INCONTRO GRUPPO LETTORI UNITA’ PASTORALE DI DOMO … · UNITA’ PASTORALE DI DOMO E PORTO...

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1 INCONTRO GRUPPO LETTORI UNITA’ PASTORALE DI DOMO E PORTO VALTRAVAGLIA: Le ragioni del MaleIndagine sullo Scandalo della Sofferenza Incontro dell’Avvento 2017 Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo.” (Is. Cap. 45, 7) 1. Di cosa parleremo? Ci aiuta ad introdurre il tema della Teodicea (letteralmente tradotto dal Greco con: “La Giustizia di Dio”), una riflessione di Epicuro, un filosofo greco nato nel 342 a.C.. Lui formulò questa serie di ipotesi strettamente logico- deduttive dalle quali prese il via la riflessione del Mondo Occidentale sulle ragioni della coesistenza del Male e di un Dio pensato come Entità Onnipotente e Moralmente Buona e Perfetta. La sequenza logica è la seguente: a. Dio vorrebbe eliminare il male, ma non può (in questo caso non potrebbe più essere considerato Onnipotente); b. Dio può eliminare il male, ma la cosa gli è del tutto indifferente (in questo caso non sarebbe realmente Buono); c. Dio non può e non vuole eliminarlo (ma in questo caso non sarebbe né Onnipotente né Buono); d. Dio può eliminare il male ma, ugualmente vuole che ci sia (certo, ma a questo punto occorre domandarci perché Dio non vuole eliminarlo). 2. Una domanda piuttosto “imbarazzante” Fare Teodicea significa cercare il senso e il valore della “Giustizia di Dio” in relazione all’esistenza del Male e della Sofferenza. È un problema enorme e tuttora insoluto, nel senso che nessuno è riuscito a dare una spiegazione pienamente condivisibile, soddisfacente e credibile sul perché. Cristo Risorto discende negli inferi e libera Adamo ed Eva

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INCONTRO GRUPPO LETTORI UNITA’ PASTORALE DI DOMO E PORTO VALTRAVAGLIA:

“Le ragioni del Male” Indagine sullo Scandalo della Sofferenza

Incontro dell’Avvento 2017

“Io formo la luce e creo le tenebre,

faccio il bene e provoco la sciagura;

io, il Signore, compio tutto questo.” (Is. Cap. 45, 7)

1. Di cosa parleremo?

Ci aiuta ad introdurre il tema

della Teodicea (letteralmente

tradotto dal Greco con: “La

Giustizia di Dio”), una

riflessione di Epicuro, un

filosofo greco nato nel 342 a.C..

Lui formulò questa serie di

ipotesi – strettamente logico-

deduttive – dalle quali prese il

via la riflessione del Mondo

Occidentale sulle ragioni della

coesistenza del Male e di un

Dio pensato come Entità

Onnipotente e Moralmente

Buona e Perfetta. La sequenza logica è la seguente:

a. Dio vorrebbe eliminare il male, ma non può (in questo caso non potrebbe più

essere considerato Onnipotente);

b. Dio può eliminare il male, ma la cosa gli è del tutto indifferente (in questo caso

non sarebbe realmente Buono);

c. Dio non può e non vuole eliminarlo (ma in questo caso non sarebbe né

Onnipotente né Buono);

d. Dio può eliminare il male ma, ugualmente vuole che ci sia (certo, ma a questo

punto occorre domandarci perché Dio non vuole eliminarlo).

2. Una domanda piuttosto “imbarazzante”

Fare Teodicea significa cercare il senso e il valore della “Giustizia di Dio” in

relazione all’esistenza del Male e della Sofferenza. È un problema enorme e tuttora

insoluto, nel senso che nessuno è riuscito a dare una spiegazione pienamente

condivisibile, soddisfacente e credibile sul “perché”.

Cristo Risorto discende negli inferi e libera Adamo ed Eva

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In parole molto semplici, il problema è questo:

Se Dio è Buono ed è Onnipotente, perché permette che accadono cose orribili?

Se è davvero Buono, perché accadono i genocidi, perché può aver libero sfogo l’odio

e la violenza senza che Dio intervenga? Senza che muova un solo dito?

Se è Buono, perché ci sono le malattie, le catastrofi naturali, i terremoti, i maremoti, i

cicloni? Perché non fa nulla per impedirli?

Se veramente è Buono – come noi fermamente crediamo – e non fa nulla, allora

significa che non è Onnipotente, cioè non può fare qualcosa di significativo per

impedire il Male e la Sofferenza?

Ma se accettiamo la realtà che Dio è Onnipotente e può tutto, e nonostante questo

non interviene, allora dobbiamo dedurre – sempre per logica – che Egli tanto Buono

non è?

Tutte queste ipotesi escludono che Dio sia al contempo Buono e Onnipotente; che

però è quello in cui giustamente crediamo noi. Per definizione Dio è Perfettamente

Buono e Perfettamente Onnipotente.

Quindi? Che risposta dare a un problema del genere?

E guardate che non è una domanda oziosa, ma fondamentale.

Perché esiste il Male e la Sofferenza se esiste per davvero il Dio Onnipotente e

Buono in cui crediamo? …Probabilmente ancora non riusciamo a comprenderlo, ma

possiamo cercare di capirne qualcosa di più, perché di sicuro un motivo c’è!

3. Navigando nei millenni senza risposta …ma si continua a cercare

Purtroppo molti hanno seguito la via dell’ateismo – non hanno più creduto in Dio –

proprio perché non sono riusciti a darsi una risposta persuasiva.

Qualcuno invece ha cercato una soluzione, più o meno con successo, più o meno

credibile e convincente.

