Indiana Line Diva 655

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Indiana Line D Di Bruno Oliva Pubblicato su VideoH N.° 40 – Marzo 2014 Appunti su una piace Recensione long-term dif pavimento di Bruno Oliva intervento di Paolo Cajati Introduzione Recensire un prodotto c mercato da più di un anno e appassionati hanno già as acquistato non è una cosa f potrebbe anche essere u ingrato, così quando Mor proposto una prova “long-t Indiana Line Diva 655, da cioè durante un arco di te ampio, da un lato mi so onorato ma dall’altro ho sospetto di essere in p prendere una rogna non in Invece non è stato così, la è stata lunga e trasformandosi in una ra abitudine, ma andiamo con Diva 655 Hifi 4 evole convivenza! ffusori da a con un che è sul e che molti scoltato ed facile. Anzi, un compito roni mi ha term” delle a svolgersi empo molto ono sentito o avuto il procinto di ndifferente. convivenza piacevole assicurante ordine.

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Indiana Line Diva 655

Di Bruno Oliva Pubblicato su VideoHifiN.° 40 – Marzo 2014

Appunti su una piacevole convivenza!

Recensione long-term diffusori da

pavimento di Bruno Oliva con un

intervento di Paolo Cajati

Introduzione Recensire un prodotto che è sul mercato da più di un anno e che molti appassionati hanno già ascoltato ed acquistato non è una cosa facile. Anzi, potrebbe anche essere un compito ingrato, così quando Moroni mi ha proposto una prova “long-term”Indiana Line Diva 655, da svolgersi cioè durante un arco di tempo molto ampio, da un lato mi sono sentito onorato ma dall’altro ho avuto il sospetto di essere in procinto di prendere una rogna non indifferente. Invece non è stato così, la convivenza è stata lunga e piacevole trasformandosi in una rassicurante abitudine, ma andiamo con ordine.

Indiana Line Diva 655

Pubblicato su VideoHifi Marzo 2014

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pavimento di Bruno Oliva con un

ecensire un prodotto che è sul mercato da più di un anno e che molti appassionati hanno già ascoltato ed acquistato non è una cosa facile. Anzi, potrebbe anche essere un compito ingrato, così quando Moroni mi ha

term” delle a Line Diva 655, da svolgersi

cioè durante un arco di tempo molto ampio, da un lato mi sono sentito onorato ma dall’altro ho avuto il sospetto di essere in procinto di prendere una rogna non indifferente. Invece non è stato così, la convivenza

a e piacevole rasformandosi in una rassicurante abitudine, ma andiamo con ordine.

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1. Design e Costruzione

Costruttore e distributore per l’Italia è la ben nota Coral Electronic di Rivoli,

Torino. Queste le principali specifiche

dichiarate: tre vie quattro altoparlanti,

da pavimento, carico bass reflex,

sensibilità: 91 dB con 2,83 V ad 1

metro, potenza consigliata 30-150

watt, risposta in frequenza: 38-22.000

Hz ±3 dB, dimensioni (LxAxP)

162x900x270 mm, peso 14,8 kg,

connettori bi-amping e bi-wiring. Il

prezzo di listino è di 920,00 Euro per

la coppia. Vi ricordo che ho già

provato le sorelline Diva 255.

Queste Diva sono ben proporzionate,

snelle e slanciate, rifinite con una laccatura nera high-gloss e fianchi in vero palissandro, sono ben inseribili in ambiente e piaceranno alle padrone di casa. Il mobile si presenta robusto, massiccio e sordo, le tavole sono accuratamente giuntate, il telaietto porta tela è robusto ed i perni di fissaggio sono in metallo. I connettori sono molto pratici e robusti. Nel complesso, l'aspetto della realizzazione è davvero soddisfacente, potremmo definirlo di alta falegnameria industriale: questa è una tradizione di Indiana Line ma non smette mai di stupirmi. Le Diva viaggiano in un imballo adeguato, completo di manuale cartaceo e di guanti per maneggiarle. Il cabinet poggia su quattro microscopici piedini rigidi che forniscono un buon accoppiamento

con pavimenti lisci e regolari ma che soffrono di un appoggio incerto su superfici a struttura irregolare. La ridotta base di appoggio rende le Diva molto sensibili agli urti laterali, tanto da far temere il ribaltamento, tenetene conto se siete soliti organizzare feste danzanti o se avete futuri campioni di calcio tra la prole.

