altre sono per mantenere la repubblica parlamentare, pur con qualche correttivo.Nell'attesa che il nostro ceto politico giunga ad una condivisione d'intenti, almeno per quanto riguarda il modello istituzionale, perché è auspicabile che le regole vengano stabilite con il più ampio consenso possibile, bisogna ricordare quanto previsto dall'articolo 138 della Costituzione: tutte le leggi di revisione costituzionale devono es-sere approvate da ciascuna Camera con due tumazioni di voto a distanza di tre mesi l'una dall'altra ed ottenere,

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alla seconda votazione, la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera; in caso di approvazione a maggioranza semplice, devono essere sottoposte a referendum popolare confermativo.È fondamentale che la scelta del mo-dello istituzionale per il nostro Paese, qualunque essa sia, avvenga sempre nel rispetto della democrazia, della libertà e dei diritti politici e civili dei cittadini, come vuole la nostra Costituzione.

L'ONU, UN POSSIBILE GOVERNO DEL MONDO?L'evoluzione degli equilibri internazionali richiede che si affrontino in modo nuovo i contrasti nel mondo e le violazioni dei diritti umani.Tipologia B: articoloAmbito: politica internazionale Destinazione: pubblicazione su periodico di attualità

Oggi, mentre si parla sempre più di "villaggio globale" per la rapidità dell'informazione e per la "globalizzazione" dell'economia, resta ancora aperto il problema di garantire l'esercizio dei diritti umani e civili a tutti gli uomini e in ogni parte della Terra. Questo perché in molti Stati i diritti umani e civili vengono violati sistematicamente, nonostante solenni impegni vengano ripetutamente assunti in sede internazionale da tutti i governi. A questo proposito, dobbiamo ricordare che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, votata dall'ONU il 10 dicembre 1948, costituì un preciso impegno in favoredell 'uguaglianza di tutti gli uomini e del progresso civile e sociale dell'umanità.Il problema è che bisogna andare oltre il puro e semplice riconoscimento teorico dei diritti dell'uomo, affinché questi vengano attuati e protetti, e l'organismo sovranazionale deputato a far questo è proprio l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), il più importante organismo sovranazio-naIe, che ha la possibilità di rimuovere quei gravi ostacoli di carattere sociale, politico ed economico che, in ogni parte della Terra, possono impedire il rispetto dei diritti.L'ONU si è più volte rivelata utile rendendo di dominio pubblico atti d'ingiustizia e di violazione dei diritti umani. Questo ha un notevole valore per gli Stati meno forti nei rapporti internazionali e serve a moderare l'eventuale comportamento arrogante delle grandi Potenze.L'ONU può rappresentare il luogo in cui ogni Stato, con pari dignità, può perorare la propria causa: essa è una Conferenza permanente di Stati dove

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si può cercare, in ogni momento, di trovare la soluzione pacifica di qualsiasi vertenza.Per fare questo, però, si rende indispensabile una riforma degli organismi dirigenti dell'ONU stessa, che, a tanti osservatori, non appaiono più al passo con i tempi. La stessa istituzione, importantissima, del Con-siglio di Sicurezza, dove cinque Paesi, Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Francia e Russia (che ha ereditato il seggio dell'ex Unione Sovietica), hanno il privilegio di essere membri permanenti con diritto di veto, costituisce una contraddizione con l'affermazione che gli Stati membri partecipano su un piede di perfetta parità all'Organizzazione stessa. Pertanto si rende necessario allargare, se non proprio riformare completamente, il Consiglio di Sicurezza, aprendolo alla partecipazione di molti altri Paesi, magari a rotazione, ed in ogni modo abolendo l'anacronistico privilegio del diritto di veto riservato alle cinque Potenze. Nessun Paese, per quanto potente, è autonomo, né può disprezzare la collaborazione degli Stati più piccoli e deboli.Si spera così che l'ONU possa rappresentare, in un futuro non lontano, un vero proprio strumento di governo mondiale, ma, per fare questo, è necessario che una parte della sovranità dei singoli Stati sia rimessa all'organismo internazionale. Bisogna, più che mai, adeguare la funzione dell'ONU alla nuova situazione mondiale, caratterizzata dalla presenza ormai di una sola superpotenza, gli Stati Uniti d'America i quali, come la guerra in Iraq ha dimostrato, tendono ad agire nello scacchiere internazionale secondo criteri egemonici e scavalcando gli organismi sovranazionali dell'ONU.Inoltre rimangono ancora aperti gravi problemi, come il terrorismo internazionale, la minaccia all'ambiente, la grande criminalità organizzata, lo sviluppo demografico senza controllo, la fame che attanaglia tante aree povere del Sud del modo, i grandi flussi migratori, il moltiplicarsi dei conflitti a base etnica e regionale. È necessario che l'ONU, affinché diventi un organismo di governo e di ricomposizione dei contrasti locali, abbia essa stessa gli strumenti che ne rendano facile ed agevole l'intervento nelle situazioni di rischio, innanzi tutto contando su una disponibilità finanziaria non più precaria e sul pronto risanamento dei debiti che con essa hanno gli USA e altri Stati.È altrettanto indispensabile che l'ONU possa contare su una struttura diplomatica agile e composita, del

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tutto indipendente dagli Stati membri, e su un'analoga struttura militare, anch' essa stabile e indipendente dagli Stati che ne forniscono i contingenti, allo scopo di rendere del tutto autonomi sia l'azione diplomatica sia l'eventuale intervento militare risolutivo a sostegno della

I SOLDATI ITALIANI E LA PACEIl rinnovamento delle nostre Forze Armate al servizio della democrazia e della pace.Tipologia D: tema di ordine generale

Una conquista di civiltà, un segno del progresso civile, sociale e spirituale dei popoli: questa è la pace. Caduto il regime fascista e finita la seconda guerra mondiale, una tragedia in cui il nostro Paese era stato scaraventato dalla dittatura mussoliniana, il popolo italiano si dimostrò consapevole del valore altissimo, potremmo dire assoluto, della pace, il bene più prezioso dell'uomo insieme alla libertà.Di questo sentimento presente nella comunità nazionale si fecero interpreti i Costituenti che, nel redigere la Carta Costituzionale, s'ispirarono ai principi di libertà, di democrazia e, ovviamente, di pace.L'Italia ripudia la guerra come stru-mento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, così recita solenne-mente l'art. Il della Costituzione, ma la nostra Carta Costituzionale afferma anche che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino e che il servizio militare è obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 52). Inoltre viene inequivocabilmente affermato che l'ordinamento delle Forze Armate si uniforma allo spirito democratico della Repubblica.Per comprendere il significato di quest'ultima norma, occorre risalire alle origini dell'esercito italiano e ricordare che questo affondava le proprie radici nell'esercito pie-montese, ordinato secondo criteri autoritari e di dura disciplina e formato da ufficiali di carriera che erano prevalentemente di origine aristocratica e comunque tutti legati

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alla monarchia e all' ambiente di corte.Queste tradizioni si trasmisero anche all'esercito italiano sorto nel 1861 dall'unificazione di quello sabaudo con gli eserciti degli altri Stati italiani.Durante il fascismo rimase viva nel-l'esercito la fedeltà al re: la si dimostrò, subito dopo la caduta del regime mussoliniano, con la formazione di un esercito di libe-razione che combatté accanto agli Angloamericani nella campagna d'Italia contro i Tedeschi. Anche nell'immediato dopoguerra sono sopravvissute nelle Forze Armate repubblicane tradizioni autoritarie e antidemocratiche ed a volte si è impartita alle reclute un'educazione militare contraria ai valori scaturiti dalla guerra di Liberazione e dalla Resistenza.Secondo lo spirito democratico che informa la Costituzione, le Forze Armate devono invece garantire il rispetto della personalità del soldato ed impegnarsi a difendere la libertà, la pace e la sicurezza dello Stato. Inoltre esse sono al servizio della comunità, pronte ad accorrere in aiuto delle popolazioni colpite da calamità naturali come alluvioni o terremoti.In questi ultimi anni vari ritardi sono stati colmati, inserendo i corpi militari nel processo di sviluppo sociale e civile del Paese. Nell'ambito di questo ampio processo di rinnovamento delle nostre Forze Armate rientrano l'apertura delle carriere militari alle donne, nello spirito del principio della parità dei sessi, come sancito dalla Costitu-zione, ma anche l'abolizione della leva obbligatoria, sostituita con il servizio militare professionale, come già è in atto in vari Paesi, ad esempio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Un'iniziativa, questa, che tempo fa avrebbe suscitato proteste e accuse di "golpismo" strisciante, ma che oggi, vista la diffusa consapevolezza democratica nella società e nelle stesse Forze Armate, si rivela quanto mai opportuna per rendere queste ul-time più efficienti e competitive, si badi bene, non tanto per operazioni strettamente militari, quanto per gli interventi di pace che, sempre più frequentemente, si è costretti a fare nelle "aree calde" del Pianeta: ricordiamo la presenza in Iraq di un nostro contingente impegnato nel compito di restituire quel martoriato Paese alla normalità.Che le Forze Armate italiane siano impegnate, con quelle di altri Stati e con i "caschi blu" dell'ONU, in rischiose missioni di pace e anche nella lotta al terrorismo inter-nazionale, comprova l'alto livello professionale raggiunto da alcuni

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nostri reparti e testimonia il ruolo di protagonismo che il nostro Paese svolge nel mondo in difesa della libertà e della pace

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BIODIVERSIT À ED EFFETTO SERRAL'effetto serra pregiudica la biodiversità, quindi attenta alla possibilità di vita in futuro sul nostro Pianeta.Tipologia D: tema di ordine generale

L'effetto di maggior impatto ambientale che l'industrializzazione abbia prodotto èsenza dubbio il cosiddetto "effetto-serra", cioè la concentrazione negli strati bassi del-l'atmosfera di gas tossici, in particolare anidride carbonica, che hanno creato una sorta di gigantesca serra che impedisce al calore irradiato dal sole sul nostro pianeta di disperdersi. L'effetto-serra ed il conseguente progressivo surriscaldamento della superficie della Terra possono determinare effetti devastanti sull'equilibrio ambientale: mutazione dei cicli stagionali, innalzamento del livello del mare, crescente desertificazione della superficie terrestre, pericolosa contrazione della biodiversità.La biodiversità, cioè la complessa differenziazione delle specie e, alI 'interno di ogni specie, degli individui, costituisce il segreto della vita. È essa che consente una più ampia selezione degli individui e quindi la sopravvivenza delle stesse specie, ed è la vera ricchezza del nostro Pianeta, poiché rende possibile quella varietà che permette ad ogni specie di meglio reagire alle variabili esterne, garantendo così un equilibrio altrimenti difficilmente sostenibile.L'inquinamento ambientale e i gravi fenomeni della deforestazione e della desertificazione rischiano di condannare al l'estinzione tante specie animali e vegetali, queste ultime messe in pericolo anche dalle modificazioni genetiche che favoriscono la produzione su larga scala di poche varietà di colture, più facilmente commerciabili.Da sempre le piante e gli animali hanno dovuto adattarsi ai mutamenti climatici, ma da quando queste alterazioni sono diventate più rapide e frequenti a causa dell'aumento dell'immissione di gas-serra nell'atmosfera, tante specie animali, di mammiferi come di uccelli, di insetti come di pesci, sono state costrette a cambiare anticipatamente il loro habitat, cioè a spostarsi in luoghi più consoni alla loro sopravvivenza.Il WWF, l'associazione mondiale per la difesa della natura, ha lanciato l'allarme: centinaia di specie, dai gamberi d'acqua dolce a numerose varietà di farfalle e d'insetti, dalle meduse ai ricci di mare, rischiano di scomparire nei prossimi anni. In pericolo sono anche molte specie di

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mammiferi e di uccelli. La salvaguardia della vita sul Pianeta, dell' attuale flora e dell' attuale fauna, dipende dall'efficacia delle politiche ecologiche dei Paesi più industrializzati, che sono i maggiori responsabili dell 'inquinamento ambientale.In primo luogo, occorre investire su fonti energetiche alternative al carbone, al petrolio, ai gas naturali e anche al nucleare, su fonti che siano rinnovabili e pulite. Le speranze sono riposte nell'energia ricavabile dall'idrogeno, un elemento inesauribile in natura. Oggi il costo di produzione di questo tipo di energia è molto alto, ma ricerche e sperimentazioni sono a buon punto.In secondo luogo, bisogna evitare che l'uomo continui, con indifferenza e in modo indiscriminato, a piegare il territorio alle proprie esigenze, ad esempio distruggendo le foreste per fare posto alle aree coltivabili, ai pascoli e all'attività mineraria, costruendo dighe, deviando e canalizzando fiumi, edificando comunque e dovunque.Infine, ma non ultimo per importanza, è necessario ridurre drasticamente le emissioni di gas-serra secondo quanto previsto dal "protocollo" di Kyoto, sottoscritto durante la Conferenza sul clima, tenutasi nella città giapponese nel 1997, dai rappresentanti dei governi di numerosi Paesi e finalmente entrato in vigore nel febbraio 2005 dopo la ratifica della maggior parte degli Stati firmatari, che s'impegnano a ridurre progressivamente, entro il 2012, la quantità di sostanze inquinanti immesse nell' atmosfera.L'Unione Europea ha ribadito la volontà di onorare l'impegno, dando prova di un inatteso spirito unitario nell'affrontare la questione ambientale, a differenza degli Stati Uniti, che si ostinano a non voler ratificare il Protocollo e la cui politica economica continua a privilegiare gli interessi di parte rispetto a quelli generali.Solo attraverso un programma sovra-nazionale d'interventi, finalizzato a "dematerializzare" il processo produttivo, cioè utilizzando una minore quantità di materiali ed energia nella produzione dei beni, ed a conciliare la tecnologia con l'ecologia, è possibile realizzare lo sviluppo sostenibile, cioèil miglioramento delle condizioni di vita complessive dell 'umanità nel rispetto degli equilibri ambientali che, come si sa, non conoscono confini nazionali.

LA DIFESA DEI DIRITTI UMANIDal diritto alla libertà ai diritti sociali, dal diritto alla pace a quello di vivere in un ambiente sano: la lotta

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per i diritti umani segna le tappe del progresso civile e sociale.Tipologia B: articoloAmbito: socio-politico-giuridico Destinazione: pubblicazione su giornale quotidiano

Ogni uomo ha il diritto di vivere in libertà e di esprimere le sue opinioni, il suo pensiero, la sua fede religiosa, la sua appartenenza politica; ha il diritto di migliorare, attraverso un lavoro sicuro ed equamente retribuito, le condizioni di vita proprie e della sua famiglia, potendo anche fruire dei ritrovati della tecnologia. Ogni uomo, in quanto cittadino, dallo Stato, nei confronti del quale ha il dovere di pagare le imposte, ha il diritto di essere tutelato mediante l'assistenza previdenziale e quella sanitaria, nonché di essere difeso da qualsiasi fonna di violenza. Ha il diritto di non essere emarginato dalla società, magari solo perché ha la pelle di un altro colore, professa un'altra religione o ha contratto una malattia particolarmente contagiosa. Ha, infine, il diritto di vivere in un mondo senza guerre né disu-guaglianze economiche e sociali.Questi ed altri diritti sono previsti dalla Costituzione italiana, che dedica molti articoli al riconoscimento delle libertà individuali (libertà di parola, di stampa, di fede religiosa, di riunione, di domicilio, di circolazione) e riba-disce l'uguaglianza di tutti gli uomini "davan ti alla legge", senza alcuna distinzione di sesso, razza, lingua, religione ed opinioni politiche (art. 3).Il diritto al lavoro e gli altri diritti sociali vengono riconosciuti fin dal primo articolo della Carta Costituzionale, dove si afferma che "l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro". Ampio rilievo viene dato anche al dovere dello Stato italiano di tutelare la salute dei cittadini mediante la prevenzione delle malattie e la salvaguardia dell'ambiente. Fondamentale è pure il diritto allo studio, che si può eser-citare tramite l'istruzione pubblica, ma anche quella privata purché senza oneri per lo Stato. Quest'ultimo, infine, deve garantire la sicurezza dei cittadini, combattendo le grandi or-ganizzazioni malavitose (mafia, camorra, 'ndrangheta), la criminalità quotidiana e il terrorismo, sia quello interno (come già avvenuto negli "anni di piombo") sia quello interna-zionale.Il riconoscimento e la difesa dei diritti umani sono necessità inderogabili che non appartengono alla sola società contemporanea. Si può affermare infatti che gli uomini di ogni epoca hanno sentito l'esigenza di rivendicare i propri diritti, dando la priorità ad alcuni

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anziché ad altri in base al contesto storico. Ad esempio, è ovvio che nella Dichiarazione dei diritti dell' uomo e del cittadino, sottoscritta nel 1789 nel clima della Rivoluzione francese, oltre all'affermazione della libertà e dell'uguaglianza degli uomini, fosse sottolineato il diritto di tutti i cittadini a partecipare, personalmente o mediante rappresentanti, all'elaborazione delle leggi dello Stato. Ed è altrettanto ovvio che, al tempo della guerra di secessione americana, il diritto più impellente fosse quello della libertà di tutti, da realiz zare mediante l'abolizione della schiavitù dei neri e nel rispetto di quella Dichiarazione d'indipendenza americana che, proclamata quasi un secolo prima, aveva accompagnato la nascita degli Stati Uniti d'America: un documento che riconosce il diritto dell'uomo alla vita, alla libertà, all'uguaglianza e perfino alla ricerca della felicità. Così come non bisogna meravigliarsi se, dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, il desiderio di pace del mondo intero fosse tra le principali aspirazioni della Dichiarazione universale dei diritti dell' uomo, proclamata il lO dicembre 1948 dall' Assemblea generale delle Nazioni Unite ed alla quale ancora oggi si fa generalmente riferimento.Purtroppo tante volte, nel corso della storia, i diritti umani sono stati violati, a cominciare proprio da quello alla pace, messo in pericolo non solo dalle due guerre mondiali, ma anche dai numerosi conflitti che si combattono ancora oggi: dall'Iraq ai tanti Paesi "dimenticati" dell' Africa e dell' Asia.Numerosi altri diritti umani vengono quotidianamente calpestati: pensiamo ai tanti bambini di alcuni Paesi poveri del Terzo Mondo, costretti alla denutrizione o addirittura ridotti a lavorare in schiavitù dalle condizioni d'indigenza delle loro famiglie; alle persone, soprattutto giovani, extracomunitari, ma anche minori che sono sfruttati nel lavoro anche nel nostro Paese; all'inqui-namento ambientale, che rischia di mettere a repentaglio la vita sull 'intero Pianeta; all'intolleranza che discrimina le minoranze etniche e sociali; al crescente divario tra il Nord del mondo, ricco ed industrializzato, ed il Sud povero, dove tanti Paesi sono attanagliati dalla fame e dall'indebitamento.

IL RAZZISMOUna malattia purtroppo ancora diffusa dopo tante tragedie del passato.Tipologia D: tema di ordine generale

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In antropologia culturale, la disciplina che studia l'evoluzione dei vari gruppi umani, si definisce "etnocentrismo" l'atteggiamento di chi giudica gli altri gruppi etnici esclusivamente in base alla propria cultura ed ai valori che da essa derivano. Da questo comportamento, per estensione, nasce la cosiddetta "paura del diverso", cioè un senso di smarrimento che coglie chi si relaziona con culture, atteggiamenti, costumi e consuetudini differenti dai propri.Immaginiamo, ad esempio, il caso di un uomo del XXI secolo che si ritrovi improvvisamente in una tribù primitiva, magari nel bel mezzo di un rituale religioso: quale sarebbe la sua reazione? Di sicuro si sentirebbe disorientato davanti ad un'esperienza così distante da quelle a cui è stato abituato nel corso della sua vita quotidiana.Superato questo primo momento di giustificato imbarazzo, lo stesso individuo potrebbe mostrare interesse per quello a cui sta assistendo, considerandolo un fattore di arricchimento delle sue conoscenze, oppure potrebbe manifestare disprezzo, ritenendolo espressione di una cultura inferiore a quella a cui appartiene. Se dovesse verificarsi la seconda ipotesi, saremmo di fronte ad un caso di discriminazione razziale.Il razzismo è infatti un atteggiamento che stabilisce rapporti gerarchici tra le popolazioni umane, esaltando le qualità supe riori di un particolare gruppo etnico, il proprio, rispetto agli altri.Un atteggiamento discriminante, se supportato da una teoria o da un'ideologia, può indurre al pregiudizio, all'intolleranza e al desiderio di sopraffazione nei confronti di una "razza" giudicata inferiore.È quanto avvenne in Germania al-l'epoca del nazismo, quando la teoria della "superiorità della razza ariana" fu il pretesto per la diffusione dell' antisemitismo promosso da Hitler, di cui furono vittime milioni di Ebrei, prima deportati e poi massacrati nei campi di concentramento nazisti. Anche l'Italia fascista, per compiacere al potente alleato tedesco, si rese responsabile di pesanti discriminazioni ai danni dei cittadini italiani ebrei quando nel 1938 furono varate le famigerate "leggi razziali": una macchia disonorevole nella storia del Nove-cento del nostro Paese!La tragedia degli Ebrei negli anni della seconda guerra mondiale non è purtroppo l'unico episodio di razzismo nella storia dell'umanità. Ricordiamo il triste fenomeno del colonialismo europeo che,

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nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento, depredò le risorse umane e materiali dell' Asia e dell' Africa, giustificandolo con la presunta superiorità della "razza" bianca. Già prima di allora milioni di Africani erano stati venduti come schiavi nelle piantagioni americane e solo nel 1863 la schiavitù era stata abolita negli Stati Uniti.Ricordiamo anche il regime segrega-zionista ("apartheid") imposto nel Sudafrica alla maggioranza di colore, costretta a vivere nei ghetti senza diritti civili e politici, e durato fino agli anni Novanta, quando le lot te dei neri ispirate da Nelson Mande1a hanno ristabilito per tutti l'uguaglianza dei diritti.Ricordiamo, infine, gli episodi d'intolleranza razziale ai danni di tanti stranieri extracomunitari che hanno abbandonato le loro terre d'origine, martoriate dalla miseria e dai conflitti interetnici, e sono giunti nei Paesi ricchi ed industrializzati dell'Occidente alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro.Anche l'Italia conosce bene il dramma degli immigrati clandestini e dei profughi: che siano neri, curdi o maghrebini, essi sfidano l'ignoto, spinti dalla stessa disperazione e tentano di raggiungere le coste, pugliesi, calabresi o siciliane, dopo lunghi viaggi in mare su imbarcazioni di fortuna.La reazione di alcuni nostri connazionali purtroppo non è all'insegna della civile accoglienza, ma, troppo spesso, dell'intolleranza e della xenofobia. Si dimentica che, ancora negli anni Cinquanta e Sessanta, molti Italiani del Meridione emigrarono in America e in alcuni Paesi del Nord dell'Europa per trovare un impiego più stabile, pa-tendo probabilmente gli stessi disagi di tanti extracomunitari che attualmente vivono in Italia.In tanti Paesi dell'Occidente ancora oggi continuano a verificarsi episodi di discriminazione e d'intolleranza nei riguardi di minoranze etniche e religiose, nonché degli immigrati. Sembra un controsenso che ciò avvenga proprio quando la "rivoluzione digitale" sta avvicinando tutti e rendendo il mondo davvero un "villaggio globale". Pensiamo ad Internet che, seppur virtualmente, ha ridotto le distanze geografiche e culturali davvero un "villaggio globale". Pensiamo ad Internet che, seppur virtualmente,ha ridotto le distanze geografiche e culturalitra i vari continenti, favorendo la comunicazione a distanza tra persone che pensano, parlano, si comportano in modo differente. Evidentemente, attraverso il monitor di un computer, non può manifestarsi quella "paura del diverso" a cui si accennava prima.

