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Indice Atti Penali: 1) 5) ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE; 2) 4) ISTANZA EX ART. 671 C.P.P; 3) 1) RICHIESTA DI RIESAME EX ARTT. 324, 354 C.P.P; 4) 2) ISTANZA MODIFICA MISURE CAUTELARI; 5) 7) OPPOSIZIONE RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE ART. 408 C.P.P; 6) RICHIESTA AI SENSI DELL’ART. 572 C.P.P; 7) ATTO DI APPELLO; 8) RICHIESTA DI RIESAME EX ART. 309 C.P.P; 9) 3) DICHIARAZIONE DI APPELLO AI SENSI DELL’ART. 310 C.P.P; 10) ATTO DI QUERELA; 11) MEMORIA DIFENSIVA AI SENSI DELL’ART. 415 BIS C.P.P; 12) RICORSO PER CASSAZIONE; 13) ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE 14) 6) DICHIARAZIONE DI APPELLO DELLA PARTE CIVILE. TRIBUNALE ORDINARIO DI……………. SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E DELL’UDIENZA PRELIMINARE ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE Il sottoscritto Avv. ……., in nome e per conto di Tizio, nato a ……., il giorno ….., e di Caia, nata a ……, il giorno…., coniugi, in proprio e nella loro qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore

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Indice Atti Penali:

1) 5) ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE;

2) 4) ISTANZA EX ART. 671 C.P.P;

3) 1) RICHIESTA DI RIESAME EX ARTT. 324, 354 C.P.P;

4) 2) ISTANZA MODIFICA MISURE CAUTELARI;

5) 7) OPPOSIZIONE RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE ART. 408 C.P.P;

6) RICHIESTA AI SENSI DELL’ART. 572 C.P.P;

7) ATTO DI APPELLO;

8) RICHIESTA DI RIESAME EX ART. 309 C.P.P;

9) 3) DICHIARAZIONE DI APPELLO AI SENSI DELL’ART. 310 C.P.P;

10) ATTO DI QUERELA;

11) MEMORIA DIFENSIVA AI SENSI DELL’ART. 415 BIS C.P.P;

12) RICORSO PER CASSAZIONE;

13) ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE

14) 6) DICHIARAZIONE DI APPELLO DELLA PARTE CIVILE.

TRIBUNALE ORDINARIO DI…………….

SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E

DELL’UDIENZA PRELIMINARE

ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE

Il sottoscritto Avv. ……., in nome e per conto di Tizio, nato a ……., il giorno …..,

e di Caia, nata a ……, il giorno…., coniugi, in proprio e nella loro qualità di

esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Sempronio, nato a ……, il

giorno….., tutti residenti in ……, nella Via ….., rappresentati e difesi giusta

procura speciale in calce del presente atto dal sottoscritto Avv. ….., presso il cui

studio sito in …., Via ...., sono domiciliati ex lege, ai sensi dell’Art. 100, comma

quinto, C.P.P., nella loro qualità di persone danneggiate dal reato,

Dichiara

di costituirsi parte civile, nell’interesse dei sopra nominati Tizio, Caia e Sempronio,

nei confronti di Mevio, nato a …., il giorno….., residente in ….., nella Via ….,

imputato del reato di cui all’Art. 643 C.P. per avere, al fine di procurare a sé un

profitto, abusato della minore età di Sempronio, oltre che della sua limitata capacità

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di intendere e di volere, inducendo lo stesso, in diverse occasioni, a consegnargli le

somme di denaro regalategli dai genitori, per complessivi euro 500,00.

Mevio, imputato nel procedimento penale n. ….. R.N.R. e n. …. G.I.P., veniva

citato a giudizio per l’udienza in data 27 settembre 2008 nanti il Giudice

dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale Ordinario di …..

Tizio e Caia, quali soggetti danneggiati dal reato, e Sempronio, quale persona

offesa dal reato ed al contempo soggetto danneggiato dallo stesso, intendono

chiedere, come fin da ora chiedono, il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e

non patrimoniali, derivanti dalla condotta criminosa posta in essere dall’imputato

Mevio.

Al riguardo, è incontestabile che la condotta criminosa ascrivibile all’imputato

Mevio abbia cagionato notevoli danni morali e patrimoniali alla persona offesa dal

reato, il minore Sempronio, ed ai di lui genitori, Tizio e Caia, in quanto tali

senz’altro persone danneggiate dal reato.

Il comportamento illecito reiteratamente posto in essere da Mevio appare tanto più

grave e lesivo quanto più si consideri che lo stesso è stato realizzato nei confronti

di una persona, Sempronio, fragile ed indifesa in ragione della sua minore età e,

soprattutto, delle sue limitate capacità intellettive e volitive.

L’imputato ha, con la propria condotta, inciso negativamente sulla già complessa e

delicata vita di relazione del minore Sempronio.

Si aggiunga, peraltro, il profondo stato d’animo di angoscia e sconforto patito dai

genitori, Tizio e Caia, derivante dalla triste vicenda di cui il figlio è stato vittima

inconsapevole.

Gli stessi genitori, comprensibilmente scossi e provati per l’accaduto, vivono nel

timore che episodi analoghi al fatto criminoso realizzato dall’imputato a danno del

minore, e per il quale oggi si procede, possano nuovamente verificarsi.

Tizio e Caia temono, pertanto, che altri possano abusare delle ridotte capacità del

figlio Sempronio e possano in qualche modo approfittarne.

A tutt’oggi nei genitori di Sempronio e nello stesso minore permangono un

giustificato senso di paura ed una sensibile diffidenza nei confronti dei terzi

estranei, sentimenti che mal si conciliano con l’instaurazione di ordinari rapporti

sociali.

Da ultimo, non può non essere sottolineata la circostanza per la quale il minore

Sempronio era, all’epoca dei fatti, sottoposto ad un procedimento civile di

interdizione, instaurato dai genitori proprio nel tentativo, rivelatosi poi vano, di

tutelare nel migliore dei modi gli interessi e le esigenze del figlio, ponendolo al

riparo dai rischi derivanti dalla sua limitata capacità di intendere e di volere.

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Per tutti questi motivi, si intende chiedere, come fin da ora si chiede, il giusto

risarcimento di tutti i danni patiti dalla persona offesa, il minore Sempronio, e dalle

persone danneggiate del reato, Tizio e Caia, in proprio ed in qualità di esercenti la

potestà genitoriale sul figlio minore, il cui ammontare verrà determinato in corso di

causa.

Luogo, Data,Avv. ……

Procura speciale

Il sottoscritto Tizio, nato a ….., il giorno….., e la sottoscritta Caia, nata a …., il

giorno….., coniugi, entrambi residenti in ……, nella Via ….., in proprio e nella

loro qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Sempronio, nato a

….., il giorno….., in qualità di persone danneggiate dal reato nel procedimento

penale n. ….. R.N.R. e n. ….. G.I.P., nei confronti di Mevio, dichiarano di

nominare quale difensore e procuratore speciale l’Avv. ……, con studio legale sito

in ….., nella Via ….., al quale conferiscono procura speciale al fine di sottoscrivere

il presente atto, delegandolo a rappresentarli e difenderli nel summenzionato

procedimento, in ogni stato e grado fino a completa esecuzione, a far valere il

risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza del fatto criminoso, così come in

generale la tutela dei diritti, delle ragioni ed interessi legittimi con esso connessi,

conferendogli le più ampie facoltà di legge, compresa quella di transigere e

conciliare la lite, oltre che di nominare sostituti, conferendo fin da ora procura

speciale al fine della costituzione di parte civile per ottenere, previa affermazione

della penale responsabilità dell’imputato, la condanna al risarcimento dei danni

subiti.

Eleggono domicilio presso il di lui studio legale sito in …., nella Via …..

Luogo, Data,

Tizio Caia

sono autentiche

Avv.

TRIBUNALE ORDINARIO GAMMA

IN FUNZIONE DI GIUDICE DELL’ESECUZIONE

Istanza ex Art. 671 C.P.P.

Ill.mo Sig. Giudice,

Il sottoscritto difensore di Tizio, giusta nomina in calce alla presente istanza,

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premesso che

Con sentenza n. __ del giorno 15 gennaio 2008, irrevocabile in data ___,

pronunciata, ad esito di giudizio direttissimo, dal Tribunale Alfa in Composizione

Monocratica, il prevenuto veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed

euro 150,00 di multa, perché riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai

delitti di cui agli Artt. 624, 625 n. 7 C.P.

Con sentenza n. __ del giorno 20 febbraio 2008, irrevocabile in data ____,

pronunciata, ad esito di giudizio direttissimo, dal Tribunale Beta in Composizione

Monocratica, Tizio veniva condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed euro

200,00 di multa perché riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai delitti di

cui agli Artt. 624, 625 n. 5 C.P.

Da ultimo, con sentenza n. __ del giorno 15 giugno 2008, irrevocabile in data ____,

pronunciata, ad esito di dibattimento, dal Tribunale Gamma in Composizione

Monocratica, l’odierno istante veniva condannato alla pena di anni uno e mesi sei

di reclusione ed euro 400,00 di multa perché riconosciuto penalmente responsabile

in ordine ai reati di cui all’Art. 624bis C.P.

Tutto ciò premesso, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore

espone

Il competente organo giudicante ha erroneamente omesso di riconoscere la

sussistenza del vincolo della continuazione ex Art. 81, comma secondo, C.P., tra i

reati in ordine ai quali è stata affermata, dalle sopra menzionate sentenze, la penale

responsabilità dell’odierno istante.

Al riguardo, infatti, l’esistenza di un unico disegno criminoso, sotteso ad ogni

singola condotta delittuosa realizzata da Tizio, può senz’altro desumersi

dall’omogeneità delle condotte contestategli e dalla sistematicità delle stesse.

In primo luogo, le sentenze di condanna, pronunciate nei confronti del prevenuto

concernono esclusivamente la commissione di delitti contro il patrimonio, ovvero il

delitto di furto aggravato.

In secondo luogo, il breve arco temporale, appena due mesi, nel quale i reati sono

stati commessi, è elemento sintomatico del carattere continuativo della attività

delinquenziale ascrivibile al prevenuto, a sua volta idoneo a rivelare la sostanziale

riconducibilità di ciascuna condotta illecita ad un unitaria ideazione criminosa.

Peraltro, ulteriore circostanza di cui si sarebbe dovuto debitamente tenere conto al

fine di riconoscere il vincolo di continuazione tra i reati commessi da Tizio, è

rappresentata dall’acclarato stato di tossicodipendenza di quest’ultimo.

L’Art. 671 C.P.P., primo comma, dispone, tra l’altro, che “Fra gli elementi che

incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la

consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza”.

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Orbene, per quanto sia pacifico che lo stato di tossicodipendenza non sia di per sé

stesso elemento decisivo ai fini della valutazione della unitarietà del disegno

criminoso, esso è comunque idoneo, se considerato unitamente agli elementi sopra

indicati, a rivelare come ciascuna condotta delittuosa realizzata dal prevenuto,

costituisca realizzazione del proprio programma criminoso e, come tale, sia

finalizzata al conseguimento del fine ultimo ab origine perseguito da Tizio, ovvero

il reperimento delle risorse economiche necessarie al soddisfacimento delle

esigenze connesse alla propria tossicodipendenza.

Tutto quanto sopra esposto, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore fa

istanza

Affinché l’Ill.mo Tribunale Gamma, in funzione di Giudice dell’Esecuzione,

valutata la legittimità della richiesta e la sussistenza dei presupposti di Legge,

Voglia, ai sensi dell’Art. 671 C.P.P., con riferimento alle summenzionate sentenze

irrevocabili, applicare la disciplina della continuazione di cui all’Art. 81, comma

secondo, C.P. e per l’effetto provvedere alla rideterminazione ed alla congrua

riduzione della pena risultante dalla somma delle pene inflitte con ciascuna

sentenza, in misura tale da consentire la concessione della sospensione

condizionale della pena medesima ed ogni altro beneficio di Legge.

