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Gerhard Dorn e l'arcano della pietra vivente di Andrea Melis 9

Filosofia meditativa di Gerhard Dorn 39

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Gerhard D o r n e l'arcano della pietra vivente

Della vicenda umana d i Gerhard D o r n conosciamo poco. Nato probabilmente in Belgio, visse durante la se­conda metà del X V I secolo ed esercitò la professione me­dica e di farmacologo, nonché l'attività di scrittore di filo­sofia ermetica ed alchimia, soprattutto in Germania ed in Svizzera. La sua presenza è segnalata a Basilea, a Franco­forte e, probabilmente, a Strasburgo. Tuttavia il nome di Gerhard Dorn è prevalentemente le­

gato alla traduzione, alla diffusione ed alla fervente apo­logia degl i insegnamenti d i Paracelso. Signif icat iva­mente, la sua opera p i ù nota e citata è il Dictionarium Theofrasti Paracelsi (Francoforte 1584), una disamina esplicativa dell'assai complessa terminologia paracel-siana.

Sarebbe però incauto trascurare Dorn, archiviando i l corpus dei suoi scr i t t i sulla scorta di un sommario giu­dizio di epigonismo, seppure onesto e devoto.

Molte delle sue opere sono assolutamente indispensabili per comprendere e apprezzare appieno la portata delle dottrine paracelsiane, per sottrarle all'ottuso riduttivismo

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positivista che non ha saputo vedere in esse nient 'altro che una congerie di superst iz ioni da grimoire, un co­acervo di evocazioni, fo rmula r i e teorie bislacche, cui non concedere molto più della divertita e distratta curio­sità per un reperto esotico, legato ad un passato tanto fantastico quanto oscuro.

Questo sprezzante e superficiale punto di vista è stato, o rmai da tempo, messo abbondantemente in cr is i dai b r i l l an t i studi di Walter Pagel1 che ha dimostrato - pur mantenendosi rigorosamente entro una prospettiva sto­riografica e filologica d'indiscutibile vaglio scientifico -l'estrema e articolata complessità, la ricchezza di pen­siero, o anche solo di referenze filosofiche, mediche e na­turalistiche, che l'opera di Paracelso rivela.

Tuttavia i l dato che anima il nostro interesse nei con­f ron t i d i Gerhard Dorn consiste pr imar iamente in un aspetto assai peculiare dei suoi scr i t t i , ovverosia la de­scrizione puntuale, e preziosissima per trasparenza, che egli propone della prassi alchemica nel suo punto p iù de­licato, laddove i l l inguaggio dell 'ermetismo alchemico - che Dorn integra all 'interno di un articolato orizzonte filosofico platonizzante2 - con le sue visionarie prescrizio­n i , s'interseca, sovrappone e avviluppa alla prassi asce-tico-devozionale, facendosi metafora e simbolo d'un pro­cesso, di un'ars practica, di natura anagogico-teurgica3,

1 Walter Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Milano 1989. 2 Sui punti di riferimento filosofici del Dorn - che avremo modo di rilevare

ed evidenziare più oltre, in svariate circostanze - ved. anche Jean Francois Marquet, "Philosophie et alchimie chez Gerhard Dorn", in Alchimie et Philo-sophie à la Reinassance, a cura di J.C. Margolin e S. Matton, Librairie Philo-sophique J. Vrin, Paris 1993, pagg. 215-221.

3 La teurgia è primariamente esperienza del Divino. Così la definisce Gio­vanni Reale, riecheggiando gli autori neoplatonici: "È la 'sapienza' e T'arte'

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volta a trasmutare spiritualmente le potenze psichiche dell'uomo e del cosmo in cui questi si rispecchia.

Ciò che ha costituito secolare oggetto di contesa, ossia la legi t t imi tà stessa di un'interpretazione in chiave spi r i ­tuale e inter iore dei testi di alchimia, o almeno di una parte di essi, in Dorn diviene dato acquisito, dichiarato punto di partenza, evidente e acclarato come in pochis­s i m i a l t r i au to r i . E anche a voler ammettere che l ' a l ­chimia fisica non sia interamente riducibile a quella spi­rituale, certamente, per Dorn, la prima non potrebbe m i ­nimamente sussistere senza la seconda.

Così nel De Philosophia Meditativa e nel De Philosophia Chemica ad Meditativam comparata, che al p r imo fa se­guito costituendone un complemento logico, il raffronto fra processo alchemico e ascesi spirituale è proposto in costante e serrato contrappunto, dal t i tolo fino alla l i m ­pida ricapitolazione conclusiva: "Come sette sono i gradi filosofici attraverso i quali all'intelletto si rivela l'accesso alle cose p iù alte, sette sono anche le operazioni alche­miche pr incipal i , attraverso le quali l'artista può perve-

della magia utilizzata per finalità di carattere mistico-religioso. Appunto queste finalità costituiscono le caratteristiche che contraddistinguono la teurgia dalla comune magia". " I l 'teurgo' differisce essenzialmente dal 'teo­logo' perché mentre quest'ultimo si l imita a parlare intorno agli dei, l'altro, invece, evoca gli dei e agisce su di essi, o, meglio, li fa agire sull'uomo" (G. Reale, "L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero meta­fisico di Proclo", saggio introduttivo a: Proclo, / manuali, Rusconi, Milano 1985, pag. CLXXIX) . Per un inquadramento ed un approfondimento sto­rico-filosofico del concetto di teurgia ved. Hans Lewy, "The meaning and the history of the terms Theurgist ' and 'Theurgy'", in Chaldaean Oracles and Theurgy, Études Augustiniennes, Paris 1978, pagg. 461 e sgg.

Per un inquadramento generale dei fondamenti della teurgia ved. tra l'altro Gregory Shaw, Theurgy and the Soul, the Neoplatonism of Iamblichus, Pennsylvania State Univ. Press, 1995.

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nire a quell'arcano - che eccelle sopra ogni altro - della medicina universale"4. L'iter di questo confronto è proposto con tale chiarezza

da non richiedere dettagliate e sistematiche disamine pre l iminar i del contenuto. Tuttavia ci soffermeremo su alcune questioni specifiche.

Per collocare appropriatamente i due testi ci tati sopra, bisogna ricordare che essi costituiscono, in larga parte, una rielaborazione, a t ra t t i m in ima e discreta, di un'o­pera precedente del Dorn, il De Speculativa Philosophia5, che li sussume entrambi. Inoltre, il De Philosophia Medi­tativa e il De Philosophia Chemica ad Meditativam compa­rata fanno parte di una summa teorico-pratica di scri t t i dorniani , raccolta nel Theatrum Chemicum6 accanto ad altre opere del nostro Autore, fra cui ricordiamo almeno il noto Congeries Paracelsicae. I t i t o l i di questa summa sono co l loca t i ne l l 'ordine seguente: Physica Genesis, Physica Hermetis Trismegisti, Physica Trithemii, Philoso­phia Meditativa, Philosophia Chemica, De Tenebrìs contra Naturam et Vita Brevi, De Duello Animi cum Corpore, De Lapidum Preciosorum Structura. I p r i m i due t r a t t a t i sono, rispettivamente, un commento al p r imo capitolo della Genesi, e un commento alla Tabula Smaragdina, at­t r ibui ta tradizionalmente ad Ermete Trismegisto. Anche in questo caso, non mancano i pun t i di contatto e con­fronto fra i testi commentati. Lattanzio aveva visto in Er­mete Trismegisto un'annunciatore del Verbo giudaico-

4 Theatrum Chemicum, Argentorati 1659-1651, voi. I, pag. 453. D'ora in poi Th. Chem.

5 Abbiamo uti l izzato la Philosophia Speculativa, come termine di con­fronto testuale, per emendare alcuni refusi presenti nella redazione della Philosophia Meditativa.

6 Ibid. , voi. I, pagg. 326-490.

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cristiano, e secondo un paradigma diffusosi nel corso del XV secolo - assai caro anche a Ficino - Ermete Trisme-gisto sarebbe stato un contemporaneo di Mosè, convin­zione rappresentata emblematicamente e f igurat iva­mente finanche sul pavimento del Duomo di Siena: "Her­mes Mercurius Trismegistus contemporaneus Moyse"7.

Ma to rn iamo alla Philosophia Meditativa. Quali sono dunque i sette gradini di questo itinerario spirituale e in cosa consiste il rapporto analogico con l'opus chemicum?

"La putrefazione spagirica è assimilabile allo studio9 dei f i losofi . Come i fi losofi, attraverso lo studio, si dispon­gono alla conoscenza, così gli esseri naturali, mediante la putrefazione, sono condotti alla soluzione, che a sua volta è raffrontabile alla conoscenza filosofica. Ed infat t i così come grazie al la conoscenza filosofica si dissolvono i dubbi, non altrimenti, mediante la soluzione spagirica, si dischiudono i corpi metallici, per consentire l'estrazione dei loro spiri t i . E ancora, come dall'amore meditativo per gl i studi sorge la frequenza e quindi la familiari tà con la saggezza, la somiglianza alla verità e la comunione con la vi r tù , similmente dalla frequente ripetizione della conge­lazione che segue la soluzione, l'una sempre alternata al­l 'altra, le part ì dei corpi natural i , per l'assiduità di tale operazione, acquisiscono un grado di aff ini tà per pu­rezza, così da poter accedere all'unione spagirica. Perciò, come per la frequenza negli studi filosofici si acuiscono le facoltà intellettive dei filosofi, così, con le abluzioni spa-gir iche, si possono sotti l izzare persino le membra dei corpi na tura l i . Al lo stesso modo in cui i f i losofi , attra-

7 Ved. i p r imi capitoli di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione er­metica, Laterza, Bari 1985.

8 Studium indica qui una anche una laboriosa disposizione di ardente de­vozione, intensa vibrazione emotiva per l'oggetto cui ci si dedica.

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verso la virtù, si congiungono alla verità, par iment i g l i elementi si compongono attraverso la miscela spagirica e la composizione. Grazie alla potenza si consolidano le vi r tù filosofiche, insediandosi per dignità, e in guisa ana­loga gli spi r i t i sono insediati nei loro corpi attraverso la fissazione spagirica, in modo che non rifuggano il fuoco. Infine, come per mezzo del miracolo la filosofia adepta rende manifesta la Verità agli uomini , similmente la me­dicina spagirica, grazie alla proiezione, svela la propria perfezione. In breve ti è stato rivelato tutto ciò che l'au­tentica filosofia possiede in comune con l'arte spagirica per quanto concerne le operazioni"9.

L'arcano sembrerebbe essere stato rivelato appieno, se non fosse che il versante alchemico-spagirico di questa metafora cela a sua volta proprio la descrizione dei ter­min i tecnico-pratici del processo lungo il quale si artico­lano le singole operazioni dell'alchimia interiore. La con­troparte psico-fisica dell'opus resta velata, anche se p iù d'uno spiraglio è stato dischiuso. Una delle vie d'accesso per tentare di sciogliere questo

enigma pratico consiste in un vero e p rop r io scambio delle "maschere". L'uomo deve essere in grado di introiet-tare in sé i l mondo esterno, di assimilarlo alla propr ia soggettività - l'Unus Mundus di cui parla Dorn - per r i ­uscire, nel medesimo tempo, a obic t t ivare se stesso, agendo sulla p ropr ia compagine psico-fisica, p ropr io come se contemplasse un minerale, una pietra vivente10.

9 Th. Chem., voi. I, pag. 453. Corsivi nostri. Nella Philosophia Meditativa sono trattati i pr imi due gradi (putrefactio - studiwn e solutio - cognitio phi-losophica) che rappresentano il pr imo, difficilissimo scoglio dell'opus. I gradi successivi costituiscono l'oggetto della Philosophia Chemica.

10 II significato simbolico della pietra, nei testi alchemici, presenta molte­plici aspetti. Tra gli altri , oltre ai riferimenti evangelici e biblici in generale,

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È in se stesso, p r i m a d 'ogni a l t ro luogo, che l ' a lch i ­mista deve sperimentare l 'un i tà cosmica. I l carattere pratico della conoscenza ermetica è costantemente riba­dito da t u t t i gl i a lchimist i . L'uomo, in quanto riassume in sé l ' intero Creato, è, secondo Paracelso, quintessenza del cosmo. Nell 'uomo, scienza ed esperienza si compe­netrano, divengono tu t t 'uno attraverso i l processo d i identif icazione con l'oggetto conosciuto. Pagel11, g iu­stapponendo alcuni frammenti t ra t t i da Paracelso, così riassume questa concezione. "La conoscenza è expe­rientia - qualcosa che conosciamo con certezza - con­t rar iamente all'experimentum, che è, di per sé, pura­mente 'accidentale'. [ . . . ] 'Allorché o r ig l i (ablauschen) per cogliere dalla scammonea la conoscenza che pos­siede, essa verrà in te così come è nella scammonea, e al lora avrai acquisi to l'esperienza e insieme la cono­scenza'. [ . . . ] 'Scientia, pertanto, è ciò che è in pieno ac­cordo con la conoscenza conseguita tramite il giusto or­dine della Natura'. 'La scientia è contenuta nell'oggetto in cui Dio l'ha depositata: Yexperientia è la conoscenza di casi in cui la scientia è stata messa alla prova'. [ . . . ] Mettendo la scientia alla prova in un esperimento, l'os­servatore raggiunge un'identificazione con l'oggetto e questo rende possibile la comprensione dell'oggetto: ex­perientia. Essa va mol to p i ù in profondità dell'essenza degli oggetti di quanto non faccia la percezione sensi­bile. [ . . . ] ' . . . è la concordanza che rende l 'uomo un i n -

la pietra è eletta a forma simbolica perché rappresenta, ontologicamente, la manifestazione p iù "semplice" ed elementare dell'essere obiettivo nello spazio. Nell ' immobili tà lapidea anche la dimensione temporale si assotti­glia fino a rendere l'oggetto virtualmente partecipe dell'essere puro, non soggetto al divenire e alla trasformazione. La pietra è quindi , per eccel­lenza, oggetto dell'osservazione.

" Cit., pagg. 54-55.

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tero: così egli conosce il mondo e da esso l 'uomo stesso, essendo questi due una cosa sola, e non due. È questo che io metto a base dell'esperienza'". Dorn g l i fa eco nella Philosophia Meditativa: "E non

possiamo, muovendo da un dubbio qualsiasi , conse­guire maggiore certezza se non facendo esperienza, né in modo migliore che facendola in noi stessi. Per cui ve­rificheremo le cose dette in precedenza intorno alla ve­r i tà compiendo da noi stessi la prova".

Ma il Creato non è soltanto ordine. La parola greca ko-smos, infat t i , significa sia ordine, sia ornamento. Se l'os­servazione dell'ordine naturale conduce alla conoscenza della Legge, la contemplazione della bellezza, in quanto teofania, è esperienza - cardiaca p iù che cerebrale - amo­rosa e uni t iva , che prelude alla theosis, alla divinizza­zione de l l ' uomo che sappia vedere nel Creato, e in se stesso in quanto ornamento del Creato, il manifestarsi del Divino. È questo uno degli aspetti, tra l'altro non pr ivi di sublime poesia, che contraddistinguono l'"ingenuo stu­pore" dell'alchimista di fronte alla Natura.

Ecco perché i testi di alchimia invitano l 'uomo a espe­rire e conoscere dentro di sé i quattro elementi, i pianeti e i minerali , mentre descrivono metaforicamente la cono­scenza di sé come un viaggio macrocosmico attraverso le qualitates.

L'uomo, secondo Dorn, riceve il corpo dalla terra e l ' in­telletto dal cielo. " I l cielo e la terra sussistono insieme, così come il cielo e l 'uomo. Tuttavia, poiché l 'uomo è composto anche di terra, lo si deve conoscere a partire da essa e secondo essa. Ma bisogna giudicare il quaternario (degli elementi) anche a par t i re dal cielo e secondo il cielo. Quindi l'uomo, il cielo e la terra sono una cosa sola, ed insieme anche l 'aria e l'acqua. [ . . . ] Al l ' in te rno del-

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l 'uomo, e non f u o r i d i l u i , esiste un tesoro grandis-simo . 11 mondo esterno diviene teatro13 dell'attività interiore, e

l'esperienza del cosmo esteriore si "drammatizza" e vivi­fica all ' interno della sfera mentale ed emotiva. Il poten­ziale "psiche-delico"14 di tale operazione è enorme, e il punto d'equilibrio sta proprio nel riuscire a far dimorare il macrocosmo entro se stessi, finanche all 'interno della dimensione "affettiva", mentre si opera, per converso e si­multaneamente, una trasformazione di fredda e distac­cata oggettivazione del proprio io15. È uno degli aspetti simbolici - beninteso non il solo - del cosiddetto "fuoco frigido", a cui accennano riservatamente gli alchimisti, e la cui accensione rappresenta forse la p iù difficile e m i ­steriosa delle operazioni. "Bruciare con l'acqua" o "lavare col fuoco", "acqua ardente" sono ossimori usuali, mas­sime de l l ' a lch imia operativa che si incontrano di fre­quente negli antichi trat tat i . Thomas Vaughan, nelle u l ­time righe dell'Aula Lucis, osserva lapidariamente: "Tutti sono in grado di far bollire l'acqua nel fuoco, ma se sapes­sero come far bollire il fuoco nell'acqua, la loro scienza f i ­sica andrebbe ben al di là della cucina". Ma questo capo­volgimento orizzontale non è in sé sufficiente qualora non poggi saldamente su un vertice superiore. Il punto di

12 Philosophia Speculativa, in Th. Chem., voi. I, pag. 274. 13 II suffisso "tr" nel sostantivo teatro (gr. Géaxpov) indica il mezzo, lo stru­

mento per ottenere qualcosa. Il teatro rappresenta quindi lo strumento per guardare (Gedco^cu) in modo attivo, contemplare.

14 Nel senso letterale del termine, rendere manifesta, rivelare all'esterno l'attività dell'anima (yvxfi), ma anche consentire che l'attività dell'Anima del Mondo si manifesti nel "piccolo mondo" interiore dell'alchimista.

15 Così, nella Philosophia Meditativa, Dorn osserva: "Impara inoltre a cono­scere da te stesso ciò che vi è in cielo e in terra, specialmente tutto ciò che è stato creato per te". E ancora: "Non potrai realizzare quell'Uno che cerchi, traendolo dalle altre cose, se prima non sarai riuscito a fare di te stesso una cosa sola".

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vista di D o r n è inequivocabi le : "Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l ' intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio". E questa Grazia, per Dorn come per tu t t i gl i alchi­mist i , va ardentemente implorata. "Ancor p iù grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza im­plorarla pr ima. [ . . . ] Chiedere (veramente) significa do­mandare non solo con la bocca ma col cuore e con tra­sporto emotivo".

Questo "vertice superiore" traccia la direzione stessa e l '"orientamento" del processo di trasmutazione. Per gl i alchimisti, sta all'uomo consentire che il sigillo spirituale s'imprima nell'esperienza, consacrandone il valore. Qua­lora egli vi riesca, il teatro micro-macro-cosmico diverrà, per lo stesso uomo, scenario di una rivelazione divina16.

Ecco allora un esempio descrittivo di questo capovolgi­mento orizzontale, imperniato sull'asse verticale della di­vinizzazione dell'uomo, in cui i contenuti in ter ior i sono proiettati sullo scenario cosmico dei quattro elementi.

"Per p r ima cosa devi mutare la terra del tuo corpo in acqua. Il tuo cuore impietrito, terrestre e fiacco, deve es­sere reso tenero e attento, perché realizzi la conoscenza di Dio ma anche di se stesso. E ciò si compie imprimendo nel cuore - come sigilli apposti nella cera - immagini e v i ­sioni contemplative di natura spirituale. In seguito, dal­l'acqua sia tratta l'aria: volgi il tuo cuore, contrito e umi-

16 Allorché, nel proporre un'interpretazione della concezione alchemica del cosmo, si trascuri di riconoscere il valore fondante di tale principio, l'intera alchimia tradizionale si ridurrebbe a un mero panpsichismo, esito fatale e inevitabile delle interpretazioni di segno "panpsicologistico" che sostitui­scono, al Principio Primo, il principio - meramente umano - di individua­zione psichica.

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liato, in alto nel cielo, verso il Creatore, emulando l'aria che tende sempre verso le regioni p iù alte. E mediante la preghiera bussa con vigore, perché ti sia spalancata la comprensione delle cose divine. Infine, l'aria si traduca in fuoco, e ciascun desiderio del tuo cuore, oramai levato in alto (sublimato), sia tramutato in amore - cui è assimi­lato il fuoco, per l'ardore - di Dio e del tuo prossimo su questa terra, affinché questa fiamma non si estingua mai. E così accadrà che, per affinità, la tua diade, composta

di spirito e corpo, sia congiunta in un solo ternario, attra­verso i suddetti tre gradi del quaternario"17.