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Bisogna interpretare in modo corretto il significato del concetto di "diversità": è del tutto ovvio ed anche interessante che una persona dalla pelle nera sia diversa da una che ha la pelle bianca, così come lo è chi professa la religione cattolica rispetto ad un musulmano o ad un buddista; l'importante è non considerare l'uno inferiore all'altro.Finché il confronto con "l'altro da noi" sarà considerato una fonte d'arricchimento culturale e spirituale, non ci potrà essere razzismo ed ognuno sarà in grado di relazionarsi senza alcun pregiudizio con i numerosi "diversi" che incontra nella vita di tutti i giorni.Infine bisogna rilevare che è fuori luogo ormai usare l'espressione "razze umane": le "differenze" tra gli individui non sono riconducibili a presunte "razze", come per gli animali, geneticamente determinate. Lo hanno dimostrato abbondantemente, se mai ce ne fosse stato bisogno, le recenti ricerche sul DNA e sul genoma umano. È piùgiusto e scientifico parlare di "etnie", a significare l'importanza delle diversità culturali sedimentate dai percorsi storici dei popoli.

LA SOCIETÀ MULTIETNICASi scriva un saggio sulla prospettiva di una società multietnica, aperta all'incontro di più culture, che sembra profilarsi in un prossimo futuro.Tipologia B: saggio breve Ambito: socio-culturaleDivisione in paragrafi:1) La multietnicità come fattore di arricchi

mento della società2) La necessità di far cadere ogni pregiudi

zio e di promuovere l'accoglienza3) Il ruolo della scuola nell'educare alla

tolleranza ed alla comprensione di altri

popoli e culture4) Il mantenimento delle "radici" culturali

nazionali pur nella prospettiva della

multietnicità

1) La nostra società si va configurando sempre più come multietnica e pluriculturale: il riconoscimento della differenza come valore è il fondamento di una nuova concezione, più adeguata, della democrazia, che non esiste come una realtà data una volta per tutte, ma come qualcosa di perCettibile.Certo, la concezione che abbiamo noi oggi della democrazia, è diversa, ad esempio, da quella che si aveva nell'Atene dell'età di Pericle ed assegna rilevanza e valore alla

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pluralità e alla diversità.Questo non significa adagiarsi nella tolleranza di comodo di un pigro relativismo, ma apre la strada ad un'etica della responsabilità che può diventare un efficace antidoto all'intolleranza ed al razzismo. Il sponsabilità che può diventare un efficaceantidoto all'intolleranza ed al razzismo. Ilriconoscimento della differenza, sia essa etica, religiosa o di costume, apre la possibilitàal dialogo fra le culture, alla comunicazione fra i popoli, quindi contribuisce a distruggere stereotipi culturali e pregiudizi.È una nuova cultura che deve farsi strada e che, in un mondo segnato dalla plurietnicità, deve favorire una vera e propria civiltà dell' accoglienza, in grado di rendere praticabile l'incontro fra i popoli. Già nel nostro quotidiano, gli immigrati, coloro che professano altre fedi religiose, i diversi da noi non devono essere considerati come l' "inquinamento" di una presunta purezza ed integrità della nostra civiltà, come purtroppo, in un passato nemmeno troppo lontano, certi pregiudizi razziali inducevano a pensare, ma devono essere visti come un autentico arricchimento portato alla nostra società.D'altronde, la stessa storia ci addita, quali esempi di società dinamiche, quelle in cui più popoli, più culture si sono incontrate: ne era un esempio ieri Roma, la capitale di un impero grande quanto il mondo allora conosciuto, che era un autentico crogiuolo di etnie provenienti da tutte le sue province; ne è un esempio oggi la società americana, dove l'accelerazione del progresso è stata favorita dalla mescolanza di tante etnie, conseguenza del sovràpporsi delle diverse ondate migratorie.2) La società multietnica e pluriculturale non può essere assolutamente la societàdella discriminazione e dell' emarginazione. In essa deve invece diventare operante il principio dell'accoglienza. La consapevolezza che chi vit<ne, magari da molto lontano, a portare il contributo della sua operositàe della sua intelligenza, perché nel suo Paese non gliene si dà la possibilità o, peggio, lo si perseguita, deve renderei disponibili ad accoglierlo con calore ed entusiasmo, oltre che con quel pizzico di curiosità che generalmente accompagna, nelle persone intelligenti, l'incontro con il nuovo. Deve pertanto cadere ogni pregiudizio, rivelatore di scarsa in-telligenza, di limitata curiosità e di paura del nuovo e del diverso, che impedisce ogni incontro e ogni confronto.

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3) La scuola può far molto nell'educare le giovani generazioni all'incontro con le altre culture e le altre etnie. In primo luogo, in molte aule, soprattutto delle scuole materne, elementari e medie, accanto agli scolari italiani già siedono tanti bambini e ragazzi figli d'immigrati extracomunitari; ed è molto bello vedere nelle classi delle nostre scuole degli spicchi di mondo. In secondo luogo, la scuola, lungi dall 'insegnare discipline astratte ed estranee alla vita, deve far sentire più vicini a noi i popoli lontani e deve far conoscere genti diverse attraverso l'incontro con le altre culture. In terzo luogo, una scuola democratica, che opera in un Paese democratico, fonda la sua azione educativa sul principio della tolleranza e del libero confronto delle idee.4) Questo non significa che devono essere smarriti i valori della propria identitànazionale e le proprie radici. Come, ad esempio, fino ad oggi abbiamo apprezzato'che fossero conservate le radiei "locali" di un' entità più ristretta di quella nazionale, quale poteva essere quella etnica o regionalistica, così adesso devono essere relazionati i valori nazionali con quelli più ampi, aperti all'incontro fra le culture ed i popoli. Tutto ciò, insomma, che arricchisce il patrimonio culturale umano deve essere valorizzato.

L'ISLAM E L'ITALIALa presenza, sempre più massiccia, d'immigrati musulmani nel nostro Paese impone la ricerca di una convivenza che sia in accordo con le loro esigenze religiose e culturali e, nel contempo, rispettosa delle leggi e dei valori democratici dell'Italia.Tipologia D: tema di ordine generale

Sono circa un milione gli immigrati musulmani oggi in Italia: provengono dai Paesi arabi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente, dal Pakistan, dal Bangladesh e da alcuni Paesi dell'Africa Nera.In numero crescente sono pure gli Italiani che si convertono all'Islam, alcuni perché affascinati dalla grande religione monoteista fondata sui princìpi del Corano, altri per interessi pratici, matrimoniali o di relazioni d'affari con Paesi musulmani.Sono tante le tessere che compongono il complesso e variegato mosaico dell'islamismo e di ognuna di essa si trova traccia in Italia: l'Islam laico, cioè gli immigrati musulmani che non frequentano abitualmente le moschee, i luoghi di culto islamico; l'Islam ecumenico, cioè aperto al confronto con il cristianesimo e

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l'ebraismo (le altre due grandi religioni monoteiste), al quale aderiscono gli Italiani convertiti praticanti; l'Islam ortodosso, che predica la solidarietà tra i musulmani nel mondo ed ha stretti legami con l'Arabia Saudita; l'Islam integralista, che coniuga in modo indissolubile religione e politica, senza però violare le leggi italiane.La massiccia presenza d'immigrati mu sulmani nel nostro Paese impone di raggiungere una convivenza tra questi e i cittadini italiani, in modo da stabilire un'intesa che consenta ai primi di fruire di misure rispondenti a specifiche loro esigenze, come poter disporre di cibi preparati secondo i criteri islamici (è noto che i musulmani rifiutano l'alcol e la carne di maiale), di un'assistenza religiosa negli ospedali e nelle carceri, di propri spazi cirniteriali, di moschee nei luoghi di maggiore insediamento; e agli Italiani di essere certi che la piena integrazione degli immigrati islamici avviene nel rispetto delle leggi della Repubblica e dei valori democratici che la ispirano, ad esempio per quanto riguarda la piena parità uomo-donna.La questione islamica, che forse con un certo ritardo si è imposta nel nostro Paese soprattutto dopo i fatti dell' Il settembre 2001, ha consentito alle forze dell'ordine di accertare che in Italia sono presenti delle ra-mificazioni di Al Qaeda e di altre organizzazioni islarniche estremiste. È vero che uno Stato laico, ai cui valori s'ispira anche la nostra Repubblica, non può interferire negli affari religiosi, ma questo non deve impedire allo Stato italiano d'isolare le frange islamiche che praticano il terrorismo e favorire una serena convivenza con la maggior parte dei musulmani moderati.Dopo i tragici attentati dell' Il settem-bre 2001 negli Stati Uniti e dell'Il marzo 2004 in Spagna, anche in Italia si è diffuso il timore del terrorismo ispirato dal fonda-mentalismo islamico, ma quella che è una giustificata preoccupazione non deve trasformarsi in una demonizzazione dei musulmani, soprattutto di coloro che vivono sta-bilmente e operosamente nel nostro Paese. Bisogna ribadire che l'lslam è prima di tutto una grande religione monoteista professata oggi da più di un quinto della popolazione mondiale. Occorre inoltre precisare che il fondamentalismo non è un elemento esclusivo dell'lslam, ma può svilupparsi nell'ambito di ogni religione, anche di quella cristiana, qualora si pretenda di organizzare la società rigorosamente secondo i pre-cetti dottrinari religiosi.Sovente si tende invece a confondere l'islamismo con l'integralismo

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(termine che indica le frange estremiste, religiosamente intransigenti e politicamente violente), dimenticando che esiste anche un Islam aperto al dialogo e per niente propenso al terrorismo.Il primo passo da compiere sul percorso della pacifica convivenza tra Italiani ed immigrati musulmani è eliminare ogni forma d'ignoranza e di pregiudizio dei primi nei riguardi dei secondi. Le diversità, pur evidenti tra la civiltà occidentale e quella islamica, devono essere vissute come una fonte di arricchimento culturale e spirituale e non come motivo di contrapposizione.Prima che la distanza tra questi due mondi diventi incolmabile, con evidenti conseguenze negative per entrambi, è necessario stabilire dei solidi punti di contatto e di confronto, magari partendo dal considerare la vita quotidiana e quella spirituale come un tutt'uno, cosa naturale per gli Islamici, ma non per gli Occidentali che da tempo sembranq privilegiare le esigenze del "corpo" (l'individualismo e il profitto) su quelle dell' "anima" (la solidarietà e la tolleranza).

LA FAME NEL MONDOLa tragedia di sei milioni di bambini che nel mondo annualmente muoiono per la denutrizione è la più grande emergenza umanitaria del XXI secolo.Tipologia D: tema di ordine generale

La FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, nel suo ultimo rapporto in ordine di tempo ha lanciato un allarme: la lotta contro la fame nei Paesi poveri del Terzo Mondo è in una situazione di stallo, per cui è aumentato il numero di bambini che ogni anno muore per fame, oggi addirittura uno su sette.Questo significa che sei milioni di piccoli esseri umani, pari all'intera popolazione infantile dell'Italia e della Francia, cade ogni anno vittima della miseria, della denutrizione, della mancanza delle più elementari condizioni igienico-sanitarie.Sono gli effetti più catastrofici della povertà che attanaglia alcune aree particolarmente degradate del Sud del Pianeta, come gran parte dell' Africa subsahariana e molti Paesi asiatici e dell' America Latina.La sottoalimentazione rende ovvia-mente i bambini più vulnerabili alle malattie: in organismi debilitati e sotto peso, basta una diarrea, il morbillo o un banale attacco influenzale, cioè disturbi che siamo abituati a curare facilmente, per creare dei danni irreparabili. Inoltre la malnutrizione nell'infanzia ritarda

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la crescita e l'apprendimento e quindi incide negativamente sull'istruzione e sulla capacità lavorativa, le uniche ri-sorse per uscire dal sottosviluppo. sorse per uscire dal sottosviluppo.La denutrizione è anche una pesante eredità delle guerre civili e dei conflitti interetnici che si sono combattuti o ancora si combattono in alcuni Paesi del Terzo Mondo, i cui effetti si abbattono sulle popolazioni civili, peggiorandone le già precarie condizioni di vita. E, come sempre accade, a subire le maggiori conseguenze sono ancora una volta i bambini, molti dei quali, quando sopravvivono, restano orfani o menomati nel fisico, nella psiche, negli affetti.Secondo la FAO, nel 2015 il numero di persone che attualmente soffre di denutrizione potrebbe essere dimezzato mediante un investimento di risorse pubbliche pari appena allo 0,1 % del Prodotto interno lordo complessivo dei Paesi ricchi. Un risultato che difficilmente si potrà raggiungere, se i finanziamenti allo sviluppo continueranno a decrescere come negli ultimi anni.In realtà, la denutrizione non dipende dalla mancanza di cibo, bensì dalla diseguale distribuzione dello stesso: una disparitàche s'inserisce nel più ampio divario esistente tra i Paesi ricchi e quelli poveri del mondo. È la contraddizione più stridente del nostro mondo che, ancora nel ventunesimo secolo, vede una parte della popolazione complessiva del Pianeta fruire dei vantaggi e del comfort assicurati dalla tecnologia ed un'altra, la maggioranza, affannarsi alla ricerca di condizioni minime di sopravvivenza. Ma poco o nulla si fa in sostanza per ridurre questo divario; anzi, il processo di globalizzazione dell'economia sembra aver allargato la forbice tra chi corre con il progresso e chi continua a precipitare nel baratro della povertà.Non bisogna dimenticare che, all'origi ne del sottosviluppo di tanti Paesi del Terzo Mondo, c'è stata la politica colonialista delle Potenze europee che, dalla prima metàdell'Ottocento, colonizzarono immensi territori dell' Africa e dell' Asia, privandoli delle loro risorse umane e materiali.Il processo di decolonizzazione, che a partire dagli anni del secondo dopoguerra permise alle colonie di conquistare l'indipendenza, non ha arrestato lo sfruttamento perpetrato dalle Potenze occidentali che, anzi, ha assunto una nuova forma, definita "neolocolonialismo". Quest'ultimo non agisce mediante l'occupazione politica ed armata dei territori, come avveniva in passato, bensì attraverso un dominio economico, finanziario e

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tecnologico a distanza e tale da imporre lo "scambio ineguale" tra i prodotti fmiti, ad alto valore aggiunto, dei Paesi ricchi e le materie prime e i semilavorati, a limitato valore aggiunto, di cui dispongono i Paesi poveri del Sud del mondo.A compromettere ogni tentativo di crescita economica del Sud del mondo è l'indebitamento accumulato dai Paesi poveri con i governi e le banche degli Stati ricchi: un fe-nomeno che risale al periodo immediatamente successivo alla decolonizzazione, quando i neonati governi locali si rivolsero all'Occidente per fmanziare i loro programmi di sviluppo che non si sono mai realizzati. Così a quei primi crediti se ne sono aggiunti altri, con il risultato che attualmente i Paesi poveri non sono in grado neanche di pagare il tasso d'interesse di servizio sul credito ricevuto.

PUBBLICITÀ COMMERCIALE E PROPAGANDA POLITICALa manipolazione delle coscienze attuata, soprattutto attraverso i mass-media, dalla pubblicità commerciale e dalla propaganda politica.Tipologia D: tema di ordine generale

Che cosa significa il tennine "manipolazione"? Se consultiamo un buon vocabolario della lingua italiana, leggiamo che significa propriamente "lavorazione di una materia o di un impasto plasmabile, trattandoli con le mani" e in senso lato indica la manovra o l'adattamento, per lo più svolti con grande perizia e arte consumata, di qualcuno o qualcosa confonne al proprio particolare interesse, previo l'esercizio di autorità o influenza usate con astuta spregiudicatezza.

La manipolazione presuppone pertanto la presenza di oggetti o, che è lo stesso, di persone e popoli ridotti di proposito a puri oggetti, cioè a mezzi per ottenere un fine de-terminato. La pubblicità commerciale e la propaganda politica, ad esempio, sono tecniche manipolative nella misura in cui la prima tende a ridurci alla condizione di puri clienti e la seconda ad imporci un sistema d'idee concepito all'inizio come lettura della realtà, ma che poi si è sganciato dalla realtà e si è ripiegato su se stesso, perdendo con ciò la sua forza persuasiva.AI venditore non interessano la nostra personalità e meno ancora la nostra libertà e il nostro bene: a lui preme una sola delle nostre innumerevoli funzioni, quella di compratore-consumatore. E per far sì che tale sua riduzione di fatto non sia

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da noi avvertita come imposizione d'inferiorità, lusinga le nostre inclinazioni di base, i nostri istinti. E, poiché tendiamo naturalmente a sopravvalutare ciò che ci sembra piacevole, pur se dotati di sufficiente orgoglio, accettiamo d'essere sviliti purché adeguatamente lusingati. E così, persuasi senza essere convinti, siamo di fatto vinti.Parimenti, al politicante senza scrupoli, demagogo o tiranno, non interessa né il vero, né il bene, ma l'accettazione da parte degli altri di un sistema di idee rigido, che non riscuoterebbe adesioni per mancanza di forza persuasiva, che può magari essere carico di emotività, ma ha perduto la sua efficacia. Per imporre tale ideologia, che è sua solo perché fa i suoi interessi, anche il politico lusinga le tendenze innate della gente, sforzandosi di vanificarne il senso critico.La pubblicità commerciale e la propaganda politico-ideologica agiscono in modo diverso, ma utilizzano gli stessi princìpi e gli stessi strumenti e si configurano come un gioco d'illusionismo che fa credere alla gente quel che vuole e, nel con tempo, ne condiziona vistosamente le scelte. Ambedue blandiscono e lusingano, la prima il pubblico di consumatori, la seconda la folla di seguaci o di elettori, con le stesse azioni con le quali di fatto le strumentalizzano; ne esaltano il senso di potenza e l'originalità nel mo-mento stesso in cui le privano di entrambe.Del resto il concetto stesso di massa, come insieme amorfo di semplici individui, è fortemente riduttivo ed ha una connotazione quantitativa più che qualitativa. Ma un milione di persone che, convinte delle proprie idee, manifestano in piazza con uno scopo ben definito e ponderato non costituiscono una massa, piuttosto una comunità, forse anche un popolo.La massa si compone di esseri che si rapportano fra loro come oggetti, per via di giustapposizione o di conflitti. La comunità è invece formata da persone che integrano i loro ambiti di vita, per dar luogo a nuovi ambiti e quindi arricchirsi reciprocamente.La massa, mancando di coesione interna, è facilmente dominabile e manipolabile da parte degli arrivisti dal potere facile. Ciò spiega perché, sia nelle dittature sia nelle democrazie (dato che in entrambi i sistemi politici esistono persone interessate a vincere senza sentire la necessità di convincere), il primo pensiero di ogni tiranno sia quello di privare la gente della capacità creativa.

Oggi questa azione deprivante si avvale delle tattiche della persuasione occulta, attraverso quella forma di assedio psicologico che definiamo manipolazione e che ha nella televisione la sua arma più

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formidabile. CosÌ, aggirando l'ostacolo della capacità critica del singolo, tramite la lusinga, le tec-niche manipolative penetrano nei recessi più profondi della psiche, liberando istinti, disseminando volontà e desideri che, quando affiorano al livello della coscienza, sembrano originali, autonomi, ma in realtà sono stati indotti. La loro soddisfazione ci appare come atto di libertà personale, ma si tratta di una pseudo-libertà, insita in qualsiasi esperienza di fascinazione, che implica estraniamento e alienazione, mentre la libertà vera, quella per la creatività, ne è l'esatto contrario ed è la sola che conduce al pieno sviluppo della personalità.

62I GIOVANI E LA MUSICALa musica, linguaggio universale dei giovani di oggi.Tipologia B: saggio breve Ambito: socio-culturaleDivisione in paragrafi:l) Il linguaggio universale della musica 2) l concerti come occasioni d'incontro e di

scambio culturale3) Musica e libertà

l) Sappiamo tutti quanto è importante oggi la musica per i giovani, che si sentono uniti dal linguaggio di quest' arte indipendentemente dal loro Paese di appartenenza, dalla loro lingua, dal loro status socio-culturale. Anzi, possiamo convenire che il valore universale, che è solitamente attribuito all'arte, si esprime realmente oggi nella musica, in quanto gli stessi orientamenti e le stesse tendenze, gli stessi gusti e gli stessi motivi sono condivisi dalle giovani generazioni di ogni continente. La prova è ripetutamente offerta dai concerti in pubblico di alcune bands che sono apprezzate in Italia come in Inghilterra, in Giappone come negli Stati Uniti.Effettivamente il linguaggio della musica è, in questo caso, universale e consente a tanti giovani di uscire dalla solitudine e d'incontrarsi, rendendo così possibile uno scambio di emozioni e di sensazioni. Certo, non si può dimenticare che le cronache spesso ci rivelano che i concerti diventano anche occasioni di consumo di droghe.2) Tuttavia non è questo l'aspetto fon-damentale dei grandi raduni in occasionedelle esibizioni delle più importanti rock-stars: importante per tanti giovani che vi accorrono è di ritrovarsi tutti insieme e condividere gli stessi stati d'animo, le stesse emozioni, la stessa euforia. È il partecipare tutti insieme allo stesso evento: l'esibizione delle rockstars o delle bands in cui ci si riconosce per i valori e per gli ideali che vengono proposti.Molto spesso i concerti offrono anche l'opportunità di lanciare un messaggio di pace, o di aiuto ai popoli del Terzo

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Mondo, o anche di speranza nella lotta all' AIDS, come nel caso di alcuni straordinari concerti dal vivo che sono stati seguiti in diretta dalle televisioni di tantissimi Paesi, iniziative umanitarie apprezzabilissime che hanno sensibilizzato l'opinione pubblica su questi temi di rilevante attualità e che hanno promosso raccolte di fondi da devolvere a nobili cause.Molte esistenze giovanili sono scandite dalla noia, dalla solitudine, dalla diffi-coltà d'individuare interessi da coltivare, ma un modo per rompere questo circolo vizioso è proprio la musica: spesso la si ascolta in casa per ritagliarsi qualche momento di relax o, meglio, per offrirsi un'occasione di dialogo con se stessi; ma altrettanto spesso la si ascolta anche in pubblico, insieme ai coetanei, in occasione dei concerti.Il concerto rappresenta un modo fisico di stare insieme, di ritrovarsi in tanti, di

. uscire dalla noia e dalla solitudine, certo più costruttivo e creativo di quello che può offrire la discoteca, dove si realizza una dimensione più consumistica e più tecnologi_ ca dell' ascolto della musica, dove ilsentirsi

I GIOVANI E LA MUSICA64tra gli altri è occasionale e legato alla consuetudine di uscire fra amici.Invece il ritrovarsi in un concerto pub-blico rappresenta l'occasione di uno scambio più profondo, di emozioni e messaggi fra chi si esibisce dal palco e chi ascolta, ma anche all'interno della massa dei fruitori del concerto.3) È un'abitudine che, in pratica, è co-minciata verso la fine degli anni Sessanta, con i concerti ormai storici di Woodstock, dell'isola di Wight, di Monterey, eventi che allora ebbero qualcosa di liberatorio, momenti di protesta che costituirono un modo, per le giovani generazioni, di ritagliarsi un tempo e uno spazio lontani dal conformi-smo degli adulti e dal "perbenismo" bor-ghese.Questo desiderio d'indipendenza rimane un tratto caratteristico dei concerti anche oggi, in quanto, nel ritrovarsi tutti insieme, prescindendo dalle diversità di ceto sociale o di livello culturale o di etnia, continua ad esserci da parte dei giovani, di oggi come di ieri, un modo di distinguersi da un mondo degli adulti a cui ancora s'imputano disvalori come l'ipocrisia, l'affarismo, una stupida ufficialità di facciata.Poter ascoltare liberamente la musica che piace, potere stare tutti insieme in uno spazio proprio, lontano dalle norme degli adulti, è un modo di gestire il proprio tempo e la propria esperienza, che costituisce una liberatoria conquista di consapevolezza, che va al di là di un semplice momento di svago, quale può essere, ad esempio, la serata in discoteca. L'assistere a un concerto è ben piùdi un divertimento: è, per i giovani, un'espe-

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rienza collettiva di libertà.

