Indice - Accademia dei Rozzi · 2015. 9. 23. · appassionato di arte senese. Della Valle,...

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Indice PIERO TOSI, L’Europa delle Università . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 RICCARDO FRANCOVICH -FRANCO V ALENTI, Siena ed il rapporto con l’archeologia Tra scavi e tecnologia degitale per una nuova dimensione culturale della città . . . . . . . . . » 25 ROLANDO FORZONI, Montaperti.Tra storia e leggenda . . . . . . » 15 SIMONETTA LOSI, Cenni storico letterari sulle origini del vernacolo senese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21 MENOTTI STANGHELLINI, Un sonetto di Rustico e l’importanza delle commedie popolari senesi del Cinquecento ........... » 25 MARTINA DEI, Pecci, Della Valle e Faluschi .................. » 27 SILVIA RONCUCCI, Antonio Manetti e la rinascita dell’intaglio a Siena nel XIX secolo ................................ » 31 ENZO BALOCCHI, Siena 1920. Legnate e ordini del giorno . . . » 40 Eventi I corrieri del Mangia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46 Sepolcri a Siena tra Medioevo e Rinascimento . . . . . . . . . . . » 48 Restaurato il Costituto senese del 1309 . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 Accademia Senese degli Intronati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 Accademia Senese dei Fisiocritici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Additare le parzialità e dimostrare gl’abbagli . . . . . . . . . . . » 54 Disegni e stampe in Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57 Icilio Federico Joni e la cultura del falso tra Otto e Novecento » 59 Fuori dal Coro Il futuro del Santa Maria della Scala e altre storie . . . . . . . » 61 Rileggendo la Divina Commedia.Ammiragli o smiragli? . . » 63

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  • Indice

    PIERO TOSI, L’Europa delle Università . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1

    RICCARDO FRANCOVICH - FRANCO VALENTI, Siena ed il rapportocon l’archeologia Tra scavi e tecnologia degitaleper una nuova dimensione culturale della città . . . . . . . . . » 25

    ROLANDO FORZONI, Montaperti.Tra storia e leggenda . . . . . . » 15

    SIMONETTA LOSI, Cenni storico letterari sulle originidel vernacolo senese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21

    MENOTTI STANGHELLINI, Un sonetto di Rustico e l’importanzadelle commedie popolari senesi del Cinquecento . . . . . . . . . . . » 25

    MARTINA DEI, Pecci, Della Valle e Faluschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 27

    SILVIA RONCUCCI, Antonio Manetti e la rinascita dell’intaglioa Siena nel XIX secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31

    ENZO BALOCCHI, Siena 1920. Legnate e ordini del giorno . . . » 40

    Eventi

    I corrieri del Mangia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46

    Sepolcri a Siena tra Medioevo e Rinascimento . . . . . . . . . . . » 48

    Restaurato il Costituto senese del 1309 . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49

    Accademia Senese degli Intronati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49

    Accademia Senese dei Fisiocritici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 50

    Additare le parzialità e dimostrare gl’abbagli . . . . . . . . . . . » 54

    Disegni e stampe in Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57

    Icilio Federico Joni e la cultura del falso tra Otto e Novecento » 59

    Fuori dal Coro

    Il futuro del Santa Maria della Scala e altre storie . . . . . . . » 61

    Rileggendo la Divina Commedia.Ammiragli o smiragli? . . » 63

  • Tra la metà del Settecento ed i primi an-ni dell’Ottocento Siena conobbe un perio-do estremamente vivo nell’ambito della let-teratura artistica. Nel giro di poco più di uncinquantennio uscirono infatti ben due gui-de della città ed un’opera sulla storia dell’ar-te senese in tre tomi.

    I protagonisti di queste vicende letterariefurono Giovanni Antonio Pecci, che pub-blicò nel 1752 una guida, la Relazione dellecose più notabili della città di Siena (poi ristam-pata con un titolo differente e leggermenterimaneggiata nel 1759 e nel 1761),Guglielmo della Valle, letterato piemontese,autore sul finire del Settecento delle LettereSanesi, e Giovacchino Faluschi che pub-blicò, quasi contemporaneamente all’operadi della Valle, una Breve relazione delle cosenotabili della Città di Siena, cioè un’altra gui-da, anche questa edita nuovamente nel1815.

    Pecci nella sua opera si ricollegava espli-citamente alla tradizione della letteraturaperiegetica ma non dimenticava la sua ‘vo-cazione’ nei confronti dell’indagine storica.Egli si scusava infatti di non aver potuto de-dicare alla storia ed ai monumenti maggiore

    spazio, ma purtroppo il genere da lui sceltoimponeva una certa “brevità” utile per i“Forestieri, che non potendo a lungo tratte-nersi, osservano solo superficialmente ciò,che avanti gli occhi loro si presenta”.

    La passione di Pecci per l’arte traspareanche da una raccolta universale di tutte l’iscri-zioni, arme, e altri monumenti, opera rimastamanoscritta e frutto del lavoro, intrapresodall’erudito, di trascrizione di documentied iscrizioni. Proprio questi volumi mano-scritti furono ampiamente sfruttati dal frateminore Guglielmo della Valle, letterato pie-montese, senese di adozione, attivo sul fini-re del Settecento per illustrare con le sueLettere Sanesi (1782-86) l’arte di Siena.

    Della Valle, arrivato a Siena nel 1779,non conobbe Pecci (morto nel 1768), ma neconobbe a fondo l’attività di storico attra-verso la mediazione di Giuseppe Ciaccheri,il famoso Bibliotecario della Sapienza edappassionato di arte senese. Della Valle, in-fatti, al suo arrivo a Siena per leggere teolo-gia nel convento di S. Francesco, conobbequesto poliedrico personaggio ed entrò a farparte del gruppo di letterati che ruotavanointorno a lui. Ciaccheri era infatti in relazio- 27

    Pecci, Della Valle e Faluschidi MARTINA DEI

    Frontespizio del laguida di Siena diGiovanni AntonioPecci, primo tentativodi un’organica descri-zione del patrimonioartistico senese.

    Frontespizio del laguida di Siena redat-ta da GioacchinoFaluschi per ampliarela precedente operadel Pecci.

  • ne con molti eruditi senesi e non, fra i qualic’era anche il figlio di Giovanni Antonio,Pietro Pecci e da lui aveva avuto la possibi-lità di studiare i manoscritti del padre.

    L’abate era profondamente convinto del-la validità delle ricerche di GiovanniAntonio Pecci e dell’importanza dei suoimanoscritti, tanto che aveva cercato di sco-raggiare Pietro, che lui riteneva “pieno dibuone intenzioni, ma [...] duro più di unmacigno”, dal “dare alla luce tre tomi del FuCav. Antonio Pecci alfabeticamente dispo-sti”1 accrescendoli con materiale proprio.

    E come dargli torto se il figlio, per pre-sentare la guida di Giovanni Antonio, usavaqueste parole: “Le frequenti e forse tropperistampe del dettaglio delle cose notabili diSiena assicurano la utilità di quest’opera”2.Ciaccheri, convinto del pessimo servizioche Pietro avrebbe reso all’opera del padrepubblicandola secondo la sua visione, pen-sava invece che i manoscritti sarebbero statimolto più utili a Guglielmo della Valle, chelui aveva scelto per illustrare l’arte senese.

    La prova dell’utilità di quest’opera perdella Valle si ha all’inizio del secondo deitre volumi delle Lettere Sanesi. Qui infatti ilpiemontese inserì un commento sull’atti-vità di storico ed erudito di Pecci. Egli ebbedelle parole di stima sincera per la raccolta eciò che apprezzò di più fu che il letterato a-vesse riportato “fedelmente l’iscrizioni” nonvariando “neppure una lettera”3. Questi duescrittori erano accomunati infatti dall’ideamolto moderna e derivata da LudovicoAntonio Muratori, che i documenti e le te-stimonianze materiali fossero vere e proprieprove storiche e che quindi fosse indispen-sabile studiarle e riportarle fedelmente.

    Non stupisca che, nel commento, laRelazione non venga citata da della Valle trale opere da lui utilizzate; essa era infatti uncompendio di notizie rivolto ad un pubbli-

    co non specializzato e, come lo stesso Pecciaveva tenuto a dire, non aveva l’idea di ap-parire approfondita ed esaustiva.

    L’opera di della Valle, invece, era rivoltaad un pubblico di ‘intendenti’ e si propone-va tutt’altro. Essa non si prefiggeva infatti diaccompagnare il ‘Forestiero’ in giro per lacittà, ma faceva ciò che Pecci nella sua pre-fazione aveva detto di non aver potuto fare,cioè fornisce una “ampia descrizione dellastoria, de’ Monumenti più rari” 4.

    Non va dimenticato poi l’indubbio me-rito di della Valle nei confronti dell’arte se-nese. Egli fu il primo a formulare, in un’o-pera a stampa, l’idea che gli artisti senesi a-vessero dato vita ad una vera e propria‘scuola’ con caratteristiche peculiari rispettoagli altri centri e totalmente indipendenteda quella fiorentina.

    Lo scopo del letterato piemontese (con-trariamente a quella che è l’opinione comu-ne su di lui) non era però rinfocolare le an-

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    1 ALFONSO PROFESSIONE, Una polemica contro il let-terato senese Antonio Pecci, in “Bullettino Senese diStoria Patria”, vol. I, Siena 1894, p. 221.

    2 PIETRO PECCI, Elogio istorico del Cav. GiovanniAntonio Pecci illustrato con note di varie maniere, Lucca1768, pp. 20/21.

    3 G. DELLA VALLE, Lettere Sanesi del Padre M.Guglielmo della valle Minore Conventuale Socio

    dell’Accademia di Fossano sopra le Belle Arti, tomo II,Roma 1785, p. 32.

    4 GIOVANNI ANTONIO PECCI, Relazione delle cose piùnotabili della città di Siena sì antiche, come moderne, de-scritta in compendio dal Cavaliere Gio. Antonio PecciPatrizio della medesima Città. A benefizio de’ Forestieri, edegl’Intendenti di tali materie, Siena 1752, p. IV.

    Ritratto di Guglielmo della Valle in un’incisione ottocentesca.

  • nose controversie campanilistiche tra Sienae Firenze sull’assegnazione del primato nel-la rinascita dell’arte, ma anzi il suo intentoera collocare gli artisti senesi al loro giustoposto nella ‘storia’. Ed effettivamente leLettere Sanesi ebbero il merito di segnare undiscrimine importante per la storia dell’artesenese e non, e per dirla con le parole diGiovanni Previtali: “L’ingegno critico deldella Valle era passato come una trombamarina sulle acque stagnanti della storia del-l’arte italiana”5. Molti furono infatti i criticiche dovettero fare i conti con gli studi delfrate, primo fra tutti Luigi Lanzi.Quest’ultimo non solo inserì nella suaIstoria pittorica della Italia (1795/96) un capi-tolo sulla ‘scuola senese’, ma fece anche am-pio uso della documentazione estremamen-te vasta prodotta nell’opera. Dopo l’appari-zione della Istoria pittorica, però, vennero al-la luce numerosi errori, soprattutto attribu-tivi, commessi da della Valle, e ciò fece sìche i suoi scritti acquistassero una certa fa-ma di parzialità e che fossero da quel mo-mento sfruttati unicamente come ‘fonte’.

    Quanto sia stata immediata e generaliz-zata la sfortuna delle Lettere Sanesi si puòchiaramente vedere se si confrontano le dueedizioni della Breve relazione delle cose notabilidella Città di Siena di Giovacchino Faluschi,uscita nel 1784 e, riveduta e corretta, nel1815.

    L’opera riprende, sia negli intenti chenella forma (ma anche per gran parte nellasostanza), la guida di Pecci, ma tiene ancheconto, almeno per quanto riguarda l’edizio-ne del 1784, del lavoro di della Valle. E nonavrebbe potuto fare altrimenti dal momen-to che il primo volume delle Lettere Sanesi e-ra uscito da appena due anni ed aveva otte-nuto un grande successo.