Santi, Teologi, Filosofi, Studiosi delle Sacre Scritture, Mistici, Uomini e Donne

Comuni, hanno provato a sciogliere questo nodo intricatissimo della nostra Fede.

a. Talune ipotesi

Per fare un po’ di ordine, cito alcune delle teorie che si sono affermate lungo i secoli

(per ragioni di tempo e di spazio disponibile, solo alcune e solo della Tradizione

Ebraico-Cristiana, non dimenticando che anche i Pagani, al parti di quasi tutte le

Religioni del Mondo e gli Atei, si sono interrogati sull’origine e del perché del Male).

La prima ipotesi, è l’affermare che si tratta di un mistero che l’Uomo non può

comprendere. Comunque, nell’Aldilà sarà tutto sistemato: chi in questa vita ha

ingiustamente sofferto, sarà sicuramente ricompensato e ci sarà finalmente detto del

perché del Male e della Sofferenza. Tuttavia, accettando questa ipotesi come vera, di

fatto si rinuncia a priori a qualsivoglia tentativo di ricerca. Di per sé è un atto di fede,

che non ci spiega un bel niente. …È così: punto e basta!

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La Giustizia Divina è intesa solo come una sorta di vaso di compensazione: chi ha

avuto tutto in questa vita non avrà niente nell’altra, e chi non ha avuto nulla in questa,

otterrà tutto nell’altra.

O, ancora – in modo più radicale – chi è felice in questo Mondo, necessariamente

soffrirà nell’altro, e chi soffre in questa vita gioirà nell’altra.

E’ un’idea che piace un po’ a tutti, perché ci pare logico che ci sia una Giustizia

Superiore ed Infallibile – la Giustizia di Dio – che mette a posto le cose, che dà a

ciascuno ciò che gli spetta, che dà a chi non ha avuto e toglie a chi invece ha avuto

troppo.

In tutto questo, forse, l’unica cosa che non ci piace molto, è che ogni cosa è

rimandata al dopo e non accade ora, mentre stiamo vivendo su questa Terra: quando

il ricco cattivissimo e il povero buonissimo sono ancora vivi e vegeti.

La seconda ipotesi è che il dolore, ad imitazione di quello sofferto da Cristo, è

necessario per ottenere la redenzione e la remissione dei peccati: innanzitutto di

quelli di chi soffre, e poi anche degli altri, con una specie dei espiazione vicaria

(ovvero: al posto di…) e, in qualche modo, solidale.

Tuttavia, anche questa ipotesi, a considerarla bene, potrebbe essere un

accomodamento per consolarci attribuendo un senso ad un dolore che non si riesce a

spiegare in altro modo. In pratica si afferma che si soffre perché così vuole Dio

affinché Lui possa perdonare i nostri o altrui peccati.

Così facendo si attribuisce alla sofferenza un valore estremamente positivo.

Ma, affermare una cosa del genere, non implica che noi crediamo in una Divinità

Malvagia che, per accordarci il suo perdono di Padre, ha atteso il sacrificio di Suo

Figlio e pretende la Sofferenza Espiatoria del Genere Umano?

Come possiamo ben capire, anche se in tempi non lontani è stata avvalorata come

vera, è una teoria non più ampiamente condivisibile. Dio non concede il suo perdono,

la sua misericordia, proporzionalmente alla sofferenza dell’Uomo. Dio non esige il

dolore come un risarcimento, come riscatto, come moneta di scambio, in cambio

della sua Misericordia e perciò della nostra Salvezza.

La terza ipotesi, il terzo tentativo di conciliare il Dolore con l’esistenza di un Dio

Buono e Onnipotente è quello di affermare che Dio permette sia il Bene che il Male

perché ci ha creato in modo che fossimo Esseri Essenzialmente Liberi, cioè

capaci di fare delle “Scelte Morali” fra ciò che è Bene e ciò che è Male. Per tale

ragione permette i presupposti necessari affinché tale Libertà sia possibile. Dio

raramente interviene sull’agire del Malvagio per rispetto della Libertà dell’Uomo.

Questo può essere in parte probabile, anche se così implicitamente s’accetta il fatto

che la Libertà di comportarsi male da parte di un qualsiasi individuo dotato di

ragione, sia più significativa del diritto che ha un essere vivente di vivere… Inoltre,

anche se accettassimo questo, dobbiamo tuttavia considerare che il male che colpisce

l’Umanità e tutta la Creazione – animali compresi – non scaturisce solo dall’agire

nefasto dell’Uomo. I terremoti, che portano sofferenza, distruzione e morte, non sono

sempre riconducibili allo sfruttamento dell’Uomo sulla Natura. I terremoti sono

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preesistenti all’apparire dell’Uomo sulla Terra e così anche altre catastrofi naturali o

le malattie di cui normalmente si ammala un organismo.

Comunque, chi sostiene questa teoria, afferma che Dio, talvolta interviene con delle

Grazie o dei Miracoli, ma se lo facesse sempre, la Libertà Umana sarebbe quasi del

tutto annullata.

Condizionati dalla prova certa dell’esistenza di Dio – e dalla sua capacità d’agire nel

Creato – noi non avremmo più la possibilità di scegliere liberamente fra il Credere e

il Non Credere, fra il compiere il Male o fare del Bene. L’evidenza dell’esistenza di

Dio ci costringerebbe a credere senza lasciare spazio al dubbio e quindi a una scelta

dettata dalla nostra Coscienza autonoma.

