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SdS/Rivista di cultura sportiva Anno XXI n.54 1 2 I Giochi Olimpici invernali di Salt Lake City e le tendenze internazionali di sviluppo degli sport invernali Arndt Pfützner, Manfred Reiss, Klaus Rost Analisi dei Giochi olimpici invernali di Salt Lake City 2002, tendenze di sviluppo nazionali ed internazionali e conseguen- ze che se ne possono ricavare per nuovi orientamenti del sistema di allenamento e di gara negli sport invernali per il ciclo olimpico 2002-2006 13 Il contributo della scienza all’allenamento sportivo Vèronique Billat L’esempio della corsa di fondo (seconda parte) 20 Alcuni aspetti della preparazione alla gara Peter Tschiene La preparazione alla gara secondo un approccio basato sulla teoria dei sistemi 28 La fatica: aspetti centrali e periferici Gian Nicola Bisciotti, Pier Paolo Iodice, Raf- faele Massarelli, Marcel Sagnol Il punto sullo stato attuale delle cono- scenze sui fattori che provocano la fatica 54 Il recupero nell’allenamento con sovraccarichi Rinaldo D’Isep, Massimiliano Gollin L'importanza della durata delle pause di recupero tra le serie nell'allenamento con sovraccarichi 42 Trainer’s Digest A cura di Olga Iourtchenko, Mario Gulinelli 64 Summaries In questo numero 45 La preparazione fisica negli sport di squadra Gilles Cometti L’utilizzazione di alcuni esercizi della pesistica per la preparazione fisica negli sport di squadra: l’esempio della pallaca- nestro e della pallavolo 59 Sci alpino e massa corporea Mirko Colombo, Cristian Osgnach, Giulio Sergio Roi Perché l’elevata massa corporea può favorire gli atleti delle discipline veloci

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2I Giochi Olimpici invernali diSalt Lake City e le tendenzeinternazionali di sviluppo degli sport invernaliArndt Pfützner, Manfred Reiss, Klaus RostAnalisi dei Giochi olimpici invernali diSalt Lake City 2002, tendenze di svilupponazionali ed internazionali e conseguen-ze che se ne possono ricavare per nuoviorientamenti del sistema di allenamentoe di gara negli sport invernali per il cicloolimpico 2002-2006

13Il contributo della scienzaall’allenamento sportivoVèronique BillatL’esempio della corsa di fondo (seconda parte)

20Alcuni aspetti della preparazione alla garaPeter TschieneLa preparazione alla gara secondo unapproccio basato sulla teoria dei sistemi

28La fatica: aspetti centrali e perifericiGian Nicola Bisciotti, Pier Paolo Iodice, Raf-faele Massarelli, Marcel SagnolIl punto sullo stato attuale delle cono-scenze sui fattori che provocano la fatica

54Il recupero nell’allenamentocon sovraccarichiRinaldo D’Isep, Massimiliano GollinL'importanza della durata delle pause direcupero tra le serie nell'allenamento consovraccarichi

42Trainer’s DigestA cura di Olga Iourtchenko, Mario Gulinelli

64Summaries

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45La preparazione fisica negli sport di squadraGilles ComettiL’utilizzazione di alcuni esercizi dellapesistica per la preparazione fisica neglisport di squadra: l’esempio della pallaca-nestro e della pallavolo

59Sci alpino e massa corporeaMirko Colombo, Cristian Osgnach, Giulio Sergio Roi Perché l’elevata massa corporea puòfavorire gli atleti delle discipline veloci

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I Giochi olimpici invernali di Salt Lake City e le tendenzeinternazionali di sviluppo degli sport invernali

Arndt Pfützer, Manfred Reiss, Klaus Rost, Istituto per la scienza applicata all'allenamento, Lipsia

Viene compiuto un bilancio degliultimi Giochi olimpici invernalidi Salt Lake City, cercandodi analizzare quali siano le tendenzeche si rilevano nell'evoluzione deglisport invernali a livellointernazionale. A tale scopo,vengono analizzati lo sviluppo dellivello dei risultati in campointernazionale e le caratteristichestrutturali che li determinano.Queste vengono individuate,essenzialmente, nell’efficacia deisistemi di allenamento; nei progressitecnologici e nell’organizzazionedella prestazione di gara; nellaprofessionalizzazione dei sistemi dipreparazione e di allenamento enell’assistenza scientificaall’allenamento stesso. Le causeprincipali dei progressinelle prestazioni a livello nazionalevengono invece individuate, oltreche nel miglioramento dell’efficaciadell’allenamento, nella riuscitadel passaggio di atleti ed atletedall’allenamento di transizioneall’alto livello a quello di alto livello,come anche nel miglioramento delcontrollo dell’allenamento basatosu un sistema allenatore-consulentiscientifici. Dall'insieme delleconsiderazioni e delle analisi vengonoricavate alcune conseguenzeche riguardano il ciclo olimpicoappena iniziato.

Foto Bruno

Analisi dei Giochi olimpiciinvernali di Salt Lake City2002, tendenze di sviluppo nazionali ed internazionalie conseguenze che se nepossono ricavare per nuovi orientamenti del sistema di allenamento e di garanegli sport invernali per il ciclo olimpico 2002-2006

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Questo articolo ha per oggetto un’analisidei risultati dei Giochi olimpici invernali diSalt Lake City e le conseguenze che se nepossono ricavare per nuovi orientamentidel sistema di allenamento e di gara neglisport invernali, per il prossimo ciclo olim-pico 2002-2006, che, come è noto, si con-cluderà con i Giochi olimpici invernali diTorino. Come in un precedente articolo,pubblicato sul n. 51 di questa rivista (A.Pfützner, M. Reiss, K. Rost, H. Tünemann, IGiochi olimpici di Sydney e le tendenze disviluppo nello sport olimpico, Sds-Scuoladello sport, XX, 2001, 51, 2-11), dedicatoai Giochi olimpici di Sydney, l’analisi èstata realizzata da un gruppo di studiodell'Istituto per la scienza applicata all'al-lenamento di Lipsia e, per questa ragione,contiene alcuni riferimenti alla realtà edai notevoli risultati ottenuti dalla squadranazionale tedesca. Però, per i suoi conte-nuti, l’articolo offre numerosi spunti diinteresse di carattere più generale, ini-ziando dal tentativo, che viene fatto nel 2.paragrafo (Tendenze internazionali di svi-luppo delle prestazioni di gara e dei siste-mi di preparazione ed allenamento) dioffrire una valutazione di quali siano letendenze internazionali attuali per quan-to riguarda il futuro sviluppo dei risultati edei sistemi di preparazione ed allenamen-to e gli aspetti che li caratterizzeranno.Tra i quali vogliamo citare l’aumento del-l’efficacia dei sistemi di allenamento, iprogressi nelle tecnologie e nell’organiz-zazione della prestazione di gara, la cre-scente professionalizzazione degli atleti el’assistenza scientifica all’allenamento.Però, a questo proposito va fatto rilevarecome gli Autori dell’articolo, pur ricordan-do gli sviluppi in questa direzione che sistanno realizzando in alcuni Paesi, metta-no in risalto come il fattore determinanteresti sempre la qualità dell’allenamento.Nel paragrafo successivo (Tendenze di svi-luppo nazionale e cause principali dei pro-gressi nelle prestazioni), anche se gli Auto-ri partono dai risultati degli atleti tede-schi, sono contenute una serie di osserva-zioni, in particolare sulle caratteristiche egli approcci che sono stati decisivi perottenere prestazioni di livello internazio-nale, come anche sulle cause dei regressi,o delle stasi dei risultati in taluni sport,che ci appaiono pertinenti ed applicabilianche ad altre realtà nazionali. Tra i fat-tori che vengono citati (si vedano gliesempi del biathlon, dello sci di fondo edel salto con gli sci) vanno ricordatiaspetti che, proprio in prospettiva di Tori-no 2006, sono importanti anche per ilnostro Paese, quali l’aumento dell’effica-cia dell’allenamento, che è legata allacreazioni di condizioni ottimali per la suarealizzazione; la riuscita nel passaggio

dall’allenamento giovanile di alto livelloall’allenamento di altissimo livello senio-res (cioè il successo nella soluzione delproblema della formazione di nuovi atletiin grado di ottenere successi olimpici); ilcontrollo dell’allenamento basato su unsistema di collaborazione allenatore-con-sulenti scientifici, ecc. Il 4. paragrafo(Orientamenti strategici per il ciclo olimpi-co fino al 2006), nella sua parte inizialemette a fuoco quali sono gli approcci che,secondo gli Autori, sono necessari se sivogliono raggiungere risultati di livellointernazionale, non solo di valore assolu-to, ma addirittura di livello medio. Ciò,ancora una volta, è strettamente legatocon l’efficacia dell’allenamento, cioè conun allenamento che, sia per metodo econtenuti, sia assolutamente all’avan-guardia. Per realizzarlo è necessaria unaricerca che ponga al suo centro, specifica-mente, il processo di allenamento, come ènei programmi dell’Istituto di scienzeapplicate all’allenamento di Lipsia.

1. Introduzione

Dal 9 al 24 febbraio del 2002 si sono svol-te a Salt Lake City (Utah, Usa) i XIX Giochiolimpici invernali. Si è trattato della quartavolta che i Giochi olimpici invernali si svol-gono negli Stati Uniti (dopo Lake Placid1932, Squaw Valley 1960, di nuovo LakePlacid 1980). Come già era avvenuto per iGiochi olimpici di Sydney, anche le Olim-piadi invernali di Salt Lake City hanno con-fermato sia l’interesse suscitato nel grandepubblico dalle grandi manifestazioni spor-tive, sia la dinamica di sviluppo dei Giochiolimpici, in questo caso di quelli invernaliche, dalla loro istituzione (Chamonix 1924)ad oggi, hanno conosciuto una crescitacontinua, sia nel numero di atleti e nazionipartecipanti sia nel numero delle gare (cfr.figure 1-2). La partecipazione di 77 Comitati olimpici edi 2532 partecipanti (918 donne, 1614uomini) è una chiara prova dello sforzoche viene fatto in molti Paesi per parteci-

Figura 1 – Sviluppo del numero delle medaglie assegnate delle gare nel periodo intercorrente trai Giochi olimpici invernali di Chamonix 1924 e di Salt Lake City 2002

Figura 2 – Sviluppo del numero degli atleti, delle atlete e delle nazioni partecipanti ai Giochi olim-pici invernali, da quelli di Chamonix del 1924 a quelli di Salt Lake City 2002

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Totale Numero dei piazzamenti in finale Somma dei piazzamenti

Cl. Nazione Oro Argento Bronzo 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 1-3° 4-10° 1-10°

1° GER 12 16 7 10 8 9 6 4 4 4 35 45 802° NOR 11 7 6 7 4 6 4 8 3 4 24 36 603° USA 10 13 11 9 11 9 8 4 7 1 34 49 834° RUS 6 6 4 7 6 10 8 6 5 8 16 50 665° CAN 6 3 8 7 4 6 4 8 5 7 17 41 586° FRA 4 5 2 1 4 3 3 2 4 8 11 25 367° ITA 4 4 4 2 5 2 8 5 5 6 12 33 458° FIN 4 2 1 3 5 1 3 4 3 2 7 21 289° OLA 3 5 - 3 3 2 3 3 2 2 8 18 26

10° SVI 3 2 6 3 3 4 3 3 4 5 11 25 3611° CRO 3 1 - - - - - - 1 - 4 1 512° AUT 2 4 11 10 7 7 5 4 3 5 17 41 5813° CHN 2 2 4 2 1 - 2 1 2 2 8 10 1814° COR 2 2 - 1 2 2 1 4 1 - 4 11 1515° AUS 2 - - - - 1 - 1 1 2 2 5 7

Tabella 1 – Numero, somma delle medaglie e dei piazzamenti delle prime quindici nazioni (totale). Nella tabella vengono riportati, in totale, il numeroe la somma delle medaglie e dei piazzamenti (dal 1° al 15°), delle prima quindici Nazioni dei Giochi olimpici invernali di Salt Lake City. Successivamen-te, nelle tabelle 2, 3, seguono gli stessi dati, divisi tra donne e uomini, mentre nella tabella 4 vengono riportati i dati per le gare miste

Totale Numero dei piazzamenti in finale Somma dei piazzamenti

Cl. Nazione Oro Argento Bronzo 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 1-3° 4-10° 1-10°

1° GER 8 8 4 4 5 6 3 2 1 2 20 23 432° USA 5 3 3 2 6 2 3 3 1 1 11 18 293° RUS 3 4 2 4 3 4 5 3 3 5 9 27 364° ITA 3 2 2 - 2 1 3 2 3 5 7 16 235° CRO 3 1 - - - - - - - - 4 - 46° NOR 2 3 2 4 - 1 1 3 - 1 7 10 177° FRA 2 3 - - 1 1 3 1 3 1 5 10 158° COR 2 2 - - - 1 1 - 1 - 4 3 79° CAN 2 1 6 5 2 4 2 5 3 5 9 26 35

10° CHN 2 1 2 1 1 - 1 - - - 5 3 811° GBR 1 -1 - - - - - 1 1 2 2 412° AUS 1 - - - - - - 1 1 - 1 2 313° OLA - 2 - 2 1 1 2 2 - 1 2 9 1114° SVE - 1 4 1 - 2 1 - 1 1 5 6 1115° SVI - 1 3 2 2 - 1 1 1 1 4 8 12

Totale Numero dei piazzamenti in finale Somma dei piazzamenti

Cl. Nazione Oro Argento Bronzo 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 1-3° 4-10° 1-10°

1° NOR 9 4 4 3 4 5 3 5 3 3 17 26 432° USA 5 10 8 7 4 7 5 1 6 - 23 30 533° GER 4 8 3 6 3 3 3 1 3 2 15 21 364° FIN 4 2 1 2 4 1 2 3 1 2 7 15 225° OLA 3 3 - 1 2 1 1 2 2 1 6 9 156° CAN 3 2 2 1 2 2 2 3 2 1 7 13 207° SVI 3 1 3 1 1 4 2 3 3 4 7 17 248° AUT 2 3 10 7 4 5 3 - 1 4 15 27 429° RUS 2 1 2 2 3 5 3 5 2 2 5 20 25

10° ESP 2 - - - - - - - - - 2 - 211° FRA 1 2 2 1 3 2 - 1 1 7 5 15 2012° ITA 1 2 1 2 3 1 5 3 2 1 4 17 2113° EST 1 1 1 - - - - - 2 - 3 2 514° CEC 1 - - - 2 - 2 1 1 2 1 8 915° AUS 1 - - - - 1 - - - 2 1 3 4

Tabella 2 – Numero, somma delle medaglie e dei piazzamenti delle prime quindici nazioni (donne)

Tabella 3 – Numero delle medaglie e dei piazzamenti delle prime quindici nazioni (uomini)

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pare a questo grande avvenimento. Nelletabelle 1, 2, 3, 4 viene fornito un riepilogogenerale e distinto per atleti, atlete e garemiste, del numero delle medaglie e dellasomma dei piazzamenti in finale delleprime quindici Nazioni.

