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Anno I Pubblicazione numero 2 2005 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Jacopo Tognon Emanuele Paolucci Michela Pigato Direttore Responsabile Mario Liccardo ______________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa Periodico quadrimestrale - 1 -

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Anno I      Pubblicazione numero 2        2005 

     

GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica 

 Direzione e Fondatori 

 Enrico Crocetti Bernardi  Antonino de Silvestri  Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon 

 Comitato di Redazione 

  Jacopo Tognon 

Emanuele Paolucci Michela Pigato 

 Direttore Responsabile 

  Mario Liccardo 

 ______________________________________________________________ 

Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero  1902 del Registro Stampa 

‐ Periodico quadrimestrale ‐ 

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INDICE DEL FASCICOLO 2°

PARTE PRIMA

DOTTRINA

ALESSIA BELLOMO, Disciplina e funzionalità del c.d. scioglimento del vincolo sportivo

pag . 3

GIUSEPPE GLIATTA , Il mandato di arresto europeo e il caso Rumsas pag. 27

GUIDO MARTINELLI , Il rapporto di lavoro nello sport dilettantistico: problematiche e prospettive

pag. 37

LUCIO COLANTUONI , Il contratto di merchandising in ambito sportivo pag. 55

PARTE SECONDA

NOTE A SENTENZA

ANGELO CASCELLA , Illegittima la duplicazione dei compensi per gli agenti dei calciatori.

pag. 73

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DISCIPLINA E FUNZIONALITA’ DEL C.D. SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO SPORTIVO

SOMMARIO: Premessa 1. Lo svincolo per decadenza 2. La giusta causa 3. Lo svincolo per rinuncia 4. Lo svincolo per inattività dell’atleta 5. Lo svincolo per cambiamento di residenza dell’atleta 6. Il c.d. riscatto del cartellino 7. Altre ipotesi di svincolo 8. Conclusioni.

Premessa

Il vincolo sportivo è istituto comune alla maggior parte delle Federazioni Sportive Nazionali

italiane: come è noto si costituisce al momento del tesseramento dell’atleta ed i doveri correlati alla sua presenza sono descrivibili attraverso due obblighi1: il primo, a contenuto positivo, si risolve nell’imposizione all’atleta di prestare la propria attività in favore dell’affiliato vincolante e di sottoporsi alle sue direttive nello svolgimento della prestazione agonistica; il secondo, a contenuto negativo, consiste nel divieto di prestare la propria abilità sportiva per conto di affiliato diverso da quello vincolante. Dei due obblighi, soltanto il secondo è sanzionato a livello disciplinare in caso di violazione, sia nei confronti dell’atleta che dell’associazione, mentre il primo obbligo risulta non perseguibile a livello disciplinare dalla federazione: formalmente, infatti, l’atleta è libero di decidere se partecipare o meno alle competizioni sportive della squadra di appartenenza, anche se sovente accade che, in caso di propensione al trasferimento ed in mancanza del consenso dell’affiliato, l’unica alternativa per sottrarsi agli obblighi scaturenti dal vincolo sportivo sia l’inattività.

Esaminando la disciplina prevista dalle federazioni sportive nazionali relative agli sport maggiormente diffusi nel territorio italiano si apprende come tra le varie Carte federali non sia riscontrabile un atteggiamento uniforme; infatti, se l’istituto del vincolo è carattere comune alla quasi totalità delle stesse, le modalità di applicazione differiscono l’una dall’altra. E’ comunque possibile suddividere tali modalità distinguendo le federazioni sportive nazionali in tre gruppi: un primo composto da federazioni attinenti a sport individuali2, caratterizzati dalla coincidenza della

1Cfr. De Silvestri, Il contenzioso tra pariordinati nella Federazione Italiana Giuoco Calcio, in Riv. dir. sport, 2000, p. 524, e Pasqualin, Il vincolo sportivo, in Riv. dir. sport, 1980, p. 288: “la società ha in primo luogo il diritto di utilizzare le prestazioni del giocatore; in secondo luogo, ha il potere di inibire a quest’ultimo di prestare la propria attività a favore di altra compagine” mentre il giocatore “ha il dovere di fornire la proprie prestazioni alla società per cui è vincolato ed ha il dovere di non prestare la propria attività per altra società, senza il consenso di quella per cui è vincolato”.

2Cfr. art. 7, Statuto F.I.G.I., in www.federginnastica.it, art. 39 Regolamento Organico F.I.Tri., in www.fitri.it, art. 11, Regolamento Organico F.I.C., in www.canottaggio.org., art. 16, Regolamento Federale F.I.C.K., in www.federcanoa.it, art. 11, Statuto F.I.P.M., in www.fipm.it, art. 40, Regolamento Organico F.I.S.G., in www.fisg.it, ad eccezione del vincolo attinente all’hockey

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durata del vincolo sportivo con la durata del tesseramento, ovvero una stagione sportiva; un secondo composto da federazioni attinenti a sport sia individuali che di squadra3, che attribuiscono al vincolo sportivo una durata massima di quattro anni, coincidenti nella maggior parte dei casi con il quadriennio olimpico; infine, un terzo gruppo composto da federazioni attinenti a sport di squadra4 che prevedono la coincidenza della durata del vincolo con un periodo di tempo prolungato, che sovente comprende gli anni di maggiore potenzialità sportiva della carriera agonistica dell’atleta, fino a coincidere con la durata a tempo indeterminato5. Per quest’ultime la durata del vincolo va ad incidere sulla quasi totalità della carriera agonistica degli atleti, per giungere fino alla durata a tempo indeterminato6, prevista dalla Federazione Italiana Pallavolo; di fronte a tali discipline, assume importanza fondamentale l’istituto del c.d. svincolo, ovvero la possibilità riconosciuta all’atleta di cambiare affiliato presso cui prestare la propria abilità sportiva. E’ necessario, pertanto, esaminare disciplina e funzionalità dello stesso presso le principali federazioni in causa, ovvero F.I.G.C., F.I.P.A.V. e F.I.P., prestando particolare attenzione alla giurisprudenza degli organi di giustizia specializzati nella materia.

1. Lo svincolo per decadenza.

Si è accennato al fatto che la durata a tempo indeterminato del vincolo sportivo sia

riscontrabile unicamente nelle Carte Federali della F.I.P.A.V.: nelle restanti normative in esame, la durata è concretamente determinabile sulla base dell’istituto della c.d. decadenza del vincolo, operante per ogni atleta al momento del compimento di una prestabilita soglia d’età. Dal raggiungimento di questo limite in poi, lo sportivo può validamente tesserarsi per un qualsiasi affiliato di suo gradimento, con la sicurezza di riacquistare la libertà sportiva alla fine di ogni stagione.

Per quanto riguarda la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la decadenza va ad incidere sul vincolo che si costituisce per i dilettanti dal quattordicesimo anno di età: in precedenza la durata è

ghiaccio, artt. 26 e 28, Regolamento Organico F.I.S., in www.federscherma.it, art. 23, Statuto F.I.G., in www.federgolf.it, art. 77, Regolamento Organico F.I.T., in www.federtennis.it.

3Cfr. art. 43, Regolamento Organico F.I.J.L.K.A.M., in www.fijlkam.it, art. 40, Regolamento Organico F.I.S.G., in www.fisg.it, per quanto riguarda il vincolo attinente all’hockey ghiaccio, art. 33, Regolamento Organico F.I.V., in www.federvela.it, art. 13, Regolamento Organico F.I.DA.L., in www.fidal.it, art. 14, Statuto F.I.R., in www.federugby.it, art. 12, Statuto F.P.I., in www.fpi.it, art. 14, Regolamento Organico F.I.T.Arco, in www.fitarco.it, art. 4, Statuto F.C.I., in www.federciclismo.it., disposizioni sul vincolo, Circolare Affiliazione e Tesseramenti F.I.N., in www.fin.it., p. 13.

4Cfr. art. 31, Norme Organizzative Interne Federazione Italiana Giuoco Calcio, in www.figc.it, art. 1, Regolamento Esecutivo F.I.P., in www.fip.it, art. 26, Regolamento Organico F.I.H., in www.federhockey.it, art. 12, 2° comma, Statuto F.I.B.S., in www.baseball-softball.it, art. 31, Regolamento Affiliazione e Tesseramenti F.I.P.A.V., in www.federvolley.it.

5E’ il caso della Federazione Italiana Pallavolo, vedi art. 31, 1° comma, R.A.T.: “il vincolo dell’atleta nei confronti dell’associato dura a tempo indeterminato” salvo i particolari casi di atleti nati nelle annate comprese tra il 1992 ed il 1996 e per i giocatori di beach volley per cui, invece, il vincolo è a tempo determinato e coincide con una stagione sportiva .

6Un’eccezione al vincolo a vita è riscontrabile all’interno del settore relativo alla pratica del beach-volley6, disciplina sportiva autonoma rispetto alla pallavolo tradizionale che, tuttavia, a livello di organizzazione, fa capo alla stessa federazione.

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fissata in una stagione sportiva per i calciatori giovani7, ovvero gli atleti che abbiano compiuto l’ottavo anno di età, ma non ancora il sedicesimo, che pertanto al termine del periodo indicato sono svincolati di diritto; è tuttavia possibile, per il calciatore tra i dodici ed i quattordici anni, assumere vincolo biennale con la stessa associazione per cui si è intenzionati o si è già assunto vincolo annuale. Quest’ultimo tipo di impegno può essere sciolto soltanto dalla Commissione Premi Preparazione8, in deroga alla competenza della Commissione Tesseramenti.

Dal compimento del quattordicesimo anno di età è ulteriormente possibile che il calciatore giovane acquisisca la differente qualifica di “giovane dilettante”9, status che prevede il costituirsi di un vincolo di durata pluriennale, coincidente con il periodo che termina con il compimento del venticinquesimo anno d’età del calciatore o della calciatrice. In termini di vincolo sportivo, pertanto, i giovani dilettanti sono equiparati ai non professionisti10, qualifica che comunque viene loro automaticamente attribuita al raggiungimento della maggiore età.11

Il limite indicato è il risultato di una recente riforma che ha portato la Federazione Italiana Giuoco Calcio a modificare, dopo decenni, la disciplina del vincolo sportivo per i dilettanti: in precedenza, la durata del vincolo per i non professionisti era, infatti, a tempo indeterminato12, ma, dalla stagione sportiva 2002/2003, sulla base delle nuove disposizioni, è invece presente fino al compimento del venticinquesimo anno d’età dell’atleta13.

Il rispetto dei requisiti formali è condizione essenziale per poter ottenere lo svincolo soltanto per quanto riguarda la comunicazione nei termini indicati al Comitato Regionale di riferimento; la Commissione Tesseramenti14 ha avuto occasione di precisare, infatti, che l’irregolarità nel

7Cfr. art. 31, Norme Organizzative Interne Federazione Italiana Giuoco Calcio.

8Cfr. art. 31, 3° comma, N.O.I.F.

9Cfr. art. 32, 1° comma, N.O.I.F.

10Cfr. art. 29, 1° comma, N.O.I.F.

11Cfr. art. 32 bis, 2° comma, N.O.I.F.

12Vedi, tra le altre, Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Gandini, in Comunicato Ufficiale n. 31/D del 11 maggio 2000, inedita, in cui il genitore dell’atleta “deduce di non aver mai sottoscritto alcun modulo di tesseramento in favore della detta società sportiva e, inoltre, di avere manifestato la propria contrarietà al vincolo a vita che si sarebbe consolidato con la sottoscrizione in parola” e Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Piazzolla, in Comunicato Ufficiale n. 29/D del 20 aprile 2001, inedita: la scarsa conoscenza della normativa attinente al vincolo a tempo indeterminato è alla base del ricorso, in cui la madre dell’atleta “deduceva di aver apposto la propria firma nella convinzione – in lei radicatasi in virtù delle assicurazioni in tal senso fornite dal direttore sportivo – che il vincolo riguardasse” solo l’impegno relativo alla stagione 1999/2000, mentre l’associazione escludeva “qualsiasi raggiro posto in essere al fine di mascherare un vincolo a tempo indeterminato”.

13Cfr. art. 32 bis, 1° comma, N.O.I.F.

14Cfr., tra le altre, Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Ferri, in Comunicato Ufficiale n. 9/D del 31 ottobre 2002, inedita, secondo cui i richiamati artt. 32 bis e 32 ter, contemplanti lo svincolo per decadenza, “non prevedono per la società opposizioni o eccezioni di ordine formale e/o procedurale e coerentemente non contemplano alcuna sanzione per la mancata o irregolare rimessione di copia della richiesta di svincolo alla società”, e Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Mori, in Comunicato Ufficiale n. 9/D del 31 ottobre 2002, inedita, secondo cui “il secondo comma dell’art. 32 bis autorizza la società a

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compimento delle restanti prescrizioni, ovvero comunicazione mediante raccomandata all’associazione, non è sanzionata, diversamente che nella maggioranza dei restanti casi disciplinati dalle N.O.I.F., con la nullità dell’atto: è logico concludere pertanto che, eccezionalmente, la F.I.G.C. abbia voluto inserire un requisito di forma ad probationem, invece che ad substantiam.

Per quanto riguarda la Federazione Italiana Pallacanestro, la durata del vincolo è stabilita dalle Disposizioni Organizzative Annuali15, norme di carattere quasi esclusivamente tecnico attinenti alle concrete modalità di svolgimento delle competizioni, che, per la stagione 2004/2005, stabiliscono il limite in trentadue anni compiuti nella precedente stagione sportiva: per i cestisti nati nell’anno 1973 e precedenti la durata del vincolo sportivo è indicata in un anno fino al termine della loro carriera agonistica.

A differenza di quanto previsto dalla F.I.G.C, gli atleti sono svincolati di diritto al momento del raggiungimento della soglia d’età prevista, senza il bisogno di ottenere una formale convalida da parte della Commissione Tesseramento16. La normativa federale prevede, tuttavia, che alcune particolari clausole apposte al tesseramento del cestista possano essere d’ostacolo allo scioglimento del vincolo17: il riferimento è rivolto alla c.d. comproprietà18, al c.d. diritto di riscatto19 ed al c.d. diritto di opzione.20

2. La giusta causa.

La Federazione Italiana Pallavolo, prevedendo una durata a tempo indeterminato del

vincolo, lega la possibilità del suo scioglimento a due modalità: lo svincolo avviene di diritto, al verificarsi delle situazioni indicate dal 1° comma, dell’art. 33 R.A.T., oppure avviene coattivamente, sulla base di pronuncia favorevole della Commissione Tesseramento Atleti in seguito all’esame della sussistenza dei requisiti facenti sorgere il diritto allo svincolo indicati nel 2° comma dello stesso articolo.

Lo scioglimento del vincolo sulla base di una pronuncia della Commissione Tesseramento avviene nella maggior parte dei casi in seguito alla verifica della sussistenza della c.d. giusta causa21: l’ipotesi è identificata nei casi in cui “l’interruzione definitiva del vincolo risulti equa dopo

presentare l’opposizione non già per motivi procedurali, ma solo per questioni di merito, tant’è che la norma fissa un breve termine di decadenza di sette giorni dalla pubblicazione del provvedimento di concessione o diniego svincolo sul comunicato ufficiale”.

15Cfr. D.O.A. F.I.P. per la stagione sportiva 2005/2006, in www.fip.it, cap. I, p. 27.

16Cfr. D.O.A. F.I.P. 2005/2006, p. 27, art. 10, comma 1.

17Cfr. D.O. A. F.I.P. 2005/2006, p. 27, art. 10, comma 2. La normativa non specifica quale siano le conseguenze derivanti dalla contemporanea sussistenza del raggiungimento del limite d’età prescritto e dell’esistenza di una delle tre clausole indicate: l’interpretazione più probabile sembra essere la prosecuzione del vincolo fino all’estinzione dei diritti societari in causa.

18Vedi art. 20, Regolamento Esecutivo F.I.P.

19Vedi art. 21, Regolamento Esecutivo F.I.P.

20Vedi art. 22, Regolamento Esecutivo F.I.P.

21Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 novembre 2000, atleta Stradiotto, inedita, in cui si precisa che lo scioglimento per giusta causa non coincide con un’ipotesi di scioglimento su richiesta, in quanto l’art.

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avere contemperato l’interesse dell’atleta con quello dell’associato nel quadro delle direttive F.I.P.A.V. ai fini dello sviluppo della disciplina sportiva della pallavolo”.22

All’interno del concetto di giusta causa è possibile riscontrare una serie numerosa di ipotesi che legittimano lo scioglimento del vincolo, con il vantaggio che la Commissione Tesseramento non risulta strettamente legata nel suo giudizio a possibilità di scioglimento tipiche e strettamente formalistiche, con il limite, tuttavia, di non concedere all’atleta o all’associazione la certezza di poter validamente ottenere lo svincolo o contestarlo; nell’ambito della pallavolo, la flessibilità caratterizzante la soluzione adottata è comunque da ritenere preferibile: lo svincolo per la giusta causa non è tuttavia esentato da requisiti di forma e di procedura, stabiliti dal regolamento di giustizia per la proponibilità del ricorso alla Commissione Tesseramento.

Il maggior numero di richieste di svincolo per giusta causa è proposto in seguito alla c.d. incompatibilità ambientale23 sopravvenuta tra atleta ed associato vincolante: le situazioni rientranti in questa categoria sono attinenti a controversie sorte nel corso dell’attività sportiva, in seguito a divergenze sull’organizzazione e la gestione della stessa, e costituiscono, nella realtà, la circostanza principale alla base del desiderio degli atleti di recedere dal rapporto associativo con l’associazione vincolante. La Commissione Tesseramento, pur ammettendo, a differenza di quanto accade all’interno della F.I.G.C., la possibilità dell’esame dell’istanza per questa causa, concede lo svincolo soltanto in seguito alla dimostrazione24, anche mediante testimonianze25, del verificarsi di fatti molto gravi tra dirigenza e atleti26, fatti che “devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi

38 R.A.T. “enuncia le ipotesi di scioglimento coattivo del vincolo, ciascuna delle quali deve trovare oggettiva rispondenza nella realtà” e non sancisce, invece, “la consequenzialità del rapporto richiesta- scioglimento”.

22Cfr. art. 34, 1° comma, R.A.T.

23Nelle stagioni sportive esaminate, dalla 1999/2000 alla 2003/2004, i ricorsi per incompatibilità ambientale esaminati dalla Commissione Tesseramento costituiscono in media il 24% del totale, di cui, tuttavia, ne sono accolti soltanto la metà. I dati non sono ufficiali.

24Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 febbraio 2002, atleti Vannucci e altri, inedita, in cui si precisa che l’onere della prova dei fatti a sostegno del diritto allo svincolo grava sul ricorrente.

25Cfr. art. 20, 2° comma, Regolamento di Giustizia F.I.P.A.V., in www.federvolley.it, in cui si precisa che in giudizio “si può altresì tener conto delle dichiarazioni e deposizioni rese da testimoni”, anche se il procedimento avviene utilizzando soprattutto prove documentali; l’ammissibilità delle testimonianze è valutata discrezionalmente dalla Commissione sulla base del 4° comma dell’art. 20.

26Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 29 ottobre 1999, atleta Garau, inedita, in cui i gravi fatti sono riscontrati nel “non condivisibile comportamento della dirigenza societaria teso più al raggiungimento di obiettivi di lucro che ad una precisa volontà di formazione e crescita tecnica e fisica di atlete in piena età evolutiva”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 23 dicembre 1998, atleta Arrighi, inedita, in cui lo svincolo è concesso nonostante le divergenze sussistano non tra atleta e società, ma tra genitori della ricorrente e società in merito alla gestione amministrativa del sodalizio, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 8 ottobre 2001, atleta Sartelli, inedita, in cui si sottolinea come di fatto “il vincolo tra atleta e società è ridotto ad un mero aspetto tecnico e di tabulato: di fatto si è rotto il rapporto fiduciario per un’impostazione data dalla società che nella realtà non corrisponde alle esigenze dell’atleta, la quale, per la sua età non rientra più nei piani del sodalizio” che la utilizza come “strumento e fonte di introito”. Non è invece considerata giusta causa la richiesta di corrispettivo spropositato per la cessione dell’atleta, vedi Comm. Tess. F.I.P.A.V., 22 gennaio 2004, atleta Lupica, inedita.

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del rapporto, ed in particolare dell’elemento della fiducia”27, che non possono essere integrati nella non condivisione di scelte comportamentali28, nella divergenza di pensiero29, nella semplice volontà di prestare la propria abilità sportiva presso altro associato30, o nei risultati negativi di campionato al termine di una stagione sportiva31; la valutazione della sussistenza di una situazione compromessa al punto di non consentire una normale prosecuzione del rapporto associativo viene operata dalla Commissione “con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto, nonché alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo ed ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto che su di esso possa incidere negativamente”32. Con queste premesse, è evidente che la valutazione della Commissione potrà giungere a conclusioni diverse anche in presenza di un fatto simile, ma rapportato ad un differente

27Cfr., tra le altre, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 febbraio 2002, atleti Vannucci e altri, inedita, vedi anche Comm. Tess. F.I.P.A.V., 17 ottobre 2000, atleta Vantaggiato, inedita, in cui si evidenzia come uno “stato di reciproca diffidenza rende non solo difficile, ma anche non produttivo il mantenimento del vincolo”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 gennaio 2002, atleta Lombardi, in cui si sottolinea come “tra sue contraenti il rispetto reciproco è alla base di un corretto rapporto a tutto vantaggio dei singoli e delle associazioni”.

28Cfr., tra le altre, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 27 ottobre 1999, atlete D’Aiello e Formato, in cui lo svincolo è negato perché “le lamentate inadempienze imputate al sodalizio non appaiono configurabili come elemento di giusta causa, rientrando nel novero dei disguidi amministrativo-organizzativi che non si ritiene abbiano influenza determinante nei rapporti interpersonali”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 novembre 2000, atleta Piergentili, inedita, secondo cui “l’incompatibilità ambientale può integrare un’ipotesi di giusta causa di scioglimento del vincolo fin tanto che sia sorretta da gravi e ripetuti episodi e non anche ogni qual volta si denunzi genericamente un disagio maturato nei confronti della dirigenza del sodalizio”.

29Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 17 ottobre 2000, atleta Vantaggiato, inedita, in cui si osserva che non costituiscono giusta causa “una serie di reciproche accuse, di episodi e presunte violazioni ad impegni assunti ed immediate contestazioni di legittimità e di merito per far apparire grevi di responsabilità e di significato delle normali diversità di vedute facilmente appianabili e comprensibili in un lineare e corretto rapporto interpersonale”.

30Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 12 ottobre 1999, atleta Novello, inedita, in cui lo svincolo è negato perché non è possibile accettare “come motivo di giusta causa la semplice e non motivata volontà di andarsene in altro sodalizio”, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V. 13 dicembre 1999, atleta Niggi, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 dicembre 2001, atleta Marando, inedita, che precisa che “non è sufficiente, ai fini dello scioglimento del vincolo, manifestare la volontà (effettiva o potenziale) di poter giocare o tesserarsi per altro sodalizio”.

31Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 novembre 2000, atleta Raschia, inedita, e Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 novembre 2000, atleta Piergentili, inedita.

32Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 febbraio 2002, atleti Vannucci e altri, inedita, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.PA.V., 2 dicembre 1999, atlete Angelucci e Marinelli, inedita, secondo cui “l’esegesi del concetto di giusta causa porta a superare i puri schematismi di posizioni soggettive ed oggettive per addivenire alla valutazione globale e complessiva della situazione creatasi, anche in proiezione futura”, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V., 10 ottobre 2000, atleta Penteriani, inedita.

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contesto societario.33 Una tendenza riscontrabile è quella di privilegiare, nell’esame dei contrapposti interessi di pallavolisti e associazioni, la tutela degli interessi degli atleti34, in particolar modo se molto giovani e quindi non ancora in grado di gestire situazioni di disagio all’interno dell’ambiente in cui avviene il regolare svolgimento dell’attività sportiva, in quanto tali interessi si avvicinano maggiormente alle finalità attuate dalle direttive F.I.P.A.V. per lo sviluppo della pallavolo.

Una seconda motivazione che integra la giusta causa di scioglimento del vincolo è il disinteresse societario nei confronti delle prestazioni sportive del pallavolista: è possibile rilevare, infatti, come la F.I.P.A.V., tramite la Commissione Tesseramento35, sia contraria alla permanenza di legami tra società ed atleti che risultino puramente formali, ed a cui in sostanza non si affianchi un rapporto di collaborazione per la pratica agonistica; se all’atleta, pertanto, non è concesso di partecipare alle competizioni presso l’affiliato vincolante, in campionati idonei alle sue capacità sportive, l’unica soluzione adatta è la cessione a titolo definitivo del c.d. cartellino e non una lunga serie di c.d. prestiti36, per permettere all’affiliato di lucrare sul mantenimento del vincolo.

Il disinteresse può essere provato attraverso varie circostanze, le più frequenti sono l’inattività dell’atleta riferita alla stagione sportiva precedente alla data di proposizione del ricorso37, e la mancata costituzione in giudizio del sodalizio, condizione paragonata ad una sostanziale adesione alle circostanze riferite dall’atleta.

33Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 23 dicembre 1999, atlete Masala e altre, inedita, in cui lo svincolo è concesso in considerazione di comportamenti dell’allenatore non condivisibili “atteso che il compito di un allenatore è quello principalmente di educare gli atleti sia sotto il profilo della tecnica sportiva che di quello comportamentale”, mentre in Comm. Tess. F.I.P.A.V., 15 ottobre 2003, atleta Noci, inedita, in cui non sono ritenute sufficienti le divergenze tra atleta ed allenatore per giustificare lo svincolo; vedi anche Comm. Tess. F.I.P.A.V., 9 gennaio 2004, atleta Casini, si afferma che “la conduzione tecnica delle squadre appartiene alle esclusive scelte societarie, per cui non è ammissibile che la sostituzione di un allenatore possa costituire motivo di scioglimento del vincolo.

34Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 2 dicembre 1999, atlete Angelucci e Marinelli, inedita.

35Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 dicembre 2000, atleta Cercabene, inedita: “ il contenuto della risposta alla costituzione in mora dimostra che un interesse esiste, ed è quello di lucrare sul cartellino, del resto apertamente dichiarato”, tuttavia, “siccome è un principio riconosciuto e sancito anche dalla C.A.F. che il congelamento sul tabulato degli atleti, senza partecipazione all’attività, viola lo spirito della normativa federale sullo sviluppo della pratica pallavolistica, sulla qualificazione tecnica dei giocatori e sull’equo contemperamento dei rispettivi interessi”, la Commissione valuta che è venuto meno il fine del tesseramento della ricorrente presso la convenuta; nello stesso senso Comm. Tess. F.I.PA.V., 8 ottobre 2001, atleta Sartelli, inedita.

36Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 20 novembre 2003, atleta Loprieno, inedita, in cui lo svincolo è concesso in seguito alle doglianze dell’atleta per un “sostanziale disinteresse da parte del sodalizio che si protraeva ormai da più di quattro anni essendo stato sempre ceduto in prestito ovvero essendo rimasto fermo a causa di un infortunio”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 dicembre 2002, atleta Rosi, inedita, in cui il disinteresse societario risulta provato in seguito a tre anni consecutivi di cessione a titolo temporaneo dell’atleta e la mancata costituzione in giudizio del sodalizio.

37La Commissione Tesseramento ha precisato che per l’inattività di stagioni sportive precedenti a quella appena conclusa il diritto allo svincolo si deve considerare prescritto, vedi Comm. Tess. F.I.P.A.V., 10 dicembre 2001, atleta Figus, inedita; tuttavia, nel caso in cui l’inattività si sia protratta per più stagioni sportive senza interruzioni, tale circostanza e’ presa in considerazione come aggravante della posizione dell’affiliato, vedi Comm. Tess. F.I.P.A.V., 18 novembre 1999, atleta Forlani, inedita, e Comm. Tess. F.I.PA.V., 5 febbraio 2004, atleta Castellan, inedita.

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Per quanto riguarda lo svincolo per inattività38 è richiesta la prova degli inadempimenti societari riguardanti il mancato invito all’atleta a sottoporsi alla visita medica annuale di idoneità sportiva e/o la sua mancata convocazione per la regolare partecipazione al campionato39; per quanto riguarda le convocazioni, inoltre, la Commissione Tesseramento stabilisce che debbano avvenire in tempo utile per consentire la preparazione all’attività ufficiale e, pertanto, è considerata inadatto allo scopo indicato un invito inviato a distanza di un mese dall’inizio dell’attività sportiva sociale40, o soltanto in seguito al ricevimento della richiesta di svincolo da parte del pallavolista41. E’ considerato inadempimento societario al pari della mancata convocazione, anche il mancato inserimento in referto di gara, a cui corrisponde un’inattività di fatto, anche se non a livello formale dell’atleta.42

Non esime la società da tali adempimenti la circostanza che l’atleta risulti in fase di riabilitazione in seguito ad interventi chirurgici, poiché l’interesse societario alla corretta crescita agonistica del pallavolista implica anche l’interesse al recupero della sua piena efficienza fisica.43

Per quanto riguarda la mancata costituzione in giudizio dell’associazione destinataria della richiesta di svincolo di fronte alla Commissione Tesseramento, la F.I.P.A.V. si conforma ad un principio particolarmente diffuso nell’ordinamento sportivo secondo cui la mancata opposizione è da interpretare come adesione alle richieste dell’atleta: non è una disposizione espressa in norma

38Sul totale dei ricorsi esaminati, la richiesta di scioglimento del vincolo per inattività corrisponde in media al 19% delle controversie, e si conclude nella quasi totalità dei casi con una pronuncia della Commissione favorevole allo svincolo.

39Cfr., tra le altre, Commissione Appello Federale, 28 febbraio 2000, atleta Tomarchio, inedita, in cui la C.A.F. ritiene che il disinteresse societario nei confronti dell’atleta sia provato dalla mancanza dell’invito a sottoporsi a visita medica e della convocazione dell’atleta, Commissione Appello Federale, 4 febbraio 2000, atleta Gialli, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 31 gennaio 2000, atleta Petrone, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 17 ottobre 2000, atleta Perinelli, inedita, in cui di fronte alla mancata convocazione dell’atleta si sottolinea che “ove l’atleta veramente fosse stato considerato necessario al proprio campionato la società avrebbe dovuto mettere in essere ogni mezzo per il suo utilizzo”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 21 dicembre 2000, atleta Robasto, inedita, in cui si sottolinea che non è sufficiente, in mancanza di convocazione, per il mantenimento del vincolo il fatto che la società si dichiari disponibile a concedere un trasferimento a tempo determinato.

40Cfr. Commissione Appello Federale, 18 febbraio 2000, atleta Lucchetti, inedita, e Comm. Tess. F.I.P.A.V., 21 novembre 2000, atleta Pacini, inedita, in cui il disinteresse della società è rilevato “nell’evidente carattere di strumentalità funzionale alla richiesta di scioglimento del vincolo” della convocazione, dato che la squadra aveva da tempo ripreso gli allenamenti e aveva già partecipato alla Coppa di Lega.

41Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 22 gennaio 2004, atleta Pratticò, inedita, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V., 21 dicembre 2000, atleta Rossi Mercanti, inedita, in cui viene considerata strumentale, in quanto non rispondente ad un reale desiderio di utilizzo del pallavolista, la convocazione inviata all’atleta dalla società lo stesso giorno di ricevimento della costituzione in mora.

42Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 febbraio 2002, atleta Tallinucci, inedita, in cui lo svincolo è concesso poiché l’atleta è stato per due anni non è stato inserito a referto pur essendo regolarmente convocato, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 febbraio 2002, atleta Arnaldi, inedita, Comm. Tess. F.I.PA.V., 1 ottobre 2001, atleta D’Angeli, inedita.

43Cfr. Commissione Appello Federale, 10 gennaio 2000, atleta Chiarioni, inedita, nello stesso senso Comm. Tess., 3 dicembre 2001, atleta Flego, inedita.

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regolamentare, come avviene invece nell’ambito calcistico44, ma è comunque principio guida di numerose pronunce federali di svincolo45, che sovente l’utilizzano come unica motivazione alla base della decisione. Prevedendo questo atteggiamento sanzionatorio della Commissione, la federazione tutela la regolare costituzione del contraddittorio, condizione necessaria per poter valutare adeguatamente la sussistenza della giusta causa, oltre che con la verifica degli adempimenti formali per l’instaurazione del giudizio: in numerose occasioni46 l’organo di giustizia federale, di fronte a delle associazioni convenute e contumaci, ha sottolineato come sia maggiormente logico, se la scelta societaria è quella di non contrastare le richieste dell’atleta in giudizio, concedere preventivamente il nulla osta, dato che in ogni caso, senza un’adeguata opposizione, il risultato sarà il medesimo.

Costituisce presunzione di disinteresse societario nei confronti dell’atleta anche il caso di mancato, o ritardato, ritiro della tessera annuale in seguito a rinnovo del tesseramento47, condizione che si affianca quindi all’ipotesi di svincolo di diritto in caso di decadenza del tesseramento.

