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INDICE \\ 73 EDITORIALE \\ 74 PER LA PREGHIERA \\ 76 PROGETTO \\ 78 MISSIONE & MISSIONI \\ 80 PAROLE DI CORSA .01 Caro amico S i avvicina l’ora - ed è già compiuta - in cui la luce spezza le tene- bre, quelle tanto amate perché stendono l’oblio sul nostro male, procurato, subito, partecipato. «Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce» (Gv 3,19) perché le loro opere non venis- sero riprovate, perché identificavano se stessi con i loro peccati e iniquità. Viene l’ora - ed è già compiuta - in cui la luce sulla nostra realtà non fa più paura, non perché la realtà sia migliore di come credes- simo, ma perché è amata, salvata, e quindi sì, perché è migliore: non è sola, giudicata, abbandonata. Arriva l’ora in cui Lui, il Dio innalzato (Gv 12,20-33), conclude con noi un’alleanza nuova, e incide direttamente sul nostro cuore il suo amore: non su tavole di pietra, esterne, ma sui tessuti molli e allo stesso tempo tenaci del nostro nucleo vitale (Ger 31,31-34). Ecco l’ora in cui Lui attira tutti a sé. In cui conosciamo già e non ancora il nostro Signore. In cui scopriamo impressa in noi la sua immagine, e in Lui la nostra dimora. È forte, in quest’epoca ambigua di terrorismo, di crisi finanziarie, di pan- demie, di impoverimento e disparità crescenti, la tentazione di credere più alle tenebre che alla luce. Eppure Lui è qui, ci attira a sé, ci innalza con Lui. E a quelle persone che ci chiedessero «vogliamo vedere Gesù» possiamo indicarlo nel loro battito cardiaco, nell’ombra che le protegge, nell’alti- tudine a cui è attratto il loro spirito, nella vita morta che risorge, in ciò che di vero e bello già conoscono. Con l’augurio di sentire fortemente il desiderio di «vedere Gesù», buon cammino da amico. Luca Lorusso

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i avvicina l’ora - ed è già compiuta - in cui la luce spezza le tene-bre, quelle tanto amate perché stendono l’oblio sul nostro male,procurato, subito, partecipato. «Gli uomini hanno amato più letenebre che la luce» (Gv 3,19) perché le loro opere non venis-sero riprovate, perché identificavano se stessi con i loro peccati

e iniquità. Viene l’ora - ed è già compiuta - in cui la luce sulla nostrarealtà non fa più paura, non perché la realtà sia migliore di come credes-simo, ma perché è amata, salvata, e quindi sì, perché è migliore: non èsola, giudicata, abbandonata.Arriva l’ora in cui Lui, il Dio innalzato (Gv 12,20-33), conclude con noiun’alleanza nuova, e incide direttamente sul nostro cuore il suo amore:non su tavole di pietra, esterne, ma sui tessuti molli e allo stesso tempotenaci del nostro nucleo vitale (Ger 31,31-34).Ecco l’ora in cui Lui attira tutti a sé. In cui conosciamo già e non ancora ilnostro Signore. In cui scopriamo impressa in noi la sua immagine, e in Luila nostra dimora.È forte, in quest’epoca ambigua di terrorismo, di crisi finanziarie, di pan-demie, di impoverimento e disparità crescenti, la tentazione di crederepiù alle tenebre che alla luce. Eppure Lui è qui, ci attira a sé, ci innalzacon Lui.E a quelle persone che ci chiedessero «vogliamo vedere Gesù» possiamoindicarlo nel loro battito cardiaco, nell’ombra che le protegge, nell’alti-tudine a cui è attratto il loro spirito, nella vita morta che risorge, in ciòche di vero e bello già conoscono.

Con l’augurio di sentire fortemente il desiderio di «vedere Gesù»,buon cammino da amico.

Luca Lorusso

74 amico MARZO 2015

Tu Signore, mio sarto, sartodella comunità, rendimi capacedi essere nel mondo servendocon umiltà, perché se il filo sivede, il vestito è riuscito male. Rendimi amore in questa tuaChiesa, perché è l’amore chetiene insieme i pezzi.Guida: È l’umiltà che ci fa ringra-ziare il Signore per le necessitàpiù che per i doni, che ci fa ap-prezzare cose che, altrimenti,considereremmo solo fatiche.

Lettore 1: Troppo facile, Si-gnore, ringraziarti perché mi offril’acqua. Io vorrei ringraziarti perla sete.Non ti rendo grazie per il pane,ma per la fame.Non ti lodo per la luce, ma per ilbisogno di essa.