17 Gerhard Dorn, Phisica Trithemii, in Th. Chem., voi. I, pag. 396. La dot­trina degli elementi tramandata nei testi di alchimia pone solitamente agli estremi l'acqua (V) e il fuoco (A) in quanto contrari, e - in posizione inter­media - la terra ( V) e l'aria (A) , a indicare due condizioni di "arresto" e fis­sazione più o meno parziale rispetto alla direzione puramente discendente e ascendente. Dorn, al contrario, sembrerebbe porre agli estremi la terra e il fuoco, collocando l'acqua e l'aria in posizione intermedia. Questo "scambio" all 'interno della dimensione inferiore è strettamente connesso al punto di vista che egli intende esprimere, ovverosia quello che più propriamente ca­ratterizza ed esemplifica l'esperienza umana. A conforto di questa tesi si os­servi l'identità di vedute rispetto al Timeo platonico (32B), ove rinveniamo il medesimo ordine. Proclo, commentando l'impostazione platonica del pro­blema, al principio del terzo libro del suo Commento al Timeo, rileva questa incongruenza, solo apparente - rimproverata a Platone anche da Teofra-sto - e la giustifica propr io all ' interno di una teoria epistemologica del cosmo, per cui terra e fuoco appaiono essere i cardini, rispettivamente sen­sibile e visibile, dell'esperienza umana.

Tornando a Dorn, se l'elemento terra contraddistingue la rigida fissità della forma individuata, del soggetto conoscente, la prima immersione nel­l'elemento acqua simbolizza invece una "discesa agli inferi" , esperienza della potenza selvaggia e impersonale delle energie che animano il Creato e della continuità micro-macro-cosmica, conoscenza del "drago", presa di contatto con la dimensione degli atavismi, dissoluzione dell'illusione del­l ' io, e inoltre, per esprimersi nel linguaggio religioso, riconoscimento del peccato ma anche apertura verso l'esperienza del Divino nel suo aspetto di immanenza. Gli stadi successivi sono la logica successione di un unico pro­cesso ascendente di sublimazione (A) e ignificazione (A) . Se rappresentas­simo i quattro elementi collocandoli sui punti estremi di una croce inscritta

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A questo punto il lettore potrebbe essere indotto a do­mandarsi se questi r i fer imenti al cosmo non rappresen­tino in realtà nient'altro che un appoggio metaforico per tracciare un iter sostanzialmente, o addirittura esclusiva­mente, etico-devozionale. Bisogna innanz i tu t to tener conto che qualsiasi ascesi comporta, almeno nelle sue fasi preliminari , un severo lavoro di rimozione dei vincoli concupiscibili e r i fer ib i l i all'ego terrestre in genere. Per­sino nell'ascesi buddista - t ra le forme meno i n c l i n i a qualsiasi indulgenza sentimentalistico-moraleggiante - vi è una serie assai articolata e severa di prescrizioni che re­golano l'etica interiore ed esteriore dell'adepto. Nel l i n ­guaggio alchemico, questa purificazione e rettificazione prel iminare è spesso designata con la mortificazione e con la r imozione delle impur i t à dai metall i , dai pianeti che li s imbolizzano, o anche dai due p r i n c i p i cardine: zolfo e mercurio. Nel De Duello Animi cum Corpore, Dorn contrappone talvolta a l l ' impur i t à peculiare di ciascun pianeta una specifica v i r t ù cristiana. Questo fatto i l l u ­mina la ragione stessa della necessità di appoggiarsi a una prassi etico-devozionale. L'alchimia interiore è una "tecnica" di realizzazione spirituale che affiora in con­testi religiosi, sapienziali ed etnico-culturali assai etero­genei. I l lavoro prel iminare di purificazione e dissolu­zione dei v incol i dell ' io si appoggia necessariamente al patr imonio dottrinale, religioso ed ascetico-devozionale di ciascun contesto d'origine. È così per l 'alchimia in am-

in una circonferenza (©), e ponessimo rispettivamente il fuoco e l'acqua ai vertici superiore e inferiore della croce, la terra e l'aria sulle braccia oriz­zontali sinistra e destra, il percorso indiretto dalla terra al fuoco, transi­tando attraverso gl i al tr i due elementi, potrebbe simbolizzare la cosiddetta "via lunga" o "umida". In direzione contraria, il brusco e diretto passaggio dalla condizione tellurica a quella ignea, senza mediazioni o stadi inter­medi, rappresenterebbe a sua volta la "via breve" o "secca".

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bito induista, taoista, islamico ed anche cristiano, ma in ogni caso i l rappor to con l'osservanza di prescr iz ioni etico-religiose è di natura eminentemente funzionale. Si tratta comunque, nel caso delle prescrizioni etiche, di un mezzo, non di un fine, oppure, per essere p iù precisi, non del fine u l t i m o . Un parallelo p i ù appropr ia to e "com­pleto" pot rebbe al tresì essere proposto r i spe t to al la teurgia, specialmente in ambito neoplatonico e alessan­drino. Al severo controllo del mos individuale si succe­dono i r i t i prel iminari di purificazione che culminano, a loro volta, nell'apoteosi misterica - e teurgica in senso proprio - e in un'illuminazione d'ordine superiore. Questa netta articolazione dei livelli , nel testo di Dorn, si

evidenzia attraverso un brusco iato, un evidente salto nel linguaggio espositivo e nella terminologia del testo. Il lungo e severo sermone di r ichiamo alla Verità, cu lmi ­nante in una p r ima ardente invocazione della Grazia, cede abbastanza improvvisamente il passo a un'oscura descrizione tecnica dedicata all'estrazione della quintes­senza™, o spirito del vino, che per Dorn rappresenta " i l solo, fra gl i arcani della natura, grazie al quale gl i spagi-risti attinsero alle cose p iù alte". L'esposizione e l'uso dei termini si fa qui assai criptico, ingiustificatamente inac­cessibile, se si trattasse solo di un testo di devozione reli­giosa. In realtà, dopo aver descritto abbastanza aperta­mente le pu r i f i caz ion i p r e l i m i n a r i e la "preparazione della materia" - operazioni poggianti anche sulla sfera etica del l ' individuo ma non integralmente r i d u c i b i l i a

18 Lynn Thorndike scorge un debito di filiazione fra la concezione dorniana della quintessenza e gli scritti di Jean de Rupescissa e di Raimondo Lullo, ciascuno dei quali è autore di un Trattato sulla Quintessenza. Ved. Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, Columbia Univ. Press, New York 1941, voi. V, pagg. 630 e sgg.

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essa, - l'esposizione delle tecniche di separazione dell'ani­ma dalla compagine corporea non potrebbe essere propo­sta con pari evidenza e chiarezza, trattandosi di pratiche - teurgiche appunto - potenzialmente assai pericolose.

Si può tuttavia dedurre, dalla stessa struttura espositiva che procede per un cammino di costante "assottiglia­mento" della materia, che il percorso tracciato descrive le gradual i t rasformazioni della coscienza, da uno stato "grezzo" e ottuso, vincolato alla dimensione assoggettata all'ego individuale, fino alla realizzazione di stati supe-rindividuali .

Che la descrizione dell'estrazione della quintessenza del vino da una natura vegetale rivesta un significato simbo­lico è cosa che si può facilmente evincere sia dal contesto, sia grazie ad alcune precise e inequivocabili affermazioni del Dorn.

Così nella Philosophia Speculativa: "Non sarà filosofo colui che negherà che il pane o il frumento detengano in sé uno spiri to meno potente di quello del vino, seppure meno abbondante nel pane rispetto al vino. Se un tale sp i r i to può essere separato a r t i f ic ia lmente dal pane, quanto p iù naturalmente può avvenire la separazione di esso nell'uomo?"19.

E ancora: "Vediamo pertanto che il corpo e l'anima pos­sono, in modo assai pertinente, essere paragonati ai giar­d in i e ai campi. [ . . . ] Possiedi il seme, il campo e l'acqua. Non t i manca nient'altro oltre i l lavoro assiduo, ininter­rotto. Occorre che tu non cessi mai di rimeditare, nei tuoi pensieri, le cose che ti sono state dette..."20.

Se nelle pr ime fasi dell'ascesi alchemico-spirituale la solutio riveste la valenza già segnalata di culmine del d i -

19 Th. Chem., voi. I, pagg. 267-268. 20 Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 434.

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stacco dai vincoli concupiscibili, e pertanto coincide an­che con una forma di rigenerazione etica dell ' individuo, l'accesso a l ive l l i di coscienza d'ordine superiore com­porta un vero e propr io distacco dalla compagine cor-poreo-sensoriale e dalla coscienza ordinaria. È in questa chiave che va interpretato sia il fuggevole accenno a un certo veicolo come strumento per compiere la separa­zione, sia la do t t r ina concernente la quintessenza del vino filosofico.

L'allusione al veicolo come strumento di separazione cela uno degli arcani p iù inviolabil i dell'opus alchemico-spirituale. Per comprenderne e valutarne appieno l ' im­portanza, ci si deve riferire in pr imo luogo alla dottrina neoplatonica del veicolo dell 'anima (òxrma) esposta so­prattut to da Giamblico, Porfirio, Proclo, Sinesio, dagli Oracoli Caldaici, in parte dagli stessi stoici (7tvei>ua è il te rmine che questi impiegano prefer ibi lmente) e an­cora, diffusamente, sebbene in modo piut tos to fram­mentario, dallo stesso Paracelso (corpo sidereo) e da Fi-cino21. Tale insegnamento, in ambi to neoplatonico, si sv i luppa p r i nc ipa lmen te come commento ad a l cun i passi in cui Platone accenna alla dot t r ina dei veicoli22. Riassumendo, soprattutto a part ire dalle osservazioni svolte da Proclo23, Giamblico e Porfirio, le funzioni del veicolo sono essenzialmente tre: 1) È la d imora sottile grazie alla quale l ' Intelletto Trascendente si congiunge al corpo. 2) Al veicolo, in quanto intermediario e soglia fra la dimensione grossolana e quella soprasensibile,

21 Sulla concezione del corpo astrale nel Rinascimento ved. D.P. Walker, "The Astrai Body in Renaissance Medicine", in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, X X I , 1958, pagg. 119-133.

22 Timeo, 41 E; 44 E; 69 C; Fedro, 21A B; Fedone, 113 D. 23 In particolar modo nel quinto libro del Commento al Timeo e negli Ele­

menti di teologia.

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fanno capo la facoltà sensitiva e immaginativa. 3) Me­diante esso, una volta purificato e mondato dai residui genesiurgici, grazie ai r i t i anagogico-teurgici, l 'intelletto individuale può elevarsi f ino alla conoscenza delle po­tenze divine.

La rettificazione, o addir i t tura la riconfigurazione e il ri-orientamento della sfera sensitivo-immaginativa, rap­presenta l 'obiet t ivo p r imar io del processo - esposto in precedenza - di purificazione e separazione24.

A propos i to della preghiera, s t rumento di pu r i f i ca ­zione cui lo stesso Dorn attribuisce considerevole i m ­portanza, Giamblico osserva: "Leva lentamente in alto i n o s t r i s e n t i m e n t i e i l nos t ro pensiero [ . . . ] accresce l 'amore divino, accende la scinti l la divina della nostra anima, la purif ica da ogni sentimento contrario, allon­tana dal pneuma etereo tutto ciò che è incline alla gene­si ..."25. Sulla fotagogia, fenomenologia luminosa di or i ­gine divina, così si esprime: "Questa i l l umina con luce

24 L'argomento è stato ampiamente trattato da numerosi studiosi della tra­dizione neoplatonica e la bibliografia è assai vasta. Per quanto concerne Giamblico, proponiamo all'attenzione del lettore almeno l'ottima disamina teoretica proposta da John F. Finamore, Iamblichus and the Theory ofthe Vehicle ofthe Soul, American Philological Association, Chico, California 1985. Sulla dottrina del "veicolo" al'interno della tradizione neoplatonica, suggeriamo senz'altro l'esauriente e approfondito lavoro di Maria Di Pas­quale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo (aspetti psi­cologici e prospettive religiose), CUECM, Catania 1998. A nostro modesto av­viso, riteniamo anche che le valutazioni parzialmente contrastanti espresse da Porfirio e Giamblico sul destino del veicolo, sulla sua immortalità e, in generale, esprimenti il diverso rilievo attribuitogli, possano rivelare una so­stanziale eterogeneità nei rispettivi orientamenti teosofici, ovverosia, in sin­tesi, di propensione per una "via conoscitiva" che si dispiega attraverso la pura speculazione filosofica per il primo, e di una più schietta caratterizza­zione iniziatica e magico-teurgica per il secondo.

25 Giamblico, / Misteri Egiziani, a cura di A.R. Sodano, Rusconi, Milano 1984, pag. 196. Corsivo nostro.

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divina il veicolo etereo e splendente che avvolge l'anima, per cui divine immagin i colgono la nostra potenza i m ­magina t iva messe in mov imen to dal la vo lon tà degl i Dei"26. Qualsiasi riflessione intorno alla funzione teur­gica del veicolo è indissociabile dai processi di purifica­zione che cost i tuiscono i l cuore del l 'ant ica arte tele-stica. Ne è ulteriore esempio tra gl i a l t r i il Commento ai Versi d'Oro di Pitagora, redatto da Ierocle27. L'uomo è og­getto di almeno tre diverse forme di purificazione, che concernono r ispet t ivamente Yanima razionale, attra­verso la f i losof ia e le v i r t ù , i l veicolo, mediante i r i t i teurgici, e la componente fisico-vitale, attraverso l'ascesi corporea. La lunga e articolata trattazione della prassi catartica, poggiante sui precett i e t ic i dei Versi d'Oro, culmina nella descrizione del veicolo purif icato, la cui qualità è definita - come nel brano di Giamblico citato sopra - splendente (atìyoeiSèq). Il corpo luminoso riac­quisisce le propr ie a l i , che aveva smarr i to al contatto con la vita terrena. Lo "splendore" del veicolo ha signifi­cativi r iscontri nella letteratura alchemica, in particolar modo nei frequenti r iferimenti ai fenomeni luminosi , fe­nomeni cui puntualmente si accenna anche nelle pagine conclusive della Philosophia Meditativa. Ancora una vol­ta il legame coi Misteri antichi e con la tradizione plato­nica e neoplatonica si rivela p iù profondo di quanto po­trebbe apparire. La purif icazione del mercur io con la relativa rimozione dell 'umidità superflua - a indicare il

26 Ibid., pagg. 132-133. Corsivo nostro. La dottrina del veicolo è anche accen­nata in alcuni passi del Corpus Hermeticum, e specialmente in X, 13, 17, 18.

27 Hierocles, In Aureum Pythagoreum Carmen Commentarius, a cura di F.W. Koehler, Stuttgart 1974. Ved. anche il capitolo dedicato a Ierocle i Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.

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"prosciugamento" dei v incol i - consente alla Luce28 ed alla qualità ignea nascosta di rivelarsi. L'eccesso di umi ­dità, che si r iscontra al pr inc ip io dell'opus, indica, nel linguaggio ermetico, quello stato in cui la coscienza "so­lare" dell 'adepto è sopraffatta dal desiderio, orientato verso le forme generate. Già in Erac l i to t rov iamo un modo affine di rappresentare l 'anima. Così lo cita Por­firio29: "Per le anime è piacere o morte diventare umide; e il piacere è per esse cadere nella nascita. [ . . . ] Viviamo la loro morte e vivono la nostra morte". È evidente che il r i fer imento è ad una condizione decaduta dall 'anima, sprofondatasi nel "pneuma torbido". Ed infat t i , altrove (fr. 118 DK) , Eracl i to afferma icasticamente: "L'anima secca è la p iù saggia e la migliore". Il concetto di umi ­d i t à intesa come affezione negativa, i nc l i naz ione a smarrirsi nella generazione, è presente nella stessa tra­dizione neoplatonica. Lo rinveniamo anche in Plotino30, in P o r f i r i o e in Proclo. P o r f i r i o , dopo aver spiegato come l 'anima, mediante la fantasia eccitata dalle pas­sioni del corpo, "regga il proprio fantasma" persino dal­l'Ade, così qualifica i "corpi" che veicolano l'anima: "Co­sicché se (l 'anima) è disposta in maniera p iù pura, le è congenere un corpo prossimo all'incorporeità, come l'e­tere; se procede dalla ragione al l ' immaginazione, le è congenere un corpo di natura solare; se diviene fem­minea e tende alla forma, prende allora una natura l u ­nare; se invece cade nei co rp i , quando si produce la

28 A. Pernety, Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758 s.v. Luce, afferma che la luce corrisponde àll'albificazione del mercurio, successivamente alla putrefazione.

29 De Antro Nympharum, 10. 30 Ved. il capitolo dedicato a Plotino, e al "pneuma torbido" in particolare,

in M. Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.

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forma in vi r tù di ciò che in essa era informe, si costi­tuisce in umidi vapori e perde del tutto la conoscenza dell'ente, in uno stato di annebbiamento infantile. E uscendone, poiché ha ancora lo spirito impregnato di umidi vapori, si trascina un'ombra ed è pesante, dato che uno spirito siffatto tende per natura a cadere nelle profondità della terra, a meno che un'altra causa lo r i ­converta. [...] Quando tenta di mischiarsi senza interru­zione alla natura, la cui attività si svolge nell'umido e per lo più sottoterra, allora è impregnata di umidità. Quando invece tenta di allontanarsi dalla natura, di­viene nitido splendore, senza ombre e senza nubi: l'umi­dità infatt i crea le nubi nell'aria mentre il nitore pro­duce dal vapore una nitida (a/òyfiv, splendente) luce"31. Proclo32 - anch'egli riferendosi a Eraclito e Porfirio a proposito dell 'umidità dell'anima - riconduce all'arte dell'armonia, propria del "buon musico", la capacità di temperare e "distendere" gli "umori irascibil i" e, per converso, di "contrarre" la rilassatezza propria della concupiscenza. Infine secondo Giamblico, Proclo e Macrobio, la so­

stanza del veicolo è tratta dall'etere, denominato in se­guito anche quinto elemento e quintessenza, ossia da un principio celeste, attivo, incorruttibile e relativamente indifferenziato rispetto ai quattro elementi33. Per Paracelso, la quintessenza è la sede degli arcana,

sottili virtutes agentes che caratterizzano ciascun ente.

31 Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, a cura di Giuseppe Girgenti, Ru­sconi, Milano 1996, cap. 29.

32 Proclo, Commentane sur le Timée, a cura di A.J. Festugière, Vrin, Paris 1966,1, 117,5-19.

33 Ved. I ambl i ch i Chalcidensis, In Platonis Dialogos Commentariorum Fragmenta, edited by J. Dillon, Leiden 1973. In Tim., fr. 84.

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Grazie a queste, si estrinseca la potenza causale degli astra, o pr inc ip i seminali.

Dorn, nella Clavis Totius Philosophiae Chemisticae de­dica un intero paragrafo alle v i r tù della quintessenza del vino. "... lo spirito del vino, una volta estratto e separato del tut to dal suo corpo, per continuo moto circolatorio, ha la proprietà di estrarre ciascuno spirito dai rispettivi corpi, siano vegetali, minerali o animali , grazie alla sola infusione. [ . . . ] I p r i n c i p i a t t i v i , separati dai r i spe t t iv i pr inc ip i passivi, agiscono su qualsiasi composto, lo dis­solvono attraverso la penetrazione dello spirito agente e ne separano lo spirito per unione di affinità34: poiché le cose s imi l i sono attratte da quelle s imi l i - quando non siano ostacolate - lo spirito brama, per propria natura, di essere sciolto dai vincoli del corpo e di far r i torno alla propria origine, ovverosia di essere r iuni to a ciò che gl i è affine. Pertanto non deve meravigl iare se la quinta virtù del vino e prima essenza attragga le v i r tù di tutte le cose infuse in essa e le disaggreghi dagli elementi per soluzione del vincolo naturale, nel momento in cui g l i spir i t i , per desiderio e azione, riescano a prevalere sulle componenti passive"35.

Per elucidare u l te r io rmente i l senso di queste com­plesse metafore, sarà bene precisare che la conoscenza del "veicolo quintessenziale" per estrazione e separa­zione altro non è che la suddetta realizzazione progres­siva di stati in te l le t t iv i maggiormente de-individualiz­zati rispetto alla coscienza corporea ordinaria, i nd iv i ­duata e di natura plumbeo-tellurica. Il carattere univer­sale e unitario della virtù celeste quintessenziale, punto su cui mol to insiste i l Dorn, è indice inequivocabile di

34 Per symbolisationem, dal greco CTU|a-(3dXA.co, porre insieme, un i re . 35 Th. Chem., v o i . I, pag. 217. Corsivo nostro.