Un’ulteriore circostanza che può integrare lo scioglimento del vincolo per giusta causa è la c.d. crescita tecnica48, ipotesi che è tipica della Federazione Italiana Pallavolo e consiste nello scioglimento coattivo in seguito ad una concreta e attuale possibilità offerta al pallavolista di partecipare a competizioni di categoria superiore rispetto a quelle in cui militerebbe presso la squadra dell’affiliato vincolante. La ratio alla base della c.d. crescita tecnica49 è permettere all’atleta di migliorare il livello tecnico delle prestazioni anche in assenza di apposito nulla osta: per questi motivi viene riconosciuta dalla Commissione Tesseramento soltanto nei casi in cui è effettivamente possibile che la carriera agonistica ne possa trarre beneficio nel caso concreto ed è, pertanto, esclusa per i pallavolisti che hanno alle spalle già numerosi anni di attività sportiva, dato che la loro posizione è considerata ormai stabilizzata; il periodo idoneo per usufruire di questa ipotesi di svincolo va pertanto dalla prima adolescenza50 ai vent’anni51. Allo stesso modo l’avanzamento nel

44Cfr. art. 109, 5° comma, Norme Organizzative Interne F.I.G.C., in www.figc.it.

45Sul totale dei ricorsi, gli svincoli pronunciati sottolineando la mancata opposizione, sia come causa principale o collaterale, corrispondono in media al 17%.

46Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V, 2 dicembre 1999, atleti Centella e altri, inedita, in cui si precisa che il disinteresse del sodalizio “ben avrebbe potuto estrinsecarsi nel rilascio del nulla osta”, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V, 7 gennaio 2003, atleta Cagnacci, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 27 gennaio 2003, atleta Costantini, inedita.

47Cfr. Norme Organizzative per le procedure di affiliazione e tesseramento, stagione 2004/2005, in www.federvolley.it, p. 16; in precedenza a questa recentissima disposizione il principio era comunque stabilito dagli organi federali di giustizia, vedi Commissione Appello Federale, 31 gennaio 2000, atleta Petrone, inedita.

48Sul totale dei ricorsi esaminati, la richiesta di svincolo per crescita tecnica corrisponde a circa l’11%, di cui solo la metà sono accolti.

49Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 12 ottobre 1999, atleta Tomba, inedita, in cui si precisa che la crescita tecnica va riconosciuta “nell’interesse dell’atleta e per lo sviluppo della pallavolo, quando si verificano le condizioni oggettive per una maturazione tecnica e fisica”.

50Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 25 ottobre 2000, atleta Da Col, inedita, in cui lo svincolo è concesso, nonostante il passaggio tra serie C a B2 non sia considerato rilevante (vedi successiva nota 230), poiché si osserva che “la Da Col è atleta di interesse nazionale, seguita dai tecnici della nazionale pre-

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livello di campionato proposto per la crescita tecnica deve essere significativo52, ed in particolare dovrebbe indicare come associazioni destinatarie, sodalizi appartenenti alle serie B o A: la Commissione Tesseramento esclude che un semplice passaggio di categoria possa far comportare un beneficio alla carriera del pallavolista e, parimenti, esclude che possa considerarsi giusta causa di svincolo il passaggio tra squadre presenti nello stesso campionato, anche se tecnicamente di valore differente.53

Il cambiamento di residenza, che è regolamentato come un’ipotesi autonoma di svincolo nelle altre federazioni, per la F.I.P.A.V. integra, invece, una circostanza di scioglimento che è assorbita all’interno della c.d. giusta causa54: i ricorsi maggiormente frequenti sono quelli che giustificano il trasferimento per esigenze di studio, ma non mancano esigenze di lavoro, e soprattutto esigenze familiari. Non sono indicati precisi requisiti, né di durata né di distanza tra la nuova sistemazione e la precedente, per provare l’effettivo cambiamento di residenza e pertanto, spetta alla Commissione Tesseramento valutare caso per caso la sussistenza del diritto allo svincolo, in considerazione del fatto che il vincolo sportivo non dovrebbe in alcun modo interferire con la realizzazione degli interessi e delle aspirazioni del pallavolista, purché tali interessi si verifichino per ragioni indipendenti dalla pratica agonistica. Con queste premesse, non è raro, tuttavia, che l’esame della Commissione porti ad un esito negativo nei confronti dello svincolo, proprio perché esso non è legato al mero cambiamento del dato anagrafico della residenza, ma all’impossibilità che ne consegue per lo sportivo di proseguire il rapporto associativo con l’affiliato vincolante55. La

juniores con una attenzione tutta rivolta alla sua graduale formazione psico-fisica e tecnica, stante la sua giovane età”, pertanto la partecipazione al campionato di serie B2 può essere considerato “come il primo gradino di acquisizione di nuove tecniche”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 dicembre 2000, atleta Asuquo, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 8 ottobre 2001, atleta Rossi, inedita, in cui è ritenuta “sussistente la giusta causa a fondamento della richiesta dell’atleta, il quale dalla serie C andrebbe a militare in B1”, anche in considerazione delle potenzialità e dell’età dell’atleta, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 10 dicembre 2002, atleta Betti, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 20 ottobre 2003, atlete Meglini, inedita.

51Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 17 gennaio 2002, atlete Biasotti e Marcon.

52Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 4 novembre 1999, atleta Pernici, inedita, in cui la crescita tecnica è riconosciuta nel passaggio in serie A2 della giocatrice, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 18 ottobre 2001, atleta Nardini, inedita, in cui lo svincolo è riconosciuto per il passaggio dalla serie C alla serie A, “nell’interesse dello sviluppo della disciplina della pallavolo, che si attua attraverso il potenziamento e la crescita dei singoli atleti”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 dicembre 2001, atlete Ubertini e altre, inedita, in cui la crescita tecnica è riconosciuta nel passaggio dalla prima divisione alla serie C, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 15 ottobre 2002, atleta Arrighetti, inedita, in cui lo svincolo è concesso per il passaggio dalla serie C alla serie A2, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 25 settembre 2003, atleta Martinoia, inedita, in cui la crescita tecnica è riscontrata nel passaggio in serie B2.

53Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 22 ottobre 2001, atleta Consolini, inedita, in cui si evidenzia che nonostante la ricorrente abbia richiesto “lo scioglimento del vincolo per poter giocare in serie C con una società che ritiene organicamente più strutturata e più capace”, si deve negare la crescita tecnica poiché “le due società militano nello stesso campionato di serie C e quindi la Commissione non può privilegiare una diretta concorrente”.

54L’ipotesi di richiesta di scioglimento del vincolo per cambiamento di residenza corrisponde a circa il 13% del contenzioso esaminato dalla Commissione Tesseramento Atleti.

55Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 12 ottobre 2000, atleta Malluzzo, inedita, in cui si precisa che “i motivi di lavoro non comportano lo scioglimento del vincolo sportivo per giusta causa ipso iure, ma soltanto nei casi in cui l’attività sportiva nel sodalizio d’appartenenza non possa proseguire perché d’impedimento alle esigenze lavorative dell’atleta”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 14 dicembre 2001, atleta

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possibilità di usufruire di questa ipotesi di svincolo è preclusa ai pallavolisti che abbiano partecipato, al termine della stagione sportiva in cui si presenta la richiesta, a campionati nazionali di secondo livello, maschili o femminili56, poiché si presume che in tali campionati l’attività pallavolistica sia l’interesse principale, anche se non esclusivo, dei giocatori.

Nei casi in cui lo scioglimento del vincolo per giusta causa non sia imputabile ad inadempimenti dell’associazione di riferimento, è previsto che la Commissione Tesseramento stabilisca a suo favore un indennizzo, determinato in via equitativa, per compensare il danno economico causato dalla perdita dello sportivo.57 La quantificazione dell’indennizzo può essere anche determinata mediante accordo delle parti in causa, nel caso in cui l’atleta sia abilitato alla possibilità di riscatto, abilitazione che consegue alla partecipazione a campionati, maschili o femminili, di secondo livello58. La Commissione Tesseramento59 sottolinea come il diritto sancito dal art. 34, 3° comma, R.A.T. non sia conseguenza automatica dello scioglimento del vincolo e, parimenti, non ne costituisca la ragion d’essere, come avviene, invece, nella sola ipotesi del c.d. riscatto60. Il diritto all’indennizzo sorge unicamente nel momento in cui la Commissione valuti la non imputabilità dello svincolo al sodalizio, che normalmente avviene nei casi di cambiamento di residenza per motivi di studio o lavoro e nel caso di crescita tecnica, ma non mancano pronunce che lo legano all’incompatibilità ambientale e, in rari casi, al disinteresse societario nei confronti del pallavolista.

3. Lo svincolo per rinuncia.

Un’ipotesi da esaminare riguarda lo svincolo per rinuncia da parte dell’affiliato di

riferimento, ipotesi che, implicando il consenso dell’associazione vincolante, è allo stesso tempo formalmente la più semplice, ma sostanzialmente la più difficile, proprio perché è subordinata alla prestazione del consenso dell’associazione. Le controversie sorgono nel momento in cui si verifichino divergenze tra la volontà dell’atleta di terminare il rapporto associativo e quella della

Barbieri, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 14 novembre 2001, atleta Tosi, inedita, in cui l’assenza di un orario prestabilito in relazione al rapporto di lavoro instaurato dalla ricorrente come istruttrice di nuoto consente “una piena libertà di contemperare l’impegno di lavoro con quello della pallavolo”,nello stesso senso Comm. Tess. F.I.P.A.V., 7 novembre 2003, atleta Tortul, inedita; vedi anche Comm. Tess. F.I.P.A.V., 15 ottobre 2002, atleta Molinari, inedita, in cui non è considerato giusta causa il cambiamento di residenza per lavoro di baby-sitter, documentato unicamente con carta semplice da persona non chiaramente identificabile, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 5 novembre 2002, atleta Baccaille, inedita.

56Cfr. art. 34, 2° comma, Regolamento Affiliazione e Tesseramenti F.I.P.A.V., in www.federvolley.it.: questa norma potrebbe costituire un criterio per provare come nei campionati indicati l’attività della pallavolo sia praticata con i criteri del professionismo e non del dilettantismo; per i professionisti, infatti, non è concepibile chiedere trasferimenti di residenza per motivi di studio o lavoro, per il fatto che il rapporto lavorativo è costituito dalla stessa prestazione sportiva, mentre lo studio può costituire solamente un’attività collaterale.

57Cfr. art. 34, 3° comma, R. A. T.

58Cfr. art. 36, 1° comma, R. A. T.

59Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V., 6 novembre 2001, atleta Corrias, inedita, in cui è ribadito che “l’indennizzo non può sostituire la giusta causa, né tanto meno ne è motivo”.

60Cfr. art. 36, R.A.T.

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dirigenza di proseguire tale rapporto; nel caso in cui, invece, le due volontà coincidano, lo svincolo può essere agevolmente ottenuto mediante la compilazione e sottoscrizione di appositi moduli federali identificati come “liste”61. In concreto, le controversie portate all’esame della Commissione Tesseramenti in merito a tali documenti riguardano principalmente la loro regolarità formale: l’annullamento è infatti previsto nel caso in cui la modulistica sia assente o riporti correzioni e/o modifiche62, che sono vietate direttamente dalle N.O.I.F.63, nel caso in cui sia sottoscritta da persone che, per motivazioni varie come può essere l’interdizione dall’attività federale, non abbiano il potere di porre in essere atti in nome dell’associazione64, nel caso in cui le sottoscrizioni siano apocrife65, oppure nel caso in cui sui documenti siano presenti timbri societari falsificati.66 Frequenti sono anche le controversie relative alle modalità di perfezionamento delle liste: un’interpretazione rigorosa delle N.O.I.F.67 porterebbe a considerare come irregolare l’apposizione non contestuale di

61Cfr. art. 107, 1° comma, N.O.I.F.

62Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Amoruso, in Comunicato Ufficiale n. 18/D del 17 gennaio 2003, inedita, e Comm. Tess. F.I.G.C., reclamo U.S. Bitonto, in Comunicato Ufficiale n. 25/D del 20 marzo 2001, inedita. In merito all’errore materiale sulla lista è orientamento consolidato, tuttavia, pronunciarsi a favore della validità della stessa nel caso in cui la volontà dei contraenti sia chiaramente riconoscibile.

63Cfr. art. 107, 3° comma, N.O.I.F.

64Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Acciardi, in Comunicato Ufficiale n. 1/D del 6 luglio 2000, inedita, in cui la lista viene annullata in quanto la firma apposta nella lista di svincolo non corrisponde al alcun dirigente societario, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., atleti Caruso e altri, in Comunicato Ufficiale n. 21/D del 8 febbraio 2001, inedita, Comm. Tess. F.I.G.C., atleti Vicini e altri, in Comunicato Ufficiale n. 21/D del 21 marzo 2002, inedita, Comm. Tess. F.I.G.C., richiesta di giudizio della Lega Calcio Femminile, in Comunicato Ufficiale n. 4/D del 12 settembre 2002, inedita.

65Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Di Curzio, in Comunicato Ufficiale n. 23/D del 18 aprile 2002, inedita, in cui è annullata la lista di trasferimento inoltrata con firma falsa del presidente societario, “si deve quindi ritenere che stante l’accertata falsità della firma del Presidente apposta sulla lista di trasferimento del calciatore, tale trasferimento non è mai stato autorizzato dalla società cedente e pertanto è da considerasi nullo ad ogni effetto”; nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Caputo, in Comunicato Ufficiale n. 16/D del 14 febbraio 2002, inedita .

66Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atlete Follador e altre, in Comunicato Ufficiale n. 5/D del 23 settembre 1999, inedita, che annulla la lista di trasferimento delle calciatrici “perché la documentazione trasmessa dalla società nel settembre 1998 era irregolare per la mancanza del timbro della società cedente”, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Guerracino, in Comunicato Ufficiale n. 29/D del 13 aprile 2000, inedita, Comm. Tess. F.I.G.C, atleta Caputo, in Comunicato Ufficiale n. 16/D del 14 febbraio 2002, inedita.

67Cfr. De Silvestri, op. cit., p. 527: l’Autore sottolinea “la necessità della contestuale presenza di tutti i soggetti indicati nei moduli di tesseramento e di trasferimento, predisposti per raccogliere in modo tipico, sia nei modi che nei tempi, le rispettive volontà, con la conseguenza che essi vanno considerati senz’altro invalidi ove perfezionati progressivamente”; vedi anche Comm. Tess. F.I.G.C., atleti Ricci e altri, in Comunicato Ufficiale n. 9/D del 31 ottobre 2002, inedita, che descrive l’accordo di trasferimento di un calciatore come un contratto plurilaterale che si perfeziona solo nel momento in cui viene sottoscritto da tutti i contraenti.

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tutte le sottoscrizioni necessarie, tuttavia, è la stessa Commissione Tesseramenti68 a riconoscere l’esistenza di una prassi a favore del perfezionamento progressivo dell’atto, mediante la sottoscrizione di moduli in bianco e la loro successiva compilazione in assenza di alcuni contraenti.69

Per quanto riguarda l’ambito F.I.P. lo svincolo conseguente a rinuncia o a rilascio del nulla osta sono, le ipotesi più frequenti e quelle teoricamente più agevoli dal punto di vista procedurale. Lo scioglimento del vincolo per rinuncia70 può essere attuato al termine di ogni stagione sportiva, nel momento in cui l’associazione rinnova il tesseramento degli atleti mediante le c.d. liste dei rinnovabili: in quest’ultime, la dirigenza indica accanto ai nominativi attinenti ai rinnovi, i nominativi dei cestisti per cui non è presente più un interesse, facendo decadere, al momento della registrazione da parte dell’ufficio competente71, il tesseramento ed il relativo vincolo; in considerazione degli effetti che tale procedura implica, è previsto che le liste dei rinnovabili non possano essere più modificate una volta inoltrate72, tuttavia, a tutela delle associazioni sportive, è disposto un apposito procedimento73 che permette di richiedere un’aggiunta alla lista in caso di atleta da rinnovare che per errore sia stato omesso: svolti gli opportuni accertamenti, il nominativo mancante sarà regolarmente inserito all’interno dei rinnovi, mentre non è prevista nessuna ipotesi di correzione per il caso opposto, ovvero atleta con diritto allo svincolo per errore inserito tra gli sportivi da rinnovare. Una volta che il nominativo sia stato cancellato dalla lista dei rinnovabili riferiti all’affiliato titolare del vincolo, l’atleta è libero di richiedere, nelle modalità stabilite dalle Disposizioni Organizzative Annuali, la sottoscrizione di un nuovo tesseramento presso un’altra associazione sportiva.

Nel corso di una stessa stagione è consentito un solo trasferimento con queste modalità e, comunque, soltanto nei periodi indicati dalle disposizioni federali, che solitamente coincidono con il termine della stagione sportiva a campionato fermo, e con il termine del girone di andata durante lo svolgimento del campionato.

4. Lo svincolo per inattività dell’atleta.

Un’ipotesi di rilievo è quella prevista, poi, dal successivo art. 109 N.O.I.F.: lo svincolo per

inattività costituisce, per quanto riguarda le stagioni sportive esaminate, la principale causa di

68Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Lenelli, in Comunicato Ufficiale n. 2/D del 12 luglio 2001, inedita, in cui è provata la consegna al calciatore di una lista di trasferimento in bianco e ne è accertata la regolarità; vedi anche Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Lagordi, in Comunicato Ufficiale n. 24/D del 9 maggio 2002, inedita.

69Vedi, in senso contrario, Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Celenza, in Comunicato Ufficiale n. 9/D del 12 ottobre 2000, inedita, che ritiene valida la formazione progressiva delle liste.

70Cfr. art. 11, Regolamento Esecutivo F.I.P., in www.fip.it.

71Cfr. art. 11, 3° comma, R. E., in www.fip.it.

72Cfr. art. 11, 5° comma, R. E, in www.fip.it.

73Cfr. art. 11, 4° comma, R. E., in www.fip.it.

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scioglimento del vincolo di fronte alla Commissione Tesseramenti74 e corrisponde al fondamentale diritto spettante agli atleti, riconosciuto loro dal momento del tesseramento, di partecipare attivamente alle competizioni sportive75. L’inattività dello sportivo, per motivi che non devono essere a lui imputabili, integra una violazione dei doveri assunti tramite il contratto associativo dall’affiliato e viene sanzionata dalla federazione con lo scioglimento del vincolo dell’atleta interessato.

La causa non opera di diritto, ma soltanto in seguito ad istanza del calciatore, pertanto, assumono un ruolo decisivo due circostanze, una di merito ed una di rito: è fondamentale che il calciatore dimostri che l’inattività non è a lui imputabile e che, ai fini dell’introduzione del giudizio, abbia rispettato tutte le formalità previste per la regolare costituzione del contraddittorio con l’associazione di riferimento.76

In merito alla prima circostanza è da sottolineare come, per esigenze di certezza e di uguaglianza di trattamento, la prova della non imputabilità dell’inattività agonistica sia legata unicamente a situazioni tipiche, corrispondenti all’adempimento di oneri preventivamente assegnati in capo al calciatore ed all’associazione, di cui la Commissione verifica il regolare adempimento. Tali oneri sono minuziosamente indicati dal 4° comma dell’art. 109 N.O.I.F. ed è sufficiente, per risolvere la controversia a favore dell’una o dell’altra parte, il riscontro anche di una violazione soltanto parziale. In concreto gli obblighi si possono suddividere in due fasi autonome: una prima, corrispondente al periodo che va dalla fine del campionato, solitamente coincidente alla metà del mese di giugno, al trenta novembre di ogni anno, in cui il calciatore ha il dovere di mettersi a disposizione77 della società per poter essere validamente utilizzato nelle competizioni sportive; questo dovere è integrato formalmente dal calciatore mediante l’invio del certificato medico di idoneità alla pratica agonistica, in risposta all’invito precedentemente disposto dall’associazione78

74Nelle stagioni sportive 1999/2000, 2000/2001, 2001/2002 lo scioglimento del vincolo per inattività corrisponde, in media al 78% del totale di svincoli concessi; tale rilevanza viene ridimensionata nella stagione 2002/2003, dato che con l’introduzione dello svincolo per decadenza d’età, lo svincolo per inattività coincide con il 38% del totale degli svincoli concessi, restando comunque la causa di scioglimento maggiormente frequente di fronte alla Commissione Tesseramenti. Tutti i dati sono non ufficiali.

75Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Castellaneta, in Comunicato Ufficiale n. 21/D del 8 febbraio 2001, inedita, in cui si sottolinea che “il tesseramento impone l’esistenza di un vincolo che non può essere in alcun modo mantenuto in presenza di un’inattività agonistica ingiustificata e protrattasi nel tempo, poiché ciò comporterebbe diversamente un palese impedimento all’esercizio della libertà individuale”; nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Vason, in Comunicato Ufficiale n. 18/D del 28 febbraio 2002, inedita.

76Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Martellato, in Comunicato Ufficiale n. 16/D del 14 dicembre 2000, inedita, in cui si precisa che l’istanza del calciatore non è ammissibile se dalla genericità del testo non è possibile desumere con certezza la manifestazione di volontà per lo svincolo.

77Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 12 ottobre 2000, atleta Natali, in Comunicato Ufficiale n. 9/D, inedita, secondo cui l’atleta è considerato a disposizione dell’associazione anche nel caso di infortunio, se la riabilitazione risulta contenuta in un accettabile periodo di tempo, nel caso in specie quaranta giorni all’inizio della stagione sportiva, pertanto i mancati inviti societari a produrre la certificazione medica integrano il diritto allo svincolo per inattività; diversamente, lo svincolo non può essere concesso, vedi Comm. Tess. F.I.G.C., 8 febbraio 2001, atleta Ferrante, in Comunicato Ufficiale n. 21/D, inedita.

78Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 16 dicembre 1999, atleta Conti, in Comunicato Ufficiale n. 15/D, inedita, in cui lo svincolo è concesso in quanto la società ha inviato le richieste di certificazione medica a campionato già inoltrato, quindi in data non più utile per la stagione sportiva di riferimento, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., 22 febbraio 2001, atleta Adesso, in Comunicato Ufficiale n. 23/D,

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con lettera raccomandata79. Nel caso in cui l’atleta, invece, non risponda alla richiesta societaria, quest’ultima ha il dovere di contestare la sua inadempienza con raccomandata nel termine di otto giorni dalla data ultima prevista per l’invio della certificazione medica. Questa contestazione costituisce prova della mancata collaborazione dell’atleta, a meno che quest’ultimo non contesti a sua volta con un’ulteriore raccomandata, inviata entro cinque giorni dalla ricezione della precedente, le motivazioni alla base della sua inerzia. E’ previsto che l’associazione inoltri, in tempo utile, almeno due inviti per la presentazione della certificazione medica, che, in caso di inadempienza dell’atleta, devono essere entrambi contestati autonomamente con le modalità appena esposte80. Le possibilità in seguito all’inoltro degli inviti societari sono solamente due: o l’atleta corrisponde alle richieste presentando la documentazione necessaria, introducendo così la seconda fase, oppure prosegue nella sua inadempienza, perdendo tuttavia il diritto allo svincolo nel caso la società abbia rispettato gli oneri formali.81

Per la seconda fase dello svincolo è quindi necessaria una premessa, ovvero che il calciatore si sia reso disponibile entro il trenta novembre di ogni anno presentando la certificazione di idoneità alla pratica agonistica; naturalmente, se l’atleta adempie immediatamente e spontaneamente all’obbligo relativo, la prima fase di contestazioni reciproche non è necessaria, e comunque non influisce in alcun modo sulla valutazione che la Commissione Tesseramenti opera nei confronti degli oneri successivi. Questa seconda tipologia di adempimenti formali è ispirata al principio che alla disponibilità dell’atleta segua un riscontro societario: il diritto allo svincolo sorge, infatti, se l’associazione non dimostra il suo interesse nei confronti delle prestazioni sportive del calciatore attraverso la convocazione, ad almeno quattro gare ufficiali82. Nel caso l’atleta non risponda ad una missiva è necessario attivare nuovamente e scrupolosamente il meccanismo delle contestazioni reciproche, con modalità identiche a quelle esposte per il mancato invio del certificato medico83; nel

inedita; vedi anche Comm. Tess. F.I.G.C., 14 dicembre 2000, atleta Segatto, in Comunicato Ufficiale n. 16/D, inedita, che precisa che gli inviti inoltrati dalla società devono indicare un preciso termine per la presentazione del certificato medico, necessario ai fini di una possibile contestazione.

79Per gli adempimenti prescritti dall’art. 109 N.O.I.F. è necessario utilizzare in ogni tipo di comunicazione la forma della lettera raccomandata, ogni altro tipo di comunicazione, come ad esempio attraverso lettera semplice è considerata irregolare, vedi Comm. Tess. F.I.G.C, 23 novembre 2000, atleta Bisceglie, in Comunicato Ufficiale n. 14/D, inedita.

80Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 23 settembre 1999, atleta Geremicca, in Comunicato Ufficiale n. 5/D, inedita, in cui lo svincolo è concesso per il mancato adempimento delle procedure relativi agli inviti alla presentazione della documentazione medica, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., 8 novembre 2001, atleta Ottaviani, in Comunicato Ufficiale n. 8/D, inedita, Comm. Tess. F.I.G.C., 25 novembre 1999, atleta Rossi, in Comunicato ufficiale n. 13/D, inedita.

81Cfr. art. 109, 1° comma, Norme Organizzative Interne F.I.G.C., in www.figc.it.

82Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 23 settembre 1999, atleta Epriolo, in Comunicato Ufficiale n. 5/D, inedita, secondo cui la partecipazione a gare ufficiali va intesa come partecipazione al campionato previsto per la categoria d’età del calciatore, pertanto non sono considerate ai fini dello svincolo le competizioni di categoria inferiore in cui l’atleta partecipa da fuori quota, né le competizioni di Coppa Italia, Comm. Tess. F.I.G.C., 16 dicembre 1999, atleta Bertinetto, in Comunicato Ufficiale n. 15/D, inedita, secondo cui non possono essere considerate gare ufficiali le competizioni relative al campionato UISP.

83Cfr. art. 109, 4° comma, N.O.I.F, in www.figc.it. Vedi Comm. Tess. F.I.G.C, 20 gennaio 2000, atleta Petricciulo, in Comunicato Ufficiale n. 18/D, inedita, in cui il reclamo del calciatore è respinto per mancata contestazione alle convocazioni societarie.

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caso in cui, invece, l’atleta si presenti in sede di gara, è necessario che la sua partecipazione sia effettiva, risulti dal referto e non sia limitata a pochi minuti di gioco, circostanza che in più di un’occasione è stata valutata dalla Commissione come mero espediente per evitare il sorgere del diritto allo svincolo.84

Anche la Federazione Italiana Pallacanestro prevede lo scioglimento del vincolo per inattività, definito come trasferimento conseguente a mancata utilizzazione85, ipotesi che costituisce la base del maggior numero di richieste di trasferimento: si considera non utilizzato l’atleta che non viene convocato o viene definitivamente escluso dagli allenamenti per fatti dipendenti esclusivamente alla società per un periodo pari ad una stagione sportiva; l’imputabilità delle circostanze all’associazione è considerata provata in seguito alla proposizione di istanza da parte dell’atleta86 all’organo federale competente, salvo che il sodalizio non dimostri di aver spedito almeno due inviti87 all’atleta ai fini della presentazione della certificazione di idoneità agonistica, oppure, nel caso in cui lo sportivo abbia regolarmente adempiuto agli obblighi di tipo sanitario, dimostri la spedizione di almeno due convocazioni a gare ufficiali e le successive contestazioni conseguenti alla mancata partecipazione alle stesse88. In ogni caso, preliminarmente alla verifica della sussistenza delle convocazioni, è necessario che la richiesta dell’atleta contenga motivazioni che ad un primo esame risultino adeguate per supportare la mancata utilizzazione.

Al pari di quanto esaminato per F.I.G.C. e F.I.P.A.V., è espressamente previsto che la mancata costituzione della società sia interpretata dalla Commissione come adesione all’istanza di

84Cfr. Commissione d’Appello Federale, contro la delibera Commissione Tesseramenti, 23 marzo 2001, in Comunicato Ufficiale n. 26/D, inedita, secondo cui “ la partecipazione o meno alla gara implica la sussistenza o meno del presupposto della fondatezza della richiesta di svincolo”; il Collegio rileva quindi che dal referto di gara il calciatore è stato iscritto in formazione, ma non è entrato in campo nemmeno in sostituzione, integrando i presupposti per lo svincolo, nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., 12 luglio 2001, atleta Pozzi, in Comunicato Ufficiale n. 2/D, inedita, e Comm. Tess. F.I.G.C., 6 dicembre 2001, atleta Romoli, in Comunicato Ufficiale n. 12/D, inedita; vedi anche Comm. Tess. F.I.G.C., 21 ottobre 1999, atleta Fabretto, in Comunicato Ufficiale n. 8/D, inedita, secondo cui “un impiego come quello risultante dagli atti, sia in riferimento alla durata che alla collocazione temporale, non può che essere interpretato come mero tentativo di mantenere in vita il vincolo solo formalmente, non essendo certo ravvisabile una sostanziale volontà della società di evitare l’inerzia agonistica”.

85Cfr. art. 15, Regolamento Esecutivo F.I.P., in www.fip.it.

86Cfr. Corte Federale F.I.P., 30 novembre 1999, atleta Cuscela, in Comunicato Ufficiale n. 355, inedita, in cui si sottolinea come “in assenza di rigorosa prova in ordine alla formale reiterata convocazione dell’atleta per gli allenamenti da parte della società di appartenenza deve ritenersi sussistente il presupposto normativo che consente il trasferimento”, Corte Federale, 5 gennaio 2000, atleti Sanna e Daga, in Comunicato Ufficiale n. 427, inedita, in cui sono respinte le doglianze societarie in merito al fatto che dovevano essere i giocatori a dare prova della mancata convocazione, dato che è previsto che “i tesserati dovevano dimostrare solo l’esistenza del titolo ad essere svincolati ma non l’inadempienza dell’obbligata società” e Corte Federale, 20 novembre 2000, atleta Pati, in Comunicato Ufficiale n. 328, inedita.

87Cfr. art. 15, 8° comma, R. E., in www.fip.it, secondo cui i due solleciti devono essere inviati, tramite raccomandata, dal sodalizio all’atleta almeno cinque giorni prima della scadenza della data fissata per la presentazione della certificazione medica.

88Cfr. art. 15, 9° comma, R. E., in www.fip.it. Vedi Comm. Tess. F.I.P., 21 novembre 2000, atleta Urso, in Comunicato Ufficiale n. 318, inedita, in cui si precisa che ai fini della prova non è idonea una convocazione inviata in data successiva al ricevimento della richiesta di svincolo.

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svincolo dell’atleta: unica particolarità del procedimento F.I.P. è la necessità di allegare alla richiesta presentata all’Ufficio un modulo di trasferimento sottoscritto dall’atleta e dalla nuova associazione presso cui vorrebbe tesserarsi in caso di pronuncia favorevole; questo requisito costituisce condizione essenziale per l’accoglimento della domanda89, a differenza delle altre federazioni che rimandano l’indicazione del nuovo affiliato vincolante anche ad un momento successivo.

5. Lo svincolo per cambiamento di residenza dell’atleta.

Oltre allo scioglimento del vincolo per inattività è frequente il ricorso alla Commissione

Tesseramenti F.I.G.C. per l’ipotesi prevista dall’art. 111 N.O.I.F., ovvero lo svincolo conseguente a cambio di residenza90: la ratio di questa disposizione è volta a non penalizzare con l’inattività forzata l’atleta che, per motivi diversi, sia costretto a trasferirsi in località distante dalla sede degli allenamenti e delle competizioni dell’associazione di riferimento e che pertanto sia impossibilitato a partecipare regolarmente all’attività agonistica. I requisiti necessari ai fini dello svincolo riguardano sia la distanza tra la residenza precedente e quella attuale, che deve trovarsi in regione diversa o provincia non limitrofa91, sia la durata temporale del cambio di residenza92: la F.I.G.C. pone l’art. 111 a vantaggio solamente della situazioni in cui il trasferimento avviene per periodi prolungati, infatti è previsto che la domanda di svincolo possa essere inoltrata soltanto dopo un anno dall’effettivo cambio di residenza93, in caso di maggiorenni, o dopo novanta giorni in caso di minorenni, se a spostarsi è l’intero nucleo familiare94. Non sono invece indicati termini perentori che identifichino nel corso dell’anno i periodi idonei per la proposizione dello svincolo: quest’ultimo può essere richiesto in qualsiasi momento alla Commissione Tesseramenti95, sempre che siano rispettate le indicazioni generali predisposte per la regolare costituzione del contraddittorio.

89Cfr. Corte Federale F.I.P., 7 marzo 2001, atleta Borgia, in Comunicato Ufficiale n. 599, inedita, in cui la Corte accoglie il ricorso della società avverso lo svincolo dell’atleta poiché quest’ultima “nella richiesta di svincolo non ha specificato la società per la quale intende tesserarsi”.

90Nelle stagioni sportive esaminate, i ricorsi di svincolo per cambio di residenza costituiscono in media il 18% sul totale dei ricorsi, di cui in media il 77% trova accoglimento. I dati non sono ufficiali.

91Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Gentile, in Comunicato Ufficiale n. 12/D del 12 gennaio 2001, inedita, in cui lo svincolo è negato in considerazione che il trasferimento è avvenuto in province limitrofe.

92Cfr. art. 111, 1° comma, N.O.I.F.

93Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Gandini, in Comunicato Ufficiale n. 2/D del 12 luglio 2001, inedita.

94Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., atleta Ottaviani, in Comunicato Ufficiale n. 5/D del 13 settembre 2001, inedita, in cui lo svincolo è negato perché il trasferimento del calciatore minorenne è avvenuto indipendentemente dal nucleo familiare, ipotesi non contemplata nell’art. 111 N.O.I.F.

95Cfr. art. 111, 2° comma, N. O. I. F.

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In riferimento a questa particolare ipotesi di scioglimento del vincolo96, il R.E. della Federazione Italiana Pallacanestro indica, invece, tre requisiti ai fini di una pronuncia favorevole: il primo attiene alla motivazione alla base del trasferimento, in generale riconducibile a motivi di studio, di lavoro o di esigenze del nucleo familiare; il secondo è stabilito nella distanza tra il luogo di residenza attuale e quello di destinazione, che deve essere locato in regione differente o provincia non limitrofa; infine è previsto un requisito di tipo temporale, ovvero deve essere trascorso almeno un anno, o novanta giorni nel caso di atleta minorenne, tra la data di trasferimento e la data di presentazione della richiesta di svincolo, che può essere inoltrata in qualsiasi momento dell’anno97. Come per le altre tipologie, lo svincolo è subordinato all’esame della Commissione Tesseramento, che nel pronunciarsi terrà conto del contesto generale in cui è inserito il giocatore, valutazione che sovente può comportare esito negativo98, in particolare se l’associazione di riferimento mostra disponibilità ad attenuare il disagio dell’atleta concedendo il c.d. prestito99, oppure provvedendo ad una adeguata sistemazione dello sportivo.100

6. Il c.d. riscatto del cartellino.

Una particolare ipotesi è riscontrabile unicamente all’interno della normativa della

Federazione Italiana Pallavolo: si tratta del c.d. riscatto101, consistente nella possibilità attribuita allo sportivo militante in campionati nazionali di secondo livello, maschili o femminili, di sciogliere arbitrariamente il vincolo sportivo contratto con un affiliato in seguito al pagamento di un corrispettivo, quantificato sulla base dei criteri indicati dalla federazione102 in considerazione del sesso, dell’età, e delle capacità agonistiche dell’atleta. L’ammontare del corrispettivo può essere determinato in seguito ad accordo tra le parti, oppure, in caso di controversia, unilateralmente dalla

96Cfr. art. 16, Regolamento Esecutivo F.I.P.

97Cfr. art. 16, 2° comma, Regolamento Esecutivo F.I.P.

98Cfr. Corte Federale F.I.P., 28 novembre 2001, atleta Spirito, in Comunicato Ufficiale n. 280, inedita, in cui lo svincolo per cambiamento di residenza per motivi di studio è negato poiché il trasferimento è considerato strumentale. Vedi anche Corte Federale F.I.P., 30 novembre 2000, atleta Rinco, in Comunicato Ufficiale n. 329, inedita, Comm. Tess. F.I.P., 12 novembre 1999, atleta Frascione, in Comunicato Ufficiale n. 286, inedita, in cui si rileva che la richiesta di svincolo “non è necessitata dal trasferimento della residenza del padre per ragioni di lavoro, ma dalla volontà di cambiare società”.

99Cfr., tra le altre, Comm. Tess. F.I.P., 4 novembre 1999, atleta Longoni, in Comunicato Ufficiale n. 267, inedita, in cui lo svincolo è negato poiché la società “ha dichiarato la propria disponibilità a concedere il tesseramento a titolo di prestito, oltre ad aver manifestato interesse ad utilizzare direttamente il giocatore”, Comm. Tess. F.I.P., 4 novembre 1999, atlete Misovic, in Comunicato Ufficiale n. 267, inedita, in cui lo svincolo è negato poiché la società “nelle controdeduzioni non ha escluso la possibilità di concedere un nulla osta per il tesseramento a titolo di prestito”.

100Cfr. Comm. Tess. F.I.P., 17 ottobre 2000, atleta Parlato, in Comunicato Ufficiale n. 216, inedita, in cui lo svincolo è negato poiché “la stessa società si dichiara disposta ad offrire ancora una sistemazione logistica idonea ed un’assistenza anche economica per l’espletamento dell’attività scolastica dell’atleta”.

101 Cfr. art. 36, R.A.T. F.I.P.A.V., in www.federvolley.it.

102Cfr. Allegato uno, R.A.T.

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Commissione Tesseramento Atleti103, ed è definito a livello formale come indennizzo per le spese sostenute dall’associazione nell’interesse del pallavolista. Lo scioglimento del vincolo si produce nel momento in cui risulti versato104 e ricevuto l’indennizzo, mediante dichiarazione scritta dell’associazione che contestualmente dichiari anche il consenso al riscatto: il mancato rilascio entro cinque giorni dal ricevimento del corrispettivo della dichiarazione indicata costituisce titolo per chiedere lo scioglimento coattivo di fronte alla Commissione Tesseramento105. Il riscatto è successivamente omologato dalla federazione, che ha facoltà in questo modo di controllare il rispetto dei limiti indicati per il suo utilizzo: è stabilito106, infatti, che un atleta non possa usufruirne per più di due volte nel corso della sua carriera agonistica, e che nessun affiliato possa vincolare nella medesima stagione sportiva più di due atleti, svincolati tramite riscatto al termine della stagione precedente; tali limitazioni sono stabilite per evitare che si abusi di tale ipotesi di scioglimento “pecuniario”.

7. Altre ipotesi di svincolo.

Le N.O.I.F. prevedono, ulteriormente alle ipotesi finora presentate, lo svincolo per accordo107

consistente in una pattuizione scritta conclusa tra l’associazione e l’atleta per convenire una deroga alla durata del vincolo: l’accordo deve essere depositato a pena di nullità presso il Comitato Regionale competente per territorio nel termine di venti giorni dalla sua stipulazione108; una volta depositata la pattuizione è pienamente operante e lo svincolo ivi previsto avviene alla data indicata da parte degli organi federali competenti109, tuttavia, nel caso di contestazioni sulla validità degli accordi è prevista la possibilità di reclamo alla Commissione Tesseramenti entro trenta giorni dalla data in cui il Comitato presso cui è avvenuto il deposito ha restituito all’interessato una copia della stipulazione.110

L’art. 110 N.O.I.F. si conforma ad un criterio di svincolo ammesso nella maggior parte delle federazioni, ovvero l’ipotesi di scioglimento del vincolo per inattività societaria111 in seguito a

103Cfr. art. 36, 3° comma, R.A.T., in www.federvolley.it.

104Cfr. art. 36, 5° comma, R.A.T., in www.federvolley.it.

105Cfr. art. 36, 7° comma, R.A.T., in www.federvolley.it.

106Cfr. art. 38, R. A. T., in www.federvolley.it.

107Cfr. art. 108, 1° comma, N.O.I.F., in www.figc.it.

108Cfr. art. 108, 1° comma, N.O.I.F.

109Cfr. art. 108, 2° comma, N.O.I.F.

110Cfr. art. 108, 3° comma, N.O.I.F.

111Cfr. art. 110, 1° comma, N.O.I.F. Questa ipotesi è tra le meno frequenti all’esame della Commissione Tesseramenti.

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rinuncia112, o ritiro, o esclusione, rispetto al campionato di competenza o nel caso di revoca dell’affiliazione all’associazione di riferimento. Lo svincolo avviene automaticamente, ma gli effetti dello stesso variano a seconda che le circostanze indicate si verifichino a campionato già iniziato, nel girone di andata, o nel girone di ritorno113: nel caso in cui gli avvenimenti possano essere riferiti al girone di andata, i calciatori svincolati possono tesserarsi presso altri affiliati subito dopo la pubblicazione del provvedimento federale che formalizza lo svincolo114. Diversamente, questa possibilità è preclusa, ed i calciatori devono attendere la stagione sportiva successiva per sottoscrivere un nuovo tesseramento: nel girone di ritorno la possibilità di immediato tesseramento è consentita soltanto nel caso in cui l’atleta non abbia concretamente preso parte nemmeno ad una gara di campionato della prima squadra appartenente all’associazione divenuta inattiva115. Nel caso in cui la partecipazione al campionato non sia mai iniziata, la Commissione Tesseramenti116 precisa che ai fini dello svincolo non è necessaria alcuna formalizzazione ad substantiam, come la pubblicazione nei provvedimenti federali, e l’atleta ha diritto di sottoscrivere immediatamente un nuovo tesseramento presso altro affiliato.

Lo scioglimento del vincolo avviene, infine, in altre due ipotesi tipiche: la prima riguarda la stipulazione di un contratto da professionista da parte del calciatore117, nel momento in cui tale contratto è reso esecutivo dalla Lega competente; la seconda ipotesi riguarda la decadenza del tesseramento118, ovvero il caso in cui la società non rinnovi il tesseramento dell’atleta al termine della stagione sportiva; è importante sottolineare che i rinnovi dipendono unicamente dall’arbitrio societario, senza implicare una forma di consenso da parte dell’atleta vincolato.

Per quanto riguarda la F.I.P.A.V., è necessario riprendere la contrapposizione tra ipotesi di scioglimento di diritto, ed ipotesi di scioglimento coattivo, di cui la c.d. giusta causa, già trattata in precedenza, costituisce la principale caratteristica: lo svincolo di diritto comprende, invece,

112Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 12 gennaio 2001, atleta Di Salvo, in Comunicato Ufficiale n. 19/D, inedita, in cui la Commissione parifica all’ipotesi di rinuncia quella di radicale cambio di attività della società, da calcio a undici e calcio a cinque, confermando il diritto allo svincolo del calciatore.

113Cfr. art. 110, 2° comma, N. O. I. F.

114Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 20 marzo 2003, atleta Genova, in Comunicato Ufficiale n. 25/D, inedita, in cui si precisa che la decorrenza dello svincolo “non coincide con la pubblicazione del provvedimento con il quale viene riportato l’elenco delle società inattive sul Comunicato Ufficiale bensì coincide con il momento in cui si determina la inattività della società di appartenenza del calciatore per una delle cause indicate” nell’art. 110 N.O.I.F. Pertanto, in considerazione del fatto che la pubblicazione ha effetto costitutivo, si può correttamente ritenere che gli effetti retroagiscano alla data in cui si è verificata la circostanza che ha fatto sorgere il diritto allo scioglimento del vincolo.

115Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 16 aprile 2003, atleta Beggiato, in Comunicato Ufficiale n. 28/D, inedita.

116Cfr. Comm. Tess. F.I.G.C., 6 febbraio 2003, atleti Iozzia e Militano, in Comunicato Ufficiale n. 21/D, inedita: “nel caso di specie, non è richiesta alcuna formalizzazione degli svincoli automatici attraverso la pubblicazione nei Comunicati Ufficiali, essendo tale particolare procedura prevista unicamente nella ipotesi di ritiro o di esclusione della società dal campionato al quale si è iscritta”.

117Cfr. art. 113, N.O.I.F.

118Cfr. art. 106, 1° comma, lett. i), N.O.I.F.

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numerose circostanze, collegate ad un eventuale comportamento attivo od omissivo dell’affiliato vincolante; per quanto riguarda i comportamenti societari attivi, lo svincolo è disposto in seguito alla concessione del nulla osta al trasferimento definitivo119 oppure in seguito all’estinzione od alla cessazione dell’attività sportiva dell’associazione120; le omissioni sono, invece, riscontrabili nel mancato rinnovo del tesseramento annuale dell’atleta, cioè l’ipotesi di decadenza del tesseramento121, e per mancata partecipazione societaria ad un campionato che per categoria o fascia d’età permetta all’atleta vincolato di prendervi parte122: la ratio alla base di queste disposizioni corrisponde al fondamentale diritto attribuito agli atleti in seguito alla sottoscrizione del contratto associativo, ovvero che l’associazione di riferimento fornisca al soggetto associato le condizioni ed i mezzi idonei per poter partecipare alle competizioni agonistiche. Le uniche ipotesi dipendenti da volontà del pallavolista riguardano la possibilità di non fornire la propria adesione alle scelte societarie relative a fusioni o assorbimenti123 in considerazione delle gravi conseguenze scaturenti dalle due vicende societarie, e l’originale modalità, costituente nel c.d. riscatto del vincolo.124

Le restanti ipotesi di scioglimento coattivo del vincolo, ottenuto quindi mediante una pronuncia della Commissione Tesseramento Atleti, riguardano i casi di cessione del diritto sportivo125, rinuncia all’iscrizione ad un campionato nazionale126 e ritiro dell’associato da un

119Cfr. art. 33, 1° comma, lett. c), R.A.T. F.I.P.A.V., in www.federvolley.it.

120Cfr. art. 33, 1° comma, lett. a), R.A.T. Vedi anche Comm. Tess. F.I.P.A.V., 6 ottobre 2000, atleta Rea, inedita, in cui si rileva che, al di là della richiesta di svincolo per inattività dell’atleta, il diritto è automaticamente sorto considerato che “la società non solo non si è iscritta al campionato di propria pertinenza, ma non risulta si sia iscritta a nessun altro campionato”, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 3 ottobre 2003, atleta Cuomo, inedita in cui si sottolinea, affermando la sussistenza dello svincolo di diritto per mancata iscrizione al campionato, come “tale circostanza impedisce di fatto all’atleta di raggiungere il proprio obiettivo consequenziale al tesseramento: quello di giocare a pallavolo”, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 17 novembre 2003, atleta Rocchi, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 20 novembre 2003, atleta Modena, inedita.

121Cfr. art. 33, 1° comma, lett. d), R.A.T.

122Cfr. art. 33, 1° comma, lett. e), R.A.T. Vedi Comm. Tess. F.I.P.A.V, 24 ottobre 2002, atleta Bambacigno, inedita, in cui si sottolinea che “la circostanza che l’atleta, al termine del prestito con altro sodalizio, non trovi, rientrando presso il sodalizio di appartenenza, la possibilità di svolgere alcuna attività sportiva sostanzia oggettivamente una giusta causa di scioglimento del vincolo”, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 29 dicembre 2003, atleta Baiocco, inedita, in cui lo svincolo è concesso poiché “l’atleta ha compiuto diciotto anni e non può utilmente militare in un sodalizio che svolge esclusivamente campionati under 16”.

123Cfr. art. 33, 1° comma, lett. b), R.A.T.

124Cfr. art. 33, 1° comma, lett. f), R.A.T.

125Cfr. art. 33, 2° comma, lett. b), R.A.T. Vedi, tra le altre, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 23 novembre 1999, atleta Panarese, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 14 ottobre 1999, atleta Gori, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 22 settembre 2000, atleta Rustioni, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 25 settembre 2000, atleta Cecioni, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 25 ottobre 2000, atleta Laterza, inedita, in cui lo svincolo è accolto anche se si osserva che l’atleta “non è interessato al campionato di A2 (per cui la società ha ceduto il titolo sportivo)”, dato che “ha giocato in serie B1 con altro sodalizio in posizione di prestito”, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 26 ottobre 2000, atleta Zannolla, inedita, in cui lo svincolo è concesso in considerazione del fatto che la società “ha ceduto i diritti di B1 e la ricorrente, ha

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campionato nazionale effettuato entro il termine del girone di andata127: lo svincolo avviene soltanto in seguito all’apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto e pertanto, l’atleta non ha la certezza di ottenere il riconoscimento del diritto da parte della Commissione. Dall’esame delle pronunce federali è possibile desumere, inoltre, che il diritto di chiedere lo scioglimento del vincolo in base all’art. 33, 2° comma, R.A.T. non è disponibile e, pertanto, non possono essere considerati validi eventuali patti conclusi con le società per rinunciare all’esercizio dello stesso.128

In riferimento alla Federazione Italiana Pallacanestro resta da osservare che alla base di numerose pronunce ci sono le cause disciplinate dall’art. 14 del Regolamento Esecutivo, che prevedono la possibilità di richiedere il recesso dall’associazione di appartenenza in caso di mancata iscrizione, rinuncia, esclusione o ritiro di quest’ultima dal campionato competente: a differenza della normativa F.I.G.C. lo svincolo non avviene di diritto nel momento in cui una delle situazioni indicate si verifica, ma soltanto in seguito ad apposita valutazione della Commissione Tesseramento, con procedimento identico a quello previsto per l’instaurazione del giudizio in caso di inattività dell’atleta. L’ipotesi di fusione societaria, normalmente compresa tra le ipotesi di svincolo al pari delle precedenti, è riconosciuta come circostanza che fa sorgere il diritto soltanto per quanto riguarda giocatori del settore giovanile che non prestino il loro consenso al cambiamento.129

8. Conclusioni. La Federazione Italiana Giuoco Calcio in materia di tesseramenti, svincoli e trasferimenti,

soddisfa la sua innegabile esigenza di certezza dettata dalla sua estesa organizzazione grazie alle caratteristiche di tipicità ed accentuato formalismo degli atti. Le Norme Organizzative Interne, precisano nel dettaglio, come esposto, le possibilità tipiche130 a disposizione dei soggetti

disputato in prestito ad altro sodalizio un campionato di B2, con promozione in B1, si troverebbe al rientro in società a partecipare a campionati di livello provinciale”,

126Cfr. art. 33, 2° comma, lett. b), R.A.T. Vedi Comm. Tess. F.I.P.A.V., 4 novembre 1999, atleta Collini, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 13 dicembre 1999, atleta Danese, inedita, in cui si sottolinea “dato che la società nella decorsa stagione sportiva ha rinunciato al campionato di serie C, nella cui rosa era ricompresso il ricorrente, per cui proprio ai fini dello sviluppo della pallavolo, appare equo non costringerlo a giocare in un campionato inferiore”, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 9 gennaio 2003, atleta Leggeri, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 12 novembre 2002, atlete Carechino e altre, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 7 novembre 2003, atleta Frulio, inedita, Comm. Tess. F.I.P.A.V., 3 febbraio 2004, atleta Dominaci, inedita.

127Cfr. art. 33, 2° comma, lett. c), R.A.T.

128Cfr. Comm. Tess. F.I.P.A.V, 12 novembre 2002, atlete Carechino e altre, inedita, in cui si precisa che “a nulla vale sostenere, come fa il sodalizio, che le atleta avrebbero concordato con la società di rinunciare all’azione loro accordata in casi del genere (rinuncia al campionato di competenza)”, Comm. Tess. F.I.P.A.V, 3 dicembre 2001, atleti Terenzi e altri, inedita.

129Cfr. art. 135, 7° comma, Regolamento Organico F.I.P., in www.fip.it..

130In merito alla caratteristica di tipicità, vedi C.A.F. F.I.G.C., App. Bologna F.C., in Comunicato Ufficiale n. 8/C del 23 ottobre 1986, inedita, secondo cui “essendo la materia rigidamente disciplinata dalle previsioni regolamentari e non essendo tollerata in tale settore l’atipicità delle forme, non è quindi ammessa l’eventualità che il semplice incontro della volontà dei contraenti possa sortire effetti in contrasto con disposizioni che impongono termini inderogabili e precisi adempimenti”; nello stesso senso Comm. Tess. F.I.G.C., in Comunicato Ufficiale n. 11/D del 27 ottobre 2000, inedita; vedi anche C.A.F. F.I.G.C., App. Pol. Tamai sulla delibera della Comm. Tess. F.I.G.C., in Comunicato Ufficiale

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dell’ordinamento sportivo per costituire e sciogliere il vincolo: a differenza dell’ordinamento statuale non esiste una norma paragonabile all’art. 1322 c.c. che sancisca un principio generale di autonomia contrattuale, e, pertanto, le parti non possono in alcun modo creare tipologie sconosciute alla federazione. La durata e le modalità di scioglimento sono esclusivamente determinate dalle disposizioni federali, con una limitata possibilità di pattuire deroghe131; allo stesso modo sono esposti nel dettaglio i requisiti di forma e di procedura indispensabili per la validità degli atti compiuti. La rigidità di tale disciplina, preordinata alla tempestiva esigenza di certezza nei rapporti tra calciatori ed associazioni causata dalla celerità dello svolgimento delle competizioni sportive, traspare nelle pronunce della Commissione Tesseramenti, e in quelle della Commissione d’Appello Federale: la risoluzione delle controversie, nella maggior parte dei casi, avviene verificando solamente il rispetto di requisiti formali; tale soluzione, considerando le ristrette possibilità di prova esistenti nell’ordinamento sportivo, non è criticabile in ordine ad un veloce ed efficiente funzionamento della giustizia di settore, tuttavia si mostra carente soprattutto nelle questioni attinenti allo scioglimento del vincolo, dove le ragioni alla base del disagio conseguente all’impossibilità di recedere dalla propria associazione sono per gli atleti numerose e slegate dai requisiti di forma esaminati. Tale disagio è attenuato dall’introduzione del c.d. svincolo per decadenza, che costituisce un momento fondamentale per allontanare dalla disciplina F.I.G.C. questioni di illegittimità causate dalla persistente violazione della libertà del singolo nelle formazioni sociali tutelata dall’art. 2 Cost, e della c.d. libertà negativa di associazione introdotta dall’art. 18 Cost.: la soluzione ottimale non è ancora raggiunta, ma in ogni caso l’analisi della giurisprudenza federale delle ultime stagioni sportive evidenzia una riduzione del numero di ricorsi proposti di fronte alla Commissione Tesseramenti, a dimostrazione dell’utilità e della corrispondenza alle esigenze degli atleti del provvedimento.

La Federazione Italiana Pallavolo resta, invece, l’unica federazione italiana a prevedere attualmente la durata a tempo indeterminato del vincolo sportivo: la disciplina relativa allo scioglimento dell’istituto può esaminarsi come in netta contrapposizione con quella della F.I.G.C.; infatti, mentre i calciatori sono limitati nella proposizione delle istanze da un sistema rigido e formale, che tuttavia consente una previsione quasi certa dell’esito della controversia, i pallavolisti devono far riferimento al rimedio della c.d. giusta causa, usufruendo di un maggiore interesse per il caso concreto, ma pagando una più elevata discrezionalità nelle decisioni dell’organo di giustizia federale. Discrezionalità non significa comunque arbitrio e, pertanto, un sistema di scioglimento del vincolo che consideri nel giudizio le circostanze di fatto deve valutarsi positivamente, a differenza della parallela disciplina attinente alla durata del vincolo, come osservato dalla migliore dottrina.132

Numerose zone d’ombra si osservano esaminando il Regolamento Esecutivo della Federazione Italiana Pallacanestro, in cui si apprende come, apparentemente, non sia prevista disciplina alcuna per il vincolo sportivo: infatti, la sua esistenza è affermata unicamente dal 2° comma dell’art. 1 R.E. che, in paragrafo attinente al tesseramento federale, dispone che “con la firma della richiesta di tesseramento, il giocatore si vincola nei confronti della società richiedente e della F.I.P.”133; tuttavia, l’aspirante associato che ricerchi indicazioni circa la nozione e le

n. 16/D del 14 dicembre 2000, inedita: la C.A.F. sanziona mediante deferimento alla Commissione Disciplinare un calciatore che, usufruendo correttamente di alcune norme federali, aveva aggirato i divieti in materia di svincolo stabiliti da altre, ottenendo così un’ipotesi si svincolo non contemplata dalle N.O.I.F.

131Cfr. art. 108, 1° comma, N.O.I.F.

132 Vedi A.A.V.V., Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, 2002, p. 9 e ss.

133Cfr. art. 1, 2° comma, Regolamento Esecutivo F.I.P., in www.fip.it.

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implicazioni attinenti al vincolo che si appresta ad assumere, otterrà un risultato piuttosto incerto: non sono indicate né la durata né gli effetti dell’istituto, e le uniche informazioni ricavabili attengono solamente al suo scioglimento, in norme che, tuttavia, sono dettate utilizzando termini che evidenziano non il sorgere in capo all’atleta del diritto allo svincolo, bensì le modalità del nuovo tesseramento che consegue al suo legittimo esercizio.

Chiarezza ed esaustività non sono pertanto caratteristiche attribuibili alla normativa F.I.P. nella materia in esame, soprattutto in considerazione del fatto che soltanto a queste norme si può fare riferimento per comprendere i diritti e gli obblighi legati al tesseramento; inoltre, la tendenza F.I.P. in materia di svincolo è quella di considerare la sua applicazione una circostanza del tutto eccezionale se indipendente dal consenso dell’affiliato vincolante e che, pertanto, deve essere valutata con “una certa scrupolosità da parte dei giudici”, con la dovuta attenzione nel “contemperare sia gli interessi dei tesserati, sia quelli della società”134; per poter derogare alla durata del vincolo è necessario, pertanto, che i requisiti alla base della pronuncia, oltre ad essere provati documentalmente, “abbiano le caratteristiche della non occasionalità, irreversibilità e della congrua durata nel tempo”135. Questi requisiti, attualmente riscontrabili negli artt. 14, 15 e 16 del Regolamento Esecutivo, sono caratterizzati da tipicità e formalismo al pari della disciplina F.I.G.C., con l’ulteriore aggravante che la decadenza del vincolo per i cestisti avviene al trentaduesimo anno d’età e non al venticinquesimo come per i calciatori.

L’istituto dello scioglimento del vincolo sportivo, pur considerando i recenti margini di miglioramento che le normative di alcune federazioni sportive coinvolte hanno registrato, non può che definirsi corrispondente solo in minima parte alle esigenze degli atleti che necessitano di cambiare affiliato: se ad oggi è comunemente accettata la tesi che identifica un rapporto di tipo associativo tra sportivi e società, tale ricostruzione deve trovare riscontro nei regolamenti federali che attualmente, mediante la disciplina del vincolo e del suo scioglimento, incidono sul problema, configurandolo, tuttavia, in modo da privilegiare gli interessi delle associazioni più che le disposizioni di legge in materia di recesso dell’associato.

ALESSIA BELLOMO, dottore in Giurisprudenza

134Cfr. Corte Federale F.I.P., 28 novembre 2001, atleta Spirito, in Comunicato Ufficiale n. 280, inedita: la Corte precisa che in merito ai trasferimenti d’autorità “si è pronunciata nel senso di ritenere tale norma un fatto eccezionale di deroga al principio generale del vincolo del tesserato nei confronti di una società”; vedi anche Corte Federale F.I.P., 4 dicembre 2001, atleta Di Legami, in Comunicato Ufficiale n. 305, inedita, in cui si sottolinea come “la natura eccezionale della previsione (di svincolo) ha indotto la Corte a valutare in termini di assoluto rigore la sussistenza delle valide ragioni non dipendenti dalla volontà dell’atleta e/o del gravi e documentati motivi che possono consentire il trasferimento d’autorità, al fine di assicurare un corretto bilanciamento dei contrapposti interessi indirizzati, da parte delle società al mantenimento del vincolo e, da parte degli atleti, alla acquisizione di spazi di mobilità”, nello stesso senso Corte Federale F.I.P., 14 novembre 2001, atleta Borgia, in Comunicato Ufficiale n. 247, inedita.

135Cfr. Corte Federale F.I.P., 28 novembre 2001, atleta Spirito, in Comunicato Ufficiale n. 280, inedita, Corte Federale, F.I.P. 4 dicembre 2001, atleta Di Legami, in Comunicato Ufficiale n. 305, inedita, Corte Federale F.I.P., 9 gennaio 2002, atleta Giammarco, in Comunicato Ufficiale n. 439, inedita, Corte Federale F.I.P., 5 febbraio 2002, atleta Ilic, in Comunicato Ufficiale n. 528, inedita.

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IL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO E IL CASO RUMSAS

SOMMARIO:

1. Scattano le euromanette per il ciclista Rumsas

2. Il sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport. Considerazioni sul mandato d’arresto europeo e sulle procedure di consegna fra Stati membri

3. Il recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio Ue, 13 giugno 2002 e le garanzie costituzionali in Italia

4. Considerazioni sulla l. 22 aprile 2005 n. 69 e sul caso Rumsas

1. Scattano le euromanette per il ciclista Rumsas

Il ciclista lituano Raimondas Rumsas è stato arrestato a Lunata, in provincia di Lucca, su mandato di cattura internazionale: è accusato di aver importato medicinali proibiti e l’accusa viene dalla Procura di Bonneville (Alta Savoia). La moglie del ciclista, in Francia, era rimasta in carcere per tre mesi nel 2002 e, l’anno seguente, Rumsas aveva subito un controllo medico da cui risultava positivo per Epo al Giro d’Italia.

Qualche giorno prima che scattassero le manette, i Carabinieri di Capannori (Lucca) avevano ricevuto il mandato d’arresto europeo attraverso l’Interpol e su invio della Corte d’Appello di Chambéry: il provvedimento disponeva la cattura di Rumsas per il reato di contrabbando di medicinali proibiti: il fermo sarebbe stato effettuato più tardi perché il ciclista, che vive da tempo a Lunata, si trovava in quel momento in Lituania per partecipare ad una corsa con la squadra Park Pre-Guru-Selle Italia (corsa che sarebbe proprio stata vinta dal ciclista lituano).

Gli stessi Carabinieri, che avevano atteso il ritorno in Italia di quest’ultimo, l’hanno trasferito al carcere di S. Giorgio di Lucca (al momento dell’arresto Rumsas si è limitato a salutare i militari, rifiutandosi, in seguito, di parlare).

Per la prima volta, con il caso Rumsas, l’Italia applica il mandato di cattura europeo in entrata, cioè proveniente dall’estero verso l’Italia e accoglie la decisione-quadro dell’Ue “che impone ai Paesi membri di unificare e semplificare la consegna di persone colpite da mandato di cattura e da ordine di carcerazione per esecuzione di pena”, avendo deliberato, con l. 14 maggio 2005, “l’applicazione del mandato d’arresto europeo per reati compatibili e per fatti successivi alla data di emanazione della legge”136. Con l’applicazione del mandato, è il primo caso in cui, dopo un’udienza di convalida (qui effettuata preso la Corte di Appello di riferimento, a Firenze), una “persona arrestata viene consegnata al Paese richiedente”137.

L’accusa è precisa: Rumsas risulta accusato di aver contrabbandato sostanze dopanti e la stessa moglie del corridore Edita era stata fermata alla frontiera dei Chamonix perché “sulla sua auto erano stati ritrovati 37 tipi di medicinali diversi”138.

136Doping, Rumsas arrestato a Lucca:“Ha importato medicinali proibiti”, in La epubblicaSport.it, http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/sport/rumsas/html, 1. 137Rumsas: esordio per mandato europeo, in Reebok, http://www.excite.it/sport/news/108422, 1. 138 E. TOSI, Il mandato internazionale di cattura colpisce Rumsas, in Diritto sportivo, Rassegna giuridica sportiva a cura di A. Foggia, http://www.civile,it/sportivo/ 1.

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Il mandato d’arresto, emesso il 7 maggio 2004 dai giudici francesi che desideravano “fare piena luce sui medicinali proibiti importati da Rumsas e dalla moglie in accordo con il medico societario”, rappresenta, così, una prima forma di coordinamento diretta ad attuare in maniera efficiente “le modalità di sottoposizione alle misure cautelari tra diversi ordinamenti nazionali”139. Risulta la conseguenza di un meccanismo operativo entrato in vigore, nel sistema italiano, solo a metà del 2004. Gli avvocati italiani che difendono il corridore sottolineano, però, che tale mandato “perde la propria efficacia qualora venga ricevuto dopo la richiesta di rinvio a giudizio”; gli stessi avocati evidenziano “come la giustizia francese abbia già predisposto il rinvio a giudizio di tutti gli interessati a partire dal dicembre 2004”, per cui i difensori di Rumsas richiedono “il rilascio del proprio assistito, perché non sussisterebbero più le condizioni (dato che l’inquinamento delle prove per fatti accaduti nel 2002 non sarebbe più possibile) per la predisposizione delle misure cautelari nei confronti di Rumsas, il quale, tra l’altro” dichiara di essere pronto a presentarsi regolarmente per difendersi dall’accusa al processo in Francia, “nel dicembre dello stesso anno”140.

Nella situazione che, in seguito all’arresto, si viene in quel modo a determinare, si verifica –per la prima volta- il ricorso all’arresto su mandato europeo: le ‘euromanette’, strette ai polsi del lituano, messo a “disposizione della magistratura francese”, pone in atto quello “che era uno degli obiettivi dell’Europa fin dagli anni ‘70”141. Il corridore di 33 anni, salito persino sul podio del Tour de France, è ora a disposizione dei magistrati d’Oltralpe.

Per la prima volta si introduce in Europa “una novità dirompente nell’equilibrio tra i poteri dello Stato: un potere, quello di estradizione, da sempre affidato alla discrezionalità politica, passa per la prima volta nelle mani della magistratura”142.

L’avvocato Alexandre Varaut conferma la notizia e spiega che, “in piena collaborazione con il suo collega italiano, fa di tutto per riportare in libertà Rumsas”, rivolgendosi alla Corte di Appello di Firenze, ma il mandato d’arresto europeo, emesso dal giudice di Bonneville, è stato posto in essere e “Rumsas è implicato al fianco di sua moglie”143.

Nella vicenda è implicato anche il medico polacco Krzystof Ficek, per aver firmato le ricette di prescrizione dei prodotti dopanti144.