Lettore 2: Non ti dico grazie perl’amore, ma perché non possofare a meno dell’amore «vero».Non ti benedico per la strada, maper i passi che mi dai la voglia difare. Non ti sono riconoscenteper le risposte e le spiegazioni,ma per le domande. Ti ringrazio,non per l’incontro, ma per la ve-glia nel cuore della notte.Lettore 1: Non per il riposo, maper l’inquietudine.Non per l’appagamento, ma perl’insoddisfazione.

Non per il conforto, ma per lascomodità.Non per le sicurezze e le evi-denze, ma per il mistero.Lettore 2: Non per la scoperta,ma per l’avventura esaltante.Non per le certezze, ma per la ri-cerca rischiosa.Non per i risultati, ma per la pa-zienza ostinata.Non per la terra promessa, maper l’esodo.Lettore 1: Non per il dono, maper l’attesa.Non per la parola, ma per il si-lenzio che la prepara e la esige.Non per il traguardo raggiunto, irisultati conseguiti, ma per le in-finite partenze.Lettore 3: Dal Vangelo se-condo Luca (14,1.7-11)Breve momento di silenzio.Guida: Dio osserva il nostromodo di occupare i posti nellavita. Vogliamo il primo posto nellavoro, nella retribuzione, neiprivilegi. Ci rode l’invidia versochi è più avanti di noi e siamosempre in ansia! Gesù ci fa risco-prire la bellezza dell’umiltà comeatteggiamento profondo che ci

Per la preghiera

Ci si dispone in semicerchiodavanti all’altare. Al centro, una forma di pane.

Guida: Il cammino della quare-sima è segnato dall’ordinarietà.La vita di tutti i giorni si snodacon le sue piccole o grandi gioiee fatiche, con la routine di sem-pre. Certo, detto così suonaquasi come una condanna, so-prattutto laddove i frammentidella vita quotidiana stentano atrovare un senso unitario. Mauna frase del beato GiuseppeAllamano può aiutarci a riflet-tere: «Certa gente cerca semprecose grandi, straordinarie. Que-sto non è cercare Dio, perchéegli è tanto nelle cose grandicome in quelle piccole».Valorizzare l’ordinario, dare im-portanza a ogni momento dellagiornata, vedere nell’altro la pre-senza di Dio, apprezzare quelloche si ha, non dare per scontatoniente... Tutto ciò rende straor-dinaria la nostra vita.

Canto: CammineròTutti: Il filo del vestitoNella mia comunità, Signore,aiutami ad amare, ad esserecome il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi, enessuno lo vede se non il sartoche ce l’ha messo.

© Af

MC/E Balb

oni 2012

Straordinarinell’ordinario

Una traccia dipreghiera per la

quaresima.

di Valerio Trisciuzzi

libera e porta pace in noi e at-torno a noi. Lettore 1: Per umiltà cristiananon intendiamo volti tristi e garedi bassa autostima autolesioni-stica! Per umiltà vera pensiamoalla capacità di ridimensionarebisogni e ansie. Per umiltà inten-diamo la capacità di essere liberidi occupare anche l’ultimo postoperché abbiamo la certezza nelcuore che «gli ultimi saranno iprimi» per Dio. Lettore 2: Per umiltà intendiamola pace di scoprire che non tutti idifetti ci rendono detestabili ma,al contrario, possono essere lospazio di incontro con chi ci puòaiutare, e che i nostri pregi cipossono spingere a soccorrerechi non li ha. L’umiltà genera fra-ternità vera.Guida: Gesù è per noi modellodi umiltà da imitare. È morto e siè fatto pane per noi, e anche inquesto ci chiede di imitarlo: es-sere pane per gli altri.

Canto: Pane di vitaDurante il canto ciascun partecipante si avvicina alpane, ne prende un pezzettoe lo porge, tornando a posto,al suo vicino.

Tutti a cori alterniVoci femminili: Può essere bello,ma non è certo facile farsi pane. Voci maschili: Significa che nonpuoi più vivere per te, ma per glialtri. Vf: Significa che devi essere disponibile, a tempo pieno. VM: Significa che devi avere pa-zienza e mitezza, come il paneche si lascia impastare, cuoceree spezzare. Vf: Significa che devi essereumile, come il pane, che non fi-gura nella lista delle specialità;ma è sempre lì per accompa-gnare. Vm: Significa che devi coltivare latenerezza e la bontà, perchécosì è il pane, tenero e buono.Guida: Essere pane per gli altri èun’impresa impegnativa, anchese a volte lo siamo senza accor-gercene, perché pensiamo di