In subordine, rideterminare la pena nei limiti stabiliti all’art. 671 c. 2 c.p.p..

Si allega copia delle tre sentenza citate

Luogo, Data,

Avv.

Nomina e procura speciale

Il sottoscritto Tizio, nato a ____, il giorno ____, residente in ____, nella Via ___, n.

_____, con riferimento alle sentenze n.___ del 15 gennaio 2008, irrevocabile in

data ____, sentenza n. _____ del 20 febbraio 2008, irrevocabile in data ____,

sentenza n. ____ del 15 giugno 2008, irrevocabile in data ____,

nomina

Quale proprio difensore l’Avv. ______ con studio in ____, nella Via ____, allo

stesso conferendo ogni facoltà e potere previsto dalla Legge ed espressa procura

speciale al fine di redigere, sottoscrivere e depositare la presente istanza ed a

rappresentarlo e difenderlo in ogni fase e grado del relativo procedimento.

Luogo, Data

Tizio

È autentica

Avv.

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Tribunale di

Richiesta di riesame ex Artt. 324, 354 C.p.p.

Il sottoscritto difensore di fiducia, giusta nomina depositata in data , di Tizio, nato

a _______, il _______, residente in _________, propone richiesta di riesame del

decreto con il quale Pubblico Ministero presso il Tribunale di ………… ha

disposto la convalida della perquisizione e del sequestro probatorio, eseguiti in

data………. dalla polizia giudiziaria nei confronti di Tizio, per i seguenti

Motivi

L’impugnato decreto è nullo.

La perquisizione ed il sequestro, con il medesimo convalidati, sono illegittimi in

quanto eseguiti dalla polizia giudiziaria a seguito di una mera segnalazione

anonima.

Giova al riguardo ricordare che, ai sensi dell’Art. 333, terzo comma, C.p.p., “Delle

denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’Art.

240 C.p.p.” ovvero salva l’ipotesi di documenti anonimi costituenti corpo del reato

o provenienti dall’imputato.

La denuncia anonima non può valere come notitia criminis, in quanto essa è per

definizione priva delle caratteristiche che deve possedere una notizia di reato per

poter essere considerata tale, dunque suscettibile di utilizzazione processuale.

La notizia di reato deve, infatti, pervenire all’autorità competente in un atto di cui

un soggetto si assuma la paternità e deve, altresì, essere sufficientemente dettagliata

al fine di delineare un fatto che abbia le connotazioni essenziali di una fattispecie

criminosa, idonee a legittimare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato ed il

conseguente avvio delle indagini preliminari.

La denuncia anonima può tuttavia stimolare una attività di accertamento della

autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, purché suddetta attività non si risolva

nel compimento di atti pregiudizievoli dei diritti fondamentali della persona.

Orbene, è evidente che una perquisizione ed un sequestro siano per natura atti

lesivi dei diritti del cittadino.

In ragione dell’oggettivo ed intrinseco carattere pregiudizievole, i citati mezzi di

ricerca della prova sono ammessi solo se preordinati alla ricerca ed alla

conseguente acquisizione del corpo del reato o di cose pertinenti al reato necessarie

per l’accertamento dei fatti, nell’ambito di una attività investigativa relativa ad una

determinata notitia criminis che, per i motivi sopra esposti, non può essere

costituita da una segnalazione anonima.

Al contrario, la perquisizione ed il sequestro, erroneamente convalidati dal

Pubblico Ministero, venivano eseguiti nei confronti di Tizio esclusivamente in

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forza di una segnalazione anonima ricevuta dalla polizia, oltre la quale non vi era

nessun altro elemento che potesse far ritenere concretamente sussistente un fumus

commissi delicti e così legittimare l’iniziativa della stessa polizia giudiziaria.

Peraltro, la illegittimità della perquisizione e del sequestro de quibus rileva anche

sotto un altro profilo.

L’Art. 103 C.p.p. prevede delle speciali garanzie di libertà con riferimento alle

ispezioni, alle perquisizioni o ai sequestri che debbano svolgersi nell’ufficio di un

avvocato difensore, intendendosi per difensore tanto il difensore della persona

imputata od indagata nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgere le

attività di ispezione, perquisizione o sequestro, quanto un qualsiasi professionista,

iscritto all’albo forense, che abbia assunto, nel procedimento in questione od in

altro procedimento estraneo alle attività suddette, la difesa di un assistito.

Le garanzie di cui all’Art. 103 C.p.p. costituiscono, infatti, secondo il più recente

orientamento giurisprudenziale, espressione, non già di un privilegio di categoria,

bensì del diritto di difesa, la cui inviolabilità è sancita dall’Art. 24 della

Costituzione.

Le disposizioni di cui all’Art. 103 C.p.p. sarebbero dovute essere rispettate con

riferimento alla perquisizione ed al sequestro operati nei confronti di Tizio, posto

che tali atti venivano compiuti all’interno di uno studio professionale di cui era

titolare un altro avvocato, Caio.

Inoltre, la norma richiamata dispone, ai commi terzo e quarto, che “Nell’accingersi

ad eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un

difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell’ordine

forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa

assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata

copia del provvedimento. Alle ispezioni, alle perquisizioni ed ai sequestri negli

uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle

indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di

autorizzazione del giudice”.

E’ palese l’inosservanza di tali disposizioni con riferimento alla perquisizione ed al

sequestro eseguiti nei confronti di Tizio all’interno dello studio professionale.

In primo luogo, l’attività di perquisizione e di sequestro è stata posta in essere non

dal giudice o dal pubblico ministero da questi autorizzato, bensì direttamente dalla

polizia giudiziaria con evidente violazione del comma quarto dell’Art. 103 C.p.p.

Inoltre, la medesima polizia procedente ha omesso di inviare al consiglio

dell’ordine forense l’avviso prescritto a pena di nullità dal terzo comma dell’Art.

103 C.p.p.

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Suddetto avviso è obbligatorio nel caso in cui l’attività di ispezione, perquisizione

o sequestro venga svolta nell’ufficio di un difensore, con la sola eccezione

dell’ipotesi in cui il difensore sia lo stesso indagato nei confronti del quale si deve

procedere.

Eccezione che non si configura nel caso di Tizio.

La polizia giudiziaria era, infatti, tenuta a dare l’avviso de quo poiché la

perquisizione ed il sequestro dovevano essere eseguiti, come detto, in uno studio di

cui titolare era un avvocato del tutto estraneo all’attività investigativa e nei

confronti di un difensore, Tizio, che non era ancora formalmente indagato: nessuna

notizia di reato era stata ancora iscritta nel relativo registro.

Da ultimo, si eccepisce la violazione degli Artt. 253, 354 C.p.p., con conseguente

illegittimità del sequestro operato nei confronti di Tizio.

Ciò in quanto la misura disposta dalla polizia giudiziaria ha riguardato beni, quali

la scrivania ed il computer personale di Tizio, che non costituiscono né corpo del

reato né tanto meno cose pertinenti al reato.

Per tutti questi motivi, Vorrà l’adito Tribunale di……………… disporre

l’annullamento dell’impugnato decreto e per l’effetto disporre la restituzione dei

beni sequestrati a Tizio.

In subordine, disporre altra misura meno gravosa e nominare custode dei beni

sequestrati Tizio

Luogo, Data , Avv.

Tribunale Ordinario di

Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari e dell’Udienza Preliminare

Ill.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari,

il sottoscritto difensore giusta nomina depositata in data, del Sig., nato a , il,

residente in, nella Via , , indagato nel procedimento penale n. R.N.R., G.I.P.

PREMESSO CHE

In data 06 maggio 2009, il Sig. veniva tratto in arresto in esecuzione dell’ordinanza

di custodia cautelare in carcere, nella medesima data emessa dal Giudice per le

Indagini Preliminari presso il Tribunale di

In data 08 maggio 2009, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale

di procedeva all’interrogatorio dell’indagato, il quale acconsentiva a rispondere alle

domande formulategli.

Tutto ciò premesso, nell’interesse del Sig.,

ESPONE

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Gli elementi forniti dal, nel corso dell’interrogatorio nanti il Giudice per le Indagini

Preliminari, consentono di escludere la sussistenza, a carico dello stesso, dei gravi

indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati, che hanno determinato

l’adozione della misura cautelare della custodia in carcere.

La assoluta estraneità del prevenuto ai fatti ascrittigli ben potrà essere confermata

dai soggetti che il ha indicato in sede di interrogatorio, delle quali appare pertanto

necessaria ed improcrastinabile l’audizione a sommarie informazioni.

Parimenti insussistente in capo al Sig. è l’asserito pericolo di commissione di delitti

della stessa specie, ritenuto dal Giudice per le Indagini Preliminari concreto ed

attuale, non solo per le modalità del fatto ma anche in ragione dell’esistenza di un

precedente penale specifico a carico dello stesso.

Al riguardo, non può non rilevarsi che l’asserito precedente penale specifico,

risalente a nove anni fa, sia costituito da una sentenza ex Art. 444 c.p.p. ad appena

tre mesi di reclusione per i reati di cui agli Artt. 337, 582 C.p.

L’esiguità della pena inflitta è certamente sintomatica della marginale gravità della

condotta criminosa all’epoca posta in essere dal Sig.

E’ evidente che un simile precedente penale, datato e di lieve gravità, non sia di per

se stesso idoneo a giustificare il giudizio di pericolosità sociale, formulato nei

confronti del prevenuto, così grave da far ritenere adeguata l’applicazione allo

stesso di una misura cautelare estremamente afflittiva quale la custodia in carcere.

Peraltro, deve essere adeguatamente valutata anche un’ ulteriore circostanza.

Il giorno 21 aprile 2009, la Polizia Giudiziaria sottoponeva il Sig. ad

identificazione in qualità di persona sottoposta alle indagini.

Due giorni dopo, il 23 aprile 2009, il quotidiano , nella sezione dedicata alla

cronaca della, riportava la notizia del coinvolgimento nelle indagini relative ai fatti

di cui al presente procedimento, del Sig. e del Sig. A tale notizia, il quotidiano dava

notevole risalto con un articolo a tre colonne e con la pubblicazione delle fotografie

degli indagati.

Orbene, la irreprensibile condotta tenuta dal nei quindici giorni trascorsi dalla

identificazione ad opera della Polizia Giudiziaria, atto con il quale egli veniva di

fatto a conoscenza delle indagini svolte nei suoi confronti, fino al giorno in cui

veniva data esecuzione all’ordinanza di applicazione della custodia in carcere, il 6

maggio 2009, è elemento senz’altro decisivo per la formulazione di un giudizio

prognostico favorevole circa la personalità del prevenuto.

Laddove,infatti, sussistesse realmente il concreto ed attuale pericolo di

commissione di delitti della stessa specie, come asserito nell’ordinanza applicativa

della custodia in carcere, ovvero laddove sussistesse altra esigenza cautelare, il Sig.

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avrebbe tenuto un comportamento differente da quello effettivamente posto in

essere.

Oltretutto, nonostante fin dal 21 aprile 2009 il sia stato identificato, sottoposto a

rilievi dattiloscopici e invitato a nominare un difensore di fiducia, risulta che il

procedimento penale a suo carico sia stato iscritto nel registro solamente poco

prima che venisse richiesta, nei suoi confronti, la adozione della più grave misura

cautelare.