Si riconferma a livello europeo e segnatamente in Italia che il comportamento cui è tenuto lo sportivo deve rimandare a quello giuridico di meritevolezza che, come ha avvertito Jacopo Tognon, “coincide, sostanzialmente, con l’accertamento della non contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume”145. Si risponde con adeguatezza alle sollecitazioni di un sostegno degli Stati membri alle decisioni comunitarie dirette “alla lotta contro il doping nello sport”146. Il fine è quello di combattere la proliferazione del doping, avviando una strategia adeguata e mobilizzando gli strumenti comunitari e statuali, come si evince dal documento della Commissione europea (Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo).

La giustizia sportiva italiana, in anni recenti, ha dovuto più volte affrontare il problema del doping nello sport. In questo senso il Caf-Fgc del 13 maggio 1991 (Foro it., 1991, III, 337) ha affermato che lo sportivo che, con condotta cosciente e volontaria sia dolosa che colposa, faccia

139 TOSI, Il mandato internazionale, cit., 1. 140 TOSI, Il mandato internazionale, cit., 2. 141 A. STAGI, In Italia scattano le euromanette: arrestato a Lucca il ciclista Rumsas, in Il Giornale, 11 luglio 2005, 10. 142 Ibid., p. 10. 143 Ibid., p. 10. 144Cfr. Ciclismo:arrestato Rumsas, Tgcom, 29 giugno 2005, http://www.tgcom.it/sport/artcioli/articolo264107.shtml, 1. 145 J. TOGNON, Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, in Giuslavoristi.it, Informazione e dibattiti sulla giurisprudenza del lavoro di Piemonte, Lombardia e Liguria, www.giuslavoristi.it 2005, 9. Cfr. A. FRATTAROLO, Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, Milano, 2004, specialmente cap. 15 (“La prestazione sportiva. I doveri di lealtà ed obbedienza”), cap. 16 (“Il poptere direttivo e il potere disciplinare delle società sportive e delle federazioni”) e cap. 17 (“Le sanzioni e i procedimenti disciplinari”). Cfr. anche J. TOGNON, La libera circolazione nel diritto comunitario: il settore sportivo, in Riv. amm., fasc. 7, 2002, 647 ss. 146 COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni. Piano di sostengo comunitario alla lotta contro il doping nello sport, Bruxelles, 1 dicembre 1999, COM (1999) 643, in Riv. dir. sport., 2000, I, 123.

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uso di sostanze dopanti (anche in non prossimità della gara), viola l’art. 32 del codice di giustizia sportiva (disciplina antidoping), aggiungendo che il riferimento alla gara “non è elemento essenziale per la sussistenza dell’infrazione”, perché l’art. 32 cit. richiede semplicemente che l’assunzione di detta sostanza proibita “sia preordinata allo scopo di migliorare [in generale] le prestazioni atletiche”, dovendosi intendere per prestazioni atletiche “ogni attività svolta nell’ambito della disciplina che l’atleta pratica, quindi anche nella fase preparatoria”147.

Perché sussista l’illecito sportivo l’assunzione può anche non precedere una determinata gara. In realtà l’art. 32 del codice di giustizia sportiva “si impone di tutelare la salute degli atleti, bene che ogni organizzazione sportiva deve perseguire”148. Il legislatore italiano ha voluto inserire, al riguardo, tuttavia, un preciso obbligo della stessa giustizia sportiva nei confronti dell’autorità giudiziaria. I presidenti delle Federazioni sportive nazionali affiliate al Coni e i presidenti degli organi di disciplina di secondo grado delle stesse Federazioni, che nell’esercizio delle loro funzioni hanno notizia dell’avvenuto reato di frode per doping, debbono dare immediata comunicazione di ciò all’autorità giudiziaria.

L’assunzione di sostanze dopanti e, nel caso di Rumsas lo spaccio delle medesime, concretizza una condotta criminosa punita dall’art. 1 della l. 401/1989 integrante il reato di frode nelle competizioni sportive. Ciò non deve sorprendere: la scienza medica sportiva da tempo ha evidenziato gli effetti delle sostanze droganti (amfetamine e steroidi anabolici). Tali sostanze agiscono sulle attività neuro-psichiche, esaltando la forza agonista dell’atleta, tanto da spingerlo “a superare la sua normale soglia di resistenza”149.

La normativa sportiva tende già di per sé a punire, in ogni caso, l’assunzione di tali sostanze e risponde ad un’esigenza ordinamentale (più generale) che è quella per cui si vuole contrastata l’ipotesi di fraudolenta influenza sui risultati delle gare, come sancisce l’art. 640 c.p.

Se l’applicazione, nell’ambito sportivo, appare problematica, e ci si muove in una sfera di attività dove sono sempre possibili artifici o raggiri, tanto che risulta arduo provare il nesso eziologico tra la condotta fraudolenta e l’effettiva alterazione del risultato150, la convergenza fra norme del diritto sportivo e norme penali è frutto di una precisa combine che si vuole garantita.

La giustizia sportiva reprime una condotta illecita; la giustizia penale interviene più particolarmente nella repressione di un reato.

Organizzazioni come il Coni e altri enti analoghi possono dunque concorrere, con i loro regolamenti, alla repressione delle condotte fraudolente, le quali richiedono, non di rado, il rimando al dolo, visto che l’agente (nel nostro caso Raimondas Rumsas) si muove al fine di raggiungere un risultato diverso da quello che sarebbe stato conseguente al leale svolgimento della gara151.

Gli atti fraudolenti sanzionati dall’art. 1 della l. 401/1989 vengono identificati, in definitiva, anche con il concorso delle organizzazioni sportive152.

Appare chiara la volontà del legislatore di considerare tutta una varietà di comportamenti che né lo sport né il codice penale possono ammettere, atti che si materializzano, come nel caso di Rumsas, in forme artificiose e dolose di comportamento, le quali incidono, poi, negativamente sugli interessi che il legislatore medesimo intende tutelare, dal momento che egli vuole punire tutti gli atti posti in essere dall’atleta, che alterando il risultato della competizione, rivelino altresì una precisa componente delittuosa.

147 A. TANZI, Doping: il sistema della punibilità, in Riv. dir. sport., 2001, I, 185, n. 5. 148 TANZI, Doping: il sistema della punibilità, cit.., 185. Cfr. V. LENOCI, Profili penalistici del doping sportivo, in Riv. dir. sport., 1992, I, 126 ed anche G. VIDIRI, Il doping tra normativa sportiva e ordinamento statale, in Foro it., 1991, III, 225. 149 Pret. Trento, 24 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, II, 755. 150 Cfr. VIDIRI, La frode sportiva, cit., 130. 151 TANZI, Doping: il sistema della punibilità, cit., 187. 152 Cfr. U. IZZO, Quando l’atleta è in ritiro: il soggetto attivo e l’elemento soggettivo del reato di frode, in Riv. dir. sport., 1992, II, 509.

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2. Il sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport. Considerazioni sul mandato d’arresto europeo e sulle procedure di consegna fra Stati membri

La Comunicazione della Commissione Ue indirizzata al Consiglio, al Parlamento europeo,

al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, individua un preciso sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport. Nel documento della Commissione europea si sottolinea che il doping ha costituito, da sempre, una “violazione dei principi fondamentali dell’etica sportiva. Al giorno d’oggi, a causa della proliferazione dei casi rilevati, il fenomeno del doping nello sport ha trasceso”, aggiunge il documento, “il quadro ristretto dell’etica sportiva per diventare anche un problema di salute pubblica. L’attività fisica e sportiva infatti deve in linea di principio contribuire a migliorare la qualità della vita del cittadino” ed il ricorso a sostanze vietate, oppure l’abuso di farmaci, recano “pregiudizio alla salute del praticante ed entrano così in contraddizione con la finalità stessa dello sport. Nel quadro dello sport di competizione il doping simbolizza l’antinomia dello sport e dei valori che esso ha tradizionalmente rappresentato, quali la lealtà ed il superamento di se stesso tramite lo sforzo fisico”153.

Contro la proliferazione del doping, la Commissione mette a punto, così, una triplice strategia: a) raccogliere il parere degli esperti sulla dimensione etica, giuridica e scientifica del fenomeno; b) contribuire alla preparazione della Conferenza mondiale contro il doping; c) mobilitare gli strumenti comunitari “allo scopo di completare le azioni già svolte dagli Stati membri e conferire loro una dimensione comunitaria, tenuto conto, tra l’altro, della crescente mobilità che caratterizza lo sport europeo e delle competenze comunitarie che sono interessate dal fenomeno del doping”154.

La stessa Commissione europea, nell’Allegato 1 della Comunicazione citata, fa rimando agli strumenti utili alla lotta contro il doping, non ultimo quello dell’utilizzazione delle possibilità di programmi di cooperazione tra “gli organi di polizia e gli organi giudiziari”155.

Lo strumento del mandato di arresto europeo diventa, in quel modo, essenziale. Non ci si limita a scambi di informazioni o alla semplice cooperazione strategica tra i servizi repressivi, ma si guarda ad un preciso meccanismo di attuazione della giustizia (nella fattispecie il mandato di arresto internazionale) che completa “il programma di incoraggiamento e di scambi destinato agli operatori della giustizia”156.

La legge italiana 22 aprile 2005, n. 69, recepisce le disposizioni comunitarie, ossia si conforma alla decisione 2002/584/GAI del Consiglio (13 giugno 2002), in seguito denominata ‘decisione-quadro’, relativa “al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri dell’Ue nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo”157.

Il mandato d’arresto europeo risulta, così, una decisione giudiziaria emessa dallo Stato membro dell’Unione europea (nel nostro caso l’Italia), in vista dell’arresto e della consegna “da parte di un altro Stato membro, di seguito denominato ‘Stato membro di esecuzione’, di una persona ai fini dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale e dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale”158.

L’Italia dà esecuzione al mandato d’arresto europeo alle condizioni e con le modalità stabilite nella l. 22 aprile 2005, n. 69, quando il provvedimento cautelare (come nel caso che si è

153 COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Consiglio, cit., 123. 154 COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Consiglio, cit., 125. 155 COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Consiglio, cit.,., Allegato 1: Strumenti comunitari e servizio della lotta contro il doping, testo del 19 novembre 1999, 136. 156COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Consiglio, cit., 136-137. Cfr. L. 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio Ue, del 13 giugno 2002, relativa la mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in Gazz. uff., n. 98, 29 aprile 2005. 157 L. 22 aprile 2005, n. 69, cit., Tit. I, Disposizioni di Principio, art. 1 (Disposizioni di principio e definizioni), co. 1, in Gazz. uff., 29 aprile 2005, n. 98. 158 L. 22 aprile 2005, Tit. I, art. 1, co. 2.

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verificato con Rumsas) su mandato emesso e sottoscritto “da un giudice, sia motivato”, oppure quando “la sentenza da eseguire sia irrevocabile”159.

3. Il recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio Ue, 13 giugno 2002 e le garanzie costituzionali in Italia

Per quanto stabilito dall’art. 6, par. 1 e 2 del Trattato dell’Unione europea, l’Italia dà

esecuzione (ed applica nel caso Rumsas) il mandato d’arresto europeo, nel pieno rispetto dei diritti e dei principi stabiliti dai trattati internazionale e dalla Costituzione.

Vengono fatti salvi i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950). Nello stesso tempo sono fatti valere i principi e le regole “contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto processo, ivi compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di uguaglianza, nonché quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni penali”160.

L’Italia rifiuterà la consegna dell’imputato o del condannato in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei principi suddetti161. Il mandato d’arresto dovrà poi contenere tutta una serie di precise informazioni: a)l’identità e cittadinanza del ricercato; b)il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e di fax, l’indirizzo di posta elettronica dell’autorità giudiziaria emittente; c)l’indicazione dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un provvedimento cautelare e di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva; d)la natura e qualificazione giuridica del reato; e)la descrizione delle circostanze della commissione del reato; f)la pena inflitta, se vi sia sentenza definitiva; g)indicazioni sulle varie conseguenze del reato (per quanto possibile)162.

Dopo la ricezione del mandato d’arresto europeo, le autorità italiane daranno esecuzione, entro cinque giorni, delle misure richieste. Ciò avverrà alla presenza di un difensore d’ufficio nominato a norma dell’art. 97 del c.p.p. (o, in mancanza del difensore di fiducia, il presidente della Corte di Appello o il magistrato delegato procederà a sentire la persona sottoposta alle misure cautelari, informandola, in lingua da essa conosciuta, circa il contenuto del mandato d’arresto europeo)163.

Ciò si è verificato puntualmente in occasione del mandato di arresto europeo effettuato a carico di Raimondas Rumsas a Lucca. Al difensore di quest’ultimo è stato dato avviso, 24 ore prima, dell’effettuazione dell’arresto. Della stessa ordinanza sarebbe stata data comunicazione, a richiesta della persona arrestata, “ai familiari ovvero, se si tratta di straniero, alla competente autorità consolare”164.

Il presidente della Corte di Appello o il magistrato da lui delegato avrebbe poi fissato, con decreto, l’udienza in Camera di consiglio per la decisione entro il termine di 20 giorni dall’esecuzione della misura coercitiva, disponendo contestualmente il deposito del mandato d’arresto europeo e “della documentazione di cui all’art. 6. Il decreto” va comunicato “al procuratore generale e notificato alla persona richiesta in consegna e al suo difensore almeno otto giorni prima dell’udienza”165.

Il mandato di arresto europeo risulta, per altro, pienamente operativo dal primo gennaio 2004166. Comprende le richieste per fatti “puniti dalla legge dello Stato emittente con una pena o

159 L. 22 aprile 2005, Tit. I, art. 1, co. 4. 160 L. 22 aprile 2005, Tit. I, art. 2 (Garanzie costituzionali), co. 1, b). 161 Cfr. L. 22 aprile 2005, Tit. I, art. 2, co. 3. 162 Cfr. L. 22 aprile 2005., Tit. II (Norme di recepimento interno), Capo I (Procedura passiva di consegna), art. 6 (Contenuto del mandato d’arresto europeo nella procedura passiva di consegna), co. 1. 163 L. 22 aprile 2005, Tit. II, art. 10 (Inizio del procedimento), co. 1. 164 L. 22 aprile 2005, Tit. II, art. 10, co. 2. 165 L. 22 Aprile 2005, Tit. II, art. 10, co. 4. 166 Cfr. D. CARDINALE, Il mandato di arresto europeo (pienamente operativo dall’1 gennaio 2004), http://www.dirittoegiustiziaonline.it/comunitario/arrestoeu.htm, 1. Cfr. CONSIGLIO DELL’UNIONE

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misura di sicurezza non inferiore, nel massimo, a 12 mesi; inoltre si riferisce a fatti per i quali lo Stato emittente ha disposto la condanna ad una pena detentiva (o misura di sicurezza) non inferiore a 4 mesi. L’esecuzione del mandato di arresto per tali reati può essere negata qualora i fatti per cui viene richiesto non costituiscano un reato secondo la legge dello Stato di esecuzione (c.d. principio della doppia incriminazione)”, ma si sottolinea il fatto che il rifiuto di eseguire il mandato di arresto per mancanza della doppia incriminazione “non è obbligatorio: anche nel caso in cui il fatto sia punito solamente dall’ordinamento dello Stato che lo ha emesso, le autorità dell’esecuzione possono, tuttavia, darvi seguito”167. C’è poi una categoria che prescinde dalla regola della doppia incriminazione. Essa si riferisce a 32 fattispecie di reato per le quali lo Stato emittente prevede una pena detentiva –o una misura di sicurezza- pari o superiore a 3 anni: l’elenco di tali fattispecie viene fornito in allegato alla decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, e nelle fattispecie previste rientra il reato commesso da Rumsas (commercio di sostanze stupefacenti) accanto a reati quali il terrorismo, il traffico di armi, la corruzione, le frodi, i reati informatici, l’omicidio volontario e le lesioni personali gravi, poi la truffa, i reati di competenza della Corte penale internazionale (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimini di aggressione).

Nel caso Rumsas emerge chiaramente che si doveva prescindere dalla regola della doppia incriminazione, perché il doping rientra nella categoria prevista della repressione di spacciatori o mercanti di sostanze stupefacenti. Sarà comunque l’autorità di esecuzione a decidere se dare seguito o meno al mandato di arresto e lo farà se esso non contrasta, si è visto, con i principi costituzionali e con le garanzie universalmente riconosciute nell’ambito dell’Ue e degli Stati. La decisione dovrà essere emessa nei termini previsti (10 giorni dalla comunicazione nel caso del consenso dell’arrestato, altrimenti 60 giorni dall’arresto del medesimo, prorogabili, in casi particolari, di ulteriori 30 giorni)168.

Il ricercato avrà diritto all’audizione dinnanzi all’autorità giudiziaria (con la partecipazione di un’altra persona designata secondo la legislazione dello Stato membro che ha emesso il mandato). In caso di arresto, la persona ricercata avrà poi diritto “di essere assistita da un consulente legale e da un interprete –come si è detto- e potrà decidere di acconsentire al trasferimento. L’autorità dell’esecuzione deciderà se la persona debba o meno rimanere in stato di custodia. La decisione sulla libertà personale sarà, ovviamente, affidata ad un organo giurisdizionale, visto il riferimento alle norme interne dello Stato di esecuzione169.

4. Considerazioni sulla l. 22 aprile 2005 n. 69 e sul caso Rumsas Con la l. n. 69 del 22 aprile 2005, il Parlamento italiano ha varato le nuove disposizioni in

materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra gli Stati membri. In base alla nuova normativa, il mandato di arresto europeo viene definito come “una

decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione europea, in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione della pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale”170. Vengono riconfermati i principi stabiliti dalle garanzie costituzionali e si precisa che la consegna dell’imputato o del condannato all’estero “non può essere concessa senza la

EUROPEA, Decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra gli Stati membri, in Guce L 190, 18 luglio 2002. 167 CARDINALE, Il mandato di arresto europeo, cit., 2. 168 CARDINALE, Il mandato di arresto europeo, cit., 3. 169 Cfr. CARDINALE, Il mandato di arresto europeo, cit., 3. La consegna potrà essere differita “per gravi motivi umanitari, nel caso in cui la consegna non venga effettuata entro i 10 giorni ordinari o entro il termine previsto per il differimento per motivi umanitari”, e nel caso in cui la persona “si trovi ancora in stato di custodia, essa deve essere liberata” (CARDINALE, Il mandato di arresto europeo, cit., 3). 170 Preambolo alla l. 22 aprile 2005, n. 69.

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decisione favorevole della corte di appello”171. Si prescinde, come si è visto, dall’ipotesi di doppia incriminazione proprio nei casi di trasporto o commercializzazione di sostanze che, “secondo le legislazioni vigenti nei Paesi europei, sono considerate stupefacenti o psicotrope”172. Si vuole, con il mandato di arresto europeo, rendere “la procedura più rapida e semplice, in quanto viene soppressa tuta la fase politica e amministrativa a beneficio di una procedura giudiziaria”173.

Appare chiaro che con il mandato di arresto europeo si estende lo spazio giudiziario dell’Ue e che tale mandato “mira a sostituirsi al pregresso sistema dell’estradizione, imponendo ad ogni autorità giudiziaria nazionale (autorità giudiziaria dell’esecuzione) di riconoscere, ipso facto, e dopo controlli minimi, la domanda di consegna di una persona formulata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro (autorità giudiziaria emittente)”174.

Saranno gli Stati a facilitare e semplificare maggiormente le procedure di consegna e, nel caso Rumsas non si pone neppure l’esigenza di verifica della doppia incriminazione del fatto, perché il reato previsto (trasporto e commercio di stupefacenti) è escluso da tale verifica, rimanendo fermo che ciascuno Stato membro potrà non dare esecuzione al mandato di arresto europeo se si è già pronunciata una sentenza definitiva da parte dello Stato membro per lo stesso reato, o se il reato sia stato amnistiato dallo Stato membro dell’esecuzione o se la persona interessata non possa “essere considerata responsabile dallo Stato membro di esecuzione a causa dell’età”175.

Rimane il fatto che sempre l’indagato dev’essere ascoltato e informato sul contenuto del mandato (oltre che, come si è visto, assistito da un difensore e da un interprete)176.

Ciò premesso, e posti in salvo i principi costituzionali e le garanzie universalmente riconosciute a tutela della persona, il mandato di arresto europeo si prospetta come primo strumento adottato sul terreno del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. L’Italia si è resa così partecipe ad una comune, sentita esigenza europea volta a conseguire risultati “tanto sul versante dell’armonizzazione del diritto sostanziale (come la decisione quadro sull’incriminazione delle condotte di traffico di droga) che del mutuo riconoscimento, come gli accordi raggiunti in tema di sequestro e confisca di proventi illeciti”177.

Con la consegna di Rumsas alla giustizia francese si conferma la decisione degli Stati dell’Ue di far fronte ad un fenomeno perverso di cui si auspica la necessaria repressione178. Il ciclista lituano Raimondas Rumsas ha certo ricevuto una visita dei Carabinieri di Lucca che si doveva attendere, dopo essere stato “accusato di avere introdotto e contrabbandato sostanze stupefacenti”179. Il tribunale francese di Bonneville, che aveva indagato sulla vicenda doping in cui era stato coinvolto il ciclista lituano, insieme alla moglie e al medico sportivo, non poteva incontrare remore, com’era chiaro al giudice Vincent Le Pannerrer, titolare dell’inchiesta, “che aveva fatto sapere di non attendere risposta negativa alla sua richiesta di estradizione”180.

171 L. 22 aprile 2005 n. 69, Tit. II (Norme di recepimento interno), Capo I, art. 5 (Garanzia giurisdizionale), co. 1. 172 L. 22 aprile 2005, Tit. II, art. 8 (Consegna obbligatoria), co.1, e). 173 Mandato d’arresto europeo, Attività dell’Unione europea, http://europas.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/133167.htm, 1. 174 Mandato d’arresto europeo, cit., 1. 175 Mandato d’arresto europeo, cit., 3. 176 Cfr. GOVERNO ITALIANO, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Il mandato d’arresto europeo, Dossier del 18 aprile 2005, http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/arresto_europeo, 2. 177 F. FAVARA (Procuratore generale della Repubblica presso la Corte suprema di Cassazione), La giustizia italiana e l’Europa, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2004 (Inaugurazione anno giudiziario 2005), 11 gennaio 2005, in Giust. it., http://www.giustizia.it/uffici/inaug-ag/cass2005index.htm, 4. Cfr. G. AIELLO, Prime considerazioni sulla legge antidoping, in Riv. dir. sport., 2000, I, 7 ss. 178 Cfr. Cass. pen., 29 dicembre 2004, n. 49949 (Per i processi doping iniziati prima del 2002 la parola passa alle Sezioni Unite), in Dir. sport., http://www.civile.it/sportivo/visual.asp?num=1819, 1 ss.; si vedano anche Comunicato Coni sul doping, 26 maggio 2004, in Dir. sport., http://www.civile.it/sportivo/visual.asp?num=1570, 1 ss.; FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1995, passim. 179 TOSI, Il mandato internazionale di cattura, cit., 1. 180 Ciclismo:arrestato Rumsas, in Tgcom, 20 giugno 2005, cit., 1.

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Rumsas è stato arrestato nella sua casa di Lunata in esecuzione “di un mandato di arresto europeo spiccato dalla giustizia francese”, mentre si è introdotta in Europa “una novità nell’equilibrio dei poteri dello Stato”181. Si passa dalla discrezionalità politica al ricorso diretto della magistratura.

GIUSEPPE GLIATTA , collaboratore alla Cattedra di Diritto dell’Unione europea e Normative

europee dello sport, Università di Teramo

181 STAGI, In Italia scattano le euromanette, cit., 1.

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CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Decisione quadro relativa al mandato di arresto

europeo e le procedure di consegna tra gli Stati membri, in Guce L 190, 18 luglio 2002 F. FAVARA (Procuratore generale della Repubblica presso la Corte suprema di Cassazione),

La giustizia italiana e l’Europa, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2004 (Inaugurazione anno giudiziario 2005), 11 gennaio 2005, in Giust. it., http://www.giustizia.it/uffici/inaug-ag/cass2005index.htm

A. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1995 A. FRATTAROLO, Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, Milano, 2004 Doping, Rumsas arrestato a Lucca:“Ha importato medicinali proibiti”, in La

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frode, in Riv. dir. sport., 1992, II, 509 V. LENOCI, Profili penalistici del doping sportivo, in Riv. dir. sport., 1992, I, p. 126 A. STAGI, In Italia scattano le euromanette: arrestato a Lucca il ciclista Rumsas, in Il

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Cass. pen., 29 dicembre 2004, n. 49949 (Per i processi doping iniziati prima del 2002 la

parola passa alle Sezioni Unite), in Dir. sport., http://www.civile.it/sportivo/visual.asp?num=1819 Pret. Trento, 24 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, II, 755

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IL RAPPORTO DI LAVORO NELLO SPORT DILETTANTISTICO: PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE

SOMMARIO:

1. Premessa - il rapporto tra atleta e associazione sportiva. L’istruttore sportivo.

2. La disciplina applicabile sotto il profilo previdenziale e fiscale nel rapporto tra atleti dilettanti e società .

1. Premessa - Il rapporto tra atleta e associazione sportiva. L’istruttore sportivo.

Il mondo dello sport professionistico e dilettantistico è composto da diversi protagonisti. Tra

le persone fisiche sono individuabili gli atleti, gli ausiliari sportivi (dirigenti sportivi, gli arbitri, i giudici, gli ufficiali di gara ed i tecnici), e i soggetti non tesserati. Nella categoria dei sodalizi o enti sportivi rientrano invece le associazioni sportive, le società sportive di capitali, le federazioni sportive internazionali e nazionali, il Comitato Olimpico Internazionale ed i Comitati Olimpici Nazionali.

In via generale la qualifica di atleta si riconosce a tutti quei soggetti che "gareggiano" e svolgono prestazioni di natura agonistica all'interno di una data disciplina sportiva. Più precisamente, per atleta si intende colui il quale, nel praticare una certa disciplina sportiva, ha quale finalità primaria quella di misurarsi con gli altri praticanti in un contesto disciplinato - le gare - al fine di vincere e rientrare all'interno di una graduatoria di valori atletici. Tale scopo presuppone l'inserimento all'interno di un assetto organizzativo che fissi le regole delle gare, ne disciplini lo svolgimento e ne accerti i risultati: questo è il cosiddetto "ordinamento sportivo".

Lo status di atleta si acquisisce con l'inserimento nell'ordinamento sportivo attraverso un vero e proprio atto formale di adesione da parte del primo. Tale atto, denominato tesseramento, è costituito dall'iscrizione del soggetto ad un'associazione o società sportiva la quale iscrive lo stesso alla Federazione oppure dalla diretta iscrizione alla Federazione sportiva. Il procedimento attraverso cui avviene il tesseramento risulta disciplinato nei regolamenti delle varie Federazioni, i cui organi verificano i presupposti sostanziali per il suo conseguimento. L'avvenuto tesseramento crea e attribuisce in capo all'atleta diritti ed obblighi nei confronti degli altri atleti, dell'associazione sportiva, della Federazione nazionale e internazionale.

Il complesso degli atleti non si presenta come un insieme indifferenziato di soggetti. Gli statuti ed i regolamenti federali, infatti, differenziano tale categoria sulla base di criteri eterogenei: la natura della disciplina sportiva praticata, la comunità di appartenenza, i requisiti fisici, etc.

Il principale criterio è quello che prende in considerazione la natura della disciplina sportiva praticata. Questo criterio è di fondamentale importanza poiché le gare tra atleti, avendo per oggetto lo svolgimento di un dato esercizio fisico, avvengono solo tra atleti che appartengono alla medesima categoria di specialità sportiva.

Altro criterio di differenziazione è quello che distingue gli atleti a secondo del collegamento ad un certo ente territoriale, quale ad esempio la città o lo stato. Gli atleti poi si differenziano in base ai requisiti fisici. Il principale requisito fisico è quello del sesso. I regolamenti sportivi, sulla base del sesso, arrivano ad ammettere differenti categorie di atleti, in alcune specialità, riservando l'attività sportiva alle sole persone fisiche di sesso maschile.

L’attività sportiva dilettantistica quale attività “non professionistica” Nel concetto di attività sportiva, ai fini della presente trattazione, rientra esclusivamente

quella svolta all’interno del c.d. “ordinamento sportivo”, ossia quella disciplinata dal Coni

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attraverso i suoi enti riconosciuti: Federazioni sportive Nazionali, enti di promozione sportiva e discipline sportive associate.

Nulla vieta di svolgere attività sportiva (rectius motoria) all’esterno, tramite, ad esempio, centri di cultura fisica (quelle che oggi, abitualmente vengono definite “palestre”) che non possiedono il riconoscimento ai fini sportivi da parte del Coni. Dette attività sono, normalmente, disciplinate da leggi regionali e, sotto il profilo lavoristico, fanno riferimento alla disciplina generale civilistica, ossia agli articoli 2094 e ss., per i rapporti di lavoro subordinato, e 2222 e ss., per quelli di lavoro autonomo.

L’articolo 1 della legge 91/81, nell’affermare la libertà dell’esercizio dell’attività sportiva, la divide tra quella svolta in forma professionistica e quella dilettantistica. Tale principio veniva a stravolgere l’impostazione data dalle carte federali della Federcalcio che disciplinava tre categorie di atleti: i dilettanti che “esercitavano l’attività sportiva senza remunerazione o altre utilità materiali; i “semiprofessionisti”, ritenendo come tali coloro i quali praticavano “lo sport del calcio non a titolo di professione esclusiva” e con diritto ad un trattamento economico ambiguamente definito; e i c.d. professionisti.

Come correttamente ricorda il Prof. De Silvestri: “La dicotomia professionista-dilettante è sorta nella seconda metà dell’Ottocento, quando in Inghilterra ebbero origine le moderne discipline sportive. All’epoca gli atleti assunsero la posizione di dilettanti sia perché le attività praticate erano, per la loro natura, in utilitaristiche e sia perché, appartenendo a classi socialmente agiate, non avevano bisogno di lavorare e di ricavare un reddito sostitutivo dallo sport. Da quel momento la qualifica di dilettante fu imposta quale requisito per l’ammissione alle gare nel rispetto della par condicio dei partecipanti e, idealizzata e sublimata, fu recepita quale fattore costitutivo ed imprescindibile della dottrina olimpica, fondata sull’incompatibilità tra homo ludens e homo faber”182.

Non vi è dubbio, pertanto, che in origine (e tuttora nei regolamenti delle Federazioni internazionali) la differenza concettuale tra attività sportiva professionistica e dilettantistica fosse di natura economica.

Il primo problema che si deve affrontare, ora, è cosa si debba intendere per “attività sportiva dilettantistica”. Il legislatore, infatti, come è noto, ha qualificato il professionismo sportivo183ritenendo, come tale, l’esercizio di attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguano la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica. Tale competenza, affidata al Consiglio Nazionale, viene ribadita anche dal decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242184 e recepita nello statuto dell’ente185, nell’ambito del quale, però, viene introdotto il concetto di attività dilettantistica come attività “non professionistica.

Se ne ricava che i requisiti perché si possa parlare di attività sportiva professionistica dovranno essere lo svolgimento dell’attività a titolo oneroso, con continuità in un settore dichiarato professionistico dalla Federazione di appartenenza.

A contrariis, non sussiste alcune definizione in “positivo” di attività dilettantistica. Pertanto, dovremo ritenere che sia da considerare attività sportiva dilettantistica, per differenza, tutta quella che non è possibile qualificare come professionistica sulla base di quanto sopra indicato.

182 A. De Silvestri, La tutela associativa e lavoristica del dilettante, convegno Vicenza 18.10.2003, inedita 183 Art. 2 legge 23.03.1981, n. 91 184 art. 5 comma 2 lett. d) “..Stabilisce, in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale, criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica” 185 Art. 6 comma 4 lett. d) “stabilisce, in armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna Federazione Sportiva Nazionale, i criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica

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E’ noto che sei Federazioni hanno dichiarato l’apertura di un settore professionistico nell’ambito della propria attività186. Tutte le altre, pertanto, svolgono esclusivamente attività sportiva dilettantistica.

Diverse sono le prestazioni che vengono rese in favore di una società sportiva da parte dei propri tesserati: istruttori, dirigenti, atleti, tecnici ecc... Queste persone possono instaurare, con il sodalizio sportivo, o un rapporto volontario a carattere associativo o una prestazione lavorativa a carattere gratuita o retribuita. Si ha rapporto volontario ogni qualvolta, in assenza di compenso, l’associato presta la propria opera in favore dell’associazione nel quadro del vincolo associativo assunto di carattere negoziale e, pertanto, prescindendo da ogni nesso sinallagmatico; al collaboratore non viene riconosciuto alcun tipo di compenso patrimonialmente valutabile, sia esso in denaro che in natura. Al volontario potranno essere rimborsate esclusivamente le spese vive da lui anticipate, ed idoneamente documentate, per incarichi svolti in nome e per conto dell'associazione.

Ci possono, poi, essere le prestazioni lavorative a carattere gratuito “gratiae vel benevolentia causae” nell’ambito delle quali l’attività viene svolta a fronte di riconoscimenti di carattere extra-economico (l’amore per lo sport, per i colori sociali, ecc.)