    Successo e notorietà insperati e non soloa Siena, ma anche a Roma dove della Vallesi trasferì nel 1783. Egli infatti raccontaspesso nelle lettere che scrive a Ciaccheri diessere in continuo movimento tra crocchi,cioccolate e conversazioni erudite, testimo-niando la discreta notorietà ottenuta.Grazie anche alla paziente opera di ‘sponso-rizzazione’ fatta da Ciaccheri, infatti, il pri-mo volume dell’opera ebbe ampia visibilitàtra i corrispondenti di quest’ultimo, tantoda ottenere riconoscimenti in molti periodi-ci dell’epoca, dalle Novelle letterarie fiorentine(che tanto tiepide erano state invece conPecci), al Giornale dei letterati pisani o alleEfemeridi letterarie di Roma. Dopo il 1796 ilsuccesso svanì del tutto e le Lettere Sanesi fu-rono accantonate, in favore dell’opera diLanzi, perfino dagli studiosi senesi, primofra tutti Giovacchino Faluschi.

    Nell’edizione del 1784 egli si era lanciatospesso in lodi sperticate del frate ed addirit-tura, subito dopo la prefazione, aveva inse-

    295 GIOVANNI PREVITALI, La fortuna dei primitivi, Torino 1989, p. 110.

    Frontespizio delprimo libro delleLettere Senesi diGuglielmo Della Valle.

    Frontespiziodell’Elogio Istoricodel Padre…Della Valle.

  • rito una lettera in cui il piemontese si con-gratulava con lui per l’idea di “dare al pub-blico una Guida meno fallace delle partico-larità di Siena”6. Questa lettera fu la primacosa che venne fatta scomparire nell’edizio-ne del 1815. La moda infatti era cambiata,della Valle era morto da qualche anno eLanzi era ormai l’indiscussa autorità nelcampo della storia dell’arte. Basti come e-sempio il passo in cui Faluschi parla dellacelebre Madonna col Bambino di Guido daSiena conservata nella Basilica di S.Domenico di Siena. Nella prima edizione e-gli dice: “Si potrebbero qui addurre molteriprove per maggiore autenticità della veritàdella Pittura predetta, ma avendo così erudi-tamente e con tanti argomenti scritto sopraciò modernamente il dottissimo F. G. dellaValle Min. Convent. nelle sue Lettere Sanesisopra le Belle Arti […] non starò a riportar-ne altri argomenti”7. Nell’edizione del 1815,invece, egli scrive: “Questa pittura deve esse-re stata con meraviglia dagl’intendenti peressere delle più bell’opere conservate nel sec.XIII come nota benissimo il Chiar. AbateLanzi nella sua Istoria Pittorica tomo I”8.

    Lo stesso trattamento, diciamo abbastan-za ‘ingrato’, venne riservato da Faluschi aPecci. Nella prima edizione egli riconobbe

    il suo debito nei confronti della Relazione,da lui ampiamente copiata, ma in seguito sene dimenticò completamente. Nel 1815, in-fatti, come era successo a della Valle, ancheil nome del Pecci scomparve senza troppi ri-morsi dalla guida.

    Bisogna però dire, ad onore del vero, chenella seconda edizione Faluschi si discostamaggiormente dal suo modello, scrivendoun’opera di impronta differente. Troviamoad esempio nel testo molte notazioni ‘mon-dane’ del tutto assenti in Pecci (come l’indi-cazione della casa di Teresa Mocenni “com-pagna del Cel. Conte Alfieri”) e troviamoanche delle idee molto moderne come l’in-dicazione dell’orario di apertura dei museiprivati o delle stampe esistenti di varie ope-re d’arte senese.

    Si può dire quindi che la guida del 1815è un’opera a sé che si distacca dalla sua diret-ta progenitrice (cioè la Relazione di Pecci) e sidistacca anche dai due autori più celebrati ediscussi a Siena nella seconda metà delSettecento, cioè Giovanni Antonio Pecci eGuglielmo della Valle, che in due modi assaidifferenti, ma accomunati dallo stesso meto-do storico e dalla stessa passione, si adopra-rono per illustrare l’arte di Siena.

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    6 GIOVACCHINO FALUSCHI, Breve relazione delle cosenotabili della Città di Siena, ampliata e corretta dalSacerdote Giovacchino Faluschi Senese e dal nobil SignoreGuido Savini Provveditore dell’Università e Rettore dellaPia casa di Sapienza, Siena 1784, p. VI.

    7 G. FALUSCHI, Breve relazione cit., Siena 1784, pp.200/201.

    8 G. FALUSCHI, Breve relazione delle cose notabili dellaCittà di Siena, ampliata e corretta. Al Nob. Sig. Cav.Commendatore Galgano Saracini, Siena 1815, p. 170.

  • La scuola d’intaglio senese vanta unalunga tradizione artistica che vide nel XVIsecolo un periodo di grande sviluppo graziea personaggi come Meo di Nuto, fraGiovanni da Verona e soprattutto AntonioBarili. Quest’ultimo divenne un vero e pro-prio modello nell’Ottocento per tutti gli ar-tisti che contribuirono a rivitalizzare lascuola di intaglio cittadina che dopo secolidi decadenza già alla fine del Settecento a-veva iniziato a dare prove di alto livello1. Latradizione vuole che i due responsabili del“nuovo corso” della produzione d’intagliosiano stati Angelo Barbetti, capostipite di u-na delle più celebri famiglie di intagliatorisenesi, e Antonio Manetti.

    La vicenda del Manetti, vissuto tra il1805 e il 1887, ricopre tutta la parabola di ri-nascita e nuova crisi dell’artigianato seneseed è emblematica di quella degli artisti deltempo, la cui produzione si intrecciò neces-sariamente con la vita delle maggiori istitu-zioni senesi, vale a dire l’Istituto di BelleArti, le contrade, i cantieri diretti daAgostino Fantastici e soprattutto l’Operadel Duomo.

    La formazione dell’artista avvenne aSiena presso Gioacchino Guidi2 e a Roma

    dove fu apprendista tra il 1827 e il 1830 nel-la bottega di Sebastiano Savini3, intagliatoresenese che lavorò in alcuni palazzi e chiesecittadine tra cui San Paolo fuori le mura4.Questi anni romani lasceranno il segno nel-la produzione di un artista che assorbì l’in-segnamento della Roma antica e papale: lasua misura compositiva, la solenne pacatez-za delle sue figure, la sua capacità di nonscadere mai in un virtuosismo fine a sé stes-so, come invece faranno gli intagliatori del-la generazione successiva, si uniscono all’e-sempio della scuola artistica senese, che vi-de nell’Istituto delle Belle Arti e nelle figuredei direttori Francesco Nenci e LuigiMussini dei sostanziali punti di riferimento.Lo storicismo è la parola d’ordine della pro-duzione artistica di quest’epoca e questo va-le soprattutto per gli intagliatori per cui laripresa di modelli classici, ma anche rinasci-mentali e barocchi, ad un certo punto oltre-passò i limiti della falsificazione5.

    Tornato da Roma iniziò per Manetti unperiodo felice il cui punto di partenza fu larealizzazione del paliotto per l’AltareMaggiore della Chiesa di Sant’Antonio daPadova alle Murella nella Contrada dellaTartuca, raffigurante Storie di Sant’Antonio da

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    Antonio Manetti e larinascita dell’intaglio a Sienanel XIX secolodi SILVIA RONCUCCI

    1 Per notizie sulla scuola di intaglio senese traSettecento e Ottocento cfr. i seguenti scritti di S.CHIARUGI: Botteghe di mobilieri in Toscana, Firenze,Spes, 1994; “Ebanisti e intagliatori a Siena all’epocadella Restaurazione”, in Antichità Viva, a. XXIV, 1985,pp. 40-50 e “La fortuna degli intagliatori senesi”, inSiena tra Purismo e Liberty, Milano, Arnoldo Monadorieditore, 1988, pp. 298-307.

    2 P. GIUSTI, Memorie, ms., (1869-76), p. 239.3 Ibidem, p. 240.4 Savini fu coinvolto sicuramente nei restauri del

    soffitto che si svolsero negli anni ’30 e probabilmentenei lavori di costruzione dell’organo avvenuti nel1858. In una Nota degli intagliatori in legno che hanno la-

    vorato nei lacunari delle navate della Basilica di San Paolo(ABPSP, 1816-1867, S.Paolo-Ornato dell’emiciclo) com-pare infatti anche “Savini Sebastiano” che è elencatoinoltre fra un gruppo di artisti che si dedicarono a unaltro lavoro per la chiesa, probabilmente il rifacimen-to dell’organo.

    5 Sulla produzione artistica a Siena nell’Ottocentoe il ruolo dei direttori dell’Istituto d’Arte cfr. AA.VV.,La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Milano,Amilcare Pizzi, 1994. Mi riferisco in particolare allafigura di Icilio Federigo Ioni, con cui la produzione difalsi a Siena raggiunse altissimi livelli (cfr. ibidem, pp.569-570).

  • 32 Angelo per il remenate destro del Duomo di Siena.

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    Padova, commissionato dall’amico PietroMarchetti e realizzato tra il 1831 e il 1832 incollaborazione con Barbetti che si occupòdella parte strettamente decorativa6.Sicuramente l’artista realizzò altri lavori perquesta chiesa che probabilmente vanno i-dentificati con i tabernacoli per gli altari la-terali: affinità stilistiche a parte bisogna no-tare che dietro al tabernacolo dell’altare diSant’Antonio troviamo l’iscrizione “P E BMARCHETTI” a testimonianza che il com-mittente fu lo stesso Pietro Marchetti che gliaveva affidato il citato paliotto.

    Negli stessi anni Manetti lavorò a fiancoal Nenci ai restauri del pavimento delDuomo dove nel 1831 graffì le figure dellaTemperanza e della Prudenza7 e dove sarà im-pegnato anche tra il 1835 e il 1840 soprat-tutto per i restauri della greca attorno alTrimegisto8.

    Già dagli inizi dell’Ottocento la culturaartistica locale era dominata da AgostinoFantastici, il brillante architetto che esercitòuna tale influenza su tutti gli aspetti dell’ar-te senese da determinare quasi una unifor-mità nel linguaggio creativo.

    La collaborazione con AgostinoFantastici portò Manetti a realizzare dei la-vori per la Chiesa della Madonna delSoccorso e per il Duomo di Montalcinodei cui restauri si era occupato l’architetto.

    Sicuramente si deve a Manetti la realizza-zione nel 1833 delle statue di Sant’Egidio eSan Michele Arcangelo per la chiesa dellaMadonna del Soccorso9, nonché tre annidopo del bellissimo San Giuseppe con ilBambino10, opera di un classicismo seicente-sco tutt’ora visibile nel Duomo. Sappiamoperò che questi non furono i soli lavori perMontalcino, dato che nel 1833 Bandini ri-corda “un Salvatore con in mano la crocedue candelabri e due Angeli per l’altareMaggiore del Duomo”11, quest’ultimi forseda identificarsi con gli angeli tutt’ora collo-cati sull’altare progettato dal Fantastici.

    L’intagliatore non cessò però di lavorareper le chiese delle contrade senesi che all’e-poca gareggiavano anche nell’arricchire i lo-ro oratori di pregiati arredi.

    Al ’34 risale l’esecuzione di due vasi d’al-tare conservati nell’Oratorio di SanLeonardo nella Contrada del Valdimontonein cui compaiono dettagli interessanti cheaccomunano i due oggetti ad altre opered’arte12. Le testine di putti che vediamo suivasi ricordano infatti due angioletti su unletto a palazzo d’Elci, le teste di ariete li col-legano ad un candelabro fino a qualche an-no fa nella galleria antiquaria fiorentina“Allegorie”, a sua volta simile al “candelabroper il cero pasquale” disegnato da Fantasticie ad alcuni candelieri conservati presso la

    6 Per notizie relative al paliotto cfr. B. SANTI, “Ilpatrimonio di arredi”, in AA.VV., L’Oratorio diSant’Antonio da Padova alle Murella, Siena,Centroofset, 1982, pp. 51-63.

