Incipit_Sangue nero

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Stéphanie Hochet Sangue nero LIBRI PICCOLI VOLAND•35

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Il fascino esercitato dai tatuaggi spinge il protagonista a disegnare per un tatuatore, il suo amico Dimitri. A lungo incerto se cedere alla tentazione di offrire la propria pelle ad aghi e inchiostro, è una frase latina sul trascorrere delle ore – Vulnerant omnes, ultima necat – a fargli cambiare idea. Il tatuaggio che Dimitri realizza sul suo plesso solare è destinato a stravolgergli la vita e il rapporto con le donne. In breve però le prime parole iniziano inspiegabilmente a sbiadire e l’uomo avverte i sintomi di uno strano malessere… Uno stile denso e potente per un romanzo ai confini del fantastico, una meditazione sensuale sul sangue e la scrittura, l’oblio e la memoria.

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Stéphanie HochetSangue nero

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Stéphanie HochetSangue nerotraduzione di Monica Capuani

Voland

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Titolo originale: Sang d’encre© Èditions des Busclats, 2013

© dell’edizione italianaVoland Srl Roma 2015

Tutti i diritti riservati

Prima edizione: giugno 2015

ISBN 978-88-6243-181-1

Per la redazione di questo libro l’autrice ha beneficiato di una residenza di scrittura a Villa Marguerite Yourcenar e di una borsa del Conseil général du Nord.

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“Era contento di ogni tatuaggio nuovo per circa un mese,

poi il disegno cominciava a perdere ogni attrattiva.”

FLANNERY O’CONNOR, La schiena di Parker

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Tendenze di moda: braccialetto tribale, stelle, cognomi(Beckham, Scarface, Soprano...).

Lettere cinesi sul collo – evitare il collo se è la primavolta.

Pistole: liner, shader, magnum. Dispositivo rumorosoo silenzioso. Inchiostro. Qualità dei neri. Pigmentipuri, nero denso, la rarità giustifica il prezzo. Capsuled’inchiostro. Guanti. Disinfettante, alcol. Cellophane.

Sulla pancia, fa venire da vomitare. La sensibilità delle costole impedisce il pensiero.

Malleolo, clavicola, plesso, gomiti e ascelle: dolori me-morabili. La sensazione che un’unghia ti graffi, lenta-mente. La bruciatura evoca un oggetto famoso e inos-sidabile, strumento di un’incisiva precisione: lo scal-pello... La cosa più dolorosa è il riempimento, la colora-zione punto per punto dello spazio tra due linee. Siconsiglia di non essere a digiuno.

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Era diventato un chiodo fisso. Da almeno vent’anni. Latentazione era cresciuta con il tempo. Il tabù che la cir-condava non l’aveva indebolita, anzi. Senza quell’in-terdizione familiare, avrei più rapidamente ceduto, vol-tato pagina. Non avrebbe meritato che vi indugiassi. Iltabù ha ipostatizzato la fantasia.

All’età di quindici anni, avevo pensato a degli em-blemi totemici, musi di lupo, segni di appartenenza aun clan. Sognavo di essere il capo di una banda, il lea-der di un partito politico. Le ideologie mi davano i bri-vidi, il potere, sì, di questo si trattava. In quel momentomi sentivo insensibile a tutto. Quell’anno ero stato ri-coverato in ospedale per una malattia grave. Chiuso inuna stanza per mesi, i miei pensieri continuavano a gi-rare a vuoto. È stato allora che ho cominciato a dise-gnare. Tutte le pagine dei miei quaderni erano copertedi armi, di croci. Croci che non erano simboli cristiani.

Sono guarito, non sono più il ragazzo ossessionatodal culto del capo, dalla guerra e dalle teorie che vo-

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gliono giustificarla. Guarire non ha riguardato sol-tanto il mio corpo.

Ho voltato le spalle alla febbre dei conflitti, ma con-servo il gusto delle croci e dei tatuaggi. Quel gusto nonlo perderò mai. Se mai si può dire mai.