Tanta parte del budget è stata

investita nel box che, ad onta delle teorie che lo assimilano alla cassa armonica di uno strumento musicale, deve essere rigido in primis e smorzato in secundis. Il cabinet delle Diva è costruito con doppi pannelli laterali mentre cinque pannelli sagomati di rinforzo sono adeguatamente posizionati all’interno. Il volume è diviso in due sezioni: la parte alta è chiusa, per caricare il

Il Diva esploso

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midrange, mentre il volume inferiore è caricato con un condotto reflex a doppia svasatura.

Per la serie Diva, la Casa presenta una batteria di altoparlanti completamente nuovi e non rintracciabili nella produzione OEM (potrei sbagliarmi, diciamo che io non ne ho trovato traccia), ovviamente si vede bene la ponderazione nell'impiego del budget ma è anche

chiara l'attenzione verso quei particolari che principalmente incidono sul suono a prescindere dalle caratteristiche generali di progetto: smorzamento/rigidità delle membrane,

risonanze delle cavità, non linearità magnetiche, compressione termica.

Il driver per le note acute si presenta montato a filo sul pannello frontale, la flangia quadra incorpora una brevissima guida d'onda che carica una cupola morbida da 26 millimetri controllata da una camera di risonanza radiale seguita da un anello di ventilazione marcato "Radial Venting Technology", particolare quest'ultimo

che potrebbe tradire la parentela con un driver della Audison. Il volume compreso tra cupola e magnete crea una cavità che risuona in uno stretto intervallo di frequenze, nel driver delle

Tweeter

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Diva troviamo questo volume riempito da una semisfera composta da due diversi tipi di assorbente, un accorgimento che migliora la risposta all'impulso e la potenza gestibile dall'altoparlante. Il magnete è composto da due anelli di ferrite ed il tutto è racchiuso in un involucro di gomma morbida. A vederlo, il driver sembra molto ben fatto con la giusta attenzione verso i particolari che suonano ma senza eccedere nel maniacale, in più è montato disaccoppiato dal mobile. Il risultato atteso è evidente: avere un filtro meccanico tra le vibrazioni impresse

dai coni al mobile ed il corpo del driver per le alte, se consideriamo qual è l’escursione di una cupola la cosa ha molto senso, una scelta coerente anche con gli sforzi profusi per il box.

La gamma bassa è affidata ad una

coppia di woofer da 14 centimetri ciascuno, la superficie totale di emissione del duo equivale a quella di un 18 centimetri. Non sono la persona più adatta ad intervenire sull'annosa disputa che divide la tribù del woofer singolo più grande da quella dei multipli woofer più piccoli, riferisco che i sostenitori dei multipli woofer

Woofer

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segnalano come vantaggi la maggiore superficie di applicazione della forza che pilota la superficie di radiazione

complessiva nonché la minore compressione termica derivata dalla dissipazione di potenza su più altoparlanti. Il cestello in pressofusione è disegnato badando alla massima circolazione dell'aria questo sia per non creare cavità risonanti sia per non disturbare il moto del centratore che trova in questo modo uguale freno nei due versi di movimento. Il complesso magnetico è dotato di “Aluring”: un anello di corto circuito magnetico in alluminio, che riduce e controlla l'induttanza della

bobina mobile aumentandone l’escursione controllata: si abbatte così la distorsione di seconda armonica

specialmente alle medio-basse, si estende la risposta in frequenza e si incrementa la capacità dinamica. La membrana è in cellulosa dalla superficie molto grezza e impastata con leggero dopante (ogni costruttore che si rispetti ha la sua ricetta segreta per dopare la cellulosa), la cupoletta parapolvere concava sembra costruita con lo stesso materiale della membrana, l'aria compressa dal parapolvere viene espulsa da un foro praticato sul fondo del magnete. Ottimo materiale per i woofer la

Midrange

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cellulosa dopata, è sufficientemente rigida, abbastanza smorzata e va gradualmente in breakup cosa che aiuta la migliore transizione con il midrange che è il vero pezzo forte di queste Diva.