    7 Il Romagnoli dice che “tratteggiò nel pavimentodella cattedrale le figure rappresentanti la Giustizia e laTemperanza situate presso il Trono Arcivescovile e ilseggio dell’Endomedario” (E. ROMAGNOLI, Biografiacronologica dei bell’artisti senesi, 1835, vol. XII, app.XXXV-XXXVI). La notizia è confermata da un docu-mento conservato in ASS, Governo di Siena, 386, ins.22, 1846, “Restauro del pavimento del Duomo, onora-rio al Prof. Nenci per i disegni da esso riprodotti per u-so del graffito”, ins. 80 datato 16/6/1846. Nel docu-mento però, si dice che le figure graffite dal Manetti e-rano quelle raffiguranti Fortezza e Temperanza.

    8 AOMS, Mandati di uscita dal 1834 al 1843, 1608,ins. da 52 a 135. Oltre a questo lavoro si occupò deirestauri del pavimento davanti agli altari di SanFilippo e San Bernardino.

    9 Il pagamento delle sculture è attestato inACMS, Documenti di corredo ai rendimenti di conti dell’o-pera della Beata Vergine del Soccorso dall’anno 1834 a tut-to il 1840, ins. 22. Su queste opere vedere anche R.CAPPELLI e il Gruppo di ricerca “Gli Argonauti”, LaMadonna del Soccorso, Siena, Edizioni Cantagalli,1987, pp. 110-111 e le schede redatte dallaSovrintendenza ai beni artistici nn. 090464710 e0900464711.

    10 Per notizie sull’opera cfr. E. ROMAGNOLI, 1835,vol. XII, app. XXXV; A.F. BANDINI, Diario senese, ms.,1836, c 37 rv e vedere la scheda della Sovrintendenzaai beni artistici n. 09/00463249.

    11 A.F. BANDINI, ms., 1833, c 18v.12 L’attribuzione dei vasi a Manetti è indicata in G.

    CATON I e A. FALASSI, “La contrada delValdimontone”, in Le guide al gran tour, Siena, FrancoMaria Ricci editore, 1991, ma è stato recentementetrovato il documento che lo prova. In merito cfr. C.GENNAI e R. PETTI, in corso di pubblicazione.

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    Chiesa di Sant’Agostino a Siena13. La mutadi candelieri, due candelieri più grandi e ilpaliotto dell’Altare Maggiore fanno parte diun’unica commissione voluta dalloScolopio Cosimo Mariani, fondatore nel1843 della Pia Unione di preghiera delSSmo. e Immacolato Nome di Maria, a cuisi deve probabilmente anche la commissio-ne del davanzale della Cappella dellaMadonna datato 1857 e caratterizzato damotivi decorativi molto vicini a quelli checompaiono sul paliotto della Tartuca14.

    Contemporaneamente Manetti iniziò alavorare ai restauri della facciata delDuomo di Siena che lo impegneranno perquasi vent’anni, dal 1834 al 1851, sotto lostretto controllo della Deputazione allaConservazione dei beni artistici senesi nellefigure del cavaliere Mario Nerucci, del di-

    rettore dell’Istituto d’Arte Nenci e dell’ar-chitetto Alessandro Doveri.

    I restauri erano iniziati alla fine delSettecento in seguito al terremoto del 1798che aveva profondamente colpito laMetropolitana15. Tra il 1834 e il 1837 l’arti-sta fu occupato nei lavori di ripristino dellaparte destra della facciata. Tra questi lavoritroviamo il restauro del “remenate” (cioèdel timpano del portale), del cornicionemarcapiano, nonché delle figure di un ca-vallo e di un leone ancora qui collocate.Manetti rifece anche il capitello alla basedell’olimascolo destro e quello sulla colon-na a tortiglione, che mostrano ancora delleprotomi umane dai profili puri tipici dellostile del nostro artista, e il fregio tra essi,dove compaiono figure umane e animali digusto rinascimentale, ma in realtà frutto di

    13 In merito al legame fra queste opere cfr. G.MAZZONI, “Catalogo”, in AA.VV., Agostino Fantasticiarchitetto senese, Torino, Umberto Allemandi & co.,1992, pp. 254-256 e S. CHIARUGI, 1994, pp. 178-179.

    14 Sugli arredi lignei della Chiesa di Sant’Agostinocfr. H. TEUBNER e M. BUTZNEK, Die kirchen von Siena,F. Buckmann KG, Munchen, 1985, vol. 1-1, pp. 129-135. La notizia della commissione si trova in AAS, B.

    P. di Sant’Agostino, 412 (1840-1920), Economale 37 S.Agostino in Siena, inventari verbali, ins. 74,“Inventario della Chiesa di S. Salvador in S. Agostinodi Siena fatto in occasione della presa di possessionedei beni della medesima nel dì 30 Marzo 1870”.

    15 Sulla storia dei restauri del Duomo cfr. AA.VV.,Il Duomo di Siena, documenti-studi-restauri, Siena,Centroofset, 1993.

    Il cavallo della facciata del Duomo di Siena restaurato da Antonio Manetti.

  • 35

    un lavoro di revival storico16. Nella primacommissione del ’34 erano inclusi un’aqui-la grande simbolo di San Giovanni Evan-gelista, tutt’ora visibile sulla facciata, e dueangeli che andavano collocati sulle cuspididei portali laterali. Da documenti conserva-ti presso l’Archivio dell’Opera dellaMetropolitana si deduce che il primo ange-lo, destinato al portale destro, fu ultimato17

    così come l’aquila grande, mentre la con-clusione del secondo angelo, da collocarsisul portale sinistro, ce la attesta un inventa-rio compilato da Manetti nel 1841 in cui siparla di “un angelo scolpito e pagato, man-cante d’ale corredato peraltro dei ferramen-ti necessari per collocarsi sul remenate dallaparte dell’Episcopio”18. Dato che gli angeliattualmente sulle cuspidi sono copie deglianni ’60 e ’70, bisogna dedurre che quelli diManetti siano andati distrutti o si trovino

    altrove19. Nel battistero del Duomo sonoconservati ancora due angeli che andavanoin questa collocazione il cui cartellino dataal XIV secolo, ma che uno stato di conser-vazione stranamente troppo buono per o-pere risalenti a questo periodo, nonché unaspetto dichiaratamente purista, fannopensare più verisimilmente ottocentesche.

    Negli stessi anni Manetti continuò ad es-sere presente nei cantieri diretti dalFantastici che coinvolsero molti artisti e ar-tigiani della città.

    Tra il 1837 e il 1839 intagliò le figure deiDolenti su commissione del camarlingoGalgano Cinughi per la cappella delCrocifisso nella Chiesa di Santa Maria diProvenzano il cui progetto di rinnovamen-to, già presentato dal Fantastici nel 1836, e-ra slittato a causa di problemi di disponibi-lità economica20. Questa non fu l’unica

    16 Sul ruolo ricoperto dall’artista in questa primafase di lavoro, commissioni, pagamenti ecc. cfr. ASS,Governo di Siena, 386, ins. 7 bis, 1834, “Lavori nellaMetropolitana affidati a Manetti scultore”; AOMS,Lavori e restauri straordinari, Carteggio e atti, 1625, f.1, ins. da 62 a 100; AOMS, Mandati di uscita dal 1834al 1843, 1608, ins. da 1 a 133 e AOMS, Libro di Cassa1823-1838, 1599, ins. da 49 a 72.

    17 AOMS, Libro di Cassa 1823-1838, 1599, ins. 52.18 AOMS, Registri dei marmi, 1630, ins. 1.

    Nell’inventario si elencano i diversi tipi di legnami eferramenti per la costruzione di ponti e arnesi, i mar-mi tolti dalla facciata della chiesa perché rovinati, imarmi intagliati avanzati dal restauro della facciatadalla parte del Palazzo Regio, altri marmi che serviva-no per il pavimento.

    19 Sulla sostituzione degli originali con copie cfr.E. PEDUZZO, “Copie e originali nella facciata del

    Duomo di Siena”, in AA.VV., Il Duomo di Siena, docu-menti, studi e restauri, 1992, pp. 83-109. Vedi ancheAOMS, Atti dal 1960 al 1965, Perizie, Carteggi etc..per i lavori di restauro Cattedrale, 1962, 3298,“Perizia di spesa n. 34. Restauro della facciata delDuomo (parte sinistra alta e mediana)”.

    20 Sul gruppo scultoreo cfr. C. SISI, “FrancescoNenci a Siena (1827-1850) e la generazione romanti-ca”, in AA.VV., La cultura artistica a Sienanell’Ottocento, 1994, p. 243. Cfr. anche la scheda com-pilata dalla Sovrintendenza ai beni artistici di Siena n.09/00151345. Nell’archivio della Chiesa di SantaMaria di Provenzano si parla della commissione e rea-lizzazione del gruppo in V 18, “Quadri dei pittoriBruni e Boschi, Altare del Crocefisso, e statue fattedal Manetti a spese Cinughi con quant’altro, traspor-to della Madonna a San Francesco in occasione deilavori da farsi nella Chiesa, restauro di alcuni quadri

    Paliotto per l’altare maggiore dell’Oratorio di S. Giacomo (Contrada della Torre).

  • 36

    commissione ricevuta dall’artista per laChiesa di Provenzano per cui nel 1838 ave-va ideato un’orchestra effimera da utilizzar-si durante le feste di maggiore afflusso po-polare, analoga a quella che progetterà benotto anni dopo per il Duomo di cui ci rima-ne anche un disegno21.

    Nel cantiere di Provenzano troviamo im-pegnati molti artisti senesi tra cui i falegna-mi Carlo Bozzini e Fabio Casini autori de-gli arredi lignei22.

    Al 1839 risale l’incarico di scolpire dueghirlande di fiori in travertino destinate allafacciata del Conservatorio di Santa MariaMaddalena23: tra gli artigiani che partecipa-rono ai lavori spicca il falegname VincenzoCresti autore della notevole struttura e deifini intagli del pulpito compiuto con fedeleadesione al progetto dell’architetto24.

    Negli anni ‘40 l’artista continuava ad es-sere impegnato su più fronti. Nel 1841 ad u-na mostra all’Accademia di Belle Arti diFirenze presentò un “quadro litostratico adimitazione dei lavori di Beccafumi” e una

    cornice intagliata in legno di noce, operaquest’ultima simile alla cornice esposta nel-la stessa occasione da Antonio Rossi, pur-troppo andata distrutta, che incorniciava latarsia antica di Antonio Barili rappresentan-te il suo autoritratto25. L’anno successivo pre-se parte alla esposizione di manifatture citta-dine che si svolse nelle sale dell’Istitutod’Arte presso cui negli anni precedentiManetti aveva ricoperto il ruolo di aiutoprofessore di Ornato26. Purtroppo nel ’38l’artista vide sfumarsi la possibilità di diven-tare maestro di Ornato, dato che FrancescoNenci e Giulio del Taja preferirono aManetti, continuamente distratto da altrecommissioni, il pittore Giovanni Vanni27 chericoprì questa funzione ad interim fino alconcorso che vide vincitore AlessandroMaffei e della cui giuria fece parte ancheManetti28.

    Tra il ’43 e il ’44 su commissione dei dra-gaioli l’intagliatore realizzò il delizioso pa-liotto con la Comunione mistica di SantaCaterina che fu presentato alla esposizione

    fatto dal Gagliardi, progetto pell’Altare del Crocefisso1837”; Atti e deliberazioni Capitolari dal 1 aprile 1838 al31 dicembre 1863, B 9, ins. 7 e 8; Carteggio, R 27, ins. 1,“Carteggio con Il Rev.mo Capitolo della Collegiata” ein Inventario degli Argenti, e Masserizie, e Mobilidell’Opera dell’Insigne Collegiata di Provenzano di Siena,compilato nel dì 31 Agosto 1864, M 3, ins. 20.

    21 AOP, Ordini e rescritti del 1 gennaio 1834 a tutti il31 dicembre 1858, R 17 e Giustificazioni di cassa, denaricontanti, dal 1 gennaio 1838 a tutto dicembre 1839, D93, ins. 31. Il progetto per l’orchestra del Duomo e ipagamenti agli artigiani sono attestati in AOMS,Affari diversi, 138, ins. 65; Mandati di Uscita 1846,783, ins. 141; Mandati di uscita 1847, 784, ins. 09;Libro di cassa 1846, 413, ins. 85, 86 e 90; Libro diCassa 1847, 414, ins. 89.