Fra tutte quelle che abbiamo ricordato, è forse la spiegazione più convincente nel

tentare di comprendere l’esistenza del dolore, della sofferenza, nonostante la realtà di

un Dio Buono ed Onnipotente. La sofferenza che l’Uomo causa ad un suo simile è il

lato orribile della libertà che ci è stata donata. È una conseguenza di una libertà usata

male, spesso egoistica, non diretta al Bene: e cioè ad Amare Dio sopra ogni cosa e il

Prossimo come noi stessi.

Su questo penso che siamo tutti d’accordo. La Libertà Umana può essere sia causa di

gioia quanto di sofferenza.

Sì! Ma le catastrofi naturali, i terremoti, i maremoti?!

Anche tutte quelle cose sono causa di sofferenza, di dolore e di morte. Perché Dio

non interviene in qualche modo? Lì evidentemente quasi mai centra la questione della

Libertà Umana. Sì, è vero, talune catastrofi sono il frutto di atti insensati, di squilibri

nella Natura causati dall’agire umano. Tuttavia, i terremoti – ad esempio – si

verificavano anche prima che l’Uomo apparisse sul Pianeta e di certo, la Crosta

Terrestre in movimento, che spesso ne è la causa, è un fenomeno indipendente

dall’agire umano.

Quindi?

…Purtroppo anche questa terza ipotesi – il terzo tentativo di spiegare il dolore

nonostante l’esistenza di un Dio Buono e Onnipotente – non convince interamente.

C’è una zona grigia che è difficile da illuminare con una risposta convincente.

b. Esodo e Shoah

Nel prodigioso racconto dell’attraversamento del Mar Rosso, Dio salva il suo Popolo.

L’angelo che precede le schiere d’Israele si pone in retroguardia rispetto alla

moltitudine per difenderlo. La nube diventa luce per il Popolo Ebraico e tenebre per

gli Egiziani. Il Mare si apre. Israele percorre i fondali all’asciutto, ma l’esercito del

Faraone che voleva distruggerlo è travolto dalla furia delle acque che si richiudono.

L’autore conclude, al culmine della gioia: “In quel giorno il Signore salvò Israele

dalle mani degli Egiziani.”

Questo brano dovrebbe far riflettere e far pensare agli anni in cui si consumò la

tragedia della Shoah, l’Olocausto, il tentativo di distruggere il Popolo Ebraico. Molti

si sono domandati e ancora si domandano che senso ha raccontare la liberazione

dell’Antico Popolo Ebraico dalle mani degli Egiziani se poi Dio, nei tempi moderni,

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non è intervenuto così come fece allora – con potenza: con braccio teso e mano forte

– per strappare da una morte orrenda, ingiusta, odiosa, inutile, sei milioni di Ebrei, tra

i quali oltre un milione di bambini.

Perché non è stato possibile a Dio salvarli?

Oppure, se Dio è davvero buono e potente, perché non li ha voluti salvare – non tutti

– ma almeno una gran parte di loro sì, magari solo i bambini? Perché Dio non ha

affogato nelle onde della storia l’esercito nazista prima che avesse il tempo di alzare

la mano sul Popolo Ebraico?

Non sono domande

ormai inutili. È

purtroppo la realtà

della Storia. È ciò che

è stato. Cercare di

rispondere a queste

difficili domande può

aiutare a comprendere

perché Gesù ha

risuscitato solo

Lazzaro e pochi altri,

ma non tutti, perché ha

guarito alcuni infermi,

ma non tutti gli infermi. Spesso si propongono delle spiegazioni verosimili,

affermando che Dio è rispettoso della libertà umana e dei meccanismi a volte tragici

della Natura, anche se queste cose si trasformano in odio, in sadismo, in cieca

distruzione. Oppure, si tenta di credere al fatto che lo sterminio del Popolo Ebraico, le

sofferenze procurate dalle malattie e dalle catastrofi, sono un necessario strumento

d’espiazione, di purificazione dal peccato collettivo di un popolo o della singola

persona, quasi che ci potessimo convincere che Dio pretende la nostra sofferenza

come condizione necessaria ed irrinunciabile per concedere il suo perdono.

Ma, a dire “No!” che non è questa la risposta giusta, ce lo dice proprio Gesù nel

brano del Vangelo in cui si narrava della guarigione del Cieco Nato. Quando i

Discepoli domandarono: “Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori perché nascesse

cieco?”, il Signore, se vi ricordare, rispose: “Né lui né i suoi genitori hanno peccato,

ma perché in lui siano manifestate le opere di Dio.” (Giovanni Cap.9)

Proseguendo il discorso, ciò avviene anche per la Risurrezione di Lazzaro. Lazzaro è

resuscitato non tanto perché fosse riportato in vita un uomo a cui Gesù voleva bene,

ma perché quel miracolo – quel segno – dimostri che Gesù è la Risurrezione e la Vita,

cioè il Messia e Dio Stesso nella Persona del Figlio. Sembra che, se non c’è qualcosa

di fondamentale da dimostrare, Dio non interferisce nella Libertà Umana o sul Corso

della Natura, anche se queste cose diventano una crudeltà brutale, disgustosa e senza

senso come lo è stato Auschwitz, le catastrofi naturali o la morte di un bambino

consumato da una terribile malattia.

Dio libera Israele dall’oppressione egiziana: l’attraversamento del Mar Rosso

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Ma se non tutto il dolore serve a dimostrare la Gloria di Dio (come lo è la privazione

della vista per il Cieco Nato), allora, come si può tentare di spiegare la sofferenza per

la quale Dio sembra non fare nulla?

Il miracolo accade perché l’uomo creda; ma credere è anche un atto d’affidamento,

un qualcosa che deve avvenire nella piena libertà. Anche se Dio a volte fa dei

miracoli, non sempre interviene compiendo cose prodigiose. Se non fosse così – se

intervenisse sempre – l’Uomo in nessun modo potrebbe dubitare dell’esistenza di

Dio. L’esistenza di Dio diventerebbe una realtà certa, e quindi avere o non avere Fede

non avrebbe più senso.