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questo status superindividuale in cui la coscienza speri­menta la continuità e l 'unità micro- e macro-cosmica36. Anche l'affine dottrina indù degli "involucri" o "guaine" corporee non dovrebbe essere assolutamente intesa in senso letterale, ovverosia alla stregua di un "materia­lismo rarefatto", ma in quanto metafora di gradi di co­scienza collocati su una scala ascendente, il cu i l ivello più basso è costituito dalla coscienza individuale ordi ­naria, soggetta al vincolo corporeo. Tuttavia, seppure potenzialmente reperibile ovunque,

la quintessenza è assai difficile da estrarre. Dorn vuole suggerire quali possano essere i "punti d'accesso" meno impenetrabili, le "leve" per realizzare l'estrazione e la se­parazione.

Si è detto che il veicolo dell'anima presiede, tra l 'altro, alla funzione sensitiva e immaginativa. Se la purif ica­zione dei sensi coincide con l'ascesi corporale descritta nella p r ima parte della Philosophia Meditativa, l'ascesi immaginat iva - già evidenziatasi anche nelle ci tazioni da Giamblico - rappresenta un argomento assai p iù de­l ica to e complesso, e per ciò stesso t ra t ta to in modo assai meno esplicito37.

36 Si confrontino, ancora una volta, le parole di Proclo (In Tim., I l i , 355, 9-18): "(l'uomo) è un microcosmo. Infat t i , come l'Universo, egli dispone di un'intelligenza, una ragione ed un corpo divino, un corpo mortale, e le sue parti sono analoghe a quelle del Tutto. Donde alcuni affermano rettamente che la parte intellettiva dell'uomo corrisponde per rango alla sfera delle stelle fisse, che nell'ambito della ragione, la facoltà contemplativa corrisponde a Crono, la facoltà di governo a Zeus, e che entro l'ambito irrazionale, la fa­coltà irascibile corrisponde ad Ares, quella concupiscibile ad Afrodite, quella sensitiva al Sole, e quella vegetativa alla Luna, ed infine che il veicolo lumi­noso corrisponde al cielo ed il corpo mortale al mondo sublunare".

37 Per un serio approfondimento del ruolo svolto dalla vis imaginativa nel­l'opera alchemica non possiamo che rimandare agli o t t imi scrit t i di Mino Gabriele. In Iconologia e immaginazione nel Sogno di Poliftlo (Conoscenza Re­ligiosa, 1979, 1/2, pag. 106) egli osserva: "Immaginare significa 'agire con-

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Dorn, in molti dei suoi scritti, invita insistentemente il lettore a guardarsi dalle "false immaginazioni", o dal Serpente che introduce le proprie "fantasie" nel nostro spirito incessantemente attivo38. Egli è tuttavia altret­tanto sollecito nell'incitare l'asceta a imprimere "nel cuore - come sigilli apposti nella cera - immagini e vi­sioni contemplative di natura spirituale"39. E osserva inoltre: "Al corpo non è data la facoltà di speculare, mentre l'anima, al contrario, adopera le silenziose ope-

sciamente dentro se stessi attraverso rappresentazioni'. Il termine è com­posto dall'aggettivo latino imus (fondo, basso) e dal verbo agere (agire, gui­dare), ed esprime un'azione interiore, in 'profondità', che è poi detta crea­trice in quanto le immagini da essa create sono il risultato di una combina­zione consapevole di elementi fantastici e non fantasiosi".

Non è possibile soffermarsi oltre su un argomento di tale vastità, assai r i ­levante tanto nella letteratura gnostica, neoplatonica, ermetica e mistico-religiosa dell'Occidente (si pensi già solo a Bòhme), quanto in quella isla­mica, persiana (imprescindibili gli scritti di Sohravardl) e nella disciplina tantrico-tibetana delle visualizzazioni (I Sei yoga di Nàropà) e il prezioso commento di Lama Tsongkhapa). Per ul ter ior i approfondimenti, oltre al saggio già citato, rinviamo al numero 1981, 2 (Immaginario e immaginale) della rivista Conoscenza Religiosa, contenente numerosi saggi sullo stesso argomento. Fra essi citiamo almeno quello di Antoine Faivre, L'immagina­zione creatrice, funzione magica e fondamento mitico dell'immagine, pagg. 230-261, e quello di Mino Gabriele, L'immaginazione in un inedito trattatello seicentesco di Giulio Rutati, pagg. 223-229. Suggeriamo inoltre: Henry Corbin, L'imagination créatrice dans le soufisme d'Ibn Arabi, Flam-marion, Paris 1958; Manuel Insolera, La trasmutazione dell'uomo in Cristo nella mistica, nella cabala e nell'alchimia, Arkeios, Roma 1996 e ancora Mino Gabriele, Alchimia e Iconologia, Forum, Udine 1997.

38 De Duello Animi cum Corpore, in Th. Chem., voi. I, pagg. 478-479. 39 Passo già citato sopra. Ved. nota 16. Le parole di Dorn trovano perfetta

corrispondenza in Sohravardì: "Quando l'immaginazione attiva è occupata nelle pratiche spirituali e si applica meditando alle scienze divine, essa è, allora, Albero benedetto (Corano, 24, 35), ove i rami sono altrettante specie di pensieri e su questi il frutto: luce di certezza. [ . . .] D'altra parte, quando l'Immaginazione attiva [qui, la phdntasis], si esercita su quel ch'è oggetto di percezione sensibile, andando senza sosta da un capo all'altro dell'illuso­r io ... Essa è, allora, 'albero maledetto' ...". Sohravardl, L'arcangelo pur­pureo, Coliseum, Milano 1990, pagg. 85-87.

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razioni immaginat ive, che il corpo si impegna ad ese­guire per imitazione del modello. La concezione è pro­pria dell 'anima, l'esecuzione del corpo"40. Anche nella Philosophia Meditativa il ruolo dell'immaginazione è r i ­badito "perché l'immaginare le cose dette in precedenza possa accendere in noi l'amore della verità". L'immagi­nazione, orientata dal "magnete" del desiderio, retto a sua volta dalla volontà solare, è per un verso il grembo entro cui "matura" l 'embrione del corpo luminoso, per un altro il luogo deputato al p r imo disvelarsi delle po­tenze celesti41.

40 Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 413. 41 Ancora una volta, unitamente a Paracelso, è entro la tradizione platonica

e neoplatonica che possiamo collocare l'orizzonte teorico-filosofico della concezione dorniana dell'uomo e delle sue facoltà. Già in Platone, infatt i , l'immaginazione (phantasia) si presta non solo ad essere ricettacolo di pul­sioni incontrollabili e di contenuti disarmonici ed irrazionali. Al contrario, qualora l'anima dell'uomo sia opportunamente mondata, l'immaginazione si fa specchio dell'Intelletto e strumento della divinazione. (Ved. M. Di Pas­quale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit., pag. 52 e sgg.). Giamblico segue fe­delmente Platone e a proposito dell'esperienza immaginativa instillata nel­l'uomo dall'alto scrive: "...la parte immaginativa dell'anima è ispirata dagli dei, perché non da sé, ma ad opera degli dei si sveglia alle forme diverse dalle immagini , soppressa totalmente l'umana abitudine". / misteri... cit., I l i , 133, 5-9. Questo venir meno dell'"umana abitudine" è particolarmente evidente nell'esperienza onirica. Secondo Sinesio (De Insomniis, cap. 4) al­l'abbassarsi della soglia dell'io cosciente, nel caso dell'anima purificata, pos­sono far seguito esperienze anagogiche di autentica "incubazione divina". A tal proposito menziona dapprima un frammento degli Oracoli Caldaici (fr. 118): "Ad alcuni concesse di cogliere per apprendimento il simbolo della luce; a l t r i , f in durante il sonno, fecondò della sua forza". Successivamente commenta: "Gli Oracoli Caldaici hanno bene suddiviso l'attribuzione del­l'apprendimento. L'uno - dicono - viene istruito da sveglio, l'altro nel sonno; ma nella veglia è l'uomo che insegna, il dormiente invece lo feconda di sua forza il dio, così che l'apprendere equivale allora all'ottenere, fecondare es­sendo qualcosa di più del solo insegnare". In ambito platonico e persiano, a Sinesio farà eco il linguaggio mistico-visionario di Sohravardl: "Anche certi sogni son doppi imaginali di quel che l'anima contempla nei mondi supe­r i o r i ; ove non sian facezie del demone della phàntasis". E ancora: "La

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La funzione dell ' immaginazione è di capitale impor­tanza per lo stesso Paracelso. E g l i r imarca in p i ù d i un'occasione come la fantasia non sia da confondere con l ' immaginazione, la p r ima essendo pr iva di qual­siasi potenza. L ' immaginazione esprime, attraverso i propr i contenuti, gl i orientamenti della volontà42.

Nel De virtute imaginativa così si esprime Paracelso: "L'uomo ha un laboratorio visibile, che è il suo corpo, e uno i n v i s i b i l e , che è la sua i m m a g i n a z i o n e . I l Sole emette una luce che, anche se impalpabile e inafferra­bi le , può scaldare al punto da accendere i l fuoco per concentrazione; così l 'immaginazione esercita i suoi ef­fetti sulla sfera che gli è propria e fa germinare e poi svi­luppare forme t ra t te da e lement i i n v i s i b i l i . Come i l mondo non è altro che un prodotto dell'immaginazione dell 'Anima Universale, l ' immaginazione dell 'uomo (che è un piccolo universo) può creare le sue forme invis ibi l i e queste possono materializzarsi"43.

Un altro discepolo di Paracelso, Mar t in Ruland44, defi­nisce l 'immaginazione "astrum in hominem, coeleste sive supracoeleste corpus". La definizione del Ruland r invia alla pregnante teoria del pneuma phantastikón esposta

parola 'sonno' designa uno stato in cui lo spirito si r i t i ra dall'esteriore (l'es­soterico) all'interiore (l'esoterico). Sul fedele - la cui immaginazione attiva persegua assidua meditazione del Malakùt - [ . . .] sorgeran Luci: lampo che estasia l'una all'altra seguendo, per poi scomparire. Evento prodigioso che rapisce l 'anima oltre la soglia del Mistero" (Sohravardl, L'arcangelo pur­pureo, cit., pag. 65 e pag. 97).

42 Ved. Alexandre Koyré, Mistiques, spirituels, alchimistes du XVI siede alle­ntano., Gallimard, Paris 1971, pagg. 95-100.

43 Cit. in Serge Hu t in , La vita quotidiana degli alchimisti nel Medioevo, BUR, Milano 1991, pag. 203.

44 Lexicon Alchemiae, Frankfurt 1621, s.v. Imaginatio. Il Lexicon del Ru­land riprende sistematicamente tutte le voci del Dictionarium dorniano, con l'aggiunta di ulteriori integrazioni.

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da Sinesio nel De Insomniis. Non bisogna nemmeno di ­menticare ciò che si è già evidenziato in precedenza: ì'astrum è un pr inc ip io seminale, una potenza causale che estrinseca la propria potenza attraverso gl i arcana. Questi d i m o r a n o a l o r o vo l t a ne l la quintessenza. È inoltre da porre nel debito rilievo il fatto che per Ruland l ' immaginazione sia un corpus, seppure di natura ce­leste. Sotto la voce Corpora Supercoelestia, Ruland ag­giunge che questi si conoscono attraverso l ' immagina­zione, non attraverso g l i occhi corporei , e che sono i soggetti delle opere mi rab i l i degli spagiristi. Ed ancora il Ruland ci soccorre nel definire cosa si debba inten­dere per Meditatio: "... ogni qualvolta si intrattenga un colloquio interiore con qualcun altro, che tuttavia non è visibile. Per esempio con Dio, nell ' invocarlo, o con se stessi, oppure col proprio Buon Angelo". Le a l lus ion i alla v i r t ù seminale del l ' immaginazione

non sono infrequenti nei testi di alchimia45 . Valga per tu t t i l'esempio del Novum Lumen Chemicum del Sendi-vogius. La r icorrenza del termine immaginazione e la valenza tecnico-meditativa non può sfuggire al lettore.

"Come la Natura è nel volere di Dio che la creò e la i m ­pose ad ogni immaginazione, così la natura fece per sé il seme, cioè il suo volere negli Elementi"46.

"(Prendi) un maschio vivo ed una femmina viva e con­g iung i l i insieme, perché immagin ino t ra sé lo sperma atto a procreare il frutto della loro Natura"47.

"Vi sono tutte queste cose e gli occhi degli uomini vol­gari non le vedono, mentre gli occhi dell'intelletto e del-

45 Ved. gli studi di Mino Gabriele citati sopra. 46 Michae l Sendivogius, Novum Lumen Chemicum, in Jean-Jacques

Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, Genève 1702, voi. 2, pag. 465. 47 Ibid. , pag. 468.

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l 'immaginazione le percepiscono con una vista vera, ve­rissima: in fa t t i g l i occhi dei sapienti vedono la natura diversamente dagli occhi comuni"48.

"Prima di accingervi all'opera, immaginate diligente­mente ciò che cercate e quale lo scopo ed il fine del vo­stro proposito ..."49.

"... vi è sempre abbondanza di sperma ad aspettare il seme che dall ' immaginazione del fuoco lo conduce alla matr ice attraverso i l movimento dell 'aria. Qualora lo sperma penetri privo del seme, di nuovo fuoriesce senza frutto"50.

" I n questo Elemento (l 'aria) è immagina to un seme, per v i r t ù del fuoco, che vincola (constringit) il mestruo del mondo ..."51.

"Di ciò è esempio l'anima, che immagina cose profon­dissime fuor i dal corpo e che per queste è assimilata a Dio, che opera fuori del suo mondo e della natura, seb­bene queste cose siano come una candela accesa al con­fronto della luce meridiana, poiché l 'anima immagina ma non esegue se non nella mente, mentre invece Dio realizza le cose nel momento stesso in cui le immagina. [ . . . ] Pertanto Dio non è incluso nel mondo se non come l'anima nel corpo. Separata (dal corpo), ha il suo potere assoluto, così come l'anima di qualsiasi corpo ha la po­testà assoluta e potenza autonoma di fare cose diverse da quelle che il corpo può concepire. Quindi , se vuole, (l'anima) ha la massima potestà sul corpo; diversamente la nostra Filosofia sarebbe vana"52.

4 8 Ibid. , pag. 471. 49 Ibid. , pag. 474. 50 Ibid. , pag. 480. 51 Ibid. , pag. 482.

. " Ibid. , pag. 484.

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Per concludere, è opportuno passare in rassegna alcuni t ra t t i essenziali dell 'anatomia microcosmica proposta dal Dorn. Dorn rispetta la tripartizione tradizionale della compa­

gine umana in spirito, anima e corpo, impiegando il ter­mine animus come sinonimo di spiritus. La scelta è pro­babilmente dovuta sia alla volontà di porre l 'accento sulla complementarietà dinamica della diade animus-anima, sia all'intenzione di non confondere il pr incipio trascendente, infuso nell'uomo - spiritus - col principio vitale, spesso designato, nella letteratura alchemica p iù tarda, col medesimo nome. È s ign i f i ca t ivo osservare l ' e q u i l i b r i o di generi che,

esprimendosi in latino, si instaura all ' interno di questa triade. Animus (o spiritus) appartiene al genere maschi­le, anima a quello femminile , corpus al genere neutro. La sovversione dell 'ordine armonico delle funzioni i r ­rompe nel momento in cui i l pr incipio femminile {ani­ma) sia soggiogato al termine neutro {corpus), che a sua volta viene meno alla propria funzione di neutralità me­d i a t r i ce - i l "sale a rmon iaco" , per e sp r imers i ne l linguaggio alchemico - fra animus e anima, asservendo la seconda e imprigionando, oscurando il pr imo, vulne­rato nella v i r tù di fecondazione spirituale dell'anima. È il "Re ammalato" delle visioni alchemiche e delle leggen­de del c ic lo del Graal , che giace passivamente finché l 'uomo non sappia porre la retta domanda. Questa con­dizione di paralisi , di arresto, di inversione rispetto al r i tmo naturale entro cui si dispiega ogni virtus, è mira­bilmente rappresentato in un'immagine simbolica trat­teggiata dal Sendivogius nel dialogo del Novum Lumen Chemicum fra Saturno e l'Alchimista53. Secondo il Sen-

53 Tractatus de Sulphure, cit., pag. 489.

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divogius, lo Zolfo (Oro allo stato potenziale, spiritus dormiente) è prigioniero per volere di sua madre (Mer­curio, anima non fecondata) in un "carcere tenebrosis­simo" di cui Saturno {corpus) è giudice e prefetto. Sa­turno amministra la prigionia, ma non è il vero artefice. Il carattere di oscurità del corpo non è determinato da una quali tà intrinsecamente e univocamente negativa - al contrario esso è, laddove assolva la propria funzio­ne, il p r inc ip io neutro per eccellenza - bensì da un'er­rata collocazione gerarchica che perverte le rispettive funzioni. La sua giusta disposizione mediatrice rispetto alla diade animus-anima i l l umina la neutra te l lur ic i tà del corpo - testimone e min is t ro delle avvenute nozze alchemiche fra animus e anima - innalzandola fino allo splendore del "corpo di gloria", specchio ed estrinseca­zione manifesta dell'avvenuta congiunzione inter iore. Nella prospettiva metafisico-tradizionale in genere, ed ermetico-alchemica in particolare, nessuna cosa creata può essere assolutamente malvagia. Il male nasce come incapacità a vedere, ignoranza, oscuramento. È frut to di un orientamento erroneo, di un per-vertere appunto la direzione e la disposizione dinamica delle cose. Tuttavia, l ' impostazione del problema fatta valere da

Dorn segue fedelmente il punto di vista platonico e neo­platonico. Non dovrà pertanto indurre in errore i l fatto che Dorn ind ich i l 'anima e non il corpo come termine medio. Per corpo, si intendono qui pr imariamente g l i appet i t i del l 'anima r i v o l t i alla sfera corporea, grosso­lana e un i l a t e r a lmen te esperi ta. Si i n d i c a cioè, per esprimersi nei t e r m i n i della do t t r ina induis ta e bud­dista, l'aspetto concupiscibile, la bramosia (kàma) che investe la dimensione corporea. Questa brama non è altro che una condizione mentale. Non a caso, Dorn af­ferma: " In realtà, esso ( i l corpo) non può cercare di otte-

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nere alcunché se non grazie alla facoltà dell 'anima che muove il corpo". L'anima, pertanto, è posta al centro di una contrapposizione di forze (spir i to e corpo) che la traggono in direzioni diametralmente contrarie. Questa condizione di disordine centr ifugo è i l pun to di par­tenza dell'opus chemicum interiore, per cui la ricostru­zione dell 'ordine gerarchico "normale" è quella "fatica d'Ercole" che costituisce il passaggio obbligato verso la realizzazione degli stati di coscienza superiori.

Poiché la cosmologia alchemica è una rappresenta­zione eminentemente dinamica, si evidenzia qu i , una vo l t a d i p i ù , come le des ignaz ioni s imbo l i che del la triade spiritus, anima e corpus non possano essere as­sunte univocamente, e mut ino invece il proprio signifi­cato secondo il contesto descrittivo. Nel p r imo caso, l 'equilibrio fra animus e anima, che si

estrinseca centripetamente nel medio corporeo, parte­cipa, nell'apparente stasi di tale triangolazione, al movi­mento dinamico in direzione ascendente e spiraliforme, ossia a imitazione di un moto circolare cui sia stata im­pressa una direzione ascendente, donde segue la stessa t rasmutazione dei co rp i . Nel secondo caso, la disar­monia gerarchica e funzionale dei t e rmin i consegna il microcosmo umano alla condizione di convulso dina­mi smo , or izzonta le e centr i fugo, che si t raduce, sul piano verticale, in una paralisi, nell'arresto della forma univocamente fissata. In quello stato, la "pietra" non potrà che essere - per usare le parole di Paracelso - una pietra orfana, "... come pietre che hanno g l i occhi ma non vedono, le orecchie ma non sentono, le nar ic i ma non percepiscono i p rofumi . Muni te di bocca e l ingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non

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operano e non camminano. [ . . . ] Trasmutatevi da pietre morte in vive pietre filosofiche"54.

Andrea Melis

54 Philosophia Speculativa, cit., pag. 239.

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Gerhard Dorn

Filosofia meditativa

La filosofia meditativa è la volontaria separazione dal corpo dell ' intelletto ben armonizzato, così che l 'animo1

possa p iù facilmente rivolgersi alla conoscenza della Ve­r i tà . Per meditare rettamente, è necessaria una buona disposizione del corpo, in modo che non sia d'ostacolo al­l'intellezione2. Questa disposizione si ottiene in due modi: mediante la natura o grazie all'arte. La via naturale può essere p rop iz ia ta attraverso i l beneficio dell 'arte, ed inoltre è possibile conseguire quanto, in un primo tempo,

1 Dorn impiega il termine animus come sinonimo di spiritus, primo ter­mine della triade spirìtus-anima-corpus.

2 Traduco, qui e altrove, mens (concettualmente affine al greco voìJc.) con intellezione (ma si potrebbe parimenti rendere con intuizione intellettuale) giacché Dorn usa quasi sempre questo termine latino non già per indicare una facoltà, quanto piuttosto uno stato di coscienza qualificata verso la dimensione trascendente, un intus legere, un "leggere dentro", che penetra sino all'essenza delle cose, secondo la definizione di San Tommaso (S. Th., II, 2).