    22 Sugli arredi lignei della chiesa cfr. F. CALDERAI eG. MAZZONI, 1992, pp. 73-80. I lavori di questi fale-gnami sono attestati da AOP, Libro Bilanci, C, 17, nel-le Giustificazioni di cassa 92, 93, 94 datate rispettiva-mente 1837, 1838 e 1839 e in V 18.

    23 ACSMM, I. e R. Conservatorio di S.MariaMaddalena Conti e ricevute dal Primo gennaio, al 31Dicembre 1839, 1100, ins. 83 e 86. Lo stesso si dice an-che nell’ins. “Entrata, e uscita Camarlinga dal primoGennaio 1839 al 31 Dicembre di d. anno”.

    24 Ibidem ins. 105.25 S. CHIARUGI, 1994, p. 503.26 AIAS, Affari dal 1831 al 1837, 2, ins. 55.

    27 AIAS, Affari dal 1838 al 1842, 3, ins. 12.28 L’artista partecipò come giurato ai concorsi in-

    detti dalla Accademia nel 1833 dal 1839 al 1851. Inmerito cfr. AIAS, Affari dal 1831 al 1837, ins. 90;Affari dal 1838 al 1842, 3, ins. 42, 69, 84 , 102; Affaridal 1843 al 1849, 4, ins. 20, 44, 65, 80, 92, 106, 121;Affari dal 1850 al 1853, 5, ins. 14 e 34.

    29 Del paliotto si parla in M. BUTZEK e H.TEUBNER, 1985, vol. 2, 1.1, pp. 25 e 26 e in R.ANGIOLINI, “Gli arredi lignei della Contrada delDrago”, in AA.VV., L’Oratorio di Santa Caterina nellaContrada del Drago, la storia e l’arte, Siena, Tipografiasenese, 1988, pp. 136-139. Sulla decisione di far rea-lizzare il paliotto cfr. ACD, Verbali delle Contrade,Libro 1, Assembla generale del Drago 10 settembre1843, ins. 94, 95. Sulla vicenda dei contrasti fraManetti e Antonio Rossi (a cui era stato dato inizial-mente l’incarico) cfr. ACD, Corrispondenza, (1843),Carte sciolte. La commissione del paliotto a Manettie i pagamenti corrispostigli si trovano in ACD,Corrispondenza, (1843), Carte sciolte, “Contrada delDrago e Manetti Davanzale”; Verbali della Contrada,Libro 2, Consiglio dell’8 Dicembre 1845,“Rendiconto del davanzale in noce”; Rendiconti finan-ziari f. 1, (1844). Le vicende relative alla doratura e ipagamenti agli artisti si trovano in ACD, Verbali dellaContrada, Libro 2, Consiglio del 22 marzo 1846;Rendiconti finanziari, f. 1 (1846) e Corrispondenza,(1846), Carte sciolte.

  • 37

    fiorentina dello stesso anno e la cui doratu-ra fu condotta tra il ’46 e il ’48 da Andrea eGiuseppe Vannetti29, gli stessi doratori concui aveva collaborato per il paliotto dellaTartuca e per l’ampliamento dell’orchestradel Duomo. Tra il ’44 e il ’50 completò in-vece il davanzale per l’Altare Maggiore dellaChiesa di San Giacomo e Cristoforo, orato-rio della Contrada della Torre, con Storie diSan Giacomo Maggiore la cui doratura fu cu-rata da Girolamo e Pompeo Danti tra il ’50e il ’5230.

    Manetti fece parte anche della équipe diartisti occupati nei lavori per la Chiesa diSan Giusto e Clemente a CastelnuovoBerardenga diretti ancora una volta dalFantastici su commissione della famigliaSaracini31. Qui realizzò gli intagli del pulpi-to della chiesa nonché un’arme Saracini,forse quella che compare al centro del can-celletto presbiteriale32. L’intaglio del cancel-lo si deve a Giuseppe Pocaterra33, erede dellascuola del Barbetti caratterizzata da un inta-glio opulento che si distingue da quello piùsottile e quasi metallico degli allievi diManetti, Pasquale Leoncini in testa.

    Per i Saracini Manetti aveva già lavoratoin passato avendo realizzato nel 1842 unacornice ancora visibile nella collezioneChigi Saracini34. Questa incornicia un di-pinto attribuito ad un autore romano del X-VIII secolo, ma probabilmente frutto del la-

    voro di Francesco Nenci: Manetti dice in-fatti di aver consegnato la sua cornice com-pletata al Nenci il quale poco dopo ricevet-te dei pagamenti per un “paese a olio” com-missionatogli dai Saracini, cosa ancora piùinteressante poiché il Nenci non si dedicòquasi mai ai paesaggi35.

    Ovviamente proseguiva l’impegno del-l’intagliatore per i restauri del Duomo. Tra il‘42 e il ‘51 lavorò ai restauri del remenate edell’olimascolo sinistro, purtroppo perònon ci sono opere sicuramente attribuibiliall’artista, anche perché il suo nome noncompare più nei documenti di pagamento apartire dal ’5136.

    30 Tutti i documenti relativi alle commissioni fatteall’artista per la chiesa della Torre, i pagamenti corri-spostigli e sulle vicende della doratura si trovano inACTO, X Economato A. Museo e Chiesa, b. 1, 1834-1851.

    31 Notizie sugli arredi della chiesa si trovano in F.CALDERAI e G. MAZZONI, 1992, pp. 73-80 e in G.MAZZONI, 1992, pp. 251-252.

    32 ACS, 765, Filza delle note settimanali di spese occor-se per la costruzione della nuova chiesa e canonica diCastelnuovo, “Chiesa Canonica, ed Oratorio inCastelnuovoberardenga, nuova costruzione, ricevutee riscontri”, “Nota delle spese commesse dai NobiliSSigri CCavri Marco, ed Alessandro FFLI Saraciniper la costruzione della nuova Chiesa, Canonica, eCappella situate in Castelnuovo berardenga con piùla distinzione dei contanti passati dai prefati NobiliSigri all’Assistente Sigre Giuseppe Mariani a detta co-struzione, il tutto estratto dai rispettivi giornali di spe-sa della Casa padronale di Siena” . Nel documento sidice “20 agosto 1846. Detto L. 113.6.8 pagate ad

    Antonio Manetti per avere scolpita l’arma Saracini, efatti gli ornati del pulpito della Chiesa”.

    33 Ibidem “16 settembre 1846. Detto L. 100 pagateall’intagliatore Pocaterra in saldo dei lavori fatti nelcancellato del presbiterio della nuova chiesa”.

    34 La realizzazione della cornice, le vicende delladoratura e il pagamento sono attestati in ACS,Giornale C pell’Entrata, ed Uscita dal 1 Sett. 1840 al 31Agosto 1842, 279, ins. 26; Documenti di corredo e ricevu-te, 331, ins. 662.

    35 La consegna della cornice al Nenci è attestata inACS, Documenti di corredo e ricevute, 331, ins. 662mentre il pagamento del quadro in Giornale Dpell’Entrata, ed Uscita dal 1 Sett.1842 al 31 Agosto 1845,280, ins. 9.

    36 I lavori di restauro della facciata a cui Manetti sidedicò dal ’40 al ’51 sono attestati in AOMS,Mandati di uscita dal 1834 al 1843, 1608, ins. da 86 a223; Mandati di uscita dal 1844 al 1852, 1609, ins. 22 eLavori e restauri straordinari, Carteggio e atti, 1625, ins.da 93 a 118.

    Paliotto con “Sacra Famiglia” per l’Oratorio di S. Giacomo(Contrada della Torre).

  • 37 Notizie sulle accuse mosse a Manetti e su comel’artista cercò di difendersi si trovano in AOMS,Lavori e restauri straordinari, Carteggio e atti, 1625, f.1, ins. 107, 109 e f. 2, ins. 2, 3 e 11 e 19 e ASS,Governo di Siena, 386, ins. 20, 1844, “Restauro del ri-menate a sinistra della facciata del Duomo”, ins. 66datato 24/6/1844. La notizia della dipartita diManetti a Livorno si trova in P. GIUSTI, ms., (1869-76), p. 248 ed è confermata da una lettera dell’artistain AOMS, Lavori e restauri straordinari, Carteggio e at-ti, 1625, f. 2, ins. 11.

    38 S. CHIARUGI, 1994, pp. 503-504.

    39 C. RIDOLFI, Rapporto sulla Esposizione provincialedi arti e manifatture fatta a Siena in occasione del X con-gresso dei dotti italiani nel settembre 1862, Siena, Tip. nelR. Istituto dei Sordomuti L. Lazzeri, 1862, p. 114.

    40 Per notizie relative al paliotto cfr. M.MANGIAVACCHI, “I beni Culturali”, in AAVV, La pievedi Santa Maria Assunta e le chiese di Piancastagnaio, acura di Carlo Prezzolini, San Quirico, editorialeDonchisciotte, 1993, pp. 87-89 e la scheda dell’operafatta dalla Sovrintendenza ai Beni Artistici edArchitettonici di Siena n. 00171320.

    38

    Tra il ’49 e il ’51 l’intagliatore eseguì altreopere per la sua contrada, la Torre, tra cui ilciborio sull’Altare Maggiore e gli squisiti pa-liotti per gli altari laterali, in legno intaglia-to e dipinto in bianco e oro con al centrol’uno la Sacra Famiglia e l’altro la Madonnacol Bambino.

    Malauguratamente le condizioni econo-miche in cui versava l’artista in questi anninon erano delle migliori. I contrasti conl’Opera del Duomo, nati in seguito alle ac-cuse di irregolarità nei lavori mossegli dal-l’ingegnere Zannetti, fecero cadere in di-sgrazia l’artista che fu costretto a riparare aLivorno, dove si recò a dirigere una bottegadi intaglio locale nella speranza di ottenerenuove commissioni e dove continuò ad es-sere raggiunto dalle accuse dellaDeputazione37.

    Degli ultimi anni della sua vita si sa po-co o niente se non che nel 1854 si associò alBullettino delle Arti del disegno, che nel1858 entrò a far parte dell’Accademia delleArti e Manifatture di Firenze38 e che parte-cipò alla Esposizione provinciale di arti emanifatture cittadine del 1862, dove pre-

    sentò un paliotto in noce dipinto d’oro eun tabernacolo per Madonna ma senza ot-tenere alcun premio, se non un sentito elo-gio di Vincenzo Cambi39.

    Appartiene forse alla produzione deglianni ’60-70 un paliotto con al centro ilTransito della Vergine e ai lati San Bartolomeoe San Gaetano da Thiene conservato nellaChiesa di Santa Maria Assunta aPiancastagnaio40 e forse un tempo collocatosotto l’Altare Maggiore.

    Anche se Manetti fu uno degli artisti chemaggiormente contribuirono a rendere fa-mosa la scuola di intaglio ottocentesca, co-me molti altri non ebbe vita facile e finì inmiseria, forse per il suo carattere difficile,forse per un caso del destino, sicuramenteperché ancora legato a vecchi retaggi di bot-tega e privo, a differenza di altri, di una mo-derna mentalità “industriale”.

    Indubbiamente, oltre alle opere citate,valgono a esaltarne i meriti i lavori degli ar-tisti di cui fu maestro, come PasqualeLeoncini, Luigi Marchetti, Fulvio Corsini esoprattutto Enea Becheroni, Tito Sarrocchie Giovanni Duprè.

    Tabernacolo per la Chiesa di S. Antonio da Padovaalle Murella (Contrada della Tartuca).

    Vaso d’altare nell’Oratorio di S. Leonardo(Contrada di Val di Montone).