Però, anche considerando questo, rimane una Zona Grigia, un interrogativo a cui

ancora non si è riusciti a dare una risposta sufficiente, pienamente credibile, una

risposta definitiva.

Che senso ha Auschwitz? Che senso hanno le catastrofi naturali? Che senso ha

l’agonia di un bambino malato? E non

possiamo nemmeno semplicemente

rispondere che Dio era accanto a chi veniva

assassinato nelle camere a gas o ai i morti

causati dalle catastrofi naturali e nemmeno al

bambino malato. Non tanto perché non sia

vero – può anche esserlo – ma perché questa

potrebbe essere una risposta puramente

consolatoria che nasce dal bisogno di credere

ancora in un Dio che è terribilmente buono e

che non ci lascia soli nel dolore, pur

permettendo che si diffonda talvolta in modo

tanto crudele e insensato. E neppure è una

risposta che soddisfa la domanda del perché

del dolore – del perché esistono delle sofferenze così grandi – cercando di dare un

senso a un qualcosa che forse un senso non ha.

Se ci pensiamo bene, forse è davvero in larga misura il tentativo di darci una

consolazione, una giustificazione credibile alla sofferenza.

Anche Gesù non ha creduto a quella spiegazione consolatoria della “vicinanza di

Dio.”

Prima di morire ha urlato: “Dio mio! Dio mio, perché mi hai abbandonato?!”

4. L’innocenza e il peccato. Il tema di Giobbe.

La vicenda di Giobbe è conosciuta come il paradigma della virtù dell’uomo paziente.

Di regola, i brani del Libro di Giobbe che ascoltiamo in Chiesa o che leggiamo da

qualche parte, si concludono con una frase di Giobbe che è considerata una delle più

alte espressioni di Fede pronunciate da un Uomo: “Nudo uscii dal seno di mia madre,

e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il Nome del

Signore!”(Giobbe 1,21).

Immagini della Shoah. Una madre ebrea viene fucilata con in braccio il suo bambino

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La parte del Libro di Giobbe che si legge normalmente è questa perché è edificante e

ci stimola ad avere sempre “pazienza” anche davanti alle prove e ai soprusi più

devastanti. Perciò molti di noi ritengono che quella sia anche la conclusione

dell’intero Libro di Giobbe. In realtà non è così, c’è dell’altro.

La parte che viene largamente letta di questo libro della Bibbia è solo il suo inizio; in

cui si narrano le disgrazie capitate a Giobbe e il suo sopportarle tutte accettando il

Volere di Dio con Fede, con rassegnazione, senza mai lamentarsi. Generalmente, la

vicenda di Giobbe la conosciamo solo in questo modo e pochi sanno che il Libro di

Giobbe prosegue lungamente con un serrato dialogo tra Giobbe e degli amici che

sono venuti a confortarlo. Il discorso che s’instaura è importante e dice molto di più –

e anche qualcosa di diverso – rispetto a quello che è raccontato nella prima parte del

libro, e s’interroga sul perché è stato possibile che Dio abbia permesso che tutto quel

male s’accanisse contro Giobbe che, per giunta, era sicuramente un Uomo Giusto e

Timorato di Dio.

All’inizio della conversazione con i

suoi amici, Giobbe non si da pace e –

contrariamente a quanto

comunemente pensiamo sulla sua

proverbiale “pazienza” – giunge

persino a chiedere conto a Dio del suo

operato che gli appare profondamente

ingiusto. Questa pagina del Libro di

Giobbe non viene quasi mai letta, ma

se ne avete il tempo e la voglia fatelo.

Scoprirete che Giobbe è sicuramente

un Uomo di straordinaria Fede in Dio,

ma tanto paziente e remissivo, alla fine, non è. La bellezza di questo Libro è quella di

sollecitare degli interrogativi, di far ragionare in profondità, non quella di dare delle

risposte che, comunque le si considerino, appaino farraginose e opinabili. Un’altra

cosa c’è da dire. Giobbe con veemenza difende la sua innocenza, ribellandosi – non

certo a Dio – ma all’incomprensibilità delle ragioni per le quali Lui si è accanito con

tanta violenza contro di lui. Addirittura ipotizzerà una “chiamata a giudizio” per

stabilire chi dei due ha ragione: Dio o Giobbe? Ma s’accorge subito che tutto questo è

impossibile, se non altro perché l’unico Giudice che potrebbe giudicare Dio è Dio

stesso! …Dal canto loro, i suoi tre amici cercano di accusarlo spiegandogli quella che

per loro è la causa dei suoi tormenti e delle catastrofi subite, tentando così di

“salvare” in ogni modo il principio secondo il quale Dio è giusto e non commette

ingiustizie. Perciò non ne ha commesse neppure colpendo duramente Giobbe.

Un “amico” afferma una cosa molto semplice e sempre in voga, e cioè che Dio ha

punito Giobbe per dei peccati dei quali magari non si ricorda o non sa. Oppure, con

una concezione molto creduta a quei tempi, che lui sta pagando qualche colpa

commessa dai suoi avi. In sostanza, nessuno può ritenersi giusto davanti a Dio…

almeno non giusto al pari di Lui o, addirittura più di Lui, e perciò – in fondo – tutti

sono colpevoli di qualcosa.

Immagini della Shoah. Il detenuto di un lager accusa un aguzzino nazista

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Un altro “amico” afferma che le sofferenze imposte da Dio servono per purificare e

rendere forte l’uomo in vista di un bene superiore.