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fu in parte negato dalla stessa natura3. L'esercizio della ragione, la sobrietà del vitto e la medicina spagirica4 rap­presentano gl i strumenti principal i , che si impiegano, a questo fine, singolarmente o in associazione5.

L' intellet to dicesi ben armonizzato quando l 'animo è congiunto all 'anima, in un vincolo tale da consentire i l controllo delle brame corporee e degli impulsi. La buona disposizione del corpo consiste nell ' immunità dai vizi che corrompono, e ciò riesce meglio quanto p iù le part i che compongono il corpo abbiano raggiunto e ottenuto uno stato di equi l ibr io . Meno il corpo desidera ciò che g l i è proprio, p iù obbedisce all'intelletto.

Qualsiasi cosa bramata dal corpo è corrotta. In realtà, il corpo non può cercare di ottenere alcunché se non grazie

3 L'Ars Regia, secondo un insegnamento frequentemente riproposto nei trattati ermetico-alchemici, è lo strumento atto a condurre al sommo com­pimento ciò che la natura ha espresso solo parzialmente e in forma non compiuta. Il processo alchemico è, in questo senso, condotto "oltre la na­tura", e in quanto agisce per retrogradazione contro l'impietramento delle forme individuate, esso è detto "contro natura".

4 L'aggettivo spagirico e il sostantivo spagina derivano dai verbi greci anàa, estrarre e àyeipco, unire. Mol t i autori di testi alchemici usano tale ter­mine - spagiro, spagina - in senso spregiativo, a designare i "bruciatori di carboni" ossia coloro che cercano esclusivamente l'oro materiale anziché quello spirituale. Dorn invece impiega il termine nella sua accezione etimo­logicamente corretta, a indicare la tecnica dell'estrazione e della separa­zione, di capitale importanza nell'opera alchemica, fisica e spirituale, co­munque la si voglia intendere. Nella Philosophia Speculativa, testo dorniano anteriore alla Philosophia Meditativa, ma in larga parte quasi identico, Dorn, nei passi sovrapponibili dei due testi, usa il termine alchimia al posto di spagina, a conferma del significato di sinonimo che gli attribuisce.

5 Si profila subito quella tripartizione della disposizione umana - neces­saria a conseguire la saggezza - i n spagirica, morale e meditativa. Tale t r i ­partizione sarà apertamente enunciata e illustrata più avanti. A essa corri­sponde in realtà una specie peculiare di medicina rivolta a ciascuna compo­nente della triade spirito, anima e corpo. Si capisce come le prescrizioni etiche non siano da intendersi quali realizzazioni meramente morali, sib-bene come disposizioni "tecnicamente" necessarie a rimuovere i vincoli.

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FILOSOFIA MEDITATIVA 41

alla facoltà dell'anima che muove il corpo stesso. Questa, se non fosse degenerata rispetto alla propria natura origi­naria, agirebbe semplicemente per discernimento del bene o del male. Ma dacché in essa, in precedenza, s'in­sinuò la malizia, l 'anima tende a soggiacervi a causa del corpo, a meno che non le opponga resistenza l'animo, che propende esclusivamente verso il bene.

L'anima è posta fra il bene e il male. Possiede una pro­pria facoltà di scelta del bene non certamente per sé ma attraverso il bene - così che ciò che fu tolto le è restitui­to - e del male attraverso sé soltanto. Cedendo e venendo meno il bene, e non al t r imenti , si afferma il male, ossia per la cont inua resistenza che l 'anima, trascinata dal corpo, oppone allo spiri to, orientato esclusivamente al bene6.

Per poter dedurre meglio queste cose a partire dal con­cetto di animo, bisogna ora riflettere sul mot ivo per i l quale affermiamo che l 'uomo sia composto di tre par t i . Spesso spirito e anima sono nominati senza distinzione. Noi stessi, del resto, non poniamo fra loro alcuna diffe­renza al di fuori degli aspetti accidentali7. Quando l'ani-

6 Dorn riprende qui una nota argomentazione metafisico-teologica se­condo la quale il male non è altro che privatio boni, privazione del bene, così come la tenebra, nel suo aspetto negativo, è mera assenza di luce. L'ar­gomentazione, di origine monistica, mira a sconfessare ogni dualismo onto­logico fra bene e male, relativizzando il secondo. Il tema, in Occidente, fu ampiamente trattato in ambito neoplatonico, ed è poi stato ripreso ampia­mente dai Padri cristiani. Plotino (Enneadi, I, 8, 3) afferma: "Se tali sono gli enti e tale è ciò che è al di là degli enti, il male non esiste né in quelli né in questo, giacché sia l 'uno, sia l 'altro è bene. Resta dunque che, se esiste, esiste in ciò che non è; e che sia una specie di non-essere e si t rovi perciò nelle cose mescolate di non-essere o partecipanti al non-essere". Sant'Ago­stino si esprime così: "Tutte le cose sono buone e il male non è sostanza perché se fosse sostanza sarebbe bene" (Confessioni, V I I , 12).

7 II "corpo di gloria" rispecchia, sul piano della manifestazione, il frutto spirituale delle nozze fra animus e anima, o Sole e Luna. Nella mistica della

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ma segue il cammino dello Spirito Divino, e gli obbedisce r inunciando a se stessa, la chiamiamo animo o spiri to, dal nome dello Spiri to Divino cui è soggetta. Se al con­trario essa oppone resistenza allo Spirito Santo che le im­prime il segno della salvezza, ed anzi ama se stessa, smar­rendosi, al lora la definiamo semplicemente e soltanto anima. Non desideriamo che i nostri scri t t i siano intesi a l t r iment i , perché qualcuno poi non ci accusi ingiusta­mente di empietà. Empietà da cui invece tanto dista l'a­nimo, che al contrario tenta di ridurre con tutte le forze questa a sé.

Nell'uomo, l'animo è soffio di Vita Eterna. L'anima è or­gano dell'animo - o spirito - così come il corpo è organo dell'anima che a sua volta è vita del corpo per unione na­turale. Parimenti lo spirito è vita dell'anima per unione sovrannaturale. Se qu ind i l 'anima, per consenso o as­senso, aderisce maggiormente all'animo che al corpo, ne scaturisce l'intellezione e risorge l'uomo interiore, creato un tempo dal soffio di Vita Eterna a immagine di Dio8. Se al con t ra r io l ' anima aderisce maggiormente al corpo

Cabala, Malkut, l 'ultima Sefirah, rappresenta la terra, " i l regno", ed è com­plementare rispetto a Keter, "corona", prima espressione della Divinità nel suo aspetto trascendente. Il superamento di ogni differenza fra animus e anima sta qui a indicare il processo di androginazione spirituale. Nel Con-geries Paracelsicae (Th. Chem., voi. I, pag. 509) Dorn afferma che Adamo non è altro che la "pietra animale", che "porta dentro di sé la sua invisibile Eva occulta".

8 II corpo è organo o funzione dell'anima nella misura in cui "esprime" l'at­tività della sfera psichica (anima). L'anima, per converso è, sul piano natu­rale, principio animatore del corpo. Parimenti, l'anima nella sua condizione di ricettività virginea è resa pregna per adombramento dello Spirito Divino che la vivif ica mediante "unione sovrannaturale". La resurrezione del­l'uomo interiore è ricondotta a un'immagine di fecondazione spirituale del grembo psichico-animico. Questo passo, ricco di risonanze mariologiche, è coerente con la marcata inflessione devozionale dell'intero testo dorniano.

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FILOSOFIA MEDITATIVA 43

piuttosto che allo spirito, non resta altro che l'uomo este­riore e l'abisso delle tenebre esteriori contro natura.

L'animo inol t re si compiace di tre cose: della ragione, dell'intelletto e della memoria. La ragione presenta all ' in­telletto l 'immagine della speculazione e questo consegna agli arcani della memoria l'immagine che deve essere ser­bata. La Ragione Prima è l'ordine inviolabile e perpetuo dell'Intelletto Eterno. L'uomo è reso partecipe di tale or­dine principalmente per dono di Dio e, insieme, dell'intel­letto e della memoria che può essere considerata, in un certo qual modo, alla stregua di un'arca che conserva en­trambi9 .

L'anima consta di due facoltà, il movimento e la sensa­zione. Il moto può essere naturale o accidentale. La sen­sazione è la percezione rispettivamente della cosa vista, udita, gustata, odorata o toccata attraverso l'organo pre-

9 I I processo d i generazione t r i a d i c a è r i p r o p o s t o anche a l l ' i n t e rno de l lo stesso a n i m o . La t r i ade s p i r i t o , a n i m a e corpo, o zolfo , m e r c u r i o e sale, è trasposta sul p iano delle potenze in te l l e t tua l i . La "ragione p r i m a " è eviden­temente super iore a l la ragione discors iva (òiàvoiot) e rappresenta i l "f iore de l l ' in te l le t to" d i neopla tonica memor i a , fuoco in te r io re e d i v i n o ( i n greco, z o l f o = ^ e t o n = d i v i n o ) , fu lc ro dell 'esperienza u n i t i v a . A esso spetta i l r u o l o solare e fecondante de l lo spiritus che i m p r e g n a l'intellectus-anima con le i m m a g i n i della speculazione. Questo carattere di speculum (specchio) r i fe­r i t o a l l ' i n t e l l e t t o raf forza la funz ione f e m m i n i l e , l una re e r i c e t t i v o - r i f l e t -tente di ques t 'u l t imo, nei con f ron t i de l l ' a t t iv i tà solare e l uminosa del P r in ­c ip io .

La m e m o r i a è r appresen ta t a a l l a s t regua d i "un 'a rca che conserva en­t r a m b i " ( rag ione e i n t e l l e t t o ) . Sapp iamo che la nave e i l ca r ro , in quan to "ve i co l i " , sono sovente i m p i e g a t i come metafore de l co rpo . La m e m o r i a , come i l corpo del l 'uomo, rappresenta la concrezione "salina" del vissuto i n ­d iv idua le , i l p u n t o d i e q u i l i b r i o , s tabi l izzazione e preservazione dell'espe­r ienza . Conosc iamo p a r i m e n t i l a v i r t ù d i conservazione p r o p r i a de l sale, circostanza che rafforza la parentela s imbol ica fra memor ia , corpo e sale. È però evidente che in questo specif ico caso s i a l lude a l r i c o r d o , a l la fissa­zione di un'esperienza da l carattere i l l u m i n a t i v o , e q u i n d i a una presentifi-cazione dei con tenu t i sp i r i tua l i , in breve al "sale della sapienza".

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posto. Perciò le membra corporee, grazie alle quali l 'ani­ma percepisce le sensazioni, sono propriamente dette or­gani di senso. Inol t re la percezione dei sensi consegna alla memoria, mediante la rappresentazione delle cose presenti, il ricordo di quelle passate. Questa facoltà (sen­sitiva) è comune agli uomini e agli animali irrazionali. I n ­fatti trattengono nella sensazione soltanto quelle stesse cose che si mostrano nei contenuti percettivi presenti. A l t r a è tu t tav ia la radice p i ù nobi le della memoria1 0 .

Essa gestisce la suddetta memoria senza alcuna rappre­sentazione mediatrice ma soltanto per il diligente e con­t inuo movimento dello spirito mai ozioso, che oltretutto la mantiene perennemente giovane. La continuità della memoria accompagna lo sviluppo della ragione e questa

10 Dorn, ancora una volta seguendo Platone (Filebo, 34 A-C), distingue la funzione della memoria meramente "conservativa delle sensazioni" dalla parte più nobile, strumento della reminiscenza, unica dimensione conosci­tiva atta a serbare, come lo stesso Dorn osservava poco sopra, "l'ordine in­violabile e perpetuo dell'Intelletto Eterno".

In Plotino, l ' i rr iducibile alterità di queste due caratterizzazioni della fa­coltà memorativa è esasperata fino al punto di rottura. La contemplazione dell'Uno comporta che l'uomo dissolva il personale bagaglio di esperienza, con tut to il cumulo di sedimentazioni affettive e concupiscibili che esso comporta. "Tale è l'ombra di Eracle nell'Ade: quest'ombra, nella quale - io penso - dobbiamo vedere noi stessi, ricorda le imprese compiute nella vita: poiché a quest'ombra appartenne soprattutto la sua vita [ . . . ] . Ma che cosa abbia detto l'Eracle vero, l'Eracle senz'ombra, questo non è detto. Ma che cosa potrebbe dire quest'anima una volta libera e sola?" (Enneadi, IV, 3, 27). (Al lettore che abbia familiarità con le metafore della letteratura ermetica non sfuggiranno le assonanze col linguaggio operativo dell'alchimia sia nel richiamo a Eracle, le cui fatiche designano le prime fasi della solutio alche­mica, sia nell'immagine dell'ombra, ricollegabile proprio alla componente "fecciosa" e grossolana da rimuovere attraverso la solutio). La qualifica­zione della memoria, sempre per Plotino, si rivela nell'orientamento che a essa si vuole imprimere. " I l ricordo delle cose terrene la sospinge quaggiù, mentre quello delle cose celesti la trattiene lassù: in generale l'anima è e di­venta ciò di cui si ricorda. Il ricordo è per noi un pensare o un immaginare ..." (IV, 4, 3).

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prerogativa appartiene esclusivamente al l 'uomo. Per­tanto la sensazione è una facoltà animale, mentre la ra­gione è propria dell'intelletto, sicché le bestie non inten­dono se non per presenza della sensazione. Gl i animali razionali, invece, intendono mediante l 'intelletto mosso dalla ragione o mediante la sensazione, sia posterior­mente a questa sia simultaneamente11. D'altra parte l'ani­mo e il corpo sono realtà opposte e inconciliabili giacché non possono essere congiunti che per mezzo dell'anima

11 Questo indebolimento del vincolo temporale, che caratterizza l'appren­dimento speculativo e i processi memorat ivi - pr ivi legio della creatura umana - rappresenta un punto maggiormente significativo e pregnante di quanto si potrebbe ritenere. È una pr ima forma di inconsapevole "solu­zione", sia rispetto ai vincoli spaziali, sia per quanto concerne l'irreversibile sequenzialità temporale dell'esperienza. L'alchimista fa intenzionalmente e immaginalmente leva sul proprio corpus d'esperienza psicofisica e affettiva, imprimendogli volontariamente direzioni altre, fino alla dissoluzione siste­matica dei vincoli. Si ricordi, a solo titolo di parziale esemplificazione con­creta, e astenendoci da un pur doveroso approfondimento del p iù vasto tema della reminiscenza pitagorica e platonica, la disciplina della rimemo-razione a r i troso, ossia una sorta di regressio indefinita, praticata dagli adepti del pitagorismo e tramandataci da Giamblico {Vita Pythagorica, XXIX, 164 e sgg.). Se il tempo presente è la dimensione privilegiata del desi­derio (la componente concupiscibile dell'anima, secondo Platone) e quindi del flusso genesiurgico e centripeto rispetto all'Essere, è altresì vero che il punto di penetrazione del presente stesso, inteso come perfezione intempo­rale, si realizza, nell'ambito dell'ascesi alchemica, mediante uno sviluppo bidirezionale ma solo apparentemente divergente, i cui poli sono costituiti per un verso dalla regressio ad uterum (o reincrudamento dei metalli fino allo stato indifferenziato) e, per un altro verso, dalla "maturazione" forzata - e vorticosamente accelerata rispetto al decorso temporale della Natura -dei metalli inter iori mediante le "rotazioni", atte a completare la realizza­zione di una forma nuova e perfetta in seguito alla dissoluzione della forma decaduta (ved. ancora la nota 3, sull'opera condotta "contro natura" e "oltre natura"). Questa controdirezionali tà, paradosso sovrarazionale dell 'al­chimia, converge in realtà nel trascendimento del tempo stesso attraverso la perfectio intemporale (ved. nota 41) che può essere fatta coincidere, sul piano microcosmico-umano, al punto di congiungimento fra la ripristina-zione del Paradiso terrestre e il pr incipio dell'edificazione della Gerusa­lemme Celeste.

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intermedia, partecipe di ciascuno dei due avversari. Dato che dei due estremi uno è perfetto e l 'altro è imperfetto, se il moto avviene a par t i re dal termine perfetto, pas­sando attraverso il termine medio, la perfezione giunge sino al termine imperfetto e viceversa. Dunque Dio pone insieme, sistematicamente, tutte le cose, perché da tre d i ­vengano una cosa sola, ed Egli è effettivamente artefice di pace e unione, irrealizzabili ove non sussista contrappo­sizione di almeno due cose12. Due realtà sono sempre av­verse finché non siano unificate mediante il ternario e rese amiche attraverso l'unità.

L'animo esiste nel medesimo modo per t u t t i , ma non tu t t i lo assecondano alla stessa maniera13. Perciò l'intelle­zione non è par i né identica per t u t t i . Sono pochissimi coloro la cu i anima sia congiunta con l ' an imo. M o l t i quelli che in misura differente sono partecipi dell'intelle­zione. Ancor p iù sono quelli che, facendo dimorare l'a­nima nel corpo e il corpo nell'anima, non conoscono l'a­n imo né ascoltano i suoi m o n i t i . Per essi non esiste al­cuna intellezione, bensì follia anziché ragione e sapienza. L'intellezione è propiziata adeguatamente quando accade che l ' an imo e l ' an ima, in a rmonia , siano accolte dal corpo, in modo che da queste tre cose ne scaturisca una soltanto, inseparabile e consonante. Ma tale amicizia non può essere realizzata altrimenti che per mezzo della divi­sione, senza la quale non può compiersi l'unione. L'Uno è per propria natura unico, giacché quando resta tale non

12 II modo di porre il problema richiama palesemente il Timeo platonico e la teoria del medio proporzionale in esso esposta (31 B e sgg.). Questa con­cezione prelude a sua volta alla teoresi sulla generazione dell 'Anima del Mondo.

13 Non sappiamo se Dorn fosse cattolico o protestante. Certamente questo e altri passi sono in netto contrasto con la dottrina protestante concernente la predestinazione.

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può essere congiunto o unito ad altro. Se tuttavia bisogna congiungerlo ad altro, occorre che quest'altro sia sepa­rato traendolo dall 'Uno, in modo che nul la esista oltre l'Uno. E poiché le parti dell'Uno sono contrassegnate dal­l 'Uno, ovverosia possiedono un legame di simpatia con esso, facilmente possono anche essere ricondotte all'Uno. Ciò avviene tanto p iù agevolmente quanto meno le part i sussistano separatamente dall 'Uno, per scarso grado di affinità. Per questa ragione occorre che l'intelletto sia dis­tolto dal corpo, così che entrambi possano in seguito d i ­morare insieme. Poiché l'unione chiede di compiersi in maniera perfetta, bisogna, come dissi sopra, che il movi­mento avvenga dalla parte perfetta in direzione di quella imperfetta, in modo che quest'ultima sia resa migliore.

Grazie a questa possibili tà di distogliere la mente dal corpo, che alcuni chiamano morte volontaria14, l 'animo e l 'anima, congiunti insieme, acquisiscono la potestà e il dominio sul corpo, cosa che in precedenza non era possi­bile al solo animo, dal momento che l'elemento medio - che rende possibi le i l m o v i m e n t o sovrannatura le (dall 'animo verso il corpo) - era riluttante. I nemici non

14 La disciplina filosofica intesa come "morte volontaria" è ampiamente descritta e trattata da Platone nel Fedone (64-68). Ne proponiamo, a ti tolo di esempio, un paio di passi. "Tutti coloro che praticano la filosofia in modo retto rischiano che passi inosservato agli altri che la loro autentica occupa­zione non è altra se non quella di morire e di essere morti . [...] E allora, non è evidente, innanzi tutto, che il filosofo, diversamente dagli a l t r i uomini , per quanto riguarda questo genere di cose, cerca di liberare l 'anima dal corpo, quanto più gli è possibile?". In Occidente, posteriormente a Platone, la tradizione scritta intorno alla morte volontaria è assai cospicua. Trala­sciando i ben noti precetti neotestamentari, in ambito più specificamente neoplatonico è Macrobio, nel Commento al Sogno di Scipione a dedicare svariate pagine a questo problema. Riecheggiando Platone e chiosando Plo­tino afferma tra l'altro: "Quelle anime che si sciolgono dai vincoli del corpo in vir tù della morte filosofica, mentre ancora permane il corpo, vengono in­trodotte nel cielo e nelle stelle" ( I , 13, 10).

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possono essere r iun i t i che in v i r tù un elemento di separa­zione, neutro rispetto a ciò che crea discordia, ma anche strumento di unificazione per quanto concerne la conci­liazione di entrambi.