MASS MEDIA E LIBERTÀ D'INFORMAZIONE

Non c'è vera democrazia senza libertà di stampa e d'informazione, ma questa oggi è minacciata dal processo di concentrazione della proprietà delle testate giornalistiche e delle reti televisive.Tipologia D: tema di ordine generale

L'abitudine di vedere circolare libera-mente libri, quotidiani, settimanali e di poter scegliere tra molti programmi radio-televisivi ci rende difficile immaginare l'esistenza della censura, che è propria dei regimi totalitari, e il controllo sui mezzi di comunicazione di massa. Eppure sappiamo che dei mezzi di comunicazione di massa si fa un uso strumentale di propaganda per diffondere le idee e gli orientamenti di chi è al potere.L'articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana afferma: "Tutti i cittadini hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure".È proprio d'ogni Paese democratico garantire la libertà di stampa e d'informa-zione. Ma questa libertà non può essere intesa solo come possibilità teorica di pubblicare, ad esempio, giornali e periodici: a questo riguardo è opportuno che si tenga presente che, per stampare un giornale e diffonderlo, occorrono, con le idee, anche i mezzi fmanziari.La libertà di stampa e d'informazionecomporta l'individuazione delle condizioni per l'esercizio di un effettivo pluralismo, cioè presenza di giornali e reti radiotelevisive di diverso orientamento culturale e politico, e correttezza e onestà nell'informare il lettore. Infatti il pluralismo permette il confronto delle idee e dei giudizi, perciò è premessa e fondamento di maggiore libertà. Ma il pluralismo può essere minacciato dalla concentrazione dell'informazione nelle mani di pochi proprietari.I grandi mezzi di comunicazione di massa presentano un alto tasso di ambiguità. Se da un lato rimpiccioliscono il mondo, mettendoci in contatto con uomini e culture lontani da noi, consentendoci di partecipare all'esperienza del mondo e di vivere nella storia e nella contemporaneità, dall' altro rischiano di divenire strumenti massificanti e alienanti, un narcotico così suggestionante da lasciarci in balia di chi li gestisce. Se, da un lato, i media permettono un'informazione potenzialmente amplissima, dall'altro tale potenzialità si riduce di fatto ad un numero esiguo di notizie accuratamente selezionate e filtrate da gruppi di potere politico ed economico che, attraverso lotte aperte e sotterranee, cercano di

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controllare stampa, radio, televisioni.E i media, in mano al potere, oltre che a rafforzarlo, divengono sempre delle terribili macchine di costruzione del consenso, attraverso il blocco delle informazioni pericolose per gli equilibri esistenti, il controllo dei canali informativi, ingigantendo o minimiz-zando e persino inventando le notizie.A fronte di questi pericoli, s'impone la necessità di una continua battaglia per la libertà d'informazione, esercitando, attraverso adeguati strumenti indicati dalle leggi, un controllo democratico che impedisca la concentrazione della proprietà delle testate giornalistiche e delle catene televisive e radiofoniche, comunque camuffate, e soddisfi l'esigenza di una pluralità di fonti d'infor-mazione.Ma non basta: occorre attivare altri meccanismi protettivi per difendersi dai pericoli che i media comportano. Si deve cioèreagire, operando non solo là dove la comunicazione parte, ma là dove la comunicazione arriva; in altri termini, deve essere il destinatario dell'informazione a difendersi, sia attraverso la fruizione critica, sia attraverso la controinformazione (o informazione alternativa) per mezzo dei micromedia o mezzi di comunicazione leggeri: dal manifesto murale al cortometraggio cinematografico, dalla TV via cavo alla stampa alternativa, dalle radio locali alle TV di quartiere.Per fruire criticamente di un messaggio trasmesso dai mass-media, occorre cono-scere il meccanismo del loro funzionamento, la possibilità che essi e chi li gestisce hanno di mistificare la realtà. A volte basta un titolo confezionato con abilità, un aggettivo piuttosto che un altro, un corsivo, per stravolgere una notizia. Stesse immagini poste in sequenza diversa cambiano di significato e trasmettono un messaggio diverso; un'inquadratura dall'alto in basso o dal basso in alto connota diversamente. Occorre quindi essere in grado d'interpretare il codice secondo il quale è stato costruito quel messaggio, e rendersi conto dei valori ideologici che tale codice veicola e di quali risposte intende suscitare l'emittente.

68IL LAVOROIl lavoro dà un senso all'esistenza dell'in-dividuo nella società, ma è importante che sia gratificante ed opportunamente tutelato.Tipologia D: tema di ordine generale

L'inserimento di un individuo nella so-

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cietà si realizza essenzialmente tramite il lavoro. È il lavoro infatti che consente all'uomo di sentirsi parte integrante della societàed è sempre il lavoro che, oltre alla famiglia, dà un senso all'esistenza dell'adulto. Esso rende materialmente possibile il mantenimento della famiglia e di altre eventuali occupazioni minori, come nel caso d'interessi culturali.Ma il lavoro è anche ciò che consente all'uomo di distinguersi dall'animale perché quest'ultimo, spinto dal suo bisogno fisico immediato, si limita ad utilizzare ciò che trova in natura, senza trasformarlo.L'uomo invece, come si sa, è capace di trasformare ciò che la natura gli offre e, inoltre, può produrre anche indipendentemente dal bisogno fisico immediato.Ebbene, il lavoro, in una società indu-striale avanzata, ha perso il suo valore di mezzo di sopravvivenza, tanto che pochi sono disposti a vivere per lavorare, ma sempre meno sono anche quelli costretti a lavorare per vivere, benché questo possa sembrare cinico ai sempre più numerosi disoccupati del nostro tempo.Bisogna riconoscere che il lavoro non ha più il significato di un tempo, cioè non è più un valore in sé. Ne deriva la ricerca diquelle che possono essere le sue nuove motivazioni: basti pensare che le stesse aziende si rivolgono sempre più agli psicologi ed ai sociologi per cercare nuovi e più efficaci incentivi.La crescente automazione del lavoro ha oggi liberato gran parte dei lavoratori da quei gesti ripetitivi e alienanti che costituivano l'essenza del lavoro in fabbrica.D'altra parte, il diffuso consumismo ha reso veramente di massa il possesso di alcuni prodotti: conseguentemente non è nemmeno la possibilità del possesso di determinati beni, con le loro connotazioni simboliche di prestigio e di omologazione sociale, a costituire un'efficace motivazione al lavoro, dato che quest'ultimo non è in grado né di assicurare il possesso dei beni oggi veramente di lusso, che restano riservati a pochi, né di concedere in esclusiva il possesso di quelli che si presentano come consumi di massa, facilmente accessibili a tutti e non costituenti, pertanto, un fattore di distinzione sociale. Quindi né il lavoro in sé, né l'incentivo economico bastano a motivare oggi la grande maggioranza della popolazione attiva.È proprio per questo che oggi sentiamo dire che soprattutto la maggior parte dei giovani aspira a un lavoro che sia veramente gratificante e piacevole, tanto che, nella moderna società industrializzata, la maggior parte dei lavori umili è lasciata agli immigrati, nonostante che i tassi di disoccupazione siano più elevati che in passato. Proprio questa contraddizione, che si riscontra in tanti Paesi dell'Occidente opulento, deve

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farci riflettere sul nuovo significato che oggi assume il lavoro. Questo può rappresentare un segno distintivo della nostra assistenza in quanto cittadini, nel senso che, se ci lascia un margine di creatività e d'indipendenza, può procurarci davvero benessere psicofisico e soddisfazione.Ma pensiamo ora all'eventuale non la-voro, che si configura oggi come una condizione di smarrimento: il giovane che resta a lungo inoperoso, lontano dagli studi compiuti e lontano ancora dal lavoro, può cadere facilmente in comportamenti viziosi, diventare preda della noia. La vita rischia di rivelarsi insignificante a chi non ha modo di tra-scorreria operosamente. Quindi il tempo del non lavoro può diventare un tempo psicologicamente vuoto, tanto che l'evitare di correre questo rischio rappresenta una delle motivazioni al lavoro stesso. Il lavoro, se gratificante, può riempire l'esistenza, dando all'individuo un'identità, che nasce dalla consapevolezza di sentirsi davvero parte della comunità in cui vive ed alla quale offre il contributo della sua operosità.È in questo senso che la nostra Costitu-zione, all'art. 4, vede il lavoro come fondamentale, non solo quale diritto di libertà della persona umana, ma anche quale dovere del cittadino di svolgere, secondo le sue possibilità e sulla base delle sue scelte, un'attività e una funzione che concorrano al progresso materiale o spirituale della società. È sempre la Costituzione, all'art. 36, a ri-conoscere il diritto del lavoratore ad un'esistenza libera e dignitosa, ma è proprio il lavoro che rende l'uomo libero e degno: se esso viene svolto in libertà e con dignità può davvero consentire al lavoratore di realizzarsi pienamente.

IL COMPUTER ED INTERNETNell'era dei computers e di Internet l'umanità ha davanti a sé immense potenzialità di sviluppo.Tipologia D: tema di ordine generale

Viviamo in quella che si è soliti definire la civiltà dell'informazione e il computer è il mezzo che rende possibile la circolazione in tempo reale e la fruizione capillare delle informazioni.L'epoca dei computers non solo è co-minciata, ma è già in uno stadio avanzato. Non c'è attività pubblica o privata nella quale non sia realizzato, o almeno progettato, l'uso di macchine adatte a renderla piùsicura e spedita. Non sono solo i calcoli lunghi e complessi che vengono affidati al computer, ma ogni tipo di operazione che implichi la registrazione di dati e la ricerca di analogie o di rapporti tra i dati stessi.Così, mentre le banche e gli uffici am-ministrativi, piccoli o grandi, trovano nei computers uno strumento eccellente per l'esattezza e la rapidità dei loro conteggi, le altre attività trovano nel computer la disponibilità dei dati utili che vi sono stati registrati e che possono essere a

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ogni momento utilizzati per decisioni, orientamenti o controlli.11 computer è non solo una memoria perfetta di informazioni opportune, ma anche un mezzo per rilevare somiglianze, analogie e rapporti di qualsiasi genere fra gli elementi nuovi e apparentemente estranei che l'esperienza offre, e quelli di cui esso contiene la registrazione. Può servire cosiad avviare ricerche o addirittura costruire sintesi tra elementi nuovi di progettazioni e scoperte.È utilissimo quindi in tutti i campi della scienza, nei quali può mettere in luce nuovi rapporti tra fenomeni diversi. Nella medicina, ad esempio, può consentire di risalire, da una coincidenza di sintomi apparentemente indipendenti, alla causa di una malattia o al nascosto decorso di essa. Perfino nella creazione letteraria ed artistica, il computer puòessere utilizzato per la ricerca dei temi e degli argomenti ricorrenti e per la ricerca di nuovi sviluppi e combinazioni tra essi.Non desta quindi meraviglia l'ammira-zione fanatica che i computers provocano in tante persone, ammirazione talora non disgiunta da un timore reverenziale per la loro potenza.La ristrutturazione dell' organizzazione del lavoro di un ufficio mediante nuovi sistemi computerizzati produce spesso un certo scompiglio fra le persone che vi sono addette. Ognuno teme che il proprio lavoro possa apparire debole e incerto o addirittura inutile o anche si preoccupa di non saper utilizzare il computer a fondo e di sfruttarne tutte le capacità. Tuttavia, con l'uso costante e continuo di esso, questo disagio tende a sparire e il computer si conferma un amico fedele che è di valido aiuto nel lavoro.Quest' amico, però, non può essere con-siderato onnipotente e creatore. La supervalutazione dei computers, la prospettiva di un prossimo futuro in cui essi siano i soli a pensare e a dirigere, con gli uomini che si riducono soltanto a eseguire e obbedire, è u,na delle forme che la tendenza all'utopia assume nella società contemporanea, ma chenon ha un fondamento più saldo degli altri sogni.In realtà, i limiti del computer sono i li-miti stessi dell'uomo. Le informazioni che il computer possiede sono quelle che l'uomo stesso gli ha dato, le sue capacità di ordinare secondo schemi e rapporti determinati sono quelle che l'uomo gli ha imposto nel costruirio. Certo, le informazioni affidate al computer richiederebbero la prodigiosa memoria di molte persone o registrazioni inter-minabili.Una moltiplicazione all'infinito delle possibilità del computer di circolazione delle informazioni si è avuta negli ultimi anni con l'interconnessione in rete dei computerso Internet è la parola "magica" che schiude possibilità impensabili fino a pochi anni fa: consultare testi, visitare musei, lavorare, concludere affari, tenere conferenze, acquistare beni e servizi,

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tutto questo è possibile "on line", stando a casa propria e comunicando in pratica con il mondo intero.Aziende private, uffici amministrativi, ministeri, banche, scuole in numero cre-scente sono in "rete": le loro attività ne sono enormemente agevolate ed anche i singoli cittadini possono meglio accedere ai loro servizi.

Così il computer diventa effettivamente una finestra che, grazie ad Internet, viene aperta sul mondo. È una rivoluzione nel modo di produrre e di comunicare degli uomini, nel loro stesso modo di essere e di pensare, che per la vastità dei suoi effetti non ha equivalenti nel passato se non nella rivoluzione industriale.

74GENETICA E PROBLEMI MORALILa genetica è la scienza di questo nuovo secolo, ma il suo progresso pone sempre nuovi interrogativi.Tipologia D: tema di ordine generale

La scienza è in continua evoluzione. Ma che cos'è il progresso? Non è che lo spostamento in avanti delle frontiere della conoscenza, senza che, con questo, si possa mai affennare di conseguirla completamente pure in un campo limitato e ristretto. Ma, quanto più si procede nel metaforico cammino del progresso, tanto più si scopre che ad ogni passo si affacciano nuovi problemi: ad esempio, l'era delle conquiste spaziali ha dovuto risolvere problemi tecnologici di reperimento, o di invenzione, di materiali del tutto nuovi e tali da consentire la costruzione delle navicelle spaziali; l'uso delle centrali nucleari ha comportato, oltre a problemi intrinseci alla fissione nucleare, quello, complesso e pericoloso, dell' eliminazione delle scorie; si potrebbe continuare per quanto concerne moltissimi altri campi della ricerca scientifica, pura o applicata.In questi settori, tuttavia, si tratta pur sempre di problemi tecnici, che, se anche offrono risvolti politici e sociali, esigono innanzi tutto risposte tecniche. Nel campo della medicina, invece, e specialmente della genetica, i problemi non sono limitati all'aspetto tecnico-scientifico, ma, per la specificità del loro campo di azione, si pongono anche e soprattutto come problemi etici.Ormai gli scienziati della genetica sem-brano essere pervenuti alla possibilità teorica (ma, quando nella scienza ci sono le pre-messe conoscitive, le applicazioni alla pratica seguono poi, a maggiore o

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minore distanza di tempo) d'intervenire direttamente sui più delicati e complessi meccanismi che regolano la vita.Il completamento del "progetto Genoma" è stato un grande passo in avanti: s'in-travede ora la possibilità d'introdurre, mediante la manipolazione dei geni, delle mutazioni stabili e permanenti nelle caratteristiche genetiche delle specie.È facile comprendere come simili in-terventi inneschino una serie di problemi morali delicatissimi. È lecito all'uomo intervenire su meccanismi biologici che si sono evoluti in milioni di anni, modificando in qualche modo delle leggi naturali? Inoltre: si potrà intervenire solo con il consenso del soggetto passivo, o anche senza di esso? Ma, se le modificazioni riguardano anche i discendenti, come si possono coinvolgere nelle scelte soggetti non ancora nati?Occorre anche tener presente che certa-mente non è possibile conoscere, oggi, le conseguenze ultime e lontane di certe manipolazioni, per cui ci s'immetterebbe su di una strada ancora del tutto ignota.Si pensi, inoltre, che certe tecniche po-trebbero cadere in mano a chi volesse servirsene per esercitare un potere quasi assoluto sugli altri: ad esempio, un folle o un despota potrebbe coltivare sogni di asservimento di interi popoli, attraverso un condizionamento della loro volontà. Andremmo incontro ad una società di uomini-robot, quale neanche la più sfrenata immaginazione degli scrittori di fantascienza ha osato immaginare. Il problema offre, inoltre, risvolti non solo morali, ma anche religiosi: la violazione della libertà di scelta dell'individuo si-gnifica la violazione del patrimonio più sacro dell'umanità. Ogni morale, ogni senso religioso sarebbero sovvertiti: dove non ci fosse più libertà di scelta o di libero arbitrio, per usare una terminologia religiosa, cesserebbe ogni responsabilità personale dell'individuo. Non solo dalla parte di possibili soggetti passivi si pongono gravissimi problemi, bensì anche dalla parte dei detentori di simili conoscenze.La responsabilità dello scienziato è enormemente cresciuta, è addirittura spa-ventosa: dovrà egli divulgare le sue conoscenze? Dovrà metterle a disposizione di uno Stato, di un governo, di una classe dirigente? Viste le connessioni con l'industria che simili esperimenti richiedono (dato il loro costo enorme), potrà lo scienziato sottrarsi ai condizionamenti che ne deriverebbero?Pertanto, per la quantità e la gravità dei problemi che si prospettano in questa materia, è forse impossibile esprimere un parere motivato su di essi.Non possiamo che rimanere in posizione critica e vigile: la consapevolezza delle implicazioni morali, religiose, sociali di certe problematiche è già un approccio valido ad esse; quanto poi tale posizione critica possa essere efficace, dipenderà dal grado di maggiore o minore informazione in cui saremo tenuti e dalle

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reali possibilità di intervento nelle scelte.

I BENI ARTISTICI E CULTURALIL'immenso valore spirituale dei tesori della nostra arte e della nostra cultura: testimonianze di civiltà e d'identità na-zionale.Tipologia B: articoloAmbito: socio-artistico-culturale Destinazione: pubblicazione su giornale scolastico

È ben noto come l'Italia sia una terra ricca di storia, arte e cultura: visitando le nostre maggiori città possiamo accorgerci di quanto il nostro Paese sia ricco di monumenti e opere che ne costituiscono l'immenso patrimonio artistico-culturale: dalla Mole Antonelliana di Torino al Duomo di Milano, dall' Arena di Verona al Palazzo dei Dogi di Venezia, dalla Torre degli Asinelli di Bologna al Duomo di Firenze, dal Colosseo di Roma al Maschio Angioino di Napoli, dal Palazzo dei Normanni di Palermo alla Cattedrale di Cagliari; e poi quanti musei: dalla Galleria degli Uffizi di Firenze ai Musei Vaticani di Roma, dal Museo di Brera di Milano a quello Archeologico di Napoli.Ma anche tante cittadine e tanti piccoli borghi ci parlano di storia e di arte dalle facciate delle loro chiese, dai muri dei loro palazzi comunali, dai ciottoli delle loro stradine.All'insieme dei monumenti, delle strutture architettoniche, delle opere pittoriche e scultoree presenti in tutto il nostro territorio nazionale si dà il nome di "beni culturali": tesori d'immenso valore spirituale, che costituiscono tante testimonianze di viltà, poiché in essi è possibile cogliere un' espressione della creatività degli artisti italiani di ogni epoca, nonché un segno delle dominazioni straniere passate sulla Penisola. Pensiamo, ad esempio, alle civiltà greca e latina, che hanno dato l'impronta alla cultura occidentale; alla grande civiltà del-l'Umanesimo e del Rinascimento, che vide nei secoli XV e XVI l'Italia primeggiare nell' arte e nella letteratura; alle dinastie d'Oltralpe che hanno regnato nel nostro Paese, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, contribuendo ad uno scambio di culture che è stato fonte di arric-chimento spirituale.Rientrano nella definizione di "beni culturali" non solo le singole opere d'arte, ma anche le loro relazioni reciproche ed i contesti ambientali: così un complesso di edifici, il centro storico di una città, perfino gli antichi attrezzi di lavoro dei contadini, possono essere considerati dei beni culturali alla stregua di beni artistici come le opere di Michelangelo o del Botticelli.Lo Stato, per una maggiore tutela diquesto prezioso patrimonio che appartiene a noi tutti, ha istituito il

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Ministero per i Beni culturali e ambientali ed ha varato più di una legge che dà istruzioni per la catalogazione aggiornata di tutto il patrimonio artistico del nostro Paese in appositi elenchi, comprendenti le opere pubbliche e quelle di proprietà dei privati, allo scopo di proteggerle dal rischio di smarrimenti, manomissioni o usura del tempo. Questo lavoro è servito soprattutto a ridurre il fenomeno dei furti di opere d'arte, alcune delle quali venivano anche trasferite clandestinamente all'estero. Ma, nonostante tali disposizioni, si assiste ancora oggi a qualche trafugamento effettuato da persone che, evidentemente, ignorano la gravità dei loro gesti: rubare un'opera d'arte non significa soltanto commettere un reato e procurare un danno materiale, ma anche sottrarre un "pezzo" dell'identità storica e culturale della nazione.Tra le competenze del Ministero per i Beni culturali ed ambientali, oltre alla tutela ed alla conservazione del patrimonio artistico, vi è anche la valorizzazione dello stesso, mediante iniziative fmalizzate a renderlo più accessibile e maggiormente fruibile. In quest'ottica s'inserisce la necessità di tra-sformare musei e biblioteche, da luoghi di semplice affastellamento di oggetti e libri, in strutture d'interesse collettivo, di cui bisogna migliorare l'efficienza e la funzionalità.Tra l'altro il Ministero, per meglio va-lorizzare i Beni culturali, tende a collaborare sempre più con grandi aziende disposte a promuovere o "sponsorizzare" una serie d'iniziative di tipo culturale. È una cooperazione da cui poter trarre vantaggi immediati, in termini economici e d'immagine, ma che rischia di far confondere l'arte e la cultura con lo spettacolo, come avviene normalmente con i mezzi di comunicazione di massa. Non si può camuffare il nostro patrimonio artistico e culturale, preziosa testimonianza di civiltà, da mera attrattiva per cittadini e turisti. I tesori dell'arte hanno infatti un valore assolutamente incommensurabile: quello spirituale.