Come nel calcio, anche nella

riproduzione audio la partita si vince a centrocampo! L'orecchio umano è maggiormente sensibile alle medie frequenze, si sa, le medie sono quelle dove si estendono i suoni più importanti per il nostro cervello: le voci dei nostri simili. E' dunque saggia la scelta di Indiana Line di concentrare una parte rilevante del budget sul driver mediano, un cono di 14 centimetri con membrana in CURV. Forse non tutti gli appassionati dedicano la giusta attenzione al materiale della membrana (oppure io ne dedico troppa, fate voi) mentre questo è direttamente correlato al problema numero uno di tutti i driver e in special modo dei midrange: trasformare le accelerazioni della bobina in onde sonore coniugando l'uniformità di movimento (rigidità) con la assenza di risonanza (auto-smorzamento). L'impiego di materiali plastici non è certo una

novità, non appena il supporto discografico raggiunse uno standard decente, i materiali delle membrane finirono al centro dell'attenzione dei costruttori più avanzati e la ricerca portò i primi coni in plastica termoformata lanciati dai costruttori inglesi. Il primo in assoluto a presentare membrane sintetiche fu forse Spendor con la BC1 e poi a ruota Rogers LS3a/5, B&W DM2, KEF con il woofer B1814 con cono in polistirene rivestito fronte/retro in alluminio che fu il genitore del famosissimo B139 il mitico "woofer ovale". Rispetto alla carta dell'epoca, il Bextrene era più stabile nel tempo e la sua uniformità in produzione garantiva un migliore pair-matching cosa che, specialmente nei midrange, impatta direttamente sull'effetto stereo. Il Bextrene fu superato quando nel 1978 la BBC brevettò il polipropilene come materiale per la costruzione di coni stabili, resistenti, ben smorzati e non igroscopici. Il nuovo materiale offriva bassa colorazione e buona risposta all'impulso ma forse non raggiungeva i livelli di trasparenza dei coni rigidi, si cominciò per questo ad addizionare al polipropilene materiali irrigidenti quali mica, talco, vetro, perdendo però in leggerezza. Il recentissimo CURV, sviluppato dall'Università di Leeds, è un polipropilene termoformabile inerte che resiste ai fluidi, non contiene vetro, è resistente all'abrasione e non richiede finitura protettiva della superficie. La particolare struttura interna del CURV dà vita a un materiale con una resistenza all'urto eccezionalmente elevata mentre la sua

Aluring

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bassa densità, associata alle sue proprietà meccaniche, consente risparmi di peso del 50% rispetto a un materiale equivalente rinforzato con vetro, mantenendo la stessa rigidità meccanica. Fino a questo momento si era visto questo materiale usato solo da Wilson Benesch.

Al centro del cono del midrange di

queste Diva è piazzato un parapolvere a forma di ogiva che può essere solidale con la membrana perché, come i woofer, anche il midrange ha la piastra polare ventilata. Anche il cestello, uguale a quello del woofer, offre la minima resistenza al flusso dell'aria. Si è prestata attenzione anche al problema della non linearità magnetica, il fenomeno dell'induttanza che varia con la posizione della bobina nel traferro. Il complesso magnetico del midrange è infatti anche esso dotato di anello di corto circuito magnetico “Aluring”.