  • «Il problema dei restauri del Duomo di Sienadalla fine del Settecento al Novecento è già statooggetto di uno studio approfondito del prof.Wolfgang Loseries nel capitolo DieRestaurirungen des 19. una 20.Jahrhunderts del libro Der Dom S. MariaAssunta nella collana ‘Die Kirchen von Siena’,in corso di pubblicazione. Io e il professorLoseries siamo arrivati alle stesse conclusioni siariguardo all’effettivo ruolo che Manetti ricoprìnella direzione dei lavori di ripristino delDuomo, sia ai pezzi restaurati a lui attribuibili;ma il lavoro di entrambi si è svolto in modo au-tonomo, dato che il professore ha già ultimato ilmanoscritto dell’opera da pubblicare, mentre lemie ricerche sono avvenute più tardi e indipen-dentemente dalle sue, perlatro a me ignote fino apoco tempo fa. Ringrazio il prof. Loseries per lagentilezza dimostratami nell’avermi permesso divenire a conoscenza delle sue osservazioni in me-rito al problema, ciò infatti mi ha consentito di a-vere una riprova dei risultati della ricerca illu-strata nel capitolo della mia tesi di laurea ‘Il ruo-lo di Antonio Manetti nell’ambito dei lavori direstauro del Duomo senese’».

    S.R.

    Abbreviazioni:

    AAS = Archivio Arcivescovile di Siena

    ABPSP = Archivio Basilica Patriarcale di SanPaolo fuori le mura.

    ACD = Archivio Contrada del Drago.

    ACMS = Archivio Chiesa della Madonnadel Soccorso.

    ACS = Archivio Chigi Saracini.

    ACSMM = Archivio Conservatorio di SantaMaria Maddalena.

    ACTO = Archivio Contrada della Torre.

    AIAS = Archivio Istituto d’Arte di Siena

    AOMS = Archivio Opera Metropolitana diSiena.

    AOP = Archivio Opera di Provenzano.

    ASS = Archivio di Stato di Siena.

    39

  • Le problematiche relative alla lingua se-nese si inquadrano, solitamente, nell’ambi-to della lunga disputa sulla presunta supe-riorità del fiorentino nel variegato panora-ma linguistico italiano e più in particolarerispetto alle varietà linguistiche all’internodella Toscana.

    Riguardo agli studi specifici sulla linguasenese, fiorenti fino al XVIII secolo con l’i-stituzione di una “Cattedra di ToscanaFavella” e la costituzione di una “ScuolaSenese”, che ponevano Siena in una posi-zione di primo piano relativamente agli stu-di linguistici1, attualmente si registra unabattuta d’arresto: se togliamo alcuni lodevo-li esempi di studio e valorizzazione di que-sta particolare materia attraverso la creazio-ne di corpora linguistici2, ristampe di raccol-te lessicali3 o articoli su riviste scientifiche4,rileviamo la mancanza di un lavoro organi-co che analizzi il “dolce idioma” di Siena, alivello fonetico, lessicale e sintattico, sia insenso diacronico che nelle sue componentidiastratiche, diamesiche e diafasiche. Le ca-ratteristiche salienti del vernacolo senese, ri-conosciuto già nel “De Vulgari Eloquentia”come distinto dal fiorentino, dal pisano, dallucchese e dall’aretino, possono essere de-sunte dagli studi sul toscano5.

    Elementi molto antichi e caratteristicidel senese, che si possono riscontrare in ungran numero di documenti, sono il monot-

    tongo “òmo” e “bòno”. Molto frequente èl’uso, a livello lessicale, di termini come“citto”, “acquaio”, “cannella”, “migliaccio”,“principiare”, “pomo”, “seggiola”, “scodella” e,sul piano della morfologia, la costruzioneimpersonale “si mangia” per “mangiamo”, “sivide” per “vedemmo” eccetera. Per quanto ri-guarda il vocalismo tonico, la varietà senesecontempla “pipistréllo”, “nève”, “mèttere”.

    Ancora da un punto di vista fonetico siregistrano una pronuncia intensa della “-l-”davanti a inizio vocalico ed una tendenzaall’uso delle sonore in termini come “casa”,“cosa”, “disegno”, mentre si pronuncia comesorda, ad esempio, l’iniziale di “zucchero” e“zappa”. Si ha inoltre l’affricazione della si-bilante sorda preceduta da consonante in“insieme”, “persona”, “il sole”, una riduzionedel dittongo “-uo-” (“fòco” al posto di “fuo-co”) ed una palatalizzazione di “ghi” cheporta verso un suono dentale, dando - ad e-sempio - un termine come “diaccio” e deri-vati. Un altro elemento molto antico, già re-gistrato da Leon Battista Alberti per il fio-rentino quattrocentesco, ma di uso comuneanche a Siena, è l’aggiunta della “–e” alla fi-ne di parole che terminano in consonante.

    Riguardo alla morfologia verbale è mol-to diffuso l’uso dell’infinito tronco, quellodi “voi facevi” al posto di “voi facevate” per laII persona dell’imperfetto e, per la III perso-na plurale dell’indicativo presente, l’esten-

    21

    Cenni storico letterari sulleorigini del vernacolo senesedi SIMONETTA LOSI

    1 A. CAPPAGLI (1991), Diomede Borghesi e CelsoCittadini lettori di toscana favella, in: L. GIANNELLI, N.MARASCHIO, T. POGGI SALANI, M. VEDOVELLI, “TraRinascimento e strutture attuali. Saggi di linguistica i-taliana”, Torino, Rosemberg & Sellier.

    2 G. GIACOMELLI (2000), Atlante Lessicale Toscano,Roma, Lexis Progetti editoriali.

    3 Come, ad esempio, la ristampa curata da PietroTrifone di A. LOMBARDI, P. BACCI, F. IACOMETTI, G.MAZZONI. (1944; 2003), “Raccolta di voci e modi di dire

    in uso nella città di Siena e nei suoi dintorni”, Siena,Accademia degli Intronati.

    4 M. STANGHELLINI. (2004), La gorgia toscana: ere-dità etrusca o recente origine neolatina? In: “Accademiadei Rozzi”, Anno XI, n. 20, marzo 2004; P. TRIFONE(2004), Il “Vocabolario Cateriniano” di Girolamo Gigli,in: ““Accademia dei Rozzi”, Anno XI, n. 20, marzo2004.

    5 C. MARAZZINI (1994), La lingua italiana – profilostorico, Bologna, il Mulino.

  • sione dell’uscita della I coniugazione a tuttele altre.

    Una delle problematiche linguistiche piùdibattute è quella relativa alla cosiddetta“gorgia toscana”, cioè la spirantizzazionedelle sorde intervocaliche “-c-” “-t-” “-p-” (e,per fonetica sintattica, anche in formula ini-ziale, purché precedute da parola uscente invocale non accentata). La spirantizzazionedel “-c-” in parole come “fico”, “poco”, “ami-co”, “la casa” - già ampiamente attestata nelDuecento - è maggiore di quella relativa al“-t-” come in “dito” e “strato”, mentre assairidotto è il fenomeno relativo al “-p-” che sitrova in “cupola”, “scopa”, “lupo”. Gli studio-si fanno risalire questo fenomeno ad originietrusche6.

    Meno ipotetici sono i relitti etruschi nel-la toponomastica: Chianti risale probabil-mente al personale “Clante” ed etrusco è ilnome di Volterra, l’antica “Velathri”. Lo stes-so nome di Siena si fa derivare da un genti-lizio etrusco, “Seina”, divenuto in seguito,nella transizione verso il latino, “Saena”.Dal punto di vista lessicale si fanno risalireai Goti (che entrarono in Italia nel 489) e aiLongobardi (568) lessemi come “stinco” (da“stain”, pietra), “nocca”, “zazzera”. Risultanoposteriori (VIII secolo) due termini attual-mente legati alla Passeggiata Storica - checodifica anche in senso linguistico oltre mil-le anni di storia - come “gonfalone” e“Balìa”7.

    Il passaggio dal latino classico al latinovolgare, e quindi dal latino medievale allalingua volgare, è denso di questioni com-

    plesse: un processo in costante oscillazionedinamica - come avviene per ogni lingua vi-va - tra scritto e parlato, tra codifica delle re-gole ed uso comune. È opportuno sottoli-neare l’importanza delle testimonianze se-nesi in relazione alla nascente lingua italia-na: accanto a scritture come l’ “Indovinelloveronese” – scoperto nel 1924 e risalenteall’VIII secolo – il “Placito Capuano”8, l’i-scrizione della tomba di Commodilla9, sitrova uno dei più antichi documenti in vol-gare conosciuti che attesta il passaggio dallatino al volgare, il senese “Breve deInquisitione” del 715 d.C., un interrogatoriogiudiziario redatto da un notaio dove si av-verte chiaramente che chi scriveva in latinoin realtà stava pensando in un’altra lingua.

    Iste Adeodatus episcopus isto anno fecit ibifontis, et sagravit eas a lumen per nocte, et fecit i-bi presbiterio uno infantulo abente annos nonplus duodecem, qui nec vespero sapit, nec mado-dinos facere, nec missa cantare. Nam consubrinoeius coetaneo ecce mecum abeo: videte, si potit, etcognoscite presbiterum esse.10

    Qui si rileva, accanto a costruzioni anco-ra latine (“presbiterum esse”) un notevole spo-stamento verso il volgare, in particolare nel-la prima parte del documento.

    Più diatopicamente spostate, rispetto aSiena, sono le “Testimonianze di Travale”11

    e la “Postilla amiatina” (1087)12, conservatapresso l’Archivio di Stato di Siena, che of-frono importanti indicazioni riguardo allelinee guida del cambiamento in atto.

    22

    6 L. AGOSTI N IAN I – L. GIAN N ELLI. (1983),Fonologia etrusca, fonetica toscana. Il problema del sostrato,Firenze, Olschki.

    7 C. TAGLIAVINI (1969), Le origini delle lingue neolati-ne, Bologna, Patron.

    8 Si tratta di un verbale notarile risalente al 960 escoperto nel 1734 nel monastero di Montecassino,dove è tuttora conservato. Qui c’è una chiara e co-sciente separazione tra latino e volgare, usati con sco-pi e funzioni differenti. Si colloca nei PlacitiCampani: infatti ci sono almeno altri tre documentidel 963 che usano forme molto simili.

    9 Scoperta nel 1720 in una cappella romana sotter-ranea. L’iscrizione – un anonimo graffito tracciato sulmuro - è stata fatta tra il VI-VII sec e la metà del IXsec. Nonostante il suo aspetto latineggiante, conserva

    un vistoso carattere di registrazione del parlato: “nondicere ille secrita abboce”. Si riferisce alle “orazioni segre-te” della Messa.

    10 “Questo vescovo Adeodato quest’anno vi fece ilfonte (battesimale) e lo consacrò a lume (di torce). Evi fece prete un ragazzino dell’età di non più di dodi-ci anni, che non sa celebrare né vespero né mattutino,né cantar Messa. In verità, ecco, ho qui con me uncugino suo coetaneo. Vedete e giudicate se può essereun prete”.

    11 “Sero ascendit murum et dixit: ‘Guaita, guaita male;non mangiai ma mezo pane’. Et ob id remissum fuit sibi ser-vitium, et amplius no(n) tornò mai a far guaita...”

    12 “Ista car(tula) est de capu coctu ille adiuvet de ille re-botu q(ui) mal co(n)siliu li mise in corpu”

  • All’interno del processo di passaggio dallatino al volgare un ruolo importante, comeè ben noto, è stato svolto dai notai. Nei do-cumenti notarili si rileva frequentemente lacompresenza di latino e volgare: un fattoche sta a significare come accanto alle for-mule in cui si redigevano gli atti si facessestrada l’esigenza, ai fini della validità stessadel documento, di far sottoscrivere un attocomprensibile per le parti contraenti.

    Le carte mercantili offrono allo studio-so un altro terreno di indagine privilegiato.Alcuni, come la Carta Pisana, inducono,tra l’altro, a considerazioni di vario tipo ri-guardo alla diffusione della lingua13. Per lanascita del volgare italiano e le origini del-la lingua senese, che per molti aspetti coin-cidono, è stato determinante, a vario tito-lo, oltre al ruolo dei notai sopra menziona-to, quello dei mercanti, dei santi e dei let-terati. Mentre per questi ultimi il non usodel latino a favore del volgare, più vicinoalla lingua parlata, corrispondeva ad unascelta stilistica, per le altre categorie l’usodel volgare corrispondeva ad un’esigenzadi comprensibilità da parte dei singoli odelle masse14.