dover fare cose straordinarie, in-vece è nella semplicità del servi-zio che Dio ci guarda e ci reputaimportanti.Lettore 3: La serva che portaval’acquaIn un paese lontano c’era ungrande castello. Vista la suagrandezza, il re, per mantenerlosempre pulito, assunse molti ser-vitori. Tutti avevano un lavoro:c’era chi spaccava la legna, chiaccendeva tutti i lumi, chi racco-glieva i fiori e i frutti, chi cuciva,chi cucinava... e ovviamente chiandava al pozzo per prenderel’acqua. Alla sera, finiti i lavori,tutti i servitori si riunivano.Ognuno raccontava la sua gior-nata, e tutti si vantavano di averfatto qualcosa per il re, di averlovisto e di essere stato da lui rin-graziato. Marianna, era una ragazza dolcee solitaria, il suo compito era diportare acqua a chiunque lachiedesse, alla cuoca, al giardi-niere, allo stalliere, ai vari came-rieri personali del re; ma lei il renon lo vedeva mai. Ogni seraascoltava il racconto degli altri, esi rattristava sempre più: tutti lacriticavano, lei non faceva nullaper il re, e forse lui non sapevaneppure che esistesse. Marianna si sentiva inutile. Alloradecise che sarebbe andata viada quel castello: anche lei vo-leva essere qualcuno! E lì nonc’era posto per lei!Così fece, una sera andò via, maarrivata alle porte del castello ilguardiano la fermò e la portòdavanti al re. Il re la guardò eMarianna si sentì così piena divergogna che incollò gli occhi alpavimento per non guardarlo infaccia. Ma il re, che era una per-sona dolcissima, si sedette ac-canto a lei, e volle sapere il per-ché della sua fuga. Marianna glidisse che si sentiva inutile, glispiegò che era criticata da tutti,e che tutti l’accusavano di nonfare nulla di veramente utile perlui. Il re le disse: «Marianna tu seila serva più importante di tutto ilcastello! Senza di te credi forseche gli altri potrebbero farmi fe-lice? Senza acqua non possonopreparare il mio cibo, il mio ba-

gno, non possono dissetarmi,non potrebbero pulire il mio ca-stello. Tu qui sei essenziale, an-che se non te ne rendi conto!Non badare a cosa dicono gli al-tri, tu per me sei importante!».Marianna pensò a quello chedisse il re e rimase al castello, equella sera quando le chieserocom’era andata la sua giornata,sorridendo rispose: «Oh, io sonosolo la serva che porta l’acqua!».Tutti: Umiltà è scendere dal pie-distallo che mi sono messo sottoo che altri mi hanno messosotto, in modo da poter strin-gere le mani e guardare gli altrinegli occhi.Umiltà è spogliarmi di cariche, ti-toli e ruoli per essere nudo e de-bole. Solo così chi vuole amarmirealmente riesce a raggiungereil mio cuore.Umiltà è ascoltare il profondobisogno che ho di Dio supe-rando la tentazione di fare sem-pre da solo.Umiltà è scoprire che salgo lascala verso Dio solo se scendoquella del servizio.Umiltà è scoprirmi bello allospecchio non perché perfettosecondo i canoni dei mass me-dia, ma perché Dio mi ama così.Canto: Ecco la strada

Valerio Trisciuzzi

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Elis

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76 amico MARZO 2015

Progetto Tanzania

Imissionari della Consolata, su richiesta dellapopolazione, hanno avviato un progetto dicreazione di una scuola secondaria a Mafinga,

nella regione di Iringa.

LA SCUOLA IN TANZANIALa scolarizzazione primaria rientra tra gli obiet-tivi del governo tanzaniano allo scopo di fornireagli studenti capacità e conoscenze utili per losviluppo del paese e, in particolar modo, dellearee rurali. L’istruzione secondaria è invecemolto meno sviluppata, frequentata solo dal 2%di coloro che finiscono la primaria. Le difficoltàdi accesso e di proseguimento sono dovute siaalla scarsa possibilità di pagare le tasse d’iscri-zione, sia alla poca facilità di trovare un lavoroalla fine del ciclo di studi. È quindi in aumento ilnumero di bambini che lavorano perché le fami-glie non sono in grado di sostenere i costi deglistudi, e quello dei ragazzi o ragazze che inter-rompono gli studi per spostarsi nelle città alla ri-cerca di lavoro che assicuri la sopravvivenza oche permetta di pagare la retta scolastica.In Tanzania, le scuole secondarie si dividono inquattro categorie: agricoltura, commercio, tec-nica ed economia domestica, e sono ancora inlarga parte organizzate in scuole femminili escuole maschili.