2. Tendenze internazionali di sviluppo delle prestazioni di gara e dei sistemi di preparazione ed allenamento

Lo sviluppo del livello dei risultati

La prima constatazione che occorre fareanalizzando i risultati di Salt Lake City2000 é che, in campo internazionale, illivello dei risultati continua ad aumentare.Ad esempio, anche nei Giochi olimpici diSalt Lake City, si è confermato il trend,quasi lineare, di sviluppo dei risultati nellamaggior parte degli sport di resistenza,che dura ormai da alcuni anni. Inoltre,debbono essere ricordati sia lo sviluppo,quasi repentino, dei risultati nel pattinag-gio di velocità - dovuto ai nuovi attrezzi digara ed agli opportuni adattamenti dellatecnica, alle condizioni specifiche delghiaccio ed alla posizione in altitudine diSalt Lake City - espresso da otto nuovirecord mondiali, come anche l’entrata innuove zone di velocità dello sci di fondo,dovuta all’introduzione delle gare di sprint. Tutto ciò sottolinea, ancora una volta, chenon si possono prevedere quali saranno ilimiti delle prestazioni nei vari sport. Comemesso in particolare evidenza dall’esempiodello sviluppo delle prestazioni nel biath-lon, dove si è assistito ad un miglioramen-to sia della prestazione globale, sia diquelle parziali (velocità di corsa, tempoimpiegato nel tiro, numero di bersagli col-piti, figura 3).

Totale Numero dei piazzamenti in finale Somma dei piazzamenti

Cl. Nazione Oro Argento Bronzo 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 1-3° 4-10° 1-10°

1° RUS 1 1 - 1 - 1 - - - 1 2 3 52° CAN 1 - - 1 - - - - - 1 1 2 33° FRA 1 - - - - - - - - - 1 - -4° CHN - - 1 - - - - - 1 - 1 1 25° ITA - - 1 - - - - - - - 1 - -6° LTU - - - - 1 - - - - - - 1 17° USA - - - - 1 - - - - - - 1 18° ISR - - - - - 1 - - - - - 1 19° BUL - - - - - - 1 - - - - 1 1

10° POL - - - - - - 1 - - - - 1 111° CEC - - - - - - - 1 - - - 1 112° GER - - - - - - - 1 - - - 1 113° UKR - - - - - - - - 1 - - 1 1

Totale 3 1 2 2 2 2 2 2 2 2 6 14 20

Tabella 4 – Numero delle medaglie e dei piazzamenti (dal 1° al 10°) delle prime tredici nazioni (gare miste, pattinaggio di figura: coppie e danza)

Figura 3 – Le tendenze di sviluppo nel biathlon . Linea blu = dal 1° al 3° posto; linea rossa =atleti tedeschi

Figura 4 – Pattinaggio di figura uomini: sviluppo delle difficoltà e della densità dei risultati

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Anche nelle discipline sportive dove predo-minano la forza e la tecnica si può affer-mare che vi sia stato un incremento delleprestazioni. Nel salto con gli sci, le analisi,realizzate a livello internazionale, sia nelsettore seniores, sia in quello juniores, per-mettono di provare che si rilevano sviluppisia nella velocità di stacco, sia nei processidi movimento nella fase di passaggio allostacco, più favorevoli dal punto di vistaaerodinamico. Nel pattinaggio di figura,un criterio per misurare la prestazione èrappresentato dallo sviluppo dell’indice didifficoltà. Un parametro nel quale si pos-sono riscontrare notevoli evoluzioni, sianei pattinatori che nelle pattinatrici. Talievoluzioni riguardano sia la difficoltà deisalti, sia la stabilità dell’esecuzione in gara.Se si analizzano le prestazioni va messo inevidenza che, per quanto riguarda i patti-natori, il numero dei salti quadrupli e dellecombinazioni quadrupli/tripli è quasi rad-doppiato rispetto al 1998 (figura 4). La seconda constatazione è il notevoleaumento della concorrenza che si riscon-tra in quasi tutti gli sport invernali. Lalotta per la vittoria e per le medaglie èdiventata più serrata. Di conseguenza, lapreparazione è diventata sempre più com-plessa ed impegnativa, sotto tutti i puntidi vista. Perciò, nei Giochi olimpici inver-

nali (come del resto in quelli estivi), èimpossibile ottenere successo senza unapreparazione globale a livello professionaleed una preparazione immediata alla garamolto efficace.

Le caratteristiche strutturali che determinano lo sviluppo delle prestazioni

Come si era già potuto constatare nell’ulti-mo ciclo olimpico, a livello mondiale losviluppo del prestazioni di vertice è deter-minato, soprattutto, da alcune caratteristi-che, che, ad esempio negli sport di resi-stenza, sono:

- l’aumento della forza di spinta in ogniciclo di movimento, che, in parte, èaccompagnato da un aumento nella fre-quenza dei movimenti;

- la maggiore stabilità e variabilità delrendimento dei movimenti su tutta ladistanza di gara, anche in condizioni diaffaticamento;

- un range di regolazione della frequenzadei movimenti che tiene conto dell’an-damento della gara e che viene sfruttatoal massimo nei tratti iniziali, nelle acce-lerazioni durante la gara e nei finali(figura 5).

L’esempio dello sci di fondo, che rappre-senta la specialità fondamentale anche peril biathlon e per la combinata nordica, per-mette di porre in risalto alcuni aspettinuovi, che riguardano la struttura dellaprestazione e le relative conseguenze perla metodologia dell’allenamento:- se si tiene conto dei cambiamenti che vi

sono stati nella struttura delle garedovuti all’introduzione della partenza ingruppo, delle gare ad inseguimento edelle gare di sprint, che pongono richie-ste molto elevate dal punto di vista tec-nico-motorio e tattico, dovute al contat-to diretto con l’avversario, nel settoredell’alto livello sarà necessario un sem-pre maggiore livello di specializzazione,che, come è naturale, si rifletterà anchein programmi diversi di allenamento.

- Negli atleti che si trovano ai vertici mon-diali, oltre ad un ulteriore sviluppo diun’elevata velocità specifica sulla distan-za, si rileva anche un incremento dellacapacità di realizzare notevoli aumenti diritmo rispetto alla velocità media, nellepartenze, nelle fasi intermedie e nellefasi finali della gara. Se ne ricava che icontenuti dell’allenamento dovrannotenere conto sia della necessità di esserein grado di cambiare velocità, sia delleelevate richieste tecniche implicate inquesta necessità.

- Per quanto riguarda la tecnica sull’interadistanza di gara, si possono rilevare ten-denze ad un aumento della frequenzadei movimenti. Ciò presuppone che, nellestrutture dell’allenamento, lo sviluppodella resistenza vada di pari passo connotevoli componenti di velocità deimovimenti (cfr. figura 6).

- Le analisi delle gare confermano che, sesi vogliono ottenere prestazioni vincentinello sci di fondo, il rendimento in salitacontinua a svolgere una funzione fonda-mentale. L’aumento sia della qualità chedella quantità delle salite nell’interadistanza di gara (oltre il 50% del tempodi gara viene impiegato nel loro supera-

Figura 5 – Pattinaggio su ghiaccio di velocità, donne: andamento della gara delle vincitrici

Figura 6 – Sci di fondo: frequenza dei movimenti nella gara di sprint rispetto alle altre discipline

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mento) significa che si devono garantire:- un maggiore rendimento della spinta

in ogni ciclo di movimento, grazie adun’impostazione potente del movi-mento delle braccia e delle gambe;

- la massima variabilità della tecnica,della frequenza dei passi e della lun-ghezza del ciclo di movimento.

Sempre i risultati dell’analisi delle garemostrano chiaramente la posizione elevatache assumono le capacità di resistenza dibase e di resistenza alla forza. Perciò, l’au-mento dell’efficacia dell’allenamento dellaresistenza alla forza, diventa il problemaprincipale della metodologia dell’allena-mento.Come era già stato evidente nei precedentiGiochi olimpici invernali, anche lo sviluppodi prestazioni di livello mondiale nellediscipline tecniche è determinato da unaserie di caratteristiche:- nel salto con gli sci, negli ultimi decenni,

la struttura delle prestazione si è modifi-cata, soprattutto, grazie ai cambiamentinella tecnica, nelle regole e nell’adatta-mento del materiale di gara. L’ultimo ciclo olimpico è stato partico-larmente caratterizzato dallo sviluppodella velocità di stacco e della tecnica deimovimenti. L’ulteriore sviluppo della tec-nica si esprime in processi di movimentopiù efficaci dal punto di vista aerodina-mico, con una limitazione dell’impegnodella parte superiore del corpo nella fasedi passaggio allo stacco. Questi processimotori sono stati stabilizzati insieme aduna crescente velocità di stacco.

- Nel pattinaggio di figura, in primo pianotroviamo, da un lato, l’aumento delle dif-ficoltà tecniche e, dall’altro, la stabilizza-zione di sequenze di salti con difficoltàmassime, anche in condizioni di affatica-mento. Perciò, oltre allo sviluppo deipresupposti tecnici e di forza che per-mettono di eseguire queste sequenze,aumenta l’importanza della resistenza.Altre caratteristiche strutturali decisivedella prestazione di alto livello sono unospiccato spirito agonistico ed un’elevatadisponibilità ad assumere rischi.

Una causa dell’incremento dei risultati:l’efficacia dei sistemi di allenamento

Se si analizza l’allenamento degli atletiinternazionali di maggior successo, si puòdimostrare che l’elemento chiave che hadeterminato il miglioramento delle loroprestazioni è rappresentato dell’efficaciadell’allenamento, diretta ad un miglioresfruttamento delle riserve individuali diadattamento, i cui contenuti possonoessere così caratterizzati:- impegno nell’incremento di un livello

specifico delle capacità di resistenza di

base, resistenza alla forza, resistenza allarapidità ed alla forza rapida;

- garanzia che, all’inizio del periodo digara e della preparazione immediata allagara principale, vi sia un livello elevato diformazione della capacità specifiche(resistenza di base, resistenza alla forza,ecc.);

- utilizzazione mirata della doppia funzio-ne svolta dalle gare e dall’allenamentotra le gare;

- maggiore dinamismo del carico di alle-namento, unito ad una rigenerazioneefficace;

- miglioramento dell’allenamento in alti-tudine e completo sfruttamento dellepossibilità che offre;

- rinnovamento periodico della capacitàglobale di carico di tutto l’organismo.

Prima dei Giochi di Salt Lake City, in tutti iPaesi guida dello sport mondiale, è statadedicata grande attenzione ai problemidell’altitudine, mettendo a punto i relativiprogrammi di ricerca e di assistenza scien-tifica. Per cui sono notevolmente aumentate leconoscenze sull’allenamento in altitudinee sulla sua collocazione nella preparazioneimmediata alla gara.

I progressi delle tecnologie e dell’organizzazione della prestazione di gara

Attualmente, è impossibile pensare ad unosviluppo delle prestazioni di vertice senzaun livello tecnologicamente elevato nell’u-tilizzazione degli attrezzi, degli impianti,delle attrezzature e dell’abbigliamento digara. Se si vogliono sfruttare efficacemen-te questi fattori, per ottenere prestazionisuperiori agli altri, è d’importanza fonda-mentale o essere all’avanguardia dal puntodi vista tecnologico, od essere in grado dicambiare rapidamente ed adattarsi alleevoluzioni che si manifestano a livellointernazionale. Anche il sostegno agli atleti ed alle squa-dre durante le gare, per il quale si ricorread équipe numerose di specialisti che col-laborano tra loro, ricorrendo ai più moder-ni sistemi di oggettivazione ed ai piùmoderni metodi di preparazione, è diven-tato un elemento standard.Le novità possono essere classificate innovità che riguardano i materiali di gara,la tecnica sportiva ed i regolamenti o leforme di gara. Oltre alle novità nei mate-riali nello sci di fondo, nel biathlon e nellacombinata nordica, deve essere citato ilpattinaggio di velocità con lo sviluppo el’evoluzione dei pattini con lame mobili.Per quanto riguarda le gare, deve esserecitata la notevole evoluzione dei contenutidelle gare che vi è stata nello sci di fondo,

mentre non è stata ancora realizzata unariforma dei sistemi di gara nel pattinaggiosu ghiaccio di velocità.