TELEVISIONE E GIORNALIUn confronto che rivela pregi e limiti in entrambi questi grandi mezzi della comunicazione di massa.Tipologia D: tema di ordine generale

Televisione, giornali, radio, cinema: sono questi i grandi mezzi della comunicazione di massa, capaci d'orientare l'opinione pubblica. Le loro funzioni sono quelle di informare, educare, divertire.

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Ma soffermiamoci, in particolare, su televisione e giornali, in quanto offrono due tipologie opposte di fruizione dell'informazione: la prima è immediata, la seconda, quella dei giornali, è mediata e si offre ai lettori sollecitandone la riflessione.Cominciamo dalla televisione. La regina della comunicazione di massa deve insi-stere particolarmente su quelle caratteristiche e prestazioni che le sono proprie: immediatezza e immagini.La televisione è essenzialmente ripresa diretta; quando porta nelle case immagini di avvenimenti lontani e nel preciso istante in cui si svolgono, essa assolve ad un compito in cui non ha rivali. Si esprime con un linguaggio che non lascia dubbi sulla legittimità del nuovo mezzo. Più la rappresentazione si avvicina alla contemporaneità, più immediato diventa il rapporto tra la realtà e il suo spettatore, più diretta e incisiva la presa di conoscenza. Ed è questa l'efficacia che la televisione deve raggiungere per rispndere in pieno alla propria funzione.La televisione, por offrendo elementi di somiglianza con altri strumenti di comu-nicazione sociale, non può considerarsi un teatro o un cinema da camera, né tanto meno una radio "illustrata". Infatti, le caratteristiche tecnico-espressive della TV convergono a definire l'immediatezza, la spontaneità, l'attualità e l'intimità della comunicazione. Aspetti della comunicazione televisiva che sono stati ulteriormente potenziati dalla te-levisione digitale, satellitare o terrestre che sia, capace di offrire al telespettatore una varietà di programmi e l'interattività, cioè la possibilità di un minimo di risposta da parte dello stesso spettatore.Tuttavia se, sul piano dell'immediatezza, il confronto tra la televisione e il giornale si risolve nettamente a favore della prima, il secondo vanta tuttavia delle caratteristiche specifiche che lo rendono insostituibile. Infatti il giornale si offre alla nostra lettura facendoci riflettere, dandoci l'opportunità di un esame approfondito delle notizie.In sintesi, il vantaggio del giornale nei confronti della TV è che esso ci "parla" quando noi siamo attenti all'ascolto, mentre l'altra finisce spesso per fare da sottofondo ad altre nostre occupazioni. Questo fa sì che la televisione, che potenzialmente dispone di una grande efficacia comunicativa, in concreto risulti meno incisiva per il modo in cui il suo messaggio viene fmito, senza dire che il carattere sinestetico del suo discorso, che è sintesi di immagini, suoni, testi verbali, testi scritti, in rapida successione, non sempre facilita la ricezione dei messaggi o, meglio, non li facilita quando noi non siamo completamente e compiutamente disponibili a riceverli, il che può accadere molto di frequente.Perciò, contrariamente a quello che si potrebbe ritenere in astratto, gli effetti "culturali" della sua diffusione sono

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vistosi, ma piuttosto negativi: quando non l'evasione totale o il defilamento rispetto alla realtà quotidiana, la TV incentiva la superficialità, la frettolosità dell'analisi, quel senso di vago e diffuso fastidio rispetto alla stragrande maggioranza dei problemi che, pur se ignorati nella sostanza, sono stati già "sentiti", già "visti". È questa la base comune, piùgrave e profonda, di tutti i conformismi, che poi si sfaccettano e differenziano in superficie: da quello che riguarda tutto quanto è di moda, è "in", è "strong", all'apparente anticonformismo dell'impegno politico-sociale a tutti i costi, alla sensibilità ai temi più alla moda (ecologia, amore per gli animali, solidarietà per il Terzo Mondo, ecc.).Notevole è anche l'influenza sulla lingua. Infatti, in questo campo, la televisione ha mostrato di poter fare in poco più di un quarto di secolo quello che la scuola e le altre istituzioni non erano riuscite a fare in un secolo di vita politica unitaria: diffondere in tutti i ceti sociali e in tutte le aree la lingua nazionale.L'influenza dei giornali invece è meno appariscente, ma più profonda. Sovente chi è lettore di un giornale si affeziona a quello e lo segue per tutta la vita, finendo per sposarne i punti di vista, il linguaggio, l'ideologia. Il fenomeno in sé non è del tutto positivo e diventa decisamente negativo negli eccessi, ma in generale è forse preferibile rispetto alla superficialità e alla mutevolezza del pubblico televisivo. In ogni caso implica un più elevato livello di consapevolezza e di fruizione critica dell'informazione.

rI VALORI MORALIÈ importante che ognuno abbia dei forti valori morali in cui credere e ai quali ispirare la propria condotta.Tipologia D: tema di ordine generale

I valori danno un senso all'umano esi-stere, che altrimenti si ridurrebbe a mera connotazione biologica: lo aveva bene evidenziato, e con accenti poetici, U go Foscolo (il pensiero va al carme Dei Sepolcri). Ma anche il comune buon senso ci dice che ognuno cerca, nella propria condotta personale, di seguire un criterio di comportamento che è il risultato di tanti fattori: dell'educazione ricevuta, della formazione culturale, delle esperienze vissute in precedenza, della maniera di considerare il mondo e gli altri. In tal modo, ognuno si propone un modello di comportamento da seguire, che poco importa se non sarà realizzato del tutto: quello che interessa è che rappresenta un criterio ispiratore del comportamento nella vita di tutti i giorni.L'uomo ha bisogno di porsi sempre degli obiettivi da conseguire, delle mete da raggiungere, dei limiti e degli ostacoli da superare. In questo modo la vita si svolge nell'impegno per qualcosa e l'agire umano diventa un fattore di trasformazione e di sviluppo continuo della società.

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Ogni individuo ha i propri valori e le proprie aspirazioni, i propri convincimenti e le proprie esigenze: così ciascuno esprime la propria personalità in modo differente da un altro e la diversità di opinione e di criterio nel giudicare la realtà rappresenta unaricchezza per la società intera, in quanto, grazie all'incontro di opinioni diverse e di modelli di comportamento non uniformi, la società matura livelli sempre più alti di consapevolezza civile e di costume.I valori sono utili perché indirizzano la condotta umana verso il confronto con gli altri. Pensiamo all' onestà, all' operosità, alla solidarietà sociale: senza tali valori la convivenza civile risulterebbe praticamente impossibile.È importante che nel lavoro, ma anche nello studio, l'ideale del continuo perfezionarsi sia sempre presente a indirizzare ogni sforzo dell 'individuo verso un miglioramento del comportamento e del risultato. Non dimentichiamo che lo studio e il lavoro hanno delle finalità sociali, in quanto, con l'elevazione e il perfezionamento delle conoscenze e con !'inserimento nell'attivitàsociale, l'uomo si realizza come membro a pieno titolo della società.Un' esistenza priva di ideali risulterebbe inevitabilmente arida e farebbe scadere l'individuo nell' indifferenza, lo farebbe sentire inutile e costituirebbe fonte di amarezza e di delusione. Invece, come si sa, un impegno sostenuto da valori e da ideali riempie davvero la vita, creando entusiasmo, consentendo di dare significato a quello che si fa.Già il grande filosofo tedesco Immanuel Kant, affrontando la questione dell'im-pegno morale, ebbe a dire che l'agire di una persona deve valere come "massima universale": significava che tutto quello che si fa deve poter essere indicato ad esempio per tutti. Se questo accade, è la prova più evidente dell'utilità sociale dell'operato di un individuo e della presenza di una coscienza morale a sostenere tale operato. Infatti gli ideali che ispirano l'agire di un individuo non possono maturare indipendentemente da una coscienza morale. I valori, ad esem-pio, dell'onestà, dell'amicizia, della solidarietà, dell'operosità nel lavoro, non sono che segnali di una più complessiva consapevolezza etica che consente all'individuo di relazionarsi positivamente con gli altri, con responsabilità e con partecipazione, nel convincimento che la vita sociale richiede l' osservanza di doveri e non solo l'esercizio di diritti.Oggi la formazione dei giovani non può avvenire senza !'ispirazione a ideali di solidarietà, di altruismo, d'impegno civile e sociale, proprio perché il loro entusiasmo richiede di essere positivamente indirizzato verso un sano impegno. La loro disponibilità è dimostrata, in questo caso, dalla sensibi-lità ad ogni messaggio costruttivo e di

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solidarietà e dalla ricerca di autenticità ad ogni costo.I giov_i oggi forse avvertono un certo disagio a causa della caduta delle ideologie, quelle ideologie politiche che nel passato li avevano forse, all'opposto, troppo affascinati, condizionandone eccessivamente l'agire. Il loro crollo, pertanto, ha aperto spazi ancora più ampi: ad esempio, ad una scelta nel volontariato, a una disponibilità ad operare nella società civile con uno spiri-to nuovo, di solidarietà e di altruismo, che può forse costituire la testimonianza di un'autenticità di valori e di una consapevolezza etica più profonde che nel passato.

INDIVIDUO E SOCIETÀL'uomo si realizza integrandosi nella co-munità in cui vive, diventando parte atti-va della società.Tipologia D: tema di ordine generale

Ogni individuo tiene in grandissima considerazione la libertà personale e avverte l'impulso di affermarsi sugli altri. Tutto questo fa parte della natura umana. Ora, non c'è dubbio che l'esercizio della libertà esalti la dignità umana, mentre la sua limitazione ne costituisce una pesante offesa. Tuttavia questo non vuoI dire che la libertà, certamente il bene più prezioso dell'uomo dopo la salute, debba essere fruita dagli individui senza alcun limite. Anche volendo, questo sarebbe impossibile: l'uomo, per dirla con Aristotele, è un "animale sociale", per cui ha bisogno di vivere in una comunità, organizzando la sua vita insieme ai suoi simili.Proprio la necessità dell'uomo d'integrarsi nella società comporta il limite della libertà dell'individuo. Ne deriva che biso-gna considerare la libertà sempre come il termine di mediazione tra l'individuo e la società.La vita di ognuno di noi è infatti deter-minata, per una parte, dalla comunità in cui si è inseriti, per il resto dall 'iniziativa personale. Certamente quest'ultima è molto maggiore negli uomini di grande impegno, ma non bisogna credere che sia necessariamente più ampia anche negli uomini di potere, proprio perché questi ultimi, avendo la responsabilità del governo della comunità, per lo stesso motivo sono indotti a rinunciare aperché investiti di responsabilità collettive.È l'educazione che deve aiutare ognuno di noi a trovare il suo modo originale e

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personale di valorizzare la propria iniziativa nella piena integrazione con gli altri. Infatti lo scopo dell'educazione autentica non dovrebbe essere di rendere uguali tutti gli uomini, ma di abituarli a sapere scegliere quello che ritengono più opportuno a valorizzare se stessi nell'ambito del rapporto con gli altri.La spinta al vivere sociale è data anche da fattori psicologici, in quanto un individuo non può non riconoscersi in una comunità di cui condivide ideali, costumi e valori. L'alternativa sarebbe la solitudine spirituale e intellettuale, oltre che l'inedia e l'immobilismo fisico.La collaborazione con gli altri discende ovviamente anche dalla necessità di organizzare la produzione e la riproduzione della vita materiale con minore sforzo e con maggiore facilità: questo è possibile proprio perché, appartenendo a una comunità che lavora e si organizza, l'uomo supera il senso della precarietà della propria esistenza, della sua limitatissima rilevanza individuale rispetto al mondo e a tutti gli altri esseri della Terra.Ogni uomo, condividendo un sistema di valori comuni, dà significato e orienta-mento alla propria vita, evitando quindi di cadere in un'insignificanza che lo condannerebbe a una mortificazione esistenziale.Proprio perché l'uomo vive in società, si presenta il.problema di come conciliare la libertà individuale con le esigenze del vivere sociale. Infatti, dinanzi all'aspirazione in dividuale ad affenuarsi e a "costringere" gli altri a pensare e ad agire come se stessi, si ha necessità di sublimare le proprie pulsazioni e i propri istinti aggressivi e d'indirizzare il desiderio di affenuazione personale in modo costruttivo per tutta la società e tale da favorire lo sviluppo dell'intera comunità e la crescita, tutti insieme, dei membri della stessa.In questo, si oscilla spesso fra due estremi: fra chi ha una visione pessimistica della natura umana, ritenendo impossibile conciliare individuo e società, e chi, al contrario, ha una visione eccessivamente otti-mistica e considera che quello che più conta sia l'individuo, per cui qualsiasi aspirazione individuale dovrebbe avere la possibilità di esprimersi.La verità, in realtà, sta nel mezzo: non c'è una separazione netta e radicale fra indIviduo e società, perché la società non è altro che un complesso di individui che interagiscono positivamente tra di loro.La società, pertanto, non deve subordi-nare e assoggettare l'individuo, il quale, da parte sua, non deve considerarsi come il centro della società nell'illusione che qualsiasi sua aspirazione, dovunque e comunque, debba realizzarsi.

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Gli episodi sanguinosi di criminalità organizzata mantengono al centro dell'interesse dell'opinione pubblica questo deprecabile fenomeno ancora presente nella società italiana. Si scriva un articolo in merito.Tipologia B: articoloAmbito: socio-economicoDestinazione: pubblicazione su un giornale quotidiano

La grande criminalità organizzata è da tempo una delle principali emergenze di ordine pubblico nel nostro Paese, in particolare in alcune regioni del Mezzogiorno. Le cronache giornalistiche infatti, informandoci su agguati, estorsioni e guerre tra cosche rivali, ci hanno abituato da tempo a considerare purtroppo ben radicate la mafia in Sicilia, la camorra in Campania, la 'ndrangheta in Calabria e la "sacra corona unita" in l'uglia.Si tratta di organizzazioni malavitose che affondano le loro radici nel tessuto sociale del nostro Meridione fin dal tempo dei Borboni, quando la mafia, senz'altro la più pericolosa di queste organizzazioni, veniva accettata dal potere politico proprio come garanzia del persistere delle strutture semi-feudali. E questa funzione di garanzia dell'assetto sociale la mafia ha continuato a svolgerla anche dopo l'Unità, colpevolmente tollerata dal nuovo potere politico.Proprio il persistere di tale connivenzatra mafia e pubblici poteri ha consentito alla grande criminalità di perpetuarsi in tante re gioni del Sud dell 'Italia. Tuttavia le organizzazioni malavitose sono state in grado di evolversi, adattandosi alle nuove forme della società e allargando rapidamente le proprie attività: ad esempio, tra i settori di rilievo in cui oggi le organizzazioni malavitose svolgono funzioni di controllo, ci sono illucroso mercato della droga e la gestione degli appalti pubblici resa possibile dalla corruzione politica.La mafia purtroppo è ancora in grado di esercitare pressioni nel campo politico, di condizion1!fe il funzionamento delle istituzioni pubbliche, di alterare i meccanismi del libero mercato ricorrendo all'uso della violenza contro concorrenti e avversari.Il salto decisivo di qualità della mafia e delle altre organizzazioni criminali forse si è avuto negli anni Settanta, quando lo sviluppo di un mercato mondiale della droga ha consentito ai maggiori gruppi criminali non solo di diffondersi sul territorio in modo sia estensivo sia capillare, ma anche di raggiungere un volume d'affari e di ricavi talmente alto da consentire l'esercizio di un potere economico davvero esteso e d'influenzare in maniera sempre più incisi"O"a i pubblici poteri. L'aumento dei profitti derivanti dai traffici illeciti ha reso

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poi quanto mai impellenti le esigenze di ricic1aggio e di pulizia del denaro sporco. Ecco quindi che sempre più ampi settori dell'economia sono stati "inquinati" dalla presenza delle organizzazioni malavitose, con la conseguente distorsione dei meccanismi concorrenziali di mer-cato, con l'emarginazione degli operatori economici onesti e, quel che è più grave, insidiando la stessa democrazia.Le cosche malavitose infatti hanno acquisito col tempo una forza autonoma e sono diventate capaci d'intimidire e di corrompere forze politiche, sociali ed economiche. Purtroppo non sono mancate le forze politiche che non hanno esitato a servirsi della mafia e delle altre organizzazioni malavitose come strumenti elettorali. Sono questi elementi evidenti di degenerazione sociale e politica a rendere purtroppo il fenomeno mafioso parte integrante della com-plessa questione meridionale la quale, a detta di opinionisti e studiosi vari, non può realmente e definitivamente risolversi se non si distrugge questa piovra che con i suoi tentacoli penetra nel tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno.La moderna mafia è profondamente diversa dalla mafia di un tempo. Oggi "Cosa nostra", cioè la nuova organizzazione che unisce "famiglie" siciliane, ma anche di New York e di Chicago, ha saputo sviluppare una rete di legami strettissimi tra le cosche italiane, quelle americane e quelle di vari Paesi europei, soprattutto dell'Est (Albania, Russia, Montenegro), moltiplicando i suoi affari in modo esponenziale.Ma a dare alimento, in genere, alla mafia e alle altre organizzazioni criminali sono soprattutto i meccanismi distorti dello sviluppo economico nelle regioni meridionali, con il persistere di forti squilibri, di sacche di miseria, mentre, dall'altro lato, i consistenti flussi di denaro pubblico con gli appalti e le opere pubbliche consentono rapidi arricchimenti. In particolare, il persistere di una disoccupazione giovanile diffusa offre l'opportunità al crimine di reclutare una manovalanza armata a basso costo che costituisce ovviamente un terribile strumento d'intimidazione e di violenza.L'opinione pubblica negli ultimi anni ha saputo reagire, squarciando il velo dell'omertà che tante volte aveva impedito alla magistratura e alle forze di polizia di operare efficacemente contro la criminalità organizzata. Alcuni tragici eventi, come l'assassinio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ammazzati a qualche

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mese di distanza l'uno dall'altro nel 1992, scossero profondamente il nostro Paese, determinando un'ondata di sdegno e un moto di reazione popolare che ebbe proprio nella gente del Mezzogiorno il suo perno fondamentale.Si sono così moltiplicate le iniziative pubbliche di lotta alla mafia, che hanno visto e vedono tuttora lavoratori, giovani, studenti, operatori economici mobilitarsi con cortei, sU-in, appelli affinché la polizia e la magistratura non restino sole nella lotta alla mafia e alle altre organizzazioni criminali, così decisiva per la tenuta della nostra democrazia.Si è, insomma, diventati consapevoli che una società veramente civile e moderna non può convivere con quel tumore che è rappresentato dalla mafia e dalle altre organizzazioni criminali.Soprattutto si è capito che la forza della società civile è determinante e costituisce un appoggio assolutamente prezioso per coloro che sono in prima linea nella lotta alla mafia, come giudici e operatori di polizia, ma è necessario altresì che alla criminalità organizzata venga tolto il terreno sotto i piedi, rappresentato dall'eventuale connivenza politica

LA LIBERTÀ E LA LEGGEIl rapporto indissolubile tra libertà del cittadino ed osservanza della legge.Tipologia B: saggio breve Ambito: socio-giuridicoDivisione in paragrafi:1) Dialettica del rapporto individuo-società 2) Legge e cittadinanza3) Libertà individuale e democrazia

1) Il grande filosofo greco Aristotele definì l'uomo un "animale sociale", per il suo bisogno d'interagire con i propri simili che lo porta a realizzare così la comunità.Ogni individuo vive inserito in un tessuto sociale, è parte integrante di una società. Il rapporto tra individuo e società è infatti un rapporto dinamico: gli uomini non sono uguali, dato che le inclinazioni all'odio e all'amore, al potere e alla sottomissione, non sono identiche, ma diversamente sfumate in tutti gli individui. Anzi, proprio questo costituisce la ricchezza della società, che cosìriceve stimolo dal concorso dei tanti individui che la compongono, diversi per aspirazioni e capacità.Si sviluppa, tra l'individuo e la società, un processo d'integrazione, per cui il primo contribuisce al

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cambiamento della seconda che, ricordiamolo, non è statica ed immobile nel tempo e, a sua volta, modifica ed arricchisce lo stesso individuo. Infatti l'uomo viene influenzato dal suo vivere sociale e, di contro, esercita un'azione sul processo di evoluzione della società, arricchendola con il proprio contributo. 2) Deriva, da questa concezione di un rapporto dinamico, d'interazione tra indivi-duo e società, l'importanza della legge. Questa è la regola da seguire: così facendo si fa il proprio bene e quello della società intera.Una legge può certamente essere sbagliata o dannosa e allora bisogna cambiaria. Questo può accadere proprio perché la società è un insieme dinamico, un organismo in continuo mutamento. Non si può credere che si possa fare a meno della legge. Senza le leggi chiunque si muoverebbe a ruota libera, tentato di pensare solo a se stesso: inevitabilmente i più forti avrebbero la meglio sui piùdeboli e fragili, ma con questo non ci sarebbe l'intoccabilità di qualcuno, in quanto chi oggi può apparire forte, domani, senza la disciplina di un sistema di regole, può benissimo essere soverchiato da un nuovo venuto.Proprio affinché non ci sia una guerra di tutti contro tutti e sia possibile, invece, una libera e pacifica convivenza, interviene la legge. Questa consente di armonizzare la vita di tutti, rende possibile la società, evita il caos. La libertà dell' individuo, nel consorzio umano, quindi è positivamente affermata nella misura in cui incontra il suo limite e lo riconosce, consistente nel rispetto della libertà dell' altro.La legge, pertanto, istituisce la comunità, strutturando in modo armonico un insieme d'individui ed attribuendo a loro la cittadinanza. Gli individui, grazie alla legge, di-ventano così dei cittadini.3) Il problema vero di oggi, caratteriz-zato da un grande sviluppo delle organizzazioni pubbliche, a cominciare dallo stesso Stato che è l'organismo superiore che disci plina e consente il libero vivere sociale, è di conciliare l'iniziativa individuale con l'onnipotenza di tante organizzazioni: basti pensare, ad esempio, al sistema delle comunicazioni di massa, con la possibilità della manipolazione dell'informazione, con l'invadenza della pubblicità che condiziona tanti nostri comportamenti in modo occulto, con la conseguente e pericolosa illusione di una massima libertà individuale.