Ciò ha purtroppo impedito al in assenza di un procedimento penale formalmente

iscritto a suo carico, di depositare tempestivamente la nomina dei propri difensori

di fiducia e, soprattutto, gli ha impedito di richiedere di essere sottoposto ad

interrogatorio prima della adozione della custodia cautelare in carcere.

Da ultimo, è opportuno ricordare che il Sig. svolge una stabile e regolare attività

lavorativa, con la quale contribuisce al proprio sostentamento ed alle esigenze della

propria famiglia.

La perdita del posto di lavoro, conseguente alla prolungata impossibilità di

svolgere la attività lavorativa in ragione della applicazione della misura cautelare

della custodia in carcere, costituirebbe per il prevenuto un gravissimo pregiudizio.

Proprio lo svolgimento da parte dell’indagato di una regolare attività lavorativa ben

dovrebbe indurre il Sig. Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di a

disporre la revoca della misura della custodia in carcere, o quanto meno la sua

sostituzione con altra meno afflittiva.

Tutto ciò sopra esposto, nell’interesse del Sig, il sottoscritto difensore fa

ISTANZA

affinché l’Ill.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di,

considerati insussistenti i gravi indizi di colpevolezza, ovvero ritenute insussistenti

o attenuate le esigenze cautelari, rilevata la necessità per il Sig. di svolgere la

propria attività lavorativa, la sussistenza delle condizioni previste per Legge e la

legittimità della richiesta, a modifica della propria ordinanza in data 06 maggio

2009, Voglia, nei confronti dell’indagato,

in via principale, revocare la disposta misura cautelare della custodia in carcere;

in subordine, sostituirla con altra misura meno afflittiva o, al più, sostituirla con la

misura cautelare degli arresti domiciliari ai sensi dell’Art. 284 C.p.p..

Luogo data Avv.

TRIBUNALE DI

SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E

DELL’UDIENZA PRELIMINARE

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Il sottoscritto difensore, come da nomina depositata in data, della Sig.ra, nata a, il

giorno, residente, nella, propone

OPPOSIZIONE

alla richiesta di archiviazione del procedimento penale n° r.g.n.r., presentata in data

8 settembre 2008 dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il

Tribunale di Cagliari, notificata in data 1 ottobre 2008, per i seguenti

MOTIVI

Il Pubblico Ministero, nel motivare la richiesta di archiviazione, ha ritenuto che

“non sono emersi elementi utili per l’identificazione dei responsabili del reato per

cui si procede e comunque per l’ulteriore prosecuzione delle indagini preliminari”

.Posto che il Pubblico Ministero procedente ha implicitamente ritenuto ravvisabili

nei fatti esposti in querela elementi riconducibili al delitto di truffa di cui all’art.

640 c. p., le richiamate considerazioni non sono in alcun modo condivisibili.

Invero, è pacifico che il giorno 11 giugno 2008 sia stata prelevata dal conto della

persona offesa, a sua insaputa ed in maniera fraudolenta, la somma di € 80,00.

In particolare, terze persone non autorizzate hanno utilizzato la carta Postepay n.

intestata alla Sig.ra per effettuare una ricarica telefonica tim on line di € 80,00,

come ampiamente provato dalla lista movimenti della citata carta Postepay allegata

alla denuncia-querela. Al riguardo, non è stata però svolta alcuna attività

d’indagine volta, in primo luogo, ad individuare ed acquisire il numero dell’utenza

telefonica a favore della quale è avvenuta la sopra descritta ricarica e, in secondo

luogo, ad accertare l’identità dell’intestatario della relativa scheda telefonica.

Certo non poteva attribuirsi alla Sig.ra l’identificazione dell’autore dell’operazione

in oggetto, dal momento che Poste Italiane S.p.a. non può fornire in merito alcuna

informazione ai privati per evidenti ragioni di privacy. Ad ogni modo, la persona

offesa ha allegato all’atto di querela anche la comunicazione ricevuta da Poste

Italiane S.p.a., Business Unit BancoPosta, Operazioni Monetica e Nuovi Canali,

Ufficio Issuing, comunicazione ricevuta in risposta alla sua richiesta di bloccare la

carta Postepay a lei intestata e di rimborso della somma illecitamente sottrattale.

Si evince chiaramente dall’indicata comunicazione che la società Poste Italiane sia

a conoscenza del numero dell’utenza telefonica a favore della quale è avvenuta la

ricarica con l’illecito utilizzo della carta Postepay della persona offesa.Se è vero

che Poste Italiane S.p.a. non è autorizzata a fornire detta informazione ad un

soggetto privato quale la Sig.ra, altrettanto vero è che la medesima informazione

può invece essere comunicata all’Autorità procedente nello svolgimento delle

indagini preliminari.

NUOVE PROVE

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Durante le attività di indagine poste in essere con riferimento al suddetto

procedimento si è proceduto esclusivamente a prendere visione del verbale di

denuncia orale sporta dalla persona offesa in data 13 giugno 2008 presso gli Uffici

della Stazione Carabinieri di E’ indubbia pertanto l’incompletezza delle indagini

svolte in quanto è stato sottovalutato un aspetto di fondamentale rilevanza, ovvero

il fatto che Poste Italiane S.p.a. conosce il numero dell’utenza telefonica che ha

tratto profitto dall’illecita condotta oggetto dei fatti esposti in querela.Il

compimento dell’attività di acquisizione di tale numero telefonico, tramite richiesta

inoltrata a Poste Italiane S.p.a., avrebbe successivamente consentito al Pubblico

Ministero procedente di accertare anche l’identità dell’intestatario della relativa

scheda telefonica, tramite interrogazione al gestore telefonico Tim.Lo svolgimento

delle indicate attività d’indagine porterà indubbiamente all’accertamento di

elementi idonei ad identificare i responsabili del reato per cui si procede e, in

particolare, all’individuazione del soggetto che, con artifizi e raggiri, avendo

illegalmente sottratto informazioni riservate inerenti la carta Postepay intestata alla

persona offesa, si è procurato un ingiusto profitto in danno della Sig.ra, prelevando

dal conto di quest’ultima, a sua insaputa ed in maniera fraudolenta, la somma di €

80,00. In ragione delle considerazioni sopra esposte, si rende necessario procedere

quanto meno agli indicati adempimenti istruttori che, in ogni caso, andrebbero ad

integrare le indagini svolte, altrimenti carenti.

Per i motivi suddetti, si insiste nell’opposizione alla richiesta di archiviazione e si

chiede che l’Ill.mo Sig. Giudice voglia indicare le ulteriori indagini da compiersi,

disponendo l’acquisizione del numero dell’utenza telefonica a favore della quale è

avvenuta la summenzionata ricarica telefonica tim on line e l’accertamento

dell’identità dell’intestatario della relativa scheda telefonica, tramite richiesta a

Poste Italiane S.p.a. ed al gestore telefonico Tim.

Luogo data

Avv

PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI

Richiesta ai sensi dell’Art. 572 C.p.p.

Ill.mo Sig. Pubblico Ministero,

il sottoscritto difensore, giusta nomina presente agli atti, del Sig., nato a Cagliari, il

giorno, residente in, persona offesa, non costituita parte civile, nel procedimento

penale n. R.G.P.M., n. R.G.G.I.P. nei confronti di, imputato in ordine al delitto di cui

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agli Art. 595 C.p., Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47, , imputato in ordine al delitto di

cui all’Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47 in relazione all’Art. 595 C.p., , imputati in

ordine al delitto di cui agli Art. 595 C.p., Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47,

CHIEDE

che la S.V. Ill.ma Voglia proporre impugnazione avverso la sentenza n. del 4

novembre 2008, depositata il giorno 5 gennaio 2009, con la quale il Giudice

dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha dichiarato di non doversi

procedere nei confronti di in ordine ai reati ascritti, perché riconosciuti non punibili

per aver agito nell’esercizio del diritto di critica, per i seguenti

MOTIVI

La sentenza è nulla ai sensi dell’Art. 178, lett. c), C.p.p. L’udienza preliminare in

data 04 novembre 2008, ad esito della quale il Giudice dell’Udienza Preliminare

presso il Tribunale di ha pronunciato la impugnata sentenza, si è tenuta nonostante

l’assenza, determinata da legittimo impedimento, esclusivamente imputabile a forza

maggiore, del sottoscritto difensore della persona offesa, il Sig.

Al riguardo, il giorno 04 novembre 2008, tra le ore cinque e le sette del mattino, un

violentissimo nubifragio colpiva diverse zone della Sardegna, determinando la

chiusura totale al traffico della strada statale 131 ad opera della Protezione Civile

(come attestato dall’edizione della Unione Sarda del giorno 05 novembre 2008).Il

sottoscritto, mentre percorreva la strada statale 131 diretto a, in prossimità del paese

di Villagreca, si vedeva costretto, su ordine della Protezione Civile, ad effettuare

l’inversione di marcia e tornare verso Cagliari.

Peraltro, mediante comunicazione trasmessa a mezzo telefax, veniva

immediatamente informato il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di

dell’imprevisto impedimento, chiedendo altresì che l’udienza venisse cortesemente

rinviata al fine di consentire la partecipazione della persona offesa e la sua

costituzione quale parte civile. Il sottoscritto, inoltre, provvedeva ad informare

telefonicamente dell’impedimento il difensore degli imputati.L’istanza di rinvio,

sebbene giustificata, veniva disattesa e l’udienza si teneva regolarmente.La decisione

adottata dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha cagionato un

gravissimo pregiudizio al diritto di difesa della persona offesa.E’ infatti evidente che,

indipendentemente dal fatto che la presenza della persona offesa in udienza

preliminare possa ritenersi non necessaria, la mancata concessione del richiesto

rinvio abbia precluso alla stessa l’esercizio dei diritti e delle facoltà che la legge

espressamente le attribuisce, quale ad esempio il diritto di costituirsi parte civile.

La sentenza è altresì manifestamente inesatta.

Il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha erroneamente ritenuto la

condotta contestata agli imputati, come sopra indicati, non punibile per la sussistenza

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della scriminante del diritto di critica politica, risultante dal combinato disposto degli

Art. 21 della Costituzione ed Art. 51 Codice Penale.

Giova al riguardo ricordare che la configurabilità dell’esimente del diritto di critica

politica, con conseguente non punibilità dell’offesa eventualmente arrecata all’altrui

reputazione, postula il rispetto del cosiddetto principio di continenza.

Secondo il principio de quo, perché possa ritenersi sussistente la scriminante

disciplinata dall’Art. 51 C.p., nella species del diritto di critica, la narrazione dei fatti,

oltre ad essere rilevante per il pubblico interesse e veritiera, deve caratterizzarsi per la

sostanziale correttezza delle espressioni adoperate.

Esulano, infatti, dall’esimente del diritto di critica, sia essa politica o giornalistica, le

espressioni, le valutazioni e le opinioni che, manifestamente sovrabbondanti e

denigratorie, trasformino la critica in una offesa gratuita e personale della altrui

reputazione.

Il principio di continenza costituisce il limite oltrepassato il quale la condotta lesiva

della altrui reputazione non può considerarsi in alcun modo scriminata ai sensi

dell’Art. 51 C.p.