LA REGIONE DI IRINGALa regione di Iringa è localizzata nell’altopianoCentrale della Tanzania. Secondo la Banca Mon-diale, il 57,6% della popolazione di questa re-gione vive sotto la soglia di povertà, contro unamedia nazionale del 51,1%. Nonostante i note-voli investimenti fatti dal Governo Centrale perassicurare la fornitura di acqua potabile allezone rurali, solo la metà della popolazione diqueste (da notare che la popolazione rurale rap-presenta l’80% del totale nazionale) ha accessoa un’affidabile fornitura di acqua.L’economia dipende in gran parte dall’agricol-tura che pesa per circa il 60% del Pil, costituiscel’85% delle esportazioni e impiega l’80% dellaforza lavoro. Le condizioni geografiche e climati-che limitano i campi coltivati al 4% del territorio.L’industria pesa circa il 10% del Pil ed è preva-lentemente limitata alla trasformazione dei pro-

Ecco il nuovo progetto Amico Scuola Mafingaper il Tanzania dedicato all’avvio di una nuovascuola secondaria dei missionari della Conso-lata a Mafinga, zona povera e priva di istituti d’i-struzione secondaria.

Sostieni anche tu quest’iniziativa.Versa un contributo tramite il bollettinoallegato alla rivista o tramite internetspecificando la seguente causale:AMICO. Progetto Scuola Mafinga Tanzania.Per altre info visita il nostro sito:amico.rivistamissioniconsolata.it

TITOLO PROGETTOAcquisto dei libri di testo per i 75 studentidella scuola secondaria di Mafinga, Tanzania.

OBIETTIVICreare nella zona di Mafinga, regione di Iringa,in Tanzania, un’opportunità di studi di livellosecondario per i ragazzi che non possono per-mettersi di spostarsi in altre aree. In partico-lare, attraverso l’acquisto dei libri di testo dellenove discipline insegnate.

Geografia (75 libri): 338 EuroStoria: 357 EuroEducazione civica: 468 EuroInglese: 375 EuroFisica: 375 EuroMatematica: 375 EuroChimica: 375 EuroBiologia: 637 EuroLingua Kiswahili: 357 Euro

contributo totale richiesto: 3.657 Euro

RESPONSABILEP. Kwajaba Vedastus - [email protected] ya ConsolataPO Box 297 Mafinga - Tanzania

Una scuolaper il Tanzania

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LA NUOVA SCUOLA SECONDARIADELLA CONSOLATALa scuola secondaria della Consolata a Mafingaha iniziato le sue attività il 3 gennaio 2015 con ilprimo anno. Si utilizzerà la struttura del Conso-lata Seminary per qualche tempo, fintanto che ifondi non permetteranno di costruire una strut-tura nuova. La nuova Scuola Secondaria dellaConsolata conta circa settantacinque studenti esei insegnanti di nove discipline. È fornita di aulee dormitorio per tutti gli alunni. Nella zona nonci sono altre scuole di questo genere.

IL PROGETTO, GLI OBIETTIVI• Gli alunni iscritti per il primo anno vengonodalle famiglie meno fortunate della zona.• Il progetto di Amico consiste nel fornire i libridi testo necessari per tutti gli alunni.• L’obiettivo è quello di arricchire gli alunni concapacità, esperienza e qualificazione per affron-tare la vita.• Favorire l’acquisizione da parte degli alunni diun efficace metodo di studio.• Favorire nell’alunno la ricerca delle informa-zioni utili ai fini dell’orientamento personale,rendendo ciascuno autonomo nella scelta dellapropria strada.• Aiutare l’alunno ad acquisire consapevolezzadella realtà. • Rimuovere difficoltà cognitive limitanti.• Sviluppare le potenzialità individuali.• Pervenire alla lettura come abito mentale ecome fruizione critica dei testi letti.• Promuovere negli alunni la motivazione allalettura e al piacere del leggere.• Far vivere la lettura come attività libera, checoinvolga il ragazzo cognitivamente ed emotiva-mente.• Gli alunni possono imparare i mezzi per com-battere povertà e problemi sanitari, particolar-mente l’Aids.• Grazie alla scuola, i ragazzi possono imparare imezzi pratici per risolvere le sfide sociali.• I ragazzi potranno interagire con l’ambientenaturale e sociale che li circonda e influenzarlopositivamente.• La scuola potrà educare i ragazzi dopo lascuola primaria sia nell’ambito spirituale che in-tellettuale.