Un giorno avrei ceduto, ne ero certo. Sarebbe statauna cosa simbolicamente forte come il servizio mili-tare, la perdita della verginità, il matrimonio e lamorte. In molte civiltà il tatuaggio costituisce un ritodi passaggio per il giovane che accede all’età adulta.Per quanto in ritardo sul mio orologio biologico, ionon avevo detto l’ultima parola. Farlo, certo, restava dasapere dove, quando, a opera di chi, e soprattutto cosa.Osservavo quelli che vedevo sugli altri. Mi sembravanoapprossimativi. Ridicoli. Quelle persone avevano ri-flettuto profondamente sul significato, sul messaggioche trasmettevano? Avevano preso quella decisioneper un colpo di testa? Non si erano poi pentiti? Non sipossono rivolgere apertamente queste domande, manon è che non me le ponessi. Al posto loro, non avreimesso lì quella stella e, d’altronde, non l’avrei neanchedisegnata in quel modo. Ancora un attimo di rifles-sione circa il disegno.

La mente si apre con il disegno. Pensate di cono-scere le forme ma no, non le conoscete. Il tratto vi

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porta verso qualcosa che non avevate in testa, in-somma, immaginavate qualcosa di simile a quello, maalla fine è quello più qualcos’altro che non avevate inmente. È la sorpresa. E anche la difficoltà. Come ren-dere la medusa filamentosa, il vento nel ciliegio infiore, la scheggia di vetro sulla canna di una pistola,la flocculazione nera sul pugnale del Bhutan? (Amoreper la precisione). Difficoltà molto più grande se si haintenzione di applicare il disegno sul corpo. Pensareagli artisti di Lascaux che sapevano utilizzare i rilievi,le curve delle pareti per includerli nei loro disegni,come un rigonfiamento della roccia per rappresen-tare la gobba di un animale. Giocare con quello chevi ha dato la natura. Esercitarsi su un foglio piatto sa-pendo che non c’è niente di piatto sul corpo umano.Il corpo ha orrore del piatto. Quale parte scegliere? Ilfianco, il braccio (l’eterna moda dei marinai), il collo?Sapere che bisogna sempre evitare il gomito, ilplesso, la pianta dei piedi, l’interno della mano. Al difuori di questo, tutto è tatuabile. Tatuabile? Allora cosascegliere? Che significato dare alla parte del corpoche avete scelto? Sentirsi Dio per il fatto di designareil luogo in cui la punta penetrerà, perché solo Dio de-cide di isolare quella parte del corpo nella malattia onell’incidente che spezzerà le ossa.

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I tatuaggi vi raccontano il mondo, le credenze degliuomini. Presso i Greci e i Romani si tatuavano glischiavi. Con una civetta per gli assoggettati greci, men-tre i Romani preferivano applicare tra i due occhi deglischiavi il marchio della prima lettera del patronimicodel padrone... L’uomo ritrovato sulle Alpi, la cui mum-mia rivela che è vissuto nel 4.546 a.C., quello che è statochiamato Ötzi ed è stato ribattezzato Hibernatus, erastato tatuato anche lui. Dai Pitti in Scozia agli abori-geni in Australia passando per l’Asia, la pelle è stata fe-rita per introdurvi l’inchiostro oppure un altro omag-gio, quella marchiatura sulla pelle (l’ebraismo proibi-sce il tatuaggio: “Non vi farete incisioni sul corpo perun defunto, né vi farete segni di tatuaggio”, Levitico,capitolo 19, versetto 28) è stata percepita come un’of-fesa. E cosa dire del marchio di Caino? Non è forse iltatuaggio per eccellenza? Il marchio che vi segue,quello che vi espone, per sempre. Tra i segni distintiviche interessano agli uomini della polizia, il tatuaggio èun indizio di prima scelta. Fino a non molto tempo fasolo i brutti ceffi, uomini dal torbido passato e dalle in-tenzioni pericolose, sfoggiavano simili ornamenti. Sipuò immaginare Querelle de Brest senza l’ancora ta-tuata? Ogni particolare del tatuaggio veniva annotatosu schede e permetteva di identificare i criminali.

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Rose frantumate da una pallottola di revolver, dea in-diana che distende le braccia in una danza conturbante,rottweiler che fa a brandelli la spalla del proprietario,clown, scimmia giocoliera, prua di un vascello cheemerge dalla carne, ragno dal volto umano che aspirauna Lucky Strike, orso, lupo delle steppe, del Kazakistano della Tasmania, pin-up, mamma-ti-voglio-bene, Lola-per-la-vita, nobody’s perfect, ecc. E poi le croci, ogni ge-nere di croce: latina, greca, papale, celtica o egizia. Cen-tinaia sparse per il mondo. Esoterismo, spiritualismo,simbolo religioso, militare, politico. Poetico.