Al riguardo, si legge invece in sentenza: “Ciò posto, deve tuttavia anzitutto

sottolinearsi come il linguaggio utilizzato, pur risultando assai critico verso le

condotte dell’Amministrazione Comunale, non travalichi mai il limite della

continenza, non contenendo frasi in sé offensive per i termini utilizzati” ed aggiunge

“Occorre sul punto ricordare come il diritto di critica, sancito dall’Art. 21 della

Costituzione, consente nelle dispute politiche e sindacali toni di disapprovazione

anche aspri, a condizione che non si trasmodi in attacchi personali e non si sconfini

nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario. Non si ritiene

pertanto che negli atti indicati si sia ecceduto dal limite della continenza, il quale

peraltro in tema di critica politica si pone come estremamente lato, proprio per non

intaccare il libero esercizio di tale attività”. Il Giudicante pone a fondamento del

proprio assunto due recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, in virtù

delle quali sarebbero state valutate idonee ad integrare la causa di giustificazione

dell’esercizio del diritto di critica politica, espressioni dal Giudice a quo ritenute ben

più offensive di quelle per le quali veniva chiesto il rinvio a giudizio degli odierni

imputati

Peraltro, con la prima delle citate sentenze, la sentenza n. 13880 del 18 dicembre

2007, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto non punibile l’uso dell’espressione

“protettori di illegalità”, perché scriminato dall’esercizio del diritto di critica

politica, precisando al contempo che tale esimente sussistesse con riferimento allo

specifico contesto nel quale la frase era stata pronunciata.Sul punto, la Suprema

Corte afferma infatti “In tema di tutela penale dell'onore, al fine di apprezzare

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l'eventuale rilevanza penale delle espressioni obiettivamente lesive dell'altrui

onore o decoro, occorre "contestualizzarle", ossia valutarle in rapporto al contesto

spazio-temporale nel quale sono state proferite. Ne consegue che è possibile

applicare la scriminante del diritto di critica, allorché si tratti di espressioni

costituenti la manifestazione di una critica politica (come nella specie, in cui

queste erano risultate proferite nel corso di un dibattito nell'aula di un consiglio

comunale, nell'ambito di un'accesa polemica riguardante l'approvazione del piano

di lottizzazione), di guisa che il loro significato finisce con il trascendere l'ambito

individuale o la sfera personale delle persone offese, esprimendo piuttosto una

valutazione prettamente politica” (Cass. Pen., Sez. V, n. 13880/2007).

Al fine di verificare la sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di

critica politica è pertanto indispensabile, secondo quanto affermato dalla Corte di

Legittimità, valutare il contesto nel quale vengono proferite espressioni di per sé

stesse lesive dell’altrui reputazione. La necessità di “contestualizzare” le

espressioni che potrebbero astrattamente configurare il delitto di diffamazione, è

desumibile anche dalla seconda sentenza, richiamata dal Giudice di primo grado,

con la quale la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto i termini “furfante” e

“furfanteria”, per quanto offensivi, integranti la esimente di cui all’Art. 51 C.p.

essendo stati adoperati rispettivamente in occasione di un comizio politico ed in

occasione di una dibattito assembleare in Consiglio Comunale: “Il termine

“furfante”, rivolto o riferito ad una persona, e “furfanteria”, riferito ad un suo

comportamento, è sicuramente offensivo, cosicché integra estremo di reato. Ma, se

la sua adozione non si giustifica quale sintesi espressiva dell’esercizio del diritto di

critica in un contesto ordinario, può essere scriminata in un contesto di polemica

politica significando il disvalore delle scelte per l’interesse collettivo. E nella

specie è incontroverso che l’agente abbia censurato proposte della

“maggioranza”, sia nel comizio che nella discussione assembleare, qualificandole

furfanterie e furfanti gli avversari” (Cass. Pen., Sez. V, n. 13565/2008).Dall’attenta

lettura delle sentenze de quibus si evince che l’uso di espressioni obiettivamente

lesive della reputazione del destinatario non è punibile ai sensi dell’Art. 51 C.p.

esclusivamente qualora le stesse siano proferite in un preciso contesto spazio-

temporale, come ad esempio un dibattito nel corso di una seduta del Consiglio

Comunale, tale da legittimare una critica aggressiva, purché conforme al principio

di continenza.Il richiamo delle suddette massime giurisprudenziali, operato dal

Giudicante nell’impugnata sentenza, è dunque quanto meno inconferente se

rapportato al procedimento in oggetto.

Ciò in quanto, il contesto nel quale sono state adoperate le espressioni per le quali

venivano citati a giudizio gli odierni imputati, ritenute lecite dal Giudice di merito

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ai sensi dell’Art. 51 C.p., è palesemente differente da quello nel quale sono state

proferite le espressioni sulla cui non punibilità si è pronunciata la Suprema Corte.

In primo luogo, infatti, la critica formulata dagli imputati nei confronti

dell’Amministrazione del Comune di e dell’allora Sindaco, , consistita

nell’affermare “(…) se l’Amministrazione riuscirà, con prepotenza e per una

infantile ripicca politica o personale, ad ottenere lo sfratto, si fregerà di essere

riuscita, dopo lunghi anni di vera persecuzione, a portare via ai cittadini di una vera

e propria istituzione (…)” ed ancora “Ci spiace constatare, per l’ennesima volta,

che quando il sindaco e la sua giunta non riescono a controllare una associazione,

un club o una cooperativa, pur avendo i mezzi per farlo, iniziano un vero e proprio

atto di oppressione nei confronti degli stessi, così come sta appunto succedendo per

la Pro Loco di e così come già successo per altre associazioni (…)” veniva affidata

ad un articolo giornalistico, pubblicato in un quotidiano di diffusione regionale, , ed

ad un manifesto affisso presso la sede della Associazione Turistica Pro Loco di , di

cui facevano parte alcuni degli imputati.

Le dichiarazioni sopra riportate venivano, dunque, rilasciate fuori da qualsiasi sede

istituzionale o ad essa affine.

Peraltro, le stesse concernevano una vicenda che, relativa alle sorti dell’immobile

nel quale la Associazione Turistica Pro Loco aveva la propria sede, da anni

contrapponeva quest’ultima alla Amministrazione Comunale.

Tale vicenda esulava dall’attività prettamente politica del Sindaco e della sua

Giunta; ciò nonostante, diventava occasione per una consapevole diffamazione che,

proprio dietro l’apparenza della critica politica, costituiva in realtà un veemente e

illecito attacco alla persona del Sindaco .Una critica squisitamente personale, che,

anche nella denegata ipotesi in cui venisse considerata afferente l’operato politico

del Sindaco e della sua Amministrazione, trascenderebbe per modalità, contesto e

contenuti i limiti imposti dal rispetto del principio di continenza, necessario al fine

della configurabilità dell’esimente del diritto di critica politica.

Al riguardo, i termini adoperati non possono non ritenersi gravemente offensivi.

E’ indubbio, infatti, che definire persecutori gli atti posti in essere da una persona,

ancor più se titolare di una carica pubblica, con l’implicita accusa di perseguire

ingiustamente, attraverso il loro compimento, interessi personali e vessatori, è

condotta certamente lesiva della reputazione del destinatario di tali affermazioni.

Ciò risulta ancor più evidente tanto più si consideri che suddette affermazioni sono

state proferite, come sopra ricordato, al di fuori di una vera e propria contestazione

politica, da riservare alle opportune sedi istituzionali, al solo fine di screditare il

Sig. come persona, più che come Sindaco pro tempore del Comune di.

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Per questi motivi, Voglia l’Ill.mo Sig. Pubblico Ministero proporre impugnazione

ai sensi dell’Art. 572 C.p.p. avverso la sentenza n. pronunciata dal Giudice

dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di in data 04 novembre 2008 e

depositata il giorno 05 gennaio 2008.

Luogo,data,Avv.

CORTE D’APPELLO DI ___________

DICHIARAZIONE D’APPELLO

Il sottoscritto difensore di Tizio, giusta nomina presente agli atti, propone appello

avverso la sentenza n.__ del___ depositata il____, con cui il Tribunale di _______

in Composizione Monocratica ha disposto, ad esito di dibattimento, la condanna

dell’odierno appellante alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 300,00

di multa, oltre al risarcimento dei danni ed al pagamento di euro 10.000,00 a titolo

di provvisionale in favore della Banca Alfa, costituitasi parte civile, perché

riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai delitti di cui agli Artt. 61, n. 2,

476, 482, 640 C.P., per i seguenti

MOTIVI

La sentenza è manifestamente inesatta.

Si è, infatti, pervenuti al riconoscimento della penale responsabilità di Tizio pur in

assenza di qualsivoglia riscontro circa la sussistenza degli elementi costitutivi dei

delitti contestati.

In primo luogo, giova ricordare che, ai fini della configurabilità del delitto di cui

agli Artt. 476, 482 C.P., è necessario, sotto il profilo oggettivo, che il soggetto

agente, ovvero il privato, formi in tutto o in parte un atto falso o alteri un atto vero.

La summenzionata condotta non è stata in alcun modo realizzata dal prevenuto, il

quale, come è emerso in dibattimento, si era limitato ad esibire a Caio, impiegato

sportellista della Banca Alfa, la fotocopia di un documento che sembrava attestare

il rinvio a giudizio per il reato di truffa della persona, tale M.R., da cui Tizio stesso

sosteneva essere stato truffato.

La fotocopia de qua, adoperata dall’odierno appellante, era una fotocopia semplice,

priva dei requisiti di forma e di sostanza idonei a farla apparire, se non come

l’originale provvedimento giudiziario, quanto meno come una copia conforme di

esso.

Orbene, alla stregua del più recente orientamento giurisprudenziale, la Suprema

Corte di Cassazione esclude la integrazione di alcuna fattispecie di falso

documentale nel caso in cui il privato si limiti alla formazione di una falsa

fotocopia di un documento originale inesistente e la presenti come tale, priva cioè

di qualsiasi attestazione di originalità, ovvero di una qualche attestazione che ne

confermi l’eventuale estrapolazione dal documento originale esistente.

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E’ difatti necessario che la copia di un documento, affinché possa assumere penale

rilevanza la condotta di colui che la formi o la alteri, sia dotata di tutte le

caratteristiche necessarie a farla apparire come l’originale, ovvero tali da

dimostrare la concreta esistenza di un corrispondente documento originale.

Il Giudice di primo grado, confermando l’ipotesi accusatoria, ha erroneamente

ritenuto Tizio penalmente responsabile in ordine al delitto di cui agli Artt. 476, 482

C.P. nonostante sia stato pacificamente accertato che la fotocopia da lui esibita

difettasse di qualsiasi autenticazione del suo contenuto e come tale fosse priva di

alcun valore documentale.

Alla luce di quanto esposto, stante la mancanza dell’elemento oggettivo del reato

ascrittogli, Tizio deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste.

La appellata sentenza è, altresì, inesatta nella parte in cui afferma la penale

responsabilità del prevenuto in ordine al delitto di cui all’Art. 640 C.P.

Preliminarmente, proprio con riferimento al citato delitto, si rileva che la Ill.ma

Corte di Appello di ____ deve dichiarare di non doversi procedere per difetto di

querela.

La truffa semplice è difatti reato perseguibile a querela della persona offesa, ovvero

del soggetto titolare dell’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Persona offesa è, nel delitto di truffa, il soggetto titolare dell’interesse economico

leso dalla condotta del soggetto agente, ovvero colui che subisce il danno, inteso

quale deminutio patrimonii, previsto dalla norma.

Caio, in quanto semplice impiegato sportellista, non può di certo identificarsi nella

persona offesa dalla condotta realizzata da Tizio.

Pertanto, egli, come tale ed in mancanza del conferimento da parte della Banca

Alfa di una espressa procura speciale rilasciata anche al fine della proposizione

della querela, non era in alcun modo legittimato ad una sua valida proposizione.

Peraltro, nel merito, non è superfluo ricordare che il delitto di truffa richiede, sotto

il profilo oggettivo, che il soggetto agente, mediante artifici o raggiri, induca taluno

in errore, procurando così a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

Al riguardo, anche laddove dovesse dirsi sussistente anche laddove dovesse

ritenersi sussistente, il conseguimento da parte del prevenuto di un profitto,

consistito nella concessione della richiesta dilazione di pagamento è nondimeno

pacifico l’errore nel quale è incorso lo sportellista Caio, difettano, invero, perché

possa ritenersi sussistente il contestato delitto, gli elementi costitutivi degli artifici

o raggiri.