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Nella società attuale, in effetti, si registra un pesante condizionamento degli individui da parte delle organizzazioni. Proprio per arginare il loro potere eccessivo, con il rischio dell'asservimento del cittadino e senza nemmeno che questo ne sia consapevole, è necessario il massimo sviluppo della democrazia, intesa come forma di partecipazione degli individui a tutti i meccanismi di orientamento e di indirizzo della società, per qu;;mto riguarda sia gli organismi dello Stato e quelli economici come enti ed aziende, sia, infine, gli organismi di formazione del pensiero e della cultura come scuole, università, giornali, ecc.È necessario che, nel suo piccolo, ogni individuo inteso come cittadino, come lavoratore, come consumatore, come lettore di giornali, come fruitore d'informazione e di servizi, come studente, possa dire la sua sulla realtà in cui vive e sulle competenze che èchiamato ad offrire o con cui è chiamato a confrontarsi.Soltanto una società composta da cittadini responsabili delle loro scelte, che sono autenticamente coscienti di quello che fanno, può dirsi veramente libera e orientata al progresso, così della comunità nel suo insieme come dei singoli che la compongono. Rialzo dei prezzi e calo dei consumi: una conseguenza, per alcuni, dell'introduzione dell'euro, per altri dell'assenza di controlli sui prezzi di merci e servizi.Tipologia: tema di ordine generaleIn questi ultimi anni si è riaffacciato, nel nostro Paese, il problema del carovita. Alcuni lo hanno posto in relazione all'intro-duzione dell' euro, la moneta unica europea, che avrebbe indotto produttori, fomitori e negozianti ad arrotondare i prezzi verso l'alto; ma altri hanno giudicato semplicistica e faziosa questa giustificazione, preferendo dare la colpa piuttosto all'assenza di controlli da parte delle competenti autorità, centrali e periferiche.Nel merito di questa polemica, pro o contro l' euro, bisogna innanzi tutto ribadire la giustezza dell'adesione dell'Italia alla moneta unica europea, ottenuta, è bene ri-cordarlo, a costo di gravosi sacrifici di tutti i cittadini nel corso degli anni Novanta, quando il nostro Paese si è dovuto faticosamente attenere ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht, riducendo il tasso d'inflazione e ildeficit pubblico.Quei sacrifici non sono stati vani

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perché, entrando nell'area dell'euro, il nostro Paese ha potuto fruire dei benefici di una moneta forte, espressione di un' economia integrata a livello europeo, a determinare la quale concorrono Paesi di antica e solida economia come la Germania, la Francia, l'Olanda, l'Austria, ecc. Non appartiene nemmeno ad un passato tanto lontano il tempo in cui la lira subiva gli attacchi degli speculatori che, approfittando della debolezza della nostra vecchia moneta nazionale, la costringevano alla svalutazione, una scelta alla quale, a dire il vero, in passato sovente ricorreva l'economia italiana per rendere più competitivi i nostri prodotti sui mercati internazionali.Certo, l'introduzione dell'euro in sostituzione delle valute nazionali, ha creato un libero mercato più grande, di ben trecento milioni di consumatori (tenendo conto della sola "eurolandia", cioè dei dodici Paesi aderenti all'euro), con benefici per produttori e consumatori, ma nell'immediato ha determinato qualche contraccolpo che forse, con una maggiore preveggenza, si sarebbe pure potuto evitare.Infatti l'esperienza di tutti quei Paesi che hanno dovuto cambiare la moneta, e nell' America Latina sono stati molti nel corso del Novecento, dimostra che, nella fase immediatamente successiva all'introduzione della nuova moneta, si possono facilmente generare spinte inflazionistiche, indotte dalla tendenza all'arrotondamento dei prezzi. Sulla base di queste esperienze del passa-to, si sarebbero dovuti quindi mettere in atto degli efficaci controlli, attraverso la Guardia di Finanza e i Vigili Urbani, sia sui prezzi dei prodotti all'origine sia su quelli delle merci in distribuzione, all'ingrosso e al dettaglio, magari mantenendo a lungo l'indicazione del doppio prezzo in lire e in euro.In questo modo sarebbe stato facile per i consumatori controllare i prezzi esposti sui cartellini e notare eventuali scostamenti. Invece, anche per abituare più facilmente i consumatori ad avere dimestichezza con lanuova moneta, si è preferito ridurre al minimo il periodo del doppio prezzo, soltanto pochi mesi, astenendosi, quel che è peggio, da qualsiasi controllo sui cartellini dei prezzi.Ci è resi conto di questo grave errore solo a cose fatte, dopo che tutte le organizzazioni dei consumatori hanno protestato, ricorrendo perfino ad alcune singolari forme di sciopero, come

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quella dell'astensione da ogni tipo d'acquisto per un'intera giornata.Purtroppo l'aumento generalizzato dei prezzi ha abbassato notevolmente il tenore di vita dei lavoratori a reddito fisso e in ge-nere delle fasce più deboli della popolazione. Non solo, ma il conseguente calo dei consumi ha messo in difficoltà anche molte categorie del commercio e perfino alcuni settori industriali. Infatti, se con il generalizzato aumento dei prezzi, al punto che èdiventata comune la battuta di dire un euro uguale mille lire, si è prodotta una redistribuzione della ricchezza, con il trasferimento di risorse dai lavoratori a reddito fisso agli operatori della produzione e del commercio, in realtà, con il successivo risparmio dei consumi, si è aggravata una crisi economica già latente in conseguenza di alcuni eventi internazionali come la recrudescenza del terrorismo. Pertanto l'abbassamento dei consumi ha innescato una sorta di circolo vizioso, con una pericolosa stagnazione dell'economia. L'auspicio è che si inverta quanto prima la rotta economica del nostro Paese, con una solida ripresa capace di portare benessere a tutti.

L'EMANCIPAZIONE FEMMINILE E LA FAMIGLIA

Il processo di emancipazione della donna e l'evoluzione della famiglia in Italia negli ultimi decenni.Tipologia B: saggio breve Ambito: socio-economicoDivisione in paragrafi:1) Il processo di emancipazione della donna 2) Il modello di famiglia patriarcale3) Il modello di famiglia moderna

1) La famiglia, istituto fondamentale della società civile, ha conosciuto nel nostro Paese, nel corso del Novecento, trasforma-zioni profonde, parallele all' evoluzione piùgenerale della società. Due fattori hanno inciso in modo particolare su tale processo di trasformazione della famiglia: lo sviluppo democratico del nostro Paese e il processo di emancipazione femminile.Questi due fattori hanno determinato una riscoperta, da parte della donna, del proprio valore assoluto in quanto persona e di conseguenza la richiesta del riconoscimento dei propri diritti all'interno della società.In passato la donna era vissuta in una condizione di sottomissione all'uomo ed il suo vero movimento di liberazione cominciò a svilupparsi solo quando

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l'industrializzazione e l'urbanesimo trasformarono la struttura e i compiti della famiglia. L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro fece infatti maturare una coscienza sociale e sindacale che consentì di cogliere non solo le ingiustizie e le carenze della loro condizione di lavoratrici, ma anche quelle che caratterizzavano la loro condizione nella famiglia e nella società. E cosÌ, negli anni Settanta, esplose, quasi come appendice alla conte-stazione sessantottesca, il movimento femminista: per la prima volta nella storia prese corpo un movimento generale d'idee e d'azione attorno alla tematica della liberazione della donna.Nel 1975 fu posta una pietra miliare in questo percorso: la legge di riforma del diritto di famiglia, scaturita dall'esigenza di una più efficace ed organica visione della famiglia, nella quale i poteri e doveri dei singoli membri fossero meglio inquadrati e coordinati per raggiungere i nuovi obiettivi che la vita familiare si propone, tenendo conto dell'evoluzione politico-sociale che ha caratterizzato la storia del dopoguerra nel nostro Paese e il processo di emancipazione della donna sul piano politico, economico e sociale.Nella nuova legge la vecchia concezione istituzionalistica e quella individualistica sono state sostituite dalla concezione comu-nitaria, secondo la quale la famiglia è una società di persone di pubblico interesse, dove cioè ognuno collabora al benessere di tutti. Con il nuovo diritto di famiglia è ga-rantita l'assoluta parità dei coniugi, in quanto viene cancellata la figura del marito capofamiglia e la donna assume, nell'ambito familiare, gli stessi diritti e gli stessi doveri dell'uomo.2) In tal modo è arrivato a compimento il processo di trasformazione della famigliaitaliana dal modello patriarcale, proprio delle società preindustriali, a quello moderno. La famiglia patriarcale era la famigliatipo di una società contadina e artigiana, dove spesso le considerazioni economiche e sociali erano alla base del matrimonio e il padre-patriarca esercitava il proprio potere di dominio e di controllo sulla moglie e sui figli, la cui dipendenza si protraeva anche dopo la maggiore età ed il matrimonio.3) Nella famiglia moderna, intesa come rifugio tranquillo e sicuro, si afferma il valore dell'amore come esperienza che accomuna l'uomo e la donna e si aggiungono inoltre i valori della libertà e dell'autogestione, che permettono

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di rivalutare !'individuo.L'uomo e la donna sono uguali sul piano dei valori e dei diritti umani, anche se devono tendere entrambi a diventare complementari nello scambio dei compiti e nella fiducia reciproca che l'unione familiare mette continuamente alla prova.Nella famiglia moderna inoltre la donna ha raggiunto, come moglie e come madre, una condizione di parità con l'uomo sia nella gestione della vita familiare sia nel-l'educazione dei figli. La condizione di lavoratrice, infatti, se le può creare alcune difficoltà quando i figli sono ancora in tenera età, incide senza dubbio positivamente sul suo ruolo all'interno della famiglia e, in ge-nerale, nella società, determinando una maggiore apertura nell'educazione dei figli ed una maggiore comprensione, solidarietà e scambio d'esperienze tra i coniugi.Certo, non possiamo nasconderci che tanto il papà quanto la mamma sono presi dalle loro attività lavorative, divisi da orari spesso assurdi e costretti a trascorrere gran parte della loro giornata fuori casa. Per quel poco che stanno in casa, spesso in orari diversi, sono ancora presi da tante faccende minute, mille operazioni costituenti il nor-male ménage familiare: dalla spesa alla pulizia della casa, dalla cucina alla manutenzione del vestiario e, posto che si crei qualche pausa, sono allora troppo stanchi, troppo provati per potersi dedicare ai problemi piccoli e grandi dei loro figli.Per ovviare a questo problema che è tanto grave quanto diffuso, si è fatto ricorso all' estensione della scolarità (che si tratti di scuola vera e propria come il tempo pieno, oppure di servizi sociali come gli asili-nido, i doposcuola, ecc.) almeno per "tamponare" gli effetti più macroscopici del fenomeno.Tuttavia, quando ci sono equilibrio interiore, armonia fra i coniugi e rispetto reciproco, si possono meglio affrontare tutti quei sacrifici che comporta l'assenza di una casalinga a tempo pieno. In compenso, marito e moglie possono instaurare un rapporto basato sul dialogo, sullo scambio fecondo di opinioni e sullo stare insieme, proprio perché, essendocene più raramente la possibilità, l'incontro diventa un momento desiderato e non monotono.Inoltre questo modello di vita familiare ha rivalutato il padre, che non rappresenta più una figura emblematica e dogmatica a cui rivolgersi con timore. Egli si occupa dei figli allo stesso modo della madre, quindi li può

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conoscere più da vicino, può capirne le _sigenze ed i problemi, può offrire la sua _sperienza come aiuto. Improntando la loro _ducazione al dialogo, all'uguaglianza, alla valorizzazione di sentimenti più umani e civili, i genitori possono ottenere dai figli una maggiore riconoscenza.

IL DIRITTO ALLA SALUTE[I diritto alla salute, un diritto dell'indiviluo, ma anche della società.fipologia B: saggio breve \mbito: socio-economico)ivisione in paragrafi:l) Il servizio sanitario nazionale !) Il Welfare State,) Ambiente e prevenzione_) Il diritto alla salute negato

1) L'Organizzazione Mondiale della ;anità (OMS) definisce la salute "uno stato li benessere fisico, mentale e sociale e rap!resenta uno dei diritti fondamentali di ogni _ssere umano". Tra i diritti umani bisogna .}uindi annoverare anche la tutela della salute, che la nostra Costituzione repubblicana garantisce, considerandola come un interes;e della collettività.In Italia è operante un Servizio sanita'io nazionale, istituito dallo Stato, che offre lssistenza sanitaria a tutti, completamente gratuita ad anziani ed indigenti, in parte in-:egrata da modesti tickets per gli altri cittalini. Ma non mancano le polemiche sull' efficacia di questo sistema che più volte è balzato all'attenzione delle cronache televisive e di stampa per disfunzioni, inadempienze, carenze di personale e di attrezzature, casi di corruzione, elevati compensi per le prestazioni sanitarie, tanto che si parla comunemente di "malasanità" nel nostro Paese. Purtroppo bisogna ammettere- che, proprio negli anni in cui la ricerca medica, grazie anclÌe all' ausilio delle biotecnologie, hacompiuto grandi passi in avanti nella prevenzione e cura di tante malattie, il sistema sanitario italiano sconta ancora un certo ri-tardo rispetto agli altri Paesi più sviluppati dell 'Europa e del mondo.2) Bisogna ricordare che, nel corso del secolo scorso, il servizio sanitario pubblico è diventato, un po' in tutti gli Stati democratici, parte integrante del più generale Welfare State, cioè lo Stato sociale, che garantisce ai cittadini servizi essenziali e assistenza. Ecco, pertanto, che nei diritti sociali è stato introdotto il diritto alla salute, di cui, come detto, si è fatto garantelo Stato democratico. Nel

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nostro Paese, però, alcune forze politiche, di recente, hanno propo-sto di smantellare il sistema sanitario nazionale, affidandone la competenza alle singole Regioni: in questo modo, ad esempio, un cittadino della Lombardia o del-l'Emilia potrebbe essere assistito diversamente da un abitante della Calabria o della Sardegna, affetto dalla stessa malattia. È evidente che tutto ciò contraddirebbe il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione nell' esercizio dei diritti da parte dei cittadini.3) La tutela della salute passa anche attraverso la prevenzione delle malattie e il rapporto tra salute e ambiente. In riferimento a quest'ultimo punto, la coscienza ambientalista maturata negli ultimi anni ha originato un nuovo diritto, quello di vivere in un ambiente sano, a "misura d'uomo", riducendo al minimo l'impatto dei fattori inquinanti. L'aria che respiriamo, sempre più intrisa di smog, l'inquinamento acustico a cui siamo sottoposti, lo stress che ci assale durante le ore di lavoro o quelle trascorse in auto imbottigliati nel traffico cittadino, il dover risiedere in case talvolta non in linea con gli standards d'igiene, possono alterare l'equilibrio psico-fisico dell'individuo. Talvolta si commette l'errore di trascurare il proprio corpo, conducendo una vita pigra e sedentaria, facendo poco sport e movimento, abusando di cibo, tabacco e alcol, per poi dover ricorrere alle cure mediche quando insorgono malanni e dolori vari. Un ambiente di vita non sano e un'esistenza quotidiana sregolata possono quindi arrecare gravi danni alla salute indipendentemente dal-l'efficacia del sistema sanitario.4) Ma dove il diritto alla salute viene purtroppo sistematicamente ed evidentemente negato è nei Paesi del Terzo Mondo, dove la miseria, l'arretratezza tecnologica e la carenza delle più elementari condizioni igienico-sanitarie favoriscono la diffusione di malattie ed epidemie tra le popolazioni. Il dramma dell' Aids in tante aree del continente africano è sotto gli occhi di tutti: milioni di adulti e bambini ne sono colpiti. A rendere ancora più complicata la situazione sono gli interminabili conflitti interetnici, spesso "di-menticati" dai mezzi di comunicazione di massa. Proprio queste guerre rendono tutto più complicato, facilitando il contagio e distruggendo l'economia già gracile e le infrastrutture già fragili di tanti Paesi poveri. Ma il diritto alla salute, nelle aree della povertà, è soprattutto negato per il crescente divario economico rispetto ai Paesi

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industrializzati del Nord ricco del mondo. È un "gap" che cresce a dismisura, alimentato dalla sviluppo delle nuove tecnologie, violando princìpi fondamentali come la libertà, l'uguaglianza, l'equità, la giustizia, la vita stessa.

106IL LAVORO MINORILEUn'autentica e perdurante piaga sociale è lo sfruttamento del lavoro dei minori, costretti addirittura ad odiose forme di schiavitù in alcuni Paesi del Terzo Mondo.Tipologia B: saggio breve Ambito: socio-economicoDivisione in paragrafi:I) l dati dell' ONU rivelano che 250 milioni di bambini sono costretti a lavorare in Paesi del Terzo Mondo2) Il lavoro minorile in alcuni Paesi indu

strializzati3) l provvedimenti da adottare

l) Siamo ormai in pieno ventunesimo secolo, eppure una piaga sociale gravissima continua ad esistere, sempre più preoccu-pante: è l'intollerabile sfruttamento di milioni di bambÌ!li, soprattutto nei Paesi poveri del Terzo Mondo, ma anche in alcune aree del ricco e industrializzato Occidente.I continui allarmi, lanciati dall'ONU e in particolare dall 'Ufficio Internazionale del Lavoro (I.L.O.) di Ginevra, rivelano una situazione sconcertante: oggi sono ben 250 milioni i bambini tra i 5 e i 14 armi costretti a lavorare nel mondo, ma, quel che è più grave, la cifra tende ad aumentare. Purtrop-po, come detto, la piaga del lavoro minorile non è circoscritta ai Paesi più poveri di Asia, Africa e America Latina, dove, per :juanto inaccettabile, appare legata alle dif-ficoltà di sopravvivenza di larghi strati di :juelle popolazioni piegate dalla miseria e dal sottosviluppo. È noto infatti come il la voro minorile sia esercitato in forma claniestina anche in molti Paesi industrializzati, fra cui l'Italia. Insomma, l'onta dello sfruttamento del lavoro minorile continua in :J.uesto XXI secolo a pesare sulla coscienza iell'opinione pubblica.È risaputo che il lavoro minorile è uno iegli aspetti più sconcertanti della povertà e ;he molti anni di sforzi e di programmaziole dello sviluppo economico saranno neces-;ari per sanare completamente questa piaga. _el frattempo perdurano alcune forme di lavoro minorile che sono intollerabili da qualunque punto di vista le si consideri: autenti;he forme di

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schiavitù che devono essere in-iividuate, denunciate e sradicate senza ulteiore indugio.Si tratta di decine di milioni di babynanovali: piccoli braccianti, bambine che liutano nei lavori domestici, fmanche ra_azzini costretti a imbracciare un'arma e a 'are anzitempo il mestiere del soldato, per 10n parlare dei tanti minori che sono obbli_ati a prostituirsi. Di tutti questi bambini, al;uni milioni sarebbero quelli ridotti in ;chiavitù: per la maggior parte lavorano in o\sia, dove si calcola che i lavoratori bambini siano oltre 150 milioni, mentre in Africa ;arebbero circa 80 milioni e oltre 17 milioni luelli in America Latina.Davvero raccapricciante è il caso di luei bambini, purtroppo tantissÌn1i, il cui lavoro viene svolto in stato di schiavitù, senza la benché minima retribuzione: soprattutto n Africa è in uso prestare o offrire uno dei Jiccoli della famiglia, quasi sempre povera _ numerosa, per estinguere un debito, per ingraziare di un favore, per tenere fede a un Jbbligo sociale o religioso. Numerosi ed indegni sono pure i casi di vendita vera e propria. Il bambino diventa cosÌ proprietà del padrone che ne dispone a suo piacimento, molto spesso in forma illegale, sia per il tipo di lavoro da svolgere sia per i modi in cui viene svolto.Tristemente nota è poi la diffusione della prostituzione minorile, soprattutto nei Paesi dell' Asia sud-orientale.Lavori particolarmente diffusi tra i minori sono il "mestiere" del soldato, soprattutto in Africa, quello del minatore in America Latina, del bracciante e del muratore un po' dappertutto.2) Purtroppo, come detto, questa piaga non risparmia nemmeno l'opulento Occidente, dove tanti bambini al di sotto dei 1314 anni sono impiegati in lavori, sÌ, meno umilianti e massacranti che nel Terzo Mondo, ma sono pur sempre sfruttati.In Italia, recenti stime sindacali hanno calcolato in circa 350mila i bambini lavoratori. È una piaga che, nel nostro Paese, sopravvive in alcune aree di degrado sociale, specialmente del Mezzogiorno, e purtroppo anche, sia pure in misura minore, nell'opulenta Lombardia. Purtroppo il fenomeno èstrettamente connesso all'evasione dell'obbligo scolastico, per cui la violenza che viene arrecata al minore è duplice: alla violenza dello sfruttamento si aggiunge infatti quella non meno deprecabile, e tale da lasciare un segno duraturo sul ragazzo, della mancata formazione.

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3) Molto più complesso è invece il problema del lavoro minorile nei Paesi del Terzo Mondo: il triste fenomeno è anche una conseguenza della liberalizzazione del com-mercio mondiale, che induce molti Paesipoveri ad abbassare i prezzi dei loro manufatti, ricorrendo a manodopera pagata poco o quasi niente nel tentativo di essere più competitivi.Ecco allora che, per rimuovere questa situazione che vede bambini costretti a lavorare in condizioni disumane, è necessario pervenire a sistemi di coordinamento inter-nazionale, capaci di snidare, dovunque siano, queste pratiche aberranti di sfruttamento.Certo, risulta difficile far emergere situazioni vergognose e colpime i responsabili: talvolta i bambini vengono venduti a saldo di debiti che le loro famiglie non possono pagare. Di questi piccoli addirittura spesso si perdono le tracce, costretti come sono a lavorare a tempo pieno e, in tanti casi, per impedirne la fuga, addirittura legati al posto di lavoro con una catena.Le organizzazioni dell'ONU, in particolar modo il già ricordato Ufficio Internazionale del Lavoro di Ginevra, propongono a tutti i Governi, in sede di accordo internazionale, parallelamente alle intese sulla liberalizzazione del commercio mondiale, i cosiddetti "Iabour-standards", consistenti nel definire delle regole minime, da osservare in tutti i Paesi, per quanto riguarda l'eliminazione del lavoro minorile.Propongono altresì la libertà di associazione sindacale proprio lì dove l'assenza di sindacati permette abusi di ogni sorta e non solo sui minori, il diritto di negoziare condizioni minime di lavoro e l'eliminazione dei lavori forzati per i carcerati.Alcune organizzazioni umanitarie del nostro Paese e anche i sindacati dei lavoratori suggeriscono di adottare validi strumenti che possano scoraggiare anche quelle im prese, il più delle volte non piccole, che, fuori dai confini nazionali, se ne infischiano delle norme contro lo sfruttamento dei minori e violano tutte le convenzioni internazionali che prevedono la loro tutela.È necessario quindi che, d'accordo con i governi degli altri Paesi dell'Unione Europea e, perché no, anche degli altri Paesi in-dustrializzati dell'Occidente, si chiedano dei marchi di garanzia alle merci provenienti dai Paesi del Terzo Mondo, quasi sempre da stabilimenti di proprietà di grandi

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società multinazionali, che attestano che quelle merci sono state prodotte nel rispetto delle convenzioni internazionali e senza ricorrere al lavoro di minori.È un impegno di civiltà quello di stare sul fronte della difesa dei minori da ogni sfruttamento, che deve, però, tradursi in impegni e iniziative concrete, non in qualcosa di formale che si limiti a lamentele o pubbliche denunce.