La professionalizzazione del sistema di preparazione

Gli atleti e le atlete che ottengono presta-zioni di livello mondiale, o si preparano araggiungerle, rappresentano una tipologiadi partecipanti alle gare che presenta esi-genze elevate, che fanno valere sia in alle-namento sia in competizione. Sono profes-sionisti in senso lato che, in questo modo,si garantiscono tutte le condizioni neces-sarie per allenarsi efficacemente, compresecondizioni esterne di allenamento stabiliper tutto l’anno. Tutto ciò garantisce un allenamento quali-tativamente elevato ed una organizzazionedelle gare orientata sul risultato. Essi sibattono per un allenamento di livello ele-vato e per i migliori risultati possibili nellegare.

L’influenza della commercializzazione

L’evoluzione dei risultati a livello interna-zionale, soprattutto negli sport più inte-ressanti per i mass media, è sempre piùcostantemente influenzata e portata anuove dimensioni, da una commercializza-zione ed una professionalizzazione cre-scenti. Le grandi possibilità di guadagno edi promozione sociale, legate alle vittorie,alle medaglie, ai record ed alle grandi pre-stazioni, rappresentano uno stimolo moltopotente a raggiungere grandi risultati,soprattutto per gli atleti e le atlete deiPaesi dell’Europa orientale.Ma così aumentano anche l’agonismo e ladisponibilità a rischiare, a superare i limitiattuali del carico, sia in allenamento sia ingara. Questa disponibilità a rischiareriguarda anche il settore degli arbitri edelle giurie.

La lotta al doping

L’incremento, talvolta enorme, dei risultatiottenuti dagli atleti e dalle atlete si realiz-za sullo sfondo di un’utilizzazione deldoping e di controlli anti-doping che pre-sentano un’efficacia molto diversa.Soprattutto per quanto riguarda i metodidi controllo che vengono applicati per sta-bilire l’uso di EPO negli sport di resistenza.Perciò, la quantità e la qualità delle misureche vengono messe in atto per combattere

Solo atleti ed atlete che si allenano evivono come professionisti sono anche ingrado di realizzare nuovi criteri nel caricoe nella strutturazione dell’allenamento.

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il doping, che riguardano il numero degliatleti coinvolti nei controlli, la quantità edil momento dei controlli durante l’anno,soprattutto i controlli a sorpresa, diventa-no un fattore importante per garantirepari opportunità agli atleti ed alle atleteche partecipano alle gare olimpiche. Nei Giochi olimpici di Salt Lake City sonostati ottenuti alcuni primi successi. Primadi tutto, una diminuzione della certezza dinon essere trovati positivi, come è statoprovato da alcune rinunce spontanee apartecipare alle gare e, soprattutto, lasqualifica di una serie di atlete e di atleti,che hanno permesso che, specie nello scidi fondo, si ottenesse un quadro più credi-bile dei valori esistenti. Comunque, perquanto riguarda la parità di opportunità,anche in futuro questa sarà impossibile, inquanto sul mercato appaiono continua-mente nuove sostanze dopanti.

L’assistenza scientifica all’allenamento

Se si analizzano i sistemi di preparazionedelle Nazioni che hanno ottenuto i mag-giori successi si può affermare che, rispet-to al 1998, vi è stato un incremento siadella ricerca scientifica sull’allenamento,sia dell’assistenza scientifica ad esso. Perquesti scopi, nella maggior parte dei Paesi,sono stati istituiti, ulteriormente sviluppatied utilizzati, Istituti centrali di ricerca e sitende a creare sinergie tra più sport ogruppi di sport. Queste sono le direzioni principali verso lequali lavorano questi Istituti;- prestazioni di carattere scientifico al ser-

vizio del miglioramento dei risultatisportivi di alto livello;

- attività di insegnamento e formazione,attraverso la trasmissione di conoscenzescientifiche a responsabili federali, alle-natori, atleti;

- un proprio lavoro di ricerca scientifica.Il modello di una ricerca specifica, finaliz-zata e concentrata sullo sport di alto livel-lo, dell’Australian Institute of sport (AIS)viene considerato un esempio anche daaltri Paesi. Malgrado il sostegno scientificoe tecnologico, fornito nei campi più diver-si, nelle Nazioni ai vertici negli sport inver-nali, viene continuamente sottolineato cheil presupposto decisivo di ogni successoresta una allenamento regolare e di valorequalitativamente elevato, come affermatopiù volte da Angela Smith, un’alta dirigen-te dello sport statunitense, secondo laquale: “alla base di ogni miglioramentodelle prestazioni ci sono un coaching edun allenamento di qualità elevata”. Dalcanto suo, il norvegese Saetersdal, respon-sabile per la scienza dell’allenamentodell’Olympiatoppen, l’organo centrale dicontrollo per la promozione dello sport di

alto livello della Norvegia, afferma che:“ciò che decide se sei o no un grande scia-tore di fondo non è una camera ipobari-ca...ma quanto ti alleni e se ti alleni bene...”ed aggiunge: “nel nostro Paese esiste latendenza, a smettere di considerareimportante ciò che invece resta più impor-tante. Si dimentica che alla base di ognisuccesso sportivo troviamo un solido alle-namento.”Nella loro preparazione ai Giochi di SaltLake, gli Stati Uniti hanno realizzato unaserie di misure al cui centro erano:- lo scambio di informazioni tra gli allena-

tori sulle condizioni particolari dellalocalità nella quale si svolgevano i Gio-chi, comprese le possibilità di sfrutta-mento del vantaggio di gareggiare incasa;

- misure per l’impostazione dell’allena-mento in altitudine;

- misure per l’organizzazione della presta-zione di gara.

Anche in Giappone sono stati compiutisforzi in questa direzione. Così nel 2001sono stati definiti i compiti dell’Istitutogiapponese di scienza dello sport, dal qualeci si aspetta un contributo efficace all’au-mento delle prestazioni dello sport giap-ponese, che, già a medio termine, sidovrebbe esprimere, in un numero mag-giore di medaglie e piazzamenti di eccel-lenza.Nella prospettiva dei Giochi olimpici inver-nali di Torino del 2006, gli Stati Unitihanno già formulato il loro obiettivo:superare tutti gli altri Paesi nel numero dimedaglie. Tutti questi esempi dimostrano che ognitentativo di cercare di restare tra le primeNazioni al mondo e di mantenersi all’avan-guardia nell’assistenza scientifica, sia allosport giovanile sia allo sport di alto livello,deve affrontare una grande concorrenzainternazionale ed è difficile conservarequalsiasi posizione di vertice raggiunta.

3. Tendenze di sviluppo nazionale e cause principali dei progressi nelle prestazioni

Se si esamina dettagliatamente lo sviluppodelle prestazioni e l’allenamento di degliatleti di quegli sport che hanno miglioratoi loro risultati si possono individuare que-ste cause:

1. atleti ed allenatori hanno seguito criteridi allenamento e di prestazione diretti araggiungere i vertici mondiali;2. sono stati realizzati e perfezionati pianidi allenamento molto efficaci, nei qualil’utilizzazione di carichi elevati è stataaccompagnata da adeguate misure di rige-nerazione;

3. il processo di allenamento è stato realiz-zato da allenatori che lavorano da moltianni e con lunga esperienza nel campodello sport di alto livello;4. si è riusciti ad inserire, con continuità,nuove forze nel settore dell’alto livello;5. vi è stata la capacità di individuare,immediatamente, quali sono le tendenze disviluppo a livello internazionale e di inte-grarle nelle strutture dell’allenamento;6. si è riusciti a sintonizzare periodizzazio-ne, applicazione dei principi dell’allena-mento e sistema di gara;7. sono stati applicati piani di allenamentonei quali si è riusciti ad integrare allena-mento svolto nella normale località di resi-denza e d’allenamento degli atleti e radunidi allenamento. Inoltre, si è riusciti a stabi-lire una collaborazione fruttuosa tra alle-natore personale dell’atleta ed allenatorifederali; 8. è stato realizzato un adeguato controllodell’allenamento, sulla base di un sistemadi collaborazione allenatore-consulenti;9. è stato creato un sistema nazionale digare, volutamente diretto a preparare lagara principale dell’anno e sempre sinto-nizzato con le gare che interessano indivi-dualmente l’atleta;10. uno stile di vita da atleta che vuoleottenere risultati di alto livello.Se invece si analizza dettagliatamentel’andamento delle prestazioni di quegliatleti e di quelle atlete che non sono riu-sciti a superare momenti di ristagno, o dipeggioramento delle loro prestazioni, sipossono mettere in evidenza fenomeni diuna graduale diminuzioni dei criteri diallenamento e di gara; strutture di allena-mento scarsamente orientate a raggiunge-re grandi risultati; mancato rispetto dialcuni principi dell’allenamento ed unaorganizzazione scarsamente professionaledell’allenamento e dell’ambiente in cuiveniva realizzato.Dall’elenco delle cause che hanno permes-so che fosse raggiunta una elevata capa-cità di prestazione negli sport invernali,vanno enucleati tre aspetti principali chediscuteremo, rapportandoli con i dati dianalisi specifiche dei risultati, consideran-doli come riserve di prestazione.

Aumento dell’efficacia dell’allenamento

Attraverso alcuni esempi, illustreremocome lo sviluppo positivo delle capacità diprestazione e dei risultati, sia stato prodot-to da un incremento pluriennale del cariconel settori principali dell’allenamento. Negli ultimi quarant’anni, un tema costan-te nelle discussioni sulla metodologia del-l’allenamento degli sport di resistenza, èstato rappresentato dall’impostazione delvolume e dell’intensità del carico, soprat-

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tutto se si assume che ormai siano statiraggiunti i limiti (ipotetici) del volume delcarico (anche se va tenuto conto che ilimiti vanno sempre riferiti, individualmen-te, al singolo atleta od alla singola atleta).Però, si deve anche affermare che lamoderna metodologia dell’allenamentonon conosce volume ed intensità del cari-co a sé stanti: infatti, queste importanticomponenti del carico sono sempre stret-tamente collegate con contenuti e settoriconcreti di allenamento, con le loro pro-porzioni e con i relativi programmi di alle-namento. Che, a loro volta, si riferiscono sempre aduna determinata disciplina di gara (ad unadeterminata gamma di competizioni) e adun atleta ben definito. Ciò vuole dire che, tenuto conto dellepotenzialità individuali di sviluppo e degliobiettivi di risultato che si vogliono rag-giungere, è sempre la struttura della pre-stazione di ciascuno sport che determinaquale sia il profilo delle capacità che pro-ducono la prestazione stessa e, di conse-guenza, la direzione che debbono prenderegli obiettivi dell’allenamento.

L’esempio del biathlon

La pianificazione e l’analisi moderne del-l’allenamento sono inconcepibili senza unchiaro riferimento alle capacità (settori diallenamento). Nelle figure 7 ed 8, attraverso l’esempiodel confronto pluriennale dei carichi di

allenamento di un atleta di alto livello delbiathlon, vengono illustrati quali sianostati gli sviluppi nel volume e nei settori diallenamento, nei quali si possono rilevare,molto concretamente, quali sono i rapportitra volume ed intensità del carico. Questi dati sull’analisi dell’allenamentorappresentano presupposti importanti perla presa di decisioni sull’ulteriore incre-mento degli stimoli/carichi di allenamentoe lo sfruttamento delle riserve di presta-zione.

L’esempio dello sci di fondo

Le analisi delle competizioni dello sci difondo dimostrano, chiaramente, che iprincipali fattori che provocano incrementinelle prestazioni sono rappresentati danotevoli aumenti del livello della resistenzaaerobica ed anaerobica, che sono alla basedi una maggiore severità dei ritmi in gara.Le ricerche svolte nello sci di fondo (sugliatleti e le atlete tedesche, ndt) dimostranoche molti sciatori e sciatrici di fondo, negliultimi anni, hanno svolto dall’80 al 90%del loro allenamento di “corsa” nella zonadella resistenza di base e nella zona delcarico di compensazione, con scarse varia-zioni del livello di velocità. Inoltre, si parti-va dall’ipotesi che con un volume di alle-namento del 20-30% inferiore, ma con unmiglioramento della qualità dell’allena-mento stesso, si potesse ottenere, comun-que, un buon incremento delle prestazionidi livello mondiale. Per cui, spesso, è statarealizzata una diminuzione del volumed’allenamento, però senza che la maggio-ranza degli atleti riuscisse a realizzare l’au-spicato aumento della qualità. Nell’anno pre-olimpico e nell’anno olimpi-co sia gli sciatori che le sciatrici di fondotedeschi sono riusciti ad aumentare, piùche nel passato, la velocità di sciata nel-l’allenamento della Rb1 (allenamento dellacapacità aerobica) e la percentuale di alle-

Figura 7 – Sviluppo del volume di allenamento di un biatleta di altissimo livello

Figura 8 – Distribuzione dell’intensità di allenamento di un biatleta di altissimo livello nellacostruzione pluriennale della prestazione

Figura 9 – Sviluppo della resistenza alla forza degli arti superiori di una campionessa olimpicanello sci di fondo nel ciclo olimpico dal 1998 al 2002

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principale della costruzione a lungo termi-ne della prestazione sia rappresentato dallanecessità di fare fronte al continuoaumento delle differenze tra i risultatid’entrata, all’inizio dell’allenamento e lesuccessive prestazioni finali nel settoredell’alto livello.