Ogni qualvolta, invece, viene stabilito un emolumento fisso, anche se esiguo, ci troviamo di fronte ad un rapporto retribuito. Quando si parla di rapporto di lavoro retribuito è inevitabile giungere ad un ulteriore bivio. Infatti il rapporto di lavoro può essere, esclusivamente, di natura subordinata (cioè di dipendenza) o autonoma (cioè libero-professionale), tertium non datur.

A questo punto occorre distinguere l'attività sportiva professionistica da quella dilettantistica. La prima è quella disciplinata dalla legge 23.03.81 n. 91 la quale prevede, al suo art. 2 che "sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l'osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica". Il Consiglio Nazionale del Coni ha, ad oggi, formalmente riconosciuto lo svolgimento di attività professionistica in settori di attività di 6 Federazioni sportive. Per l'esattezza: calcio, pallacanestro, pugilato, golf, ciclismo, motociclismo. Occorre precisare che, per quest'ultima disciplina, pur essendo stata deliberata la costituzione di un settore professionistico, questo non è mai stato disciplinato e, pertanto, allo stato pratico non esiste alcun tesserato alla Federazione motociclistica che possa considerarsi sportivo professionista. Ne deriva che la distinzione tra attività sportiva professionistica e dilettantistica non è data, come comunemente si intende, dal contenuto economico della prestazione ma dalla qualificazione giuridica che ne viene data dalla Federazione di appartenenza. Pertanto, illustri sportivi del mondo dello sci, del tennis, della pallavolo, pur avendo conseguito (in maniera del tutto legittima come di seguito sarà meglio specificato) compensi nel corso della loro attività sportiva sono da considerarsi , a tutti gli effetti, sportivi dilettanti. Tant’è che con terminologia che si ritiene più corretta il nuovo statuto del Coni definisce l’attività dilettantistica come “non professionistica”.

Caratteristica delle prestazioni sportive dell'atleta professionista è la presunzione legislativa di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato187. Caratteristica della disciplina in esame appare

186 queste sono: Federazione italiana gioco calcio, federazione italiana pallacanestro, federazione ciclistica italiana, federazione italiana golf, federazione italiana pugilato e federazione motociclistica italiana 187 Art. 3 Legge 91.81: "La prestazione a titolo oneroso dell'atleta, costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno."

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la distinzione tra attività autonoma e subordinato. Infatti, come traspare nitidamente dalla lettura della norma, la presunzione di subordinazione si trasforma in autonomia con il diminuire della "intensità della prestazione". Quindi la distinzione tra autonomia e subordinazione, nel caso di specie, non è legata al classico concetto della subordinazione gerarchica del lavoratore inserito nell'impresa ma alla intensità della prestazione stessa. Gli elementi dell'eterodirezione e dell'inserimento organico della prestazione nell'azienda perdono il ruolo di tratti distintivi del contratto di lavoro subordinato, mentre assumono tale ruolo gli elementi indicati dalla legge in riferimento al lavoro sportivo: in particolare il vincolo contrattuale della partecipazione a sedute di allenamento, la non occasionalità e la rilevante estensione della prestazione nell'unità di tempo.188Si ritiene opportuno evidenziare anche che la presunzione in esame riguarda solo "l'atleta" (cfr. espressamente la rubrica dell'art. 3 "Prestazione sportiva dell'atleta") e non le altre categorie di "sportivi professionisti"189. Il rapporto di prestazione sportiva si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all'accordo stipulato ogni tre anni dalla Federazione Sportiva Nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate190. Per quanto riguarda, invece, l'attività dilettantistica, l'inquadramento lavoristico dovrà essere evidenziato sulla base dei criteri ermeneutici offerti dal codice civile. E' da rilevare, infine, che le problematiche sui rapporti di lavoro nel mondo dilettantistico prescindono dalla natura giuridica del soggetto affiliato. Ossia si applicano, indifferentemente, sia ai sodalizi sportivi costituiti in forma associativa che a quelli costituiti in forma societaria.

Le prestazioni a titolo gratuito dei tesserati federali All’interno delle associazioni sportive, non è infrequente rilevare la presenza di soggetti che

svolgono prestazioni d’opera a titolo gratuito. Nell’esame che seguirà non appaiono sostanziali differenze tra le prestazioni volontari degli associati e quelle gratuite dei soggetti esterni. Al fine di analizzare le problematiche e le conseguenze giuridiche che da tale situazione scaturiscono è opportuno, in primo luogo, seppur brevemente, inquadrare la tipologia del lavoro gratuito. Innanzitutto va ribadito che la collocazione delle prestazioni in esame tra quelle a carattere "sportivo dilettantistico" non giustifica e motiva, di per se, la gratuita della prestazione medesima. Lo stesso legislatore, come meglio vedremo in seguito, ha previsto la tassazione dei compensi percepiti "nell'esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica". Pertanto, per poter considerare come gratuita un'attività sportiva dilettantistica occorre, comunque, un quid pluris rispetto alla semplice pratica sportiva

A prima vista potrebbe sembrare addirittura una contraddizione in termini la terminologia comunemente utilizzata di ”lavoro gratuito”, in quanto, non solo nell’ordinamento giuridico vigente, ma anche nel comune sentimento popolare, sussiste una sorta di presunzione di onerosità in relazione alla prestazione lavorativa.

Non per questo, però, può essere a priori esclusa un’attività lavorativa prestata gratuitamente.

Il nostro ordinamento giuridico, infatti, non riporta alcuna norma a carattere inderogabile che impedisca all’autonomia privata di instaurare un rapporto di tal genere; tale non è ne l’art. 36 Cost. il quale nelle sue enunciazioni di principio non attribuisce al lavoratore un incondizionato

188 Sul punto vedi: P. Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano, 1989, pag. 127 189 Sulla configurabilità di un rapporto di lavoro autonomo tra un allenatore sportivo professionista ed una società sportiva vedi: C. Cass. sez. lav., 17 gennaio 1996, n. 354 190 La disposizione in esame, oltre ad imporre la forma scritta ad substantiam a pena di nullità del contratto prescrive anche l'approvazione, da parte della Federazione medesima, del contratto stesso che la società datrice di lavoro è tenuta a depositare presso gli organi federali. Tale approvazione costituisce una condicio juirs che condiziona il perfezionamento della fattispecie contrattuale e quindi la produzione degli effetti voluti dalle parti sicchè in sua mancanza è negata qualsiasi efficacia al vincolo contrattuale, C. Cass. sez. lav. 12 ottobre 1999, n. 11462

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diritto alla retribuzione, ne l’art. 2094 Cod. Civ.: il quale prevede che è prestatore di lavoro subordinato colui che si impegna a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, sotto la direzione dell’imprenditore, dietro retribuzione.

Pertanto, se è vero che colui che presta la propria opera, sotto qualsiasi forma, a favore di terzi deve essere retribuito, esistendo la sopra menzionata presunzione di onerosità, è anche vero che nulla impedisce, per dirlo secondo la consolidata giurisprudenza, l’intenzione liberale di fornirla.191

I motivi che spingono un soggetto a prestare la propria attività lavorativa senza ricevere in cambio alcun compenso, possono essere molteplici; tra i tanti si possono ricordare l’intenzione di accrescere e perfezionare le proprie conoscenze, migliorando il proprio livello di istruzione, l’esistenza di motivazione di ordine etico-sociale o finalità di solidarietà sociale; la “affectionis vel benevolentiae causa”, vale a dire la realizzazione di una determinata causa di natura non economica ossia a carattere sociale, culturale, assistenziale o sportiva ritenuta comunque meritevole secondo l’ordinamento giuridico.192

In primo luogo è indispensabile chiarire che qualora l’attività lavorativa sia prestata a titolo gratuito “affectionis vel benevolentiae causa”, quindi per motivazioni che sul piano etico-sociale escludono la sussistenza dell’onerosità della prestazione, o comunque per il raggiungimento di obiettivi prefissati dal prestatore che nulla hanno a che vedere con l’ottenimento di un risultato economico, quale è la retribuzione, viene meno la volontà delle parti di vincolarsi, non sorgendo tra le stesse alcun rapporto obbligatorio giuridicamente rilevante in grado di giustificare l’insorgenza di legittime pretese reciproche tra i contraenti.

Conseguentemente, nei casi sopra citati, non sorge il diritto al compenso, ne’ può ipotizzarsi uno dei casi in cui può essere esperita vittoriosamente l’azione di indebito arricchimento, ex art. 2041 Cod. Civ., mancandone i richiesti presupposti.

Sotto il profilo della mancata previsione di un compenso, quale controprestazione all’attività lavorativa prestata da un soggetto, si deve rilevare come ciò sia giustificato dall’inesistenza di un rapporto di lavoro, sia autonomo che, a maggior ragione, subordinato. Come emerge dalla normativa che disciplina i contratti di lavoro, nonché dall’esame della costante giurisprudenza, il rapporto di lavoro si caratterizza per la presenza degli elementi della continuità, della collaborazione nell’altrui impresa, del vincolo di subordinazione nel lavoro dipendente, nonché dell’onerosità della prestazione, elemento che ricorre quando vi sia una corrispettività tra l’attività svolta dal lavoratore e la controprestazione posta a carico del datore di lavoro.

RAPPORTI DI LAVORO VOLONTARIATO

GRATUITO

RETRIBUITO

NESSUN

OBBLIGO PER L’ASSOCIAZIONE

PRESTAZIONI DILAVORO

SUBORDINATO RITENUTE

FISCALI,

PRESTAZIONI DI LAVORO AUTONOMO

RITENUTE FISCALI E CONTRIBUZIONI

191 cfr. C. Cass. 14 novembre 1972, n. 3389 192 "Costituisce ius receptum il principio costantemente riaffermato da questa corte suprema secondo il quale ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso e, perciò, l'assunto dela sua riconducibilità ad un rapporto diverso (non di lavoro subordinato) istituito affectionis vel benevolentiae causa, con la correlativa gratuità della stessa attività esige una prova rigorosa." C. Cass. 28 marzo 1998, n. 3290

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CONTRIBUZIONI PREVIDENZIALI ED ASSICURATIVE A CARICO DELL’ASSOCIAZIONE

(ART.2094 C.C.)

PREVIDENZIALI (ART.2222 C.C.)

ESERCIZIO DI

ARTI E PROFESSIONI Prestazioni

assoggettate ad IVA, ritenuta d’acconto e a contribuzione previdenziale

CONTRATTO A PROGETTO

assoggettata a ritenuta d’acconto e a contribuzione previdenziale

COLLABORAZIONE OCCASIONALE

assoggettata ritenuta d’acconto per compensi superiori a euro 25,82

RIMBORSI EX ART. 37 L. 342/00 nessun esborso per l’ente fino a euro 7.500 di compenso annuo allo sportivo

Sotto il profilo dell’azione di arricchimento senza giusta causa è preliminarmente necessario

verificare quali siano i presupposti che legittimano tale azione. In base all’art. 2041 Cod. Civ. l’azione di indebito arricchimento riveste innanzitutto carattere sussidiario, nel senso che può ricorrersi ad essa solamente quando sia preclusa qualsiasi altra azione. In secondo luogo essa è esperibile quando un soggetto realizzi un aumento patrimoniale a scapito di un altro soggetto che correlativamente subisca una corrispondente diminuzione patrimoniale. Occorre dunque uno stretto collegamento tra la diminuzione e l’accrescimento patrimoniale che non trovi giustificazione né in una disposizione di legge né nell’esistenza di una convenzione tra le parti.

Valutati quindi i presupposti che legittimano l’azione di arricchimento senza causa, è possibile osservare come l’attività gratuitamente svolta per un’associazione sportiva in ragione della comunanza di scopi, a carattere extraeconomico, non evidenzi un indebito arricchimento a danno del prestatore, proprio perché questo presta la propria attività lavorativa per finalità che sono ulteriori e diverse da quelle economiche che solitamente spingono il soggetto a lavorare, individuabili nella volontà di acquisire una maggiore esperienza in un determinato campo, o di contribuire con il proprio operato ad accrescere l’interesse del sodalizio nei confronti del fenomeno sportivo considerato quale fondamentale momento di positiva aggregazione tra le persone ed in particolare tra i giovani.

Diversamente sono considerati sussistenti i presupposti di cui sopra qualora il soggetto presti, senza un espresso consenso, la propria attività gratuita a favore di soggetti che a differenza delle associazioni svolgono prevalentemente attività d’impresa dirette al perseguimento di un lucro

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sia oggettivo sia soggettivo. E’ il caso, per esempio, del socio di una società di capitali che abbia prestato la propria attività lavorativa a favore della società medesima (Cass. 27/10/81 n° 5616).

In ogni caso, tenuto conto che il contenzioso potrebbe essere intentato dai prestatori di attività gratuita e considerato che il consenso espresso dal collaboratore giustifica il trasferimento di utilità economica priva di controprestazione, al fine di evitare eventuali controversie risulta comunque opportuno acquisire una dichiarazione del collaboratore da lui sottoscritta al momento dell’inizio dell’attività nella quale risulti specificato che l’attività é prestata volontariamente e gratuitamente per contribuire al raggiungimento delle finalità che l’associazione si propone. Nella dichiarazione stessa sarà inoltre preferibile inserire che il collaboratore svolge l’attività sotto la sua personale responsabilità e che quindi, oltre a non rivalersi nei confronti dell’associazione per i danni da lui eventualmente subiti nello svolgimento dell’attività lavorativa ed a causa di essa, lascia altresì indenne l’associazione da ogni pretesa da parte di terzi, di risarcimento dei danni causati e/o derivanti dall’attività da lui gratuitamente prestata.

Una dichiarazione di questo tipo può evitare, infatti, un altro pericolo forse più reale rispetto a quello dell’esercizio dell’azione d’indebito arricchimento.

Si concretizzerebbe nel caso di specie un contratto di lavoro atipico che consente al lavoratore di rivendicare quanto gli sarebbe spettato in forza dell’attività prestata, così come disposto anche dall’art. 2126 Cod. Civ. il quale afferma che “se il lavoro è prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.”.

A maggior ragione, quindi, si rende opportuna la predisposizione di una dichiarazione del tipo sopra indicato sottoscritta da coloro che si apprestano a fornire gratuitamente, in via continuativa, la propria attività a favore dell’associazione per le ragioni a carattere non economico individuate in precedenza e che giustificano la prestazione di un’attività fornita senza la previsione di alcun compenso.

Rientrano, dunque, nell'ambito del volontariato gratuito, tutte quelle forme di collaborazione in cui il prestatore lavora semplicemente per passione, pago delle soddisfazioni che gli provengono dall'aver contribuito alle varie iniziative poste in essere dal sodalizio, senza avere né richiedere alcun tipo di compenso per l'attività prestata.

Dichiarazione di attività gratuita Al Consiglio Direttivo Dell’Associazione _______________ Il sottoscritto_____________________socio dell’associazione______________________ Dichiara Di non percepire alcun compenso per la partecipazione all’attività (o manifestazioni a cui

sarà invitato) dell’Associazione. Dichiara inoltre di svolgere l’attività in modo del tutto volontaria e gratuita senza alcun

vincolo di subordinazione nei riguardi dell’Associazione. Al sottoscritto saranno rimborsate unicamente le spese sostenute e autorizzate (viaggio,

soggiorno, vitto) con presentazione di idonea documentazione. Il sottoscritto esonera da ogni responsabilità l’Associazione nello svolgimento dell’attività di

cui sopra. In fede _______ (il socio) _________lì__________

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Lettera d’incarico L’associazione ________autorizza ed incarica il_________a partecipare alla manifestazione

del________a______in qualità di_________. L’incarico è a titolo gratuito senza che il ______possa pretendere alcun compenso, secondo lo spirito dello statuto, in virtù del quale tutti gli incarichi sociali sono gratuiti e volontari. Il socio svolgerà la sua attività in piena autonomia senza alcun vincolo di subordinazione né di carattere organizzativo né tecnico.

In relazione alla natura dell’incarico ognuna delle parti potrà recedervi senza alcun preavviso né onere.

Data e firme La sola forma di riconoscimento, patrimonialmente valutabile, compatibile con

l'instaurazione di un rapporto gratuito, è il rimborso al collaboratore delle sole spese vive documentate da lui anticipate per attività svolta in nome e per conto dell'associazione (c.d. a piè di lista).

Per poter sostenere che si tratti di un vero e proprio rimborso spese e non di una retribuzione per l'attività svolta, sarà, pertanto, necessaria un'apposita delibera da parte dell'’associazione per conto della quale il collaboratore deve effettuare le spese, o una lettera di incarico sottoscritta dal legale rappresentante della stessa, specificando la causa delle spese e l'autorizzazione a compierle. In riferimento alla documentazione necessaria per la dimostrazione di tali rimborsi si rimanda a quanto sarà riferito in tema di lavoro dipendente.

É chiaro che, per le prestazioni gratuite, il rimborso spese sarà relativo solo ad attività effettuate su incarico e per conto dell'ente erogante.193

Si dovrà fare attenzione agli eventuali rimborsi di spese di vitto ed alloggio. Questi potranno essere ammessi solo se relativi a momenti in cui la prestazione viene effettivamente resa (es. in occasione di trasferte fuori sede).

Si ritiene che anche per tali rapporti possano valere i limiti massimi previsti dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi194 (di seguito T.U.I.R.), il quale prevede che le spese di vitto ed alloggio sostenute dai dipendenti e, aggiungiamo, dai volontari potranno essere ammesse in deduzione dall’associazione per un ammontare giornaliero non superiore a €. 180,76 per le trasferte in Italia e €. 258,23 per trasferte all'estero.

Per quanto riguarda, invece, le spese di trasferta effettuate con autovettura propria, purchè fuori dal Comune di residenza del percettore, è prevista solo la possibilità di riconoscere la c.d. indennità chilometrica. In proposito il Ministero delle Finanze ha fornito un’indicazione di carattere generale secondo cui non è necessaria una specifica autorizzazione rilasciata dall’organizzazione di appartenenza; pertanto sarà sufficiente, ai fini della inerenza del costo la nota spese riepilogativa contenente tutti i dati necessari a quantificare l’indennità (ossia motivo della trasferta, percorso, Km percorsi, costo al Km e costo totale) debitamente sottoscritta dal soggetto. Ovviamente alla nota dovranno essere allegati i documenti giustificativi (pedaggi autostradali, spese di rifornimento, ecc.).195

Le trasferte effettuate con mezzi pubblici dovranno essere documentate con il relativo tagliando di viaggio.

193 Con il concetto di trasferta s’intende lo svolgimento della prestazione fuori dal territorio comunale in cui ha la sede sociale l’associazione, o comunque il luogo in cui svolge normalmente la prestazione a favore dell’ente. 194 Il DPR n. 917 del 22.12.1986 in G.U. n. 302 del 31.12.1986 (succ. modif.). 195 Circolare Ministero delle Finanze n.316/E del 23 dicembre 1997. Occorre però ricordare che solo per un importo non superiore al costo di percorrenza stabilito sulla base delle tabelle A.C.I. o delle tariffe di noleggio relative a veicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali ovvero 20 cavalli fiscali se con un motore diesel.

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Non potranno, invece, essere considerati rimborsi spese i pagamenti di vitto ed alloggio continuativi, ossia indipendenti dall'effettivo svolgimento della prestazione, perché, in questo caso, ci troveremmo di fronte a forme di retribuzione in natura e, come tali, assoggettabili a ritenuta.

Nei confronti di detti collaboratori volontari, le associazioni non hanno alcun obbligo, né di retribuzione né di assicurazioni sociali196, né alcun obbligo fiscale purché, ovviamente, non elargiscano loro alcun compenso, anche in natura o in servizi.

É consigliabile, comunque, prevedere esplicitamente nello statuto che le cariche sociali e gli eventuali incarichi affidati dal circolo siano a titolo gratuito.

Si fa presente che gli eventuali rimborsi spese forfetari (cioè non connessi a spese effettivamente sostenute dal collaboratore) costituiscono compensi e, come tali, indipendentemente dalla denominazione data, dovranno essere assoggettati alla prevista disciplina fiscale per le attività sportive dilettantistiche.

Appare utile concludere l’argomento evidenziando che il legislatore intende favorire i lavoratori che vogliano svolgere attività di volontariato, con il riconoscere ad essi “il diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale” (art.17, comma 1 L. 266/91). Occorre tuttavia precisare che tale agevolazione è prevista solo per i lavoratori che facciano parte delle organizzazioni di volontariato iscritte in appositi registri istituiti presso le regioni e le province autonome, a norma dell’art.6 della legge quadro sul volontariato sopra richiamata.

Lavoro retribuito: elementi distintivi tra lavoro autonomo e lavoro subordinato Ci si trova di fronte ad un rapporto di lavoro retribuito ogni qualvolta venga riconosciuto, al

collaboratore sportivo, un corrispettivo per l'opera svolta (qualsiasi forma di rimborso spese, diverso da quello documentato e relativo a spese anticipate in nome e per conto dell'associazione, è da intendersi a tutti gli effetti un corrispettivo, indipendente dalla sua entità monetaria).

Il rapporto di lavoro retribuito, a seconda delle caratteristiche con le quali viene posto in essere, può ricondursi alla fattispecie del lavoro autonomo o del lavoro subordinato e troverà la sua disciplina nelle norme di diritto privato e, dunque, dal codice civile e dalle leggi speciali che regolano le specifiche tipologie di rapporto.

Tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato l'unica differenza enunciabile a priori è quella prevista dal codice civile.

Relativamente ai collaboratori dell'imprenditore, l'art. 2094 C.C. chiarisce che "è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore", mentre si concretizza, di fatto, la fattispecie del lavoro autonomo ai sensi degli artt. 2222 e segg. C.C. "Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente ..."

L'oggetto dell'obbligazione del lavoratore autonomo è costituito dalla realizzazione di un risultato (opera o servizio) mediante l'attività organizzata e svolta dal lavoratore stesso in piena autonomia e a proprio rischio; nel secondo rapporto, invece, l'oggetto è dato dalla prestazione di energie lavorative che il dipendente pone a disposizione, come elemento inserito nell'organizzazione dell'impresa, secondo le direttive e sotto la vigilanza del datore di lavoro.

È facile osservare come la distinzione codicistica non riesca tuttavia a risolvere il problema qualificatorio di una nutrita serie di rapporti di lavoro che presentano i caratteri sia dell'una che dell'altra categoria.

Il codice civile, infatti, risale al 1942, e fotografa pertanto una realtà sociale che per il terziario avanzato è sicuramente molto lontana da quella attuale.

196 Fatto salvo ovviamente quanto previsto per gli operatori delle associazioni di volontariato ai quali spettano le garanzie assicurative imposte all’ente dall’art. 4 L. 266/1991.

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Il problema non è di scarsa importanza se si considera che riconoscere quale rapporto di lavoro subordinato una collaborazione sempre gestita come autonoma comporta a carico del datore l’obbligo di regolarizzazione del contratto, anche per il passato (nei limiti della prescrizione), sia sotto l’aspetto puramente economico sia sotto l’aspetto assicurativo e previdenziale.

La consapevolezza di ciò ha acceso un vivace dibattito in ordine ai tradizionali criteri che distinguono le due fattispecie di lavoro, senza però che si sia pervenuti a risultati definitivi appaganti.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale 197 "il criterio differenziatore tra lavoro autonomo e lavoro subordinato va rinvenuto nel fatto che, mentre nel primo l'oggetto della prestazione è l'opera, cioè il risultato della propria attività organizzata, nel secondo, invece, l'oggetto della prestazione è rappresentata dall'energia lavorativa che il prestatore di lavoro pone, contro corrispettivo, a disposizione del datore di lavoro ed esplica, come elemento inserito nell'organizzazione dell'impresa, sotto la vigilanza e secondo le direttive del medesimo".

Con l'aiuto della Dottrina e della Giurisprudenza possiamo individuare in questa materia un criterio discriminatorio principale e alcuni sussidiari.

L'elemento principale di distinzione è dato dal fatto che il lavoratore subordinato, nei confronti del quale non viga la presunzione di cui alla citata legge 91/81, è sottoposto ad un vincolo di assoggettamento gerarchico a cui è correlato il potere del datore di lavoro di imporre direttive, sia generali sia inerenti alle modalità di svolgimento della singola prestazione. La subordinazione ha carattere personale e comporta l'assoggettamento del lavoratore, con limitazione della sua libertà, al potere direttivo del datore di lavoro.198

Si ritengono invece criteri sussidiari per la determinazione del rapporto di lavoro subordinato i seguenti199:

L'oggetto delle prestazioni è costituito dalle prestazioni lavorative spese in favore della parte che ne beneficia;

L'inserzione dell'attività lavorativa nell'organizzazione dell'impresa; L'utilizzo di strumenti procurati dal datore di lavoro; Lo svolgimento di un'attività continuativa; L'assenza di rischio a carico del lavoratore legato alle congiunture economiche e di

autonomia dell'attività svolta; La predeterminazione, da parte datoriale, delle modalità di espletamento del rapporto,

l'inserimento gerarchico nell'azienda e la sottoposizione a controlli in relazione all'esatto adempimento delle prestazioni dovute;

predeterminazione della retribuzione. Il concetto di sussidiario significa che la presenza isolata di uno o più di tali criteri non

necessariamente è sufficiente a configurare un rapporto subordinato. Infatti, la Giurisprudenza ha ripetutamente affermato che gli altri elementi sopra identificati possono essere compatibili sia con il lavoro autonomo che con il lavoro subordinato per cui possono avere un rilievo distintivo solo complementare e sussidiario.200

Elemento caratterizzante, quindi, il rapporto diventa, oltre alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, l'individuazione di quale sia stata la comune volontà delle parti al momento della conclusione dell'accordo lavorativo.

Nei casi in cui l'applicazione di tali regole astratte non riesca a risolvere il problema qualificatorio, la Giurisprudenza ha ricercato, inoltre, nella concreta attività svolta dal lavoratore,

197 Cass., sez. Lavoro, n. 1502 del 10 febbraio 1992. 198 G.Ferraro, I contratti di lavoro, Cedam, 1991, p.10. 199“Il fondamentale criterio di distinzione del rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è costituito dall’elemento della subordinazione e, pertanto, solo quando una notevole attenuazione di tale vincolo ed una certa libertà nell’organizzazione del lavoro rendono meno agevole la diagnosi circa l’effettiva natura del concreto rapporto, è necessario far ricorso ad ulteriori elementi distintivi ...privi peraltro di autonomo valore decisivo e valutabili come meri elementi indiziari”, Cass.14.04.1982, n.2249; Cass.26.10.1994,n.8804. 200 Cass.sez.lavoro 6.12.1986, n.7286.

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determinati indizi e sintomi che, complessivamente valutati, possano indicare, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato. 201

Questo tipo di giudizio ricorre soprattutto in quelle ipotesi in cui le parti solo apparentemente e formalmente hanno espresso la comune volontà di escludere la natura subordinata del rapporto.

La preoccupazione maggiore risiede nel fatto che la volontà formalmente espressa possa nascondere una sopraffazione del soggetto contrattualmente più forte, il quale, pur volendo utilizzare una prestazione di lavoro subordinato, pretende, però, di non pagarne i costi.

Solo in tempi recenti è stata rivalutata la volontà contrattuale ai fini della qualificazione del rapporto. La volontà delle parti, indipendentemente dal "nomen iuris" usato, rileva al fine della concreta disciplina giuridica del rapporto, quale voluto dalle parti stesse nell'ambito della loro autonomia negoziale.202

Tale tendenza non significa, però, considerare rilevante solo il nome attribuito al contratto ma, essenzialmente, tenere conto della regolamentazione degli interessi realizzati in concreto (la volontà manifestata in concreto).

Una circolare INPS (n.108 del 6 giugno 2000) ha precisato, confermando il precedente orientamento (circolare n.58 del 12 marzo 1997), quali siano i criteri di valutazione che l’istituto segue per rilevare l’autonomia del rapporto individuandoli nei seguenti:

la mancata imposizione al lavoratore di un orario prestabilito da parte del committente; il compenso determinato in relazione alla professionalità e alle singole prestazioni; l’assenza di vincoli e sanzioni disciplinari; la libera scelta delle modalità di effettuazione della prestazione; la volontà dei contraenti diretta ad escludere la subordinazione. Per quanto riguarda l’inserimento del lavoratore all’interno dell’organizzazione

dell’associazione, l’istituto ritiene che esso non sia elemento sufficiente per poter qualificare il rapporto come subordinato.203

Trattamento previdenziale, assicurativo e fiscale del lavoro dipendente Nel caso in cui si fosse instaurato un rapporto di lavoro subordinato, il circolo sarà tenuto

nei confronti del lavoratore a tutte le garanzie indicate dal codice civile e dallo statuto dei lavoratori, in quanto applicabili.

L’ente interessato deve quindi individuare il contratto collettivo applicabile al settore di attività in cui opera. Tenuto conto della difficoltà per il settore non profit di individuare un contratto specifico, si dovrebbe far riferimento a quelli che disciplinano i rapporti in settori affini. Pertanto il circolo che assuma personale per gli spettacoli sportivi potrebbe utilizzare il Contratto Collettivo nazionale per il personale artistico, scritturato per le aziende di pubblico esercizio, o se l’attività si presenta generica potrebbe applicare il CCNL del Settore Servizi.

Si ricorda che gli addetti agli impianti sportivi dovranno essere iscritti, ai fini previdenziali, all’Enpals.

La gestione dell’assicurazione per gli infortuni sul lavoro è invece affidata all’INAIL. Le condizioni che fanno sorgere l’obbligo assicurativo sono da ricercarsi nell’art.1 e 4, comma 1, del D.P.R.1124/65, cosiddetto Testo Unico sull’INAIL che indica come presupposti l’essere un

201 Cass. 17.2.1987 n.1714, Cass. 17.6.1988 n.4150. 202 Cass. n. 6540/1986. 203 Le circolari INPS n.179 dell'8.9.1989 e n. 74 del 23.3.1990 avevano già fornito ulteriori elementi indicativi sul tema. Le stesse affermano che il problema della distinzione tra i due tipi di lavoro si traduce in un problema di "ordine essenzialmente pratico ed operativo risolvibile attraverso la verifica della rispondenza delle situazioni e dei rapporti concreti agli schemi legali". In aggiunta ai criteri distintivi individuati dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza occorre, nell'analisi, fare riferimento alla posizione dei prestatori d'opera o servizio rispetto al servizio sanitario nazionale ed alle posizioni ed ai comportamenti delle parti rispetto all'ordinamento fiscale. Tali dati sono tutt'altro che trascurabili, specie se riferiti alla volontà delle parti di dare origine ad un rapporto subordinato od autonomo

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lavoratore subordinato e svolgere attività rientranti in quelle per le quali è obbligatoria la tutela assicurativa.

Al settore di nostro interesse risultano pertinenti il punto 27 dell’art.1, per cui debbono essere assicurati all’INAIL i lavoratori “addetti all’allestimento, la prova o l’esecuzione di pubblici spettacoli” e il successivo punto 28 che fa riferimento all’art. 4 n. 5 dello stesso decreto, ove ritroviamo: “gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, che attendano ad esperienze tecnico-scientifiche o esercitazioni pratiche, o che svolgano esercitazioni di lavoro………..”.i

In riferimento agli aspetti fiscali relativi alla sostituzione d’imposta che assume il circolo questo deve effettuare una ritenuta sullo stipendio al netto delle trattenute previdenziali ed in base ad aliquote progressive.

Il reddito derivante per il percettore è sottoposto a tassazione secondo il principio di cassa. I soggetti legati al circolo da un rapporto di lavoro dipendente possono percepire rimborsi

per spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto, anticipate per conto dell'ente in occasione di trasferte (cosiddetti rimborsi a piè di lista) esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche a condizione che tali rimborsi siano analitici e documentati (art.48 comma 5 D.P.R. 917/86). In particolare per quanto riguarda l’idonea documentazione delle spese di trasferta il Ministero delle Finanze (C.M. 316/E del 23.12.1997) ha chiarito che possono essere certificate anche tramite scontrino fiscale, oltre che per fattura, o ricevuta fiscale a condizione che sullo stesso siano riportati a stampa i dati attinenti la natura, la qualità e la quantità dei beni o servizi oggetto dell’operazione, nonché il codice fiscale dell’acquirente. In riferimento alla ricevuta fiscale si ricorda che per quanto affermato dal Ministero stesso (R.M. n.9/2796 del 5.1.1981) questa può costituire un valido giustificativo di spesa anche in mancanza dei dati identificativi del percettore del rimborso purché la spesa risulti sostenuta nel luogo e nel tempo della trasferta, quali risultano dall’apposita autorizzazione rilasciata ed inserita nel modulo di liquidazione.

Si sottolinea infine che non sono ammessi rimborsi di alcun tipo per le trasferte nell’ambito del Comune salvo quelle che si riferiscono alle spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore. Fuori da quest’ultimo caso quanto rimborsato per trasferte effettuate nel Comune deve essere sottoposto a ritenuta fiscale e contributo previdenziale.

Per quanto concerne i versamenti delle ritenute IRPEF sui redditi da lavoro dipendente essi devono essere effettuati o direttamente, presso la concessionaria di riscossione competente per territorio, presso gli istituti di credito o gli uffici bancari con il Mod.F24, entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento.