I n o l t r e , e per la stessa ragione, ne r i s u l t a i n f i c i a t a l 'astronomia giudiziaria nel momento in cui ci insegna che gl i astri possono far propendere verso qualcosa. I n ­fatti gli astri non possono avere nessuna potestà sugli in­telletti umani, per i quali sono stati creati, essendo questi u l t i m i creazione nobi le e di gran lunga superiore. E anche se volesse, ciò che è meno nobile non potrebbe mai agire su ciò che è p iù nobile. Se invece il corpo umano prevale sull 'anima e la assoggetta al corpo corrut t ibi le , dal momento che i corpi degli astri sono p i ù n o b i l i di quell i degli uomin i , non sarò io a negare che per s imi l i corpi (gl i astri) sia possibile imprimere le proprie pas­sioni sui corpi umani15. In breve, la mente del saggio do-

15 La convinzione che gli astri determinino integralmente gli eventi umani, anziché essere immagine celeste delle virtualità latenti (fauste o infauste), è in realtà una "superstizione" prevalentemente moderna. Questa supersti­zione, per quanto ciò possa apparire sorprendente, non ha r iscontri nel­l'astrologia tradizionale, almeno in quella non ancora "recisa" dalle proprie radici metafisiche, giacché, come si evince dalla stessa argomentazione del Dorn, proprio di errore metafisico si tratta. La polemica di Dorn è in realtà una ripresa di temi assai cari a Paracelso. Questi riteneva che l'immagine celeste fosse una "profezia", una "rappresentazione anticipata" dei compor­tamenti umani. L'astrologia paracelsiana agisce soprattutto all'interno del teatro microcosmico. È l'uomo, attraverso la propria disposizione volitiva e immaginativa, a determinare l'orientamento causale degli astra che dimo­rano nel suo firmamento psichico. I corpi celesti sono soltanto il simulacro materiale dei principi causali (astra) che l'uomo stesso concorre a determi­nare. Mentre l 'uomo spiritualmente differenziato è superiore alle cause astrali (vir sapiens dominabitur astris, ricorda Paracelso e ripete qui Dorn) l'uomo "tellurico", al contrario, precipita inesorabilmente in un circolo di succubanza. Per un verso egli è come un grembo entro il quale le "segna­ture" astrali nefaste possono imprimersi e proliferare. Per un altro verso, la veemenza immaginativa dell'ente concupiscibile e irascibile di tale t ipo

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minerà g l i astri, quella dell'ignorante non sarà soggetta solo a questi bensì a tutte le cose inferiori e ad ogni tor­mento.

Saggio è colui che, una volta realizzata l ' intellezione, sappia dimorare in essa. Ignorante invece è colui che ama il corpo nell'anima, o l'anima nel corpo, senza aver cura dell'animo, come testimonia la Parola Divina: chi ama la sua anima (nel corpo, si intende) in verità la perde, e chi la odia (come sopra) la custodisce nell'eternità16. Ama l 'anima nel corpo colu i che soggiace agli appet i t i per­versi. Al contrario ama il corpo nell 'anima chi non sog­giace a tal i appetiti ma si diletta in vacue fantasie. Odia la sua anima nel corpo colui che sa frenare gl i appetiti del corpo. Odia il corpo nell 'anima colui che sa scacciare e sradicare immediatamente i vani pensieri delle proprie fantasie. Tale è dunque l ' itinerario per unificare prima l'anima e

lo spirito in modo da realizzare l'intellezione. Questa, tut­tavia, spesso è denominata anima o spirito, ma nominan­done una non escludiamo l'altro, dal momento che consi­deriamo già compiuta l'unificazione. Tuttavia bisogna r i ­levare che l'unione non è perfetta se non quand'è insepa­rabile e in effetti possono essere posti insieme g l i ele­menti p r i m i di un'unione che in seguito non consegue il proprio scopo. Perciò è possibile che l'intellezione sia r i ­tenuta p i ù o meno imperfet ta . Coloro che hanno rag­g iun to l ' in te l lez ione perfetta sono poch iss imi , m o l t i

d'uomo, determina a sua volta, sempre secondo Paracelso, un vero e proprio "avvelenamento degli astri" esaltandone l'aspetto infausto e l'inesorabilità dell'assoggettamento. Per ul ter ior i approfondimenti dell'opera e del pen­siero di Paracelso, ved. Walter Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Milano 1989.

16 Allusione a Matteo, 10, 39: "Chi vuol serbare la vita, la perderà; e chi perde la vita per causa mia, la troverà".

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quelli che si sono avviati a essa, ancor p iù coloro che ne sono totalmente privi . La buona disposizione del corpo, seppure non neces­

saria in assoluto, è assai utile per la vera contemplazione. I l corpo, a cagione della sua natura corrotta, i l cui i n ­flusso è totalmente malsano, vincola e ostacola l'anima, impedendole di percepire le azioni dello spirito. Alcuni godono in via naturale del dono di una migliore predispo­sizione a realizzare tale separazione, poiché accidental­mente, in loro, nessuna, ovvero pochissima corruzione si aggiunse alla corruzione naturale. Meno incl in i sono co­loro che ostacolano la ragione, oltre che per l 'originaria corruzione, a causa della propria negligenza e per condu­zione dissoluta della propria vita. Tali sono coloro che, coinvolti nelle preoccupazioni mondane, ignorano le cose eterne extramondane. Ma tali sono anche coloro che abu­sano oltre il lecito di quanto la natura ha donato loro.

Se dunque una data cosa può costituire un ostacolo, la rimozione della stessa può invece rappresentare un gio­vamento. E vi sono perciò alcune specie di medicina, che sono attivate dai loro stessi corpi mediante l'arte spagi-rica, la p iù nobile di tutte le arti17. Queste (specie di medi-

171 passi seguenti espongono alcuni dei fondamenti della medicina omeo­patica paracelsiana, che agisce sottilmente e per legame analogico, anziché per contrasto. Medico è colui che conosce e sa riconoscere le signaturae, le qualità specifiche impresse nelle sostanze, nei mineral i e nelle erbe, in modo da poterne stabilire l'impiego terapeutico in ragione della signatura specifica di ciascun morbo. Pagel (cit., pag. 121) osserva anche: "La farma­cologia paracelsiana è basata sulla separazione. Con questo si intende l'iso­lamento della specifica vir tù - arcanum - che ha una specifica azione su una o più malattie". Il legame di continuità e corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo è garante della scienza stessa delle segnature. Attraverso l'iden­tificazione dell'arcanum sottile che caratterizza una sostanza specifica, il te­rapeuta può agire miratamente sull'astrum (principio causale) del firma­mento microcosmico affine a essa, in modo da ricomporre quell'equilibrio il cui turbamento fu all'origine della forma patologica. La subtilitas del far­maco esclude interventi devastanti sul piano fisiologico.

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c ina) , grazie a l la na tura le forza a t t iva , t r a t t engono quanto è presente nel loro corpo, per natura e in seguito alla rimozione della componente passiva, e su un corpo estraneo possono compiere cose ancor p iù straordinarie di quanto la natura consentirebbe loro di ottenere sui propri corpi.

Qualsiasi realtà naturale possiede forma e materia ed è volta a giungere alla perfezione entro l'ambito del proprio genere, dal momento che il desiderio innato18 è causa principale di tutte le forme di perfezione. E poiché la na­tura gode e si compiace nel congiungersi alla natura con­simile, quando l'intelletto riesce a imporsi con l'ausilio di una medicina affine a sé, il corpo è costretto ad adeguarsi a quella stessa natura19. Parimenti se il corpo avrà il so­pravvento, sostenuto dalle cose a l u i affini che portano corruzione, sarà l'anima per prima a soccombere. Affinché tut to ciò non sembri assurdo a qualcuno, ag­

giungerò che qualsiasi nut r imento è mutato in sangue dell'essere nutrito, mantenendo la stessa natura comples-sionale dell'essere che è divenuto cibo. La natura ci for­nisce l'esempio nel fatto che chi si nutre della carne di animali feroci spesso diventa a sua volta molto feroce. La

18 Si è già detto che la cosmologia alchemica consiste in una visione dina­mica della Natura. Il desiderio innato è il principio di perfezione verso cui ogni forma tende, per cui, ad esempio, si ritiene che i metalli, nel grembo della terra, subiscano un processo di "maturazione" che li condurrà fino allo stato aureo. L'oro, quindi, è il "desiderio innato" dei metalli.

19 II principio farmacologico della separazione è fatto valere da Dorn tanto sul piano corporeo, quanto su quello morale, psichico e spirituale. La disci­plina medica è metafora, e addiri t tura parte stessa della terapeutica ani­mica e spirituale. La separazione spagirica è il principio aureo dell'alchimia - tanto fisica che spirituale - per cui la restaurazione della forma originaria, cui è volto il processo di separazione, è la premessa per edificare una forma nuova e ancor più nobile. Mart in Ruland così definisce l'alchimia nel suo Lexicon Alchemiae (cit., pag. 26): "L'alchimia è la separazione della parte impura da una sostanza più pura".

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natura non assume come nutrimento null 'altro al di fuori di ciò che è p iù sottile. Ciò che è grossolano e feculento è rimosso ed espulso attraverso gl i escrementi. Inoltre la natura espelle qualsiasi secrezione di nutrimento super­fluo attraverso i por i , col sudore, attraverso la vescica o per mezzo delle lacrime.

Questo indusse Paracelso ad affermare che ciascun membro del corpo possiede il proprio stomaco - in cui i l nutrimento viene digerito - e che in esso avviene la sepa­razione del superfluo dal necessario20. Se per debolezza dello stomaco di qualche membro, durante la cattiva d i ­gestione, la superfluità non viene separata agevolmente, questo nutrimento eccedente fa sì che o la carne o le ossa di tale membro si dilatino oltre la dimensione naturale, generando un tumore, oppure gonfiandosi. Il medicamento filosofico non lascia traccia di alcunché

di grossolano o superfluo. Ciascuna parte del corpo as­sume l ' intero medicamento e senza separazione lo tra­sforma in natura simile a sé, priva di superfluità. Pari­men t i i l medicamento i m p r i m e l a p ropr ia natura i m ­mune da degenerazione e superfluità, convertendo ogni cosa in natura incorrotta.

20 Come si è ripetutamente osservato, la separazione è il principio spagi-rico che guida l'intero discorso dorniano, principio esplicantesi anche sul piano fisico. A proposito dello stomaco, Paracelso osserva: "Quando som­ministr i una medicina, è lo stomaco che deve preparartela ed esso è un al­chimista. È possibile allo stomaco fare in modo che gl i astri accettino la medicina, in tal modo essa viene diretta; se ciò non avviene, essa resta nello stomaco e fuoriesce con gli escrementi. [...] Ed ecco che ora l'alchimia è lo stomaco esteriore che prepara per l'astro quel che g l i è propr io" (Liber Paragranum, cap. I I I ) . HArcheus è il principio di organizzazione e specializ­zazione delle forme viventi, che presiede alla funzione "digestiva" di estra­zione e assimilazione della parte sottile del nutrimento. Il Vulcano è l'ele­mento agente, il vero e proprio artefice alchemico della trasformazione per sottilizzazione.

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La natura incorrot ta è un balsamo21 naturale di lunga vita, insito naturalmente in ogni corpo, simile, nella na­tura, al medicamento spagirico. Grazie a questo balsamo, il colore e l'umore naturali, o radicali, per quanto è possi­bile, sono preservati dalla corruzione. Quando il balsamo viene a mancare, il corpo umano è affetto da lebbra, e quando esso si rafforza, per aumento, ciò che già era de­generato per mancanza del balsamo, è espulso attraverso le secrezioni.

Dunque il medicamento spagirico differisce da quello volgare finora impiegato per il fatto che il secondo, una volta condotto nello stomaco insieme col suo corpo e coi re lat ivi malanni , è digerito e separato in modo non d i ­verso rispetto agli a l t r i c ibi , con disagio e nausea natu­rale. Il medicamento spagirico, con grande sollievo, al di là di ogni digestione, si trasforma subito in umido radi­cale caldo e balsamo, entrambi naturali. Occorre dunque che le tre par t i pr incipal i del corpo fisico siano alimen­tate e rigenerate grazie alle cose affini. Pertanto ne deriva che il cibo e la bevanda quotidiani sono assunti insieme coi propri corpi, poiché sono naturalmente destinati a es­sere non già medicamento ma nutrimento degli elementi. Infatt i ciascun elemento è nutrito da un elemento affine, ma tutte le cose convengono insieme e si conservano in equilibrio grazie all'elemento etereo, a cui ci sforziamo di conformare il p iù possibile il nostro balsamo e le compo­nenti a esso associate. Vi è infat t i nel corpo umano una sostanza affine all'etere che conserva e preserva in esso le altre pa r t i elementari . Pertanto lo spi r i to del medica­mento spagirico, congiunto alla propria anima e separato dal corpo grossolano e impuro, una volta che questo sia stato purificato e di nuovo ricongiunto al corpo per mez-

21 Per Paracelso il balsamo è ciò che preserva i corpi dalla corruzione.

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zo dell'anima, trasmuta le parti mentali, e perfino quelle sottili e vital i in una sostanza simile a sé, preserva anche il corpo fisico dalla degenerazione e protegge da ogni ma­lanno.

Non neghiamo che la nostra medicina sia corporea, ma diciamo che essa è resa sottile22, per opera dello spagi-rista, allorché il fisso sia reso volatile, e il volatile fisso. Certamente il corpo fisico non può essere curato da un corpo migl iore di quello spagirico, né la mente umana può essere meglio ordinata di quanto possa esser fatto con la disposizione spagirica e meditativa, e in ogni caso in seguito al dono della Grazia divina23.

Da tutte queste cose concludiamo che la filosofia medi­tativa consiste nel realizzare la separazione24 del corpo mediante l 'unificazione del mentale25. E questa p r ima unificazione non è ancora sufficiente a creare il saggio, ma soltanto il discepolo intellettuale della Saggezza. La seconda unione dell ' intelletto col corpo crea il Saggio, che f i n dal la p r i m a unione spera26 e attende la terza unione, completa e beata27.

22 Spiritalis, ne l senso di sottile, n o n grossolana. 23 È evidente, qualora sussistesse ancora la necessità di r imarcare tale as­

sunto, che la prassi alchemica fisica e quella spir i tuale, secondo i l pun to di vista paracelsiano e t radiz ionale in genere, n o n sono assolutamente sc indi ­b i l i . Ó g n i acqu i s i z ione su l p i ano s p i r i t u a l e si r ive rbe ra necessar iamente nella d imensione corporea, né la p r i m a può realizzarsi grazie alle sole forze del l 'uomo, senza l ' intercessione d iv ina .

24 Emendo superatione, del testo, con separatione, da l medesimo passo pro­posto anche nella Philosophia Speculativa.

2 5 R i t r o v i a m o anche nell 'ascesi del lo yoga questo i t e r di un i f i caz ione dei con tenu t i m e n t a l i , d isposiz ione per c u i la mente è det ta essere "fissata su un solo p u n t o " (ekàgra) . La fissazione e concent raz ione in un solo p u n t o (ekàgratà) è anche una delle p r i m e tecniche yoga per arrestare i l flusso i n ­cont ro l la to dei contenut i sensoriali e menta l i .

26 Emendo separantem, del testo, con sperantem, dal medesimo passo pro­posto anche nella Philosophia Speculativa.

27 Ovverosia, ovviamente, l 'unione con Dio .

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Voglia Dio Onnipotente che tu t t i noi possiamo divenire tal i e che Egli sia uno ed unico in tu t t i . Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l'intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio. E questo vale per tutte le v i r tù . Ciò non significa che non ci si debba impegnare per acquisirle, giacché Dio non esaudisce gli ignavi e i pigri , ma al contrario respinge le loro preghiere al pari di bestemmie28.

Certamente, da parte degli uomini, grande sarebbe la fol­l ia nel chiedere il pane a Dio senza voler arare e produrre. Non sarebbe meno folle desiderare e attendere l'intelle­zione senza sviluppare nessuna attitudine per acquisirla. Ancor p iù grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza implorarla prima. Dio colma i devoti con la sua benedizione, quando essi chiedono le cose migliori , e non esaudisce i negligenti anche se chiedono. Chiedere (veramente) significa domandare non solo con la bocca ma col cuore e con trasporto emotivo.

Quindi, pr ima di dirigerci verso il primo grado della filo­sofia meditativa, ho ritenuto opportuno raccomandare ai discepoli sia l'implorazione dell'ausilio divino, sia un fer­vente zelo, nel disporsi interiormente a ricevere la Grazia. F i n qu i si è detto di questa disposizione soltanto, e la Grazia deve essere veramente richiesta a colui che dona la luce, Dio Ottimo Massimo. E poiché di questa disposi­zione, ottenuta mediante l'arte, tre sono le par t i pr inci ­pali, ossia spagirica, morale e meditativa, si è reso neces­sario, in questa trattazione, approfondire tale disposi­zione in ciascun ambito29.

28 Questo esplicito attacco ai fondamenti della dottrina protestante è an­cora più aperto e marcato rispetto alle precedenti allusioni. Ved. nota 13.

29 Ancora una volta Dorn ribadisce l'inscindibile unità dell'opus.

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È impossibile che l 'uomo malvagio possegga quel te­soro, nascosto ai figli della sapienza, e che invece l'uomo giusto sia scarsamente qual i f icato a cercarlo e ancor meno a trovarlo. Nel corpo umano è nascosta una certa sostanza metafisica, nota a pochissimi, che non abbi­sogna di alcun medicamento, e che è essa stessa medica­mento puro30. Invero, giacché essa è oppressa e ostacolata dalla degenerazione del proprio corpo e quindi esprime a stento la propria vir tù , i filosofi scoprirono, grazie a una certa ispirazione divina, che questa v i r tù e vigore celeste poteva essere liberata dai suoi vincol i , non tramite una qual i tà cont rar ia , come insegnano i miscredent i , ma grazie a una affine. Quando ciò che corr ispondeva a questa sostanza fu rinvenuto sia nell 'uomo sia fuor i di l u i , i saggi ne dedussero che le cose s imil i fossero da raf­forzare con quelle simili , con la pace piuttosto che con la guerra, e che le cose contrarie fossero da respingere me­diante i contrari. Per ottenere, attraverso l'arte, la buona disposizione del corpo fisico ci avvaliamo del r imedio spagirico con cui evitiamo l'alterazione che sfocia nella digestione naturale e nell'espulsione. Ciò avviene allor­quando la natura possa operare attraverso una forma raf­forzata internamente. Questa è la preparazione del no­stro corpo col metodo spagirico, grazie al quale, ostaco­lando i l processo di corruzione, perveniamo p i ù faci l­mente alla separazione. Quindi il lettore attento conclu­derà che, dalla filosofia meditativa in primo luogo, attra­verso quella spagirica fino alla vera sapienza il cammino è assai sicuro.

Procediamo dunque verso la separazione volontar ia . Grazie alla sua completa preparazione, il corpo potrà es-

Nuovo riferimento al balsamo (ved. nota 21).

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sere facilmente separato dalle altre parti, nel momento in cui l 'anima, su consiglio dell 'animo, g l i neghi qualsiasi cosa esso desideri al di là della necessità fisica. In seguito a questa separazione, mediante la continua dedizione alla filosofia morale si ottiene la pr ima unione dello spi­r i t o con l 'anima. Ho dovuto anteporre l'esposizione di questi insegnamenti, così che gl i studiosi attenti potes­sero comprendere per quale ragione avessi messo i n ­sieme la meditazione con la morale e con la fisica, e in quali modi esse debbano essere confrontate individual­mente, ma anche affinché i lettori non potessero dire che io abbia collocato entro un labir into di dubbi l'ingresso verso ciò che si deve poter intendere.

Ma l'animo, che attende alla disciplina meditativa, ci in­cita verso il pr imo grado della filosofia meditativa. La di­sciplina meditativa consiste nell'attenta ricerca del vero, e nell 'oblio delle cose mondane, quantunque necessarie, secondo la Parola Divina: p r ima d'ogni altra cosa chie­dete il Regno di Dio, senza preoccuparvi di ciò che dovete mangiare e bere, o degli indumenti. Infatti il vostro Padre che è nei Cieli sa che cosa occorre agli uomin i . Tutte le cose di cui avete bisogno vi saranno date, qualora obbe­diate, dedit i soltanto alla Parola di Dio31. Se quindi , per meditare realmente, occorre non curarsi anche delle cose necessarie, e allontanarle risolutamente da sé, ancor più, ogniqualvolta insorgano durante la meditazione le preoc­cupazioni mondane e i pensieri vani volt i alle cose inu t i l i che soffocano i l buon seme, bisogna scacciarle v i r i l ­mente32 con le parole del Signore che ci insegnò essere ef-

31 Parafrasi di Matteo, 6, 25-34. 32 Se nel discorso immediatamente precedente, riferito all'implorazione

della Grazia, Dorn ha messo l'accento sull'aspetto umido dell'opera - sul­l'esaltazione del principio mercuriale, lunare, ricettivo e femminile nella sua

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ficacissime in ciò: a l lontanat i subito da me, Satana33, nulla mi accomuna a te, desidero essere interamente di Dio, cui mi sono votato.