    Per ricercare le origini della lingua seneseè utile analizzare le carte commerciali emercantili15. Un’interessantissima testimo-nianza di lingua senese mercantile risale al 5luglio 1260, due mesi prima della battaglia

    di Montaperti16, e giunge da una lettera diVincenti di Aldobrandino Vincenti scritta“in nome de’ compagni di mercatura” aGiacomo di Guido di Cacciaconti, “mercan-te in Francia”, pubblicata per la prima voltanel 1868 in una rara edizione17. Vi si trova-no, accanto a cose di mercatura, anche e-spressioni di amor di patria. “(...) Sappi,Iachomo, che noi siamo oggi in grande dispesa etin grande faccenda, a chagione de la guerra chenoi abbiamo con Fiorenza et sapi che a noi cho-stara assai a la borsa (...)”. Due dei tre esempidi uso di “-ch-” intervocalico fanno pensarealla riproduzione del suono della “-c-” aspi-rata.

    Due grandi mistici senesi, SantaCaterina e, più tardi, San Bernardino, cihanno lasciato preziose testimonianze lin-guistiche che permettono di osservare comealcuni tratti ed espressioni si siano mante-nuti fino ad oggi18. In una lettera di SantaCaterina a frate Raimondo da Capua a pro-posito di un condannato a morte si legge:“(...) E diceva: ‘io v’anderò gioioso e forte; e par-rammi mille anni che io ne venga (...) E vedendo-mi cominciò a ridere; e volse che io gli facessi il se-gno della croce (...)”. Il parlante senese può a-gevolmente verificare la persistenza dell’usodi un’espressione come “parere mille anni”19

    per indicare vivo desiderio e - soprattutto inambienti rustici - di “anderò” e “volse” inve-ce di “andrò” e “volle”.

    23

    13 La Carta pisana consiste in un elenco di spesenavali. Inoltre si ritrova un’iscrizione su un sarcofagodel Camposanto, con un morto che parla al vivo:“+h(om)o ke vai p(er) via prega d(e)o dell’anima mia, si co-me tu se’ ego fui, sicus ego su(m) tu dei essere”. La stessa i-scrizione si ritrova, nella sostanza, nel lungo corri-doio che conduce alla chiesa senese di Santa Caterinadella Notte: “Come tu sei fui ancor io, come io sono saraianche tu”.

    14 “Quando io vo predicando di terra in terra, quandoio giogno in uno paese, io m’ingegno di parlare sempre si-condo i vocaboli loro; io avendo imparato e so parlare al lormodo di molte cose (...)”. In: San Bernardino, PredicheVolgari, XXIII

    15 La necessità di retrodatare la nascita del volgareitaliano attraverso documenti che dessero il giusto va-lore alla lingua senese era sentita anche da ClaudioTolomei: “Se mai vi pregai, hora vi scongiuro, che mi cer-chiate qualcuna de le più antiche scritture che costì in Sienasi trovano in lingua toscana. Vorrei, s’egli è possibile, che

    fussen di cento o di dugento anni innanzi a Dante”(Lettera di Claudio Tolomei all’amico GiacomoPaganelli, 1 aprile 1546).

    16 Le lettere dei mercanti senesi sono precedenti aquelle fiorentine, datate intorno al 1290.

    17 Ringraziamo Ettore Pellegrini per la preziosa se-gnalazione. Della lettera di Vincenti si ritrova notiziain: A. CASTELLANI (1982), La prosa toscana delle origini:i testi toscani di carattere pratico, Bologna, Patròn.

    18 Sulla lingua di Santa Caterina cfr. M.BENEDETTI (1999), Le opere di Santa Caterina da Siena:aspetto linguistico, pp. 117-120 e M. CATRICALÀ (1999),Caterina e la storia della lingua italiana, pp. 121-130. InAA.VV. “Con l’occhio e col lume”, Atti del CorsoSeminariale di Studi Cateriniani - Università perStranieri di Siena, Dip. di Scienze Umane, Siena,Cantagalli.

    19 Cfr. l’analoga espressione nel sonetto di CeccoAngiolieri, alla nota successiva.

  • Se Cecco Angiolieri ci offre un preziosoesempio di rappresentazione di parlato inlingua senese attraverso un suo vivacissimosonetto a Becchina20, due novellieri comeGentile Sermini21 e Pietro Fortini22 fornisco-no ulteriori esempi del vernacolo senese edella sua sopravvivenza. In “Vannino daPerugia e la Montanina” si legge: “(...) E frati,credendo che qualche malo spirito si fusse (...)”,con l’uso di “e” al posto dell’articolo deter-minativo maschile plurale, oltre a terminicome “stroppio” e “dotte”23.

    In Pietro Fortini, invece, si trovano nu-merose forme verbali al passato remoto an-cora oggi in uso nel nostro contado, come“se n’andorno”, “trovorno”, “si messeno”, “co-minciorno”, al posto di “se ne andarono”, “tro-

    varono”, “si misero” e “cominciarono”.Scrittori e rimatori senesi offrono ulte-

    riori esempi e spunti di riflessione riguardoalla nascita e alla persistenza di forme estrutture della lingua senese. Tuttavia uncampo di indagine di eccezionale interesseè costituito dalle carte familiari e personaliche si trovano disseminate negli archivi.Queste fonti documentarie, in gran parte i-nedite, sono in grado di fornire importantiindicazioni sull’evoluzione della nostra lin-gua, della sua collocazione all’interno deltoscano e sul rapporto tra latino e volgare etra scritto e parlato prima del XV secolo,che sarà caratterizzato dalle dispute tra vol-gari e antivolgari24.

    24

    20 “Becchin’amor! Che vuo’, falso tradito?” / “Che miperdoni”. “Tu non ne se’ degno”/ “Merzé, per Deo!” “Tuvien molto gecchito”/ “E verrò sempre” “che sarammi pe-gno?”// “la buona fé” “tu ne se’ mal fornito”/ “no inver dite” “non scalmar ch’i’ ne vegno!”/ “in che fallai?” “tu sa’che l’abbo udito”/ “dimmel, amor” “va’, che ti veng’un se-gno!”// “Vuo’ pur ch’i’ muoia?” “anzi, mi par mill’anni”/Tu non di’ bene” “tu m’insegnerai”/ “Ed i’ morrò” “omè chetu m’inganni!”// “Die te’ l perdoni” “e ché non te ne vai?/“or potess’io!” “tegnoti per li panni?”/ “Tu tieni ‘l cuore” “ eterrò co’ tuo’ guai”. M. STANGHELLINI (cur.) (2003), C.ANGIOLIERI Sonetti, Siena, Il Leccio.

    21 G. SERMINI (1925), Vannino da Perugia e la

    Montanina, in: “Novelle grasse”, Milano,L’Aristocratica.

    22 P. FORTINI. (1923), Le giornate delle novelle de’ no-vizi, Milano, Corbaccio.

    23 “(...) A letto se n’andaro senza stroppio d’Andreoccio,e colcati, amorevolmente le perdute dotte ristorarono (...)”.

    24 Per una bibliografia estesa degli studi sul tosca-no cfr. A. NESI, T. POGGI SALANI (2002), La Toscana,in: M. CORTELAZZO, C. MARCATO, N. DE BLASI., G.P.CLIVIO “I dialetti italiani – storia, struttura, uso”,Torino, Utet.

    S. Caterina e S. Bernardino ritratti in antiche inci-sioni. Il ruolo svolto dai due grandi mistici medieva-li è stato determinante nel processo di costruzionee diffusione della parlata senese.

  • Più di ogni altra istituzione o comunità,le università possono, per la loro intrinsecanatura, contribuire alla pratica della memo-ria storica e culturale, giacché, come sostie-ne Platone nel Menone, “conoscere è ricor-dare”. Ma, dato che la memoria è una di-mensione tanto determinante quanto sfug-gente, conviene ragionare con accuratezzasu questi temi ponendosi domande, nel ten-tativo di far progredire una riflessione col-

    lettiva. Come si può, ad esempio, deciderequal è la porzione di passato – il passato è

    infinito – di cui occorre conserva-re la presenza? A questa doman-da è bene dare adeguate risposteproprio perché negli ultimi de-cenni, in Italia e in Europa in ge-nere, abbiamo assistito a unagrande rinascita della tradizione.E molti indizi lascerebbero pen-

    sare che si tratti di una reazioneprovocata non dalla modernità in

    generale, ma da una sua specificacomponente: mi riferisco a quella pro-gressiva omologazione fra i Paesi e leculture che sembra costituire la caratte-ristica saliente di questi nostri anni.Proprio perché la domanda di tradizio-ne - la domanda di identità – si va fa-cendo sempre più forte, le istituzioniculturali, e dunque anche l’univer-sità, debbono sentire fortemente ilcompito di ascoltare. Ascoltare nelsenso di comprendere gli orien-tamenti che vengono dalle neces-sità dei singoli, senza imporre –per quanto sia possibile imporre,in questo settore – un modello di

    identità di élite che sarebbe fatal-mente condannato al fallimento.

    Decidere per gli altri chi si è, chi si deveessere, non è solo un errore, è soprattutto

    un’ingiustizia. La vera capacità di ascolto èquella che porta a non radicalizzare mai lediverse posizioni.

    Particolarmente rilevante è il ruolo cheavrà, in questo quadro, il sistema europeodell’alta formazione; un sistema che peral-tro è chiamato a rispondere a un nuovo tipodi domanda formativa che emerge dal tessu-to economico e sociale. Gran parte delle co-noscenze e delle competenze della societàsono oggi create e trasmesse all’interno de-gli organismi economici e sociali – imprese 1

    L’Europa delle Universitàdi PIERO TOSI

    Rettore dell’Università degli Studi di Siena Presidente della CRUI (Conferenza Rettori Università Italiane)

  • e comunità locali - prima di essere “ricono-sciute” dai sistemi universitari. Questo ritar-do rischia di ridurre il peso delle istituzioniuniversitarie e potrebbe minare alle radiciproprio una delle missioni alle quali hannostoricamente assolto le università. La quan-tità di conoscenze non è importante soloper il suo impatto qualitativo, perché la verasfida dei prossimi anni non è la tecnologia,ma ciò per cui viene usata. Il profilo emer-gente del lavoratore è quanto mai legato anuovi saperi e alla necessità di avere luoghie opportunità per imparare ad imparare pertutta la vita. Così la formazione assumerà ilruolo di leva strategica per governare il nuo-vo che arriva. L’uso e l’esercizio intelligentedel sapere saranno la vera arena dei nuoviimpegni umani e istituzionali. In Europa sa-ranno sempre più rilevanti l’impatto dellaricerca e la qualità e la mobilità dei ricerca-tori, anche per l’uso che ne potranno fare imondi dell’impresa e dell’amministrazione.

    Le università si identificano da sempre,infatti, come “comunità del sapere”, createper rispondere al bisogno della società dicontare su nuove conoscenze, su competen-ze tecniche e professionali avanzate, su unsolido sistema di certificazione e accredita-mento. La responsabilità di garantire la pro-duzione e la trasmissione del sapere diventauna vera missione che contribuisce allo svi-luppo socio-economico del contesto territo-riale in cui si colloca l ’ateneo, del sistemaPaese, anche in un’ottica di competitivitàdell’Europa.

    L’attuale fase di cambiamento che il si-stema accademico sta attraversando ruotaattorno a tre cardini fondamentali: la figuradello studente, non più mero discente masoggetto centrale cui garantire un reale dirit-to allo studio; il ruolo della ricerca, motoreessenziale di sviluppo economico e sociale,nel suo legame indissolubile con la didatti-ca; l’orizzonte internazionale, nuovo mer-cato competitivo ma, soprattutto, palestrain cui contribuire a definire la nuovaEuropa dello spazio comune dell’alta for-mazione e della ricerca.

    L’attività formativa dell’università deveconcentrarsi su questo triplice e complessoobiettivo che richiede un massiccio e costan-

    te impegno in termini di risorse umane e fi-nanziarie e necessita di un definitivo ricono-scimento sociale, culturale ed economico daparte dei suoi interlocutori chiave, primi fratutti il sistema politico ed economico.