In tal modo sarà possibile non solo sanare la piaga del lavoro minorile, ma anche ripristinare condizioni di parità nella com-petizione economica, in un'epoca di "globalizzazione" dei mercati e di liberalizzazione del lavoro.

I SENTIMENTI E LE EMOZIONIL'emotività è parte integrante della psiche, ma la società ipertecnologica in cui viviamo sembra lasciare sempre meno spazio ai nostri sentimenti e alle nostre emozioni.Tipologia D: tema di ordine generale

Che cosa sono i sentimenti e le emozioni? La psicologia ci dice che sono esperienze soggettive d'intensità rilevante, sovente accompagnate da modificazioni comportamentali ed espressive dell'organismo. Esse costituiscono una dimensione ricca, complessa, variegata, in cui la più profonda soggettività viene a congiungersi con la sfera oggettiva, originando una serie di reazioni diverse per intensità e natura: ad esempio, uno stesso individuo può, a seconda della situazione e/o degli interlocutori, piangere o ridere, annoiarsi o divertirsi, commuoversi o irritarsi, provare rabbia e tensione aggressiva oppure affetto e tenerezza. Esistono quindi delle emozioni "piacevoli" (la gioia, la soddisfazione) e "spiacevoli" (la paura, la collera), così come vi sono delle emozioni "positive", che si possono manifestare in sentimenti come l'amore, l'amicizia, la solidarietà, i legami sociali, e "negative", che si possono esprimere mediante l'aggressività, la violenza, l'odio, l'invidia, l'egoismo.Alla base dei sentimenti e delle emozioni non c'è nulla di razionale, di preordinato, di premeditato, poiché essi si manifestano spontaneamente e "senza avvertire": non siamo in grado di programmare, di decidere quando e se emozionarci, di prevede re o intuire il momento in cui accadrà, né d'individuare a priori gli stimoli esterni che susciteranno tali reazioni in noi.

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Insomma, ogni sentimento è unico, così come ogni emozione. Certo, esistono dei parametri che possono aiutare una persona a conoscersi emotivamente, a sapere quali sono i suoi punti deboli, a percepire in anticipo le cause scatenanti un'emozione. Ad esempio, se abbiamo vicino una persona nei confronti della quale proviamo sentimenti d'amore e che da tanto tempo attendevamo, possiamo ragionevolmente aspettarci una sequenza di stati emotivi che variano dall' allegria alla tenerezza, alla commozione. Ma non di rado la reazione emotiva puòessere assolutamente diversa da quella prevista o immaginata: è quella che gli psicologi chiamano "reazione di sorpresa", indotta da una stimolazione inattesa.Nell'attuale società c'è ancora posto per i sentimenti e per le emozioni? Forse ancora sì, ma facendo un grande sforzo per proteggere una spontaneità dell'animo umano continuamente insidiata da un modello di società ipertecnologizzata e apparentemente razionale che, in questo ventunesimo secolo, sembra estendere il controllo su ogni aspetto della nostra vita, nella quale quasi tutto viene ormai rigorosamente programmato e calcolato nei costi e nei vantaggi.L'emotività oggi può manifestarsi liberamente? I valori, i modelli, i punti di riferimento che la stessa società offre, ci fanno orientare verso una riposta negativa, in rife-rimento non solo ai surrogati emotivi indotti, ad esempio, da uno spettacolo.cinematografico e televisivo (tanto che ci vogliono effetti sempre più speciali, magari scene di violenza per scuotere la nostra indolenza psichica e smuoverci dalla nostra assuefazione), ma anche e soprattutto alle reazioni che possono nascere dall'incontro con gli altri. In un mondo in cui la virtualità tende sempre più a sostituirsi alla realtà, tanto da ridurre anche le occasioni di socialità, l' emotività sembra davvero essere chiusa in una gabbia dai mass-media, che ci tolgono il piacere della scoperta, con la loro pretesa di dirci tutto e in tempo reale, e dai beni di non primaria necessità, che ci circondano e che sembrano privarci di ogni fatica e quindi anche del gusto della riuscita in ciò che facciamo.L'uomo contemporaneo, animato dalla smania, quasi dall' ossessione del successo, del profitto, del consumismo, è portato sempre più a nascondere, inibire, mascherare i propri sentimenti, sfiorando !'indifferenza emotiva. I

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momenti e le situazioni della vita quotidiana scorrono davanti agli occhi come le immagini di un film trasmesso in televisione e tutto diventa ovvio, scontato, banale, artefatto, noioso. La spettacolarizzazione della realtà, indotta dai mezzi di comunicazione di massa, ha investito anche la sfera dell'emotività, depotenziandola con la visione passiva di scene anche di violenza e di dolore. Ma così, svuotando i sentimenti e depotenziando le emozioni, si corre il rischio di accumulare nel fondo della psiche tensioni aggressive che possono manifestarsi all'improvviso e non sempre in modo costruttivo: è l'allarme che lanciano da tempo gli psicologi e gli opinionisti più attenti.I comportamenti aggressivi e violenti, di cui si rendono responsabili alcuni adolescenti, possono essere associati ad un vuoto affettivo e ad una privazione emotiva che si manifestano fin dalla fanciullezza e che né la famiglia né la scuola riescono a colmare. Tra i compiti dei genitori c'è anche quello di far capire al bambino che non può scaricare a piacimento le sue tensioni aggressive, ad esempio rompendo oggetti e giocattoli, ma deve incanalarle in correnti emozionali che si possono, con il trascorrere degli anni, riconoscere e controllare.È il primo passo verso un'educazione emotiva che deve proseguire a scuola, con maestri e professori che devono favorire ne-gli alunni la consapevolezza dei propri sentimenti ed emozioni. Ed invece tanti bambini e ragazzi non ricevono questi fondamentali supporti familiari e scolastici: così il ruolo di genitori ed insegnanti viene sovente surrogato dalla televisione e da Internet, con il rischio d'indurre assuefazioni emotive in tante ore trascorse davanti allo scherrnodel televisore ed al monitor del computer.Se l'uomo vuole continuare a provare affetti e ad emozionarsi nella sfera privata e in quella sociale, in famiglia e con gli amici, così come al teatro, al cinema ed allo stadio, deve spostare la sua attenzione dall'individualismo all'altruismo, dalla razionalità alla sfera dei sentimenti, dal "corpo" materiale all' "anima", allo spirito.Non esiste vergogna né imbarazzo nel provare emozione per un bambino che nasce, per un anziano che sorride, per un ammalato che guarisce, per una persona cara che è lontana, per la scena di un film che commuove, per un goal della squadra di calcio per cui si fa il

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tifo. L'intelligenza e la ragione niente possono se non sono alimentate dal cuore.

L'AMICIZIAQuali sono i caratteri dell'amicizia? Questa è ancora possibile oggi, nella societàdell'individualismo e delle tecnologie informatiche?Tipologia B: saggio breve Ambito: socialeDivisione in paragrafi:1) Come nasce un' amicizia2) Che cosa è un' amicizia vera 3) L'amicizia come va/ore4) L'amicizia nell' era di Internet

1) Ogni individuo conduce la propria vita all'interno di una serie d'interazioni sociali. Sono numerose le persone che, quoti-dianamente, ciascuno di noi ha modo di conoscere e con le quali comunica, dialoga, lavora, studia, trascorre momenti di svago e divertimento. Ma quante sono le probabilità che, da questo fitto scambio di relazioni, nascano dei rapporti d'amicizia? Non certo molte, poiché alla base di un'amicizia vi sono delle condizioni che non si verificano abitualmente: la lunga frequentazione, la condivisione di passioni, interessi ed esperienze professionali, la sincerità, la fiducia, !'intesa, la complicità, il desiderio di confidarsi e di aiutarsi reciprocamente.Certamente esistono particolari circostanze che favoriscono l'instaurarsi di un rapporto d'amicizia: ad esempio, abitare nello stesso quartiere, appartenere alla medesima scolaresca, svolgere insieme il servizio militare, stare nello stesso gruppo di lavoro. Ma non per questo si diventa amicidi tutti i compagni di scuola o di tutti i colleghi di lavoro, ed inoltre non è detto che due persone restino amiche anche dopo che le loro strade si sono divise.2) Ma che cosa distingue un'amicizia vera? È il caso di precisare che questa non deve presupporre alcun tornaconto personale o secondo scopo, alcun calcolo o ragionamento di comodo: nella scelta degli amici non vi è niente di razionale e di premeditato; ad agire in un rapporto amichevole sono emozioni, sensazioni e qualità umane che non hano nulla di costruito o artefatto.Si dice comunemente che i veri amici si vedono nei momenti di difficoltà. Infatti, quando un rapporto d'amicizia è ben conso-lidato, si trova sempre il tempo, anche nel caso in cui la distanza, gli impegni familiari e lavorativi

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non permettano una frequentazione quotidiana, di ascoltare le confidenze dell'altro, di aiutarlo a superare una situazione complicata, per confortarlo in momenti di particolare tristezza.Si dice anche che "chi trova un amico, trova un tesoro", ad indicare non solo l'arricchimento interiore che può fornire una sincera amicizia, ma anche quanto essa sia rara, quindi preziosa. Tuttavia si dice anche che "dagli amici mi guardi Dio, dai nemici mi guardo io", cioè meglio un nemico di-chiarato che un falso amico: fa male scoprire che una persona considerata amica è, invece, un profittatore, uno che pensa solo ai suoi interessi.3) L'amicizia, oltre ad essere un rapporto affettivo che si può stringere tra due o più persone, è anche un valore fondamentale nella società attuale nella quale, troppe volte purtroppo, l'individualismo, l'egoismo, l'arroganza, la discriminazione prendono il sopravvento sulla solidarietà e sui buoni sentimenti.I "miti" del denaro e dell'arrivismo fanno sovente dimenticare il rispetto per le altre persone: così, pur di accumulare soldi, pur di fare carriera a tutti i costi, si tende a scavalcare, prevaricare, sfruttare gli altri.Il conseguimento degli interessi personali fa diventare l'uomo cinico e presuntuoso, gli fa dimenticare di essere parte di una collettività che dovrebbe avere come obiettivo il bene comune, il miglioramento delle condizioni di vita di tutti.4) Lo sviluppo delle tecnologie informatiche, in particolare l'avvento di Internet, ha introdotto una nuova modalità di relazione: l'amicizia virtuale. Attraverso le chat presenti all'interno della Rete si può comunicare con tante altre persone, anche residenti in altre città o Paesi. È un' opportunitànuova di relazionarsi, anche se trascorrere molte ore davanti al monitor di un computer toglie tempo alle relazioni interpersonali fondate sulla vicinanza fisica. Ma Internet può essere utile a creare le premesse per un'amicizia che andrebbe poi consolidata mediante la frequentazione diretta: non è meglio guardare negli occhi la persona con cui si sta parlando, anziché immaginarIa? Non è meglio andare insieme allo stadio, in discoteca, ad un concerto, a passeggiare per le vie del centro, anziché scambiarsi opinioni sul calcio, la musica e le novità della moda digitando una tastiera?

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118FEDE E RAGIONEHa ancora senso l'antico conflitto oppure, soprattutto dopo i recenti successi della genetica e delle altre scienze, il rapporto tra fede e ragione deve essere ripensato in una nuova prospettiva?Tipologia D: tema di ordine generale

La discussione sul rapporto tra fede e ragione ha animato filosofi, teologi e uomini di scienza di ogni epoca. Fu addirittura Aristotele, nel lontano IV secolo avanti Cristo, a postulare una relazione tra la "filosofia prima", cioè la metafisica, e la teologia, cioè la conoscenza delle cose divine.Nel Medio Evo cristiano, san Tommaso d'Aquino, il più autorevole rappresentante della Scolastica, proclamato "dottore della Chiesa", considerò la filosofia, cioè il procedere per mezzo della ragione, e la teologia due differenti vie d'accesso all'unica verità, quella rivelata da Dio.Nell'età della Controriforma, con la Chiesa di Roma che reagiva duramente alla Riforma protestante, Galilei giunse a dimo-strare una struttura dell 'universo, in accordo con la "rivoluzione copernicana", che la mente umana poteva comprendere solo mediante la ragione. Per questo, lo scienziato pisano dovette subire la severa condanna del Sant'Uffizio che nella "rivoluzione astronomica" vedeva un attentato alle verità rivelate dalle Sacre Scritture.Nel XVIII secolo, l'Illuminismo, il movimento culturale che si diffuse in tutta l'Europa ed esaltava la ragione, sottopose l'intero scibile umano al vaglio critico diquesta, l'unica in grado di garantire progresso e conoscenza agli uomini: decisa fu la contrapposizione degli illuministi al principio d'autorità affermato dalla Chiesa, che subordinava ogni sapere al Verbo di Dio.Questo rapido excursus sulle dispute filosofiche e culturali tra fede e scienza, si completa con le polemiche conseguenti agli strabilianti passi in avanti compiuti dalla scienza e dalle moderne tecnologie, in particolare dall'ingegneria genetica, relativi ai procedimenti di manipolazione genetica e all'eventuale donazione umana.Tuttavia, al centro delle attuali questioni che coi volgono il mondo scientifico, non sono solo le singole scoperte o i singoli esperimenti, bensì l'intero operato degli scienziati: devono, questi ultimi, essere lasciati assolutamente liberi

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nel loro lavoro di ricerca e sperimentazione, oppure vanno adeguatamente vincolati a limiti di natura etica e religiosa?È giusto pensare che il problema non sia il vietare o meno l'evolversi della ricerca scientifica, ma l'uso che si fa dei suoi risultati. La storia fornisce numerosi esempi in cui un'invenzione, finita nelle mani sbagliate, ha prodotto effetti catastrofici per l'umanità: pensiamo soltanto agli studi, finanziati dal governo americano, che portarono alla realizzazione delle bombe atomiche che furono poi scagliate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaley sul finire della se-conda guerra mondiale. In quel caso, come in molti altri, gli scienziati svolsero un lavoro che era stato commissionato loro dallo Stato e dai privati e del cui successivo utilizzo, pertanto, non potevano certo essere responsabili.Il medesimo ragionamento si può applicare alla genetica: una cosa è pervenire alla conoscenza della mappa genetica dell'uomo, il genoma, un'altra è servirsi di questa fondamentale scoperta per creare cloni umani. Con questo non si vogliono deresponsabilizzare completamente gli scienziati degli eventuali effetti deleteri delle loro ricerche: si tratta pur sempre di uomini dotati di una coscienza e di una deontologia professionale che consentono loro di distinguere tra interessi economici e ragioni etiche ed umane.L'unico limite che ci sembra debba essere posto alla ricerca scientifica è il rispetto per l'essere umano: nessun ritrovato, nel campo della tecnologia, della medicina, del-l'ingegneria genetica, può mettere a repentaglio la vita degli individui o attentare alla dignità degli stessi. Obiettivo della scienza deve essere di migliorare le condizioni di vita dell'uomo, di curarne e tutelarne la salute, di esaltarne la dignità.La distanza che separa la fede dalla scienza si è notevolmente accorciata rispetto al passato, grazie anche al contributo di tanti scienziati di profonda fede religiosa, che hanno visto nella scienza un mezzo privilegiato per ammirare il meraviglioso e "divino" ordine dell'universo, e dello stesso papa Giovanni Paolo Il, il quale non ha mancato di rilevare il ruolo insostituibile degli uomini di scienza nel consorzio umano e si è appellato alla loro responsabilità e coscienza.Proprio papa Wojtyla alcuni anni fa si adoperò per riabilitare Galilei dalla condanna che, come detto, subì dal Tribunale ecclesiastico. L'errore di quest'ultimo, in quella circostanza, fu di prendere

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posizione su un argomento, quello astronomico, che non gli competeva: è giusto, però, precisare che ci stiamo riferendo ad un periodo storico in cui l'ingerenza della Chiesa in tutti gli aspetti della società, compresi quelli politici e culturali, rappresentava un tentativo della stessa di superare il momento di crisi in cui era precipitata dopo la Riforma protestante.La Chiesa di oggi non deve incorrere nello stesso equivoco: il giustificato timore, condiviso con alcuni ambienti laici, di un eventuale uso incontrollato, o controllato esclusivamente da logiche di profitto, delle scoperte scientifiche, in particolare di quelle relative all'ingegneria genetica, non deve trasformarsi in diffidenza, da parte delle istituzioni ecclesiastiche, nei confronti del mondo della scienza.È necessario che prevalga un atteggiamento favorevole alla riconciliazione tra religione e scienza, in quanto entrambe svol-gono un ruolo fondamentale nella vita dell'uomo: il compito della prima è di spiegare i misteri dell' esistenza che non possono essere conosciuti dalla mente umana se non attraverso la fede; la seconda punta a trarre dalla ragione, dall'esperienza, dalla ricerca, gli strumenti indispensabili a raggiungere una migliore comprensione della realtà in cui viviamo ed a consentirci di meglio interagire con essa.Insomma, la condanna di Galilei, che rappresenta nella storia il punto di massima frattura tra fede e scienza, oggi sembra molto lontana.

122STATO E CHIESALa separazione di Stato e Chiesa e l'indipendenza di ciascuno nel proprio campo, civile il primo e religioso la seconda, ribadite dalla nostra Costituzione, costituiscono una conquista del pensiero politico moderno.Tipologia: tema di ordine generale

Una delle più grandi conquiste del pensiero politico liberale, fatta propria dal pensiero democratico, è stata la separazione di Stato e Chiesa. Era stata la Restaurazione, nel corso dei primi decenni dell'Ottocento, a riportare indietro il passo della storia, ricongiungendo il Trono e l'Altare, dopo che l'Illuminismo e la Rivoluzione francese avevano inequivocabilmente affennato la laicità dello Stato.Il pensiero liberale ottocentesco, sconfitta la Restaurazione nel 1848, aveva riaffennato l'assoluta indipendenza di Stato e Chiesa, di politica e spiritualità, affennando che l'azione del primo riguarda i rapporti civili tra gli uomini, mentre la seconda ha riguardo per la libera coscienza di ogni individuo.Cavour, in particolare, aveva sostenuto la necessità nel nostro Paese di una libera Chiesa in un libero

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Stato, principio ribadito dal grande statista d'inizio Novecento Giovanni Giolitti, che aveva paragonato lo Stato e la Chiesa a due parallele che non si devono mai incontrare.La nostra Costituzione repubblicana, infine, ha recepito questi princìpi nell'articolo 7, che recita: "Lo Stato e la Chiesa cat tolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". La stesura di questo articolo fu il risultato di un compromesso, accorto e lungimirante, tra le principali forze politiche popolari dell'Italia di allora: la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista.Oggi alcuni opinionisti levano voci di pericolo su una possibile invadenza della Chiesa nella sfera civile e politica, anche in conseguenza di un fondamentalismo islamico che vuole incidere sulla politica e sulle istituzioni di tanti Paesi del Terzo Mondo e che in tanti, nei Paesi occidentali, temono come eccessivamente aggressivo e in grado anche di sostenere la minaccia del terrorismo. Il rischio quindi di cadere in nuove guerre di religione non è da sottovalutare, anche perché, dagli stessi Stati Uniti, sembra partire uno spirito di crociata che, in nome della lotta al terrorismo su scala planetaria, proclama la necessità della "guerra preventiva" e dell'esportazione con la forza del modello democratico occidentale anche in Paesi islamici: si può leggere anche così l'intervento militare americano in Afghanistan e in Iraq.Non a caso, dal profondo della società americana, sono venute delle istanze neoconservatrici che hanno ribadito con forza valori tradizionali, come ad esempio quelli della famiglia contro le "insidie" del divorzio facile e dell'aborto facile, del matrimonio tra omosessuali e dei diritti delle coppie di fatto; del-la "vita" contro la procreazione controllata, la sperimentazione sugli embrioni e sulle cellule staminali a scopo terapeutico; di una scuola non più pluralista, ma incentrata su detenninati insegnamenti religiosi. L'invadenza religiosa, con la pretesa di controllare la società civile e la sfera della politica, è riscontrabile oggi, a detta di alcuni opinionisti laici, non solo nel campo islamico, con la deriva del fondamentalismo, ma anche in quello cristiano, con un risorgente integralismo. Questi opinionisti hanno evidenziato adesso una nuova tendenza dogmatica nelle prese di posizione dello stesso papa Wojtyla e della Conferenza episcopale in materia di ricerca genetica, di famiglia e matrimonio, nonché nell'insistenza con cui si è cercato d'inserire le radici cristiane della civiltà europea nella stesura della Costituzione Europea.La fine delle ideologie otto-novecentesche, con il crollo ad esempio del comunismo totalitario, aveva illuso su un nuovo slancio del pensiero laico, capace di liberarsi per sempre da ogni dogmatismo. Invece nuove ideologie sono apparse: quelle del fondamentalismo, dell'integralismo religioso, del neoconservatorismo.È vero che le ideologie sono capaci di alimentare le passioni umane, ma questo non deve mai avvenire a scapito dellegittimo dubbio e della razionalità. Non si devono cercare nuove certezze per raggiungere rassicuranti quadri di riferimento, ma bisogna sempre impegnarsi in una continua ricerca, e il dubbio è l'elemento che fin dal tempo di Galilei ha stimolato ogni ricerca e ogni progresso.In particolar modo nel campo della società civile e della politica, il dogmatismo non deve avere cittadinanza, perché può alimentare pericolose discriminazioni e ingiustificate presunzioni di qualcuno che possa ritenersi portatore della verità e del bene. La nostra Costituzione repubblicana, frutto di un sapiente compromesso tra forze religiose e laiche, e qualcuna addirittura apertamente atea, ha

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saputo mediare tra le diverse istanze presenti nella società e nella cultura del nostro Paese, tanto che, nella storia della nostra Repubblica, momenti anche di confronto aspro tra spirito religioso e spirito laico, come in occasione del referendum del 1974 sul divorzio e dell'approvazione della legge sull'aborto, non sono mai degenerati in conflitti religiosi.Non bisogna infatti dimenticare che l'intolleranza e il fanatismo rappresentano delle degenerazioni pericolose del sentimento religioso, che deve essere sempre vissuto nel rispetto e nella tolleranza di chi pensa o crede in modo diverso da noi.Proprio per questo l'autentico spirito laico è il garante della libertà di religione.Una società autenticamente aperta non può che ispirarsi a princìpi di laicità, di confronto e di tolleranza. Proprio per questo, la società laica, capace di rifuggire da ogni forma di integralismo e di dogmatismo, è autenticamente democratica e realmente volta al progresso civile e sociale.La nostra Costituzione repubblicana, frutto di un sapiente compromesso tra forze religiose e laiche, e qua1cuna addirittura apertamente atea, ha saputo mediare tra le diverse istanze presenti nella società e nella cultura del nostro Paese, tanto che, nella storia della nostra Repubblica, momenti anche di confronto aspro tra spirito religioso e spirito laico, come in occasione del referendum del 1974 sul divorzio e dell'approvazione della legge sull'aborto, non sono mai degenerati in conflitti religiosi.Non bisogna infatti dimenticare che l'intolleranza e il fanatismo rappresentano delle degenerazioni pericolose del sentimento religioso, che deve essere sempre vissuto nel rispetto e nella tolleranza di chi pensa o crede in modo diverso da noi.Proprio per questo l'autentico spirito laico è il garante della libertà di religione.