Ma i l p remio dell 'opera consisterà nel comprendere cosa sia vero e cosa necessario. Vero dunque è l'Essere da cui nulla è escluso, al quale nulla può essere aggiunto o ancor meno può esser contrario. Questo può essere sol­tanto il Verbo di Dio, intorno al quale deve incentrarsi in ­teramente la nostra meditazione, se vogliamo conoscere tutte le cose celesti e terrestri p iù misteriose, p iù u t i l i e le­cite. Necessario è ciò di cui non possiamo assolutamente fare a meno, come il v i t to e g l i indument i per copr i rc i . Superfluo, tu t to ciò che è al di là della necessità. Mon­dano è non soltanto tutto ciò, ma qualsiasi cosa sia sug­gerita o insinuata dal diavolo per cupidigia corporea, come loglio fra il grano, il cui scopo è far sì che ci allonta­niamo dalla Verità divina per impedirc i di dimorare in essa. Ma la Verità è Vi r tù eccelsa e Fortezza inespugna­bile, cui sono fedeli pochissimi amici, e che tuttavia inge­nera t e r ro re i n i n n u m e r e v o l i n e m i c i . Quasi t u t t o i l mondo34 la tratta con estremo odio, mentre il solo Agnello Immacolato la difende come realtà insuperabile. Pegno indubi tab i le e certo per coloro che trovano r i fug io in Essa, r i pa ro assolutamente s icuro. En t ro questo ba­luardo giace l'autentico tesoro. Questo, non intaccato da t a r l i né saccheggiato dai ladr i , sarà trasportato da qui ,

valenza di purezza devozionale - l 'avverbio viriliter a l lude invece al l 'a t t iva­zione del p r i n c i p i o solare, maschile, aureo, emendato dalle lebbre sulfuree e co l le r ico-marz ia l i dell'ego autoreferente. La marz ia l i t à contraffatta si t ra­sfigura nella "santa collera" verso i l male.

33 Parafrasi di Matteo, 4, 10. 34 E m e n d o modus, de l testo, con mundus, da l medes imo passo propos to

anche nella Philosophia Speculativa.

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dopo la morte, e conservato in eterno35, in quel tempo in cui tutte le altre ricchezze dell 'intero mondo scompari­ranno e saranno destinate a divenire nulla, poiché dal nulla furono create. E purtuttavia esse paiono preziosis­sime al volgo, giacché l 'uomo animale non comprende cosa possa condurlo verso la rovina oppure verso la sal­vezza.

La Veri tà è un tesoro perpetuo, cosa v i l i ss ima per i l mondo, disprezzata da mol t i , mentre invece i saggi non l 'odiano affatto, e anzi l'apprezzano p iù dell'oro e delle gemme. Essa ama t u t t i , e t u t t i la respingono come ne­mica, reperibile ovunque ma rinvenuta da pochi o da nes­suno quasi. Essa dice a t u t t i nelle strade: "Venite a me, voi t u t t i che cercate la strada, vi condurrò verso il vero sentiero". Questa è la cosa annunciata tanto solenne­mente dai veri sapienti, che vince tutte le cose e che non è sconfitta da alcuna cosa. Penetra ogni corpo, ogni cuore duro, consolida ciò che è molle e rafforza in resistenza ciò che pure è già assai forte. Essa si palesa a tu t t i noi ep­pure non la vediamo. Parla ad alta voce dicendo: "Sono la Via della Verità, passate tu t t i attraverso me, giacché per giungere alla vita non vi è altro che me, autentica porta d'accesso e transito". Ma non la vogliamo ascoltare. Pro­mana un profumo di dolcezza ma non lo percepiamo. Si offre a noi generosamente, giorno dopo giorno, nei ban­chet t i , attraverso un sapore gradevole, ma non la gu­stiamo. Blandamente ci trae verso la salvezza, ma noi, r i ­l u t t an t i e fingendo di non avvertire la sua spinta, pas­siamo oltre. Qualsiasi cosa faccia, siamo come pietre che hanno gli occhi ma non vedono, le orecchie ma non sen­tono, le narici ma non percepiscono i profumi. Munite di

35 Riferimento a Matteo, 19, 21; Marco, 10, 21; Luca, 18, 22.

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bocca e lingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non operano e non camminano.

Misero tale genere d 'uomini che non è migl iore delle pietre, ma di gran lunga p iù infelice, perché loro e non quelle dovranno rendere conto delle proprie azioni! "Tra­smutatevi - dice la Verità - da pietre morte in uomini vivi e saggi36. Io sono la vera medic ina che re t t i f ica e t ra­sforma le cose in ciò che erano prima della corruzione, e assai meglio ancora, e trasmuta le cose, da ciò che non sono, in quel lo che devono essere. Ecco che g iorno e notte busso all'ingresso della vostra coscienza e non mi aprite. Tuttavia attendo mite e non mi allontano da voi , ma sopporto pazientemente le vostre ingiur ie , deside­rando, grazie alla pazienza, r icondurvi a essa con l'esor­tazione. Venite dunque, venite, vi imploro ancora p iù in­sistentemente, qualora siate in cerca della saggezza. E ac­quistate, senza pagare, né con l 'oro o con l 'argento o ancor meno con le vostre fatiche, ciò che vi è generosa­mente rivelato". Voce sonora, dolce e gradita alle orecchie dei fi losofi .

Oh, fonte inesauribile di ricchezze e giustizia per coloro che hanno sete! Oh, sollievo immediato dai colpi infert i da coloro che seminano desolazione! Che cosa chiedete oltre, mor ta l i in affanno? Perché vi acceca la foll ia, dal momento che tut to ciò che cercate fuori di voi in realtà desidera dimorare in voi stessi? Il vizio del volgo consiste propriamente in questo, che

nel momento in cui disprezza le cose che g l i apparten­gono, desidera le cose estranee. Consideriamo di nostra proprietà ciò che usurpiamo e di cui ci appropriamo. Ed infa t t i da no i stessi non traiamo nulla di buono, ma se

36 Ved. Prima lettera di Pietro (2, 7). "Pure voi, s imil i a pietre viventi, siate edificati come edificio spirituale". Ved. nota 75.

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possiamo avere qualcosa di buono, lo riceviamo solo da Colui che è buono. Al contrario, qualsiasi cosa vi sia di male in noi , ce ne appropriammo traendolo da un male estraneo, per disobbedienza. Nul l ' a l t ro appartiene al­l ' uomo al di là del p r o p r i o male. Ciò che possiede di buono lo ottiene non da se stesso, ma soltanto grazie al Bene, qualora sappia accoglierlo. La Vita, Luce degli uo­min i , br i l la in noi, sebbene velatamente, così come nelle tenebre. Essa deve essere ottenuta non da noi stessi, sep­pure dentro di no i , ma da Colui cui appartiene, che si degna di dimorare in noi, quando lo rendiamo possibile.

Egli insediò qui, in noi stessi, quella Luce, perché potes­simo vedere i l lume nel Suo Lume che ospita la Luce Inaccessibile, e perché primeggiassimo fra le Sue crea­ture, rese s imi l i a L u i dal momento che ci donò la scin­ti l la della Sua Luce.

La Verità va dunque ricercata non in noi ma nell'imma­gine di Dio che è in noi. D'altronde, per poter definire la Verità in modo appena soddisfacente, domando che cosa sia presente nell'Uno, che pure non vi partecipi o che gli si possa contrapporre, dacché nul la esiste ol tre l 'Uno stesso?

Chi potrebbe ignorare che nulla, che sia perfetto, sus­siste al di là di quell'Uno soltanto, giacché non può essere d iminu i to o accresciuto, ma abbondando in v i r tù e po­tenza può elargire doni a t u t t i coloro che ne hanno b i ­sogno, senza intaccare la propria abbondanza? Che cosa esiste, i n fa t t i , oltre quell 'Uno soltanto che a ogni cosa concede d'essere ciò che è, ma che a sua volta non riceve l'essere da altri? E invece Esso è tutto l'Essere che può e deve essere, nulla gl i si può opporre e nulla può esistere al di là dello stesso. Che cosa esiste realmente, oltre la Ve­r i tà , dal momento che la sola Verità rappresenta quel­l'Uno che solo è veramente.

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Il falso, invece, poiché non è al t ro che ciò che è con­trario al vero, non necessario di per sé, non sussiste altr i­menti che per privazione della vera essenza e non è altro che ciò che veramente non è. Donde alcuni concludono che il peccato e la morte non siano alcunché, dal mo­mento che non derivano dall'essere, ma dalla privazione della vera essenza37. Quindi il peccato è privazione del Bene e causa efficiente della morte, perché la morte è pr i ­vazione di Vita, che è il fine del Bene. Dal Bene deriva il pungolo della Verità, su cui non prevarranno gl i ar t ig l i del la mor te , e con t ro cu i è arduo resistere per chic­chessia, quantunque recalcitrante. Chiunque desideri ag­giungere qualcosa alla Verità sarà costretto a sostituire, con qualche velame, qualcosa di falso al vero, perché la Verità, che si cinge del solo manto della perfezione, non teme di apparire senza velame. E se il nostro primo pro­genitore non avesse abbandonato questo manto di giu­stizia, non avrebbe neppure temuto di apparire nudo, quale in precedenza non appariva, e nemmeno poteva es­sere, muni to di tutto il decoro della Verità. Privato dun­que del manto perpetuo della Verità, si procacciò un falso manto di foglie d'albero, e rivelò da sé il proprio errore quando, al cospetto del Signore disse: "Sono nudo, Si­gnore". E Dio - mosso a pietà verso colui che, timoroso, riconosceva di aver perso la Verità, per disobbedienza, in cambio dell'abito corrotto della felicità terrena - stabilì di donargli la veste nuziale della gloria eterna, mediante suo Figlio, che asserì e manifestò palesemente di rappresen­tare per noi la Via della Verità e la Vita. Con la sua morte, di cui non ebbe timore, ci liberò dalla morte perpetua cui tu t t i avremmo dovuto, giustamente, essere soggetti. Ve-

37 Ved. nota 6.

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dete fratelli quale sia il frutto della Verità, sì che anche nei confronti dei suoi nemici è benefica e mite, solo che la sappiano riconoscere. Tutti peccammo con Adamo, ma sono pochissimi fra noi - quasi nessuno in realtà - coloro che confessano, assieme a l u i , la propria nudità. E cia­scuno al contrario desidera non solo apparire perfetto ma anche pretende d'esserlo, magari pur essendo il peggiore fra tu t t i . Così, anche vestito sfarzosamente, di l ino scar­latto e porpora, ancor più appare nudo.

Dal pr imo desiderio del Progenitore ereditammo questo vizio, che la nostra carne p iù d'ogni altra cosa desideri, per dir i t to o col sopruso, sapere, conoscere, possedere ed essere adorata come un idolo. E questo è il p iù alto i m ­pegno degli uomini di questo secolo, e per gli stessi, come fu per Adamo, è cosa rovinosa. Né mancano tra noi co­loro che, dopo la caduta di Adamo, si dedicano alla parte peggiore, e non diversamente da quello, fuggendo il volto del Signore, cercano ansiosamente i segreti delle tenebre esteriori. Questa mancanza di fede, così come conduce alla disperazione, ancor p iù abbisogna poi di penitenza per far r i torno verso la luce della Verità. Al contrario la Verità non è soggetta ad alcuna potestà né ad alcun po­tere mondano, perché niente le si può opporre, dal mo­mento che è la vera e sola forza che supera la potenza del mondo intero. E se il corpo di colui che possiede la Verità fosse fatto in mille pezzi, nulla patirebbe il suo animo che anzi godrebbe in quel martirio: quella sola è la Vir tù e la forza che pochi riescono a realizzare appieno. Per com­pagni ha la Giustizia e la Pietà, congiunte per vincolo in­separabile d'unione. La Pietà è Grazia concessa per vo­lere divino, ed insegna a ciascuno a conoscere realmente se stesso. La Giustizia è in realtà la retribuzione e la resti­tuzione di ogni cosa a colui al quale spetta: chiunque pos­sieda veramente queste Vir tù è p iù ricco di tu t t i . Inoltre la

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Pietà a p p o r t a pace e m i s e r i c o r d i a , cose d i c u i av remo modo di t rat tare p i ù ampiamente a suo tempo.

Ved iamo ora di cercare di comprendere cosa sia la ne­cessità. N o n poss iamo essere comple t amen te p r i v i de l v i t t o e d e g l i i n d u m e n t i , che p e r t a n t o , come d i c e v a m o p r ima , sono cose assolutamente necessarie. Chiunque i n ­vece, anche qualora possa disporne, può fare a meno sia delle delizie del c ibo e delle bevande, sia del lusso e dello sfarzo degli i n d u m e n t i . Queste cose, i n fa t t i , n o n sono ne­cessarie, ma , a l con t ra r io , superflue. Poch iss imi i n o l t r e osservano la necessità f i losof ica : c h i , che n o n sia fo l le , n o n fa fronte malvo len t ie r i al la necessità volgare, e desi­dera altresì essere p r ivo soltanto di ciò che n o n può otte­nere per d i r i t t o o per prepotenza? In real tà i l volgo g iu ­d i c a t u t t e le cose s u p e r f i c i a l m e n t e e secondo le appa­renze. E quasi nessuno è r icondot to al vero, nel momen to in cu i l 'odiata Verità, con veste lacera, s i r ivela. In questa epoca, p i ù possono l 'abito splendido, i m o n i l i , le collane e i g io ie l l i r ispet to alla stessa Veri tà e alla Saggezza. E n o n è s i n g o l a r e che n e l m o n d o , assieme a l l a s o m m a Sag­gezza, sia stata creata la stoltezza, in realtà contro la Sag­gezza? Le Sacre Scr i t tu re lo attestano. G l i u o m i n i saggi di questo m o n d o celebrano la Veri tà stessa, Cristo e l 'au­t e n t i c a Saggezza, p e r c h é n o n sono cose es t ranee a l m o n d o eppure l o t rascendono. Ba rabba i l l ad rone , i n ­f a t t i , a m a g g i o r r a g i o n e f u scel to , i n q u a n t o c o r r o t t o t r a t to f u o r i da l m o n d o . Perché dunque c i s tup iamo se i l mondo , nel momen to in cu i è fatto oggetto d'indagine as­sieme al la stessa Veri tà , aborrisce sì come veleno g l i uo­m i n i esperti delle autentiche arti? G l i stessi saggi seguaci di quel m o n d o ammet tono che la ver i tà p rocura l 'odio, e l 'ossequio g l i amic i 3 8 . Se avessero sot t in teso che Fosse-

Terenzio, Andria, 68.

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quio sia preferibile solo allo scopo di propiziare il favore, potremmo scusarli come persone che si dolgano dell'odio della verità. E invece, con la loro dottrina, sembra soprat­tutto che si comportino da parassiti per ambizione, piut­tosto che voler consacrare liberamente gl i uomin i verso la v i r tù e la verità, senza speranza alcuna di lucro, o alla ricerca dell 'altrui amicizia. E bisogna allora convincersi del fatto che le cose estranee alle nostre meditazioni deb­bano essere allontanate come fermento diabolico. Ve­diamo che in questo secolo ferreo39, qualora qualcuno si avv ic in i al la Luce i n v i r t ù d i med i t az ion i autentiche - grazie alle insospettabili fonti dell'autentica filosofia - e inoltre faccia questo per beneficio comune, ebbene, qua­lora non sia concorde con la falsa dottr ina dei Greci40 e dei miscredenti, costui soprattutto - poi che bevve il net­tare di quell'ardore - è tenuto sprezzantemente a distanza dagli stessi miscredenti, dato che quella dottrina da filo­sofi senza fede fu generata priva d'ogni fondamento. Di ­temi dunque, o uomin i giudiziosi, come potrebbe acca­dere che un miscredente sprovvisto d'ogni autentico lume possa portare ad a l t r i la luce della Verità? Entrarono in possesso della conoscenza umana e mondana, che oggi, per somma stoltezza è tenuta in considerazione alla stregua di Dio , propr io perché non proviene da Dio. E tuttavia, ciascun genitore tormenta i l f igl io, nell'adole-

59 Allusione alla dottrina, esposta nella Teogonia esiodea, delle quattro età del mondo (oro, argento, bronzo e ferro) di cui l 'ultima, quella del ferro ap­punto, è la più buia.

40 Per Greci, Dorn intende i seguaci di Aristotele. Nella Philosophia Specu­lativa, l 'allusione ad Aristotele è anche resa violentemente esplicita (Th. Chem., voi. I, pag. 242). Allo stesso indirizzo, Paracelso aveva rivolto pole­micamente la sua Philosophia ad Athenienses. Entrambi identificano nell'a­ristotelismo, e in alcune propaggini della Scolastica medievale, i prodromi di una filosofia della natura puramente operativa, priva di fondamento me­tafisico e spirituale, ovverosia ridotta a mero dominio del mondo materiale.

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scenza, perché la apprenda al meglio. E comunque, se ac­cadesse che un falso filosofo conversasse con un saggio autentico, dedito alla meditazione, subito trasalirebbe in insu l t i , disprezzando ogni cosa buona e vera, solo che non l'avesse udi ta in precedenza dal p ropr io maestro: come se non vi fosse nulla di buono e vero oltre a quanto è scaturito da miscredenti che ignorano la Verità. Infatti , con l'ausilio del lume della Verità, si può realizzare, in un solo anno o in un solo momento, l 'intellezione specula­tiva41, p iù di quanto possa la fatica assidua e improba di un uomo privo di quel lume, qualora abbia cercato la luce presso coloro che ne sono totalmente pr iv i . Ma vediamo quale sia la do t t r i na morale dei f i losof i p r i v i di fede. Questi ripongono il sommo bene nel vivere agiatamente, ovverosia nella v i r tù e nell'utilità42. Ritengono che la v i r tù

41 Dorn contrappone fieramente la conoscenza illuminativa, intemporale e realizzantesi per intuizione divina, agli esiti incer t i e transitoriamente "umani" della ragione discorsiva, e, peggio ancora, della dialettica sofistica. La prima si dà esclusivamente entro quello che Paracelso chiama "tempo perfetto". " I l pentimento, infatti, si colloca nell'eternità, cioè nello spirito, e non nel passeggero, che è il corpo; esso, quindi, non è associato con una cifra che indica un anno, né con numeri che contano buone azioni, tu t t i ter­m i n i che appartengono a cose corporee e non spiri tuali . Lo spirito è per­fetto e nessun l imi te è posto al tempo perfetto. Se lo spiri to è nel penti­mento anche solo per un momento, questo è sufficiente a causa della sua perfezione. Nelle azioni del corpo, invece, non basterebbe, poiché esso non è perfetto e con lo scorrere del tempo appare evidente che non può raggiun­gere la perfezione" (citato in W. Pagel, cit., pag. 71). Il tempo perfetto altro non sarebbe, per esprimersi con Platone, che la realizzazione del tempo come immagine dell'eternità.

42 La polemica sembra ora spostarsi contro l'Epicureismo, assai generica­mente inteso. La ragione di questa indistinta associazione di correnti filoso­fiche ed etiche in realtà assai eterogenee, si motiva, nella prospettiva tradi­zionale propria del Dorn, nel loro essere soltanto "filosofia", ossia espres­sione di punt i di vista che non oltrepassano l 'ambito soggettivo. La pole­mica non è retoricamente antipagana, ma consapevolmente antiumanistica e antisecolare. Prova ne sia che dai bersagli polemici del Dorn sono esclusi, a titolo di esempio, Pitagora e Platone, e sono invece incluse le conventicole

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risieda preminentemente nell 'ambire onori e lodi , e sti­mano utile produrre e conservare ricchezze per dir i t to o col sopruso, con la guerra e col sudore. È evidente che questi u o m i n i si aspettano che dopo la loro morte non resti ai posteri che la fama, gli onori e l'ammirazione at­traverso il r icordo delle loro gesta. Negando, e in parte ignorando la resurrezione, inventarono le mi l le favole raccolte in poemi pr ivi d'ogni verità - verità di cui furono assolutamente all 'oscuro - sulla rovina degli u o m i n i e sulla loro stessa fine. Ecco per quale dottrina è necessario che coloro che mostrano di possedere competenza e t i to l i per qualsiasi arte e facoltà detestino i conoscitori delle autentiche arti43. E tuttavia, se l'esperienza pone dinnanzi ai loro occhi la verità, qualora essa non sia comprovata dall'opinione di coloro che mai ne fecero esperienza, ciò che è vero è rifiutato in cambio del falso, mentre lo stolto, e chiunque affermi di voler professare la verità, è tenuto in grande considerazione. E qualora qualcuno svilisca giustamente g l i autori vacui, tosto gl i allievi di costoro addi r i t tu ra minacciano gl i uomin i , o di supplizio, o di

un ive r s i t a r i e coeve, idea lmente e concre tamente eredi de l la miscredenza cont ro c u i egli s i scaglia. In a l t r i sc r i t t i , specialmente quando t r i b u t a aper­tamente p a r i venerazione alla r ivelazione mosaica e alla Tavola Smeraldina a t t r i bu i t a a Ermete Trismegisto (ved. Physica Genesis e Physica Trismegisti, in Th. Chem., v o i . I ) , D o r n mos t ra di aderire a una visione universale della Ver i tà , col locantesi al di sopra della cont ingenza storica, geografica e r e l i ­giosa.