Nel volume chiuso del mobile

riservato al midrange è sistemato il filtro crossover a dodici componenti che divide, quasi telefonicamente, a 300 ed a 2.800 hertz e che si fa notare per l'uso di semplici condensatori elettrolitici non polarizzati. Considerando la maniacale cura posta dal costruttore in tanti altri particolari, si può pensare ragionevolmente che questa sia una scelta precisa, per quanto non condivisibile da molti.

2. Ascolto

Le Diva 655 non rappresentano un carico difficile per un normale amplificatore ma nemmeno sono di tutto riposo, aggiungiamo il fatto che l'efficienza è media, come è ovvio visto il progetto ed i drivers impiegati. Ne consegue che per spremere dalle torinesi le prestazioni delle quali sono capaci è suggerito l'accoppiamento con un buon amplificatore tra i 50 ed i 100 watt (meglio 100) attrezzato con una robusta sezione di alimentazione, preferibilmente a transistor perché anche se le valvole hanno dato ottima prova con le Diva, si trattava di valvole piuttosto fuori budget.

Per questa prova ho impiegato un amplificatore integrato Monrio Asty Digital, un robusto 70 Watt con incorporato un DAC basato su convertitore Crystal da 24bit/192kHz, provato da Fabio Cottatellucci sul numero 34 di Videohifi. Come sorgente ho utilizzato una macchina Windows XP adeguatamente preparata allo scopo e collegata via USB direttamente al DAC interno del Monrio. Ho pensato che in questo modo le condizioni di test potessero essere vicine a quelle reali di utilizzo del potenziale acquirente, anche se poi una bischerata è stata fatta, ma per sapere qual è stata vi tocca leggere tutto!

Come al solito ho basato gli ascolti

principalmente su una mia personale playlist composta da una cinquantina di tracce ben assortite per genere

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musicale, tecnica di registrazione, epoca ed etichetta. In questo caso la prova è stata piuttosto inusuale nella durata, protrattasi per ben sei mesi, durante i quali le Indiana Line Diva 655 hanno stabilmente fatto parte del mio impianto. Il Direttore aveva chiesto una prova long-term e tale è stata! Passiamo dunque agli appunti di ascolto.

Tra le più grandi colonne sonore mai

composte, autore Sergej Prokof'ev, in una splendida registrazione del '93, ecco l'Alexander Nevsky con Jurij Temirkanov direttore, Evgenia Gorokhovskaya mezzo-soprano, l'orchestra Filarmonica di San Pietroburgo ed il coro St. Petersburg Teleradio Company. Il degno allievo del grande Ilya Musin è l'interprete eccellente di Prokof'ev e questa è la più celebre registrazione della partitura completa della colonna sonora del film. Come in tutte le colonne sonore, l'esecuzione è forse un po'appesantita dal dover accompagnare l'azione sullo schermo anziché seguire la naturale tempistica drammatico-musicale, ma in compenso in questo disco la resa dell'orchestra è chiarissima, il coro è maestoso, i timpani sono impressionanti, la direzione di Temirkanov espressiva e coinvolgente. Le Indiana Line Diva 655 si difendono molto, molto bene, il pathos voluto da Temirkanov arriva intatto, è subito chiaro che non stiamo ascoltando Abbado con il suo logos così poco russo. Puntuali arrivano i timpani, potenti e presenti, molto buono e

sufficientemente voluminoso il coro, le informazioni sulla spazialità presenti nella registrazione sono ben riproposte dalle due italiane. La dinamica espressa dall'orchestra non sembra resa completamente ma questo appare anche un problema dell'amplificatore che va alle corde prima che di una questione di pressione sonora massima riproducibile dalle 655. Se potete consentirvi ascolti a volumi da intervento della forza pubblica, sappiate che con queste Diva bisogna avere amplificazione generosa perché la tenuta in potenza c'è ma l'efficienza appare ad orecchio inferiore a quella dichiarata.