L’esempio dello sci di fondo

Nello sci di fondo, sia nei Giochi olimpici,sia nei Campionati mondiali, la velocitàmedia di gara degli atleti di vertice èaumentata continuamente. Se si tiene conto di questa tendenza, unosciatore di fondo di alto livello, se vuoleriuscire a restare ai vertici mondiali, deveaumentare la sua velocità di gara da 0,03 a0,04 m/s ogni anno. Per la costruzione alungo termine delle prestazione questaprogressione significa che, nello stessotempo e a parità di livello di entrata all’ini-zio dell’allenamento, deve essere sviluppa-ta una prestazione specifica più elevata.Nella figura 10 viene mostrato il trend

namento della Rb2 (allenamento dellapotenza aerobica - settore nel quale visono ancora riserve) ed a tenere in mag-gior conto il fattore “opposizione al movi-mento” in tutto l’allenamento. Ciò ha por-tato anche all’aumento della capacità diresistenza alla forza degli arti superiori(figura 9).Un’azione positiva è stata svolta anchedalla realizzazione di maggiori velocità daraggiungere in allenamento, cominciatagrazie all’introduzione della nuova discipli-na dello sprint. Tutto ciò sottolinea lanecessità che, anche in futuro, si interven-ga sull’aumento dell’efficacia dell’allena-mento della resistenza di base e della resi-stenza alla forza.

L’esempio del salto con gli sci

Le analisi svolte nel salto con gli sci, nellastagione 1999/2000 in un saltatore dilivello assoluto di vertice, misero in evi-denza che, malgrado i suoi risultati divalore mondiale, esistevano ancora riservedi prestazione nella sua posizione di volo.Dopo un regresso dei risultati nel 2001,nella stagione olimpica 2001/2002 fu ini-ziata una correzione della tecnica, cheaveva come obbiettivo aumentare la posi-zione in avanti del corpo e l’angolo d’inci-denza degli sci.A seguito di ricerche compiute sui salti edin una galleria del vento, si rilevò che lamobilità dell’articolazione del piede venivalimitata da una calzatura non elastica. Ilpassaggio ad una calzatura più elasticapermise di ottenere, di nuovo, un movi-mento attivo degli sci, che permetteva diavvicinarsi di più alla tecnica di salto indi-vidualmente più razionale. Il risultato fuun aumento della lunghezza dei salti. Il rapporto complesso tra riduzione del-l’angolo differenziale tra parte inferiore delcorpo e angolo d’incidenza degli sci, comeanche di quello esistente tra alcuni altrielementi della tecnica ed adattamento deimateriali, ha portato alla progettazione edalla realizzazione di un’attrezzatura che, incondizioni di laboratorio, permette all’atle-ta di provare sia gli elementi tecnici che imateriali, come anche di analizzare edallenare la flessione dell’articolazione delpiede.Questi tre esempi dimostrano come sianecessario valutare individualmente l’an-damento pluriennale dello sviluppo di unatleta, fondendo tra loro gli strumenti del-l’analisi della gara, della valutazione fun-zionale complessa e dell’analisi dell’allena-mento. In tutti gli sport, questo modo diprocedere permette di lavorare con conce-zioni d’allenamento di base e di ricavarequali sono le migliori soluzioni o le variantiindividuali più efficaci.

La riuscita nel passaggio dall’allenamento di transizione all’alto livello a quello di alto livello

In tutti i Paesi, un problema chiave è rap-presentato da quello di riuscire a formareatleti che si trovano nella fase di passaggioai risultati di alto livello - cioè atleti junio-res - che raggiungano prestazioni che per-mettono loro di emergere sia a livellonazionale che internazionale. Qui, il criteriofondamentale di misura è rappresentatodal livello di vertice mondiale juniores e dairisultati nel Campionati mondiali juniores.Le nostre ricerche dimostrano, chiaramen-te, la tesi secondo la quale chi vuole riusci-re ad affermarsi tra i migliori al mondo inuno sport, si deve porre obiettivi adeguatida junior. Infatti vi sono rapporti stretti tra risultati alivello juniores, risultati nei primi anniseniores e prestazioni di vertice nel settoredell’alto livello. Nella maggior parte deglisport, il ritmo di sviluppo delle prestazionia livello mondiale, fa sì che il problema

Figura 10 – Sviluppo attuale e previsto a lungo termine della prestazione nello sci di fondo

Figura 11 – Sviluppo delle prestazioni di una vincitrice olimpica nello sci di fondo

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delle prestazioni delle atlete seniores ejuniores nello sci di fondo. Con una diffe-renza del 7%, le due curve hanno unandamento parallelo.L’esempio di una atleta vincitrice dei Gio-chi olimpici nello sci di fondo, mette inevidenza che, in uno periodo di cinqueanni, è possibile emergere a livello mon-diale (figura 11). Però, ciò presuppone chevengano applicati stimoli di carico efficaci,che negli sport di resistenza sono caratte-rizzati anche da un elevato volume globaledi allenamento.Però, la realtà di molti atleti e di molteatlete è che la maggior parte di loro, finoall’ultimo anno da junior (20 anni), conti-nua a non raggiungere le richieste fissatenei piani generali di allenamento. Succes-sivamente i deficit diventano sempre mag-giori.

Queste le cause che possono impedire losviluppo delle prestazioni:

1. nella costruzione a lungo termine dellaprestazione troviamo una insufficientepreparazione ai carichi massimi del settoredi altissimo livello. Ciò vuole dire che silasciano sfuggire i periodi ottimali per losviluppo dei presupposti specifici dellaprestazione. E si può stabilire che vi èanche una crescente predisposizione agliinfortuni.2. Insieme ad una parziale mancanza ditalento, l’elemento essenziale è una caren-za di stimoli allenanti efficaci, negli annisuccessivi di allenamento.

L’esempio del pattinaggio di figura

Se si analizza ciò che avviene nel pattinag-gio di figura a livello mondiale, è evidentel’enorme ritmo di sviluppo delle richiestedi difficoltà che vi è stato negli ultimi dueanni. Un trend di sviluppo che, ad esempio,non sono riusciti a seguire i pattinatori difigura tedeschi. Il migliore di essi, che nel1999 a 19 anni d’età era stato Campionemondiale juniores e che ha ottenuto il 12°posto tra i seniores, nel 2000 non è riusci-to a continuare nello sviluppo delle sueprestazioni, a causa di un trauma riportatoper una caduta in gara. Per cui, ha dovutoritardare di un anno l’apprendimento delsalto quadruplo e vi è riuscito solo durantela preparazione olimpica, quando non erapiù possibile raggiungere la necessariastabilità nella sua esecuzione. Un altroerrore è stato che, nel processo di allena-mento, è stata data la preferenza a cercaredi rimuovere i punti deboli (l’impressioneartistica), piuttosto che alla costruzionedei punti forti (ovvero apprendimento dialtri salti quadrupli). È interessante notareche le analisi dimostrano come, a livello

internazionale, i giudici, specie per quantoriguarda coloro che non sono ai verticimondiali, ma sono vicini ad essi - dal 4°all’8° posto - tendono a valutare di più ledifficoltà, che l’impostazione dell’esercizioe l’impressione artistica: esattamente ilcontrario di ciò che avviene a livello nazio-nale.Le cause per le quali, nei vari sport, moltiatleti juniores e molti atleti che si trovanoalle soglie dei vertici internazionali nonriescono a raggiungere il livello, che purepotrebbero raggiungere, vanno attribuiteall’esistenza di una tendenza a diminuire iltempo di allenamento, specialmente quellodedicato all’allenamento specifico. Ilpostulato che si sta affermando in alcuneNazioni, per cui l’aumento della qualitàsarebbe il parametro decisivo nello sportgiovanile, trascura proprio il fatto che laqualità dei contenuti formativi dell’allena-mento giovanile, come ad esempio l’au-mento della precisione e della stabilità deiprocessi tecnici di movimento, l’aumentodelle difficoltà, l’aumento del repertoriotecnico-tattico e soprattutto l’incrementodei presupposti organico-muscolari dellaprestazione, e garantire la capacità di cari-co ecc., richiedono molto tempo. Aumentodella qualità non sempre può volere dirediminuire il tempo di allenamento, ma ladiminuzione del tempo di allenamentovuol dire sempre minore qualità.

Per riassumere, si può affermare che nonpuò esistere una via alla costruzione alungo termine della prestazione che sipossa basare sulle diminuzione del tempodedicato all’allenamento, in nome dellaqualità. Come dimostrano gli esempi dellesciatrici di fondo e delle pattinatrici divelocità tedesche, la preparazione a futureprestazioni di livello mondiale si basa suun aumento pluriennale del carico contempi efficaci di rigenerazione: realizzarequesto obiettivo richiede tempo. Ognistrategia per rendere più efficace l’allena-mento, finora ha portato in un vicolocieco, in quanto ha cercato di ridurre iperiodi di tempo necessari alla formazionedei presupposti della prestazione degliatleti.

Il controllo dell’allenamento basato su un sistema allenatore-consulenti

Il problema chiave delle prospettive di svi-luppo delle prestazioni internazionali di unPaese, è rappresentato dalla possibilità diesprimere completamente le potenzialitàindividuali di sviluppo, o di diminuire ideficit di prestazione, anche ed in partico-lare degli atleti di vertice. Per questo, inGermania, è stato sviluppato un sistemaallenatore-consulenti. Nella sua imposta-zione sono stati ottenuti notevoli successiche hanno permesso un controllo efficien-te dell’allenamento in una serie di sport.Grazie alla collaborazione tra lo IAT, alcuneFederazioni sportive nazionali ed i loroCentri di preparazione olimpica, è statocosì possibile incrementare l’efficacia delcontrollo dell’allenamento, soprattutto nelbiathlon, nel pattinaggio di velocità ed inparte nello sci di fondo. Malgrado questi esempi positivi, vi sonoancora alcune riserve da sfruttare nell’uti-lizzazione e nell’ulteriore sviluppo del siste-ma allenatore-consulenti. Così, ad esempio,nel controllo dell’allenamento l’accentoviene ancora posto, troppo unilateralmen-te, sulla realizzazione ed il perfezionamen-to dei metodi di analisi della gara. In que-sto modo, però si riesce, solo limitatamen-te, ad analizzare, unendo valutazione fun-zionale ed analisi dell’allenamento, le causedei deficit nei presupposti della prestazionee si impedisce che si ottengano indicazionioggettive motivate per le successive deci-sioni sull’allenamento.

Queste le direzioni che dovrebbero prende-re gli ulteriori sviluppi del controllo dell’al-lenamento, intesi come perfezionamentodel sistema allenatore-consulenti perincrementare l’efficienza delle prese didecisione sull’allenamento e come presup-posto per la soluzione delle problematichedi ricerca esistenti:

1. in ogni sport, perfezionamento e stan-dardizzazione delle componenti delsistema allenatore-consulenti (analisidell’allenamento, analisi delle gare evalutazione funzionale);

2. garantire un riproducibilità pluriennaledella valutazione funzionale e dell’anali-si dell’allenamento;

3. costruzione e direzione di banche daticentrali di facile accesso;

4. collegamento in rete dei partner: allena-tore - atleti - IAT - Centri di preparazio-ne olimpica e creazione della possibilitàdi un continuo scambi di dati;

5. formazione di capacità personali diassumere decisioni sull’allenamento,attraverso riunioni regolari dei respon-sabili della direzione dell’allenamento.

Chi vuole ottenere prestazioni di verti-ce mondiale deve garantire le condi-zioni necessarie, soprattutto i periodi ditempo necessari, per raggiungere unlivello adeguatamente elevato di alle-namento da junior e nei primi anni dasenior. Per ottenere ciò ci si deve orien-tare a determinare condizioni profes-sionali o semi-professionali di allena-mento.