L'inquadramento del rapporto dell'istruttore sportivo Fermi i principi sopra ricordati, la definizione del rapporto di lavoro degli istruttori sportivi è

quella che, nell'ambito di un centro sportivo, presenta le maggiori difficoltà qualificatorie. In particolare, per quanto attiene l'inquadramento del rapporto di lavoro dell'istruttore

sportivo, uno dei criteri citati dall'INPS (circolari 179/89 e 74/90) come spartiacque tra il rapporto di lavoro autonomo e quello subordinato è stato individuato nella presenza o meno dell'obbligo del preavviso dell'eventuale assenza del lavoratore allo svolgimento della prestazione concordata. L'INPS, infatti, ritiene che se l'insegnante sia tenuto a preavvertire il centro della sua assenza, quest'obbligo fa ritenere che l'assenza non ponga problemi organizzativi al prestatore ma al centro che deve provvedere alla sua sostituzione. Ciò in sostanza starebbe ad indicare che il docente è inserito nell'organizzazione dell'impresa la quale se ne assume il rischio dovendo rispondere agli utenti del servizio di istruzione nell'ipotesi di mancata tempestiva sostituzione dell'insegnante assente. In tal caso, dunque, assumendosi il centro il rischio d'impresa, il rapporto dell'istruttore con il centro sportivo deve considerarsi di lavoro subordinato. In realtà tale assunto non è pacifico in giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha, infatti, spesso negato, nell'ambito del lavoro autonomo, la rilevanza determinante dell'elemento del rischio, in quanto nella prestazione d'opera intellettuale, gestita in regime d'autonomia, il lavoratore assume un'obbligazione di mezzi e non di risultato. Solo in quest'ultimo caso assumerebbe rilevanza il rischio d'impresa.

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Se per alcune tipologie di lavoro presenti nel centro sportivo (ad esempio gli addetti al ricevimento, alle manutenzioni, alle pulizie) sembra, con tutte le cautele del caso, potersi ritenere prevalente la configurazione del lavoro subordinato, la figura professionale, dall'inquadramento più complesso, è sicuramente quella dell'istruttore. Tant'è, ad esempio, che nell'ambito dei maestri di tennis esistono entrambe le figure: sia quella del maestro quale lavoratore autonomo che quale lavoratore subordinato.

Il Ministero del Lavoro, con propria comunicazione del 16.7.87 prot. n. 7/51364/OA-3 ed in particolare con la C.M. 14.11.1996 n.218 si è espresso su tale materia cercando di individuare criteri uniformi per la valutazione della sussistenza, ai fini contributivi, di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato tra i singoli docenti e i relativi istituti, applicabile anche all'insegnamento sportivo. Pertanto, dopo aver premesso la possibilità di costituire rapporti di natura professionale autonoma in relazione a particolari esigenze, il Ministero ha ritenuto che dovrà escludersi il carattere di subordinazione in presenza dei seguenti elementi obiettivi:

1) mancata imposizione al docente di un orario stabilito da parte della scuola; 2) compenso determinato in relazione alla professionalità ed alle singole prestazioni; 3) assenza di vincoli e di sanzioni disciplinari; libera scelta, da parte del docente delle modalità tecniche per la trattazione degli

argomenti; 5) volontà dei contraenti diretta ad escludere la subordinazione. Detti criteri sono stati peraltro ribaditi dalla Direzione Centrale Contributi con la C.M. 28

ottobre 1997 n.210, assumendo l’orientamento sopra riportato ed espresso dal Ministero del Lavoro. E’ pertanto opportuno che al momento della conclusione di un accordo con un proprio

istruttore sportivo i gestori dei circoli tengano nella giusta considerazione le osservazioni del Ministero

Lo stesso Ministero, con propria lettera circolare del 6.4.1988 n. 5/25576/70 sub AU è tornato sull'argomento con specifico riferimento ai "maestri di discipline sportive ed animatori di villaggi turistici".

Viene sottolineato come nei casi in cui la fattispecie non consenta di identificare con certezza l'esistenza della subordinazione soccorrano altri criteri quali, incidenza del rischio economico, oggetto della prestazione del lavoro dedotto nel rapporto, forma e modalità del corrispettivo; criteri questi che assumono solo un valore indiziario ed in tale senso dovranno essere valutati.

Il Ministero conclude sottolineando, conformemente a tutta la più recente Giurisprudenza, la necessità di evidenziare, in presenza di criteri paritetici tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, quale sia stata la volontà contrattuale delle parti.

Pertanto la dichiarazione di volontà delle parti in ordine al contenuto del rapporto "...non va considerata avulsa dal contesto interpretativo e deve tenersi conto del reciproco affidamento che essa crea tra le parti contraenti, ..". Il nomen iuris adottato dalle parti, pur non essendo decisivo, assume rilevanza quando lo schema contrattuale formalmente utilizzato non appaia incongruo rispetto alla realtà obiettiva e quando le modalità di svolgimento del rapporto, confermando la qualificazione data dalle parti, non contraddicano il tenore della volontà negoziale.

Ne consegue l'opportunità, ai fini probatori, che la conclusione dell'accordo con un istruttore, o collaboratore in genere, venga consacrata in un contratto scritto.

In tal caso, se le parti hanno esplicitamente dichiarato, nel regolare i reciproci interessi, di volere escludere l'elemento della subordinazione "...non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto stesso, se non si dimostra che in concreto la subordinazione si sia di fatto realizzata nello svolgimento del rapporto.."

Le considerazioni sopra esposte valgono per l’esercizio dell’attività formativa nonché nei rapporti con gli istruttori.

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2. La disciplina applicabile sotto il profilo previdenziale e fiscale nel rapporto tra atleti dilettanti e società

L’art. 67 primo comma lett. m) del testo unico delle imposte sui redditi (dpr. 917/86 post

riforma IRES) colloca, per opera dell’art. 25 della famosa Legge n. 133/99, nella categoria dei redditi diversi, i compensi, rimborsi forfetari di spese, le indennità di trasferta corrisposte ai soggetti che svolgono esercizio diretto d’attività sportive dilettantistiche nonché i compensi corrisposti per attività amministrativo-gestionale a carattere non professionale nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, assoggettandolo ad una disciplina fiscale agevolata.

In particolare il nuovo disposto204, che sostituisce la lett. m) del comma 1 dell’art. 81 del Tuir, ricomprende le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari, i premi e i compensi agli sportivi nell’ambito della categoria dei redditi diversi. Tale qualificazione del reddito, assente nella precedente previsione prevista dall'art. 25 L. 133/99, è gravida di conseguenze. Infatti il precedente quarto comma dell'art. 25 si limitava a stabilire le modalità di determinazione del reddito degli sportivi dilettanti senza entrare nel merito della sua qualificazione.

Aspetti previdenziali Ciò aveva portato prima il Ministero (nella guida al contribuente n. 8) e successivamente

l'Inps (circ. n. 121 del 27.06.2000) a sostenere che i proventi corrisposti agli sportivi dilettanti, prima della riforma qualificati quali redditi di collaborazione coordinata e continuativa, mantenevano la loro natura e, di conseguenza, il loro assoggettamento a contribuzione previdenziale ed assistenziale. La scelta ora operata di collocare tali compensi nell'ambito dei redditi diversi non potrà che comportare, fino al momento in cui non venisse modificata la legge 8 agosto 1995, n. 335 che prevedeva tali contributi esclusivamente sui redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ad una loro esclusione da contribuzione Inps ed Inail. Tale esclusione è stata confermata dai due istituti con apposite circolari

Premi corrisposti agli sportivi dilettanti È di estremo rilievo evidenziare, innanzitutto, che rispetto alla normativa vigente (comma 4

dell’art. 25 della L. 133/99) il nuovo regime indica tra le somme “agevolate” anche i premi erogati agli sportivi, già disciplinati dalla abrogata L.25 marzo 1986, n. 80. Ciò porterebbe a ritenere che, per i premi erogati agli sportivi dilettanti, non trovi più applicazione l'art. 30 del D.p.R. 600/73, ossia la ritenuta a titolo d'imposta del 20% con facoltà di rivalsa.. Pertanto, anche all'atto della corresponsione dei premi corrisposti in occasione di manifestazioni sportive, occorrerà applicare la normativa prevista per i compensi

Premesso questo occorre evidenziare che, nei casi in cui il premio sia in denaro, l'applicazione della normativa non presenta ostacoli di sorta. Sarà trattata come un qualsiasi compenso corrisposto nell'esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica. Di difficile soluzione si pone il problema per l'erogazione dei ben più diffusi premi in natura. Infatti, non essendo prevista la rivalsa facoltativa, si chiede come si possa applicare la ritenuta in rivalsa (nei casi in cui il ricevente abbia superato la quota esente di 10 milioni corrisposti nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche) pari all'aliquota del primo scaglione di reddito Irpef su beni dotati solo di un valore commerciale e non frazionabili (vedi, ad esempio, la diffusa distribuzione di medaglie d'oro). Una presa di posizione ministeriale sul punto sarebbe auspicabile.

204 art. 37 legge 342/2000.

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Soggetti nei cui confronti sarà possibile applicare la norma Una ulteriore e significativa differenza attiene al presupposto soggettivo di applicazione

dell’agevolazione, che risulta notevolmente ridotto. Il comma 4 dell’art. 25 della L. 133/99 dispone, infatti, che tutti i compensi inerenti la promozione dell’attività sportiva dilettantistica possono beneficiare del trattamento di favore, salvo quelli corrisposti a determinate categorie di soggetti elencati nell'art. 2 del D.p.R. 473/99 (lavoratori dipendenti, artisti o professionisti, esercenti attività d'impresa). La nuova formulazione, al contrario, limita l’agevolazione soltanto alle somme corrisposte nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.

I compensi potranno essere corrisposti, invece da associazioni sportive, società sportive, Federazioni ed enti di promozione sportiva.

L'Agenzia delle entrate del Ministero delle Finanze, con due risoluzioni205, in risposta a chiarimenti richiesti dal Coni e da un ente di promozione sportiva, ha ulteriormente precisato il suo pensiero in merito all'individuazione dei soggetti ai quali possano essere corrisposti compensi nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e agli obblighi che dal ricevimento di detti compensi gravano sul percettore. Per alcune categorie il Ministero realizza una inclusione soggettiva: "sono, pertanto, da considerare in primo luogo corrisposti nell'esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, i compensi erogati agli atleti dilettanti, agli allenatori, ai giudici di gara, ai commissari speciali che durante le gare o manifestazioni, aventi natura dilettantistica, devono visionare o giudicare l'operato degli arbitri". Visti i soggetti che sono sicuramente da escludere e quelli che sono sicuramente da comprendere, resta da esaminare quali siano le altre categorie di soggetti ai quali possa essere applicata la tassazione agevolata sui compensi.

Il Ministero chiarisce che la disposizione in esame “è riferita a tutti quei soggetti le cui prestazioni sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica determinandone, in sostanza, la concreta realizzazione, ivi compresi coloro che, nell’ambito e per effetto delle funzioni di rappresentanza dell’associazione di norma presenziano all’evento sportivo”. Questa affermazione ci consente di aggiungere all’elenco sopra riportato anche quei soggetti che svolgono incarichi di dirigenti accompagnatori o di dirigenti addetti agli arbitri per i sodalizi sportivi dilettantistici impegnati in manifestazioni agonistiche ufficiali nonché quei dirigenti di Federazione o di Ente di promozione sportiva i quali sono preposti a quelle funzioni (formazione calendari, designazione arbitrale, omologazione gare,giustizia sportiva, cronometraggio) senza le quali diventa impossibile realizzare l’avvenimento sportivo. Ma il Ministero aggiunge ancora qualcosa. Infatti, dopo aver ricompreso i soggetti che svolgono attività “funzionali alla manifestazione” riconduce alla disciplina di cui all’art. 81 lett. m) del Tuir anche i compensi corrisposti “a quei soggetti che, nella qualità di dirigenti dell’associazione, di solito presenziano direttamente a ciascuna manifestazione, consentendone, di fatto il regolare svolgimento”. Evidentemente i soggetti ricompresi in questa ultima fattispecie sono categorie diverse da quelle sopra riportate. Tant’è che il Ministero ha ritenuto di dover ulteriormente limitare queste categorie. Ha, infatti, aggiunto che deve trattarsi di “figure dirigenziali non legate con l’ente erogante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che svolgono funzioni non retribuite in base a norme organizzative interne ma indispensabili alla realizzazione della manifestazione sportiva dilettantistica, nel senso che le stesse, come già precisato, concorrono a garantire la concreta realizzazione di ciascun evento sportivo”. Ne consegue che, ad avviso di chi scrive, non corretta appare la tesi di chi ritiene che la tassazione prevista per i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica non possa essere utilizzata dai soggetti che, sul piano fattuale, hanno posto in essere un rapporto riconducibile alla collaborazione coordinata e continuativa. Per le categorie e le funzioni che abbiamo sopra ricordato, l’applicazione delle disposizioni agevolative si ha, comunque, sussistendone i due presupposti ricordati anche dal Ministero nella risoluzione in commento: deve trattarsi di uno dei soggetti per i quali si applica la normativa e la manifestazione sportiva deve essere a carattere

205 Ris. Min. 26.03.2001, n. 34 e 3.04.2001, n. 39

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dilettantistico. L’accenno sopra esposto che escluderebbe i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, si ha solo per i soggetti che presenziano alla manifestazione consentendone, di fatto, il regolare svolgimento che dovremo ora meglio identificare. Si tratta di coloro i quali (manutentori e allestitori di impianti sportivi, maschere, responsabili delle attrezzature sportive, ecc.) non hanno una funzione specifica nell’ambito della manifestazione (altrimenti rientrerebbero nel caso più sopra esaminato)ma il cui ruolo ne consente lo svolgimento. La ratio della limitazione è presto detta. Il soggetto che svolge tali attività in maniera “non continuativa”, senza percepire un compenso fisso per tale funzione potrà godere di detto beneficio fiscale in quanto rimane un dirigente “dilettante”. Il “professionista” della gestione di eventi sportivi che svolge questa come attività continuativa, ancorché non esclusiva, non potrà godere dell’agevolazione in quanto lederebbe il mercato della libera concorrenza rispetto alle imprese che si pongono, sul mercato, ad offrire tali servizi di assistenza alle gare

Uno dei problemi, scarsamente analizzati fino ad oggi, è relativo all’individuazione di attività sportiva dilettantistica che, come ricorda anche il Ministero, è uno dei due requisiti per l’applicazione della fattispecie agevolativa. E’ giurisprudenza e dottrina consolidata individuare l’attività sportiva dilettantistica per differenza: è tale quella che non rientra nel campo di applicazione della legge 91/81. Ai sensi dell’art. 2 di detta disposizione, è sport professionistico quello espressamente ritenuto tale dalla Federazione sportiva di appartenenza sulla base delle indicazioni fornite dal Consiglio Nazionale del Coni. 206. La legge parla di “attività sportiva dilettantistica”, il Ministero, nella risoluzione in esame, di “manifestazione sportiva dilettantistica”. Si ritiene che la formulazione ministeriale non abbia portata riduttiva rispetto alla previsione legislativa. La tassazione agevolata dei compensi è legata all’esistenza dei due presupposti sopra ricordati, la loro presenza giustifica di per se l’agevolazione tributaria prescindendo dal fatto che si sia in presenza di una manifestazione intesa in senso agonistico, cioè una gara. Si ritiene, pertanto, che l’agevolazione sia applicabile anche per gli istruttori di discipline sportive che svolgono attività didattica e propedeutica alla pratica agonistica.

Le collaborazioni amministrativo-gestionali L’art. 90, comma 3, lett. a), aggiunge all’art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR il seguente

periodo “Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”. La norma integra la previsione dell’art. 67, comma 1, lett. m), del TUIR, riconducendo fra i redditi diversi e nel regime fiscale agevolativo previsto dagli articoli 69, comma 2, del TUIR e 25, comma 1, della legge n. 133 del 1999, particolari rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che presentino le seguenti caratteristiche: carattere amministrativo-gestionale; natura non professionale; resi a società o associazioni sportive dilettantistiche207,.

Quali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, le prestazioni in argomento si caratterizzano per la continuità nel tempo, la coordinazione, l’inserimento del collaboratore nell’organizzazione economica del committente e l’assenza del vincolo di subordinazione. Per

206 Ad oggi hanno un settore professionistico le seguenti discipline: calcio, pallacanestro, ciclismo, golf e pugilato. Formalmente esisterebbe un settore professionistico anche nel motociclismo ma la Federazione non lo ha mai disciplinato 207 Si devono segnalare due interventi – uno da parte dell’INAIL con la nota n. Ad./126/03 e l’altro da parte dell’INPS con propria circolare n. 42 del 26/02/2003 – con i quali è stato chiarito che sui compensi corrisposti ai collaboratori coordinati e continuativi di natura non professionale per prestazioni di carattere amministrativo-gestionale delle società ed associazioni sportive dilettantistiche (vedasi appunto il comma 3 art. 90 Legge Finanziaria 2003), non si applicano i contributi previdenziali INPS per la parte eccedente i 7.500 euro annui e altresì non sorgono obblighi assicurativi presso l’Inail a carico dell’ente committente. Tali provvedimenti hanno sostanzialmente disconosciuto la natura di vere e proprie collaborazioni coordinate e continuative per tali prestazioni.

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quanto riguarda la natura non professionale del rapporto bisogna valutare se per lo svolgimento dell’attività di collaborazione siano necessarie conoscenze tecnico giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo esercitata abitualmente. Sono, pertanto, escluse le prestazioni rientranti nell’oggetto dell’arte o della professione. Il carattere amministrativo-gestionale delle collaborazioni limita la previsione dell’art. 67, comma 1, lett. m), alla collaborazione nell’attività amministrativa e di gestione dell’ente. Rientrano, pertanto nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale, i compiti tipici di “segreteria di un’associazione o società sportiva dilettantistica, quali ad esempio la raccolta delle iscrizioni, la tenuta della cassa e la tenuta della contabilità da parte di soggetti non professionisti”.

Due considerazioni ulteriori devono essere evidenziate: dalla lettura testuale della norma e

della circolare 21/E del 22 aprile 2003, emanata dall’Agenzia delle Entrate (a commento dell’art. 90), si evince che le eventuali collaborazioni “amministrativo-gestionali” di natura non professionale a carattere “non continuativo” non potranno godere delle agevolazioni sui compensi (e, onestamente, non se ne comprende la “ratio”), nonché che requisito essenziale per poter godere di detta facilitazione è dato dall’”assenza del vincolo di subordinazione”. Pertanto gli esempi sopra ricordati citati (quale, ad esempio, la segretaria) dovranno sempre essere analizzati sulla base dell’assenza dei presupposti per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.

Analisi delle agevolazioni fiscali previste per i compensi derivanti da prestazione sportiva

dilettantistica. Per quanto concerne l'individuazione degli elementi che non concorrono alla formazione del

reddito del percipiente l’art. 90, comma 3, lett. b), L. 289/2002, modifica l’art. 69, comma 2, del TUIR sostituendo le parole “a lire 10.000.000” (pari a 5.164,57 euro) con le seguenti “a 7.500 euro”. In forza di tale modifica, le indennità, i rimborsi forfetari, i premi e i compensi di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), del TUIR non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 7.500 euro. Risulta, pertanto, elevato da 5.164,57 euro (lire 10.000.000) a 7.500 euro l’importo annuo escluso da imposizione. Le modifiche apportate agli articoli 67 e 69 del TUIR dal comma 3 dell’art. 90 hanno effetto a partire dal 1° gennaio 2003.

Sono escluse dalla imposizione i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale. Dall'analisi sistematica delle norme si ritiene che l'espressione "fuori dal territorio comunale" sia riferita al comune di residenza del prestatore in analogia anche all'orientamento espresso dal Ministero delle finanze con riferimento al previgente regime di cui alla L.80/86. La L. 289/2002 contiene un’altra disposizione che interessa in modo specifico coloro che percepiscono indennità, rimborsi o compensi per attività sportiva dilettantistica: passa al 23% la prima aliquota Irpef (art. 2, comma 1, lett. c).

Non cambiano invece le regole di tassazione di questi compensi (art. 25, comma 1, L. 133/1999): pertanto, le somme imponibili vanno assoggettate a ritenuta per Irpef (si applica l'aliquota del primo scaglione) e addizionale regionale all'Irpef (aliquota 0,9%). La ritenuta è a titolo di imposta sulle somme imponibili fino a 20.658,28 euro e a titolo di acconto per la parte che supera questo importo. Ai fini Irpef si ha, pertanto, a chiarimento rispetto ad alcune contrastanti notizie apparse sulla stampa, quindi, che dal 1° gennaio queste somme: non sono soggette a tassazione fino a 7.500 euro percepiti dal soggetto che svolge attività sportiva dilettantistica nel corso dell’anno solare; scontano la ritenuta del 23% + 0,9 a titolo d'imposta per la parte compresa tra 7.500 e 28.158,28 euro (7.500 + 20.658,28); scontano la ritenuta del 23% + 0,9 a titolo d'acconto per la parte che eccede 28.158,28 euro.

L’art. 90, comma 23, prevede infine la possibilità per i dipendenti pubblici di prestare, fuori dall’orario di lavoro, la propria attività a favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza. L’attività svolta deve essere a titolo gratuito e, pertanto, ai dipendenti pubblici non possono essere riconosciuti emolumenti di

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ammontare tale da non configurarsi come indennità e rimborsi di cui all’art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR. Ovvero ai dipendenti pubblici, che prestano la loro attività esclusivamente a titolo gratuito, non possono essere erogati somme di denaro qualificabili come compensi, e quindi possono beneficiare solo di indennità e rimborsi.

Per consentire agli enti sportivi che pagano i compensi di adempiere correttamente ad obblighi fiscali (in pratica per stabilire se versare o meno la ritenuta), lo sportivo deve rilasciare un’apposita ricevuta/attestazione all’atto di ogni pagamento. Nel documento dovrà essere indicato se lo sportivo ha raggiunto o meno il limite annuo di 7.500,00 euro di franchigia. Entro il 31 marzo l’associazione o società sportiva dilettantistica deve rilasciare ai percettori di compensi per prestazioni sportive dilettantistiche un’attestazione in carta libera contenente i dati anagrafici del percipiente, il totale del compenso lordo che gli è stato riconosciuto nell’anno di riferimento, l’ammontare della ritenuta e presso quale concessionaria di riscossione la medesima è stata versata. L’erogazione di tutti i compensi sopra indicati comporta, per l’ente sportivo dilettantistico, l’obbligo di presentare la dichiarazione del sostituto d’imposta, modello 770 semplificato. Nel caso dei compensi dati agli sportivi dilettanti l’obbligo di compilare e presentare la dichiarazione di sostituto d’imposta sussiste a prescindere dal fatto che le somme erogate siano state o meno assoggettate a ritenuta.

E infine il comma 10 dell’art. 90, stabilisce che: “all’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, le parole: delle indennità e dei rimborsi di cui all’articolo 81, comma 1, lettera m), del citato testo unico delle imposte sui redditi sono soppresse”. In base a tale modifica normativa le indennità e i rimborsi di cui all’art. 67, comma 1, lettera m) del TUIR (ricordiamo che tali sono le somme erogate per l’esercizio della prestazione sportiva dilettantistica) non vanno più a costituire la base imponibile sulla quale le associazioni e le società sportive dilettantistiche, devono scontare l’IRAP. Detta agevolazione si applica, quindi, sia alle società che alle associazioni sportive dilettantistiche che effettuino l’opzione per il regime di cui alla legge 398/91. Si segnala, tuttavia, che l’art. 5, comma 2, della legge finanziaria del 2003 ha modificato l’art. 11, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (istitutivo dell’Irap). In forza di tale modifica non sono più compresi tra i compensi non ammessi in deduzione nella determinazione della base imponibile IRAP le somme di cui all’art. 67, comma 1, lettera m) del TUIR. Pertanto, la norma consente anche alle associazioni e società sportive dilettantistiche che non si avvalgono delle disposizioni della legge n. 398 del 1991 di portare in deduzione (cioè sottrarre dal reddito complessivo, sul quale poi si calcola l’imposta da pagare) nella determinazione della base imponibile IRAP le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi di cui all’art. 67, comma 1, lettera m) del TUIR.

GUIDO MARTINELLI , docente di diritto sportivo presso l’Università di Ferrara, Avvocato del foro di Bologna.

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IL CONTRATTO DI MERCHANDISING IN AMBITO SPORTIVO

SOMMARIO

1. Nozione di merchandising. – 2. Distinzioni rispetto ad altri contratti simili o affini. In particolare, il contratto di sponsorizzazione – 3. Le clausole generali e le prestazioni delle parti – 4. Natura giuridica del contratto di merchandising – 5. Alcuni casi giurisprudenziali in ambito sportivo – 6. Il merchandising sportivo: esperienze straniere ed italiane a confronto. – 7. Una problematica legata al merchandising: la contraffazione.

1. Nozione di merchandising.

L’istituto del merchandising deve essere preliminarmente esaminato ed inquadrato sotto

diversi profili. Dal punto di vista dell’analisi economica, il termine “merchandising” si riferisce alle

svariate attività poste in essere per la promozione delle vendite di prodotti, intese nel senso più ampio: ricerche di mercato, pubblicità, impostazione delle strategie di distribuzione e di commercializzazione, etc.208

In particolare, nel settore pubblicitario, con il termine “merchandising” ci si riferisce a particolari tecniche di acquisto dei diritti di “sfruttamento” di un soggetto notorio per valersene nella commercializzazione di determinati beni.

In ambito giuridico, invece, con questo lemma si intende la cessione (a titolo oneroso) e lo sfruttamento del valore suggestivo acquisito da nomi, figure o insieme di segni distintivi grazie alla loro utilizzazione nell’ambito di una certa attività, consentendone la diffusione per promuovere la vendita di prodotti o di servizi non inerenti all’attività nella quale il nome, figura o segno è stato originariamente e viene principalmente utilizzato.209

La grande diffusione di questo contratto nella prassi pare doversi giustificare, dal punto vista giuridico, nella possibilità prevista ex legge di difendere il marchio celebre anche oltre i confini merceologici entro i quali ha raggiunto la propria notorietà, mentre, dal punto di vista economico, si spiega con la sempre maggiore importanza che sta assumendo il marchio rispetto al prodotto che lo contrassegna.

Sempre sotto il profilo giuridico, va sottolineato in particolare che, con il contratto di merchandising, il titolare (licenziante) di un diritto di esclusiva su un bene immateriale come un nome, un disegno, un emblema, generalmente di grande risonanza nell’opinione pubblica, ne concede l’uso, dietro corrispettivo, ad un soggetto (licenziatario), perché a sua volta lo utilizzi per pubblicizzare o semplicemente per connotare i propri prodotti e/o servizi, di natura molto diversa da quelli per i quali il nome, il disegno, l’emblema sono stati originariamente creati da parte del titolare del relativo diritto.210

Esso si differenzia dal contratto di licenza di marchio, poiché in quest’ultimo il marchio viene concesso in licenza affinché venga apposto su prodotti o servizi identici o simili a quelli per cui è stato creato. Pertanto, lo scopo primario consiste nel conseguire l’espansione della presenza

208 M. CAVADINI, Considerazioni sul contratto di merchandising di marchio, in Riv. dir. sport., 1998, p.351. 209 O. CAGNASSO – M. IRRERA, Concessione di vendita, merchandising, catering, 1993, p.119. 210 A. LEONE, I contratti pubblicitari, 1991, p.134.

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del marchio sul mercato, nell’ambito del settore di attività del titolare del marchio, tramite la commercializzazione di prodotti di aziende altrui.

L’eterogeneo fenomeno del merchandising, come sopra delineato, deve costantemente fare i conti con una varietà di “forme” negoziali, a loro volta eterogenee, generate dalla molteplicità dei “beni immateriali”, “diritti” o “proprietà” di natura notevolmente diversificata, che possono essere riprodotti o apposti per identificare prodotti o servizi differenti nell’ambito di un’operazione di merchandising. Siffatte “entità” in tanto possono essere oggetto di sfruttamento commerciale, in quanto godano di caratteristiche di notorietà precedentemente acquisite nel campo di attività originarie (c.d. utilizzazione primaria); il loro ulteriore impiego a fini commerciali (c.d. utilizzazione secondaria) è caratterizzato dal collegamento istituito tra tali “entità” e la promozione e commercializzazione di specifici beni e servizi.

Il merchandising costituisce, così, una significativa modificazione delle tradizionali tecniche di marketing. Infatti, in precedenza, il produttore, dopo aver sostenuto rilevanti costi per produrre un bene di alta qualità, doveva spendere somme ingenti per pubblicizzare e promuovere la vendita del proprio prodotto, con la mera aspettativa o speranza di recuperare le spese sostenute e di conseguire un utile.

Tale sistema è stato profondamente innovato grazie al merchandising attraverso l’acquisizione da parte del produttore, con un modesto investimento di capitale, della licenza su una property molto nota, che sia idonea a far distinguere immediatamente il suo prodotto da quelli dei concorrenti. Ciò consente a queste imprese di concorrere in condizioni di parità, sotto il profilo del marketing, con le multinazionali che possono investire ingenti somme in pubblicità e comunicazione.211

Con il contratto di merchandising, in sostanza, si vuole sfruttare una tecnica di comunicazione particolarmente efficace, consistente nell’abbinare il messaggio promozionale ad una fonte dotata di attendibilità, competenza e “simpatia”, che offre al prodotto maggiore credibilità ed affidabilità rispetto ad altri beni della medesima specie presenti sul mercato.212

Questo contratto è potenzialmente idoneo a soddisfare equamente le esigenze commerciali e di marketing tanto del licenziante quanto del licenziatario, dal momento che l’interesse del primo è quello di ottenere un ricavo dallo sfruttamento dell’entità di cui è titolare; mentre l’obiettivo del secondo consiste nel massimizzare il valore pubblicitario raggiunto dal soggetto coinvolto nell’operazione, per promuovere l’offerta dei propri prodotti e/o servizi.

In particolare, i benefici che il licenziante può conseguire dal porre in essere un contratto di merchandising sono di tre tipi:

- un miglioramento dell’immagine del bene, il che si verifica quando la scelta del licenziatario è avvenuta con accortezza;

- un allargamento del proprio sistema distributivo, che consente al soggetto di penetrare in altri mercati potenzialmente redditizi;

- una diversificazione della base su cui si fondano i propri introiti, che consente di garantirsi una maggior protezione contro le fluttuazioni del mercato di riferimento.

Dall’angolo visuale del licenziatario, è agevole constatare come tale soggetto possa contare in partenza sullo sfruttamento di un mercato in cui il marchio concesso in uso ha già riscosso notorietà e successo. Ciò gli consente di trasformare un prodotto di non eccelso valore intrinseco in un bene che viene percepito dal consumatore come appartenente ad un target superiore. Infatti, i contenuti evocativi connessi all’entità oggetto di sfruttamento economico vengono trasferiti sui nuovi prodotti e/o servizi (c.d. image transfer).

L’oggetto del contratto di merchandising può essere vario, in quanto, come detto, riferibile ad un’opera dell’ingegno, ad un marchio o ai diritti della personalità. Infatti, le entità protagoniste di un’operazione di merchandising possono essere diverse: in alcuni casi una società (corporation) che ha conseguito una certa notorietà in riferimento ad un suo marchio per alcuni prodotti, decide di concederlo in licenza per beni del tutto diversi (corporate merchandising); in altri, il merchandising

211 S. GATTI, Il merchandising e la sua disciplina giuridica, in Riv. dir. comm., 1989, I, p.122. 212 M. FRANZOSI – G. RIZZO, Licensing. Il business del marchio, 1999, p.120.

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è sviluppato da chi è diventato un personaggio pubblico ovvero da colui che ha contribuito a crearlo e ne concede l’immagine o il nome affinché vengano apposti su prodotti destinati alla vendita: in questo caso si parla di character merchandising. 213

L’elemento che accomuna le diverse ipotesi di merchandising è la forza evocativa e suggestiva derivante dalla notorietà che tutte queste entità possono acquisire grazie all’utilizzazione primaria; qualità che viene sfruttata da un altro soggetto per promuovere prodotti o servizi del tutto diversi.

Nell’ambito del corporate merchandising viene generalmente operata una distinzione tra: - status properties, cioè marchi che richiamano alla mente del consumatore un’immagine di

ricchezza, di lusso e di raffinatezza, come il marchio “Gucci”; - personification properties, ossia marchi che evocano uno stile di vita basato sulla velocità

o sull’avventura, come il marchio “Ferrari”; - popularity properties, ovvero marchi che, pur non evocando un’immagine particolare di

lusso possiedono un’enorme popolarità, emblematico in tal senso è il caso “Coca – Cola”. Gli elementi qualificanti della nozione di merchandising sono rappresentati dallo

sfruttamento di tali entità (properties) per la promozione e la commercializzazione di beni e servizi (utilizzazione secondaria) e dalla licenza d’uso intercorrente tra il titolare dell’entità ed il soggetto che intende sfruttarla nell’ambito della sua attività.

Occorre sottolineare come tra utilizzazione primaria e secondaria debba esistere una significativa differenziazione in termini di specificità merceologica, poiché altrimenti ricorrerebbe semplicemente una licenza di marchio ordinaria e non un’ipotesi di merchandising.