Voci e percussioni sembrano due

punti di eccellenza di queste Diva, in cerca di conferme ho ascoltato “A Sud! A Sud!”, un album del 2004 di Teresa De Sio che segna il ritorno alla musica tradizionale e alla canzone in lingua napoletana per una delle interpreti più significativi della musica partenopea. Improntato al recupero e alla rilettura delle tradizioni musicali mediterranee, con una voce femminile particolare e strumenti acustici registrati con la consueta attenzione che questa artista pone alla qualità di ascolto, questo album si presta ad una piacevole prova di ascolto. Le Diva rendono magnificamente la pregevole alternate take della celebre Aumm Aumm, qui proposta in una versione quasi psichedelica, con un ritmo di tarantella travolgente guidato dalla tammorra di Umberto Papadia e dal violino di Carlo Cossu. Il brano La

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Montanara è un arrangiamento de la Tarantella del Gargano, registrato "buona la prima", che propone il tamburo di Arnaldo Vacca in primissimo piano. Le Diva 655 rispondono molto bene alla sollecitazione restituendo un tamburo corretto nel timbro e credibile nella sua potenza, tuttavia lo stesso tamburo è più violento quando ascoltato con diffusori con una sezione bassi più generosa come sono le Wilson Watt/Puppy (ok, decisamente più generosa!). Nonostante ciò, il punch di questa registrazione è reso perfettamente, segno inequivocabile di una sezione bassi progettata e realizzata adeguatamente. Ancora mi trovo a pensare che potrebbe giovare un'amplificazione con maggiore riserva di potenza rispetto a quella in uso che pure non è certo avara. Nello stesso disco c'è un'ottima voce maschile, la particolare voce di Raiz è restituita profonda, ritmata, potente: “Buono comme stammo / buono comme stammo / nun schiara cchiù stu sole nuosto 'mmiezo 'e panne”, davvero una naturalezza ottima anche in termini assoluti.

Sento l'esigenza di verificare ancora le voci maschili e, tanto per non allontanarmi troppo dal genere, metto su "L'erba cattiva" di Enzo Gragnaniello del 2007, un sound

mediterraneo ben registrato. L'impressione precedente è confermata dalla suggestiva resa del brano Stu criato: “'na voce, 'na voce m"o ripete / nun perdere cchiu' tempo / cerca d'essere felice”. Il risultato è ottimo, Enzo è nella stanza con me, la sua voce è a fuoco, chiara, coerente, riprodotta alla perfezione nel timbro e nell'espressività. La presenza è notevole ma non rilevo da parte dei diffusori artifici furbeschi in gamma media, direi che quanto riprodotto dalle Diva sia esattamente l'effetto desiderato dall'artista.

Una verifica al volo, sempre voce

maschile, sempre dello stesso genere musicale ma di timbro ben diverso: metto su la colonna sonora di “Passione”, film documentario di John Turturro, in particolare la traccia dove Gennaro Cosmo Parlato interpreta una Maruzzella in stile cabaret transgender. Si tratta di una registrazione dal vivo all'Arena Flegrea di Napoli per il Festival Carosone 2005, io c'ero (che pioggia!) e riconosco senza fatica la voce tenorile che con il suo finale in falsetto gorgheggiato ha messo in difficoltà più di un midrange blasonato ma che questa volta non impensierisce affatto il driver delle Indiana Line Diva 655 che restituisce intatti timbro, potenza e tono del poliedrico artista.

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Non ci si può esimere dal verificare la

resa del pianoforte, ed allora, visto che non abbiamo ancora parlato di jazz, niente di meglio di Brad Mehldau nel suo "Live at Village Vanguard", volume 2 di The Art of The Trio, con Larry Grenadier al contrabbasso e ancora Jorge Rossy alla batteria. Il contrabbasso di Grenadier appare lievemente arretrato quando non è in assolo, forse non profondissimo ma riprodotto con estrema chiarezza, le note sono ben riconoscibili le une dalle altre, mentre la batteria di Rossy è potente e presente in primo piano, i tamburi ben tesi e scanditi confermano l'eccellenza delle Diva 655 nella riproduzione delle percussioni. Il pianoforte di Mehldau nel favoloso assolo di Monk's Dream appare fermo al centro della scena, corretto timbricamente ma un po' rimpicciolito nelle dimensioni attese rispetto al contrabbasso e la batteria. Complessivamente è una buona prova anche perché il trio suona arioso e ben diviso nello spazio con gli strumenti separati dal mitico nero che è indice di scarso mascheramento. Resta qualche dubbio sul mixing di questo disco che risulta sì molto gradevole ma forse a tratti incoerente.