    Se gli atenei sono giustamente chiamatia sviluppare una nuova capacità di selezio-ne e di valorizzazione delle aree di eccellen-za, creando reti di qualità sulla formazionee sulla ricerca, aperte anche alla partecipa-zione delle altre realtà territoriali, purtrop-po, in Italia, la ricerca non è alimentata daadeguati contributi pubblici e privati: sia-mo, infatti, il Paese dell’UE che meno inve-ste in questi settori, peraltro in un contestoeuropeo già svantaggiato rispetto aGiappone e Stati Uniti. Nonostante la gra-vità della situazione, l’università continua asostenere la ricerca con sempre maggioreentusiasmo e ottimi risultati: basti pensareche la metà dei ricercatori italiani lavoranell’università, sede di provenienza dellamaggior parte dei lavori scientifici. Questidati sono ben noti anche all’UnioneEuropea, che destina ben il 35% dei fondiper la ricerca agli atenei. Ma cifre e impe-gno non bastano ad assicurare un solido svi-luppo della ricerca, che necessita invece diun impegno sistematico dello Stato e di unamaggiore partecipazione del sistema indu-striale.

    Una università bene organizzata deveconoscere i suoi obiettivi, individuare le re-sponsabilità precise per ogni attività, esserecapace di modificarsi in base agli stimoli e-sterni, essere in grado di valutare e di far va-lutare gli attori del processo: un insiemecomplesso di attività che, in caso di giudi-zio positivo, costituiscono una garanzia del-l’affidabilità del prodotto finale. Si valuta laqualità per aumentare la qualità: così, al ter-mine di un ciclo di valutazione, l’istituzio-ne si conoscerà meglio e sarà in grado di de-cidere con maggiori saperi e competenze. Inquesto modo, passo dopo passo, giudiziodopo giudizio, si cresce. È un circolo vir-tuoso: si valuta nuovamente e si cresce. Sivaluta la qualità anche per informare i citta-dini sulle reali pratiche dell’istituzione.Tutto questo in coerenza con l’obiettivodella pubblica utilità delle università. La va-2

  • lutazione ha fini informativi, l’informazio-ne dà orientamento, l’orientamento generaattenzione alla qualità. La valutazione aiutaconseguentemente l’università ad adeguaregli obiettivi ai risultati, a darsi cioè degli o-biettivi, vedendo in che misura si è in gradodi raggiungerli.

    Un’attenta valutazione della qualità del-le attività didattiche e di ricerca è una garan-zia per gli investimenti che lo Stato, le fami-glie degli studenti e le imprese fanno nelleuniversità. Una valutazione ripetuta per-mette a chi governa un ateneo di monitora-re l’esito delle proprie politiche e di diffon-dere informazioni affidabili.

    La formazione è una responsabi-lità pubblica, come vuole la tra-dizione europea, e la ricer-ca è la sua forza trainan-te: solo così si co-struisce e si potenzialo spazio dell’uni-versità nella so-cietà. Su solidebasi accademi-che e nel con-fronto apertocon le attese deiportatori di inte-resse si realizza ilrispetto della mis-sione dell’istituzio-ne. Che è quella di ga-rantire e promuovere l’at-tività dell’intelletto per laformazione di competenze pro-fessionali qualificate e duttili, di fronte alcontinuo, vertiginoso mutare delle richiestedi saperi, in virtù di solide basi culturali“creative”, e per lo sviluppo attraverso la co-noscenza e l’innovazione per mezzo dellaricerca.

    Per adempiere a questa missione, che di-viene obiettivo, gli atenei non hanno altrascelta se non quella di anticipare il futuroattraverso un’analisi che faccia comprende-re oggi i bisogni della società dell’immedia-to domani. Non solo. Li faccia comprende-re alla stessa società perché essa possa espri-merli. E intanto l’università può prepararsia rispondere adeguatamente a questi biso-gni modificando la sua struttura: ruolo de-

    cisivo a questo fine ha l’esercizio pieno, enon condizionato da lacci e lacciuoli, del-l’autonomia nell’ambito di un quadro legi-slativo chiaro e stabile (siamo vissuti in un“cantiere” per troppi anni) che delinei lacornice, lasciando agli atenei di disegnare leproprie peculiarità derivanti dalle diversetradizioni e dai diversi contesti socio-econo-mici territoriali.

    Prepararsi all’immediato domani vuoldire non solo formare e fare ricerca con l’o-biettivo di acquisire un ruolo ed esercitareuna responsabilità, ma anche rivedere lastruttura amministrativa, formando, perguidarla, figure nuove, che non solo impo-

    stino ma anche risolvano i problemi,e la stessa architettura dell’asset-

    to istituzionale, dal bino-mio dipartimenti-fa-

    coltà, agli organi digoverno, fra rappre-

    sentanze e scelte diefficienza. Se èvero che l’univer-sità non sarà maiun’azienda per-ché la sua produ-zione è la cultu-ra, che è un beneimmateriale, que-

    sto non toglie chel’assetto della sua go-

    vernance deve poterprevedere scelte condivise

    e mezzi per raggiungere gliobiettivi che ne derivano.

    Ma occorrono certezze legislative e fi-nanziarie per consentire agli atenei di fareprogrammi pluriennali. Altrimenti la com-petizione, ormai aperta e inevitabile a livel-lo europeo e mondiale, ci vedrà perdenti inpartenza. Un’autonomia incompiuta in unquadro normativo nazionale non chiaro èquanto di peggio si possa configurare per-ché genera responsabilità senza potere e po-tere senza responsabilità.

    Lo Stato provveda alla cornice normati-va, investa nell’università e pretenda risulta-ti: queste dovrebbero essere le regole di unPaese lungimirante che vuole garantire unsistema pubblico dell’alta formazione e del-la ricerca adeguato ai tempi. Ovviamente, le 3

  • università, come stanno già facendo, deb-bono anche esercitare l’autonomia nel repe-rimento di altre risorse, ma, è bene dirlo,salvaguardando la propria indipendenzamorale e intellettuale da ogni potere politi-co ed economico - una salvaguardia che è u-no dei pilastri della Magna Charta degli ate-nei firmata a Bologna – così come la lorodistanza da ogni forma di territorialità e diregionalizzazione, sia pure senza esimersidal rapportarsi con il territorio e dall’esseread esso utili e nel necessario confronto conil nuovo federalismo costituzionale.

    Si inserisce in questo contesto il proces-so di “internazionalizzazione del sistema u-niversitario”, l’esigenza di superare la di-mensione nazionale della formazione e del-la ricerca.

    Nel momento dell’approvazione dellacarta costituzionale dell’Europa e dell’allar-gamento dell’Unione a nuovi Paesi, mentresi dà forma a un Continente che va, perdavvero, dall’Atlantico agli Urali, appare ur-gente riconfermare il patrimonio culturaleattraverso il quale i singoli Paesidell’Unione si sono fatti Nazione e poi u-nione di Nazioni.

    Il lungo processo è avvenuto attraversoun crogiuolo di esperienze, di culture, ditradizioni; di intelligenze e di volontà; diprogrammi e di passioni; attraverso l’impe-gno operoso di donne e uomini, eredi dellaciviltà ellenico-romana e fautori di unanuova civiltà universale e, insieme, unitaria.

    I luoghi della formazione di queste don-ne e di questi uomini, di elaborazione dellautopia, prima, e, poi, della politica europei-sta sono state le università. Gli antesignanidi questi moderni sapienti, capaci di sentir-si primi partecipi di una umanità universa-le, sono stati i clerici “vagantes” del

    Medioevo, che nelle università hanno anti-cipato il superamento delle singole“Nationes”. Ma la cultura europea ha sem-pre saputo – fino dai tempi più antichi del-la romanità – che “scientia” e “sapientia”sono sinonimi di universalità e di socialità.Per sapere bisogna aprirsi. Scriveva Plauto:nemo solus satis sapit, “nessuno sa abba-stanza da solo”. Isolamento e sapienza, so-litudine e scienza, costituiscono poli che sirespingono fra loro.

    È significativo che si assista ormai a un a-deguamento della politica e della diploma-zia ai valori della cultura; come si sia passatida una diplomazia della politica, delle stra-tegie militari, della economia, a quella - piùcoinvolgente e persuasiva - della cultura edel sapere.

    Le università italiane sono state – lo pos-siamo affermare con orgoglio – i più appas-sionati e convinti attori del processo unita-rio europeo. Oggi vogliamo ancor di più as-sumere l’impegno per una realtà credibile eper un’immagine forte, persino pedagogica,dei nostri atenei.

    Se è vero che sarà necessario ancora deltempo per raggiungere una politica europeaunitaria, lo Spazio comune europeo dell’al-ta formazione e della ricerca – l’Europa del-le università – sarà la strada più certa percreare i cittadini europei. E sarà necessarioincludere in questo processo altri Paesi, delMediterraneo, dell’America latina edell’Asia. È un’opportunità che non possia-mo permetterci di perdere.

    È l’idea, cara al nostro Presidente dellaRepubblica, di un’Italia europea.

    4Nelle illustrazioni sono, rispettivamente, rappresentati il moderno logo dell’Università di Siena

    ed un antico sigillo dello Studio senese.

  • LA RICERCA ARCHEOLOGICA A SIENASiena non è mai stata sottoposta ad un

    progetto sistematico di scavi archeologici fi-nalizzati a comprendere la storia della città.Negli ultimi vent’anni però il Dipartimentodi Archeologia e Storia delle Arti dell’Uni-versità di Siena è stato “silenziosamente”presente sul tessuto urbano, sfruttando ogniminima occasione di conoscenza.

    Le indagini sulla città prendono inveceavvio nel 1979 con la ricerca e la mostra rac-colte nel volume “Siena: le origini. Testimo-nianze e miti archeologici”, curata da MauroCristofani dove se ne reinterpretava la storia,censendo e sottoponendo a rilettura criticatutte le fonti disponibili e smentendo i luo-ghi comuni sull’origine della città.

    Agli inizi degli Anni Ottanta uscivano iprimi studi sulla ceramica medievale seneseanalizzata e tipologizzata in un’ottica ar-cheologica, nei quali confluivano i materialinoti, i recuperi urbani moderni (complessodi S.Marta-Oratorio del Nicchio), gli scavidi complessi monumentali (la zona antistan-te la Fonte di Follonica e Palazzo diS.Galgano) ed alcune ricognizioni sul terri-torio; seguì di lì a breve lo scavo dei pozzi dibutto del castellare degli Ugurgeri nei localidella Civetta ed alcuni dei materiali recupe-rati sono oggi esposti nel museo di contrada.

    Sul finire del decennio venne invece a-perto uno scavo sugli spazi antistantil’Ospedale di S.Maria della Scala che detteimportanti indizi sulla realtà senese nella

    transizione fra età tardoantica ed alto me-dioevo. L’intervento, in anni di rovente po-lemica per il protrarsi del grande cantiere ar-cheologico in Piazza della Signoria aFirenze, ebbe termine nel rispetto delle fe-ste tradizionali senesi.

    Fu svolta inoltre un’indagine archeologi-ca sul paramento murario retrostante l’affre-sco della Maestà di Simone Martini nellaSala del Mappamondo del Palazzo Comu-nale e vennero realizzati i primi contributi 5

    Dopo il numero monografico “Siena e le origini: dal mito alla storia”(18/2002), Accademia dei Rozzi ha il piacere di pubblicareun nuovo importante contributo su:

    Siena ed il rapportocon l’ArcheologiaTra scavi e tecnologia digitale per unanuova dimensione culturale della cittàdi RICCARDO FRANCOVICH (professore ordinario di Archeologia Medievale) edi MARCO VALENTI (professore associato di Storia degli Insediamenti tardoantichi e medievali)

    Frontespizio del volume relativo alla ricerca archeologicanell’area del S. Maria della Scala (1991).

  • sull’edilizia medievale cittadina. Agli inizidegli Anni Novanta si scavarono d’emergen-za i resti di una fornace da ceramica in viadelle Sperandie, databile fra la seconda metàdel XV e i primi decenni del XVI secolo.

    Dalla fine degli anni ’90 l’intervento delDipartimento di Archeologia si è fatto piùorganico, individuando Siena come uno deipoli centrali del progetto “Archeologia deiPaesaggi Medievali”, attivato in collabora-zione con la Fondazione Monte dei Paschi.Sono quattro finora i punti in cui è statopossibile svolgere indagini esaustive chehanno aperto nuovi fronti di conoscenza: ilcomplesso monumentale del Santa Mariadella Scala, il sottosuolo del Duomo, il con-vento del Carmine, la valle di Follonica.