2. Distinzioni rispetto ad altri contratti simili o affini. In particolare, il contratto di sponsorizzazione

Sostanzialmente, se il contratto di merchandising è caratterizzato dalla cessione di un bene immateriale al fine di apporlo su prodotti merceologicamente diversi da quelli rispetto ai quali ha ottenuto notorietà a fini promozionali, il contratto di sponsorizzazione si contraddistingue per la promozione di un prodotto e/o di un servizio presso il pubblico mediante abbinamento con una particolare attività, sia essa di carattere sportivo, ludico, artistico, culturale o spettacolare.

Dal punto di vista economico, le posizioni soggettive nel merchandising e nella sponsorizzazione sono antitetiche: se in un caso è il merchandisee che versa una royalty al titolare del marchio per acquisire il diritto ad apporre l’effigie di quest’ultimo sui propri prodotti, nell’altro è il proprietario del “simbolo” a pagare allo sponsee un corrispettivo in denaro o in natura affinché venga esposto il proprio marchio sul suo “veicolo comunicazionale” rappresentato da una manifestazione, da una tenuta di gioco o da qualsiasi altra attività in grado di fornire un ritorno d’immagine rispetto all’investimento compiuto.

In particolare, mentre il contratto di merchandising coinvolge essenzialmente due parti (merchandisor e merchandisee), quello di sponsorizzazione prevede necessariamente la presenza, accanto a sponsor e sponsee, di un terzo protagonista: i mass media, i quali costituiscono un elemento esterno al rapporto contrattuale, ma al contempo indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi promozionali dello sponsor, fungendo da cassa di risonanza per il messaggio pubblicitario veicolato dallo sponsee.214

Sottolineate queste sostanziali distinzioni, ci si può trovare di fronte a situazioni in cui non è facilmente individuabile il criterio discretivo di cui sopra. Infatti, si può verificare l’ipotesi in cui, attraverso contratti di merchandising, si cerchi di diffondere il marchio presso il pubblico, realizzando quindi scopi tipici della sponsorizzazione. Tuttavia, anche in questo caso, non è difficile avvedersi che le modalità della divulgazione sono sostanzialmente differenti, poiché avvengono apponendo il marchio su prodotti destinati alla vendita, piuttosto che attraverso la semplice esposizione in pubblico.

213 A. FRIGNANI – A. DASSI – M. INTROVIGNE, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, 1993, p.115. 214 M. CAVADINI, Considerazioni sul contratto di merchandising di marchio, in Riv. dir. sport., 1998, p.357.

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Per chiarire il concetto con un esempio: un conto è pubblicizzare il marchio “Coca-Cola” mediante la sua apposizione su un asciugamano o su di un orologio, altro è farlo apparire sulle maglie di una squadra sportiva. Nel primo caso siamo di fronte al contratto di merchandising, nel secondo ci troviamo di fronte a quello di sponsorizzazione.

Se in sede di qualificazione la distinzione tra queste due figure contrattuali è netta e non suscettibile di equivoci, nella pratica, spesso, i due contratti vengono utilizzati congiuntamente all’interno di complesse strategie di marketing volte ad ottimizzare i ritorni in termini produttivi e comunicazionali.

Ci si può così imbattere in veri e propri contratti misti, nell’ambito dei quali viene concesso allo sponsor, oltre al diritto di veder comparire il suo marchio sul supporto tecnico conferito dallo sponsee, anche il diritto di far produrre, distribuire e commercializzare prodotti di largo consumo con i simboli distintivi della società o dell’evento sponsorizzato.

Tipica in tal senso è la situazione che si verifica nel rapporto che si instaura tra aziende produttrici di articoli sportivi e squadre degli sport più popolari, poiché l’impresa fornitrice, oltre a diventare “sponsor tecnico” della compagine, mettendo gratuitamente a disposizione prodotti quali scarpe, tenute da gioco e tute da allenamento, versa anche al club ingenti somme di denaro. Compiendo una tale operazione economica la contropartita che lo sponsor si aspetta dallo sponsee non è limitata alla visibilità del proprio marchio, ma comprende la possibilità di svolgere un ruolo nel merchandising, in pratica di poter commercializzare repliche autorizzate di divise e gadget della squadra.

Tali “diritti di utilizzo” sono solitamente considerati come un benefit aggiuntivo concesso dallo sponsee allo sponsor e normalmente sono disciplinati dal medesimo contratto che regola il rapporto di sponsorizzazione; in questi casi può essere così giustificata la mancata corresponsione di un corrispettivo mediante royalties.

Può anche accadere che dalla sponsorizzazione nasca un’attività di merchandising svolta direttamente dallo sponsor. Emblematico in tal senso è il rapporto sviluppatosi tra Federazione svizzera di sci e “Union Suisse de Commerce du Fromage”. Inizialmente la sponsorizzazione prevedeva che gli atleti indossassero tute da gara gialle con disegni “a forma di buco” che richiamavano le caratteristiche di un certo “tipo di formaggio” svizzero (emmenthal)! Il successo che questo capo di abbigliamento ha riscosso tra il pubblico è stato così ampio che lo sponsor ha registrato quel design come marchio, sviluppando una collezione di articoli denominati “original suisse cheese design”, con annessa vendita di zaini, orologi e T-shirt!

Peraltro, questo non è l’unico esempio del genere. Recentemente la marca di orologi “Omega”, nell’ambito della sponsorizzazione della prestigiosa manifestazione velica America’s Cup, ha ottenuto la possibilità di inserire il logo della competizione sul quadrante di un orologio commercializzato per l’occasione. Evidentemente l’intenzione di Omega è quello di sfruttare il valore suggestivo derivante dal simbolo dell’America’s Cup al fine di incrementare le vendite.

Pertanto, sempre più spesso nel confronto tra i due contratti possono rinvenirsi delle differenze relativamente agli elementi fattuali e descrittivi, ma sembrano identiche la struttura causale e la funzione economica, sostanzialmente consistente nel migliorare l’immagine di un marchio o di un prodotto, utilizzando un veicolo, lo sport, particolarmente attraente per i consumatori, in cambio di un corrispettivo economico.

Come meglio si vedrà, il contratto di merchandising rientra nella categoria dei contratti “atipici”, in quanto nel nostro ordinamento non si riscontra alcuna disposizione legislativa che ne offra una definizione o che ne disciplini la struttura e gli effetti.

La dottrina e la giurisprudenza, pertanto, nel tentativo di darne una ricostruzione giuridica hanno di volta in volta fatto ricorso alla disciplina del diritto dei marchi, al diritto di autore, e ad altre norme che regolamentano l’uso dei diritti della personalità.

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Attenta dottrina 215, in particolare, si è interrogata sulla possibilità di una ricostruzione unitaria del fenomeno in esame, ed ha poi osservato come la qualificazione dell’oggetto del merchandising in termini di opera dell’ingegno, nome, immagine e anche marchio, è servita per effettuare una prima selezione delle disposizioni applicabili all’autorizzazione dell’impiego secondario dell’entità corrispondente, nonché ad individuare la disciplina sistematicamente afferente al c.d. lato interno del rapporto fra il soggetto che ha portato l’entità alla sua affermazione originaria ed il terzo autorizzato, che, ripetendo il proprio titolo dal primo, si proponga di impiegarla commercialmente in collegamento con la vendita di beni e servizi.

Si è infatti riscontrato che le regole attinenti alla forma del contratto, al suo contenuto, ai suoi effetti, alla sua revocabilità ed alla sua estinzione variano in relazione al fatto che il consenso si riferisca all’impiego di un’opera, di un nome, di una denominazione o di un’immagine.

Si osserva, inoltre, che la definizione della fattispecie in esame come negozio attraverso cui il soggetto, che ha portato un segno alla sua affermazione originaria conseguendone la protezione, acconsenta a che un terzo utilizzi il medesimo simbolo in connessione alla vendita di beni e servizi, sembra rispondere oltre all’esigenza di individuare una disciplina applicabile, anche alla necessità tipica delle definizioni di delineare i confini con le ipotesi affini.

Tuttavia, da tale definizione si desumono alcune considerazioni, prima fra tutte che alla fattispecie negoziale così come individuata corrispondono innumerevoli fattispecie, con la conseguenza che appare evidente la complessità dell’operazione volta ad una ricostruzione unitaria del fenomeno.

Le difficoltà incontrate nella ricostruzione unitaria del fenomeno sono il risultato naturale di una situazione normativa in cui i diversi simboli di volta in volta esaminati vanno considerati alla stregua di segni distintivi e, dunque, attratti nella disciplina dei marchi d’impresa, anche se essi esprimono un quid pluris rispetto al semplice contrassegno che distingue sul mercato merci e servizi.

A ben vedere, infatti, la vera fortuna del contratto di merchandising risiede proprio nella circostanza che ognuna delle entità considerate è in grado di funzionare, anche quando le stesse sono considerate come marchi ordinari, come fonte rafforzata di messaggi promozionali, in virtù del potenziale di credibilità e di attendibilità accumulato durante la loro “esistenza”.

Ne consegue che il motivo della loro crescente affermazione risiede nella capacità manifestata di imporsi all’attenzione dei consumatori con un’efficacia che è inconsueta nell’universo concorrenziale dei messaggi pubblicitari.

La dottrina, quindi, ha negato la possibilità di disciplinare in maniera uniforme le differenti manifestazioni del fenomeno in oggetto, ritenendo di fatto impossibile non solo pervenire ad una disciplina unitaria del merchandising, ma anche prescindere dal ricorso alle singole disposizioni relative al diritto sistematicamente ceduto.

Per completezza si evidenzia che permane comunque la consapevolezza che il contratto di merchandising, a dispetto delle molteplici forme in cui può manifestarsi, resta indubbiamente unitario per quanto concerne alcune sue peculiarità essenziali, quali lo scopo e la struttura, e può, pertanto, essere considerato un modello contrattuale unico avente per oggetto diritti di volta in volta diversi, andando, infatti, dal marchio al diritto di autore, che hanno normalmente una loro peculiare disciplina.

Inoltre, si osserva ancora come, nonostante le norme sul diritto di autore siano sovente richiamate per tutelare il titolare il diritto, le disposizioni più efficaci e frequentemente impiegate restino quelle della nuova legge sui marchi: dopo la riforma del 1992, infatti, la legge sui marchi offre notevoli suggerimenti per legittimare pienamente il merchandising e per disciplinarlo in quasi tutte le sue manifestazioni.

Dal punto di vista più strettamente giuridico, infatti, si rileva che per anni il fenomeno merchandising si è trovato di fronte al dilemma di giustificare la propria esistenza considerando il marchio come valore di scambio in sé e per sé.

215 M. RICOLFI, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, 1991, p.674.

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La tutela giuridica di qualsiasi marchio era, infatti, essenzialmente legata alla propria natura di segno distintivo di una merce o di un servizio facente capo ad una determinata impresa.

Un primo passo verso la soluzione del problema è pervenuto dalla giurisprudenza. Riesaminando il concetto di marchio, si è ammessa l'esistenza di una specifica categoria rappresentata da quei marchi che, per la loro fama presso il pubblico o la loro capacità di creare ed influenzare il gusto e la moda, fossero meritevoli di tutela pur se utilizzati in settori diversi da quelli per i quali erano stati registrati in prima battuta.

Tale tutela ha rappresentato il punto di inizio per lo sfruttamento in chiave economica del marchio stesso tramite la pratica del merchandising.

Il D. Lgs. n.480 del 1992, in particolare, è intervenuto in attuazione della Direttiva Comunitaria n.89/104/CEE Consiglio del 21 dicembre 1988, sul "Riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa".

Tale disposizione ha conferito al titolare di un determinato marchio, avente caratteristiche di celebrità o rinomanza, la possibilità di vietarne l'utilizzazione a terze persone, anche in merito a prodotti e servizi non identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato.

Il discorso sul marchio d'impresa in quanto tale, peraltro, non rappresenta l'unica forma che possa assumere il fenomeno in esame: oggetti di sfruttamento in questa direzione possono di fatto essere altri segni distintivi dell'impresa come per es. la ragione o denominazione sociale, loghi, simboli ed emblemi dell'impresa, o anche nomi, disegni, immagini di personaggi della fantasia e di persone celebri, come per es. personaggi dello spettacolo, dello sport.

3. Le clausole generali e le prestazioni delle parti. Una ricostruzione unitaria, come anzivista, del contratto di merchandising può essere svolta

soprattutto con riferimento agli elementi caratteristici presenti nell’accordo. Alcuni di essi non possono, in ogni caso, mancare o difettare di specificazione.

In primo luogo, il contratto deve specificare in maniera dettagliata l’oggetto dell’accordo e, in particolare, va precisato per la produzione di quali beni si concede l’uso del marchio, del nome o dell’immagine.

In secondo luogo, occorre specificare se il licenziatario debba limitarsi alla produzione del bene o se ne possa curare anche la distribuzione; il contratto deve, inoltre, precisare se il licenziatario possa ricorrere o meno al sublicensing. In linea generale si può affermare che il titolare del marchio o del diritto concesso, molto spesso, si riserva il diritto di approvare gli oggetti prodotti dal licenziatario e di conoscere l’identità di eventuali terzi chiamati a partecipare al processo produttivo; ciò consente al titolare di mantenere il controllo “indiretto” sul marchio e/o sugli altri diritti immateriali al fine di proteggerne l’integrità e il valore.216

Solitamente il titolare del diritto indica anche il territorio entro il quale il licenziatario può vendere i beni prodotti in base al contratto di merchandising. In proposito, elemento fondamentale del contratto è, altresì, la concessione o meno di un diritto di esclusiva, che può riguardare la categoria merceologica, il territorio, i materiali usati, il canale di distribuzione o un qualsiasi altro elemento che le parti reputino rilevante.

La particolarità del contratto di merchandising (consistente nella capacità di favorire, da una parte, l’immissione sul mercato dei prodotti del licenziatario e, dall’altra, di accrescere la capacità attrattiva del marchio del concedente), fa sì che, solitamente, le parti prevedano un’esclusiva merceologica reciproca. In tal caso al licenziante non è consentito di concedere l’uso del marchio ad un terzo che sia concorrente del licenziatario ed a quest’ultimo di utilizzare marchi di imprese concorrenti con quella del licenziante.217

216 I. MAGNI, Merchandising e sponsorizzazione: nuovi contratti per lo sfruttamento e la promozione dell’immagine, 2002, p.11. 217 A. LEONE, op. cit., 1991, p.120.

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Il contratto deve naturalmente prevedere il compenso riservato al concedente e le modalità di pagamento. Tale somma si compone, normalmente, di una quota minima garantita, sotto forma di flat fee, e di ulteriori royalties, ossia provvigioni sul fatturato del licenziatario.218

Il contratto di merchandising rientra nella categoria dei contratti di durata. È possibile stipulare un accordo di durata indeterminata, con regolamentazioni specifiche della possibilità di disdetta dell’una o dell’altra parte in modo equivalente, oppure garantendo possibilità di uscita più ampie al merchandisor. E’, inoltre, inseribile un termine prima del quale il contratto non possa essere risolto, così da garantire alle parti una durata minima.

Il contratto potrebbe essere rinnovato tacitamente, oppure in base al verificarsi di determinate condizioni che potrebbero consistere, ad esempio, nel raggiungimento di un determinato ammontare di royalties pagate.

Come per tutti i contratti di durata è possibile una risoluzione anticipata del contratto, ad esempio per violazioni gravi e ripetute da parte di uno dei due contraenti. Spesso le violazioni sono elencate in un’apposita clausola del contratto. Occorre, peraltro, precisare che si tratta di comportamenti che vanno al di là della semplice inadempienza, giustificando la risoluzione per gravi motivi, quali, ad esempio, il coinvolgimento del merchandisee in una attività contraffattiva del marchio ricevuto in licenza oppure la presentazione di dati e di rendiconti di vendita falsificati per non corrispondere royalties altrimenti dovute.

Inoltre, sono configurabili altri casi, che, pur non prevedendo inadempienze vere e proprie, potrebbero condurre alla risoluzione anticipata del contratto. Basti pensare all’avvio di procedure fallimentari o concordatarie o all’assunzione del controllo azionario sull’azienda merchandisee da parte di un concorrente diretto del merchandisor.

In sede di redazione del contratto non vanno sottovalutati gli aspetti attinenti ai diritti ed agli obblighi di ciascuna parte al momento della scadenza del contratto. Il pericolo in questo caso è che il merchandisee continui a vendere i prodotti oggetto dell’accordo sottocosto per esaurire le rimanenze. Di solito, si ovvia a questo problema stabilendo un periodo di tempo, successivo alla scadenza del contratto, entro il quale il merchandisee potrà ancora vendere i beni contraddistinti dai marchi di cui è stato licenziatario. Tale periodo, detto di “sell – off”, dura normalmente dai tre ai sei mesi. Inoltre, per evitare speculazioni, non in linea con il prestigio del prodotto di cui è stato concesso l’utilizzo del marchio, il merchandisor potrà riservarsi un’opzione di acquisto della giacenza di magazzino a prezzo da concordarsi contrattualmente.

Tra le principali clausole presenti nel contratto di merchandising occorre analizzare quelle riguardanti le prestazioni del merchandisor e del merchandisee.

Il merchandisor si obbliga alla concessione della facoltà di utilizzare industrialmente o commercialmente un bene immateriale.219

La licenza sull’utilizzo del marchio può essere concessa in via esclusiva o non esclusiva e può esser limitata a determinate aree geografiche oppure estesa su scala mondiale.

In pratica il merchandisor si limita, semplicemente, a mettere il marchio a disposizione del merchandisee e non si assume alcun impegno relativamente al successo che l’attività possa riscontrare. Spetta quindi al merchandisee valutare il grado di notorietà del marchio nel suo mercato di riferimento e, conseguentemente, allestire piani di marketing e previsioni di vendita attendibili, che costituiranno poi, la base per il calcolo delle royalties.

Inoltre, il merchandisor assume l’obbligo di intraprendere tutte le iniziative necessarie o utili per mantenere il marchio in una condizione tale da permettere al merchandisee lo sfruttamento pattuito contrattualmente. In particolare, si obbliga a presentare domande di rinnovo della registrazione dei marchi la cui protezione dovesse giungere a scadenza, a pagare le relative tasse annuali, ad intervenire tempestivamente in casi di contraffazione o usurpazione.

Molto spesso, come detto, accade che il licenziante si riservi contrattualmente la possibilità di effettuare controlli di qualità sui prodotti collocati sul mercato dal licenziatario oltre alla

218 M. PEDRAZZINI, Der Lizenzvertrag, in Schweizerisches Privatrecht, Vol.VII/1, Stoccarda, 1977, p.631 ss. 219 K. TROLLER, Manuel du droit suisse des biens immateriels, Vol.I, 2° ed., Basilea, 1996, p.144.

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possibilità di effettuare una approvazione preventiva su tutti gli elementi del marketing – mix: prodotto, prezzo, packaging, canali di vendita, pubblicità e comunicazione. Anche a tal proposito vengono solitamente “congegnate” opportune clausole contrattuali.

L’approvazione potrà essere, così, riferita ai materiali di cui si compone l’oggetto commercializzato, al design, alla modalità di apposizione del marchio e all’estetica complessiva, in modo che tutti i prodotti “licenziati” possano essere ricondotti alla medesima filosofia, in armonia con l’immagine del marchio che si vuole diffondere.220

Il titolare del marchio può stabilire dei principi a cui il merchandisee deve attenersi; ciò avviene in appositi manuali di corporate identity, in cui si stabilisce, in particolare, l’uso dei colori, dei loghi e degli abbinamenti cromatici. Inoltre, il merchandisor spesso si riserva l’approvazione sui canali di vendita, che devono essere selezionati e monitorati conformemente con gli obiettivi che lo stesso si è posto; in questo senso il titolare di un marchio che evoca stile o èlite potrebbe opporsi a specifiche modalità di vendita come, ad esempio, la formula del cash & carry.

Può anche accadere che il merchandisor stabilisca contrattualmente le tipologie di allestimento dei punti vendita, in un contesto simile al franchising, facendo ricorso allo “shop in shop”, ossia imponendo l’allestimento di specifici corners chiaramente identificabili dal consumatore in cui collocare i prodotti contraddistinti dal marchio concesso in licenza.

Tra le prestazioni tipiche del merchandisee spicca il pagamento di royalties al titolare del marchio concesso in licenza. Le modalità di corresponsione possono essere molto differenti, in quanto si può modulare la percentuale di royalty in maniera crescente al raggiungimento di determinate soglie di fatturato, oppure concordare una royalty forfetaria fissa (flat fee), che prescinda dai volumi di vendita, ovvero individuarla come importo determinato per ciascuna unità di prodotto.

In genere, la tipologia più frequente è quella della royalty a percentuale richiedendo il merchandisor il versamento di una royalty minima garantita, ossia un importo su base annua definito preventivamente.

La maggior parte delle legislazioni nazionali prevede la decadenza dei diritti connessi alla registrazione in caso di mancato uso per un periodo superiore a cinque anni. In alcuni casi, come negli Stati Uniti, gli uffici marchi nazionali richiedono prove dell’uso del marchio già poco dopo il suo deposito. In moltissimi Stati, nell’ambito di azioni giudiziarie promosse per accertare ipotesi di contraffazione dei marchi, è decisivo poter vantare un pre-uso del marchio rispetto alla controparte. Il merchandisor è generalmente interessato allo sfruttamento della licenza sia per questioni economiche sia per ragioni di promozione della propria immagine: in particolare, in caso di concessione di licenza esclusiva non può tollerare che la stessa non venga sfruttata al meglio, ma solo per un numero ridotto di Paesi rispetto a quanto pattuito contrattualmente. Concedendo l’esclusiva il titolare del marchio si preclude la possibilità di conferire altre licenze, con il rischio che alcune categorie di prodotti non siano presenti sul mercato, oppure che vi siano aree geografiche in cui non avvenga la commercializzazione dei prodotti così griffati. Si pensi ad un team di Formula 1 che concede la licenza esclusiva ad un merchandisee privo di una struttura idonea ad essere presente con i prodotti ufficiali in tutte le gare del Campionato del Mondo.

Per ovviare a questa eventualità, nel caso di licenza esclusiva, il merchandisor si può riservare il diritto di recedere dal contratto nel caso in cui il merchandisee non sia in grado di rispettare i termini di penetrazione nei vari Stati o nelle diverse aree geografiche. È pure ipotizzabile che il merchandisor si riservi il diritto di concedere una licenza concorrente ad una società terza; in questo caso non si assiste ad una risoluzione del contratto ma si verifica una parziale decadenza dell’esclusiva. In questo modo il merchandisor può salvaguardare la sua esigenza di ottenere una continua e regolare presenza di prodotti “licenziati” in tutti i mercati di suo interesse. Un altro accorgimento che viene spesso utilizzato in questi casi consiste nel definire nel contratto, oltre ad una royalty minima garantita, anche un fatturato minimo garantito, ad esempio, su base annua. Dal

220 A. DE SILVESTRI, Le operazioni di sponsorizzazione ed il merchandising delle società sportive, in Riv. dir. sport., 1983, p.134.

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raggiungimento o meno di questi obiettivi potranno dipendere conseguenze quali il rinnovo del contratto, oppure il diritto unilaterale di recesso a favore del merchandisor.

Solitamente il licenziatario garantisce e manleva il titolare del marchio da qualsiasi responsabilità derivante dalla fabbricazione o dalla messa in commercio dei prodotti; a sua volta il concedente garantisce e manleva il licenziatario da qualsiasi eventuale azione legale contro quest’ultimo in relazione all’uso da parte del licenziatario dei diritti ceduti con il contratto di merchandising.

4. Natura giuridica del contratto di merchandising Come già anticipato, il contratto di merchandising risponde a logiche del tutto particolari

che dipendono in larga misura dagli interessi delle parti, dal loro potere contrattuale e dalla forza espansiva del marchio, che da segno distintivo di un prodotto diviene sempre più “emblema” tale da contraddistinguere il prestigio e lo stile dell’atleta o della squadra. Il marchio, da segno puro e semplice di identificazione della provenienza dei prodotti, è diventato simbolo di quel qualcosa o valore aggiunto che proprio esso è capace di esprimere e trasmettere ai beni sui quali è apposto, rendendoli affini ed assimilandoli ad un denominatore comune, che sul mercato assume il significato minimo di un collegamento con uno stile o un modo di essere.

Ciò premesso, passando ad una più attenta analisi della natura del contratto, si deve anzitutto rammentare che risulta pacifica in dottrina l’opinione secondo cui il contratto di merchandising sia riconducibile nell’ambito dell’atipicità, che ricomprende, ai sensi dell’art.1322 c.c., 2° comma, tutti i contratti per i quali non è prevista una espressa e particolare disciplina legislativa. Come noto, la legittimità di questi ultimi contratti è subordinata alla condizione che essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.221

Peraltro, tradizionalmente, nell’ambito dei contratti innominati si distingue tra contratti c.d. misti e sui generis.

I primi sono composti da elementi attinti da diversi tipi contrattuali previsti dalla legge, che ne determinano la concreta ed unitaria ragione giustificativa: in essa sarà ricompreso tutto ciò che dà senso obiettivo a quella specifica operazione, e che non necessariamente si identifica nell’astratta logica dei tipi cui l’interpreta anela di poter ricondurre l’operazione stessa; mentre i secondi sono formati da elementi costitutivi che non si riscontrano in alcuno dei contratti esplicitamente regolati dal legislatore.

Il contratto di merchandising apparterrebbe a quest’ultima categoria, alla quale è applicabile certamente la parte generale del codice delle obbligazioni, anche se non è da escludere la possibilità di applicare analogicamente singole norme della parte speciale.

La disciplina del contratto è dunque demandata in primo luogo al regolamento negoziale, e cioè alla volontà delle parti, quindi alla disciplina del contratto in generale prevista dal codice civile ed infine alle eventuali leggi speciali che possono riguardare l’oggetto del contratto.222

Sotto quest’ultimo profilo la figura contrattuale maggiormente utilizzabile è stata talora ritenuta quella della locazione, ex artt. 1571 e ss. c.c., che, quando ha ad oggetto un bene immateriale, si denomina licenza e cioè autorizzazione dietro corrispettivo all’uso temporaneo di un bene.

La possibilità di applicare tout court la normativa sulla locazione – licenza al contratto di merchandising non appare del tutto soddisfacente ed è contestata da parte della dottrina, che propende per l’inconciliabilità delle due figure contrattuali.223

221 In generale, sull’argomento e per ogni ulteriore riferimento di rimando, R. SACCO – G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto privato, 1995, p.320 ss., nonché R. SACCO – G. DE NOVA, Il Contratto, 1993, II, p. 419 ss. 222 A. LEONE, op. cit., 1991, p.114. 223 M. CAVADINI, op. cit., p.351 ss.

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Al riguardo è utile rammentare la facoltà per il titolare del marchio di concedere diverse licenze a titolo non esclusivo, mentre lo sfruttamento previsto dalle norme dell’affitto non può che essere concesso ad una sola parte.

In dottrina non sono mancati tentativi di assimilare il contratto di merchandising a quello di società semplice, basandosi sull’assunto che vi sarebbe una similitudine nei due rapporti per quel che riguarda gli obblighi di cooperazione tra le parti, nonché l’esistenza di una certa complementarietà di interessi tra merchandisor e merchandisee.

Questa assimilazione del rapporto di merchandising ad una struttura di tipo associativo - societario incontra un ostacolo nella diversità degli scopi che si propongono le parti nelle due fattispecie. Infatti, il contratto di società semplice consiste nel mettere in comune attività ed apporti in vista della realizzazione di uno scopo comune; viceversa, le parti di un rapporto di merchandising si propongono scopi diversi, in quanto il merchandisor si propone di monetizzate il proprio marchio, mentre il merchandisee ricerca lo sviluppo dei propri affari per mezzo dello sfruttamento del marchio altrui.

5. Alcuni casi giurisprudenziali in ambito sportivo Rispetto alle questioni che la normativa relativa ai marchi pone nella pratica del

merchandising, occorre preliminarmente affermare che la disciplina a suo tempo apprestata dal r.d. 21 giugno 1942, n.929 tutelava il marchio nella sua funzione distintiva, nel senso di indicatore della provenienza del prodotto; ciò al fine di garantire il consumatore da possibili forme di inganno circa la qualità del prodotto in relazione alla sua provenienza.224

La giurisprudenza ha posto le basi concettuali per un allargamento di tale tutela, almeno per determinate categorie di marchi. Questo sviluppo è stato conseguito attraverso una ridefinizione del concetto di affinità merceologica e di confondibilità tra prodotti. Tuttavia, in tale contesto, non si poteva prescindere dal principio di specialità, dal momento che l’unica funzione del marchio sottoposta a tutela era quella distintiva.

Tra le pronunce che hanno interpretato ed applicato il testo originario della legge del 1942, il Tribunale di Voghera, in relazione alla denominazione “Inter” ripresa nella testata di un giornale per ragazzi di argomento sportivo, ha affermato che “il marchio <Inter> non è un nome comune descrittivo degli argomenti sportivi trattati dalla rivista <Inter Football Club> ma quello proprio della società di calcio milanese ed in questa si identifica. Esso deve pertanto ritenersi marchio forte, meritevole di tutela assoluta che opera al semplice ricorrere di una confondibilità tra segni, non occorrendo anche quella tra prodotti, essendo più ampia la tutela della legge marchi rispetto a quella dell’art.100 legge sul diritto d’autore”.225

Il nuovo art.1, 1° comma del r.d. n.929/42 come modificato dal D.Lgs 4 dicembre 1992, n.480 stabilisce che “il titolare del marchio di impresa registrato ha diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di usare: ……c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi non affini, se il marchio registrato goda nello Stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Con l’entrata in vigore della nuova legge marchi si è assistito ad un riconoscimento legislativo del valore suggestivo di alcuni marchi, i quali sono dotati di particolare valore e necessitano di una protezione che si estenda al di là delle coordinate tracciate dal principio di specialità, che, prima della riforma rappresentava un limite invalicabile.

Chiaramente improntata alla tutela della funzione suggestiva del marchio è la protezione accordata dalla lett.b) dell’art.1, 1° comma, legge marchi in ordine allo sfruttamento della

224 A. M. TONI, Merchandising e marchio celebre in Italia: affievolimento della funzione distintiva?, in Cont. impr., 1990, I, p.15. 225 Trib. Voghera, sentenza 10 dicembre 1994, in Riv.dir. ind., 1995, II, p.140 ss.

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rinomanza del marchio ed alle ipotesi di pregiudizio alla stessa. In tal caso, si prescinde totalmente da una situazione di confondibilità, anche nel senso di rischio di associazione tra segni, di cui alla lett. a).226

La giurisprudenza di merito è stata chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità al settore sportivo della nuova legge marchi. Il Tribunale di Torino è stato chiamato a risolvere una controversia tra la “Juventus F.C. s.p.a.” e la “Juvena Produits de beautè S.A.”, al fine di stabilire quale protezione spettasse al marchio “Juvena”, che contraddistingueva cosmetici e prodotti di profumeria, nei confronti del successivo marchio Juventus, adottato dall’omonima società calcistica.

Il giudice ha ripreso un ormai collaudato criterio di discriminazione tra marchi: forti, ossia dotati di una protezione ultramerceologica, e deboli, protetti nei limiti della ristretta nozione di affinità merceologica.227

Già la Suprema Corte si era affidata a questa distinzione al fine di risolvere i problemi relativi alla tutela del marchio. Per la Corte di Cassazione “sono marchi forti non solo quelli di fantasia, ma anche quelli costituiti da parole del linguaggio comune, quando esse, non avendo alcuna aderenza concettuale con i prodotti contraddistinti, assumono particolare valore individualizzante per l’originalità dell’accostamento che si vuole suscitare nella mente dei consumatori con i prodotti delle imprese. Per contro i marchi deboli non coincidono perfettamente con i marchi semplicemente descrittivi dei prodotti o indicativi della loro natura o della loro funzione, ma si estendono alle parole del linguaggio comune o divenute comuni nel linguaggio commerciale, purché si tratti di parole che abbiano assunto un significato designativi comune e non individualizzante, richiamando alla mente dei più, prodotti di una certa specie per l’aderenza concettuale stabilitasi ormai di fatto tra dette parole ed i prodotti relativi”. 228

Il giudice torinese ha qualificato il marchio dell’attrice, “Juvena”, come debole, con la conseguenza che, esso gode di protezione più limitata: variazioni e difformità anche lievi sono sufficienti ad escludere la confondibilità. È evidente, quindi, che il marchio “Juventus”, depositato in tempi recenti dall’omonima società calcistica quale segno distintivo per contraddistinguere, inter alia, prodotti cosmetici e di profumeria, sfugga alla censura di confondibilità rispetto al preadottato marchio Juvena, sia perché si tratta di marchio che presenta una variazione di rilievo rispetto al primo segno, sia perché esso è di carattere complesso, per essere costituito anche da elementi figurativi di notevole spicco nonché da ulteriori caratteri denominativi.229

Un secondo ordine di questioni affrontato nella sentenza in oggetto concerne la legittimazione di una società calcistica a procedere alla registrazione di un proprio segno distintivo in un settore nel quale essa non svolga, al momento del deposito, alcuna attività commerciale.