FASI DI REALIZZAZIONE1. Mettere in ordine una stanza per conservare ilibri di testo.2. Attrezzare la stanza con scaffali.3. Mettere una tavola e quaderni per registrare ilibri quando sono pronti.4. Quando avremo gli aiuti, inizieremo a com-prare i libri, registrarli e metterli in ordine nellastanza prima di distribuirli agli alunni.

Vedastus Kwajaba, Imc

dotti agricoli. Il bilancio dello stato è gravato daun pesante debito pubblico, che limita la possi-bilità di attuare riforme strutturali.

IL DISTRETTO DI MAFINGALa provincia di Mafinga è uno dei sette distrettiamministrativi della regione di Iringa, nelle zonemontuose meridionali della Tanzania che degra-dano sulla valle del Ruaha. Comprende più di100 villaggi ufficiali, con una popolazione di250.000 persone nella sola provincia rurale a cuisi aggiungono i 410.000 abitanti della città.I missionari della Consolata hanno iniziato lascuola secondaria all’interno del loro seminariodi Mafinga con l’intento di favorire i ragazzi chevengono dalle famiglie povere.Le attività economiche di allevamento e agricol-tura a Mafinga sono appena sufficienti per unapura sussistenza del nucleo che le mette inopera e non consentono alcuna marginalità perl’apertura di attività di commercio. La maggiorparte delle abitazioni sono costruite in argillacon tetti di paglia. Alcune sono in mattoni. Po-chissime sono provviste di tetti in lamiera.

New Course/Flickr.com

Camfed/Flickr.com

78 amico MARZO 2015

di Ramona BalintMissione & Missioni

Per me e il mio compagno Daniel il viaggiomissionario dell’estate scorsa in Mozam-bico non è stato soltanto un’esperienza di

gruppo, ma anche di famiglia. Questo perché,anche se avevamo pianificato di andare in due,un paio di settimane prima della partenza ab-biamo scoperto che saremmo stati in tre.Le due esperienze, la missione e la gravidanza,inizialmente ci sono sembrate escludersi a vi-cenda, però le rassicurazioni del medico - e so-prattutto quelle di padre Nicholas Muthoka - cihanno dato forza e fiducia nel nostro cammino.Certamente non tutti i nostri conoscenti hannocondiviso la decisione, considerandoci folli e ir-responsabili. Però noi sapevamo che a Mapinhane saremmo stati circondati dai padri edalle sorelle missionarie, che avremmo avuto ilsostegno del gruppo, e che avremmo avuto Dioogni giorno in mezzo a noi nella preghiera. Cosaci poteva succedere di male?Una volta arrivati in Mozambico, ho cercato diessere più previdente possibile e ho anche sen-tito che alcune cose non potevo farle insieme aicompagni di missione, sia per spossatezza cheper proteggere il piccolino.Il mio più grande dispiacere è stato il fatto che,secondo il medico, dovevo evitare di staretroppo vicino ai bambini piccoli o malati, cosa

che andava contro imiei istinti.In ogni caso, anche senon ho potuto gio-care a calcettocon gli altricome mi sa-rebbe pia-ciuto, o ar-rampicarmisugli alberi,ad esempioper andare aprendere ilpiccolo Alifiadoche non riuscivaa scendere, hoavuto l’occasione diosservare le realtà delposto. Ho potuto conoscerealcune delle ragazze dell’internato, condividerecon loro sogni e desideri, sentire le loro opinionisulla vita, il matrimonio e la famiglia. Prima diandare in Mozambico non pensavo che tra i ra-gazzi africani ci fossero tante persone con vogliadi studiare, di andare all’università e di fare car-riera come noi. Mi rattrista pensare che tra letante, purtroppo solo poche avranno davvero

Aspettare un bimbo...e andare in Africa

Nell’estate del2014 un gruppo di

giovani ha fatto un’e-sperienza missionaria inMozambico. Tra loro an-che un bimbo non ancoranato, anzi, da poco con-cepito. Ecco le riflessioni

di chi lo portava inAfrica nel suo

grembo.