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Traduzione ed adattamento di Mario Gulinelli.Titolo originale: Internationale und nationaleEntwicklungstendenzen auf Grundlage derErgebnisse der Olympischen Winterspiele in SaltLake City mit Folgerungen für den Olympiaziklus2002/2006

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4. Orientamenti strategici per il ciclo olimpico fino al 2006

Il sistema di allenamento

Anche nel prossimo ciclo olimpico (fino al2006), è previsto che, a livello mondiale, visarà un ulteriore incremento delle presta-zioni in tutti gli sport. Ciò è strettamentelegato con l’efficacia dell’allenamento, cioècon un allenamento d’avanguardia a livellomondiale. Le analisi a livello nazionale edinternazionale che la IAT ha realizzato damolti anni, confermano le valutazioni,fatte più volte, che, per ottenere non solorisultati di classe mondiale, ma addiritturarisultati di valore medio internazionale,anche nei prossimi anni del ciclo olimpico,saranno particolarmente decisivi questifattori:- la personalità degli atleti e delle atlete, il

loro atteggiamento verso criteri di alle-namento e di prestazione elevati, insie-me ad un regime di vita di tipo profes-sionale ed una adeguata organizzazionedell’allenamento e delle gare;

- la finalizzazione ed il riferimento dell’al-lenamento alla struttura della prestazio-ne, interpretati, soprattutto, come orien-tamento di tutto l’allenamento sullerichieste poste dalla prestazione di gara,con le conseguenze che ne derivano incampo organico-muscolare, tecnico etattico, comprese le condizioni concretedelle gare più importanti della stagione;

- il livello e lo sviluppo del carico, i tassi diincremento degli stimoli di allenamentodurante ciascun anno e nel corso dei varianni e l’efficacia delle misure di rigene-razione nei micro e mesocicli;

- lo stato raggiunto nel livello delle capa-cità di base e specifiche, prima dell’iniziodella tappa dello sviluppo speciale dellecapacità specifiche di gara e dellacostruzione della prestazione, comeanche la stabilizzazione del livello dellecapacità fondamentali nelle fasi di alle-namento tra le gare;

- l’ampiezza e l’intensità con la quale ven-gono utilizzate misure di sostegno all’al-lenamento ed alla prestazione quali:1.catene di periodi di allenamento in

altitudine, con oltre 100 giorni di per-manenza in altitudine all’anno;

2.allenamento in condizioni specificheed utilizzazione dei raduni di allena-mento;

3.programmi dietetici che vengano sem-pre più ricavati dai contenuti concretidel carico;

4.la presenza e l’effetto stimolante dicompagni d’allenamento più forti;

5.l’utilizzazione finalizzata delle possibi-lità di direzione e controllo scientificidell’allenamento;

6 la disponibilità di tempo, il grado diprofessionalità, sul quale si basanotutto l’allenamento ed il regime di vitadell’atleta.

La ricerca sul processo di allenamento

Per quanto riguarda la IAT, anche nel cicloolimpico fino al 2006, al centro del suolavoro vi sarà l’ulteriore sviluppo dellaricerca, sia specifica sia interdisciplinare,che accompagna il processo di allenamen-to e di gara.

Questi sono i punti fondamentali che nedetermineranno i progetti di ricerca scien-tifica:

- valutazione dell’allenamento realizzatonei micro-, meso- e macrocicli rispettoalle richieste contenute nei programmiquadro di allenamento delle rispettiveFederazioni, effettuata su alcuni atleti edalcune atlete del settore di massimolivello e del settore di coloro che si tro-vano nella fase di passaggio al massimolivello. Questa valutazione verrà realizza-ta servendosi della valutazione funzio-nale globale specifica, dell’analisi dell’al-lenamento e delle gare e della consulen-za all’allenamento, anche elaborandoesempi di soluzioni individuali;

- analisi costante dello stato a livellointernazionale, dirette ad individuarequali siano le tendenze di sviluppo, aprecisare quali siano le strutture ed imodelli di prestazione;

- ulteriore sviluppo di modelli individualirazionali della tecnica sportiva, che sibasino sia sul permanente cambiamentodelle strutture della prestazione, sia sullatrasformazione in metodologie di allena-mento delle richieste poste al singoloatleta dai modelli di tecnica individuale;

- creazione di un vantaggio, rispetto allealtre Nazioni, sia dal punto di vista dellascienza dell’allenamento che da quellotecnologico in alcuni sport/gruppi disport, grazie ad una elaborazione inter-disciplinare di problematiche di caratteregenerale.

Gli autori: PD. Dott. Arndt Pfützner, Direttore dell’Istituto discienze applicate allo sport, Lipsia;Prof. Dott. Manfred Reiss, Direttore del gruppospecifico sport di resistenza; PD. Dott. Klaus Rost, Direttore del gruppo speci-fico sport giovanile.

Indirizzo degli autori: Dott. Arndt Pfützner, c/oInstitut Angewandte Trainingswissenschaft,Marschnerstr. 29, 04109, Lipsia

E-Mail: [email protected]

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Il contributo della scienzaall’allenamentosportivo

Vèronique Billat, Università di Lilla 2, Facoltà discienze dello sport, “Studio della motricità umana”

Viene analizzata l’evoluzione delcontributo delle scienze della vita e dellasalute in generale, e della fisiologia inparticolare, allo sviluppo dei risultati edei metodi di allenamento delle corse difondo (dai 10 000 alla maratona).Infatti, i fattori limitanti di queste provesono principalmente d’ordine fisiologico,e, soprattutto, bioenergetico. Se siesamina la progressione (regolare) dellemigliori prestazioni mondiali nella maratona, dalla fine del XIX secolo adoggi, è impossibile individuare unprogresso straordinario, attribuibile aquesta od a quella scoperta scientifica.Attualmente è possibile distinguere zonedi velocità, corrispondenti a rispostefisiologiche particolari, che permettonodi migliorare su distanze di corsa diverse.Si distinguono tre velocità chedelimitano quattro zone d’intensità: 1°la velocità massimale nello stato stabiledi lattacidemia, il cui tempo limite èun’ora; 2° la velocità critica (asindetodella relazione tempo limite a V

.O2max e

distanza limite a V.O2max) il cui tempo

limite è di 30 min e 3° la velocitàminima che sollecita il V

.O2max

(vV.O2max o velocità massimale

aerobica) determinata durante un testtriangolare, come il test di Léger. Per gliatleti di alto livello queste velocitàcorrispondono alle velocità specifichedella mezza maratona, dei 10 000 e dei3 000 m. I programmi di allenamentonon sono molto diversi secondo leepoche e le scuole, ma è attualmentepossibile analizzare le cause di una riuscita o di un insuccesso, se il volumedi allenamento realizzato a questevelocità viene collegato con lemodificazioni fisiologiche.

L’esempio della corsa di fondo (seconda parte)

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4. L’evoluzione delle conoscenzesui fattori fisiologici della prestazione e dei metodi d’allenamento nelle corse difondo durante il secolo passato

Schematicamente, si possono distinguerealcuni grandi periodi, che sono l’inizio delsecolo, gli anni ‘20-’30, gli anni ‘50, glianni ‘60-’70, e gli anni ‘80-’90.

Gli anni “art nouveau” (1900) o lo sviluppo dell’allenamento frazionato ela misurazione del consumo d’ossigenosu nastro trasportatore (per la marcia)

Il consumo d’ossigeno (V.O2) durante l’eser-

cizio fisico è stato misurato, perfettamen-te, fin dal 1910 servendosi di prove di mar-cia su nastro trasportatore. Però, non esi-steva un’utilizzazione del V

.O2 dal punto di

vista dell’analisi del compito o della valu-tazione dei presupposti della prestazione.A livello empirico, già in questo periodo(1912), il finlandese Hannes Kolehmainen,campione olimpico dei 10.000 m ritenevanecessario che le velocità che utilizzava inallenamento fossero specifiche, cioè similia quelle della gara. Quindi, per evitare direalizzare una gara in ogni giorno di alle-namento, che già allora era quotidiano,introdusse l’allenamento frazionato checonsisteva, precisamente, nel dividere ladistanza di gara in frazioni di 5-10 ripeti-zioni. Queste frazioni venivano corse allavelocità di gara, il che voleva dire, adesempio per i 10.000 m, 10 ripetizioni di1.000 m corsi a ritmo di gara dei 10.000(cioè 3min05 sui 1.000 m) che, per questoatleta, equivalevano ad una velocità di 19km · h-1 (attualmente l’atleta detentore delrecord del mondo corre a 22,7 km · h-1).

Gli anni dell’ “art deco”: il premioNobel A. V. Hill inventa il concetto di “massimo consumo d’ossigeno”

Nel 1927, A. V. Hill, nella sua opera Muscu-lar movement in man, elabora il concettodi massimo consumo d’ossigeno (V

.O2max).

Hill, che a 35 anni d’età praticava ancorala corsa, notò, su se stesso, che il valoredel consumo d’ossigeno non raggiungevapiù un vero e proprio steady state, duranteun esercizio della durata di 4 min corsi a16 km · h-1. Hill pensava che questa velo-cità fosse il limite al di là del quale il con-sumo d’ossigeno raggiungeva il suo valoremassimo. Secondo lui questa velocità (chesessanta anni più tardi venne definitavelocità massima aerobica) rappresentavauna “velocità limite ragionevole” al di làdella quale (cito il suo elenco):– con il tempo si produce un deficit di

ossigeno;

– s’accumula il lattato ematico;- aumentano la frequenza cardiaca e la

temperatura corporea;- si esauriscono le riserve di glicogeno e

crolla la glicemia;- si presentano dolori e rigidità muscolari.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto,Hill non faceva altro che descrivere le suesensazioni di corridore di fondo. Ed arriva-va alla conclusione che tutte queste causeportavano al ritiro del corridore.In questo stesso periodo, nel 1920, il fin-landese Paavo Nurmi (che correva i 5.000m in 14min36s (20,55 km · h-1) introduce-va l’allenamento con intervalli corsi ad unavelocità superiore a quella di gara sudistanze brevi (200-400 m: 6 x 400m in 60s, ad esempio) all’interno di 10-20 km dicorsa lenta nel bosco. Il resto dei chilome-tri veniva corso ad un’andatura moltoblanda. Nurmi aveva già integrato nel suoallenamento i principi dell’alternanza e delrecupero, che oggi sappiamo essere impor-tanti almeno quanto il lavoro intenso.

Gli anni “formica” (anni ‘50) o quelli diZatopek, grande corridore cecoslovacco:il favoloso Emil inventa l’interval training

Alla fine degli anni ‘50, Emil Zatopek, pri-matista mondiale dei 5.000 m ispirandosiai lavori del medico tedesco Reindell creal’allenamento ad intervalli (Riquadro 3). Difatto questo allenamento ad intervalliveniva realizzato alla velocità della sogliaanaerobica, stimata in base ai tempi da luiriferiti nella sua biografia e dei suoi risul-tati sui 5.000 m (la massima velocità aero-bica può essere estrapolata dai 5.000 m). Ilconcetto di soglia anaerobica fu inventatomolto più tardi dal cardiologo statunitenseKarl Wassermann (per la soglia ventilato-ria) e dalla scuola tedesca da Mader, Keul,Kindermann (per la soglia lattacida). Zato-pek realizzava fino a 100x400 m in 1min30(15 km · h-1) con 200 m di corsa trotterel-lata di intervallo. Percorreva fino a 50 kmal giorno dividendo la sua seduta d’inter-val training in una serie di 50 ripetizioni almattino ed un’altra al pomeriggio.

Gli anni “hippies” o l’emergere deglistudi scientifici sull’interval training

Nel 1960, il fisiologo svedese Per OlofÅstrand sviluppa il metodo degli intervallilunghi di 3 min al 90% del V

.O2max, pen-

sando che si trattasse di un metodo affi-dabile per migliorare il V

.O2max, però senza

avere convalidato questa proposta attra-verso una studio sistematico della rispostafisiologica acuta e cronica a questo tipo diallenamento frazionato.

Nello stesso periodo, il corridore ed allena-tore neozelandese Lydiard sviluppa ilmetodo degli intervalli molto brevi: da 10a 15 s di corsa al 100% della vV

.O2max e

10-15 s trotterellati al 30-40% delV.O2max. Questo metodo di allenamento fu

corroborato dal fisiologo svedese Chri-stensen che lavorava su protocolli di eser-cizi intermittenti brevi (da 15 a 30 s) (ed alquale, forse, era arrivato l’eco della praticadi Lydiard), mostrando che questi pochisecondi di carico e di recupero non per-mettevano d’accumulare acido lattico. Ciònon vuol dire che il muscolo non producaacido lattico (lo produce anche a riposo),ma che il tasso della sua comparsa si trovain equilibrio con la sua eliminazione dalsangue e che il REDOX (cioè il rapportoNADH/NAD) potenziale resta stabile. Percui, il pH ematico e muscolare non dimi-nuisce e con esso non diminuisce la velo-cità di corsa.Nel 1964, il fisiologo e cardiologo califor-niano Karl Wasserman introduce il concet-to di soglia anaerobica ventilatoria, cherappresenta quell’intensità di lavoro (ovelocità di corsa o di deambulazione per ipazienti di Wasserman) che provoca unimprovviso aumento della portata ventila-toria. Questo aumento del volume d’ariaventilata al minuto non è dovuto ad unacarenza d’ossigeno, ma alla stimolazionedei recettori (della carotide e dell’aorta)sensibili al pH ematico che diminuisce inquanto, a partire da una certa velocità dicorsa (velocità alla soglia lattacida), nellaquale vengono reclutate le fibre di II tipo(ricche dell’isoenzima lattato deidrogenasi- M), si accelera la glicolisi. Inoltre, il liqui-do cefalo-rachideo è sensibile alla pressio-ne parziale del diossido di carbonio (CO2)che aumenta, insieme agli ioni H+, a causadell’accelerazione della glicolisi e la ridu-zione dell’acido piruvico ad acido lattico(che si dissocia in anione lattato e protoneidrogeno (H+)). La diminuzione del pH delliquido cefalo-rachideo stimola i centrirespiratori nel cervello, aumentando così laportata ventilatoria. Anche i recettori arti-colari sensibili al movimento invianosegnali al cervello. Per cui, soglia anaerobi-ca (soglia ventilatoria) e soglia d’iniziod’accumulo del lattato sono legati allestesse cause: il reclutamento delle fibreglicolitiche, ma non hanno un rapporto dicausalità. Inoltre, il protocollo per determi-nare la soglia ventilatoria si serve di incre-menti di velocità molto scarsi (meno di 0,5km · h-1) e stadi di lavoro brevi (1 min),mentre la velocità di inizio d’accumulo dellattato viene determinata con stadi dilavoro della durata di almeno 5 min. Infatti, per persone che vanno da quellescarsamente allenate a quelle molto alle-nate alla resistenza, la velocità alla soglia