Il terzo “amico” dice qualcosa di più “sconvolgente” e, per la nostra mentalità,

difficile da accettare: Dio, essendo Dio, può fare quel che vuole senza dovere

rispondere delle cose che fa e, tantomeno, deve giustificare il suo operato anche se

ciò che fa è in aperta contraddizione con i

principi che proclama. …Come direbbero i

Giuristi: in Cielo non esiste lo “Stato di

Diritto”, cioè il principio secondo il quale

chi fa le Leggi deve obbedire anch’egli alle

Leggi che ha promulgato.

Infine, appare un quinto personaggio (il

quarto amico di Giobbe. Taluni studiosi

ipotizzano che sia Satana rientrato in scena

sotto mentite spoglie) che rimprovera

aspramente Giobbe e i suoi amici per le

loro teorie. Arriva addirittura a proferire

due affermazioni dal tono blasfemo! La

prima di queste affermazioni è che a Dio è dovuta la totale sottomissione da parte

dell’Uomo. La seconda è che Dio non ha interesse per l’Uomo e che non si cura, né

di ricompensarlo né di punirlo. Dio è completamente noncurante dei destini

dell’Uomo. …Perciò è del tutto indifferente al suo Bene o al suo Male. È indifferente

alla Santità e al Peccato. …Ma il discorso sul Male nel Creato non finisce certo qui!

Anche Dio, verso la fine del racconto, interviene in prima persona e lo fa ricordando

a Giobbe la Sua Onnipotenza e la Sua Infinita Provvidenza nell’aver creato ed

ordinato l’Universo.

Tuttavia, non dà una risposta a Giobbe sul perché del Dolore e della Sofferenza.

Anzi, si guarda bene dal farlo.

Eppure, essendo Dio, Lui poteva di certo dare la risposta giusta. La sua mente non è

limitata come quella umana che, a volte, è obbligata ad arrancare davanti al Mistero.

Eppure, ugualmente, Giobbe sembra aver capito, ed esclama: “(Prima)…ti conoscevo

(solo) per sentito dire. Ma ora, i miei occhi ti vedono!”

E questa è la Verità Possibile alla quale finalmente giunge Giobbe ed è anche

l’affermazione che dà senso a tutto il racconto.

Che cosa significhino le parole di Giobbe è difficile dirlo.

Però, se ci pensiamo bene, possiamo collegarle alla Crocefissione. Solo assistendo

alla Sofferenza e la morte di Gesù, il Centurione Romano comprende la Divinità di

Cristo e proclama che: “Egli era Veramente il Figlio di Dio” (Mat .Cap 27, 54)

Al rivelarsi dell’Onnipotenza di Dio (esperienza di Giobbe) o – in perfetta antitesi –

della sua Assoluta Impotenza (esperienza del Centurione), l’Uomo intuisce la Verità

– la fa sua – anche se non sa esprimerla.

Ma questa, è solo una delle possibili interpretazioni, anche se probabilmente è la più

convincente.

Giobbe è accusato dagli "amici"

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5. Il Bene e il Male. Il buon grano e l’erba cattiva crescono fianco a

fianco. …Ancora qualche parola sul tema della Libertà

Consideriamo la Parabola del “Buon Grano e della Zizzania”, tra l’altro molto

conosciuta, che si trova nel capitolo tredicesimo del Vangelo di Matteo.

Perché il Signore non vuole che gli angeli estirpino la zizzania dal campo piantato a

buon grano? Perché il Signore risponde che togliendo l’erba cattiva anche il grano ne

verrebbe danneggiato? Perché nel Mondo devono per forza convivere il Bene e il

Male? Non sarebbe più semplice togliere il Male e lasciare soltanto il Bene?

Se per volontà di Dio, il Bene e il Male non potessero coesistere nel Mondo – come il

buon grano e la gramigna della parabola – che possibilità avremmo di scegliere fra il

Bene e il Male, fra lo schierarci con Dio o con il Maligno? Che valore, che senso

avrebbero i nostri atti se qualcuno o le circostanze ci costringessero sempre e

comunque al bene, senza possibilità di sbagliare, di peccare, di fare delle scelte in

qualche modo davvero libere?

Dio ci ama di un amore grande, viscerale, e per questo ha scelto che gli uomini e le

donne – le sue creature predilette – possano corrisponderlo con lo stesso sentimento,

con la stesso amore. E perché lo possano fare in modo cosciente, senza costrizione,

né fisica né psicologica, né intellettuale – come può esserlo l’evidenza di una verità

assoluta – ha voluto che fossimo liberi di scegliere fra due realtà: il Bene o il Male.

Se ricordate, Dio, fin da subito ha dato questa possibilità ad Adamo ed Eva

offrendogli almeno una possibilità di scelta, ovvero di scegliere di mangiare o non

mangiare il frutto dell’Albero piantato nel Giardino dell’Eden.

E questo, pur sapendo che il male che sarebbe potuto nascere dalla libertà dell’uomo,

poteva giungere a configurarsi come un male assoluto. Un male devastante che

l’uomo poteva causare a sé stesso, ad un altro uomo e a Dio stesso. Mi riferisco

all’uccisione di Gesù, alla Crocifissione, ma anche alla Shoah, ai Genocidi, agli atti di

Terrorismo, e ad altri assassinii che, nel nome del fanatismo religioso, dei

totalitarismi, dallo sfrenato desiderio di soldi, hanno provocato (e tuttora provocano)

tanta sofferenza, tanto dolore, tanti morti.

Dio non ha voluto tutto questo (questo non era il suo scopo, la meta da raggiungere),

ma sapeva che sarebbe accaduto, che era prevedibile, che quella poteva essere una

possibile conseguenza della Libertà, esattamente allo stesso modo del realizzarsi del

Bene. Eppure, ugualmente ci ha resi liberi e non ha revocato il suo dono di fronte a

tante nefandezze e a tanto orrore.