Questi ultimi, per poter essere considerati tali ed al fine di rilevare ai sensi del

disposto dell’Art. 640 C.P., devono essere astrattamente idonei a trarre in inganno

il terzo.

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La fotocopia esibita da Tizio era priva di quelle caratteristiche e di quei requisiti

che, garantendone la verosimiglianza ad un ipotetico documento originale, la

avrebbero resa in astratto ed in concreto idonea ad indurre in errore Caio,

costituendo un artificio od un raggiro ai sensi dell’Art. 640 C.P.

Accertata la mancanza dell’elemento oggettivo, anche con riferimento al delitto di

truffa, Tizio deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste.

Per tutti questi motivi, l’Ill.ma Corte d’Appello di________, in riforma della

appellata sentenza, Voglia:

In ordine al delitto di cui agli Artt. 476,482 C.P., in via principale, mandare assolto

Tizio perché il fatto non sussiste.

In ordine al delitto di cui all’Art. 640 C.P.,

in via preliminare dichiarare di non doversi procedere per difetto di querela;

in via principale mandare assolto Tizio perché il fatto non sussiste.

In ordine a tutti i delitti contestati, in via subordinata, concesse le attenuanti

generiche di cui all’Art. 62bis C.P. e preso atto del buon comportamento

processuale dell’odierno appellante, irrogare il minimo della pena con tutti i

benefici di legge.

In ogni caso, dichiarare non dovuto il risarcimento del danno e per l’effetto

revocare la disposta provvisionale o ridurne il suo importo al minimo, sospendendo

in ogni caso la sua esecuzione per gravi motivi.

Luogo, Data, Avv.

TRIBUNALE DI

Richiesta di Riesame ex Art. 309 C.p.p.

Il sottoscritto difensore del Sig., nato, il, ivi residente nella Via, indagato nel

procedimento penale n. R.N.R, G.I.P., per i reati di cui agli Artt. 582, 583,

comma primo, n. 1, 99, 61 n. 2 e 5 C.p. e Artt. 628, commi uno e tre, n. 2, 99, 61 n.

5 C.p., attualmente detenuto presso la casa circondariale di in quanto sottoposto

alla misura cautelare della custodia in carcere, propone richiesta di riesame ai sensi

dell’Art. 309 C.p.p. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal

Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di in data 24 novembre

2008, eseguita nei confronti dell’indagato in data 25 novembre 2008 e comunicata

al difensore in data 26 novembre 2008, per i seguenti

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MOTIVI

Non sussistono le gravi e concrete esigenze cautelari di cui all’Art. 274, lettera C),

C.p.p., che il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di ha, invece,

ritenuto esistenti e tali da giustificare l’applicazione, nei confronti del Sig., della

misura cautelare della custodia in carcere.Al riguardo, il concreto pericolo di cui

all’Art. 274, lettera C), C.p.p., relativo alla possibile commissione dal parte

dell’indagato di gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o

diretti contro l’ordinamento costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata

o della stessa specie di quello per cui si procede, non può considerarsi sussistente

né con riferimento alle modalità e circostanze del fatto, né con riferimento alla

personalità del Sig..Sul punto, è opportuno sottolineare non solo l’eccezionalità ed

irripetibilità del grave fatto contestato all’odierno indagato, anche laddove

realmente commesso, ma anche l’inidoneità dei datati precedenti penali, dallo

stesso riportati, a giustificare il giudizio di pericolosità sociale formulato nei

confronti del Sig. dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di.

Infatti, non si può non considerare che i precedenti penali più gravi, risultanti a

carico dell’odierno indagato, risalgano agli anni 70 ed agli anni 80.Invero, dal 1984

ad oggi, l’unico precedente penale, emerso a carico del, è rappresentato da un

decreto penale di condanna, emesso per il delitto di furto tentato e divenuto

esecutivo nel mese di ottobre del 2002.

Con il citato decreto penale, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il

Tribunale di disponeva la condanna del Sig. alla sola pena pecuniaria, senz’altro

indicativa della marginale gravità del fatto contestato all’odierno indagato.

Peraltro, l’avviso orale ex Art. 4 L. 1423/1956, come modificato dall’Art. 5 L.

327/1988, emesso nel marzo del 2005 nei confronti dell’odierno indagato ed

adottato con riferimento agli stessi datati precedenti penali, non può essere valutato

ai fini del giudizio di pericolosità sociale, in ragione del suo carattere meramente

monitorio ed in ragione del fatto che ad esso non è conseguita l’applicazione di

alcuna misura di prevenzione, come previsto dalla stessa Legge n. 1423/1956.

Dalla mancata applicazione di una misura di prevenzione, nonostante l’avviso orale

ex Art. 4 L. 1423/1956, come modificato dall’Art. 5 L. 327/1988, si desume la

assente o, comunque, limitata pericolosità sociale del prevenuto.

Parimenti non sussistenti sono le esigenze cautelari di cui all’Art. 274, lettere A) e

B), C.p.p, relative, la prima, al concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione e la

genuinità della prova e, la seconda, al concreto pericolo di fuga dell’indagato.

Correttamente, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di,

nell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, ha ritenuto inesistente il

pericolo di fuga in capo al Sig..

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Quanto, invece, al pericolo di inquinamento della prova di cui all’Art. 274,

lettera A), C.p.p., anch’esso ritenuto non sussistente dal Giudice procedente,

è comunque opportuno rilevare che, nella denegata ipotesi in cui l’adito

Tribunale del Riesame dovesse desumerne l’esistenza dalle circostanze di

fatto, ben potrebbe tale esigenza cautelare essere salvaguardata da altra

idonea misura, come ad esempio gli arresti domiciliari.

Non è, infatti, condivisibile quanto affermato dal Giudice che ha emesso il

provvedimento impugnato a giustificazione della scelta della custodia cautelare in

carcere in luogo di altra misura meno afflittiva.

Al riguardo, il Giudicante sostiene che l’applicazione di una misura meno gravosa,

quale gli arresti domiciliari, dal contenuto meramente prescrittivo, richiede una

capacità di autocontrollo che difetterebbe nell’indagato, in considerazione non solo

della gravissima condotta contestatagli, ma anche dei “numerosi e qualificati

precedenti penali, circostanze dalle quali è agevole argomentare l’incapacità di

osservanza di una diversa misura cautelare”.Quanto sopra esposto, con riferimento

alla assoluta irripetibilità del fatto per il quale si procede ed alla marginale

rilevanza, in ragione del lunghissimo tempo trascorso, dei precedenti penali

riportati dal Sig., deve essere qui ribadito al fine della concessione della misura

degli arresti domiciliari, meno afflittiva ma comunque idonea ad assicurare le

esigenze cautelari che dovessero ritenersi esistenti.

Non hanno ragione d’essere, con riferimento all’applicabilità della misura cautelare

di cui all’Art. 284 C.p., i timori, espressi dal Pubblico Ministero nella richiesta di

misura cautelare, relativi alla circostanza per la quale il Sig. coabiterebbe con il

figlio pregiudicato e tale coabitazione determinerebbe la sussistenza del pericolo di

cui all’Art. 274, lett. A), C.p.p.Invero, l’odierno indagato abita in un appartamento

distinto da quello nel quale vive il figlio, sebbene l’ingresso sia comune ed il

numero civico uguale.

Inoltre, la possibilità, comunque indimostrata, che terze persone possano costituire

intralcio alle indagini, non è certo scongiurata né attenuata dalla permanenza in

carcere dell’indagato, il che rende inconferente la motivazione addotta sul punto.

Peraltro, l’applicazione degli arresti domiciliari, in luogo della custodia cautelare in

carcere, sarebbe comunque adeguata alle esigenze cautelari, che si dovessero

ritenere sussistenti, ed al contempo risponderebbe all’esigenza di tutelare le

precarie condizioni di salute dell’odierno indagato, certamente incompatibili con la

permanenza in carcere.

Per questi motivi, l’Ill.mo Tribunale del Riesame di Voglia:

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- In via principale, disporre l’annullamento dell’ordinanza applicativa della misura

cautelare della custodia in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari

presso il Tribunale di Cagliari in data 24 novembre 2008, eseguita in data 25

novembre 2008.

- In via subordinata, riformare l’impugnata ordinanza disponendo altra misura

meno afflittiva o, al più, l’applicazione della misura cautelare degli arresti

domiciliari ai sensi dell’Art. 284 C.p.p.

Luogo data Avv.

Tribunale ordinario di

Dichiarazione di appello ai sensi dell’Art. 310 c.p.p.

Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata in data, di Tizio, nato a

il , residente in nella Via n , attualmente detenuto presso la casa

circondariale di , indagato nel procedimento penale n. , propone appello

avverso l’ordinanza n. ,del giorno 10/11/2008, con la quale il Giudice per le

indagini preliminari presso il Tribunale di ha rigettato l’istanza di

scarcerazione proposta in data , nell’interesse dell’odierno appellante,

confermando l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia

in carcere, emessa in data , per i seguenti

Motivi

Non sussistono le gravi e concrete esigenze cautelari di cui all’Art. 274,

lettera C), c.p.p., che il Giudice per le Indagini Preliminari presso il

Tribunale di ha, invece, ritenuto esistenti e tali da giustificare l’applicazione,

a carico di Tizio, della misura cautelare della custodia in carcere.

Al riguardo, il concreto pericolo di recidiva specifica cui all’Art. 274, lettera

c), in forza del quale è stata disposta la misura cautelare de qua, non può

considerarsi sussistente né con riferimento alle modalità e circostanze del

fatto, né con riferimento alla personalità del prevenuto.Sul punto, è

opportuno rilevare l’eccezionalità e l’ irripetibilità del fatto ascritto

all’odierno appellante, anche laddove realmente commesso, alla luce dello

specifico contesto nel quale sarebbe stato realizzato.

Invero, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di , nel

formulare il proprio giudizio di pericolosità sociale nei confronti di Tizio,

non ha debitamente considerato le peculiari e contingenti circostanze che

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hanno caratterizzato la presunta condotta criminosa.Appare evidente come

l’asserita azione dell’indagato, attivista anarchico, sia stata esclusivamente

animata dai suoi ideali politici, in quanto finalizzata al mero impedimento

della manifestazione sportiva da egli non condivisa a causa della presenza di

alcuni partecipanti estremamente politicizzati.

Non è dato comprendere come l’Organo Giudicante abbia ritenuto sussistere

in capo a Tizio il concreto pericolo di reiterazione del reato contestato,

stante il pregnante collegamento tra la supposta condotta da egli posta in

essere ed il noto ed altamente discusso evento sopradetto.Peraltro, proprio

tale nesso causale, unitamente alla ricostruzione degli avvenimenti, così

come prospettata, consente di accertare il carattere singolare del fatto, da

qualificarsi come episodio circoscritto e connesso ad un determinato ambito

e perciò incompatibile con l’affermato pericolo di recidiva.

Bene avrebbe dovuto il Giudice per le indagini preliminari presso il

Tribunale di , attraverso un’attenta valutazione di tutti gli elementi de

quibus, disporre la scarcerazione del prevenuto.In ogni caso, nella denegata

ipotesi in cui si dovesse ritenere sussistente qualsivoglia esigenza cautelare,

la custodia in carcere risulta essere oltremodo gravosa, stante la previsione

di cui al terzo comma dell’articolo 275 c.p.p. , per il quale essa può essere

applicata soltanto qualora ogni altra misura risulti inadeguata.Ciò osservato,

è indubbio che una diversa e meno affittiva misura sarebbe comunque

idonea a prevenire l’eventuale quanto improbabile commissione di ulteriori

reati della stessa specie di quello per cui si procede.