43 Ars sine scientia nihil, così reci tava un an t ico m o t t o , ad in tendere l ' i n ­consistenza conoscit iva di qualsiasi ars dissociata dal la scientia delle cause p r i m e e dei f i n i u l t i m i , scientia che dovrebbe guidare e or ientare l ' impiego di qualsiasi techne. A tale proposi to , vedi i l magni f ico saggio di Ananda K. Coomaraswamy, Ars sine scientia nihil, inc luso nella raccol ta // grande bri­vido, Ade lph i , M i l a n o 1987. Questo insegnamento, comunque, era tu t t ' a l t ro che estraneo a l la d o t t r i n a di Paracelso. Si vedano i t r a t t a t i / / fondamento della sapienza e L'invenzione delle arti, a cu ra di B r u n o Cerchio, Il Leone Verde, Tor ino 1998.

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quel gran disdoro, che chiamano cavalcatura dell'asino. E nel frattempo i medesimi non si avvedono del sollievo che provano nel cavalcare ogni giorno, attraverso i vicoli, i mostri sodomitici degli asini, generati contro natura per la malizia degli uomini e contro il precetto divino, in os­sequio al quale, un tempo, fu vietato che i pastori consen­tissero di far accoppiare an imal i di specie diverse44. E cosa potrà opporre la stessa Verità contro le loro minacce dal momento che, come affermano, essa procura l 'odio verso i suoi assertori e l'amicizia verso gli adulatori che la tacciono? Poco, ma si addice al filosofo l'andare incontro alla morte piuttosto che negare la Verità. In tutte le circo­stanze i cristiani la devono tenere come il p iù alto bene. Beati coloro ai quali è concesso dal Cielo di perseverare in essa f ino alla fine, cosa che a pochiss imi (ahimè) è data. Chiediamo a Dio che di questo solo ci renda parte-

4 4 1 mostri sodomitici sarebbero i m u l i , p r o d o t t i dal l 'accoppiamento di ca­valle e as in i . L'antica legge b ib l i ca vietava questo t i p o di procreazione etero­genea. " N o n accoppiare a n i m a l i d i specie diversa, n o n seminare ne l t u o campo semenze di specie diverse" (Levitico, 19, 19). Anche E l i a n o (La na­tura degli animali, X I I , 16) osserva: " I l m u l o in fa t t i n o n è una creatura della na tura ; p o t r e m m o d e f i n i r l o un an ima le che l ' i n te l l igenza u m a n a ha p r o ­d o t t o , v a l e n d o s i s f r o n t a t a m e n t e d i m e z z i f u r t i v i e a d u l t e r i n i " . Ques ta s p u n t o p o l e m i c o de l D o r n , che a p r i m a v i s ta po t r ebbe essere r i d u t t i v a -mente l e t to come ind i ce d i oscura supers t iz ione , ha invece un i n d i r i z z o s imbol ico ben m i r a t o . La perversione, tanto sul p iano materiale, quanto su que l lo in te l l e t tua le , de l l ' o rd ine s t ab i l i t o per vo lon t à d i v i n a , i n t r o d u c e un fat tore a r b i t r a r i o e l u c i f e r i n o di d i sord ine e disgregazione del Cosmo. La trasgressione di un precetto concernente le species na tu ra l i e i l fatale obnu­b i l a m e n t o , per confusione, delle qua l i t à e del le segnature impresse nel le creature, è indice di una violazione assai p i ù profonda e insidiosa che D o r n n o n manca di adombrare . Segnalata ancora da E l iano ( ib id . ) , la s ter i l i tà dei m u l i - incapaci d i r i p r o d u r s i in quanto l 'utero delle femmine sarebbe "ina­dat to a ricevere il seme" - potrebbe essere interpretata come l'esito inevi ta­bi le di qualsiasi generazione forzata e "mostruosa". Si r i f le t ta anche sul si­gnif icato s imbol ico della pro ib iz ione , sancita dagl i insegnamenti d i alcune t r i b ù pellerossa, di "violare" i campi con l 'aratura.

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cipi . Così, come a proposito dell'ardore si dice che si ge­neri nell'animo attraverso la volontaria separazione rea­lizzata grazie alla meditazione, apprendiamo che l'opera spagirica deve realizzarsi alla stessa maniera attraverso essa. E infat t i nell'opera spagirica è necessaria la ricerca della verità delle cose naturali, verità che si cela entro il loro lato nascosto. Pertanto, il vero centro spagirico de­riva dalla natura delle cose generate. In esso si nasconde ogni vir tù , la verità della cosa stessa, e la potenza da con­durre in atto attraverso quest'arte. E perché ciò avvenga, è necessario che (le cose generate) siano divise nelle parti superiori e inferiori , che entrambe vengano purificate, e che solo a quel punto si realizzi, attraverso i mezzi spagi-r i c i delle operazioni , la r iduz ione in un i tà , o unione. Q u i n d i i l lavoro spagir ico, cioè i l p r i m o grado verso l 'unione spagirica, consiste nella divisione della cosa, ossia nella separazione45.

La separazione degli elementi è duplice, quella degli ele­ment i p i ù p u r i dagli i m p u r i , la sola separazione vera­mente spagirica, e la separazione delle qualità dementali, nota e famil iare a t u t t i . La natura, tuttavia, opera me­diante la sola commistione46 con due uniche operazioni, ossia l'alterazione e l'animazione47. Tratteremo le singole operazioni in seguito, ma diciamo ora cosa sia la separa­zione del puro da l l ' impuro . In cert i corpi avviene me-

45Ved. note 4, 17 e 19. 46 Come osservato in precedenza, l'aspetto "contronaturale" dell'alchimia

consiste proprio nel far regredire ogni composto naturale fino allo stadio "prenatale".

47 Ovverosia, il movimento nel tempo e nello spazio, determinazioni onto­logiche di ciascun essere creato. Il lettore osserverà come, da questo punto in avanti, per un tratto consistente del testo, si evidenzi un brusco scarto nel registro espositivo, retorico e lessicale, scarto già segnalato nel nostro saggio introduttivo.

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diante i corpi stessi, in al t r i grazie a un veicolo48. Sebbene in tu t t i i corpi generati dalla natura vi sia un'essenza ce­leste che chiamano quintessenza49, in nessun corpo, come dicono i filosofi, è tanto abbondante quanto nel vino. Per­tanto lo scelsero per rendere p iù facile la separazione, e non perché la sostanza tratta dal suo corpo sia p i ù po­tente di quella estratta da qualsiasi altro corpo. Infatti la v i r tù è universale e differisce solo per la varietà dei sog­getti cui aderisce. Una volta libera, ri torna alla sua unità. Questo è il solo, fra gli arcani della natura, grazie al quale gl i spagiristi attinsero alle cose p iù alte50. Del resto non bisogna lasciarsi fuorviare dalla parola "vino", poiché ve ne sono due, quello filosofico51 e quello volgare. Quello f i ­losofico può essere estratto da qualsiasi corpo naturale. Quello volgare si vende nelle taverne. Da qualsiasi corpo, se vorra i , separerai lo spir i to e l 'anima. Prima di tu t to proviamo a insegnare qualcosa sul vino filosofico con l'aiuto di un esempio. Si prendano dei chicchi di grano, d'orzo, o di frumento di prima qualità52, acqua di fonte o piovana, o un'altra qualsiasi in cui possano macerare per gonfiarsi . Li si accumulino e lascino così finché, dopo qualche giorno, li si r iscaldi e comincino a germinare. Quando saranno apparsi questi segni, li si distenda, così da lasciar evaporare, con l'essiccazione, l 'umido super­fluo. Dopodiché, siano tr i turat i grossolanamente con una mola. Si riponga in un vaso di legno la farina ottenuta, la

48 Ved. saggio introduttivo, pagg. 21 e sgg. 49 Ved. saggio introduttivo, pagg. 25 e sgg. 50 Ved. saggio introduttivo, pagg. 26 e sgg. 51 A proposito del "vino dei Savi", Pernety afferma che esso è " i l loro me­

struo o dissolvente universale, e la vite da cui si estrae è una vite che ha una sola radice" (Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758, s.v. vino).

52 Non vi possono essere dubbi sul fatto che il passo si riferisca allegorica­mente a una prassi di alchimia spirituale (ved. saggio introduttivo).

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si cosparga d'acqua bollente53 e si chiuda il vaso. Una volta che il l iquido si sia raffreddato e abbia riposato54, lo si col i con un setaccio, o con un sacco, in modo che sia intorbidato il meno possibile dalla farina. A questo punto, aggiungi alla medesima farina altra acqua bollente, come in precedenza, e filtra: ripeti questo processo di aspersioni e filtraggi, finché percepirai che tutta la sostanza dei grani è stata t ra t tenuta in acqua, cosa di cui pot ra i rendert i conto assaggiando infine l'acqua e la farina. Fai boll ire tu t to i l l iqu ido , cosicché, mediante evaporazione, rag­giunga la consistenza del miele. In questo modo hai prepa­rato il vino filosofico dal grano, che puoi ottenere da qual­siasi altro seme, finanche dai più aridi, che possono essere separati grazie a sé medesimi mediante scottatura55. Si dice che questa separazione è realizzata per mezzo di un veicolo. Per il resto, da questo vino filosofico, attraverso la distillazione, separerai l 'anima che, insieme allo spirito, ascende in alto dal corpo, e sublimerai molte volte lo spirito e

53 Ferventissima, nel testo latino. Un altro dei paradossi teorici dell'alchimia consiste nel fatto che il mezzo per conseguire l'estrazione è, a sua volta,la prima sostanza da estrarre. La soluzione del paradosso è pratica e si fonda sul pr incipio sperimentale secondo cui l'opus ha una progressione circo­lare, cosa che lo stesso sviluppo spiraliforme del Caduceo suggerisce. Tanto l'immagine del vino, quanto quella deìi'aqua ferventissima, designano il pro­cesso di congiunzione e androginazione del pr incipio igneo con l'acqua, processo simboleggiato anch'esso dall'intrecciarsi delle due serpi lungo la verticale del Caduceo. L'ignificazione del mercurio (aqua ardens, termine con cui Raimondo Lullo definisce anche lo spirito quintessenziale del vino) corona la stabilizzazione del mercurio (inteso come coscienza dell'indiffe­renziato), una volta che questo sia stato sottratto alla condizione di fissità (coscienza individuale) e liberato daH"'ombra". A proposito del fuoco erme­tico, misterioso agente, indispensabile durante il corso dell 'intero opus, Theobaldus de Hoghelande, nel De alchemiae difficultatibus, propone questo enigma: " I l nostro fuoco è spiaggia marina, sangue umano non com­pletamente combusto e succo rosso d'uva" (Th. Chem., voi . I, pag. 180).

54 Quieverit. 55 Probabile allusione alla via secca che procede per diretta esposizione

della materia al fuoco, senza l'intermediazione dell'acqua e del vaso.

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l'anima finché siano separati e liberati da ogni umore. Con un fuoco violentissimo, riduci il corpo, che avrai lasciato essiccare all'ombra o dinanzi a un fuoco, in ceneri aridissime. Aggiunta acqua bollente, fai bollire tutto insieme per un bel po', e ot­terrai una lisciva asperrima. Da essa, una volta che abbia ripo­sato, inclinandola piuttosto dolcemente, separerai dalle ceneri la parte più chiara, trascurando la parte torbida. Aggiungendo - come in precedenza - altra acqua bollente alle ceneri, pre­para altra lisciva. Una volta aggiuntala alla precedente, e dopo averla filtrata, ripeti l'intero procedimento per tutta la lisciva finché avrai constatato che nelle ceneri non è rimasto più nulla d'aspro. Farai passare la lisciva raccolta attraverso una manica di l ino, il cosiddetto fil tro, e la farai evaporare negli alam­bicchi. Con ciò avrai ottenuto il nostro tartaro, sale della na­tura di tutte le cose56. Questo potrà essere sciolto in acqua tar­tarea, sopra una pietra di marmo, in un luogo umido e freddo. Quindi, dopo aver rettificato nel modo migliore, come hai ap­preso, la quintessenza dal vino filosofico o da un vino volgare di qualsiasi colore, purché sia schietto e assai forte, r iduci questo succo alla massima semplicità attraverso continui e as­sidui moti di rotazione57. Completato il ciclo di rotazione,

56 Pernety (cit., s.v. tartaro) afferma che il sale di tartaro dei savi è il magi­stero pervenuto al bianco. Ruland (cit., s.v. tartarus) lo definisce "calcolo del vino", ossia sedimento, concrezione del vino. Si r icordi la funzione di stabilizzazione e preservazione svolta dal sale. Il sale, in questa fase del processo, ha raggiunto una qualità nobilmente cristallina.

57 Non ci si deve far confondere e fuorviare dalla complessità della descri­zione di queste fasi. L'intero processo, come già si è detto, non è che la ripe­tizione - secondo i diversi gradi di raffinamento della materia su cui si agisce - di un'unica prassi rotatoria. Se si osserva l'uso dell'aggettivazione e la trasformazione qualitativa descritta dal Dorn, si possono isolare alcune costanti: a) l'acqua ardente che a intervalli regolari inumidisce e riscalda il composto; b) il grano, inizialmente "tritato grossolanamente" e via via r i ­dotto in farina e, infine, perfino in cenere; e) gli strumenti, sempre più raf­finati, per sottilizzare (triturazione prima, filtrazione ed evaporazione poi).

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scorgerai di nuovo la parte pura, separata dall'impuro, l i ­brarsi nell'aria, trasparente e di colore molto limpido5 8 . Conservala, dopo averla separata dall'impuro con l'inclina­zione59. A questo punto, vedrai il cielo spagirico, che potrai adornare di stelle inferiori, allo stesso modo in cui il cielo superiore è munito di stelle superiori.

Stupirà gli uomini pr iv i di fede, che emulano i Fisici, il fatto che tocchiamo con le mani il cielo e le stelle, e ne­gheranno, come per ogni altra cosa, tutto ciò che non co­noscono. Poco importa quello che faranno. Nessun livore o inv id i a ostacolerà i l nostro in tento , per cu i c'impe-gnamo a prestare aiuto a tutte le persone rette ed a coloro

58 Analogamente, Johannes De Monte-Snyder, nella Plana Recapitulatio, in Appendice alla Commentano de Pharmaco Catholico: "... finché da un com­patto corpo solare, balzi fuori un certo corpuscolo traslucido e diafano, ciò che i Filosofi denominano vetrificazione. E quanto di più nobile Natura ed Arte possano realizzare e raggiungere". Il trattato segue il Chimica Vannus, Janssonius & Weyerstraet, Amsterdam 1666, pag. 69.

Si confrontino inoltre le parole del Dorn con quelle tratte dall'Euphrates di Thomas Vaughan, che i l luminano alcuni dettagli "tecnici" della mede­sima operazione: "Dunque quel fuoco particolare e specificato, vita del chicco di grano, che è il magnete vegetale, attrae a sé il fuoco universale, o vita nascosta nell'acqua, e unitamente al fuoco esso attrae l'aria, che è il ve­stimento o corpo del fuoco, che i Platonici chiamano 'Veicolo dell'Anima' e talvolta 'nembo di fuoco che discende dall'alto'. Qui risiede il fondamento dell ' intero mistero dell'accrescimento e della molt ipl icazione natural i , poiché il corpo del chicco di grano si accresce grazie all'alimento dell'aria, non semplice ma decomposta, aria che è trasportata dall'acqua è che è una sorta di sale dolce e volatile. Ma il fuoco, o vita del chicco di grano è fort if i­cata dal fuoco universale, e questo fuoco è contenuto nell'aria che penetra nell'acqua. A questo punto potremmo osservare che non è la sola acqua a condurre alla generazione o rigenerazione delle cose, ma l'acqua ed il fuoco, ovverosia acqua e spirito o acqua che ha la vita in sé" (The Works of Thomas Vaughan, edited by Arthur Edward Waite, repr. s. d., pag. 427).

59 Secondo Dorn - Dictionarium Theophrasti Paracelsi, Frankfurt 1584, s.v. inclinatio - l'inclinazione "è una forza della natura che rende manifesto nel­l'uomo ciò verso cui la sua vita è maggiormente incline".

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che si dedicano alla Verità. Ma procediamo oltre, così come abbiamo iniziato. Possediamo dunque le stelle in fe r io r i , e cioè g l i i n d i ­

vidui generati dalla natura nel mondo inferiore per con­giunzione degli stessi ind iv idu i col cielo, così come av­viene per le stelle superiori e gli elementi.

Già sento la voce di mol t i che gridano sdegnati contro di noi: "Ah! Via di qui!", dicono. "Si tolgano di mezzo s imil i u o m i n i , che affermano che il cielo possa congiungersi alla terra". Ma gridino quanto p iù forte vogliano gridare. Saranno cost re t t i ad ascoltare cose ancora p i ù alte e straordinarie.

Il cielo non è altro che materia celeste, forma universale che contiene in sé tutte le forme universali, distinte, e che tuttavia procedono da un'unica forma universale. Per cui, chiunque sappia che gli individui , mediante l'arte spagi-rica, possono essere ricondotti al genere p iù ampio (uni­versale), e che quindi possono anche assimilare speciali vir tù, singole o molteplici, costui potrà facilmente indivi­duare la medicina universale, in grado di guarire tutte le degenerazioni e le malattie, tanto nello specifico quanto in generale e complessivamente60. Ed essendo unica l'origine principale di tutte le degene­

razioni e unica universalmente anche la fonte di tutte le cose che rigenerano, restaurano e animano, chi , se non qualcuno privo di discernimento61, dubiterebbe di una si­mile medicina?

60 La realizzazione del l ' in tero magistero matura con sé sia l'esperienza del­l ' u n i t à cosmica (fase ascendente) sia la conoscenza d i s c r i m i n a t i v a deg l i astra o v i r t ù seminal i di t u t t i g l i ent i specifici (fase discendente).

61 Mente privus, l ' uomo p r ivo di discernimento, di in te l le t to . Si intende q u i n o n una pr ivazione bio-f is iologica, ma un ' inab i l i t à , una mancanza d i qua l i ­ficazione per Yintellezione spir i tuale .

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E inoltre, una volta estratte, con un certo metodo, le qua­l i tà degli elementi dalle cose che vivificano - preferibil­mente da quelle che saranno dette in seguito - si rettifichi assai la loro sostanza di qualità ignea, alla stessa maniera del vino filosofico. In questo modo, i l nostro mercurio sarà preparato per somma esaltazione. Così si potrà pre­parare la mistura di cielo nuovo, miele, celidonia, f ior i di rosmarino, mercuriale, giglio rosso, sangue umano ecc. col cielo di vino rosso o bianco, oppure di tartaro.

Si può anche fare una mistura delle cose sopraelencate, ricondotte al loro cielo, e parimenti delle cose mescolate in misura proporzionata alle forme, secondo l'ordine del­l'opera maggiore e secondo la pratica, per aggiungerle in seguito a perfezionamento dell'opera minore, di cui d i ­remo.

Quindi, si può ottenere anche un'altra miscela, sempre di cielo, con la chiave filosofica, per art if icio di genera­zione. In seguito, qualora si aggiunga la perfezione m i ­nore, secondo la proporzione dell'opera maggiore, si per­verrà in tal modo alla perfezione maggiore, che accresce la propr ia specie, nelle sostanze esteriori, di due volte cinquemila62.

Siccome queste cose sono comprensibili a stento per chi non possieda una piena conoscenza dei termini dell'arte, perverremo in seconda istanza63 alla definizione di queste

62 Si riferisce al raddoppio della moltiplicazione della vir tù quintessenziale grazie al compimento, in successione, dell'opus minor e dell'opus maior.

63 Dorn rinvia alla Philosophia Chemica (ad Meditativam comparata), che segue la Philosophia Meditativa. Se nella Philosophia Meditativa sono esposti i p r imi due gradi dell'opus, ossia Studium Philosophichum (putre-factio) e Cognitio (solutio), la Philosophia Chemica espone i restanti cinque gradi: Amor Philosophichus (congelatio), Frequentia (abtutio), Virtus (com-positio), Potentia (fixatio) e Miraculum (proiectio).