© Af

MC/R Balint 2014

MARZO 2015 amico 79

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l’opportunità di far valere il loro talento.Ho potuto intendere più profondamente anchela realtà delle suore che si prendevano cura dinoi con tantissima gentilezza e ci cucinavanosempre tanti cibi deliziosi. Purtroppo quello chepreparavano per noi era probabilmente più so-stanzioso di quello che mangiavano loro e lequattro ragazzine di cui si prendevano cura nellaloro casa di paglia. Suor Francelinha e suor Fer-nanda non hanno niente di valore materiale: laloro più grande ricchezza è la piccola cappelladove vanno a pregare, curata come un gioiello.E non pregano per avere l’elettricità o un lettopiù morbido, per alleviare il mal di schiena chemagari sentono. No. Per loro i più grandi dolori,nascosti nel fondo dell’anima, dietro a delle per-sonalità sempre solari e benevole, sono quellodi non poter vivere in un convento e quello dinon poter dare l’opportunità alle ragazzine di ri-unirsi ai loro lontani familiari, che non vedono daquattro anni a causa di trasporti troppo cari.Nel contesto della nostra esperienza missionariami sono resa conto dell’importanza e del valore

di ciascun membro del gruppo, perché in qual-siasi occasione ciascuno riusciva a individuareuna maniera in cui donarsi per rendere la situa-zione più leggera e piacevole. Che si trattasse dicucinare, pulire, accudire i malati, o semplice-mente giocare con i bambini. Così ho potuto os-servare la crescita dei miei compagni: dalla teo-ria alla pratica infermieristica, dalla paura di po-vertà e miseria all’abbraccio dei malati, dalla vitapiena di tanti «amici» alla capacità di fare qual-siasi cosa per strappare un sorriso ai piccoli mal-nutriti.Tornata a casa, ho portato con me i valori acqui-siti nel gruppo, le virtù delle suore, i sorrisi deibambini e le sfide dei ragazzi. Ho ritrovato i mieiamici che mi hanno subito fatto l’elenco dellecose di cui il mio bambino avrà «assolutamente»

bisogno, pronunciando parole come fa-sciatoio, navicella, perette e altre di cuiancora non conosco il significato, mache indicano cose che «non possonomancare». Ma io penso: perché nonpotrei farcela anche senza tutti que-sti oggetti? Ho già tutto quello chemi serve e so che nostro figlio cre-scerà molto bene con i principi dimamma e papà, con tanto amore, ela Provvidenza, che è viva anche danoi, non soltanto in Africa!

Ramona Balint

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MC/M Pale

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© Af.MC/M. Palestro

Maddalena/Flickr.com

80 amico MARZO 2015

Parole di corsa

Non esistendo le scuole medie superiori nei din-torni, entro nel Piccolo Seminario dei Missionaridella Consolata a Biadene. È in questo ambienteche matura la vocazione sacerdotale e missiona-ria. Il contatto con i missionari reduci dall’Africa, iloro racconti e avventure, fanno nascere nel miocuore una passione, un desiderio di realizzare lamia vita in Africa.Continuo gli studi nelle diverse case dell’Istituto:noviziato a Bedizzole, filosofia a Rosignano, teo-logia in Canada. Ottenuta la licenza in pastorale,sono ammesso al sacerdozio e destinato alloZaire, l’attuale R. D. Congo. Ordinato sacerdotein settembre, sono in Zaire in novembre.2. 1974-1987: missione nell’Alto Zaire a Ban-gadi. I missionari della Consolata, nel 1974, lavo-rano da quasi due anni nella diocesi di Wamba enella diocesi di Dungu Doruma. Io arrivo nellamissione di Bangadi (Dungu Doruma). La vita tra-scorre «errando» da un villaggio all’altro per in-contrare le piccole comunità cristiane sparse inun territorio senza frontiere. Vengo a contattocon le tradizioni ancestrali, le abitudini e usi degliAzande: una ricchezza di conoscenze e di valoriche mi permettono di penetrare in profondità l’a-nima africana...Per raggruppare i giovani che vivono nella sa-vana, organizzo un villaggio «a taglia umana» incui sono presenti i servizi essenziali alla vita:

Padre Santino, lei ha celebrato 40 anni di sacerdozio e 40 anni di presenza in Congo. Sentimenti a caldo?La cifra tonda riempie il cuore di magia. Innalzol’inno di lode al Signore con un infinito grazie.Voglio dire grazie anche all’Istituto: in questa co-munità religiosa ho realizzato la mia vita di sacer-dote e di missionario. Nei volti dei confratelli co-nosciuti ho scoperto la serenità di una vita messaa disposizione; con loro ho nutrito la «mia mis-sione» di creatività, impegno e coraggio. Hoamato e amo la missione. Quarant’anni di sacer-dozio e quarant’anni di missione: coincidono. Èesaltante, è bello… è tutta la vita!