Per tutti questi motivi, l’Ill.mo Tribunale Ordinario di , considerate

insussistenti o quantomeno attenuate le esigenze cautelari, valutata la

sussistenza delle condizioni previste dalla legge, Voglia , in riforma

dell’appellata ordinanza:

in via principale, revocare la disposta misura della custodia cautelare in

carcere;

in via subordinata, disporre la sostituzione della stessa con altra misura

meno affittiva o al più disporre l’applicazione degli arresti domiciliari di cui

all’articolo 284 cpp.

Luogo, data.

Avv.

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PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI

ATTO DI QUERELA

Il sottoscritto nato a residente ecc propone formale

QUERELA

nei confronti di tutti coloro i quali saranno ritenuti penalmente responsabili per i

reati che nei fatti qui esposti verranno ravvisati.

Esposizione fatti e diritto.

Tutto quanto sopra esposto, il sottoscritto chiede dunque che si proceda nei termini

di legge nei confronti di tutti coloro i quali dovessero essere ritenuti responsabili

per tutti i reati che verranno ravvisati nei fatti suesposti.

Chiede di essere sentito dal Magistrato che verrà incaricato delle indagini in merito

ai fatti summenzionati, per meglio chiarire quanto avvenuto.

L’esponente chiede di essere avvisato, ex Art. 408 C.p.p., in caso di richiesta di

archiviazione e dichiara, ai sensi dell’Art. 459 C.p.p., di opporsi fin d’ora alla

emissione del decreto penale di condanna.

Si produce in copia:

Luogo, data

firma

PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI

Memoria difensiva ai sensi dell’Art. 415 bis C.p.p.

Ill.mo Sig. Pubblico Ministero,

Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata in data, di nato a il residente in

nella Via indagato nel procedimento penale n. R.n.r.

Premesso che

In data è stato notificato a Tizio l’avviso di conclusione delle indagini preliminari

ex Art. 415bis C.p.p.

Tizio risulta indagato in ordine al reato di cui all’Art.

Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore

Espone

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Diritto

Tutto quanto sopra esposto, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore

Chiede

Che l’Ill.mo Sig. PM presso il Tribunale di Voglia disporre l’archiviazione del

procedimento penale indicato in epigrafe (ovvero assumere mezzi di prova

eventualmente indicati ovvero disporre l’interrogatorio dell’indagato)

Luogo Data Avv.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

DICHIARAZIONE E MOTIVI

Il sottoscritto difensore del Sig. , nato a , il giorno , dichiara di proporre ricorso per cassazione

avverso la sentenza n. , pronunciata in data, depositata nella medesima data , nel procedimento

penale n. ____________________, con la quale la Corte d’Appello di , riunita in Camera di

Consiglio, visti gli artt. 157 e ss. C. p. e 129 C. p. p., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti

di ____________in ordine al reato di cui all’art. 648, comma 2, C. p. perché estinto per prescrizione,

per i seguenti

MOTIVI

INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE

NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA

LEGGE PENALE in relazione alla dichiarazione della sussistenza di una causa di non punibilità

ai sensi dell’art. 129 C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), C. p. p.

1.1 Come emerge dalla lettura della sentenza predibattimentale impugnata, la Corte d’Appello di ha

rilevato nella fase anteriore al dibattimento l’intervenuta prescrizione, dunque, una causa di estinzione

del reato contestato al Sig.

1.2 Per l’effetto, disattendendo il disposto dell’art. 129 C. p. p., il Secondo Collegio, riunito in

Camera di Consiglio, con provvedimento predibattimentale assunto de plano , ha dichiarato non

doversi procedere nei confronti di in ordine al reato ascrittogli perché estinto per prescrizione.

1.3 Sul punto, non solo l’Organo Giudicante è manifestamente incorso in un errore di valutazione,

come di seguito verrà meglio specificato, ma ha senza alcun dubbio erroneamente applicato la

legge penale in materia di obbligo di immediata declaratoria di determinate causa di non

punibilità.

1.4 Invero, il procedimento adottato dalla Corte d’Appello di che, si ribadisce, ha dichiarato de plano

l’estinzione del reato prima del dibattimento, è manifestamente viziato in quanto non può trovare

in alcun modo applicazione, in detta fase, la disposizione di cui all’art. 129 C.p.p. che presuppone

necessariamente l’instaurazione di un giudizio in senso proprio.

1.5 Peraltro, prima di procedere nello sviluppare le argomentazioni poste a fondamento del presente

motivo di doglianza, occorre svolgere alcune brevi considerazioni in ordine alla possibilità per la Corte

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d’Appello di pronunciare una sentenza ex art. 129 C.p.p. con provvedimento emesso de plano,

argomentazioni dalle quali non si può prescindere in questa sede per completezza di ragionamento.

1.6 Nello specifico, deve essere preliminarmente richiamata la ratio della norma di cui si discute,

ovvero la funzione che essa assolve nel nostro ordinamento processuale ispirato ai principi di

economia processuale e di rispetto delle forme.

Ciò al fine di verificare se, nell’ambito di un procedimento penale, la sussistenza di una causa di non

punibilità giustifichi sempre una sua “immediata declaratoria” a prescindere dalla fase in cui si trova il

processo e, soprattutto, a prescindere dai diritti delle parti costituzionalmente garantiti, con particolare

riferimento al diritto di difesa che si esplica pienamente nel contraddittorio tra la pubblica accusa, la

difesa e le altre parti private.

1.7 Al riguardo, in conformità all’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale dell’Ill.ma Corte

adita, è pacifico che l’art. 129 C. p. p., per la sua collocazione nel titolo II del libro II del codice di rito

tra gli “atti e provvedimenti del giudice”, non attribuisce a quest’ultimo un potere di giudizio ulteriore

ma detta una regola di condotta o di giudizio che si affianca a quelle proprie della fase o del grado in

cui il processo si trova ed alla quale il giudice, in via prioritaria, deve attenersi nell’esercizio dei poteri

decisori che già gli competono.

Pertanto la disposizione in esame, lungi dal consistere in una alternativa ad altre previsioni di analoghi

effetti, si affianca a queste integrandole e meglio definendo, per tempi e modalità, i poteri decisori del

giudice (Cass. Pen., SS. UU., sentenza del 19 dicembre 2001, n. 3027).

1.8 Alla luce delle considerazioni sopra svolte, deve necessariamente concludersi sul punto nel senso

che l’espressione “immediata declaratoria” contenuta nella rubrica dell’articolo 129 C.p.p. non si

riferisce ad una tempestività temporale assoluta tanto da legittimare, pur nel silenzio della norma, il

rito cosiddetto de plano .

1.9 Invero, come hanno precisato le Sezioni Unite della Suprema Corte con la citata pronuncia che ha

confermato la prevalente giurisprudenza di legittimità, “l’articolo 129 C. p. p., allorché fa riferimento

ad “ogni stato e grado del processo”, deve essere inteso in relazione al giudizio in senso tecnico,

ossia al dibattimento di primo grado o ai giudizi in appello ed in cassazione, perché quelle sono le fasi

in cui si instaura la piena dialettica processuale tra le parti e si dispone di tutti gli elementi per la

scelta delle formule assolutorie più opportune, rispettando le legittime aspettative dell’imputato”

(Cass. Pen., SS. UU., sentenza del 19 dicembre 2001, n. 3027).

L’Ill.ma Corte adita, dunque, ha rilevato che anche nella fase predibattimentale del giudizio d’appello,

così come in quella di primo grado, la carenza di contraddittorio tra le parti comporta la non

applicabilità della disposizione in oggetto.

1.10 Tutto quanto sopra osservato, è manifesta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 129

C. p. p.

Contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal Secondo Collegio della Corte d’Appello di infatti,

il tenore dell’art. 129 C. p. p. non legittima e non può in alcun modo legittimare l’impugnata decisione

de plano.

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1.11 Altresì indubbio è come la sentenza impugnata sia stata emessa in palese contrasto con il

consolidato orientamento giurisprudenziale.

Sul punto non può non ribadirsi che, in conformità al richiamato dettato normativo, ampiamente

confortato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, “la sentenza con la quale la Corte d’Appello

abbia dichiarato de plano l’estinzione del reato prima del dibattimento non è autorizzata dall’art. 129

C.p.p. che, prescrivendo l’obbligo del Giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una

causa di non punibilità, può operare in relazione ad un giudizio in senso tecnico e non anche nella

fase predibattimentale”(Cass. Pen., Sez. II, sentenza del 6 ottobre 2004, n. 41498).

1.12 Peraltro, sotto il profilo della carenza di contraddittorio tra le parti, deve essere infine eccepita la

nullità della sentenza predibattimentale con la quale la Corte d’Appello di ha dichiarato de

plano l’estinzione del reato ascritto al Sig. in quanto incidente sull’intervento e

sull’assistenza dell’imputato.

1.13 Pertanto, contrariamente a quanto accaduto, la Corte d’Appello di avrebbe dovuto

correttamente fissare l’udienza per il giudizio d’appello.

*****

INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE

NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA

LEGGE PENALE in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti per la

pronuncia di assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma 2, C. p. p., con riferimento all’art. 606,

comma 1, lett. b), C. p. p.

INOSSERVANZA DELLE NORME PROCESSUALI STABILITE A PENA DI NULLITA’, DI

INUTILIZZABILITA’, DI INAMMISSIBILITA’ O DI DECADENZA in relazione

all’applicazione dell’art. 125, comma 3, C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. c),

C. p. p.

MANCANZA, CONTRADDITTORIETA’ O MANIFESTA ILLOGICITA’ DELLA

MOTIVAZIONE, in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti per la pronuncia

di assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma 2, C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett.

e) C.p.p.

2.1 Come precedentemente esposto, la Corte d’Appello di , Sezione Seconda Penale, applicando

erroneamente l’art. 129 C. p. p., nella fase anteriore al dibattimento ha rilevato una causa estintiva del

reato contestato al Sig. e, pertanto, con provvedimento predibattimentale assunto de plano, ha

dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato ascrittogli perché estinto

per prescrizione.

2.2 Richiamando le autorevoli argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la

summenzionata pronuncia, giova preliminarmente ribadire che, in fase predibattimentale, la

fondamentale cesura tra la fase delle indagini e quella del dibattimento porta ad escludere che possa

essere emessa una sentenza “allo stato degli atti” ex art. 129 C.p.p.

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2.3 Di contro, è oramai pacifico che la citata disposizione possa trovare applicazione nella fase

dibattimentale, dove è sicuramente maggiore la capacità cognitiva del Giudice.

In tale fase, a norma dell’art. 129, comma 2, C. p. p., in presenza di una causa di estinzione del reato,

può essere pronunciato il proscioglimento nel merito se dagli atti già acquisiti risulta evidente

l’innocenza dell’imputato.

2.4 Ciò premesso, anche a voler prescindere dal vizio radicale che ha inevitabilmente inficiato il

procedimento adottato dalla Corte d’Appello di come già argomentato, emerge in maniera

evidente dalla lettura della sentenza impugnata come il Collegio abbia completamente omesso di

motivare la propria decisione in ordine alla necessaria valutazione della sussistenza dei presupposti per

una pronuncia di assoluzione.

2.5 Al riguardo, non è superfluo richiamare il disposto del secondo comma dell’art. 129 C.p.p.

secondo cui “quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che

il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non

è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a

procedere con la formula prescritta”

2.6 Invero, nel motivare la propria decisione, il Giudicante si è limitato a considerare che “il

reato ascritto all’imputato va ritenuto estinto per decorso del termine di prescrizione maturato il

13.11. 2008”.