    LO SCAVO NELL’OSPEDALE SANTAMARIA DELLA SCALA

    L’Ospedale è stato interessato da due di-versi interventi archeologici. Il primo nel1988 sugli spazi immediatamente esterni, ilsecondo tra il 1998 ed il 2000 ed in coinci-denza del restauro del monumento. I duescavi hanno fornito prime indicazioni signi-ficative per la storia della città.

    Se fino a poco tempo fa le tracce archeo-logiche riferibili all’epoca etrusca si limita-vano alla localizzazione di alcune sepolture,gli archeologi hanno invece portato alla lu-ce i resti di una grande struttura. forse unaresidenza aristocratica, posizionata sul ver-sante meridionale della collina del Duomoe databile nel corso del VII secolo a.C. Sitratta di un’estesa capanna con fondazionein muratura ed elevato in materiali deperibi-li, forse dotata all’esterno di una recinzioneche delimitava un’area di rispetto.

    Nel corso degli ultimi tre secoli primadella nascita di Cristo, dopo l’abbandonoed il crollo dell’edificio etrusco, in una zo-na poco più a monte si sviluppò un nuovoinsediamento, del quale rimangono traccein grandi presenze di materiale ceramico,tra cui la caratteristica vernice nera, ed alcu-ne infrastrutture tipo silos conici per la con-servazione delle derrate alimentari.

    Più evidenti sono le tracce della Siena ro-mana che le fonti letterarie attestano con il

    nome di Saena o Senensis Coloni. Tra il I edil III secolo d.C. il colle fu interessato da u-na serie di tagli artificiali dal profilo vertica-le, che ne regolarizzarono il pendio creandolarghe terrazze sulle quali si sviluppò l’abita-to, in un’alternarsi di edifici e zone ortive.

    Intorno al IV secolo una delle terrazzeche si affacciano sul Fosso di S.Ansano fuinteressata dalla costruzione di un nuovogrande edificio del quale è stato indagatoun ambiente allungato, terminante sui duelati brevi con absidi. A nord doveva svilup-parsi il resto del complesso, probabilmenteidentificabile come una struttura termale.

    Nel VI secolo il complesso fu abbando-nato e le strutture perimetrali spoliate quasifino alle fondamenta. Tracce di una struttu-ra abitativa sono state trovate ai marginimeridionali di piazza Duomo, dove ungrande muro (forse resti della cinta murariadella città) è riutilizzato per la costruzionedi un piccolo edificio con alzato in terrabattuta. Una delle absidi dell’edificio terma-le ospitò invece una baracca di legno utiliz-zata come magazzino degli attrezzi per leattività di demolizione delle strutture mura-rie di età romana che hanno lasciato grandimucchi di pietre, tegole e malta.

    Per quanto riguarda la viabilità, sembraormai certo che il percorso che collegava laparte più bassa del versante collinare all’o-dierna Piazza Duomo ripercorresse quellodella strada interna all’ospedale bassome-dievale. Per i secoli VI-VIII, lo scavo ha mo-strato un notevole accrescimento dei depo-siti che pian piano obliterano i resti degli e-difici più antichi. Tali depositi sembranoproporre il modello già formulato per mol-te città italiane nel momento di passaggiotra tarda antichità ed alto medioevo: una“crescita in verticale” dei livelli urbani conaccumulo di livelli di terra nera ricchi dimateriale organico decomposto. Si tratta discarichi e piani d’uso tagliati da buche dipalo o da strutture con basamento in pietraed alzato ligneo. In particolare, a ridossodel balzo che si getta nel fosso diSant’Ansano è stata riconosciuta una strut-tura muraria a secco che riutilizzava mate-riali edilizi eterogenei e che probabilmentecostituiva il basamento di una palizzata li-6

  • gnea, posta a protezione della parte alta del-la collina. Questa struttura sembra databiletra il VII e la seconda metà del IX secoloquando, persa probabilmente la sua funzio-ne, crolla.

    Il versante collinare ritorna a mostraretracce insediative tra la fine del IX e il X se-colo. Nel IX secolo la Piazza Duomo era co-stituita da terrazzamenti costellati di capan-ne in legno, lungo una strada che risaliva ilpendio. Queste strutture hanno lasciato im-pronte sul terreno: buche di palo di formacircolare, con rincalzi in tufo giallo. Nel cor-so del X secolo i resti superstiti dell’edificiotermale subirono un nuovo intervento didemolizione e poco più a est fu costruito exnovo un altro muro con pietre di reimpiego.Doveva far parte di un edificio forse di tipopubblico ed anche di un certo rilievo, comesuggerisce la particolare cura nella messa inopera e nella rifinitura del paramento ester-no, nonché l’abbondante uso di malta.

    Alla fine dell’XI secolo risale la costru-zione del nucleo originario dell’ospedale.Citato come xenodochio et hospitale deCanonica Sancte Marie, il complesso si svi-luppa e si amplia nei secoli seguenti per

    moduli costruttivi progressivi. Al di sottodei pavimenti moderni sono stati rinvenutiuna serie di ambienti, scavati in parte nell’a-renaria e in parte negli strati neri depositati-si durante l’alto medioevo. Si tratta dellecellae ricordate nei documenti dall’XI seco-lo. Mentre quattro di questi ambienti, di-sposti con un analogo orientamento, si a-prono su uno dei ciglioni di tufo disposti amezza costa, altre analoghe aperture costel-lano l’intero versante, fin quasi alla quotadell’attuale piazza Duomo. Si tratta di pic-coli vani quadrangolari tipo grotte, con unacopertura a doppio spiovente, cui si accedescendendo lungo una stretta scala, e che fu-rono utilizzati fino al XIV secolo.

    IL CANTIERE SOTTO IL DUOMODall’agosto 2000 fino all’inizio dell’esta-

    te 2003, in collaborazione con l’OperaMetropolitana si è scavato nei locali sotto-stanti il coro del Duomo di Siena e negliambienti adiacenti l’Oratorio di SanGiovannino. Le ricerche hanno portato allaluce informazioni sulla storia della collinadal periodo etrusco ellenistico e sullo svi- 7

    Pianta degli ambienti individuati sotto il Duomo (da: Sotto il Duomo di Siena, Milano, Silvana Ed., 2003).

  • luppo del Duomo sino dal XII secolo. Ilsottosuolo della cattedrale, così come quel-lo del Santa Maria della Scala, rappresenta-no un archivio di grande importanza per ca-pire l’evoluzione urbanistica di Siena.

    In età ellenistica il versante nord-orienta-le della collina sulla quale sorge il Duomo,fu soggetto all’accumulo di livelli sabbiosiprovenienti dalla sommità; lungo il versan-te opposto, un grande taglio nel tufo è forseinterpretabile come i resti di una viabilitàche risaliva verso il pianoro superiore.

    In epoca romana fu costruito un pozzet-to, a pianta quadrata, dotato di buche perl’alloggio di quattro pali angolari destinatial sostegno di una copertura lignea; le pare-ti, scavate nel tufo, erano probabilmente fo-derate con assi. I livelli superiori di riempi-mento della struttura hanno restituito, oltrea materiale ceramico in sigillata italica ed u-na mandibola canina fittile (forse un reper-to votivo), resti osteologici riferibili a tre ca-ni, due dei quali adagiati su un fianco e ma-cellati in tre parti lungo il tronco prima del-la deposizione. Nel riempimento sottostan-te è stato invece rinvenuto parte dello sche-letro di un cavallo.

    Il ritrovamento è riconducibile al ritopropiziatorio connesso alla fondazione del-le mura e delle porte cittadine: l’opera diperimetrazione urbana, infatti, veniva sacra-lizzata con il sacrificio di cani e la loro inu-mazione rituale. Il pozzetto sarebbe in que-sto caso collegabile alla costituzione in etàaugustea della colonia militare di SaenaJulia e la costruzione di un circuito murariocon un tratto che passava lungo l’attuale viadei Fusari. Allo stesso periodo è attribuibileanche una struttura non identificabile, conandamento semicircolare, rinvenuta al disotto del coro del Duomo.

    In età tardo antica invece la parte nord-ovest dell’ambiente indagato, fu interessatadallo scarico di materiali vari (carboni,frammenti di laterizi, residui di intonaci di-pinti), provenienti da edifici di epoca roma-na ormai in disuso, utilizzati per formareun piano omogeneo posto a livellare il pen-dio della collina; su questi fu impiantataun’area cimiteriale. In questo periodo si as-siste probabilmente ad una contrazione del-

    l’abitato nella parte orientale della collina. Un’edilizia in materiali deperibili (legno,

    terra e paglia) caratterizza invece le strutturedi fine VI-VII secolo; il versante orientaledella collina, fu spianato ed ospitò l’unicastruttura di età longobarda finora rinvenutaa Siena: una capanna di forma circolare, se-miscavata, dal diametro di circa 3,50 m eprofonda 2 m; doveva avere alzati in terra ecanniccio ed un tetto in paglia a forma dicono, forse appoggiato al suolo. Era divisain due parti: quella scavata sembra ricondu-cibile ad una cantina sottostante il pavi-mento in assi di legno del quale sono visibi-li ancora gli alloggi. Intorno ad essa fu im-piantata una nuova area cimiteriale.

    Il filo della narrazione s’interrompe finoall’XI secolo; in questo lungo intervallo ditempo, ma non conosciamo il momentopreciso, fu edificata una chiesa precedentela cattedrale. Rimangono le sue tracce inun’abside che venne costruita fondandosisu ruderi di età romana. Probabilmente sitratta della chiesa attestata in documenti diseconda metà del IX secolo, e descritta piùpuntualmente in un documento del 1012.Inoltre sono stati portati alla luce i resti dialcuni annessi di servizio, due silos da granoprofondi 4 m e due cantine, scavati neltufo. Sono state infine rinvenute tre sepol-ture, contenenti due bambini ed un indivi-duo di età adulta.

    Tra l’XI secolo e la seconda metà del XIIsecolo fu fondata l’ecclesia maior, cioè lacattedrale. La conformazione del nuovo e-dificio è ben riconoscibile nei resti indivi-duati dallo scavo e dal restauro degli am-bienti sotterranei. Risulta dotata di una fac-ciata posteriore, rivolta ad oriente, a confer-ma dello sviluppo del tessuto urbano circo-stante e dell’esigenza di un collegamentodiretto tra la cattedrale e la città.

    Con gli anni ’60 del Duecento si portò acompimento la porzione orientale della cat-tedrale e la costruzione della cupola.L’importanza dell’ingresso orientale alla cat-tedrale è ulteriormente sottolineato dallacostruzione di un ambiente affrescato, alquale si accedeva tramite la facciata rivestitadi un paramento in pietra di raffinata esecu-zione. 8

  • Questa è la straordinaria scoperta, la cuinotizia è stata data dai media di tutto ilmondo e che fa parte del percorso di visitaprogettato per la mostra di Duccio. In que-sto ambiente, nel quale lavorarono i più im-portanti pittori senesi della metà del XIII se-colo, si trovano giustapposte le scenedell’Antico Testamento, sistemate nelle partialte delle pareti perimetrali, a quelle delNuovo, poste sulle superfici sottostanti.Partendo dalla zona sinistra dell’ambientesono visibili da principio gli episodi delParadiso terrestre, le storie mariane e l’infan-zia di Cristo, Caino e Abele, Isacco ed Esaù,gli episodi della vita pubblica di Cristo ed ildramma della Passione (Crocifissione,Deposizione dalla croce, Deposizione nel se-polcro).

    Lo spazio interno era scandito dai duegrandi pilastri ottagonali del coro, affrescatianch’essi, e da due colonne più piccole, dicui si sono conservate solo le basi in pietra.Si accedeva all’ambiente, coperto con volte acrociera, tramite tre ingressi aperti nella fac-ciata posteriore della cattedrale, rivolta ad o-riente. All’interno il collegamento con ilDuomo era assicurato da una scalinata collo-cata nell’angolo nord-ovest del vano, pavi-mentato in laterizi.

    IL RECUPERO DEL CA