Perché non l’ha fatto? Perché ci ha creati liberi e non ha mai revocato questo suo

dono?

Molto semplicemente: perché l’uomo, senza la libertà, senza la libertà di scegliere fra

il Bene e il Male – privato della sua coscienza – non sarebbe più un uomo.

Ho detto, e non a caso, scegliere tra Bene e Male e non ho detto: decidere ciò che è

Bene e ciò che è Male. Tale giudizio, infatti, spetta solo a Dio.

Il Bene e il Male, lo dice Gesù stesso nella parabola, convivranno fino all’ultimo

momento, fino alla fine del Mondo. In caso contrario, l’uomo verrebbe di fatto

privato della libertà di decidere, di scegliere fra il Bene e il Male. Il buon grano sarà

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separato dall’erba cattiva nel Giorno del Giudizio altrimenti – senza la zizzania, senza

il Male – il grano si danneggerebbe, non sarebbe più tale e cioè il simbolo dell’uomo,

ma correrebbe il rischio di trasformarsi in qualcosa che apparentemente ancora è

grano – è uomo – ma che in realtà non lo è più dato che è privato di una delle sue

prerogative fondamentali: la Coscienza.

In assenza del Male, della zizzania, l’uomo non può più scegliere, perché davanti a sé

ha solo il Bene e solo quello può compiere dato che non conosce altra possibilità, un

opzione diversa. Non sarebbe più libero. E senza libertà non può più amare perché è

costretto dall’evidenza. Non può più scegliere d’amare Dio, non può più scegliere di

amare o non amare i Fratelli.

6. Il dolore e la sofferenza colpisce ogni essere vivente

La domanda centrale che riguarda gli animali è il “senso” del loro soffrire se non si

spera per loro in una qualche forma di “sopravvivenza” dopo la morte.

E’ una domanda difficile, e terribilmente più difficoltoso è il trovare una risposta. Un

tempo, per fortuna già passato, la Scienza, ma anche gli Uomini di Chiesa, i migliori

Teologi, sostenevano che gli animali in realtà non soffrissero, non provassero dolore,

non avessero quelli che oggi

chiamiamo “sentimenti”, ma

reagissero in “modo

meccanico” a delle

sollecitazioni esterne che in un

Uomo – questo sì – avrebbero

procurato dolore e sofferenza.

Emblematica è una Lezione

Universitaria del XVII secolo,

nel corso della quale uno

“scienziato”, per dimostrare

questa teoria portò in aula una

cagnetta incinta e gli sferrò un

calcio nel ventre affermando

che il latrato “di dolore” era solo una risposta “meccanica” e che, in realtà, l’animale

non soffriva. In altre parole, se rompi una brocca con dentro l’acqua è “meccanico”

che faccia rumore, vada in pezzi e che l’acqua si versi, ma è certo che né la brocca né

l’acqua soffrono!

Oggi sostenere una teoria del genere appare quantomeno “imbarazzante”, tuttavia il

rendersi conto, il prendere coscienza, che gli animali soffrono per davvero, è stato

una dei tanti lunghi cammini percorsi dall’Umanità.

Ora a che punto siamo? A livello di “sensibilità umana” molti Cristiani hanno fatto

passi da gigante rispetto al recente passato, su questo non c’è dubbio. Ma in campo

teologico? Come considera gli animali la Teologia “Ufficiale” e il Magistero della

Chiesa in rapporto al dolore e alla loro sofferenza?

In un mattatoio, dei conigli assistono al dissanguamento dei loro simili prima di essere uccisi a loro volta

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In tempi moderni, a cominciare da Pio XII, poi San Giovanni XXIII, in seguito

soprattutto Paolo VI, ma anche San Giovanni Paolo II e, recentemente Papa

Francesco, si è approdati ad una sensibilità nuova che ci raccomanda di non “far

soffrire gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita.”(Catechismo

2418) e lascia spazio all’ipotesi di una possibilità di Vita oltre la Vita anche per gli

altri esseri viventi. A tal proposito è celebre la frase pronunciata da Paolo VI a un

bambino che aveva da poco perso il suo cagnolino: “Un giorno rivedremo i nostri

animali nell’eternità di Cristo.” San Giovanni Paolo II invece affermò che: “La

Genesi ci mostra Dio che soffia sull’uomo il suo alito di vita. C’è dunque un soffio,

uno spirito che assomiglia al soffio e allo spirito di Dio. Gli animali non ne sono

privi.”

Solo Papa Benedetto XVI ha espresso un parere diametralmente opposto in un’omelia

tenuta nella Cappella Sistina asserendo che: “…nelle altre creature, che non sono

chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra…”

E Papa Francesco? In una udienza, che aveva come tema la vita e la morte, ha

affermato che: “Il paradiso è aperto a tutte le creature.”(udienza generale del

26.11.2014) oltretutto, nello stesso discorso ha citato le parole che Paolo VI disse al

bambino orfano del suo cagnolino.

Se crediamo veramente in un futuro Regno Messianico in cui la nostra resurrezione

sarà anche fisica in un corpo glorificato, ma non puramente spiritualizzato, che

conserverà la nostra individualità, in Cieli e Terre Nuove, come non potrebbe essere

credibile che anche le altre forme di vita

non “risorgeranno” nella stessa Terra,

nella stessa Acqua, negli stessi Cieli,

con la loro specifica identità, dando un

“senso cristiano” anche alla loro

sofferenza?