Il midrange di queste Diva 655

sembra proprio essere un componente che va ben oltre la classe dei diffusori, questo senza nulla togliere agli altri ottimi driver. Scelgo dunque di insistere sui medi, sull'amalgama tra i drivers e sulla capacità di restituire quanto desiderato dall'artista, opto quindi per l'ascolto di una trascrizione

orchestrale delle "Rapsodie Ungheresi" di Liszt, la registrazione è una Westminster del 1957 presa alla Mozart Hall dalla Wiener Staatsoper Orchestra diretta da Hermann Scherchen. Il valore artistico di questo disco è in massima parte nella direzione di Scherchen, un personaggio decisamente insolito che si formò direttore da autodidatta e concluse la carriera morendo sul podio dell'Orchestra del Maggio Fiorentino, mentre il valore tecnico è nella recente ed eccellente rimasterizzazione operata dalla Deutsche Grammophon. Ascolto la celeberrima Rapsodia n. 4 in D minor S. 359-4, molto popolare anche per l’Oscar vinto nel 1946 dal cortometraggio della MGM “The Cat Concerto” con Tom & Jerry. Subito si disegna una scena sonora discretamente voluminosa con credibile estensione laterale e buona profondità, con i diffusori ruotati a puntare la testa dell'ascoltatore si ha anche un centro scena ben a fuoco. Le Diva 655 seguono direi agevolmente il celebre tema che spazia dal grave

"Rapsodie Ungheresi”, Liszt, copertina

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all'acuto, gli arpeggi sono ben restituiti e confermano il carattere dolce e piacevole del cono in CURV, lo spirito festoso della Rapsodia è ben trasferito all'ascoltatore, le tre vie sembrano quanto mai coerenti ed omogenee, la chiarezza è di livello più che buono e simile per le diverse bande assegnate a ciascun driver.Vi segnalo, su questo stesso numero di VideoHifi, l'interessante articolo di Andrea Bedetti: "Hermann Scherchen e Jurij Temirkanov: due modi diversi di concepire l’arte direttoriale."

Gli appunti di ascolto terminano qui, è il momento della bischerata!

3. La Bischerata

L'intervento di Paolo Cajati

Nel corso della prova mi è venuta la

curiosità di verificare il comportamento delle Diva quando inserite in una catena veramente top. Nessuna pretesa pseudo scientifica, nessuna voglia di dimostrar alcunché, solo voglia di fare una bischerata. Siccome il migliore impianto del circondario è di proprietà del caro Paolo Cajati, mi sono armato di faccia tosta ed ho approfittato della ospitalità sua e della sua gentile consorte. L'impianto di Paolo è sistemato in un salone dalla cubatura veramente ampia dove troneggia una coppia di statuarie Triangle Magellan Concerto. Con rispetto e non poco imbarazzo abbiamo sostituito le Concerto con le Diva: la parola passa dunque a Paolo.

“Sono rimasto inizialmente un po’

perplesso quando mi è stato proposto di recensire le Indiana Line Diva 655 e questo perché con l’impianto in mio possesso, ed al quale il mio orecchio si è abituato, impianto che posso definire, non foss’altro per il costo, di tipo hi-end, viene il legittimo dubbio di affrontare l’ascolto con la cosiddetta “puzza sotto al naso”. Mi sono quindi impegnato subito in sedute di training autogeno per eliminare qualsivoglia residuo di tracce… maleodoranti che avrebbero compromesso il giudizio espresso nella recensione. Una recensione, diciamocelo subito, che sarà alla buona, dato che non mi ritengo un orecchio di pipistrello in

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grado di fare autopsie della gamma sonora emessa, ma al massimo posso dire “buono, no buono”. Ora, sarà per questo, oppure proprio al contrario perché senza che te ne rendi conto la puzza rimane, grande è stata la mia sorpresa nel constatare, o meglio, confermare una cosa già in passato rilevata in ascolti al Top Audio, e cioè che i prodotti Indiana Line hanno indiscutibilmente un rapporto qualità/prezzo eccellente.