Di te ne saprò di più quando avrò visto. Con qualeimmagine, con quale frase profani la tua pelle? Cos’èche varrebbe la pena di far durare tanto quanto il tuostesso corpo, di far decomporre con te?

Ho visitato tante botteghe per conoscere un tatua-tore che volesse parlarmi con precisione del mestiere.Ho girovagato tra il nono, il decimo e l’undicesimo ar-rondissement di Parigi. Non affabili, non chiacchie-roni, non limpidi. L’ex marinaio diventato saggio fur-fante con un’attività ben avviata che lavora senza deli-catezza non m’interessa. Se calca troppo, disegnamale, risparmia sul materiale, mi allontano. Ripasserò,dico per educazione.

E poi, ho conosciuto Dimitri.

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PRIMAVERA

Vado in Italia, a Torino. Parto alla scoperta della pianadel Po. Un amico, Claudio, mi ospita nel suo apparta-mento in centro, sopra i portici. Grandi stanze, soffittoalto, fregi sulle pareti. Qui hanno abitato famiglie bor-ghesi, una generazione dopo l’altra, in epoche propi-zie. Oggi queste stanze offrono riparo a una coppiad’intellettuali. Claudio insegna latino all’università, escrive romanzi pieni di sensibilità ed erudizione cheportano il lettore nel Medioevo. La sua compagna, Ma-rilisa, è un critico d’arte.

Fa caldo. L’estate è arrivata un po’ in anticipo, e si èinstallata tra le colline: l’aria è pesante. Usciamo per lestrade della città solo nel tardo pomeriggio. Ritrovo lechiese, i caffè, le piazze, i negozi minuscoli in cui si puòparlare con il bottegaio. Andiamo a spasso.

Il giorno seguente, è Marilisa a guidare la piccolaFiat. Claudio non ama le macchine, diffida della velo-cità e dell’aggressività della gente al volante. Il suo tem-peramento contemplativo lo assorbe troppo perché

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possa guidare. Molte ore di strada. Ho tutto il tempoper ripensare alle foto del delta del Po scattate dall’ae-reo. Gradazioni di banchi di sabbia, nuvole color allu-minio, azzurro intenso del mare Adriatico, il Po ser-peggia fino all’acqua salata quando una parte di sé (ilsuo inconscio di fiume) è presa da una velleità d’indi-pendenza, si separa e scorre fino alla foce secondo ilproprio estro. Passeggiamo sulle sponde. Le spondesognanti. Devastate in tempo di piena dall’acqua im-prevedibile. Stupri di terre a opera del fiume, viene inmente lo stupro di Lucrezia. Pensare alla vecchia Italia,alle terre fino a poco tempo fa sommerse sulle qualicamminiamo. Agli Etruschi e ai Romani. Durante que-sta passeggiata, Claudio mi prende sottobraccio: ti an-drebbe di vedere il museo delle antichità? Claudio eMarilisa venerano la cultura e hanno la caratteristicadi ammirarla anche nei luoghi confinati.

Sì, che bella idea. Marilisa guarda l’orologio. Biso-gna sbrigarsi, allora.

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MUSEO

Con le vacanze di Pasqua, i miei amici hanno un po’ ditempo. Abbiamo continuato il nostro itinerario fino aGenova. Esemplari di monete con l’effigie di TolomeoXIII Filopatore, anfore, piatti di terracotta, mosaici consu scritti i nomi degli eroi gladiatori. Oggetti meravi-gliosi e oggetti noti. All’improvviso, dietro una vetrina,una targa. Una meridiana di una semplicità assolutacon lo stilo teso e le cifre pleonasticamente romane, diun nero color insetto sulla pietra gialla, con le ore cheattendono che l’ombra dello stilo le designi, e il temposospeso.

Un’iscrizione. Scritta in piccolo, certo, ma leggibile:Vulnerant omnes, ultima necat. Dal momento che eronegato in latino al liceo e che non ho mai tentato di col-mare quella lacuna, chiedo a Claudio di tradurla perme.