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L’allenamento diretto a migliorare il V.O2max permette di illustrare

la metodologia dell’individualizzazione del carico (intensità-dura-ta-ripetizioni-forma intermittente o continua), tenendo conto deltempo limite continuo a vV

.O2max, per stabilire l’intensità e la dura-

ta dell’allenamento frazionato (interval training). Reindell,Roskamm (1959) sono stati i primi a descrivere i principi dell’inter-val training, già resi popolari negli anni ‘50 dal campione olimpicoEmil Zatopek (che ripeteva fino a 100 volte 400 m in 80 s, cioècirca all’80% della sua velocità a V

.O2max). L’interval training (IT)

consiste in una o più serie di esercizi, d’intensità scarsa o modera-ta, alternati con periodi di recupero (Fox et al. 1993). Grazie a que-sta alternanza è possibile aumentare la quantità di lavoro ad un’in-tensità elevata (Åstrand et al. 1960; Christensen et al. 1960; Fox etal. 1977; Margaria et al. 1969). Margaria et al. (1969) avevanoaddirittura avanzato l’ipotesi secondo la quale era possibile conti-nuare indefinitamente un esercizio alternando ripetizioni di 10 sd’esercizio al 130% della potenza che sollecita il V

.O2max, intercala-

ti a 30 s di riposo. Per i tedeschi Reindell, Roskamm (1959) ciò chedetermina, principalmente, gli adattamenti cardiovascolari è ilperiodo di recupero (l’intervallo) successivo ad ogni ripetizione adintensità elevata. Invece, per l’interval training dello statunitenseFox sarebbe determinante il periodo di esercizio intenso. Per Fox, difatto, l’interval trainig corrisponde agli esercizi intermittenti, cioèagli esercizi che comportano un’alternanza tra fasi d’attività inten-sa e di recupero. È in questo senso che utilizziamo il termine inter-val training. Inoltre, l’espressione allenamento frazionato si riferi-sce ad una seduta di allenamento nella quale la distanza totale

corrisponde all’incirca a quella di gara, ma viene frazionata in piùparti e nella quale la velocità, generalmente, è prossima a quellache si vuole raggiungere in gara. Da Zatopek in poi, i corridori dimezzofondo e di fondo utilizzano questo metodo per aumentare ilvolume d’allenamento corso a velocità specifiche di gara (1.500 m-10.000 m) comprese tra il 90 ed il 110% della velocità che sollecitail loro V

.O2max, cioè vV

.O2max (Daniels, Scardina 1984; Lacour et al.

1991; Padilla et al. 1992; Billat et al. 1996a). L’obiettivo dell’allena-mento intermittente alla vVO2max è quello di aumentare ilV.O2max. Gorostiaga et al. (1991) hanno dimostrato che un allena-

mento intermittente, nel quale si usano ripetizioni di 30 s di corsaal 100% di vV

.O2max, alternati a 30 s di recupero, migliorava in

modo significativo il V.O2max, mentre ciò non avveniva con un alle-

namento di corsa prolungata di 40 min al 70% del V.O2max.

Comunque, l’interval training può prendere forme molto diverse.Infatti, le percentuali relative del metabolismo aerobico ed anero-bico si modificano a seconda dell’intensità e della durata delle fra-zioni, corse a velocità bassa od elevata (Christensen et al. 1960).Per questa ragione, quando si progetta e si pianifica un allena-mento intermittente, occorre che vengano prese in cosiderazionela durata e l’intensità dell’intervallo di recupero e di lavoro, comeanche il numero delle ripetizioni e delle serie (Fox, Mathews 1974;Knuttegen et al. 1973). Saltin (1976) prende in considerazioneanche i parametri della periodicità, che è il rapporto tra il tempo diesercizio intenso e quello di recupero e dell’ampiezza, che descrivela differenza tra la potenza richiesta dall’esercizio intenso e quelladel recupero, rispetto alla potenza media dell’interval training.

Riquadro 3 – l’interval training

Si tratta di un test che determina la velocità massima aerobicadefinita come la velocità minima teorica che sollecita il massimoconsumo d’ossigeno. Di fatto, in questo test si utilizza lo stessotipo di protocollo dei test ad intensità crescente usati per la valu-tazione diretta del V

.O2max usati in laboratorio. In esso, i corridori

debbono correre secondo una velocità indicata da un colpo difischietto, da un segnale acustico o da un nastro pre-registrato. Adogni suono il corridore si deve trovare a livello di uno dei segni diriferimento situati ogni 50 m lungo una pista di 400 m. La velocitàdi corsa viene accellerata progressivamente per ciascun livello dicorsa continua della durata di 2 min. Ogni accelerazione corrisponde ad un aumento del costo energeti-co di 3,5 ml · kg · min-1 (ovvero di un MET, unità metabolica). Inquesto modo, ogni livello corrisponde ad un determinato costoenergetico. Il V

.O2max viene stimato a partire dal costo energetico

(standard) dell’ultimo livello percorso. La prova viene interrottaquando il corridore si “sgancia”, cioè quando non è più in grado diseguire il ritmo assegnato. La velocità raggiunta a quel livello cor-risponde ad un massimo consumo d’ossigeno. La critica principaleche si può avanzare è che l’ultimo livello di velocità, spesso, vienerealizzato quando il V

.O2max è già stato raggiunto nel penultimo

livello. Come in tutte le valutazioni nelle quali per il calcolo dellevelocità di allenamento si parte da test di campo a carichi crescen-ti, vi può essere una valutazione in eccesso del V

.O2max e della

VMA. Perciò, è indispensabile verificare questa velocità massimaaerobica durante una prova rettangolare, nella quale (dopo che si èriscaldato per 20-30 min) all’atleta viene chiesto di correre alla

velocità determinata alla fine del test ad intensità crescente. Senon riesce a sostenere per più di 2-3 min questa presunta massimavelocità aerobica, è dimostrato che questa è stata stimata in ecces-so. In questo caso, come riferimento per la velocità di allenamento(espressa in percentuale della VMA) va presa la velocità del penul-timo livello. Una lattacidemia finale superiore a 15 mmol · l-1 puòfar avanzare l’ipotesi che l’atleta abbia realizzato il suo ultimolivello grazie all’apporto della glicolisi anaerobica (con il V

.O2 che ha

raggiunto il massimo od è diminuito). Per quanto riguarda questotest (Léger, Boucher 1980) il V

.O2max che aumenta di 3,5 ml · kg-1 ·

min-1 ad ogni livello è calcolato attraverso l’equazione:

V.O2 = 14,49 + 2,143 V + 0,0324 V2

dove V.O2 viene espresso in mmol · l-1, V in km · h-1 e V

.O2 in km · h-1 .

In studi ulteriori, Léger, Mercier (1983, 1986) calcolarono un nuovaregressione per velocità di corsa comprese tra 8 e 25 km · h-1:

V.O2 = 1,353 + 3,163 V + 0,0122586 V2,

dove V.O2 è espresso in ml · kg-1 · min-1 e V in km · h-1 e V2 in km · h-1.

Essendo più facile da utilizzare ci si può riferire all’equazione sem-plificata:

V.O2 = 3,5 V

dove V.O2 viene espresso in mmol · l-1, V in km · h-1.

Riquadro 4 – I test da campo ad intensità crescente per determinare la VMA: il test di Léger-Boucher (1980)

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anaerobica è compresa tra il 60 ed il 90%del V

.O2max. Questa potenza alla soglia

anaerobica, rilevata attraverso il metodoventilatorio, viene determinata con unprotocollo d’esercizio costituito da stadibrevi (1 min) a potenza crescente (0,5 km ·h-1 d’aumento della velocità ogni minuto).

Gli anni “pop” e “Disco art” (anni ‘70-80): la comparsa del concetto di soglia lattacida e volgarizzazione dei test da sforzo

Gli anni ‘70 sono quelli nei quali si misurail V

.O2max negli atleti. Contemporanea-

mente, compare il concetto di soglia latta-cida, grazie alla scuola tedesca formata dafisiologi, come Mader, che lavorano insie-me agli allenatori (Mader, Heck 1986). Essi

distinguono una prima soglia (la sogliaaerobica) nella quale la concentrazione diacido lattico va oltre il valore a riposo (cheè di 1 mmol · l-1). Questa prima soglia, checorrisponde alla prima zona di velocitàdescritta nel Riquadro 1 (cfr. SdS, n. 53,pagina 37) comporta una concentrazioneematica di acido lattico uguale a 2 mmol ·l-1, viene identificata da Keul come sogliaaerobica (Keul, Kindermann 1978). Essi poidistinguono una seconda soglia (la sogliaanaerobica, corrispondente alla secondazona di velocità descritta nel Riquadro 1).Questa soglia anaerobica corrisponde aduna velocità che provoca una produzionedi lattato di 4 mmol · l-1. Questi valori di

riferimento sono ancora largamente utiliz-zati in Germania, in Italia ed in Portogallo,anche perché numerosi ricercatori aveva-no realizzato tesi presso l’Istituto naziona-le di sport di Colonia. Però questi valorisono convenzionali in quanto, a secondadegli atleti, lo steady state della massimaproduzione di lattato, va da 2,3 a 6,8mmol, anche se è vero che la media si col-loca a 4 mmol (Billat 1996). Però, nellosport, per il controllo dell’allenamento nonci si può accontentare di medie. Attualmente, queste soglie continuano adessere utilizzate anche se, invece dei valoriassoluti di riferimento, si preferisce pren-dere in considerazione la cinetica dellaproduzione di lattato (Brooks 1985, 1986).Dal 1985 compare il concetto di velocitàallo steady state della lattacidemia massi-

ma (maximal lactate steady-state) elabo-rato da Georges Broooks, professore del-l’Università di Barkeley, autore di unanotevole opera che rappresenta un testo diriferimento nel campo della fisiologia del-l’esercizio (Brooks et al. 1986). Questavelocità rappresenta la velocità massimaalla quale la lattacidemia si stabilizza infunzione del tempo, per cui la comparsadel lattato nel sangue è in equilibrio con lasua eliminazione (Brooks 1985). Nel 1980,parallelamente all’approfondimento delconcetto di soglia, compare quello di velo-cità associata al massimo consumo d’ossi-geno (massima velocità aerobica: VMA checorrisponde a vV

.O2max), grazie a Luc Léger

della scuola del Quebec, molto produttivanel settore della fisiologia applicata allosport ed all’esercizio, che convalida unmetodo indiretto su pista di valutazionedel V

.O2max attraverso l’equazione:

V.O2max (ml · min-1 · kg-1) =

= 3,5 VAM (km · h-1)(5)

Questo metodo ha reso possibile l’accessoalla valutazione del V

.O2max a migliaia di

atleti e soprattutto a migliaia di allievidelle scuole (in particolare attraverso iltest a navetta su 20 m) (cfr. SdS, n. 53,pagine 38 e 40). Questa equazione (5) èbasata sugli stessi principi di di Prampero(equazione (2) e (3) in quanto l’equazione(5) può essere scritta:

VMA (m · min . kg-1) == V

.O2max (ml · min-1 · kg-1/

/costo energetico (ml · m-1 · kg-1)(6)

Con un costo energetico lordo medio di210 ml · km-1 · kg-1 si ottiene questa equa-zione:

VMA (m · min · kg-1) = = V

.O2max (ml · min-1 · kg-1/

/0,210 (ml · m-1 · kg-1) (7)

Se si vuole esprimere la velocità in km · h-1

si moltiplica 0,210 per 60 ed allora si ottie-

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Intensità VAM. Tempo Anni 50-60 Anni ‘70 Anni ‘80 Anni ‘80 Anni ‘90 Anni 2000% limite in min Istituto stampa Ambienti Ambienti Ambienti

a questa Nazionale grande federali federali sportivi evelocità dello sport pubblico (Francia) (Francia) scientifici,

(Francia) di massa ed’elite

120-105 1-3 Interval training Resistenza Resistenza Capacità e Massimo Massimodi Gerschler da all’intensità all’intensità potenza debito deficit20 s ad 1min30s da 7 s 1min da 8 s a 2 min lattacida d’ossigeno d’ossigenorecupero = 3 min recupero = recupero = Intervalli (intervalli

= 3-5 min = 3-5 min brevi 15-15)

100-95 4-10 Interval training Resistenza alla Potenza Velocità Velocitàdi Reindell, Gerschler velocità da massimale massimale massimaleda 20 s a 1min30s 10 s a 5 min aerobica aerobica aerobicarecupero = 3 min recupero = V

.O2max/Cr (intervalli

= tempo di intervalli 30-30)lavoro 30-30

95-90 10-40 Interval training Resistenza al Resistenza dura Potenza Potenza Velocità chedi Astrand volume I da da 3 a 6 min aerobica aerobica sollecita il piùrecupero = 3 min 1 a 5 min (intervallo lungo tempoInterval training recupero da 3 min-3 min) la velocitàcorto di Lydiard 1 a 5 min limite al V