Veniamo alle impressioni di ascolto, la

cosa che mi ha maggiormente colpito e sorpreso è stata la gamma medio-alta, in particolare quella delle voci, assolutamente appezzabile e piacevole. Ho ascoltato brani di musica leggera dei miei artisti preferiti e sono rimasto a bocca aperta per la definizione e la timbrica di tutto rispetto. Il genere più di effetto è il rock, ma anche brani per solo pianoforte, strumento da me particolarmente amato e che si dimostra molto rivelatore sulle qualità complessive dei diffusori, hanno mostrato un suono cristallino sulla gamma alta, un po’ meno su quella bassa. Premesso che come tutti i diffusori occorre fare almeno un po’ di rodaggio, soprattutto per non dare giudizi affrettati e negativi sulla gamma bassa, debbo dire subito che in questa gamma non ci si può attendere prestazioni altrettanto sorprendenti quanto su quella, come già detto, medio alta. Non posso dire infatti che l’ascolto di musica sinfonica sia stato altrettanto piacevole quanto quello di musica leggera ed

innanzitutto rock. Quest’ultimo è sicuramente congeniale alle caratteristiche complessive di questi sorprendenti diffusori. L’ampiezza della scena, almeno nel mio ambiente, non raggiungeva le prestazioni, peraltro scontate, delle mie Triangle Magellan Concerto, diffusori di tipo dipolare ad emissione anche posteriore. Se facciamo confronti con diffusori che costano venti volte di più, è chiaro che la differenza si nota, ma ti chiedi comunque fino a che punto sia saggio e comprensibile che per quel migliore ascolto tu debba svenarti a tal punto.

Il giudizio complessivo non può essere

che buono, stante il sorprendente rapporto qualità/prezzo che permette di metter su un impianto “umano” scegliendo gli altri componenti tra quelli best-buy, senza dover fare ricorso ad improbabili prestiti bancari (di questi tempi poi…), non è questione di “chi si accontenta gode”, ma di dare al denaro il suo giusto valore e le Indiana Line Diva 655 valgono certamente tutti gli euro che occorrono per portarle a casa. Per concludere in due parole: Ma che vai cercando di più? Il mio impianto, quello di pilotaggio è così composto: lettore Esoteric X-05, preamplificatore S.I.Audio S01, finali mono S.I.Audio Cult 300 OTL & OCL,

cavi tutti Meleos.”

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4. Conclusioni

Le Indiana Line Diva 655 sono

diffusori prodotti da uno storico ed affidabile costruttore italiano, si presentano con un'estetica elegante e raffinata e sono assemblate e rifinite con cura e precisione. Le Diva si inseriscono agevolmente nell'ambiente d'ascolto, sia considerando gli aspetti arredativi che quelli propriamente acustici riuscendo a ben figurare anche in saloni di ampia cubatura purché la loro distanza dal punto di ascolto non si estenda eccessivamente.

La risposta in frequenza appare

all'ascolto lineare e ben estesa agli estremi, con una ottima estensione degli acuti ed una presenza in basso sorprendente in relazione alle loro dimensioni compatte. Parlando di timbrica, se assumiamo il colore bianco come termine di paragone significante un ideale timbro neutro, allora il timbro di queste Diva 655 è definibile di colore bianco latte, dunque appena virato sul caldo ma non tanto da assumere una vera e propria colorazione. Un'impostazione che evidentemente vuole preservare la bassa colorazione generale ma allo stesso tempo allarga la finestra del

Diva655, spigolo

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livello ottimale di riproduzione migliorando l'ascolto a volume medio e basso. Viene di conseguenza la raccomandazione di inserirle in una catena che sia il più possibile neutra per non guastare il lavoro di fine tuning fatto sull'impostazione timbrica.