Tutte feriscono, l’ultima uccide. Ripeto la frase latina. In un primo momento ad alta

voce. Intende le ore, aggiunge Claudio.

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Non riesco a capire perché quella frase susciti in mesorpresa ed emozione. Non dico niente, immagazzinonon so cosa. Turbamento, vertigine, ore, precisamente.Non riesco a staccarmi dalla vetrina dietro la quale sitrova, sopraelevata da un piccolo elemento di plastica,la meridiana.

Non sono un feticista degli orologi, io non lo portoneanche. Un’amica del cuore me ne aveva regalatouno, antico, che esibiva gli stemmi della sua famiglia...Quando l’orologio si è rotto, ci ho visto un segno. Il no-stro tempo era terminato. Ci siamo separati alcune set-timane dopo, senza spiegazioni reciproche. Coinci-denze della vita. Mi ha evitato il matrimonio. Il matri-monio? Lo avevo sentito arrivare, insidiosa unione chesolo la morte è in grado di sciogliere. La felicità san-cita per contratto.

Si trova spesso quella frase sulle meridiane dei Ro-mani, precisa Claudio. Necessità di incidere un me-mento mori su quello che serviva loro da orologio. Oggi,chi oserebbe scrivere quella frase sul proprio swatch?Oggi nessuno vuole pensare alla morte.

Continuiamo la visita del museo genovese. Ma sonostanco. Marilisa si attarda rispettosamente davanti aogni opera d’arte, a qualunque oggetto comuned’epoca romana, leggendo con concentrazione le di-

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dascalie esplicative. Là, una serie di oggetti per la toi-lette delle signore, pettini, specchi, più avanti giocat-toli, statuette di cavalli, di orsi...Vedendo quello che laterra ha rigurgitato, immagino quello che gli scavi nonhanno ancora rivelato, le tracce di vita umana che con-tinuano a macerare nelle viscere del sottosuolo. Restidi Etruschi e di Romani. Se si scava ancora un po’, si ri-trova Cro-Magnon, Neanderthal... difficile limitare lenostre fantasie sugli antenati, ci piacerebbe vederlianimarsi, abbandonarsi a danze macabre parecchimetri sotto terra.

Di ritorno a Torino, nell’appartamento di Claudio eMarilisa, annoto l’adagio su un foglio di carta. Raresono le formule così dense e concise. Lì dentro c’ètutto. La sua bellezza mi colpisce come un oggetto per-fetto. Potrebbe essere un vaso Ming o una statuetta del-l’antico Egitto. È una frase. Un chiasmo, mi spiegaClaudio. Una figura retorica che dispone le parole acroce.

Claudio ha appena pronunciato la parola “croce”.Resto interdetto. Non è soltanto il significato, è anchela forma che attribuisce alla frase la sua seduzione.Giro il foglio e annoto la formula in modo che somiglivisivamente a una croce, con la seconda parte che at-traversa la prima come una linea perpendicolare. Clau-

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dio si china su quello che somiglia a un ideogramma.Sorride. Sì, mormora, è assolutamente questo. Re-stiamo per un momento sognanti davanti a quellafrase che è diventata un disegno. Un enigma.

Marilisa domanda se è una cosa comune farsi ta-tuare delle frasi.

Sì, una moda che si è diffusa negli ultimi anni.Quello che non ti uccide ti renderà più forte ha ottenutoun notevole successo, Nietzsche è diventato cool. Tragli americani, soprattutto tra gli affiliati alle gang o trachi vorrebbe farne parte, si vede spesso Only God CanJudge Me, arroganza verbosa tipica del delinquente. Ilproblema, spiego a Marilisa, è che un tatuaggio del ge-nere è originale per colui o colei che lancia la moda.Quando viene imitato, vira al ridicolo, allo slogan ado-lescenziale. A che pro coinvolgere il proprio corpo setutti si riconoscono in quello che vi siete tatuati?

Parlo spesso di questa professione a Marilisa e Clau-dio. Loro sanno che propongo dei disegni a un tatua-tore, che il tatuaggio è la mia passione. Anche se nonho ancora ceduto alla tentazione di offrire la mia pelle.