7. La risposta della Croce

Soprattutto la Vicenda della

Crocefissione getta della luce sulla

questione della Teodicea. Il tema del

dolore, della sofferenza, pervade le

vicende del Venerdì Santo. E’ un racconto che sbigottisce tanto insensata è la

violenza che s’abbatte su di un Uomo Innocente che per tutta la vita ha ricercato e

insegnato il Bene. Un Bene che non si è limitato alle sole parole, ma che è stato

concreto, contraddistinto da gesti di prossimità.

Il dolore di Gesù non è stato solo “Fisico” – per le torture e la lenta agonia con i polsi

e i piedi inchiodati al legno della Croce – ma anche spirituale e psichico: un dolore

dell’Anima.

Dapprima, il Getsemani dove Gesù si sente disperatamente solo. E poi, il tradimento

di Giuda – uno dei suoi – una di quelle persone in cui Gesù aveva riposto la fiducia, a

cui aveva detto tutto di sé perché lo considerava un amico fraterno. Gli altri – anche

L'angelo annuncia alle donne tornate al Sepolcro la risurrezione di Cristo

12

se non lo tradiscono – scappano e vanno a nascondersi in un posto sicuro. Pietro

addirittura lo rinnega tre volte.

Ai piedi della Croce – ad accompagnarlo fino alla morte – restano solo Maria, sua

Madre, accompagnata da alcune amiche, e un unico Apostolo: Giovanni, quello a cui

il Signore vuole più bene.

Solo due persone, ma sono anche le persone più importanti per Gesù. Anche per

questo Gesù ha sofferto: per lo strazio nel guardare sua Madre e Giovanni vederlo

morire in quel modo senza poter far niente.

E in tutto questo dolore – in tutta questa sofferenza – Dio Padre non interviene.

Non dice una sola parola per confortare, per incoraggiare il Figlio che suda sangue

nell’Orto del Getsemani (solo Luca annota laconicamente che apparve un angelo dal

cielo a confortarlo). Dio non interviene a difendere Gesù alla seduta del Sinedrio o

davanti a Pilato quando lo accusano.

Non è ai piedi della Croce per levargli i chiodi e la corona di spine. Non manda

nessuna Colomba che discende dal Cielo come ai tempi del Battesimo sulle rive del

fiume Giordano.

Non c’è nessun evento prodigioso e nessun miracolo.

Solo alla fine, quando tutto è compiuto e Gesù è già Morto, s’oscurerà il Cielo, si

squarcerà il Velo del Tempio, ci saranno dei terremoti e i morti di Gerusalemme

usciranno dalle tombe aggirandosi nella Città.

Prima, però, non accade niente di umanamente straordinario, di umanamente

miracoloso.

Ora, quante volte ci siamo chiesti perché Dio non interviene davanti al dolore e alla

sofferenza umana?

La risposta è forse che Dio non c’è e che il Mondo è regolato solo dalle leggi della

Natura e dell’Uomo? Questa, dopo tutto – anche se non è una risposta religiosa – è

una risposta sensata, logica. Se Qualcuno o Qualcosa non c’è – non esiste – è

impossibile che possa venire in nostro aiuto, agire per il nostro bene.

Ma, forse, la risposta al perché del dolore e della sofferenza noi non dobbiamo

cercarla nel mancato intervento di Dio, ma piuttosto nell’agire di Gesù nell’accettare

il dolore e la sofferenza. Ma qual è questa risposta che ci dà Gesù? La risposta è il

solo accettare il dolore, la sofferenza e la morte, semplicemente perché fanno parte

della vita, dell’esperienza umana, così come ne fanno parte la nascita, la felicità e la

gioia?

Sarebbe un po’ poco. Una risposta del genere non aggiungerebbe nulla a quello che

sappiamo già. Non si tratterebbe di una Rivelazione di Dio, ma di qualcosa che

conosciamo, che fa parte della nostra esperienza della vita.

Innanzitutto, il Signore c’insegna che il dolore e la sofferenza hanno un valore e un

senso solo quando sono finalizzati al raggiungimento di uno scopo più grande,

certamente superiore al dolore che si prova.

Non tutta la sofferenza è utile!

Se non ci fosse il Mistero della Pasqua, della Risurrezione della Vita oltre la Vita, che

senso potrebbero mai avere le sofferenze di Gesù? Che valore potrebbe avere la

sofferenza di un qualsiasi innocente?

13

Forse per cancellare le colpe proprie o degli altri?

Gesù certo non si è offerto come Vittima di Espiazione dei nostri peccati perché solo

in quel modo Dio Padre si sarebbe ritenuto soddisfatto – risarcito – dalle gravi

mancanze che gli Uomini e le Donne di tutti i tempi hanno commesso nei suoi

confronti.

Dio Padre non ha preteso la morte del Figlio come pagamento vicario – al posto

nostro – dei debiti che l’Umanità ha contratto nei suoi riguardi, peccando. Affermare

una cosa del genere significherebbe disprezzare Dio, renderlo del tutto simile ad un

Avaro Creditore che pretende la restituzione dei debiti, non importa chi lo farà: se gli

stessi debitori oppure suo Figlio.

Ovviamente non è così. Dio Padre non può aver preteso la morte del Figlio per

sentirsi risarcito da un debito che l’Umanità ha nei suoi confronti.

7. Una Porta aperta sul “Mistero” o sul “Nulla”

Il tema della sofferenza dell’Innocente e della retribuzione su questa Terra dal Bene

che si compie o dal Male che si fa, è davvero un grande problema perché la realtà

“Terrena della Vita” che sperimentiamo quotidianamente, urta pesantemente – è in

aperta contraddizione – con l’immagine di Amore e di Provvidenza che attribuiamo a

Dio. …E’ un problema che, tra l’altro, viene ripreso anche nei Salmi e in alcuni brani

dei Vangeli senza – al pari del Libro di Giobbe – dare una risposta definitiva e

pienamente convincente…. però ci stimolano ed aiutano a riflettere; e riflettere è

importante.