.O2max

(intervalli3 min-3 min)

90-85 40-60 Potenza Velocitàaerobica massima senzaIntervalli raggiungerelunghi il V

.O2max

(intervalli5 min-2min30)

85-80 60-75 Interval training Resistenza al Resistenza Massima Velocità Velocitàdi Zatopek = 1min30s volume II dura II capacità massima massima diRecupero = 40 s da 5 a 10 min da 6 a 15 min aerobica senza stabilizzazione

recupero = accumulo V.O2max al

= da 1 a 3 min di lattato limite di 3 minIntervalli (intervallilunghi 10-20 min)

80-75 150-180 Resistenza Capacità Soglia Velocitàdolce aerobica lattacida massima di10 m circa Da 20 a 50 accumulo delResistenza min di corsa lattato. attiva prolungata Da 45 min a

1 h di corsa prolungata

75-70 Più ore Resistenza pura Resistenza Resistenza Capacità Velocità di Velocitàdi Van Aaken di base di base aerobica recupero senza

produzioned’acido lattico

Tabella 5 – Confronto della terminologia dell'allenamento dal 1950 al 1990, con l'intensità e la durata limite degli esercizi. VMA rappresenta la velo-cità minima che sollecita il consumo d'ossigeno in un protocollo di test ad incremento graduale della velocità per stadi della durata di 2 o 3 min. =CE rappresenta il costo energetico della corsa o di qualsiasi altro tipo di locomozione

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ne il coefficiente 3,5. Sapendo che la VMA,in media, può essere sostenuta per 6 min,sarà sufficiente percorrere la massimadistanza possibile in 6 min per ottenereuna velocità media molto vicina a VMA damoltiplicare per 3,5 per ottenere il V

.O2max

di un soggetto (Riquadro 4).Prendiamo l ’esempio dei record delmondo. Nella tabella 1 (cfr. SdS, n. 53,pagina 35) si può notare che le donne cor-rono i 2.000 m in 5min25s, ovvero a 22,2km · h-1. Si può pensare che si tratti dellamassima velocità aerobica femminile.Applicando la formula di Léger allora siottiene un V

.O2max di 77,5 ml · min-1 · kg-1.

Notiamo che i valori stimati vengono cal-colati partendo dal record del mondo fem-minile, sebbene i 2.000 m siano poco corsie quindi tale record sia migliorabile.

5. Passato e futuro dell’allenamento

I corridori di fondo che hanno segnato lastoria facendo progredire i record delmondo, talvolta hanno provocato la varia-zione dell’allenamento utilizzando, senzaformalizzarli come tali, i tre “registri” divelocità: al di sotto della soglia lattacida,alla soglia lattacida ed alla velocità asso-ciata al massimo consumo d’ossigeno.Nella tabella 4 (cfr. SdS, n. 53, pagina 41)viene descritto l’allenamento di alcunigrandi campioni di corsa di fondo chehanno segnato la storia della corsa e latabella 5 riporta le equivalenze tra i termi-ni utilizzati nell’allenamento dagli anni ‘50ad oggi. Tale allenamento viene descrittosecondo i tre registri d’intensità che hannoun significato fisiologico:

1. a velocità inferiore alla soglia lattacida;2. a velocità uguale o leggermente supe-

riore alla soglia lattacida;3. alla velocità associata al massimo con-

sumo d’ossigeno.

Come si può constatare dalla tabella, gliallenamenti di questi grandi corridoririspettavano questa suddivisione, anche seciò non era esplicito: non hanno aspettatoi concetti fisiologici per cambiare le lorovelocità di allenamento. L’interesse di un approccio scientificoall’allenamento è che permette di analizza-re i motivi di un progresso (o di un regres-so), correlando le variazioni della presta-zione con quelle dei suoi fattori energetici.Naturalmente la prestazione non puòessere semplicemente ridotta alla dimen-sione energetica, ma essa resta ineludibile.Anche se ha classificato e differenziato levelocità, troppo spesso l’allenamento hatrascurato la classificazione delle ripetizio-ni in base al criterio del tempo limite che il

corridore poteva sostenere ad una datavelocità. Il tempo è stato dimenticato nellafisiologia del XX° secolo, che ha costruitomodelli delle risposte fisiologiche unica-mente in funzione dell’intensità dell’eser-cizio (durata da 1 a 5 minuti a seconda deiprotocolli) trascurando le durate costantilunghe. Così, non esiste un’unica velocità checomporta il massimo consumo d’ossigeno.Se si chiede ad un atleta di correre allamassima velocità che può sostenere peruna durata limite compresa tra 2 ed 8 min(a velocità che variano di diversi km · h-1)raggiungerà il suo V

.O2max. Invece, è

indubbio che esiste una sola velocità chegli permetterà di sostenerlo più a lungopossibile (Billat et al. 1999). Tuttavia, que-sta unica velocità non è quella che puòrappresentare la chiave per migliorarerapidamente il V

.O2max, poiché l’allena-

mento frazionato, corso a velocità mag-giori, permette di ottenere una lungadurata della stimolazione della portatacardiaca (al suo massimo livello) (Billat etal. 2000). Attualmente, è possibile accedere diretta-mente alle risposte fisiologiche durante lesedute di allenamento, addirittura durantele gare, grazie ad apparecchiature teleme-triche di misurazione (misura della fre-quenza cardiaca, del consumo di ossigeno,ecc.). Sarà sorprendente constatare qualesia l’evoluzione degli scambi gassosi inprove di mezzofondo prolungato nellequali le velocità non sono costanti (figura

3). Il problema che si pone è quello disapere in che misura il corridore regola lasua velocità su costanti fisiologiche. Però,questi strumenti saranno utili solo se cisarà un’alleanza tra allenatori e scienziatiper proporre un’alternativa al doping, perprogredire attraverso l’individualizzazionedell’allenamento, partendo dalle caratteri-stiche bioenergetiche dell’atleta, rapporta-te alle costrizioni (sollecitazioni) rilevate ingara. La gamma dei mezzi di lotta contro ildoping non si deve limitare ai controlli odalle campagne di sensibilizzazione. Occorreessere efficaci ed essere in grado di pro-porre ad ogni persona un allenamento chegli permetta di migliorarsi, si tratti di unatleta che pratica sport per produrre unospettacolo sportivo (primo sistema di com-petizioni) o per confrontarsi con se stesso(secondo sistema di competizioni, secondoYonnet 1998).

Traduzione di M. Gulinelli da STAPS, 2001, 54,23-43. Titolo originale: L’apport de la sciencedans l’entraînement sportif: l’exemple de la cour-se de fond.

L’Autore: dott.ssa Véronique Billat, Università diLilla 2, Facoltà di scienze dello sport, Studio dellamotricità umana.

Indirizzo dell’Autore: Véronique Billat, UniversitéLille, Facoltè des Sciences du Sport, Etude de lamotricité humaine, 9, Rue de L’Université, 59790,Ronchin.

Figura 3 –

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Alcuni aspetti della preparazione alla gara

Peter Tschiene, Redattore capo della rivista Leistungssport

La preparazione alla gara secondo un approccio basato sulla teoria dei sistemi

Definiti i concetti di forma massima, di struttura della prestazione e di struttura della gara, vengono trattati:i rapporti tra la gara e l’allenamento secondo un approccio basato sulla teoria dei sistemi; i limiti temporalidella preparazione alla gara; gli ausili ergogeni che permettono di ottimizzare il rendimento d’allenamento

e di gara; il problema dell’attuale ampliamento dei calendari di gara e lo stato di forma massima;il rapporto tra anzianità di allenamento e forma sportiva e quello tra gare e stato del sistema immunitario.

Foto Bruno

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1. I concetti di forma massima,di struttura della prestazione e di struttura della gara

Nello sport, se si eccettua l’allenamento dibase, un allenamento che sia diretto adottenere risultati elevati si pone semprel’obiettivo di sviluppare nell’atleta lo statofunzionale più elevato possibile in un certoperiodo, la cui durata può essere variabile(periodo di gara), in quanto dipende dalcalendario di ciascuno sport. Generalmente, questo stato funzionaleottimale viene definito forma sportiva,forma massima, top form o stato di prepa-razione ottimale (Filin, Fomin 1980), men-tre Matveev (1981) lo definisce stato dellacapacità di prestazione ottimale. Se si fauna tentativo di definirla, si potrebbeaffermare che la forma sportiva (top form)rappresenta la disponibilità ottimale diun/una atleta ad ottenere una prestazionesportiva di una certa classe.La forma massima (top form), nella quale ilmomento psicologico soggettivo è domi-nante, può essere espressa attraverso lastruttura generale ed individuale della pre-stazione in uno sport o in una disciplinasportiva: compito dell’allenamento è quel-lo di creare questa struttura e di portarlaad un livello nuovo, più elevato. Per definizione, la struttura della presta-zione di un atleta, o la struttura della suacapacità di prestazione, è l’espressione diquei presupposti personali della prestazio-ne che gli permettono di ottenere determi-nati risultati sportivi (figura 1).Si può affermare che forma sportiva estruttura della capacità di prestazione (cfr.Berger 1990) siano quasi sinonimi. Rispet-to alla prima, la seconda non contieneattributi di valore come “ottimale”. Invece il concetto di struttura dell’attivitàdi gara, o in breve, di struttura della gara,descrive come la struttura oggettiva dellaprestazione, che è stata sviluppataseguendo le leggi dell’allenamento ed ilmassimo della forma – modulato soggetti-vamente sulla struttura della prestazione -debbano essere realizzati nelle condizioniformali concrete di luogo e di calendariodella gara dello sport o della disciplinasportiva praticata, tenendo conto di quan-to viene richiesto da un determinato livellodi risultati e dell’importanza della garastessa (figura 2). Quindi la struttura della gara comprendela modalità immediata, individuale o inte-rindividuale, di realizzazione dello stato diforma massima delle atlete e degli atletinelle condizioni concrete, ogni volta diver-se, delle competizioni di livello elevato. Inessa, la struttura della prestazione, dellaquale si dispone in generale, viene tradottain operazioni specifiche attraverso le

situazioni proprie dello sport praticato,cioè attraverso l’intera gamma dei possibilicomportamenti individuali (con tutta laloro ampiezza di variazioni tecnico-tatti-che), a volte sostenuti da misure di ristabi-limento, durante gli intervalli della gara.Perciò, la struttura delle prestazione vienecostruita oggettivamente; mentre la forma

massima viene modulata soggettivamentein base ad essa; ed infine, la struttura dellagara viene tradotta in operazioni, che sibasano sullo stato di forma e viene realiz-zata nell’esecuzione della prestazione, cheè quella che ne determina il valore.Se la struttura della prestazione definiscesia quali saranno gli orientamenti princi-pali degli obiettivi, dei compiti e dei conte-nuti del processo di allenamento, siaanche la sua durata a lungo termine (cioènel macrociclo) la forma massima e lastruttura della gara li determinano, rispet-tivamente, a medio termine (nel mesoci-clo) ed a breve termine (nel microciclo). Livelli di risultati di gara diversi presup-pongono anche strutture diverse della pre-stazione. Ciò vuole dire che ciascun livellodi prestazione è caratterizzato da una pro-pria struttura delle prestazione.

Forma sportiva - disponibilità ottimaledi un atleta ad ottenere una prestazionesportiva di una certa classe.

Struttura della prestazione o strutturadella capacità di prestazione - l’espres-sione di quei presupposti personali dellaprestazione che permettono ad un atle-ta o ad una atleta di ottenere determi-nati risultati sportivi.

Figura 1 – La struttura della prestazione dei 1.000 m da fermo nel ciclismo su pista (da Poli-schjuk et al. 1990, modificato)

Figura 2 – La struttura dell’attività di gara dei 1.000 m da fermo nel ciclismo su pista (da Poli-schjuk et al. 1990, modificato)

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La struttura di una prestazione di vertice siesprime in caratteristiche variabili (per il20%) e stabili (20%). La caratteristichevariabili definiscono sia il livello di svilup-po delle capacità organico-muscolari, chenon sono d’importanza fondamentale perla prestazione specifica e di altre capacitàaspecifiche, sia le caratteristiche delle fun-zioni di alcuni elementi dei sistemi edapparati anatomici e fisiologici, la compo-sizione del leucogramma, lo stato delsistema immunitario, del metabolismo e lostato psichico generale. Sono soggette anotevoli oscillazioni, la loro funzionalità èdeterminata dall’associazione di molti ele-menti dei sistemi ed apparati anatomo-fisiologici ed hanno un rapporto strettocon il patrimonio genetico dell’organismo.Tutto ciò, negli atleti che ottengono pre-stazioni di alto livello, si evidenzia nellapredisposizione verso ampie, ma stabili,modificazioni funzionali, in particolareverso un allargamento dei limiti delleoscillazioni. Queste caratteristiche variabilidella struttura della prestazione si trovanonell’ambito dell’autoregolazione. Ad esem-pio, il sistema immunitario può essereconsiderato un indicatore a lungo terminedelle riserve di salute e dell’affidabilitàfunzionale. Le caratteristiche stabili riflettono l’attivitàdi gara, il livello di sviluppo delle principalicapacità, cioè delle capacità specifiche ed iparametri che regolano il movimento nellefunzioni di gara (o simili alla gara) dell’ap-parato anatomico-fisiologico (cioè i para-metri bioenergetici ed i parametri biomec-canici, ecc.). Con l’aumento del livello dellaprestazione, la variabilità delle caratteristi-che stabili, diminuisce, come è stato stabi-lito da una ricerca longitudinale (dal 1985al 1995) condotta su 250 atleti di qualifi-cazione internazionale di età da 17 a 28anni.