E’ indubbia la mancanza di qualsivoglia motivazione, avendo la Corte d’Appello di manifestamente

omesso di ulteriormente argomentare dette esigue considerazioni in relazione alla verifica della

sussistenza di prove positive dell’innocenza dell’imputato risultanti dagli atti.

2.7 Così facendo, non solo l’Organo decidente non ha fornito alcuna risposta alle censure mosse

dalla difesa nel proprio atto d’appello, ma neppure ha reso manifesto il ragionamento posto a

fondamento della propria decisione.

Non è dato in alcun modo comprendere l’iter logico argomentativo seguito dalla Corte d’Appello di

nel ritenere, peraltro erroneamente, così almeno sembrerebbe, insussistenti circostanze idonee

ad escludere la commissione del fatto da parte dell’imputato emergenti in maniera evidente dagli

atti.

2.8 Indubbiamente la sentenza impugnata non è sorretta da alcun rigoroso vaglio della sussistenza

delle condizioni legittimanti il proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, C.p.p.

Detto provvedimento è altresì manifestamente carente di motivazione, non essendo risultati

manifesti i criteri logici seguiti dal Collegio nell’adottare la propria decisione, tanto meno

esaustivi in ordine alla definitiva selezione delle alternative decisorie.

Emerge infatti in maniera evidente dalla lettura del provvedimento impugnato la totale assenza

dell’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare la decisione, nulla avendo rilevato la Corte

d’Appello in risposta alle argomentazioni difensive.

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2.9 Tali considerazioni assumono pregnante rilevanza in quanto, con riferimento al caso concreto,

contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, è emersa una verità processuale talmente

chiara ed obiettiva da non lasciare alcun dubbio circa la non commissione del fatto di reato da parte del

Sig. , circostanza emersa dagli atti in maniera assolutamente incontestabile.

2.10 Ciò nonostante la Corte d’Appello di disattendendo il disposto dell’art. 129, comma 2, C. p. p.,

non ha rilevato l’evidenza dell’assoluta estraneità dell’imputato al fatto.

2.11 Sul punto, peraltro, autorevole orientamento giurisprudenziale ha precisato che “in presenza della

causa estintiva della prescrizione del reato, deve essere privilegiata la pronuncia di proscioglimento

nel merito, non solo quando dagli atti già acquisiti risulti la prova positiva dell’innocenza

dell’imputato, ma anche quando manchi la prova della colpevolezza a suo carico”(Cass. Pen., Sez. V,

sentenza del 18 gennaio 2005, n. 17382).

Secondo la giurisprudenza riportata, quindi, il testo dell'art. 129 capoverso C.p.p. ancora la prevalente

pronuncia di proscioglimento non già al riscontro positivo dell'esistenza di elementi di prova

dimostrativi dell'innocenza dell'imputato, in tal modo lasciando scoperta l'ipotesi della mancanza di

prova della sua colpevolezza, ma ad un dato obiettivo, immediatamente percepibile, rappresentato dal

riferimento agli atti.

Il richiamo agli atti di causa, e dunque alla realtà procedimentale sedimentatasi sino al momento della

possibile declaratoria di una causa estintiva del reato, consente di comprendere entrambe le fattispecie

ovvero la prova positiva di innocenza e la mancanza di prova di estraneità.

2.12 Tutto quanto sopra osservato, non può non essere rilevato come il Sig. anche a non voler

riconoscere l’evidenza della sua innocenza, debba essere mandato assolto in quanto dagli atti non

risulta in alcun modo integrato l’elemento oggettivo del reato, ovvero manca la prova della

provenienza delittuosa dei dodici agnelli, tre pecore ed un montone oggetto dell’asserita ricettazione.

2.13 Infine, anche a voler ritenere dimostrata, pur in assenza di prove, la provenienza delittuosa degli

ovini de quibus e la ricezione di questi da parte dell’imputato, il Giudice di primo grado prima, La

Corte d’Appello poi, avrebbe dovuto correttamente rilevare l’assenza in capo al predetto dell’elemento

soggettivo del reato, pronunciando sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

2.14 La mancata considerazione di tali elementi integra il vizio di inesistenza di motivazione e di

violazione dell’art. 129, comma 2, C.p.p.

*****

INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE

NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA

LEGGE PENALE in relazione alla pronuncia della sentenza predibattimentale, richiamo all’art.

469 C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), C.p.p.

3.1 Per scrupolo difensivo, considerato che il provvedimento impugnato viene qualificato come

“sentenza predibattimentale”, con un’espressione che evoca il dettato normativo dell’art. 469 C. p. p.,

non è superfluo da ultimo sviluppare alcune brevi argomentazioni sull’applicazione della disposizione

richiamata.

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3.2 Al riguardo, come ha avuto modo di precisare la prevalente giurisprudenza di legittimità, “l’iter

disciplinato dall’art. 469 C.p.p. per la pronuncia di una sentenza predibattimentale non è percorribile

nel giudizio di secondo grado”(Cass. Pen., Sez. II, sentenza del 6 ottobre 2004, n. 41498).

Ciò per una serie di considerazioni di ordine sistematico e letterale collegate all’interpretazione

dell’art. 598 C. p. p.

In particolare, è pacifico che l’art. 601 C. p. p. prevede una disciplina degli atti preliminari in appello

autonoma rispetto al primo grado, inoltre, l’art. 599 C. p. p., nell’elencare le ipotesi tassative in cui è

possibile procedere col rito camerale, non richiama il caso del proscioglimento predibattimentale in

quanto nel giudizio d’appello, caratterizzato da una fase dibattimentale di norma contratta, non

sussistono le esigenze di economia processuale.

3.3 Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con

restituzione degli atti alla Corte d’Appello di per il giudizio.

*****

Si chiede l'annullamento della sentenza predibattimentale impugnata.

Luogo data

Avv.

PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVAAL SERVIZIO SOCIALE

Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata contestualmente al presente atto, del Sig. , nato a

il giorno , residente ed elett.te domiciliato in ,

PREMESSO CHE1) Il Sig. è stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed alle pene accessorie della

interdizione dai Pubblici Uffici per anni cinque, della inabilitazione all’esercizio di una impresa

commerciale per anni dieci, dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per

anni dieci, della pubblicazione della sentenza penale di condanna sul quotidiano “L’Unione Sarda”,

della interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per mesi tre, della

interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per mesi tre, della incapacità

di contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni uno, della esclusione dalla Borsa per mesi sei,

per essere stato riconosciuto colpevole dei reati di cui agli 1) Artt. 223 c.1 R.D. 267/1942, 216 c.1 n.1

R.D. 267/1942, 81 c.2 C.p.; 2) Artt. 223 c.1 R.D. 267/1942, 216 c.1 n.1 R.D. 267/1942, 223 c.2 R.D.

267/1942, 2621 C.c.; 3) Artt. 81 c.1 n.1, 81 c.1 n.2, 99 C.p.;

2) In data 13 agosto 2007, con riferimento al procedimento n. SIEP , è stato notificato l’ordine di

esecuzione per la carcerazione relativo alla pena ed ai reati summenzionati, secondo cui rimangono da

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espiare mesi nove e giorni diciotto di reclusione, detratti periodi di presofferto per un totale di mesi

due e giorni dodici, concesso inoltre l’indulto ai sensi della Legge n. 241 del 31 luglio 2006 per anni

tre, come da ordinanza emessa in data dalla Corte d’Appello di

3) Il Sig. risiede presso la Casa di Riposo per Anziani denominata “ ” sita in ;

4) Il Sig. , nato a , il giorno , quale Amministratore Unico della società ,

proprietaria della summenzionata Casa di Riposo, intende avvalersi delle prestazioni professionali del

Sig. , assumendolo con la qualifica di giardiniere, con mansioni da svolgersi in trentacinque ore

settimanali;

5) Sussistono tutti i presupposti affinché il Sig. sia affidato in prova al Servizio Sociale;

6) Risulta evidente il grave pregiudizio che deriverebbe per il condannato dall’inizio della detenzione.

Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore

CHIEDE

a) Che il Sig. venga ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al Servizio

Sociale;

b) In subordine, nella denegata ipotesi di non accoglimento della istanza di affidamento in prova e

rilevata la mancanza di pericolo che il condannato commetta altri reati, che venga applicata la misura

della detenzione domiciliare presso la Casa di Riposo per Anziani denominata “ ” sita in

Si allegano in copia:

1) Nomina del difensore;

2) Ordine di esecuzione per la carcerazione, procedimento n.

3) Dichiarazione della società in data .

Cagliari, Avv.

CORTE D’APPELLO DI

DICHIARAZIONE D’APPELLO

Il sottoscritto difensore e procuratore della Sig.ra , nata a , il giorno

, persona offesa costituita parte civile non in proprio ma nella sua qualità di esercente la

potestà genitoriale sul figlio , nato a , il giorno e sul minore in

affidamento preadottivo , nato a , il giorno , nel procedimento

penale n. R.N.R., n. G.I.P., n. R.G., giusta procura speciale a margine

della costituzione di parte civile in data , propone appello avverso tutti i punti e capi

che riguardano l’azione civile della sentenza n. in data , depositata in data

, con la quale il Tribunale di , in composizione monocratica, ha condannato alla

pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con sospensione

della patente di guida per il periodo di due mesi, e, inoltre, in solido con la responsabile civile

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al risarcimento dei danni nonché al rimborso delle spese processuali e di costituzione di parte

civile in favore di , da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo

di provvisionale la somma di € 50.000,00 a favore di e di € 15.000,00 a favore di

e, inoltre, in solido con le responsabili civili, e , al risarcimento dei danni nonché al rimborso

delle spese processuali e di costituzione di parte civile in favore di da

liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale la somma di €

ciascuno a favore di e la somma di € ciascuno a favore di , per il

reato di cui all’art. 589, comma 2, C.p., nella parte in cui ha ritenuto, nella misura del 40%, il

concorso di colpa della persona offesa nella causazione del sinistro, per i seguenti

MOTIVI

1.1 La sentenza è parzialmente inesatta.

1.2 Il Giudice di primo grado, infatti, ha erroneamente ritenuto che l’evento mortale è stato

causato dal contributo colposo dell’imputato e della stessa vittima, in una misura che ha

determinato, peraltro, senza compiutamente motivare sul punto, nel 60% per e nel 40%

per la persona offesa .

1.3 Invero, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudicante, la corretta ricostruzione in

fatto dell’incidente, così come rimasta ampiamente provata all’esito dell’istruttoria

dibattimentale, attesta in maniera inconfutabile che nessun elemento di colpa per quanto

accaduto può essere posto a carico del deceduto.

1.4 Sul punto, non è superfluo ricordare brevemente la dinamica del sinistro in oggetto, così

come emersa all’esito del dibattimento e come anche correttamente riportata nel

provvedimento impugnato.

1.5 Il sinistro mortale si è verificato in occasione di una manovra di avvicinamento in

retromarcia compiuta dall’autofurgone frigorifero di marca IVECO, targato , intestato

alla società cooperativa e condotto dall’imputato, all’autofurgone frigorifero di marca

DAIMI Ercrysler, , intestato a il quale si trovava sul luogo del fatto in attesa

dell’allineamento del primo veicolo.

Detto accostamento, operazione che veniva sistematicamente ripetuta dagli attori della

vicenda di cui si discute, era funzionale ad un più agevole trasferimento di prodotti ittici dalla

cella frigorifero del veicolo intestato al a quella del mezzo di proprietà della società

cooperativa .