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cose, quando avremo concluso la trattazione della cono­scenza meditativa. La conoscenza meditativa è la risoluzione64 incontrover­

tibile di qualsiasi opinione concepita intorno alla verità, attraverso la certezza dell'esperienza. L'opinione è il pre­sent imento incer to della veri tà , e concerne l ' an imo. L'esperienza è realmente la dimostrazione manifesta della verità, la soluzione e l'abbandono del dubbio. E non possiamo, muovendo da un dubbio qualsiasi, conseguire maggiore certezza se non facendone esperienza, né in modo migliore che facendola in noi stessi65. Per cui verifi­cheremo le cose dette in precedenza intorno alla verità compiendo da noi stessi la prova. Dicemmo prima che la Pietà consiste nella conoscenza

di sé66: da essa cominciamo anche a rivelare la cono­scenza meditativa. Nessuno può davvero conoscere se stesso se prima non veda e sappia, con l'assidua medita­zione e con lo studio delle Sacre Scritture, che cosa egli stesso sia, e ancor più da chi dipenda o a chi appartenga, per quale fine sia stato creato e ugualmente da chi sia stato creato e come. Una volta apprese queste cose, co­mincia a sorgere la stessa Pietà che si riversa in due dire­zioni: verso il Creatore e verso la creatura. Infat t i è i m ­possibile che la creatura conosca perfettamente se stessa se non mediante il Creatore. Nulla infatti proviene da sé soltanto. Chi dunque potrebbe comprendere l'effetto

64 La cognitio philosophica corrisponde alla solutio alchemica. "... così come con la soluzione si dissolvono i corpi, attraverso la conoscenza si r i ­solvono i dubbi dei filosofi" (Philosophia Speculativa, cit., pag. 270).

65 Sul rapporto fra scientia ed experientia ved. saggio introduttivo. 66 L'esposizione del Dorn sembrerebbe qui seguire l'acquisizione progres­

siva dei sette doni dello Spirito Santo. Primo dono è il Timore di Dio, su cui poggia la Pietà (in senso latino, Pietas, rispetto). La Pietà è a sua volta fon­damento della Conoscenza.

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prima di conoscere con certezza la causa? Forse che cia­scun pr incipio non precede il medio e la fine, oppure a part ire dalla fine ci si può avvicinare a qualcosa? Dio, quindi è senza principio o fine67, esiste per sé dall'eterno, colmo d'ogni gloria che pur non volle possedere da solo. E stabilì , per semplice bontà, di farci compartecipi di essa, dinnanzi al suo cospetto, e di crearci a sua imma­gine: p r imo esempio della sua bontà, mistero che non dobbiamo ignorare o trascurare superficialmente. Ma tuttavia, a stento un uomo solo conosce veramente tale arcano, e per parte nostra non permetteremo che addirit­tura gli ingrati, gl i stolti e gli ignavi possano scrutare gli arcani d iv in i attraverso i testi scri t t i . Ascoltate fratelli . Così come tu t t i siamo stati creati da un vilissimo fango, da t u t t i disprezzato e sdegnato, non diversamente, a causa della materia pr ima di cui siamo fatt i , siamo p iù i n c l i n i verso una cosa vile che non verso Colui che ci creò, traendoci da cosa vile, esseri preziosissimi, ornati d'ogni onore e gloria, di poco inferiori agli angeli. Vi stu­pite, tu t t i quanti voi che siete miseri mortali come me, di coloro che addir i t tura non credono sia accaduto che il Sommo Creatore di tutte le cose abbia scelto la p iù vile materia fra tutte, da cui ha voluto trarre l 'u l t ima e p iù perfetta creatura, trascurando tutte le cose p iù preziose, come l'oro, le gemme e le altre cose di tal fatta, che co­munque furono fatte a vantaggio di quella sola creatura, e per sua u t i l i t à . E infa t t i , riconoscendo donde prove­niamo, ci asterremo dall'arroganza dell'orgoglio. E così facendo, nessuno di no i od i i l povero, scelto da Dio , giacché anch'egli fa parte di quella stessa massa donde

67 Secondo la settima massima dell'anonimo medievale Liber viginti quat-tuor philosophorum "Dio è principio senza principio, processo senza muta­mento, fine senza fine".

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provenimmo t u t t i . Pertanto accade che fra le persone nessuna sia p iù gradita a Dio di colui che ama la povertà e l 'umil tà , nemico della rozza superbia. Del resto, nes­suno può conoscere meglio il Creatore di quanto si possa conoscerlo attraverso le sue creature, così come si co­nosce un artista osservando il suo lavoro. Vediamo dunque chi sia Colui che da cosa vile ha saputo

trarre quanto vi sia di più prezioso. Non può essere altri che Colui che creò entrambe. E nessun altro potè e potrà mai conver t i re l 'acqua in v ino se non Colui che creò l'acqua e il vino. Ancor p iù splendida cosa fece col tra­smutare la terra in anima vivente, e addir i t tura , a su­premo dono di beatitudine, creandoci a sua immagine e somiglianza, ci fece quel dono che procura salvezza a t u t t i coloro che riconoscono il dono stesso per azione della Grazia, e che lo sanno accettare. Ma cosa sarà dato a coloro che non lo accolgono? Certamente nulla? Co­storo avranno sicuramente ciò che gli spetta, perché sia rispettata la giustizia. E spetta loro ciò che scelsero f in dal principio, la dannazione. Il dono della salvezza eterna è gratui to per coloro che l'accolgono per azione della Grazia. Poiché il nostro valore è insieme vile e pregiato, qualcuno di noi s'interrogherà per quale di queste cose debba optare: la cosa è evidente di per sé e non richiede spiegazione. Basta riflettere per quale fine siamo stati creati. Dio Onnipotente creò il primo uomo a sua imma­gine e somiglianza, perché sussistesse a gloria di Dio e fosse immortale, senza affanni, di nulla indegno, sempre gioioso in Dio, non soggetto alle passioni terrene. E co­munque non rendendosi conto di un dono tanto grande, (l'uomo) si abbrutì: sapeva di essere stato creato da Dio, saggio e perfetto, ma tuttavia non seppe permanere in quello stato di consapevolezza. Ponderiamo bene, dun­que, quanto offra, in semplicità, la conoscenza del bene, e

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quanto male determini lo spregio di un dono tanto grande e della parola di Dio, dal momento che da un immortale eterno è stato generato un moribondo. In fa t t i chi muore della seconda morte68 sempre versa

nella lotta della morte, e mai riesce a morire69. Donde la morte è detta perpetua, così come è detta eterna la vita che viviamo eternamente in Dio, giacché mai cessiamo di vivere. Dal momento che il nostro progenitore ci ha resi, insieme a sé, a un tempo ribelli a Dio e ai suoi avversari, Dio Onnipotente, mosso a misericordia, decise di infon­dere in noi, che ci eravamo induri t i , la pace di cui Egli è artefice. Chi dunque saprà restare egualmente impietrito, qualora abbia rivolto l 'animo al mistero della bontà d i ­vina, al punto da non sapersi riconciliare col proprio ne­mico, anche se gli avesse inflit to la peggiore delle offese? Chi fra i mortal i non cercherebbe la riconciliazione con un nemico, sia che egli abbia arrecato offesa, sia che l'abbia subita? Allontanatosi per la sola ignoranza di se stesso, di Dio, e persino di una creatura affine e vicina, per questa stessa ragione colui che non conosce la Pace non può nemmeno abbracciarla. Infatt i la Pace è radice di Miser icordia . Pertanto, colui che non ha Pace, non praticherà la Misericordia e nemmeno saprà come conse­guirla. Non bisogna nemmeno confondere Pace e Miseri-

68 È la morte dell'anima di cui parla San Giovanni (Apocalisse, 2,11; 20,6; 20, 14) identif icando in essa la dannazione eterna. San Francesco r i ­echeggia l'Apocalisse nella sua Cantica: "Laudato si tu mi Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente pò skappare. Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali, beati quelli ke se trovarano le tue santissime voluntati, ka la morte secunda noi farrà male".

69 II vampiro è simbolo perfetto di questa condizione terrena di morto v i ­vente. Morto alla vera Vita, ma incapace dell'esperienza palingenetica della vera Morte, è condannato a suggere perpetuamente il succo della vita ter­rena. Il sangue, in questo caso, rappresenta l'atavismo della sete psichica che alimenta se stessa.

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cordia, perché la Pace è causa della Misericordia come la Pietà è causa della Pace. Quindi, qualora desideriamo co­noscere se siamo o meno in pace con Dio, esaminiamo prima di tutto la coscienza per poi giudicare dal risultato se essa, nei r iguardi del prossimo - fosse anche un ne­mico, o chiunque altro -, sia priva di sentimenti d'odio o d'invidia. Non dobbiamo forse tenere presente che il Su­premo Creatore di tutte le cose concederà misericordia all'uomo - vermiciattolo schiavo del diavolo - in vi r tù del patto della Sua alleanza? Egli non attese che colui che aveva peccato contro di lu i si avvicinasse implorando mi ­sericordia, come sarebbe stato giusto, e al contrario Egli stesso - contro cui pure era stato recato tutto l'oltraggio di ingratitudine70 - chiamò dolcemente l'autore del c r i ­mine, che si nascondeva e rifuggiva il suo volto. Non lo trattò con asprezza e persino gli promise Misericordia e Pace, per curare la malattia della sua empietà. Oh! miseri mortali , quale Misericordia possiamo aspettarci di rice­vere da Dio di fronte al quale non riconosciamo la nostra miseria, nei fatti come nelle parole? Donde, di grazia, la Misericordia può essere mossa a compassione, se non per l'autentica confessione del misfatto e mediante la contri­zione del cuore? Tuttavia, ogni volta che non ignoreremo la miseria nostra e dei nostri fratelli, e la sapremo com­pensare con equità, resi più ricchi rispetto a tut t i i beni di questo secolo, non ci reputeremo comunque più ricchi di ricchezze divine in confronto a coloro che hanno comple­tamente abbandonato i beni di questo mondo. Chi consi­dera questi davvero caduchi non soccorrerà - da fratello -il povero, mettendo in comune i beni o le risorse concesse a lu i soltanto in questo mondo? Mostrami una persona in

70 Riferimento al terzo capitolo della Genesi.

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grado di assimilare le cose dette e io ne farò un conosci­tore degli arcani divini.

Dio non volle ancora, nonostante tutto, che il suo amore verso di noi si fosse palesato abbastanza. E quantunque la sua Giustizia ci incolpasse - e a essa certamente nulla mai può essere tolto, così come alla sua Misericordia -ebbe maggior r iguardo di noi che di suo Figl io , in cui Pace e Giustizia s'amano l'una con l'altra. Perché allora non ci amiamo noi , resi uguali71 e fratelli in Cristo, dal momento che il Sommo Creatore di tutte le cose si degnò di amare noi, miseri vermiciattoli, in suo Figlio, e di ren­dere le creature ancor più magnifiche di prima, da miser­rime che erano divenute un tempo, per la loro malvagità? Tutti coloro, e quelli soltanto, che riconoscono Dio nel Fi­glio, e ugualmente il Figlio nel Padre attraverso lo Spirito Santo, e non oppongono resistenza, riconoscono anche il fratello. Questi sono i veri e indubitabili fondamenti del­l'autentica filosofia: ma poiché non sono ancora not i a tut t i , è bene che molt i li possano ascoltare, fino a quando negli animi di alcuni, ancora confusi, dimorerà il dubbio, e perché l'immaginare72 le cose dette in precedenza possa accendere in no i l 'amore della Veri tà . Per costoro, i l premio di quest'opera consisterà, una volta compiuta l 'esperienza in sé e da sé soltanto, nel venir meno di questa oscurità, in tale modo: ciascuno, una volta allonta­nate dall'animo le cose mondane, tutte le preoccupazioni e tu t t i gl i a l t r i pensieri che lo possano distrarre, ponderi bene in se stesso le cose che sono state dette, e una volta assaporatele, le mediti73 sempre p iù assiduamente, con

71 Emendo patres, del testo, con pares, dal medesimo passo proposto anche nella Philosophia Speculativa.

72 Sull'importanza della vis imaginativa, ved. saggio introduttivo. 73 Letteralmente, le "rumini", ruminet. Secondo una significativa defini-

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animo puro. Così, poco a poco, attraverso i suoi occhi in­tellettuali, percepirà, con grande gioia e in misura sempre maggiore, il luccichio di alcune scintille di divino splen­dore. E in seguito alla perseveranza nella meditazione os­serverà l'accrescersi della luce, tanto che, successiva­mente, si paleseranno tutte le cose che gl i siano neces­sarie, né, nella Verità, potrà ancora sussistere dubbio al­cuno74. Ma coltivando la Pietà e adeguandosi poco a poco alla Giustizia, mediante il r i to e il percorso esposti prima, conoscerà la t ranqui l l i t à dell 'animo, e dilettandosene comprenderà che in ciò risiede un godimento mille volte maggiore rispetto a quello corporeo. E tuttavia l'auten-

zione d i Sant 'Agost ino, non p r iva d i p regnant i r isonanze a l l ' i n te rno del la l e t t e r a tu ra a l chemica , la m e m o r i a "è come i l ventre de l l ' an ima" . "Forse come da l lo s tomaco s i fa r i sa l i re i l c ibo r u m i n a n d o l o , così queste cose s i prendono dal la memor ia r icordandole" (Confessioni, X, 14).

74 È la "luce della Natura" . L'espressione di D o r n non è metaforica, ma si riferisce a una precisa fenomenologia luminosa che sporadicamente si ma­nifesta g ià ne i p r i m i g rad i dell'ascesi a lchemico-spi r i tua le . N e l suo Com­mento sulla Repubblica ( I I , 193, 22 e sgg.) Proclo accenna a un passo del m i t o d i Er in c u i s i menziona la colonna di luce - dalla natura intermedia , fra il corporeo e l ' incorporeo - che congiunge cielo e terra (616 B) . Sebbene non si t r a t t i esattamente del medesimo soggetto cu i accenna in questo caso i l D o r n , è n o n d i m e n o interessante r i p o r t a r e alcune delle osservazioni d i Proclo. E g l i afferma che tale luce non può essere osservata da ch i d i m o r a in ques to m o n d o , "ma che è i n c o r p o r e a e s i lasc ia pe rcep i r e da l l e a n i m e - nella misu ra in cu i si levano in al to - come vi ta dell 'Universo, o qualcosa di affine. [ . . .] Se ne conclude dunque che la sostanza di questa luce sia cor­porea, ma che n o n possa essere vis ta dagl i occhi m o r t a l i e che n o n abbia p u n t i di co r r i spondenza con essi, che essa n o n può che essere v is ta me­diante g l i occh i dei c o r p i p n e u m a t i c i l u m i n o s i , e sol tanto quando quest i occhi siano s tat i pu r i f i ca t i , giacché, quando essi portano con sé qualche r i ­ves t imen to mate r ia le , la luce n o n è p i ù v i s ib i l e in t u t t a la sua purezza". Proclo conclude accentuando i l carattere at t ivo, n o n passivo di questa espe­rienza visiva: " G l i occhi dei veicol i ps ichici vedono senza patire, ed è per un atto, non una passione, che essi vedono delle l u c i che g l i sono congeneri". Ved . anche i r i f e r i m e n t i a G i a m b l i c o ed a l la fotagogia ne l saggio i n t r o ­du t t ivo .

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tica conoscenza non comincia prima che, una volta com­piuto il confronto delle cose perenni e di quelle caduche, della vita e della rovina, l'anima scelga di congiungersi al­l 'animo, poiché ha trat to maggiore godimento da esso che dal corpo. Da questa consapevolezza sorge l'intelle­zione, e la completa separazione volontaria dal corpo si compie nel momento in cui per un verso l'anima respinge la turpi tudine del corpo, e per l 'altro, contemporanea­mente, desidera congiungersi alla magnificenza ed alla perpetua felicità dell'animo grazie a questo divino afflato. E trascura completamente ogni altra cosa per desiderare soltanto ciò che sembra essere stabilito da Dio, per sua gloria e salvezza: che il corpo sia costretto ad obbedire e accondiscendere all'unione delle due parti già congiunte. Questa è quella mirabi le trasmutazione filosofica del corpo in spirito e dello spirito in corpo, per cui il detto trasmessoci dai saggi "rendi volatile il fìsso, fìsso il vola­tile, e otterrai il nostro magistero" deve essere intesa nel modo seguente: "rendi trattabile il corpo refrattario, così che esso, mediante la forza dell'animo congiunta a quella dell'anima, sia reso tenace nel sostenere tutte le prove". E infatti l'oro è messo alla prova col fuoco, grazie al quale si respinge tutto ciò che non è oro. Oh! splendido oro dei f i ­losofi, con cui si arricchiscono i figli della filosofìa, e non già con quello coniato in moneta! Avvicinatevi, voi che andate in cerca di tali tesori con sforzo tanto incostante, e pr ima di cercare, fate conoscenza della pietra scartata che è divenuta pie t ra angolare75. È incredib i le che si

75 Nel Vangelo di Matteo (21, 42), Cristo è la pietra angolare che i costrut­to r i hanno scartato. L'immagine è desunta dal Salmo 118, 22, "La pietra scartata dai costruttori è fatta testata d'angolo". Il tema è riproposto da Luca (20, 17), da Marco (12, 10), Paolo (Efesini, 2, 20), negli Atti (4, 11) e nella Prima lettera di Pietro (2, 7). Ved. anche nota 36.

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possa desiderare qualcosa di sconosciuto e cercare ciò di cui si ignora la verità, poiché ciò non può offrire alcuna speranza di raggiungere quel che si cerca. Il saggio cerca solo ciò che ama, ma non potrebbe amare ciò che non co­nosce senza essere considerato folle, poiché la verità e l'amore per essa scaturiscono dalla conoscenza. Invano si danno da fare coloro che cercano i tesori nascosti della natura, nel momento in cui , percorrendo un'altra via, tentano di svelare le v i r tù terrene mediante le cose ter­rene. Imparate dunque a conoscere il cielo non attraverso la terra, ma le vi r tù di questa mediante le vi r tù di quello. Nessuno infatt i può ascendere al cielo che cercate senza che qualcuno possa discendere dal cielo che non cercate e lo i l l u m i n i . Cercate la medicina incorruttibile che tra­sformi i corpi da una condizione degenerativa fino all'au­tentico equilibrio, e che li conservi bene a lungo. Non po­trete mai reperire tale medicina se non in cielo76. Il cielo infatti, grazie alla sua vir tù, mediante raggi invisibili , pe­netra tu t t i gli elementi e le cose dementate, li genera e li nutre. Questo feto, figlio di due genitori, ossia degli ele­menti e del cielo, ha in sé una natura tale da conservare, in potenza e in atto, la forza genitrice di entrambi. Che cosa resterà se non la pietra nella generazione spagirica? Impara inol t re a conoscere da te stesso ciò che vi è in cielo e in terra, specialmente tutto ciò che è stato creato per te. O ignori forse che il cielo e gli elementi, un tempo, fossero una cosa sola77, e che invece furono divisi per di­vino artificio, affinché tu, e tut t i gli altri enti naturali po­teste generare naturalmente? Se hai appreso ciò, il resto

76 Per cielo si intende il luogo di tutti i principi seminali, gli astra. 77 Questa precisazione smentisce qualsiasi lettura dualistica dello scritto

di Dorn. La coscienza materiale è negativa solo se unilateralmente e sepa­rativamente intesa.

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non può sfuggirti. In ciascuna generazione, dunque, è ne-4!v cessaria una separazione siffatta, la quale, come dissi in

precedenza, deve avvenire a partire da te, prima di spie­gare la vela verso l'approfondimento dell'autentica fi lo­sofia. Riguardo alle cose rimanenti, non potrai realizzare quell'Uno che cerchi, traendolo dalle altre cose, se prima non sarai riuscito a fare di te stesso una cosa sola, il che già ti è stato detto e ti sarà spiegato ancora p iù ampia­mente nei discorsi che seguono. Infatti la volontà di Dio è tale per cui gli uomini devoti riusciranno a compiere l'o­pera di devozione che cercano di realizzare, e resi perfetti loro stessi, condurranno alla perfezione ciò che avranno intrapreso. Alla cattiva volontà degli uomini non è con­cesso mietere niente oltre a ciò che seminarono: e perfino il loro buon seme è spessissimo convertito in loglio per colpa della mal iz ia . Fai sì di r iuscire a diventare tale quale vuoi che sia l'opera nella quale ti sei impegnato. E comunque dedica te stesso alla conoscenza spagirica pro­pr io in questi te rmini . In pr imo luogo, l'opera consiste nel conoscere i singoli te rmini di quest'arte, pr ima che l'autentica conoscenza di essa consenta di essere attinta78.

Gerhard Dorn

78 La conclusione "aperta" r invia al De Philosophia Chemica ad Medita-tivam comparata, che segue immediatamente il presente trattato.