In conformità alle interpretazioni più evolute dell’art.22 legge marchi, il giudice torinese ha ritenuto che “una società di capitali, la quale depositi un segno distintivo come marchio relativo a classi di beni che essa ancora non produca e commercializzi attualmente, può considerarsi un soggetto che si propone di utilizzare i marchi la cui registrazione si riferisce nella sua industria o nel suo commercio ai sensi dell’art.22 legge marchi”.230

Tuttavia, in tale occasione il giudice ha evitato di pronunciarsi sugli aspetti problematici relativi all’interpretazione di tale articolo. Infatti, la società calcistica in questione è costituita nella forma della società per azioni e, quindi, non sussiste dubbio alcuno che ad essa spetti la qualifica di imprenditore. Ciò che il giudice torinese ha evitato di affrontare è la questione della possibilità per un soggetto registrante di non usare direttamente il marchio, ma di sfruttarne il valore di richiamo mediante operazioni di merchandising.231

226 M. FAZZINI, Profili della tutela della funzione suggestiva del marchio nella nuova legge, in Riv. dir. ind., 1995, II, p.150 ss. 227 Corte d’Appello di Torino, sentenza 16 marzo 1994, in Riv. dir. ind., 1995, II, p.142 ss. 228 Corte d’Appello di Torino, cit., p.144. 229 M. RICOLFI, La Juventus tra football e cosmetici: società calcistiche e merchandising, in Giur. it., 1991, p.843 ss. 230 Trib. Torino, 30 luglio 1991, in Giur. It., 1991, I, p.844 ss. 231 Trib. Milano, 27 luglio 1999, in Dir. Ind., 2000, II, p.199 ss.

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Sempre in ambito calcistico, il Tribunale di Novara ha ritenuto illecita la denominazione della testata giornalistica “Super Inter” in quanto confondibile con quella della rivista ufficiale della compagine milanese “Inter Football Club”, vietando anche la produzione e la vendita di gadgets recanti il nome o gli emblemi dell’Inter, l’uno e l’altro registrati come marchi, se operato senza l’autorizzazione della società sportiva.232

La nuova legge marchi, nell’intento di tutelare direttamente la funzione suggestiva dei marchi celebri, ha stabilito all’art.21, 3° comma, che “se notori, possono essere registrati solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi….. i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico e sportivo, le denominazioni o sigle di manifestazioni e quelle di enti ed associazioni non aventi finalità economica, nonché gli emblemi caratteristici di questi”.

A questa norma fa riferimento una sentenza del Tribunale di Modena, chiamato a risolvere una controversia tra la FIFA e la società svizzera ISL Football AG, in cui si discuteva della titolarità dei diritti su marchio in ambito sportivo: si trattava nella specie del logo dei Campionati del Mondo di calcio USA 1994.233

La norma in esame introduce una nuova categoria di segni registrabili come marchi, sia pure assicurando l’esclusiva all’autore della notorietà o al suo avente causa, in deroga al principio della libera registrabilità.

Secondo il Tribunale nulla vieta che l’avente diritto alla registrazione del segno notorio, che si identifica in colui che ha portato a notorietà il segno, piuttosto che avvalersi di tale diritto al fine di sfruttarlo commercialmente attraverso il sistema delle licenze d’uso, consenta ad altri detta registrazione in sua vece. In tal caso il soggetto pone in essere un negozio che comporta l’insorgenza esclusiva in capo al registrante di tutti i diritti e le facoltà connesse alla titolarità del marchio, tra le quali quella di vietarne l’uso a terzi non autorizzati. Di conseguenza, secondo il giudice, solo la società svizzera sarebbe stata legittimata a invocare la tutela offerta dalla nuova legge marchi per reagire all’indebita utilizzazione del logo della manifestazione.234

In ambito comunitario il caso più noto è rappresentato dalla vicenda che ha dato luogo alla pronuncia della Corte di Giustizia sul “caso Arsenal”.235 La controversia aveva per oggetto gli emblemi ed i colori sociali, registrati come marchi, di una società calcistica inglese, l’Arsenal, e la possibilità di tutelarli contro l’uso su prodotti di merchandising – per beni corrispondenti a quelli per cui i marchi erano stati registrati ed usati, che venivano esplicitamente presentati da chi li poneva in vendita come non originali, con l’apposizione nel luogo di vendita di un cartello contenente un apposito disclaimer.

Secondo l’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, sviluppando le grandi squadre come l’Arsenal attività economiche di prim’ordine quando registrano un segno allo scopo di immettere sul mercato, direttamente o attraverso un licenziatario, determinati beni e servizi contrassegnati dal marchio, fanno un uso effettivo della loro proprietà intellettuale e possono vietare ai terzi di utilizzare la stessa indicazione allo scopo di sfruttarla commercialmente ed ottenerne un vantaggio economico, ricorrendo a tutti i mezzi a tal fine predisposti dall’ordinamento giuridico.236

Inoltre, l’uso che il titolare può inibire ai terzi è quello finalizzato allo sfruttamento commerciale del marchio, concetto che contempla l’uso dei segni distintivi registrati come marchi dalle società proprietarie delle squadre di calcio per la vendita di indumenti ed oggetti legati alla formazione sportiva. A tal fine sono irrilevanti i motivi che spingono il consumatore ad operare una determinata scelta. L’elemento decisivo è rappresentato dal fatto che il destinatario acquista certi prodotti o li consuma in quanto contengono il segno distintivo.

Stabilire quando un terzo fa uso di un marchio di impresa in quanto marchio è una questione di fatto il cui accertamento spetta al giudice nazionale in funzione degli elementi di cui dispone per

232 C. GALLI, Segni distintivi e industria culturale, in AIDA, 1997, p.332. 233 Tribunale Modena, ordinanza 26 giugno 1994, in N.G.C.C., 1995, I, p.99 ss. 234 Tribunale Modena, cit., p.101. 235 C. GALLI, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tra merchandising e free riders, in AIDA, 2003, p.231. 236 Corte Giustizia C.E., 12 novembre 2002, procedimento C-206/01.

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risolvere la causa. Ciononostante, nei casi di identità sia dei segni sia dei prodotti o dei servizi, vige una

presunzione iuris tantum che il terzo usi il marchio in quanto tale.

6. Il merchandising sportivo: esperienze straniere ed italiane a confronto Il merchandising in ambito sportivo ha vissuto un incredibile sviluppo tra la fine degli anni

’80 e l’inizio degli anni ’90. Le società sportive professionistiche in tale periodo hanno sistematicamente iniziato a

cedere a terzi il diritto di utilizzare marchi, simboli e immagini in modo tale da creare prodotti con i crismi dell’ufficialità o comunque dell’originalità garantita dalle organizzazioni sportive e dagli atleti che ivi militano.

Le particolarità dello sviluppo del marchio delle società sportive in genere sono legate, da un lato, alla “cassa di risonanza” fornita dai media, e, dall’altro, all’estremo grado di “fidelizzazione” del tifoso o simpatizzante nei confronti della propria squadra del cuore. Infatti, il marchio sportivo, rispetto a quelli tradizionali, si caratterizza per tre fattori: loyalty (fedeltà), longevity (longevità) e marketing indiretto. In pratica accade che i sostenitori si affezionino ad una squadra e al suo stemma e per tutta la vita ne seguano le gesta, indipendentemente dagli sforzi comunicativi della concorrenza.

Nel campo dei diritti di sfruttamento dell’immagine e di licensing, gli Stati Uniti hanno preceduto tutti, con l’esperimento della National Football League (NFL), che nel 1963 fu la prima organizzazione sportiva a definire formalmente ed ufficialmente un programma di licensing per le società ad essa affiliate.237

Negli U.S.A., dove le quattro Leghe professionistiche principali danno vita ad un giro d’affari di circa 7 mila milioni di euro l’anno, il merchandising incide in alcuni casi per il 90% sul totale del fatturato di una società sportiva.238

Anche i singoli atleti sono diventate vere e proprie industrie. Basti citare l’esempio rappresentato da Michael Jordan, il cui giro d’affari è notevolmente superiore a quello generato da molte società sportive professionistiche di vertice. L’influenza da lui avuta nel decretare le fortune del Campionato NBA non ha precedenti nella Storia dello sport professionistico americano. Egli è stato capace di andare oltre l’ambiente cestistico e di suscitare interesse anche da parte dei non appassionati, in ogni strato sociale; ogni prodotto con la sua effigie si è trasformato in un successo commerciale ed economico: la sua presenza nella NBA ha portato gli introiti derivanti da diritti tv fino ai 500 milioni di euro della passata stagione; il merchandising mondiale è esploso fino all’impressionante cifra annua di 2 mila milioni di euro, di cui si stima che almeno il 15% derivi dall’effetto traino provocato dall’ormai mitica canottiera numero 23 dei Chicago Bulls, l’articolo sportivo più venduto nella storia del merchandising sportivo negli Stati Uniti.

Anche in Europa questo mercato ha avuto una crescita esponenziale. L’esperienza più rilevante è costituita dai clubs calcistici inglesi. In particolare, il Manchester United rappresenta l’esempio più significativo di gestione aziendale di una società sportiva.

Le ragioni della crescita economica della compagine inglese sono da rinvenirsi nell’aumento dei proventi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi, negli incassi al botteghino in forte ascesa, ma soprattutto nel merchandising.

Il Manchester United ricava mediamente quasi 40 milioni di euro all’anno, il 20% del fatturato, dalla vendita in tutto il mondo di prodotti contraddistinti dal proprio simbolo.

Per rendersi conto dell’importanza rivestita nelle strategie societarie dei Red Devils da questo fenomeno in continua crescita, basta osservare che sono 120 gli addetti impegnati nel settore e che esiste una apposita società, Manchester United Merchandising Ltd., preposta alla vendita dei

237 Tratto dal sito internet http://www.calcioinborsa.com. 238 F. D’ANGELO, Il business in campo, tratto dal sito internet http://www.sportlex.it.

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prodotti con i colori e il marchio societario all’interno del proprio megastore ubicato nei pressi dello stadio, per posta ed internet e attraverso numerose catene di grande distribuzione convenzionate.

La strategia della squadra inglese si basa sul potenziamento della rete commerciale in mercati nuovi ed emergenti; in particolare, l’attenzione del management si è concentrata sull’Estremo Oriente e in Nord America. A tal proposito il Manchester United, per aumentare il grado di penetrazione del proprio marchio sul mercato americano, ha stipulato un contratto con i New York Yankees leader del campionato professionistico di baseball. L’accordo prevede la vendita di magliette e gadgets dello United nei negozi degli Yankees diffusi negli Stati Uniti e viceversa. È chiaro che i due sodalizi sportivi confidano in tal modo nel grado di fedeltà dei propri appassionati per vendere prodotti della società partner.

La tendenza allo sviluppo di questa forma di finanziamento ha fatto breccia anche in Italia. Le conseguenze di questa nuova tendenza si sono manifestate anche a livello di politica sportiva: all’inizio della stagione 1995/1996 si è infatti deciso di attribuire alle società calcistiche appartenenti alla Lega Professionisti, Serie A e B, una numerazione fissa per tutta la stagione agonistica, con i nomi dei giocatori stampati sulle maglie, in modo da adeguarsi alle direttive della FIFA e di facilitare la possibilità di acquistare tenute di gioco e gadgets del proprio giocatore preferito.

Confrontando la realtà italiana con quella inglese emerge una differenza non solo quantitativa nei ricavi derivanti dallo svolgimento di attività di merchandising in senso lato, ma anche una diversa impostazione strategica nella scelta delle modalità ritenute più opportune per incrementare i rispettivi fatturati. In particolare, le squadre inglesi sviluppano il merchandising attraverso la costituzione di società controllate interamente, in questo modo ottenendo un elevato controllo sulla qualità dei prodotti così commercializzati e sull’utilizzo del marchio, a fronte però di strutture organizzative costose e complesse.

La “via italiana al merchandising” è basata sulla commercializzazione di prodotti derivanti da accordi di licenza (licensing). Questi contratti prevedono la concessione in licenza del marchio del club ad aziende interessate alla produzione di beni di largo consumo, a fronte della corresponsione da parte del licenziatario di una percentuale dei ricavi, oltre ad un minimo garantito a favore della società sportiva.239

Da un lato il licensing è vantaggioso perché, attraverso le royalties, la società è in grado di generare profitti senza sostenere costi per investimenti; dall’altro, si perde il controllo completo sulla qualità del prodotto che viene affidato ad aziende esterne, pur con la necessaria approvazione delle linee guida da seguire.

Emblematica in tal senso è la strategia di sviluppo del marchio A.C.MILAN, adottata a partire dal 1987 dal club rossonero con l’apertura del primo negozio monomarchio in Italia interamente dedicato al merchandising ufficiale di una società sportiva professionistica.

L’ampliamento delle categorie merceologiche dei prodotti commercializzati e la diversificazione dei canali distributivi sono i principi su cui si fonda la strategia del licensing rossonera. In questo quadro un elemento importante è costituito dalla concessione dell’uso del marchio ai licenziatari in esclusiva merceologica. Ciò consente al licenziante di esercitare un maggior controllo sulla qualità dei prodotti fabbricati con il proprio marchio.

Nella realtà milanista il corrispettivo della licenza di utilizzo del marchio si compone di un minimo garantito e di una percentuale, royalty, sul fatturato dell’impresa licenziataria. È importante sottolineare che nei contratti di merchandising stipulati sono previsti un periodo di sell-in ed uno di sell-off. Il primo rappresenta il termine entro il quale l’azienda licenziataria deve immettere nel mercato i prodotti da commercializzare; mentre il secondo costituisce il termine entro cui il licenziatario deve ritirare dal mercato i prodotti stessi.

Quanto alla distribuzione, il Milan si avvale di numerosi canali. Il principale è il New Milan Point di Milano, gestito da un licenziatario (Asmas), al quale non viene richiesto il minimo garantito, in quanto esso costituisce il primo canale di vendita diretto.

Il 5 dicembre 2002 è stato inaugurato il primo New Milan Point in Giappone.

239 Tratto dal sito internet: htpp://www.stageup.com.

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La società ha infatti siglato un accordo per la distribuzione di prodotti con l’effigie rossonera

con la società giapponese Japan Sport Vision, azienda leader nello sport entertainment business. Nel marzo 2003 è stato inaugurato il New Milan Point di Madrid, grazie ad un accordo sottoscritto con la società Deportes Aquila.

È importante rilevare che nel New Milan Point di Madrid sono presenti gli stessi prodotti che vengono commercializzati in Italia, mentre Tokyo ha una produzione e una distribuzione a sé. Infatti, il contratto siglato con la Japan Sport Vision concede alla società nipponica un’ampia autonomia nella produzione e nella distribuzione dei prodotti, i quali devono pur sempre essere approvati dal Milan.240

Altri canali distributivi sono: il San Siro Store, i Football Corner, gli Autogrill, il sito internet, il catalogo per corrispondenza. Non è superfluo rilevare una importante differenza che caratterizza i contratti che la società rossonera sottoscrive per l’apertura di punti vendita, a seconda che si tratti di un corner o di un negozio ufficiale Milan. Nel primo caso, infatti, si tratta di un normale contratto commerciale con il gestore del negozio, con il quale ci si accorda per ottenere uno spazio dedicato ai propri prodotti; nel secondo caso, il negozio esporrà i segni distintivi della società milanista, per cui il licenziatario dovrà pagare una somma come corrispettivo della licenza di marchio.

7. Una problematica legata al merchandising: la contraffazione Una problematica che sta assumendo sempre più importanza in riferimento al contratto di

merchandising è costituita dalla contraffazione che si sostanzia in ogni uso non autorizzato degli elementi distintivi di un prodotto, attuato in modo sistematico e su ampia scala, sia sotto il profilo quantitativo che geografico. Si tratta di un atto illecito per mezzo del quale vengono lesi i diritti di esclusiva appartenenti al titolare del marchio.

In base alla normativa vigente il marchio che gode di rinomanza può essere tutelato indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti e servizi e dal rischio di confusione per il pubblico; in tal caso perché si concreti il reato di contraffazione è sufficiente la confondibilità dei segni ed il fatto che il terzo possa trarre dall’uso del segno confondibile un indebito vantaggio o possa arrecare un grave pregiudizio alla rinomanza o al carattere distintivo del marchio.241

L’art 474 codice penale “punisce chiunque contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati”.

Dal punto di vista economico si può rilevare come il fenomeno della contraffazione abbia assunto dimensioni allarmanti, essendo stimato che quasi la decima parte del commercio mondiale è costituita da prodotti falsi.

La crescita incessante del mercato del falso è dovuta ad un serie di fattori di natura economica, sociologica e politica:

- dal punto di vista economico, la recente fase di recessione e il conseguente venire meno di disponibilità economiche hanno indotto il consumatore ad orientarsi sovente verso forme illecite di acquisto;

- dal punto di vista sociologico, l’apertura delle frontiere e l’immigrazione hanno consentito alle organizzazioni dedite ad attività di contraffazione di poter contare su una forza lavoro disposta ad accettare compromessi in termini di liceità e remunerazione della prestazione lavorativa;

240 Tratto dal sito internet http: //www.stageup.com. 241 C. GALLI, Estensione e limiti, cit., p.231.

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- dal punto di vista politico, la globalizzazione degli scambi ha permesso la creazione di veri e propri centri mondiali della contraffazione, che producono ed esportano materiale illecito in tutti i continenti.

Il fenomeno della contraffazione può essere studiato anche dal punto di vista delle conseguenze che discendono da tale reato.

Evidentemente, il danno più diretto è subito dalle imprese detentrici dei beni immateriali violati. Al lucro cessante delle mancate vendite si aggiungono: la perdita di valore del brand; le perdite finanziarie dovute al ritardato o assente ritorno nell’investimento; la perdita di quote di mercato; maggiori spese per comunicazioni ai consumatori per renderli edotti delle problematiche legate al falso; maggiori spese legali; maggiori spese di monitoraggio del mercato per scoprire le violazioni.

La contraffazione lede tuttavia anche una serie di interessi della collettività, specialmente attraverso: lo sfruttamento di soggetti appartenenti a fasce deboli, senza le garanzie ex lege previste dai normali contratti di lavoro; l’evasione fiscale e le conseguenti mancate entrate per lo Stato, da investire eventualmente in opere per la comunità; le distorsioni al sistema economico, con la contemporanea presenza sul mercato di operatori che rispettano le regole e altri che agiscono nella completa illegalità 242.

Il soggetto che si trova costretto a difendersi da comportamenti illeciti concretatisi in contraffazione del marchio può attivarsi sia in sede civile sia in sede penale. Al giudice civile possono essere richiesti i provvedimenti cautelari del sequestro e dell’inibitoria al fine di acquisire elementi di prova e porre termine all’attività illecita di vendita dei falsi. Nella causa di merito potrà poi essere richiesto il risarcimento del danno subito. In sede penale si punisce con la reclusione e con la multa la contraffazione e l’alterazione di marchi e segni distintivi (art. 473 c.p.) e alla stessa pena soggiace chi si dedica al commercio di prodotti falsi (art. 474 c.p.). 243

Al di là delle misure cautelari, in sede civile esiste una vera e propria azione di contraffazione, che mira ad ottenere dal giudice una sentenza che disponga l’inibitoria al condannato (che non deve essere confusa con quella cautelare) ed il risarcimento del danno.

L’azione di contraffazione (art. 2569 e ss. cod. civ.) può essere promossa dal titolare del marchio sia nei casi in cui il segno è stato registrato o usato come marchio dal titolare stesso ed è stato utilizzato da terzi per promuovere la vendita di prodotti appartenenti alle classi per cui è stato registrato o usato come marchio sia nei casi di utilizzazione al di là delle classi di beni per i quali il marchio è stato usato o registrato, quando si tratta di marchi che godono di rinomanza. 244

Nelle ipotesi in cui non sia possibile invocare tale tutela, si è fatto ricorso all’azione di concorrenza sleale (art. 2598 e ss. cod. civ.), perché si è affermato che i simboli costituivano una falsa indicazione di provenienza del prodotto o comunque erano idonei a confondere i prodotti con quelli fabbricati o approvati dall’organizzazione o dal soggetto titolare del segno distintivo.245

Mentre l’azione di contraffazione ha natura reale ed è diretta a tutelare il diritto assoluto sui marchi registrati, l’azione di concorrenza sleale ha natura personale ed è diretta a proteggere l’interesse dell’imprenditore a differenziare i propri prodotti e la propria attività da quelle dei concorrenti.

Inoltre, l’azione di contraffazione è esperibile indipendentemente da ogni pericolo di confusione tra prodotti o attività, mentre il pericolo di confusione è un requisito necessario per l’applicazione della tutela concorrenziale. Infine sono diversi i provvedimenti ottenibili attraverso le due azioni. Infatti, la legge speciale sui marchi prevede che il titolare del marchio possa ottenere il sequestro degli oggetti costituenti violazione del diritto di marchio, sia prima del giudizio (art.61 l.m.) sia in corso di causa (artt. 61 e 62 l.m.); mentre ciò non è espressamente previsto a proposito dell’azione di concorrenza sleale. In secondo luogo, la inibitoria della continuazione degli atti che costituiscono concorrenza sleale può essere disposta solo con la sentenza che accerta la sussistenza

242 I. MAGNI, op. cit., p.220. 243 Ibid. 244 S. GATTI, op. cit., p.124. 245 G. AGHINA, La utilizzazione atipica del marchio altrui, 1971, p.51 ss.

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di concorrenza sleale (art.2599 c.c.); mentre l’inibitoria dell’uso del marchio che si assuma contraffatto può anche essere disposta nel corso del giudizio con sentenza provvisoriamente esecutiva, con o senza cauzione (art.63 l.m.). In terzo luogo, la pubblicazione della sentenza che accerta atti di concorrenza sleale può essere ordinata solo quando tali atti risultino essere stati compiuti con dolo o colpa (art.2600 c.c.); mentre la pubblicazione della sentenza emessa in dipendenza di violazioni di diritti di marchio può essere ordinata in ogni caso (art.65 l.m.).

Queste due azioni possono rivelarsi, nei fatti, mezzi inadeguati. Infatti l’azione di contraffazione presuppone l’esistenza del diritto di esclusiva all’uso del segno, e l’azione di concorrenza sleale ha come presupposti che l’atto si inserisca in un rapporto di concorrenza e sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda, elementi che possono mancare nei rapporti tra il titolare del segno e chi lo utilizza senza il suo consenso.

Nella realtà del merchandising manca in genere ogni collegamento fra la riproduzione di nomi o simboli e la possibilità di confusione dei prodotti, come manca il rapporto concorrenziale fra il titolare del segno distintivo, che spesso non è neppure un imprenditore, e chi lo riproduce.246 Un’alternativa alla esperibilità di tali azioni consiste nel ricorso al c.d. diritto di utilizzazione economica della propria popolarità, di origine statunitense.

Questo diritto trova giustificazione nella considerazione che non si può compiere un atto di “pirateria” del lavoro svolto da un altro.

In conclusione, è utile segnalare come, spesso, il ricorso alla giustizia possa comportare più danni che benefici, risolvendosi in un possibile attacco alla validità del marchio licenziato.

Sovente, infatti, nei contratti di merchandising vengono inserite clausole che impongono al merchandisee di provvedere direttamente e a proprie spese alla difesa del marchio licenziato nei confronti di eventuali contraffattori o imitatori, oppure che consentono a ciascuna delle parti di agire autonomamente in difesa del marchio, ciascuna sopportandone le relative spese. Questo tipo di clausole paiono non tenere conto del fatto che un’azione giudiziaria a tutela del marchio gestita senza sufficiente preparazione può racchiudere numerosi pericoli.247

Si pensi al caso del licenziatario che decide di agire, sulla base dei diritti sul marchio, nei confronti di un presunto usurpatore, senza aver prima opportunamente valutato la posizione del marchio licenziato nel Paese straniero in cui il contraffattore è attivo. In tal caso è possibile che un’azione avviata dal licenziatario con leggerezza possa implicare un’azione riconvenzionale dell’usurpatore volta ad accertare la nullità o la decadenza del marchio oggetto della licenza.

E’ molto importante che il merchandisor si riservi esplicitamente nel contratto l’esclusivo diritto di decidere se e quale azione promuovere in relazione a violazioni o imitazioni del marchio dato in licenza. Il merchandisee potrà senz’altro essere coinvolto nella tutela del marchio licenziato, ma sempre in maniera indiretta.

Queste considerazioni offrono lo spunto per affermare che un contratto di merchandising deve sempre essere accompagnato da un adeguato programma di difesa del marchio.

LUCIO COLANTUONI , Avvocato del foro di Savona e Milano, Professore a contratto di

Diritto Civile nell’ Università Statale di Milano, membro della Commissione Disciplinare della F.I.G.C. Lega Nazionale Professionisti.

246 S. GATTI, op. cit., p.126. 247 M. CAVADINI, op. cit.., p.378.

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ILLEGITTIMA LA DUPLICAZIONE DEI COMPENSI PER GLI AGENTI DEI CALCIATORI

Un interessante lodo è stato recentemente pronunciato in materia giuridica sportiva dal

Collegio Arbitrale della Camera Arbitrale istituita dalla Commissione Agenti di Calciatori della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Tale pronuncia potrebbe porre un freno a quelle richieste economiche di procuratori che, pur avendo già percepito il pagamento delle proprie provvigioni da parte delle società sportive, come da prassi invalsa del modo del calcio, richiedono una duplicazione dei pagamenti da parte dei calciatori loro assistiti, promovendo Collegi arbitrali nei loro confronti solo dopo che si è interrotto il rapporto procuratorio a seguito di revoca.

-Con ricorso ex art. 3, Allegato B del Regolamento degli Agenti di Calciatori, il Dott. X,

Procuratore Sportivo promuoveva in proprio, nonché quale legale rappresentante della società Y, un arbitrato al fine di ottenere la condanna del sig. Z, calciatore professionista, al pagamento, in proprio favore, delle provvigioni maturate per l’attività prestata in occasione della stipula dei contratti di prestazione sportiva sottoscritti dal calciatore con le società sportive A e B a partire dalla stagione sportiva 1998-99 fino alla stagione sportiva 2005-2006, nella percentuale convenuta del 3% del contratto lordo.

-A sostegno della propria tesi il ricorrente depositava copia del mandato ricevuto dal

calciatore, copia dei contratti sottoscritti con le società A e B e copia della disdetta con la quale il calciatore aveva interrotto il rapporto procuratorio.

-Con successiva comparsa di risposta il calciatore si costituiva in giudizio contestando le

avverse richieste sia in via preliminare che nel merito, producendo copia di scritture private intercorse fra la società Y e le società sportive A e B -regolarmente quietanzate- con cui queste ultime si impegnavano a corrispondere alla medesima le somme concordate per l’attività svolta per conto delle stesse in occasione della stipula del contratto del calciatore Z.

-Più precisamente, in via preliminare assorbente eccepiva il difetto di giurisdizione per aver

il ricorrente ceduto alla società Y i diritti economici derivanti dal mandato rilasciato dal calciatore al procuratore.

Nel mandato, infatti, il procuratore aveva stabilito che alla società Y “spettano in via esclusiva tutti i diritti economici e patrimoniali derivanti dall’esecuzione del presente atto “

Essendo la stessa società Y estranea all’ordinamento sportivo ed agli arbitrati in oggetto, non potendo, tra l’altro, neanche provvedere alla nomina di un proprio arbitro, ne conseguirebbe la nullità insanabile dell’azione.

-In via preliminare eccepiva il difetto di legittimazione passiva del resistente per la

avvenuta modifica del soggetto passivo a seguito dell’accordo espromissorio stipulato fra il procuratore, la società Y di cui egli era legale rappresentante e le società sportive A e B che, in occasione delle stipule dei contratti del calciatore o dei rinnovi contrattuali, si erano impegnate a corrispondere alla società Y gli importi della procura.

Tali scritture private, pur non facendo esplicito riferimento al pagamento della procura, trovavano nella medesima la loro causa giuridica e, pertanto, sarebbe riscontrabile nelle medesime una simulazione relativa essendo la vera volontà delle parti quella di fissare importi e modalità di pagamento delle provvigioni del procuratore.

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Dando esecuzione a tale accordo, incassando numerosi ratei di pagamento dalle indicate società A e B, inoltre, il ricorrente avrebbe dato una valenza liberatoria alla espromissione.

-In via preliminare subordinata il resistente eccepiva il difetto di legittimazione attiva della

società Y in quanto il Regolamento vigente all’epoca della nascita del rapporto procuratorio prevedeva che l’incarico di procuratore sportivo fosse conferito ad una persona fisica e non ad una società.

-Nel merito, in caso di mancata dichiarazione del difetto di legittimazione passiva, il ricorrente chiedeva comunque volersi dichiarare che il ricorrente aveva agito in chiaro conflitto di interessi, violando le norme del Regolamento dell’attività di procuratore sportivo, con riferimento agli obblighi di lealtà, buona fede e diligenza professionale, è, per tali motivi, chiedendone il deferimento alle competenti Autorità Sportive.

Il procuratore, infatti, avrebbe rappresentato nello stesso affare due parti i cui interessi erano contrapposti pur essendo stato legato al mandante (il calciatore) da un rapporto in esclusiva.

-Nelle proprie memorie difensive il ricorrente contestava le eccezioni sollevate dal calciatore

Z precisando che i pagamenti effettuati dai Clubs A e B in favore della società Y erano giustificati dalla effettuazione di servizi e consulenza svolti in loro favore dalla medesima.

-Il Collegio ammetteva la prova per testi a mezzo del legale rappresentante della società B e

l’interrogatorio formale del ricorrente che confermava il contenuto della proprie memorie ed insisteva nell’affermare che i pagamenti erano stati effettuati a titolo di compenso per le attività di consulenza e servizi svolte dalla società Y, estranee al rapporto procuratorio.

A sua volta il legale rappresentante del ricorrente -nonché padre del medesimo- precisava che, pur non avendo preso parte ai rapporti fra ricorrente e società sportive, era a conoscenza del fatto che la società Y aveva svolto attività volte a tutelare la crescita evolutiva e sociale del giovane calciatore.

-Successivamente, all’unanimità, il Collegio Arbitrale, alla luce della documentazione

prodotta, ha ritenuto che con la stipula del mandato, il procuratore abbia ceduto alla Agenzia Sportiva Y, della quale era legale rappresentante pro-tempore, il credito rivendicato con il ricorso de quo, avendo ivi previsto espressamente che alla società Y “spettano invia esclusiva tutti i diritti economici e patrimoniali derivanti dall’esecuzione del presente atto (mandato)”.

Ciò facendo le parti avrebbero operato un trasferimento di un diritto di credito da un soggetto ad un altro, sostituendo all’originario creditore un nuovo creditore, laddove, invece, sarebbe stato necessario il consenso del contraente ceduto qualora fosse stato ceduto l’intero rapporto, ivi comprese le posizioni creditorie e debitorie.

La clausola prevista dal Modulo Federale non integra gli estremi del trasferimento dell’intero rapporto in quanto le mansioni di procuratore devono necessariamente essere svolte da una persona fisica che, nel caso di specie, ha trasferito il credito alla società Y, come è dimostrato degli atti dispositivi del credito da quest’ultima posti in essere in sede di esecuzione del contratto.

A fondamento di ciò, infatti, depongono le numerose scritture private intercorse fra società di calcio A e B da un lato e la società Y dall’altro che hanno avuto esecuzione (peraltro, anche successivamente al ricorso) con il successivo regolare adempimento, da parte delle società, delle provvigioni originariamente dovute dal calciatore. Tali accordi hanno sempre fatto esplicito riferimento alla attività svolta per l’assistenza prestata in relazione alla stipula e/o al rinnovo dei contratti fra il calciatore e le società sportive.

Inoltre, le richieste di pagamento sono state fatte inizialmente al calciatore da parte della società Y e non dal procuratore il cui contegno appare univocamente concludente nel senso di un accordo espromissorio con contestuale liberazione del debitore originario.

Il ricorrente, inoltre, ha promosso in precedenza, per mezzo della società Y, una analoga procedura arbitrale, poi abbandonata a seguito della eccezione di difetto di legittimazione attiva del calciatore Z.

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-A tale stregua, il Collegio ha ritenuto che da un lato la domanda del procuratore non possa

essere oggetto di accertamento siccome egli non è più il titolare del credito vantato e, nel contempo, la pretesa creditoria del medesimo, quale legale rappresentante pro-tempore della società Y non può essere sindacata dal Collegio Arbitrale adito in quanto promossa da un soggetto non astretto all’accordo compromissorio posto a fondamento della attività e dei poteri dell’Organo arbitrale adito né al Regolamento Federale degli Agenti di calciatori..

Ciò posto, in ossequio ad ovvie ragioni di economia processuale, il Collegio ha dichiarato assorbite le altre domande ed eccezioni svolte dalle parti, rigettando la domanda dell’attore in proprio per mancanza di legittimazione attiva nonché dichiarando il difetto di potere dell’Organo arbitrale per estraneità della domanda della società Y al compromesso, condannando, altresì, il ricorrente in proprio nonché quale legale rappresentante p.t. al pagamento delle spese di funzionamento del Collegio Arbitrale ed alle spese di lite.

ANGELO CASCELLA , Avvocato del foro di Vicenza, esperto di diritto dello sport, agente di calciatori.