Ultimata la summenzionata manovra di accostamento del furgone condotto dal ____________

a quello del , dunque, arrestatosi il primo mezzo ad una distanza di circa 25/30 cm dalla

parte posteriore del veicolo intestato alla persona offesa, quest’ultima, come solitamente

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accadeva, inserì il capo tra i due furgoni al fine di verificare la regolarità dell’attività di

scarico e carico delle merci.

In quel momento, stante l’inefficienza del freno a mano, l’imputato spense il motore del

mezzo che guidava tenendo premuto il pedale del freno.

Tuttavia, l’immediato rilascio da parte del predetto della frizione e del freno con la

retromarcia inserita, senza attendere l’arresto completo del motore, determinò un’inerzia

rotatoria di questo causando altresì un sobbalzo all’indietro del veicolo, in misura non

superiore a 15 cm, a seguito del quale il capo della persona offesa fu fatalmente compresso tra

le sponde e le cerniere dei portelloni dei due furgoni.

1.6 Al riguardo, si condivide pienamente l’affermazione del Giudice di primo grado secondo il

quale le risultanze istruttorie, ovvero la testimonianza di Grosso Giovanni, presente al fatto, le

fotografie scattate dai Carabinieri della Stazione di Sestu intervenuti sul luogo del sinistro,

confluite in un CD acquisito al fascicolo per il dibattimento, unitamente al contributo dei

consulenti tecnici nominati dalle parti, hanno consentito una ricostruzione univoca del fatto,

confermando una dinamica apparsa evidente sin dalle fasi iniziali delle indagini.

1.7 Parimenti condivisibili sono le conclusioni del Giudicante nella parte in cui ha

correttamente ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato

contestato per la sussistenza di chiari profili di colpa in capo allo stesso, sia colpa specifica, in

relazione all’art. 154 del C.d.S., che colpa generica, per aver il Sig. incautamente rilasciato il

pedale della frizione con la retromarcia inserita contestualmente allo spegnimento del motore.

1.8 Contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, invece, dalle risultanze

processuali non sono emersi in alcun modo elementi di colpa riconducibili alla condotta

della vittima.

1.9 Come anche si legge nella sentenza impugnata, la manovra di accostamento delle parti

posteriori dei furgoni ad una distanza di circa 30 cm l’uno dall’altro era un’azione banale, che

veniva ripetuta sistematicamente “oltre che per favorire le manovre di trasbordo in modo che

la merce non cadesse tra i due cassoni, anche per consentire a chi si trovava a terra, ossia

nella specie il , di dare istruzioni sul trasferimento del pesce”.

Ancora, si legge nel medesimo provvedimento, “l’infilare la testa tra i due mezzi è una

manovra che si usa fare (lo stesso____________ l’aveva effettuata in passato) per verificare

che il successivo passaggio della merce da una cella frigorifera all’altra avvenisse in modo

efficiente”.

1.10 Ciò è stato dichiarato a dibattimento dal teste , presente al fatto in quanto

dipendente di , dunque, solito a tali pratiche, il quale, sentito all’udienza del

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, ha spiegato che “quella di accostare le parti posteriori dei veicoli è un’operazione che si fa

abitualmente”.

Lo stesso testimone, riferendosi all’azione posta in essere dal di inserire il proprio

capo tra i due furgoni, ha chiarito che “è una posizione che effettuano tutti quelli che devono

controllare la merce in modo tale che avvenga bene il lavoro sia di scarico che di carico, l’ho

faccio anch’io”.

1.11 Sul punto, deve essere rilevato, il testimone ha altresì precisato che, nel momento in cui

ha inserito il capo tra i due veicoli, la sopra descritta manovra di avvicinamento si era già

conclusa.

1.12 Anche gli ingegneri , ed , consulenti tecnici, il

primo nominato dal Pubblico Ministero, il secondo nominato dalla responsabile civile

. e l’ultimo nominato dall’imputato, i quali hanno ricostruito la dinamica dell’incidente, sentiti

all’udienza del , si sono trovati d’accordo nel sostenere che quando la persona

offesa inserì il capo tra i due furgoni la manovra di accostamento del veicolo condotto dal

a quello intestato al era già ultimata.

1.13 In particolare, come si legge nel verbale d’udienza del , l’Ing. ha

descritto l’accostamento dei veicoli come “una manovra assolutamente banale, che viene

ripetuta ogni volta che c’è da caricare e scaricare o trasferire merce da un camion all’altro, è

manovra banalissima che viene ripetuta continuamente”.

1.14 L’Ing. e l’Ing , come già rilevato, hanno concordato sul fatto che la manovra di

avvicinamento da parte del furgone manovrato dal fosse ultimata quando la persona offesa

inserì la testa tra i due veicoli.

Più precisamente, ha affermato il primo nella medesima udienza del

, “l’arresto ci doveva essere stato, quindi, il termine di questa manovra di avvicinamento”.

Parimenti l’Ing., ha dichiarato “confermo, perchè ne sono convinto (…) la manovra di

accostamento del camion del al camion del era già ultimata” dove, giova ricordare,

----------------- si trovava all’interno della cella frigorifera del furgone intestato a in

attesa di ricevere indicazioni da parte di quest’ultimo circa il trasferimento della merce

all’interno del mezzo condotto dal

1.15 Tali circostanze, ampiamente provate e non contestate, come chiaramente emerge dalla

lettura della sentenza impugnata, fondano il convincimento del Giudicante in ordine alla

ritenuta prevedibilità dell’evento dannoso rispetto alle regole di condotta che l’imputato

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avrebbe dovuto osservare, con conseguente permanenza del nesso causale tra la condotta posta

in essere dal e l’evento mortale.

1.16 Nel motivare il provvedimento in oggetto, infatti, scrive il Giudice di primo grado “una

volta accertato che, con l’adozione di queste semplici accortezze al momento dell’arresto del

suo furgone, avrebbe certamente evitato l’evento mortale, deve sottolinearsi come la

mancata attuazione di queste regole di condotta lasciasse nella specie prevedere l’evento

dannoso (…) la prevedibilità dell’evento dannoso deriva in primo luogo dalla presenza della

vittima nella parte finale dei due furgoni, posizione della quale il conducente era a

conoscenza, nonché dalla circostanza che, come affermato dal testimone , il Sig.

fosse un abituale acquirente della , tanto che avveniva che “in genere” avvicinasse il

suo furgone a quello della società del per il carico dei prodotti ittici, con l’ulteriore

precisazione al riguardo che, come riferito ancora da , sia sia lo stesso

, a manovra di allineamento conclusa, solevano infilare la testa tra i furgoni per verificare la

loro distanza in funzione di una più efficiente manovra di trasbordo”.

1.17 Alla luce delle argomentazioni sopra svolte e dell’effettiva dinamica del sinistro in

oggetto, come rimasta pacificamente dimostrata nel corso del giudizio di primo grado, nel

caso concreto, non è ravvisabile alcuna incidenza causale della condotta posta in essere

dalla vittima sull’evento mortale.

1.18 Invero, nessun rimprovero può essere mosso alla persona offesa alla quale non si poteva

evidentemente chiedere un diverso comportamento rispetto a quello tenuto.

1.19 Considerato che ha agito in una situazione abituale, verificatasi innumerevoli

volte, insieme a persone altrettanto solite alla suddetta situazione e, nello specifico,

l’imputato, che ben conosceva essendo suo abituale cliente, contrariamente a quanto ritenuto

dal Giudicante, il comportamento della persona offesa non può in alcun modo essere

qualificato come imprudente.

1.20 Il Sig. , deve essere ancora una volta ribadito, ha diligentemente atteso che la

manovra di avvicinamento in retromarcia effettuata dall’imputato fosse conclusa.

Una volta arrestato il mezzo condotto dal , e solamente allora, la persona offesa ha

inserito il capo tra i due veicoli, confidando nel corretto agire dell’imputato in osservanza

delle norme di comportamento sulla circolazione stradale e delle generali regole di prudenza,

anche perché nessun incidente si era mai verificato prima.

1.21 Pertanto, è manifestamente errato, così come privo di fondamento, l’assunto del

Giudicante secondo cui “concausa dell’evento di danno è la condotta imprudente del ,

il quale, nonostante anche lui esperto conoscitore del funzionamento dei motori diesel (la sua

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società era proprietaria di quello sul quale si trovava in attesa dello scarico),

collocò il suo capo tra i due mezzi, a manovra di retromarcia conclusa ma con il motore che

per inerzia ancora agiva sulle ruote motrici”.

1.22 Anche a voler trascurare la contraddizione in cui incorre il Giudice di primo grado

quando qualifica la condotta del come avventata, per poi ritenerla non imprevedibile

rispetto alla serie causale innescata dall’impropria manovra di arresto del furgone effettuata

dal , dunque, non idonea ad interrompere il nesso causale tra il comportamento

dell’imputato e l’evento mortale, comunque non si può rimproverare alla persona offesa di

aver agito ad arresto del veicolo ultimato ma quando il motore non era completamente spento,

come si legge nella sentenza impugnata.

1.23 Con riferimento al caso di specie, anche a voler condividere l’arbitraria deduzione del

Giudicante secondo cui era un “esperto conoscitore del funzionamento dei motori

diesel”, l’essere astrattamente a conoscenza del funzionamento di un motore certo non

significa sapere che il freno a mano di un determinato veicolo di proprietà di terze persone è

inefficiente.

Tanto meno, significa essere in grado di prevedere le modalità con le quali il conducente del

mezzo procederà allo spegnimento del motore.

1.24 La persona offesa, confidando nella diligenza dell’imputato, ovvero nel fatto che

quest’ultimo, nello spegnere il motore, avrebbe attuato tutte le regole di condotta e posto in

essere i giusti accorgimenti al fine di non costituire pericolo, certo non poteva prevedere che il

avrebbe di contro incautamente rilasciato la frizione con la retromarcia inserita, causando il

sobbalzo all’indietro del furgone dallo stesso condotto.

1.25 E’ evidente come la persona offesa, nel proprio agire, abbia fatto ragionevole

affidamento nell’osservanza da parte del dei doveri di diligenza e prudenza

sussistenti in capo al medesimo in quanto conducente un veicolo.

1.26 Ciò non può essere in alcun modo posto a fondamento della asserita sussistenza del

concorso di colpa della persona offesa, come erroneamente ritenuto dal Giudice di primo

grado il quale, peraltro, lo ha quantificato nella misura del 40%, indubbiamente eccessiva.

1.27 A sostegno di quanto sopra affermato, giova ricordare che, secondo pacifica e

consolidata giurisprudenza, “il fondamento della responsabilità per colpa per inosservanza di

leggi, regolamenti, ordini o discipline consiste nel fatto che dette norme sono dirette a

prevenire eventi pregiudizievoli; in particolare, norme di comportamento come quelle sulla

circolazione stradale determinano anche un ragionevole affidamento sulla loro osservanza da

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parte di tutti gli utenti della strada”(Cass. Pen., Sez. III, sentenza del 21 maggio 1995,

n.5816).

*****

2.1 Ad ogni modo, anche nel caso in cui la condotta della vittima dovesse essere ritenuta

casualmente collegata all’evento dannoso, il che non è, la quantificazione del concorso di

colpa della persona offesa nel 40%, in ragione dei rilievi sopra svolti, è palesemente eccessiva.

*****

Per questi motivi, in riforma alla sentenza impugnata, vorrà la Corte d’Appello di

_____________:

- affermata l’esclusiva penale responsabilità dell’imputo in ordine al reato contestato,

condannarlo alla pena di giustizia ed all’integrale risarcimento di tutti i danni patiti dalle parti

civili, in solido con la responsabile civile la __________, da liquidarsi in separato giudizio,

accordando una provvisionale di euro 500.00,00 in favore di ciascuna delle parti civili, oltre al

pagamento delle spese di parte civile.

Luogo data

Avv.