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TATUAGGIO

Dimitri è più di un professionista, è un artista. Lavoracon una macchina rotativa ultimo grido, silenziosa. Al-cune persone hanno affermato di non aver sentitoquasi niente mentre le tatuava. Il miracolo è tutto suo,il miracolo della sua pressione, del suo tocco delicato.Dimitri ha stabilito il suo regno nella Parigi tatuata,tutti quelli che frequentano l’ambiente conoscono ilsuo nome.

Alto e grosso, il cranio perfettamente liscio, con pro-tuberanze di carne sulla nuca, sarebbe inutile (folle) at-taccare briga con lui. In un’epoca più sanguinaria,avrebbe svolto la funzione del boia, o del macellaio.L’aspetto, il corpo parlano per lui. Lo sguardo senzaombra di follia o di emozioni, e senza neanche mali-zia. L’uomo intimidisce e allo stesso tempo rassicura.Se non tatuasse, sicuramente sarebbe un buon mas-saggiatore: lavoro di mani sul corpo. Si intuisce la moledei suoi muscoli. Ispira una fiducia che rasenta la purae semplice sottomissione.

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Non saprei quasi niente del mestiere senza di lui.L’ho guardato lavorare. Mi ha esortato a esercitarmicon un liner su delle false pelli. Strane imitazioni delderma sulle quali ci si fa la mano. Io le ho prese e lavo-rate, affascinato. Non riuscendo a impedirmi di ri-pensare a quegli abat-jour confezionati con la pelleumana nei campi di sterminio nazisti. Oppure agliopuscoli medici con le immagini di uomini scuoiati,arti aperti e pelle squarciata.

A Dimitri sono piaciuti i miei disegni. Anche lui di-segna piuttosto bene, ha un tratto sicuro, fantasioso.Ma io gli ho proposto modelli diversi: personaggi me-dioevali a cavallo di draghi, chimere sotto le stelle,segni cabalistici. Hanno apportato un tocco esotericoalla sua collezione.

Un giorno mi ha detto: puoi tatuare me se vuoi eser-citarti sulla pelle vera. Ma io non ho osato. Mi turbava,quel regalo, quella possibilità così vicina, quell’intru-sione accettata sul suo corpo. Mi ha fatto paura. Ci hovisto un’offerta paragonabile a una proposta sessuale.Tipo: mi puoi prendere, lo sai.

Ha il corpo coperto di figure strane, di simboli, diogni genere di tatuaggio cosmico. Alcuni disegni sononati dalla mia immaginazione, ma è stato lui a intro-durre l’inchiostro sotto l’epidermide. L’ho osservato ta-

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tuarsi la coscia, le gambe, parecchie volte. La cosa nongli pone problemi, al contrario, lo preferisce, dice cheè meno doloroso quando ci si opera da soli. Ho ammi-rato la sua calma, la sua meticolosa attenzione, le suemani massicce che tendono la pelle. Si è asciugato conla carta assorbente, che è diventata rossa; i colori deltatuaggio erano intensi come macchie di sangue.

Torno dall’Italia con una serie di nuovi schizzi. Rap-presentazioni di monete d’epoca romana, belle teste diimperatori incise nell’oro, volti dall’espressione piùselvaggia, con i capelli arruffati, gli occhi sgranati. Mipiace il loro mistero.

Le undici, Dimitri ha appena aperto la bottega. Nonlo vedo da due settimane, mi è mancato. Abbraccio. Lasua mano sulla nuca mi sbalordisce per la forza e il ca-lore, mi sento un gattino afferrato per la collottola:anestetizzato e fiducioso. Ti trovo bene, dice. Ti portodei disegni made in Italy. Apro la cartella, mi tremanole mani per l’eccitazione.

Mettili lì, sul tavolo. Il tavolo = la sua scrivania dove è sparso un caos di

fogli di carta, siringhe, bottiglie d’alcol, un rotolo dicellophane, dei guanti di lattice. Riesco a trovare unposto per i miei fogli. Dimitri osserva i disegni in si-lenzio, con l’occhio che scruta ogni dettaglio. Solleva

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le pagine, una dopo l’altra, degli uhm escono dal suogrande corpo maschio. Si ferma più a lungo sull’ultimapagina. Legge ad alta voce: Vulnerant omnes, ultimanecat. Ah sì, le meridiane latine, aggiunge. Nientemale, davvero niente male, questo. Il suo indice pie-gato preme sulla frase.

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