Ci racconta in breve la sua vita missionaria?Sì. Quattro periodi l’hanno segnata.1. L’infanzia e la gioventù. Sono nato a Pede-robba (Treviso) un bel giorno del mese di giugnodel 1946, quando il sole e la creazione erano infesta. Sono venuto al mondo per rallegraremamma Assunta e papà Albino che, anche nellapovertà, volevano dare un fratellino alla piccolaLina nata nelle ristrettezze della guerra. La fami-glia, governata dal nonno Giuseppe possiede unlotto di terreno e qualche mucca che le permettedi vivere. Cresco frequentando la scuola elemen-tare del paese e la parrocchia nei vari gruppi d’a-zione cattolica.

di Chiara Viganò

Padre Santo Zanchetta, nato il 29 giu-gno 1946 a Pederobba,Treviso, è missionario in

Congo R. D. da quattro decenni.Sua ultima missione in ordine ditempo è quella di St. Hilaire,

nella periferia della grande ca-pitale Kinshasa. Una delle«periferie» di cui papaFrancesco parla pen-sando alla missione.

40 anni di missione: possibile, fattibile

© Af

MC/S Zanchetta

MARZO 2015 amico 81

chiesa, scuola, maternità, dispensario, laborato-rio meccanico, di cucito, cooperative agro com-merciali. L’esperienza dura 13 anni.3. 1987-2001: a St. Mukasa (Kinshasa). La perife-ria di Kinshasa, a un missionario che ha conosciutogli spazi della savana, una cultura semplice e pe-netrabile, fa paura. Il carattere della gente dellacittà, le tradizioni e gli usi adattati alla mentalitàdella città, rende esitante anche un esperto. Ècon pazienza e curiosità, con il desiderio di assimi-lare questa mentalità, che mi avvicino, che studiol’ambiente per trovare una maniera di dare il me-glio di me stesso e creare con la comunità cri-stiana locale delle strategie di pastorale adattata.Da questa esperienza nascono le Cevb (comunitàecclesiali di base) dei giovani, il gruppo Minzoto(per i bambini di 7-10 anni), il gruppo Bakanja (pergli adolescenti di 13-15 anni), il gruppo Agar (perle ragazze madri). La «programmazione pasto-rale» diventa uno strumento di crescita della co-munità. La parrocchia è agli inizi. Nascono così lescuole, il Centro di recupero delle ragazze e deiragazzi, la sala polivalente. Nel quadro dello svi-luppo viene concepito il progetto «vendita mais»,la strada che collega l’arteria principale alla par-rocchia è continuamente rinnovata, delle cabineelettriche installate, la rete dell’acquedotto pro-lungato. È un ricco periodo di spiritualità pasto-rale e di sviluppo.4. Dal 2001 a St. Hilaire. Nel 2000, la Diocesi diKinshasa affida ai missionari della Consolata ilterritorio di St. Hilaire, nella parte Est della città.Sono nominato parroco nel settembre 2001. Laparrocchia nasce dal nulla e prende un volto pro-prio.St. Hilaire è oggi una bella realtà, una comunitàche vuol crescere. Nelle sue problematiche: disoccupazione, gioventù senza lavoro, non sco-larizzata, segnata da delinquenza e prostituzione;la parrocchia è luce di vita, di fraternità. Le opereparlano: chiesa, canonica, cabina elettrica, centro

di recupero per ragazze e ragazzi non scolarizzaticon apprendistato di mestieri, sala polivalente,ponte, pozzo per l’acqua...

Oggi è quindi nella periferia di Kinshasa. «Periferia» è una parola chiave per il papa,quando parla di evangelizzazione.Com’è la «sua» periferia?I problemi che ci angosciano sono immensi.Problemi sociali come la disoccupazione (il 54%delle persone in età da lavoro), la bassa scolariz-zazione (il 47% dei bambini non frequentano lascuola), la mancanza di acqua potabile (solo il64% vi accede), di elettricità (il 14%), di trasportipubblici, la difficoltà per i giovani di sposarsi, siaper mancanza di lavoro, sia per la dote esorbi-tante. Le conseguenze morali, soprattutto pressola gioventù, sono la prostituzione, il banditismo,la droga, il fenomeno delle ragazze madri (67%delle ragazze dai 15 ai 20 anni sono ragazze ma-dri), l’aborto (il 20% per cento delle ragazzeabortisce), i ragazzi di strada (il 30% dei ragazzi distrada di Kinshasa sono originari dei nostri quar-tieri). Le conseguenze psicologiche invece sonola mancanza di ideali che permettano di vivere daprotagonisti la propria vita, la proiezione nel so-gno della «vita comoda» in Europa, la ricerca di«strade facili» come la corruzione, i miracoli pro-posti dalle sette religiose, il disimpegno sociale ecomunitario.Poi ci sono i problemi religiosi: la paura dell’invi-sibile che porta a interpretare in senso magicotutte le disgrazie della famiglia e personali; laproliferazione delle chiese/sette con uno stile dipreghiera più chiassosa e danzante, ma che rela-tivizzano l’appartenenza alla Chiesa e promuo-vono il disimpegno sociale e l’abbandono dellapratica religiosa; il ricorso a maghi, a esorcisti, aguaritori per trovare la soluzione a malattie e disgrazie; una preghiera magica praticata anchedai cristiani che frequentano la parrocchia.