L'interfacciamento con l'amplificatore

non pone troppi problemi, oltre ad una timbrica neutra è preferibile una buona riserva di potenza in modo da permettere alle due italiane di sfoderare la dinamica eccellente ed il buon livello di volume delle quali sono capaci, soprattutto nella critica regione dei 100 Hz.

La spazialità è molto apprezzabile.

Curando posizionamento e rotazione verso il centro, nonché variando il punto di ascolto tra i due ed i tre metri fino a trovare il rapporto tra suono diretto e suono riflesso più confacente all'ambiente e gradito all'ascoltatore, le Diva 655 offrono una ottima ricostruzione della scena orizzontale e una più che decente ricostruzione della profondità. L'altezza della scena sonora, che come sappiamo non è codificata nel segnale stereofonico, è credibile fino a quando non si affronta la grande orchestra che risulta un po' appiattita.

Un'ultima cosa, questi diffusori non

sanno cosa sia la fatica da ascolto. Questo è un parametro verso il quale sono molto sensibile, per me in ordine di importanza viene subito dopo la timbrica, eppure ho ascoltato le Diva 655 per giornate intere senza provare

mai fatica, davvero un risultato eccellente.

A questo punto le conclusioni

potrebbero sembrare facili, invece non lo sono affatto. Sicuramente si tratta di un prodotto ottimo sotto tutti i punti di vista e consigliabile senza riserva alcuna, anzi, si tratta di un prodotto così universale e privo di controindicazioni da sembrarmi il diffusore ideale da acquistare senza ascolto preventivo, via Internet. La difficoltà sorge nel rapportarle alla concorrenza: quali sono i reali concorrenti delle Indiana Line Diva 655? Se guardiamo alla loro classe di prezzo allora corriamo il rischio di nominare l'innominabile appellativo di "ammazzagiganti", cosa che preferirei non fare anche solo per il semplice fatto che una recente discussione nel forum ha chiarito che gli appassionati non attribuiscono un significato univoco al termine.

Non intendo però sottrarmi al

compito, i limiti delle Indiana Line Diva 655 sono imposti non tanto dal costo contenuto quanto dall'ingombro limitato e dalla configurazione convenzionale del progetto, il mio giudizio è dunque che a parità di ingombro e di radiazione convenzionale, pur ponendo in secondo piano il prezzo, non mi risultano diffusori più consigliabili delle Diva 655 nell'insieme del valore che offrono. Pertanto, per avere di meglio o si esplora il mondo dei non convenzionali perdendo l’universalità data anche dall'avere una

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configurazione convenzionale, o si approcciano diffusori di ingombro notevolmente più elevato. In entrambi i casi i costi sono destinati a salire vertiginosamente.

Stranamente mi viene di paragonare

queste DIVA 655 al gusto del caffè Passalacqua che sto prendendo al

momento di scrivere queste conclusioni. Caro Direttore, tu concludesti una celebre recensione con la chiosa “Hello my new cup of tea”, spero che non ti dispiacerà se concludo citandoti: “Ciao, mia nuova tazzulella di caffè!”.

Pagella Voto Indiana Line Diva 655

Design e Costruzione

5/5 Elevatissimo, ben oltre lo standard della sua classe, occhio alle spinte laterali

Universalità 5/5 Eccellente, forse tanto da ridurre l'importanza della prova preventiva

Suono 5/5 Fedele e senza effetti speciali, un investimento che durerà a lungo

Concretezza 5/5 Impeccabile. Grande valore per i nostri sudati soldini

Valore 5/5 In quelle dimensioni si può avere qualcosa di "altro" ma difficilmente qualcosa di "meglio"

Voto complessivo 25/25