Il problema del Male nel Mondo e del perché esista nonostante l’esistenza di un Dio –

che è Onnipotente e Bontà Infinita – è davvero molto difficile da affrontare ed è

probabilmente tuttora insolubile, almeno per la possibilità di comprensione che

possediamo fino a questo momento.

Allora, come possiamo interpretare la realtà del dolore e della sofferenza sulla Terra?

…Considerate che né Giobbe né Gesù ce l’hanno spiegato in modo che noi – almeno

sino a tutt’oggi – lo comprendessimo per intero.

E nemmeno si può capire o, meglio – questo sì – si può dare una duplice opposta

interpretazione, ad una delle più toccanti pagine del libro “La Notte” di Elia Wiesel

che descrive l’orrore dei campi di sterminio nazisti. Il breve brano parla

dell’impiccagione di un bambino. Centinaia di prigionieri sono costretti ad assistervi.

Ad un certo punto, il protagonista sente un detenuto che vedendo il bambino

penzolare rantolante chiede: “Dov'è Dio? Dove si trova?”. Il peso del corpo non è

sufficiente a spezzargli il collo, così il bambino muore lentamente. Alle domande:

“Dov’è Dio? Dove si trova?”, un’altra voce tra le centinaia di internati risponde:

“Egli è qui! E’ appeso qui su questa forca!”.

Cosa significa? Che Dio è accanto all’Uomo nella sofferenza, oppure che il

verificarsi di un orrore del genere è la prova evidente che Dio è agonizzante o,

meglio, che non è mai esistito per davvero?

Questa domanda è un pugno allo stomaco, ma ci aiuta a cercare un senso

autenticamente cristiano alla realtà della sofferenza.

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Ma cosa ci dice il Catechismo?

A conclusione del nostro percorso nell’inestricabile problema del perché del Male,

leggiamo ciò che afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica:

La provvidenza e lo scandalo del male

309 Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura

di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante

quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata

potrà bastare. È l'insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale

questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio

che viene incontro all'uomo con le sue alleanze, con l'incarnazione redentrice del suo

Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei

sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono

invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche

sottrarsi. Non c'è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto,

una risposta al problema del male.

310 Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere

alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di

migliore. 392

Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente

voluto creare un mondo « in stato di via » verso la sua perfezione ultima. Questo

divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa

di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura

anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico,

finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione. 393

311 Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso il

loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi possono,

quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. È così che nel mondo è entrato il male

morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo,

né direttamente né indirettamente, la causa del male morale. 394

Però, rispettando la

libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene: « Infatti

Dio onnipotente [...], essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un

qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e

buono da trarre dal male stesso il bene ». 395

312 Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può

trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue

creature: « Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. [...] Se voi avete pensato del

male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene [...] per far vivere un

popolo numeroso » (Gn 45,8; 50,20).396

Dal più grande male morale che mai sia stato

commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli

uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia,397

ha tratto i più grandi beni: la

15

glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un

bene.

313 « Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio » (Rm 8,28). La testimonianza

dei santi non cessa di confermare questa verità: Così santa Caterina da Siena dice a «

coloro che si scandalizzano » e si ribellano davanti a ciò che loro capita: « Tutto

viene dall'amore, tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a

questo fine ». 398

E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: «

Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga,

per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio ». 399

E Giuliana di

Norwich: « Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e

quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene

[...]. Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene ». 400

314 Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie

della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà

termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio « a faccia a faccia » (1

Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi

del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di

quel Sabato 401

definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra.”

שלום עליכם

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TESTI DI RIFERIMENTO

Il Cieco Nato. (Giovanni cap. 9) [1] Passando vide un uomo cieco dalla nascita [2] e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?". [3] Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.”

Parabola del Buon Grano e la zizzania.(Matteo cap. 13) [1] Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. [2] Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia… [24] Un'altra parabola espose loro così: "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. [25] Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. [26] Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. [27] Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? [28] Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? [29] No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. [30] Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio".

Giobbe chiama Dio a giudizio. (Giobbe cap. 9) [1] Giobbe rispose dicendo: [2] In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione innanzi a Dio? [3] Se uno volesse disputare con lui, non gli risponderebbe una volta su mille. [4] Saggio di mente, potente per la forza, chi s'è opposto a lui ed è rimasto salvo? [5] Sposta le montagne e non lo sanno, egli nella sua ira le sconvolge. …[7] Comanda al sole ed esso non sorge e alle stelle pone il suo sigillo. …[10] Fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare. [11] Ecco, mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non m'accorgo. [12] Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire? Chi gli può dire: "Che fai?". … [14] Tanto meno io potrei rispondergli, trovare parole da dirgli! [15] Se avessi anche ragione, non risponderei, al mio giudice dovrei domandare pietà. …[19] Se si tratta di forza, è lui che dà il vigore; se di giustizia, chi potrà citarlo? [20] Se avessi ragione, il mio parlare mi condannerebbe; se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo. [21] Sono innocente? Non lo so neppure io, detesto la mia vita! [22] Per questo io dico: "È la stessa cosa": egli fa perire l'innocente e il reo! ...[29] Se sono colpevole, perché affaticarmi invano? …[32] Poiché non è uomo come me, che io possa rispondergli: "Presentiamoci alla pari in giudizio". [33] Non c'è fra noi due un arbitro che ponga la mano su noi due.”