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Quali sono le sue preoccupazioni?Sono tantissime. L’obiettivo del nostro lavoro èdi far crescere la comunità affinché, nella sua vi-vacità spirituale, liturgica, formativa, diventi fer-mento di vita del quartiere.Dal punto di vista umano è preoccupazione delmio cuore che tutti coloro che non frequentanola scuola, possano imparare a leggere e scriveree quindi un mestiere. È difficile accettare che il46% dei giovani non sappiano manipolare unapenna biro o leggere un testo. Saranno sempregli emarginati della vita, in balia dei più scaltri.Dal punto di vista della salute siamo preoccupatiper l’alto tasso di mortalità infantile. Esso è do-vuto all’insalubrità dell’ambiente e alla pocaeducazione all’igiene. Ma è anche dovuto allamancanza di mezzi finanziari per le cure mediche.I bambini sono sempre i primi a pagare il conto.

Quali sono le sfide della missione nel suo am-biente?Le sfide sono tante. I giovani attirano tutte le no-stre attenzioni. Il quartiere è essenzialmente abi-tato da giovani: il 60% della popolazione hameno di 20 anni. Cova nel loro spirito una menta-lità rischiosa: riuscire nella vita a ogni costo e conqualsiasi mezzo. Si formano così bande che com-mettono atti di violenza, latrocini. Si accentua laprostituzione come ricerca di mezzi finanziari peri propri bisogni personali. La corruzione a tutti ilivelli è il pane quotidiano: dalle note scolastiche,all’ottenimento di diplomi, ai dossier burocratici.Vivere nel febbrile tentativo di realizzare sogni,come quello di andare in Europa, dove il denarofacile pagherà tutto.In attesa di realizzare i sogni impossibili, essi vi-vono in maniera disordinata la loro crescita, letappe dell’amore, ipotecando la loro formazioneumana e intellettuale. La scuola, a causa del co-sto, è diventata selettiva.Il matrimonio tra i giovani diventa un sogno a oc-chi aperti. Le condizioni economiche delle fami-glie, il costo della dote, l’impossibilità di co-struire o trovare la casa, differiscono il sogno neltempo, fino all’infinito. I giovani sono obbligati a

vivere l’amore con incontri rischiosi, e sovente sitrovano con la responsabilità di una maternitàsenza averne i mezzi e la voglia.Il quartiere sforna una miriade di ragazzi di stradache vanno a vivere le loro avventure in centrocittà, alla stazione o ai mercati pubblici.

Come essere significativi con la vostra pre-senza?Vivendo in armonia e collaborando con il clerolocale in tutte le iniziative e programmi. La chiesalocale sta crescendo numericamente e in qualità.Con la nostra presenza, noi offriamo esperienza,idee, animazione. Proponiamo documentazioneper la formazione dei catechisti, per la pastoralegiovanile, delle famiglie... Il nostro stile di farepastorale diventa sorgente di idee. In parrocchiaabbiamo creato due centri di recupero per gio-vani ragazze e ragazzi: un modo per avvicinarci aloro e invitarli a non perdere il treno della vita.

Un desiderio del suo cuore?Ho sempre voluto comunicare «ai missionari piùgiovani» l’esperienza, l’entusiasmo, la creatività,il vedere in grande la missione, la pastorale. Mipiacerebbe vedere i missionari giovani innamo-rati della missione. Mi piacerebbe che i giovanimissionari, di cui tanti sono africani, aiutasseronoi «vecchi» missionari a scoprire le nuove sfide,le esigenze attuali, i nuovi risvolti della missione.È mio vivo desiderio che i giovani della parroc-chia trovino un modo per inserirsi nella vita, cheprendano in mano la loro esistenza. Noi noncambiamo la realtà con un incantesimo, ma conla trasformazione dei loro cuori e attraverso illoro coraggio di buttarsi. Per questo abbiamoaperto i Centri di ricupero dei giovani non scola-rizzati. Perché imparando un mestiere non si sen-tano emarginati dalla vita. È possibile, è fattibile.

Chiara Viganò

P OLEGIOVANI

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