L'ENERGIA PULITADall'acqua energia per il futuro: l'idrogeno è tra le fonti rinnovabili di energia pulita in un futuro non lontano.Tipologia B: articoloAmbito: tecnico-scientifico Destinazione: pubblicazione su rivista di divulgazione scientificaÈ noto come le riserve mondiali di petrolio e di gas naturale non siano inesauribili e come lo sfruttamento di queste fonti di energia costituisca un grave fattore d'inquinamento ambientale. Sulla base di tali considerazioni, in questo ventunesimo secolo il reperimento di fonti alternative d'energia diventa centrale nella prospettiva di uno sviluppo economico compatibile con gli equilibri ambientali.A detta di scienziati ed opinionisti, sarà l'acqua il petrolio del domani. Infatti lo stesso Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, ha sottolineato come l'acqua sarà una fonte inesauribile di energia in un futuro non lontano.Nonostante i Paesi più industrializzati del mondo si siano impegnati ad attuare quanto previsto dal Protocollo di Kyoto, che impone di ridurre le emissioni di gas-serra nell' atmosfera, l'inquinamento ambientale non accenna a diminuire. Soprattutto la quantità di anidride carbonica presente nel-l'atmosfera, causa principale del cosiddetto "effetto-serra", resta a livelli preoccupanti.La questione ambientale è strettamente connessa a quella degli approvvigionamenti energetici,

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indispensabili alla sopravvivenza dell'economia industrializzata. Ma la sopravvivenza della vita stessa sulla Terra dipende, a sua volta, dall'utilizzo di fonti energetiche alternative o rinnovabili, come l'energia idroelettrica (ricavabile dalla forza meccanica di una massa d'acqua che fa girare un generatore di corrente), l'energia geotermica (ricavabile dal vapore che emerge in superficie nelle zone vulcaniche), l'energia solare (dal calore dei raggi del sole) e l'energia eolica (quella del vento). Tuttavia i costi per sfruttare queste fonti di energia sono ancora molto elevati.L'Enea, l'Ente nazionale per l'energia alternativa, ha proposto di recente alcune soluzioni al problema dell'approvvigionamento energetico: la combustione pulita del carbone, mediante la separazione di idrogeno ed anidride carbonica da effettuare mettendo a contatto carbone e acqua ad una temperatura elevata, nonché l'utilizzo di una forma di energia ricavata dalla concentrazione della luce solare per mezzo di un impianto di specchi parabolici. Anche in questo caso esistono però degli inconvenienti: trasformare il carbone da fossile in combustibile ridurrebbe enormemente gli effetti nocivi sull'ambiente, ma le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera aumenterebbero; dal sole si può ricavare, con un semplice processo termo-chi-mico, l'energia pulita, ma la variabilità delle condizioni climatiche costituisce un problema non irrilevante.Nelle forme di energia alternativa appena indicate il ruolo dell'idrogeno è fondamentale ed è proprio su quest'ultimo che l'Enea sta concentrando i suoi sforzi nella sua sfida per l'energia del futuro. Scienziati e ricercatori hanno approntato un piano per sfruttare tutte le potenzialità del gas più diffuso in natura: si tratta della cosiddetta "cella a idrogeno", una cella a combustibile basata sull'azione elettrochimica che permette di utilizzare l'idrogeno dell'acqua. In prati-ca, il principio è simile a quello di una batteria, con la differenza che la cella a combustibile non si limita a conservare energia elettrica, ma la genera.Queste le fasi del processo: l'idrogeno viene inserito nella cella dal polo negativo e libera protoni ed elettroni, mentre dal polo positivo entra l'ossigeno; il polo positivo attrae gli elettroni che vengono convogliati in un circuito esterno e si produce così l'energia elettrica; i protoni invece si uniscono al-l'ossigeno, formando acqua; poi, quando l'acqua viene espulsa, l'ossigeno torna a riempire la cella, rinnovando il processo.Si prevede che l'Italia potrebbe essere presto all'avanguardia nella produzione di energia all'idrogeno, un'energia assolutamente "pulita" e praticamente inesauribile in natura. Certo, estrarre l'idrogeno è attualmente ancora molto costoso, ma le nuove tecnologie in futuro renderanno possibile questa incredibile rivoluzione. Enormi i vantaggi che ne deriverebbero: pensiamo soltanto alla possibilità di costruire e commercializzare autoveicoli a idrogeno, con conseguente abbattimento del tasso d'inquinamento e straordinaria ripresa della produzione automobilistica oggi in crisi. L'auto a idrogeno, ancora molto costosa, è ormai quasi una realtà, ben più di un prototipo: basti pensare che la GeneraI Motors, l'azienda americana leader nel settore automobilistico, si è impegnata a dotare, quanto prima, l'esercito USA di alcune migliaia di questi particolari veicoli.

I MALI DEL MONDO ATTUALEI primi anni di questo XXI secolo sembrano aver tradito le speranze in un mondo migliore: ancora imperversano l'incubo della guerra, la minaccia del terrorismo, il dramma di una sempre più diffusa

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povertà, l'aggressione alla natura.Tipologia D: tema di ordine generale

L'umanità, lasciatasi alle spalle il passaggio da un millennio all'altro, prosegue il suo percorso nel XXI secolo tra non 'pochi timori, dubbi e perplessità. Quattro paure attualmente assillano il mondo: la guerra, il terrorismo internazionale, la povertà, l'in-quinamento ambientale. Non potremo mai vivere in un mondo migliore se non ci libereremo per sempre da questi quattro incubi.Sono tante le aree del Pianeta dove le "armi" della ragione soccombono alla ragione delle armi, a cominciare dal Medio Oriente: perdura una grave situazione d'instabilità in Iraq, nonostante sia stato avviato, con le elezioni del gennaio 2005, un pro-cesso di democratizzazione, mentre non c'èancora pace vera tra Israeliani e Palestinesi, nonostante i recenti accordi tra il premier israeliano Sharon e il nuovo presidente palestinese Abu Mazen, succeduto ad Arafat. Infatti agli attentati dei terroristi kamikaze della guerriglia palestinese rispondono puntualmente le rappresaglie dell'esercito israeliano.Le nubi di guerra sono sempre dense sul Golfo Persico, area strategicamente importante sul piano economico per la presenza delle più ingenti riserve di petrolio del mondo: la guerra all'Iraq del dittatore Saddam Hussein, accusato di custodire armi di distruzione di massa, voluta dall'amministrazione Bush, ha portato sì alla caduta della dittatura di Saddam, ma il martoriato Paese mediorientale è ancora lontano dal ritorno alla normalità.La situazione è ulteriormente aggravata dall'incubo del terrorismo, che si è diffuso nel mondo dopo gli attentati dell' 11 settembre 200 l alle Twin Towers (le Torri Gemelle) di New York e al Pentagono di Washington, la cui responsabilità è stata dei gruppi del fondamentalismo islamico riuniti nell' organizzazione Al Qaeda (Esercito Islamico) guidata da Osama Bin Laden, il facoltoso sceicco saudita, che si è posto a capo della "guerra santa" contro gli Americani e l'Occidente per il riscatto dell'Islam.Gli Stati Uniti risposero agli attentati scatenando un'offensiva militare contro l'Afghanistan, per snidare i terroristi islamici e Bin Laden che da tempo vi avevano collocato le loro basi. L'unico obiettivo raggiunto è stato di liberare il Paese asiatico dal regime teocratico e semifeudale dei Talebani, ma dello sceicco terrorista non si è trovata alcuna traccia. Frattanto sulle montagne afgane continua la guerra contro le bande di Talebani che ancora resistono, mentre Bin Laden alimenta anche la guerriglia in Iraq, organizzando e finanziando alcuni gruppi terroristici che vi operano. L'incubo del ter-rorismo continua così ad alimentare la guerra afgana e quella irachena, in una spirale senza fine.Si continua a combattere anche in tanti Paesi dell' Africa (Sierra Leone, Sudan, Darfur, Senegal, Liberia, Costa d'Avorio) e del l'Asia (India, Pakistan, Sri Lanka, Filippine, Indonesia): sono le cosiddette "guerre dimenticate", poiché non adeguatamente "coperte" dai mass-media in quanto riguardano Paesi poverissimi, troppo distanti dagli interessi economici delle Potenze occidentali.Un altro incubo è la fame nel mondo: tanti, troppi popoli del Sud del mondo, in questo primo scorcio del nuovo millennio, continuano a vivere ad un livello di estrema povertà, con carenza di cibo e delle più elementari condizioni igienico-sanitarie. Vittime della fame, delle malattie e delle epidemie sono soprattutto i bambini. Sono le conseguenze di una progressiva depauperazione delle risorse locali, umane e materiali, di cui si sono rese responsabili le Potenze dell'Occidente negli anni lontani del colonialismo, ma anche in quelli più recenti del neo-

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colonialismo.La Terra sta diventando sempre più invivibile, a causa delle diverse forme d'inquinamento: da quello del suolo a quello dell'acqua, da quello acustico a quello elettromagnetico.Ma il più immediatamente dannoso e tale da provocare visibili conseguenze subito è senza dubbio l'inquinamento atmosferico, causato dall'immissione nell'atmosfera di gas tossici (in particolare l'anidride carbonica) , che ha generato i fenomeni dell' "effetto-serra" e del "buco" nello strato di ozono che riveste l'atmosfera.I maggiori responsabili di un processo che produce effetti devastanti per l' ambiente sono i Paesi più industrializzati del mondo, tra i quali in primo luogo gli Stati Uniti.Annualmente si tiene una Conferenza mondiale per affrontare la delicata questio ne: in quella di Kyoto, in Giappone nel 1997, fu pure firmato un "Protocollo" che impegnava tutti gli Stati ad un atteggiamento più responsabile nei confronti della tutela ambientale, cominciando con il ridurre sen-sibilmente l'emissione di gas inquinanti. L'impegno è rimasto a lungo sulla carta e soltanto nel febbraio 2005 la maggior parte dei Paesi industrializzati, ma non gli Stati Uniti, ha ratificato il programma concertato di riduzione dei gas per l'immediato futuro, ma tra il "dire" ed il "fare" sembra esserci ancora troppa distanza.Il comune denominatore delle problematiche appena esposte è la diseguale distribuzione del benessere materiale e sociale, che vede la ricchezza complessiva del Pianeta concentrarsi in pochi Paesi, quelli dell'opulento Occidente. Una sproporzione da cui emergono ingiustizie sociali e problemi drammatici che producono vistose e diffuse povertà e possono innescare processi di destabilizzazione: non è retorico ribadire che il nostro mondo, se gli Stati ricchi e potenti e quelli poveri cooperano, ha più probabilità di essere un mondo in pace.

RICERCA SCIENTIFICA E "FUGA DI CERVELLI"L'importanza della ricerca scientifica, in un Paese industrializzato, è fondamentale per lo sviluppo economico e la competizione con gli altri Paesi: purtroppo in Italia ci si rende conto di ciò solo quando suona l'allarme per la "fuga dei cervelli".Tipologia B: articoloAmbito: socio-scientificoDestinazione: pubblicazione su un periodico di divulgazione scientifica

Suscita scalpore, di tanto in tanto, la notizia che qualche illustre scienziato italiano manifesti l'intenzione di andare a svolgere il suo lavoro di ricerca in qualche altro Paese dell'Unione Europea o negli Stati Uniti, dove maggiori sono le possibilità di conseguire risultati soddisfacenti e profes-sionalmente gratificanti. È in queste occasioni che i mass media si accorgono di un fenomeno purtroppo in crescita nel nostro Paese e che non può non destare allarme. Umberto Veronesi, oncologo di fama e già ministro della Sanità, ha affermato recentemente che "un Paese senza ricerca è un Paese che uccide il suo futuro".Finanziare la ricerca scientifica è il miglior investimento che un Paese possa fare per il proprio futuro: significa scommettere sulle sue migliori risorse umane. I risultati magari non sono immediatamente visibili, ma a lungo termine costituiscono un autentico valore aggiunto.Pensiamo alla ricerca nel campo della medicina, che ha permesso nel secolo scor so di debellare alcune malattie che erano letali per l'uomo, come la

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polmonite o la tubercolosi, nonché oggi di compiere notevoli passi in avanti nella prevenzione e nella cura di altri mali che continuano a rivelarsi devastanti per la salute, come il cancro, 1'AIDS, la sclerosi multipla. Pensiamo, ancora, alla ricerca nel settore dell'ingegneria genetica che, nonostante le polemiche su alcune sperimentazioni (la clonazione umana, i cibi "transgenici", la manipolazione degli embrioni), ha realizzato fondamentali scoperte, come la "lettura" della mappa del genoma umano e la creazione in laboratorio di tessuti da utilizzare nei trapianti di organi. Pensiamo, infine, alla ricerca tecnologica nel campo dell'informatica e della telematica che, con strumenti come il computer, In-ternet, la televisione digitale, ha rivoluzionato le nostre abitudini di vita, di lavoro, di studio e di svago.L'Italia non sembra, però, aver colto l'importanza che la ricerca riveste nello sviluppo economico, scientifico e culturale: le risorse finanziarie che s'investono sono poche e le strutture a disposizione dei ricercatori sono spesso insufficienti. Ne consegue che le giovani generazioni di scienziati se ne lamentano di frequente e, come detto, subiscono la tentazione di trasferirsi all'estero e mettere al servizio di altri Paesi la loro intelligenza e professionalità.Per evitare' questa "fuga di cervelli" e ridurre il gap dell 'Italia rispetto agli altri Paesi dell'Unione Europa ed agli Stati Uniti, èassolutamente necessario incrementare sia gli investimenti pubblici e privati da destinare alla ricerca sia il numero di ricercatori, ma è anche urgente ricostruire dalle fonda menta, insegnando ai ragazzi l'importanza delle idee e della cultura della razionalità. Da questo punto di vista, l'istruzione riveste un ruolo fondamentale in quanto, fin dalla scuola dell'obbligo, deve fornire gli stru-menti metodologici necessari a stimolare l'esplorazione scientifica. Su queste basi, bisogna erigere un'impalcatura capace di garantire ai ricercatori strutture e strumenti di lavoro, ad esempio creando nuovi istituti scientifici di ricerca o dotando di un centro di ricerca ogni ospedale italiano, come accade negli Stati Uniti.Più ricerca nel nostro Paese: è un obiettivo che si può realizzare soltanto sensibilizzando la classe politica dirigente ad investire più risorse in questo settore d'importanza strategica per il futuro, anche se i risultati non sono sempre immediati. Se si parte dal presupposto che lo sviluppo economico di una nazione non dipende esclusivamente dalla produzione industriale, ma anche dalle idee nuove, dalla passione di porre sempre oltre le frontiere della scienza e della tecnica, allora si darà il giusto peso al lavoro dei ricercatori, mettendoli nelle condizioni di poter operare proficuamente e così fornire un valido contributo alla crescita complessiva del Paese.Ferma restando la libertà di ogni ricercatore italiano di recarsi a lavorare all' estero, dietro un'eventuale decisione del genere deve esserci tutt'al più una scelta di vita, un motivo personale, ma non delle esigenze imposte dall'esterno, come l'impossibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro. Insomma, il nostro Paese non può correre il rischio di vedere fuggire i suoi "cervelli" e privarsi così delle sue risorse più preziose.

POLITICA E BENE PUBBLICOL'attuale crisi della politica non deve fare smarrire ai

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cittadini il significato alto della stessa, cioè di nobile impegno per il bene di tutti.Tipologia D: tema di ordine generale

Si dice comunemente che oggi la politica sia in crisi. In realtà, ad essere in crisi, èun vecchio modo di far politica, basato sull'intreccio di interessi pubblici e privati, sulla lottizzazione esulI' ambizione del potere per fini personali. Ma la politica come arte di governo, come ricerca del possibile nell'interesse esclusivo del bene pubblico, èqualcosa di nobile che non può assolutamente morire, sebbene gli atteggiamenti di molti uomini politici del nostro tempo possano scalfire questo concetto che tanti cittadini tengono ben fermo in mente.Non si può nascondere che screditare la politica sia diventato di moda e il fenomeno Tangentopoli, spazzando via i partiti che furono della cosiddetta "prima Repubblica", aveva provveduto ad alimentare questo sentimento in gran parte dell'opinione pubbli-ca. Negli anni scorsi molti uomini politici, anche di prestigio, come segretari di partito e ministri, furono inquisiti dalla Magistratura e in molti casi anche condannati. Tutto ciò contribuì a rinnovare profondamente la politica, al punto che oggi si parla comunemente di "seconda Repubblica" ad indicare la nuova fase in cui sarebbe entrata la vita politica in Italia. Purtroppo alcuni aspetti deteriori del vecchio modo di fare sono rimasti immutati: pensiamo alla corruzione, alla "occupazione delle istituzioni", alla politica intesa come mezzo al servizio d'interessi privati.Tuttavia è bene sgomberare il campo dalla qualunquistica denigrazione della politica: un atteggiamento che rischia di svuotare di significato la democrazia stessa che è, innanzi tutto, partecipazione collettiva, in modi e forme ovviamente diversi, alla gestione della cosa pubblica. Alcuni segnali nel nostro Paese sono infatti preoccupanti: il crescente astensionismo elettorale, l'indifferenza ostentata da tanti cittadini nei confronti dei problemi sociali e della vita comunitaria, il rinchiudersi negli interessi strettamente privati, la condanna categorica e sbrigativa di partiti e politica in quanto tali.Sono tutti sintomi che possono preannunciare una malattia della democrazia nel nostro Paese, in quanto sono indicativi di.una crescente disaffezione degli Italiani alla politica, con il rischio che si lasci spazio a chi ha interesse a gestire il potere nell'indifferenza popolare. Già in passato l'Italia ha lasciato fare ad un "duce" che, pretendendo di decidere tutto da solo, ha prima irreggimentato il Paese come in una caserma e poi lo ha fatto sprofondare nella catastrofe della guerra.Bisogna saper guardare la realtà: la partecipazione alla vita politica, e più in generale a quella comunitaria, non ha mai interessato "tutta" la popolazione, ma sempre una parte che coincide grosso modo con quella che legge i giornali e s'interessa a ciò che succede nel nostro Paese e nel mondo: in parole povere, quella che costituisce l'opinione pubblica. Ma di questa porzione di cittadini, purtroppo oggi in diminuzione, ma che si spera tomi al più presto ad aumentare, si deve sempre tener conto anche per la sua qualità: è certamente la parte più sensibile, quella che raccoglie ed esprime malumori, aspettative, ansie anche della parte che si mostra indifferente, e che poi orienta in maniera determinante il voto alle scadenze elettorali.Questa fetta di cittadinanza, che forma l'opinione pubblica, non può che essere tenuta sempre in grande considerazione dai partiti che si dichiarano

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democratici, i quali devono vedere in essa un'interlocutrice continua e non solo preoccuparsene nell'imminenza delle campagne elettorali. A buon di-ritto questi cittadini consapevoli esigono che la politica non solo interloquisca con loro, in modo da colmare quel divario tra "Paese legale" e "Paese reale" che da tempo gli opinionisti più attenti hanno notato, ma anche che lavori concretamente per il bene pubblico, per il progresso più generale della società.La politica è l'elemento soggettivo che può cambiare la realtà. Non c'è aspetto della realtà umana, sociale, economica, si potrebbe dire anche della natura, su cui la politica, intesa come arte del governare la cosa pubblica, cioè nel senso più alto e nobile del termine, non possa intervenire allo scopo di prevenire, correggere, contrastare o temperare, almeno per quel tanto che rientra nelle sue possibilità. Ad esempio, una crisi economica può scoppiare improvvisamente, ma la politica può attenuame le conseguenze sul tessuto sociale per mezzo di ammortizzatori come sussidi ai disoccupati, indennità, lavori pubblici, ecc. Perfino gli effetti di un terremoto, un evento ovviamente non prevedibile, possono essere contrastati se nelle zone sismiche si costruisce seguendo determinate regole, cosicché crolli e vittime saranno meno numerosi laddove si sia pro-ceduto con questi accorgimenti.A livello più generale, se i governi dei maggiori Paesi industrializzati, soprattutto gli Stati Uniti, si decidessero ad applicare i dettami del "protocollo di Kyoto", che stabilisce delle regole ben precise sulle quantità di anidride carbonica da lasciar immettere nell'atmosfera, le condizioni di salubrità dell'aria e quindi d'equilibrio ambientale e, più in generale, la qualità della vita migliorerebbero in modo sensibile per tutti. Ma la politica quando si corrompe, lasciando prevalere gli interessi particolari su quelli generali, può peggiorare le conseguenze di una crisi economica, di una calamità naturale, dell 'impatto ambientale degli scarichi industriali.La nostra Costituzione è chiara: l'articolo 54 recita che "i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed ordine". Dovrebbero ben ricordarlo tutti gli amministratori pubblici e tutti coloro che si appellano al voto dei cittadini nell'imminenza di qualche scadenza elettorale, sforzandosi di cercare e mantenere, anche dopo le elezioni, un più diretto e stretto rapporto con i cittadini. Solo così si può non solo dare nuovo spessore morale alla politica, ma anche rinsaldare le basi della democrazia, non dimenticando che la più imperfetta delle democrazie èsempre da preferire al più perfetto e "collaudato" dei regimi autoritari.

140LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVALa democrazia rappresentativa appare nel nostro Paese insidiata dal clima di rissa che turba i rapporti tra i partiti, dalla crescente disaffezione dei cittadini alla politica e dal conflitto fra alcune istituzioni dello Stato.Tipologia D: tema di ordine generale

In Italia attualmente la democrazia rappresentativa appare quanto mai. fragile, come dimostra il sempre più alto numero di non votanti agli appuntamenti elettorali. La disaffezione degli Italiani alla vita poli-tica del Paese può essere ricondotta a due fattori in particolare: il crescente distacco tra il ceto politico e

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i cittadini e le inefficienze di tanti settori del nostro apparato istituzionale.La frattura fra il ceto politico ed il popolo non è un fenomeno recente nel nostro Paese, ma ha caratterizzato ogni epoca della sua storia, a cominciare dai primi anni del Regno d'Italia, quando, in un ordinamento fondato sulla monarchia costituzionale, la buona amministrazione dello Stato era ostacolata dalla persistenza dei regionalismi, dagli interessi particolaristici e dai potentati locali, nonché dall' esiguità del corpo elettorale, costituito esclusivamente dai ceti proprietari e borghesi. L'industrializzazione, avviata alla fine dell'Ottocento, non saldò la spaccatura che, anzi, si fece ancora più lacerante con lo sviluppo delle lotte operaie e contadine, nonostante il tentativo del presidente del Consiglio Giovanni Giolitti di al largare le basi dello Stato liberale mediante l'introduzione del suffragio universale maschile.Dopo la prima guerra mondiale, buona parte dei ceti medi s'illuse di trovare un'occasione di riscatto nazionale nel fascismo che, invece, fece sprofondare l'Italia nel baratro.Dopo la dittatura e la tragedia della seconda guerra mondiale, l'Italia fu avviata alla ricostruzione istituzionale ed economica dai governi della coalizione antifascista. Il 2 giugno del 1946 il popolo italiano, attraverso un referendum istituzionale, scelse la Repubblica ed elesse la Costituente che, in poco più di due anni di lavori, diede al nostro Paese la Costituzione, tra le più avanzate del mondo occidentale, che ancora oggi èalla base della nostra democrazia. Fu introdotto il sistema elettorale proporzionale che, tra momenti di modernizzazione e altri di disfunzione della struttura amministrativa, resse fino agli anni Novanta, all'inizio dei quali i partiti italiani si convertirono alla "democrazia dell'alternanza" e si pervenne ad un sistema elettorale d'impianto maggioritario, passando per il trauma di Tangentopoli che decretò la fine della "prima Repubblica" e l'avvio di una "seconda Repubblica" che, tra vari ribaltoni di governo, è giunta fino ai giorni nostri.Per quanto concerne le inadempienze dello Stato nella gestione della cosa pubblica, occorre puntare il dito sull'eccessiva burocrazia che pesa nel rapporto dei cittadini con le istituzioni, sulle inefficienze degli uffici pubblici e sulla penuria di personale negli stessi, sulla lungaggine dei procedimenti giudiziari, sul divario che ancora persiste tra"Paese legale" e "Paese reale". Ma quel che più preoccupa, nella polarizzazione della vita politica italiana che si è determinata con l'introduzione del sistema maggioritario, è il clima eccessivamente rissoso che si è instaurato nelle relazioni politiche fra i due poli del centrodestra e del centrosinistra, con l'opposizione che tenta di delegittimare la maggioranza di governo e quest'ultima che cerca di demonizzare la prima.Di tale atteggiamento ne sono testimonianza le schermaglie verbali che si accendono nelle sedute del Parlamento tra deputati di schieramento opposto e negli spazi che i I11£lSS media riservano alla politica: si ha l'impressione di assistere ad una perenne baruffa.Tutto ciò contribuisce ad alimentare la sfiducia dei cittadini nei riguardi del ceto politico e crea le premesse per un allontanamento dello stesso dai problemi della comunità sociale e per un suo isolamento autoreferenziale, nonostante la pressione esercitata dei movimenti spontanei di contestazione (dai "no-global" ai "girotondini") lasci pensare il contrario.La partecipazione degli Italiani alla vita politica del Paese non può limitarsi al pur fondamentale diritto di

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voto. Essi diventano referenti diretti della classe politica solo nell'imminenza di un appuntamento elettorale, quando gli schieramenti politici fanno a gara per conquistarsene il consenso.Invece è necessario responsabilizzare maggiormente gli Italiani, affinché maturino una migliore coscienza politica, e soprattutto il ceto politico, affinché tomi a considerare la moralità, l'onestà e la trasparenza i valori a cui ispirare la propria azione nell'interesse del Paese.

I PROBLEMI DELLO SPORTLe attuali difficoltà dello sport in Italia e le possibili soluzioni.Tipologia B: saggio breve Ambito: socialeDivisione in paragrafi:1) La crisi dello sport professionistico 2) Calcio e televisione3) Come uscire dalla crisi1) Lo sport,. oltre a contribuire a mantenere la salute psico-fisica di chi lo pratica ed a sviluppame le capacità motorie, rappresenta un'occasione di svago e di relax, come del resto è confermato dalla sua accezione terminologica che deriva dal sostantivo francese desport (= diporto, cioè divertimento, gio-co). Ma ogni gioco presuppone una competizione: con se stessi, nel tentativo di migliorare la propria prestazione agonistica, e con gli altri, nel tentativo di superarli. La vittoria, a condizione che sia frutto di un comportamento leale e rispettoso dell' avversario, è un aspetto basilare di ogni disciplina sportiva, sia essa svolta in campo amatoriale, dilettantistico o professionistico.Purtroppo duole constatare che, all'interno di questi tre ambiti, la componente ludica va progressivamente diminuendo: un gruppo di ragazzi che gioca a pallavolo nella palestra della scuola, durante l'ora di Educazione fisica, probabilmente si diverte di più degli atleti che prendono parte ad un torneo dilettantistico e ancora di più di quelli impegnati in un campionato professionistico. Ciò accade perché, al crescere della posta in palio, aumentano proporzionalmente le responsabilità e lo stress da competizione, a discapito del puro piacere agonistico. Tale meccanismo raggiunge le sue estre-me conseguenze nel caso di sport che, per il largo seguito di appassionati e per i notevoli interessi economici che vi motano intorno, si sono trasformati in redditizie attività professionali: il calcio soprattutto, ma anche il basket, iCtennis e l'automobilismo di Formula 1. In questi sport, gli atleti professionisti non possono permettersi alcun calo di concentrazione, per non deludere le aspetta-tive del pubblico e, soprattutto, dei presic denti delle società sportive, i quali li compensano profumatamente perché si attendono dai risultati conseguiti un ritorno in termini economici, sotto forma di spettatori paganti, di abbonamenti sottoscritti dagli stessi, di sponsorizzazioni pubblicitarie e di contratti televisivi.Le contraddizioni insite nel mondo dello sport professionistico si evidenziano maggiormente nella disciplina che in Italia è la più seguita in assoluto: il calcio. Questo è ormai divenuto a tutti gli effetti un business, un evento più da vedere, dal vivo o in televisione, che da praticare, e di cui discutere ogni giorno negli abituali ritrovi: bar, circoli sportivi, clubs di sostenitori, ecc. D'altronde è limitativo definire il calcio uno sport: esso è un vero e proprio fenomeno di massa ed i valori agonistici sono subordinati ai profitti delle società-aziende, alcune delle quali sono anche quotate in Borsa.Non è esagerato affermare che in Italia molte

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persone, in particolare di giovane età, sanno più di calcio che di politica o di economia e antepongono la passione per la propria squadra ad ogni altro interesse. Pensiamo, ad esempio, agli ultrà (i gruppi di supporters organizzati), che non si perdono una partita della squadra del cuore, sia quando questa gioca in casa sia quando è impegnata in trasferta; che, durante la settimana, s'incontrano per preparare la coreografia da esibire in "curva" il sabato o la domenica; che hanno un assiduo rapporto con giocatori e dirigenti, sentendosi parte integrante della società sportiva. I canonici novanta minuti di gioco rappresentano per tanti l'unica occasione di sentirsi protagonisti, sostenendo i propri beniamini, dopo sei giorni trascorsi nell'anonimato; di riscattare, identificandosi con i successi della squadra del cuore, le amarezze, le delusioni, i problemi della vita quotidiana.2) Il gioco delfootball è ormai diventato uno spettacolo ad uso e consumo delle televisioni: lo dimostra il fatto che, ormai, per la maggior parte delle società della serie A, i maggiori introiti sono di gran lunga rappresentati dalla vendita dei diritti televisivi, soprattutto alle TV satellitari e digitali che, con il sistema delle cards prepagate, offrono la possibilità ai telespettatori di vedere in diretta le partite che desiderano. Ma questo non è l'unico condizionamento che lo sport più popolare subisce dalle televisioni: la perdita della contemporaneità degli incontri, che in passato si giocavano solo la do-menica e tutti allo stesso orario, mentre ora vengono distribuiti dal venerdì al lunedì, e le numerose partite internazionali infrasettimanali fanno sì che ogni giorno, sui canali delle tv a pagamento, vengano trasmesse in diretta una o più partite.La dipendenza del calcio dai contratti televisivi è solo una delle questioni che assillano lo sport più amato dagli Italiani: ci sono pure la violenza degli ultrà, a cui già si è accennato; il rischio del doping (un problema per altro condiviso con altri sport), dopo i recenti casi che hanno interessato giocatori anche famosi; soprattutto le difficoltà di bilancio di molte società, che hanno portato al clamoroso fallimento alcune delle più celebri e seguite squadre di calcio del nostro Paese, come il Napoli, ma con tante altre che restano in allarme per avere ancora il bilancio in "deficit".3) Il mondo del calcio s'interroga sul suo attuale stato di crisi: le difficoltà economiche di piccole e medie società iscritte ai campionati di Serie A e B; gli elevati emolumenti percepiti da buona parte dei calciatori professionisti, i più famosi dei quali strappano contratti principeschi alle società di appartenenza; il costante calo del numero di spettatori negli stadi, causato dalle riprese in diretta degli incontri trasmesse dalle televisioni a pagamento.La sensazione che il "giocattolo" del calcio professionistico possa rompersi è avvertita da tanti. Per far sì che lo sport più popolare in Italia superi il suo momento di difficoltà, è necessario l'impegno di tutti, in primo luogo per porre [me alla spirale per-versa dei costi crescenti, che rischia di trascinare nel baratro del fallimento la maggior parte delle società sportive; quindi per fermare la violenza teppistica delle frange piùviolente di ultrà; infine per arginare lo strapotere delle televisioni.

VIOLENZA AL CINEMA E IN TELEVISIONEQuale rapporto si può stabilire fra scene di violenza, viste al cinema o in televisione, e comportamento aggressivo?Tipologia D: tema di ordine generale

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La televisione e il cinema, come si sa, offrono continuamente dai loro schermi scene di violenza. Quanto queste scene incidono sul comportamento, soprattutto giovanile, orientandolo verso esiti aggressivi? Non è facile valutare scientificamente l'incidenza delle scene di violenza sulla psiche uma-na, particolarmente dei giovani, tanto che psicologi, sociologi, antropologi, studiando a fondo e da tanto tempo il problema del rapporto tra il messaggio di violenza e la crescente aggressività, finiscono per esprimere opinioni non di rado discordi.Alcuni mettono direttamente in relazione i contenuti delle scene di violenza con la delinquenza minorile, attribuendo alle scene di violenza dei mezzi di comunicazione di massa effetti decisamente negativi.Anche se non esistono documentazioni attendibili che stabiliscano il nesso di causa ed effetto tra la visione di programmi e films a contenuto violento e il comportamento aggressivo, resta più che probabile che il rapporto sia negativo, soprattutto oggi, quando quelle immagini si mescolano all'esplosione di violenza reale, causata dall'incertezza esistenziale, dalle frustrazioni, dalla disoccupazione, da un'insufficienza di modelli.Si ha quindi la sensazione che, invece di scaricare le tensioni, queste scene violen te tendano piuttosto ad attivarle; nei più piccoli poi pare tendano a ritardare la presa di coscienza delle serie conseguenze della violenza nella vita concreta e reale, invitandoli ad accettare l'aggressività come la soluzione normale, virile, di un conflitto. In tutti, infine, c'è il rischio dell' assuefazione alla violenza, che tende ad abbassare la soglia della resistenza morale, rendendoci incapaci di reagire alla violenza nella vita reale.Si mostra la violenza in modo iterato, senza che vi sia la possibilità di sottrarsi allo spettacolo, quindi abbassando la "soglia" di saturazione, cioè creando abitudini. Si mostrano situazioni ambigue o confuse, senza che le contraddizioni psicologiche che si aprono trovino una via di sbocco. È il caso degli eroi violenti: non è la loro violenza in sé che può far male ai giovani,ma l'incapacità generale d'indicare dei modelli alternativi, dei modi di utilizzare coerentemente la violenza stessa in modo socialmente utile.Resta comunque il fatto che, nei giovani emotivamente fragili o predisposti all'aggressività, le scene di violenza rinforzano e completano le tendenze al comportamento aggressivo già preesistenti.Se poi si aggiunge che l'industria dello spettacolo, che sta dietro i mezzi di comunicazione di massa, specula sulle scene violente e brutali, si finisce col far credere ai giovani che la violenza sia ineluttabile nella vita e costitutiva della storia. Il che non solo non è vero, perché nella vita di ogni individuo e nella storia non c'è solo violenza, ma sortisce anche effetti deleteri, condizionando il comportamento ed orientandolo verso esiti dannosi.

LA SCUOLA FORMA I CITTADINI DI DOMANI

In un Paese democratico la scuola svolge l'insostituibile funzione di preparare i cittadini consapevoli di domani, coscienti del valore assoluto della libertà e aperti al confronto delle idee.Tipologia D: tema di ordine generale

La scuola è la seconda istituzione educativa, subito dopo la famiglia. Tuttavia svolge una funzione

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insostituibile, che non è alla portata della famiglia: preparare il cittadino di domani, consapevole, capace di osservare la realtà in modo critico, pronto a partecipare alla vita della comunità. È la nostra Costituzione che assegna alla scuola questo compito, fondamentale in una democrazia, e, proprio per questo, riconosce il diritto allo studio.Un Paese democratico ha bisogno di cittadini liberi e fermamente convinti del valore assoluto della democrazia, aperto al confronto con tutti e allo scambio fecondo d'idee. Un Paese democratico ha bisogno di una scuola che sia palestra di idee ed educhi alla tolleranza.La scuola, per la diffusione nella società di uno spirito di tolleranza e di confronto, può fare davvero tantissimo. Questo perché la funzione etico-culturale della scuola è fondamentale in ogni società democratica: non a caso infatti ogni Costituzione democratica attribuisce all'istruzione pubblica, accessibile a tutti, un rilievo di spicco, rico-noscendola come un diritto naturale. Tutto questo è fondato sul convincimento che non può esserci vero progresso umano e civile senza l'istruzione dei cittadini. .È solo la scuola che può dare quel senso di responsabilità che fa sì che ci siano cittadini partecipi e responsabili e non un gregge di sudditi ignoranti, come invece preteI).dono i regimi dittatoriali assolutisti o teocratici.Nel Novecento che ci siamo lasciati alle spalle, l'umanità è diventata consapevole del bene prezioso ed irrinunciabile della pace. Il secolo scorso è stato il secolo delle più grandi tragedie belliche, dal-l'Olocausto degli Ebrei a quello nucleare di Hiroshima e Nagasaky, ma, più di ogni altro secolo, ha alimentato grandi speranze di pace.Oggi queste attese sembrano tradite dai venti di guerra che il terrorismo internazionale ha fatto soffiare con i tragici attentati dell' Il settembre del 2001 alle Twin Towers di New York. Iraq, Afghanistan, Medio Oriente e i luoghi di tante altre guerre minori e dimenticate ripropongono in questo nuovo secolo l'antico incubo nato con Caino.La scuola può fare molto contro la guerra e per la multietnicità e il rispetto dei popoli. Essa deve stabilire un rapporto costante con la società civile, in quanto la sua eticità deve corrispondere alla sua funzione sociale proprio per formare cittadini che debbono inserirsi nella società in modo cosciente e responsabilmente partecipe.L'azione stimolatrice della scuola in senso civile, pertanto, non può non caratterizzarsi anche per l'educazione alla pace, proprio perché la scuola raccoglie l'impegno della società per la pace, le speranze degli uomini in un futuro di cooperazione e d'incontro fra i popoli, senza più tragedie e olocausti di qualsiasi tipo.La scuola concorre attivamente al progresso della società, progresso che, è bene ricordarlo, non è solo tecnologico o sociale, ma anche civile e delle relazioni tra i popoli. La scuola quindi, che ha la delicatissima funzione di preparare le giovani generazioni a vivere in una società democratica aperta e progressiva, in un mondo sempre più libera-mente umano, in un mondo caratterizzato davvero da un'operante solidarietà e dall'esercizio della ragione nei rapporti fra gli individui e fra le nazioni, non può fare a meno di sensibilizzare le coscienze al bene prezioso della pace.Il sonno della ragione genera mostri, mentre il progresso civile e la diffusione della cultura lavorano per la pace. Proprio per questo la scuola, nella misura in cui crea le condizioni per la diffusione della cultura e per una sempre maggiore responsabilità civile, dà il suo fattivo contributo alla

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costruzione di un futuro di pace.La scuola educa alla pace educando alla tolleranza, al rispetto degli altri, facendo anche conoscere popoli lontani e diversi. L'educazione alla tolleranza nello spirito di quello che aveva affermato il grande illuminista Voltaire ("non condivido le tue idee, ma sono pronto a battermi affrnché tu le possa manifestare") è il fondamento stesso di un'educazione alla democrazia, perché non può esserci vera crescita democratica della società senza un libero e dialettico confronto delle idee, dato che è proprio dal contributo di quanti più soggetti possibile che nascono le soluzioni più avanzate.

IDEALI E IMPEGNO SOCIALEAvere degli ideali in cui credere "riempie la vita".Tipologia D: tema di ordine generale

Si può vivere senza degli ideali a cui ispirare la propria condotta? Certamente sì, ma che vita sarebbe? Una vita vuota, arida, triste. Gli ideali rappresentano la molla di ogni sviluppo individuale e sociale, costituiscono ciò che dà slancio alla vita, sono il motore di ogni progresso. L'uomo ha bisogno di porsi continuamente ostacoli e limiti da superare, obiettivi da conseguire, e gli ideali costituiscono gli elementi che convogliano le energie umane verso delle mete da raggiungere.Certamente l'umanità, dalla preistoria ad oggi, ne ha percorsa davvero tanta di strada, passando prima attraverso le rudimentali forme di organizzazione sociale della comunità tribale antica, poi attraverso le forme giàpiù evolute della società schiavistica, quindi di quella feudale e infine di quella industriale capitalistica di oggi. Di strada ce ne saràsempre tanta da percorrere verso un modello di società sempre migliore.n progresso non è che la risultante di questi sforzi, nell' eterogenesi dei fini, per usare una celebre espressione del filosofo tedesco Hegel: tante azioni umane che si sommano, miranti al conseguimento di un obiettivo, al raggiungimento di una meta il-luminata da un ideale che nella mente dei singoli agisce come un fattore di stimolo.Soprattutto i giovani hanno bisogno di credere in qualcosa, indirizzando così il loro naturale entusiasmo verso sani ideali che possono caratterizzare un impegno civile o una dedizione spirituale, ad esempio di solidarietà per il prossimo che soffre.I giovani sono particolarmente sensibili all'impegno sociale: basti pensare alle battaglie per la pace, la libertà, la giustizia sociale, contro la violenza, la guerra, il razzismo e la mafia, che hanno visto mobilitarsi tante giovani generazioni, anche se, da più parti, oggi si rimprovera ai giovani un vuoto di ideali, forse proponendo un ingiustificato paragone con l'impegno eccessivamente politicizzato delle generazioni del Sessantotto e degli anni Settanta.I grandi ideali mobilitano le energie umane, coinvolgendole verso un sano impegno di trasformazione della società, e non importa se alcuni di questi ideali, nella loro astratta purezza, si presentano irrealizzabili.Infatti sono importanti anche quelliche i sociologi chiamano "miti operanti", in quanto questi, mobilitando le energie della società, le indirizzano verso conquiste civili e sociali.Si pensi alle lotte per la democrazia: questa, pienamente realizzata, forse non esiste in alcun luogo, tuttavia battaglie democratiche si sono combattute in tutti i Paesi: battaglie contro il fascismo, il totalitarismo, l'apartheid, il razzismo, contro varie forme di dittatura e per i diritti civili,

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battaglie che sono servite a conquistare spazi di libertà sempre maggiori per i popoli e ad affermare la dignità di uomini e di cittadini per gli abitanti di tutti i Paesi del mondo.Anche le battaglie per la libertà e per una più ampia giustizia sociale, in grado di eliminare le disuguaglianze tra i cittadini, la distinzione tra ricchi e poveri e le tante sofferenze collegate alle varie forme di discriminazione, sono servite, se non certo a realizzare l'assoluta libertà e la piena giustizia sociale, che forse sono impossibili, data la permanenza delle particolarità individuali, almeno a rendere sempre più vicina una parità di opportunità tra gli uomini, superando le forme più evidenti di discriminazione sociale e diffondendo una consapevolezza della libertà e dell'uguaglianza tra gli uomini che è stata la più potente molla del progresso.Possiamo dire che tutti gli individui, nella loro sfera personale, vale a dire nellavoro di tutti i giorni e nelle ore trascorse in famiglia, ispirano le loro azioni a dei valori in cui credono e che propongono come modello anche agli altri.Proprio per questo la società, nel suo insieme, appare non solo organizzata, ma anche tesa verso forme organizzative sempre più avanzate, con la mobilità d'individui, di gruppi, di ceti: è l'ovvia conseguenza del fatto che ciascuno, nel suo concreto agire quotidiano, cerca di migliorarsi. La risultante di tutte le azioni individuali tese al miglioramento è il progresso civile, sociale, morale complessivo.È tipico della condizione umana mirare al perfezionamento in ogni attività. Pensiamo al rapporto tra i genitori e i figli ali 'interno di ogni famiglia: i primi, proprio perchécredono in determinati valori, si propongono anche come modello per i secondi, mirando a far sì che la vita delle nuove generazioni risulti complessivamente più gradevole di quella che hanno vissuto loro.Avere degli ideali significa essere in grado d'immaginare il futuro e risponde a un' esigenza profonda dell' animo umano; significa dare un senso alla propria esistenza, inserire il proprio agire in un sistema di coordinate che altrimenti avrebbe le sembianze di un vagare a tentoni.Credere in qualcosa, avere fede in ideali in nome dei quali fare anche delle rinunce, significa, per ogni individuo, illuminare la propria vita, uscire dall'isolamento del proprio egoismo, dall'angusto orizzonte dei propri ristretti interessi, nonché dall'immediato e magari gretto tornaconto personale, per sentirsi parte integrante di una comunità che fa di questi ideali la propria bandiera.Tutto ciò apporta alla nostra vita una grande ricchezza spirituale, di cui non a caso oggi forse si avverte un po' la mancanza, accusata com'è, la nostra epoca, di essere caratterizzata dal crollo delle grandi tensioni ideali, nonché dall' affermazione del mate-rialismo e da uno sfrenato individualismo.Avere degli ideali in cui credere, siano essi religiosi o laici, rende la vita un' avventura piena di gioia e di speranza, e poco importa se poi quello in cui crediamo non si realizzerà: senz'altro costituirà una causa di amarezza, una fonte di delusione, tanto più grande quanto più sentiti sono gli ideali a cui ci si è votati, però quell'impegno, nel frattempo, avrà riempito la nostra vita, orientandola verso un fervore suscitatore di entusiasmi e moltiplicatore di energie.