Se si analizzano i lavori pubblicati nellaletteratura internazionale su questo pro-blema essi possono essere così sintetizzati:

1. L’attività di gara è determinata da com-ponenti relativamente indipendenti che,talvolta, non presentano alcun rapportotra loro.

2. Le diverse componenti della strutturadell’attività di gara, prevalentemente,sono determinate da capacità organico-muscolari, sistemi o meccanismi funzio-nali diversi.

3. Le componenti strutturali hanno un’im-portanza diversa per la prestazione digara, che dipende dalla specificità e dallecondizioni di esecuzione dei movimentidello sport o della disciplina sportivaspecifica, ivi comprese le caratteristicheindividuali degli atleti e delle atlete.

4. Esistono chiari rapporti di subordinazio-ne tra struttura dello stato di allena-mento (struttura della prestazione) estruttura dell’attività di gara.

5. Il livello gerarchicamente più elevato èrappresentato dalla prestazione di garastessa, in quanto fattore integrato diformazione del sistema motorio-funzio-nale.

2. Un approccio basato sullateoria dei sistemi ai rapporti tra gara ed allenamento

Questa gerarchia può essere spiegata se sifa riferimento alla teoria dei sistemi fun-zionali (Anochin 1973). In un approcciobasato sulla teoria dei sistemi applicataalla teoria dell’allenamento, l’atleta vieneconcepito come “portatore” di un sistemaspecifico funzionale di movimento (Boiko1988). Le richieste che gli vengono postedall’ambiente sono rappresentate dall’alle-namento e dalla gara, alle quali si adatta,in modo controllato, per la produzione delrisultato pianificato: la prestazione sporti-va. La piena manifestazione di questorisultato avviene in condizioni specifichedi stress, come quelle che possono essereprodotte solo dalla gara e, in parte, dallasua simulazione. Perciò, influire su unsistema funzionale specifico di movimentoper portarlo ad un determinato livello disuo funzionamento (allenamento), signifi-ca controllarlo secondo i parametri, noti inprecedenza, cioè anticipati, del risultatofunzionale approssimativamente noto chesi vuole ottenere (prestazione di gara). Poiché gli adattamenti del sistema funzio-nale specifico di movimento hanno unabase epigenetica (cfr. Meerson 1986), esi-stono almeno tre criteri fondamentali pertrattare il complesso dei temi che riguar-dano la gara e la sua preparazione:

1. il risultato della gara – la prestazioneottenuta e precedentemente pianificata– che svolge due funzioni:con la sua ripetizione relativamente fre-quente ed il suo miglioramento funge dabiofeedback sull’ampiezza adattativadella struttura della prestazione dell’atle-ta; questa prima funzione influisce sullaseconda che riguarda il controllo praticodegli adattamenti nell’allenamento (dalpunto di vista dei contenuti, della suacostruzione e della sua durata).

2. La densità (frequenza) delle misure spe-cifiche di regolazione che provoca ilcompletamento della struttura della pre-stazione. Questa funziona sempre più inprossimità del momento della prestazio-ne pianificata, in modo da essere “dispo-nibile” nel momento voluto: nella formamassima.

3. Questo momento della “disponibilità”alla prestazione ottimale del sistemafunzionale specifico di movimento,come già ricordava Matveev nel 1965,deve coincidere con il momento dellagara stabilito nel calendario. Questacoincidenza avviene grazie all’utilizza-zione regolare di esercizi, mezzi, metodisempre più specifici nella preparazionealla gara.

3. Il carattere d’anticipazionedell’adattamento

La prestazione di gara è il risultato dellarealizzazione dei presupposti oggettivi esoggettivi della prestazione, come prodot-to dell’attività del sistema specifico fun-zionale di movimento. Questi presuppostivengono costruiti e strutturati durantel’allenamento, secondo il criterio della loroutilità rispetto alla gara ed in questo modovengono adattati alle esigenze che sonostate programmate in vista di quest’ulti-ma. Quindi, il processo di adattamento(cioè l’allenamento) assume un carattereglobale e contemporaneamente anticipa-torio (cfr. Anochin 1973).L’espressione globale vuole dire che il pro-cesso di adattamento comprende tutti ipresupposti della prestazione, anche se illoro funzionamento è sottoposto a leggidiverse. Ne fanno parte i presupposti orga-nico-muscolari (energetici) e costituzionalidell’adattamento puramente biologico ed ipresupposti tecnico-coordinativi e tattici,come anche quelli psichici (cognitivi) del-l’organizzazione dell’informazione (cfr.Stark 1984). Nella prestazione, tutti questipresupposti si presentano solo in formacomplessa e globale. L’adattamento anticipatorio del sistemafunzionale di movimento presuppone cheil risultato futuro del suo funzionamentopossa essere visibile anche nel presente, indeterminate quantità, anche se scarse.Altrimenti, secondo Anochin, non sarebbepossibile comprendere quale sia l’adatta-mento. Perciò, ogni allenamento deve porre, inmisura crescente, a tutti i presupposti

Dunque si può affermare che in unosport di prestazione, che sia orientatoall’incremento dei risultati, l’allenamen-to non può essere spiegato che attra-verso la gara. Da punto di vista dell’a-dattamento e di un approccio basatosulla teoria dei sistemi, l’allenamentopuò essere interpretato solo partendodalla prestazione di gara e dalla garastessa (cioè dalla realizzazione della pre-stazione) (cfr. Tschiene, Barth 1997, 62).

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della prestazione, quelle richieste checaratterizzano – e quindi anticipano – gra-dualmente o quasi completamente la pre-stazione di gara (Tschiene, Barth 1997). Inquesto senso, ad esempio, è noto datempo (Verchoshanskij 1972) il principiodella coincidenza dinamica tra esercizi diallenamento ed il carattere dei presuppostienergetici degli esercizi di gara.

4. Il quadro cronologico della preparazione alla gara

La preparazione alla gara rappresenta unaparte del processo globale di allenamentoe preparazione a medio ed a lungo terminedella prestazione sportiva. Però, fin dall’o-rigine, si distingue chiaramente all’internodi esso, sia per la sua vicinanza alla garasia per lo stretto rapporto che ha con essa.Per cui è chiaramente dominata dalla gara. È tipico della natura e del sistema di ognisport che il periodo della preparazione allagara, cronologicamente, venga distinto,anche se relativamente, dal semplice alle-namento dei presupposti speciali dellaprestazione. Formalmente, l’inizio della preparazionealla gara viene delimitato dall’impiego dimetodi specifici di gara e, quindi, dalperiodo di durata della loro azione. Così,nel periodo precedente la gara, o nellatappa di gara, il sistema funzionale dimovimento riceve una impronta ed unaformazione particolare. Comunque questoperiodo di tempo deve essere di duratasufficiente sia dal punto di vista dell’adat-tamento sia per quanto per quanto riguar-da l’organizzazione delle informazioni(cioè deve essere di durata tale da garanti-re le sviluppo dei presupposti organico-muscolari come anche tecnico-tattici dellaprestazione di gara).Nel riquadro, questa relazione viene rap-presentata attraverso la differenziazione ela definizione schematica dei compiti svol-ti, rispettivamente, dall’allenamento gene-rale orientato sulla gara, dalla preparazio-ne generale e speciale e dalla preparazioneimmediata alla gara.Mentre con allenamento orientato sullagara si definisce che, per principio, la dire-zione principale della preparazione a lungotermine di tutti i presupposti della presta-zione tiene conto della loro utilità e dellaloro efficacia rispetto alla gara, il comples-so della preparazione alla gara deve essereinterpretato in modo meno generico, piùconcreto. In questo quadro più concreto sidistinguono una preparazione generale eduna speciale alla gara. La prima compren-de le misure che sono dirette ad garantirele capacità generali dell’atleta rispetto allaprossima gara importante. In essa si utiliz-zano, soprattutto, contenuti di allenamen-

to di tipo organico-muscolare (cfr. Schna-bel, Thiess 1994), il cui obiettivo è lo svi-luppo della capacità più elevata possibiledi tollerare il carico. Questa capacità rappresenta la base per laformazione specifica dei presupposti ener-getici della prestazione, senza trascurareperò quelli di natura coordinativa (tecnica)e psichica. In questo caso, troviamo unapreparazione accentuata, a medio termine,di presupposti della prestazione. Cioè unallenamento che, cronologicamente, èrelativamente distante dalla gara ed è ade-guatamente integrato nella struttura delmacrociclo.La preparazione speciale alla gara com-prende tutte quello misure che sono diret-te ad incrementare la capacità generaledell’atleta di affrontare con successo icompiti che lo aspettano nell’immediato eche gli vengono posti da una gara benprecisa. Essa prevede una sua parte con-clusiva particolare, cioè la preparazioneimmediata alla gara (PIG).Se si tiene conto che la preparazione spe-ciale alla gara che, come detto, culminanella PIG, è direttamente indirizzata allacostruzione della forma massima, dalpunto di vista pratico è opportunodomandarsi quali siano i criteri della formamassima.Già nel 1983 Krasnikov (Krasnikov 1983)faceva un distinzione tra:- caratteristiche dello sviluppo - caratteristiche della stabilità delle pre-

stazioni, nello stato di capacità ottimale di presta-zione.

Le caratteristiche dello sviluppo rappresen-tano la differenza tra la migliore presta-zione dell’atleta nel macrociclo precedentee le prestazioni nel macrociclo attuale osuccessivo. Operativamente, si tratta delladifferenza tra il risultato ottenuto in unagara importante di controllo e la mediastatistica dei risultati nel periodo di gara.Ciò permette di valutare il grado di forma

e di tenerne conto per introdurre correzio-ni nella preparazione alla gara.

Le caratteristiche della stabilità sono rap-presentate da:- il numero dei risultati degli atlete e delle

atlete che rientrano in un determinatoambito di risultati: ad esempio, il 98-98,5 % della migliore prestazione comelimite inferiore, negli sport ciclici o diresistenza, il 95-97% per gli sport acicli-ci o di forza rapida;

- gli intervalli medi di tempo tra le presta-zioni nell’ambito della forma massima(come sopra);

- la durata totale del periodo con presta-zioni di gara che rientrano nei limiticitati precedentemente.

Queste caratteristiche, però, possono vale-re per quegli sport nei quali le prestazionisono misurate esattamente, nei quali,comunque, la precisa definizione percen-tuale del settore della forma è soggetta adalcune variazioni. I fattori che le provoca-no sono le caratteristiche specifiche dellosport, la diminuzione del tasso di sviluppodelle prestazioni con l’aumentare delladurata dell’allenamento e della capacità diprestazione. In alcuni sport, come quelli di combatti-mento ed i giochi sportivi, le caratteristi-che della forma massima debbono esseresolo sviluppate. Infatti, in questo caso le èdifficile che le prestazioni di gara possanoessere utili per valutare lo stato di forma(ciò è dovuto al tipo di avversari incontrati,all’importanza degli indicatori tecnico-tat-tici della prestazione, ai criteri della formadella squadra, ecc. (cfr. Berger 1990)).Nel 1991, Matveev ha proposto un calcolomatematico dei limiti inferiori della zonadella forma massima, che però ha incon-trato notevoli critiche provocate dal suocarattere puramente speculativo (cfr. Ver-choshanskij 1998). Se si realizza una siste-matica delle azioni di gara degli atleti edelle atlete, secondo il criterio del risultato

Allenamento generale orientato sulla gara - ha il compito della preparazione a lungotermine di tutti quei presupposti organico-muscolari, coordinativi, tecnico-tattici, psi-chici che mettono l’atleta in grado di disputare le gare nello sport praticato.

Preparazione generale alla gara - ha il compito di svolgere una preparazione accen-tuata, a medio termine, di tutti i i presupposti organico-muscolari, coordinativi, tecni-co-tattici, psichici dell’atleta, rispetto alla prossima gara importante, come anche quel-lo di sviluppare la capacità di tollerare il carico, attraverso la divisione in cicli del caricoe dell’allenamento.

Preparazione speciale alla gara - ne fanno parte tutte le misure dirette ad incremen-tare la capacità generale dell’atleta di affrontare con successo i compiti che lo aspetta-no nell’immediato e che gli vengono posti da una gara ben precisa. Il suo culmine, è lapreparazione immediata alla gara (PIG) che è direttamente indirizzata alla costruzionedella forma massima.

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(cfr. Sinaiskij, Popov 1996) si dimostracome sia impossibile una determinazionedello stato di forma massima, valida pertutti gli sport. L’inizio e la durata della vera e propria pre-parazione speciale alla gara e della PIG èoggetto di discussione. La durata che vienespesso consigliata, che è quella di unmesociclo (cioè da 4 a 6 settimane), nonpuò valere per tutti gli sport, per tutte letipologie di atleti e per tutte le circostanze.Ma rappresenta un periodo di tempo suffi-ciente dal punto di vista dell’adattamento.Comunque, la decisione su quando occorreiniziare ad utilizzare prevalentementeesercizi, mezzi e metodi specifici di gara,dipende sempre da quale sia l’efficacia, aifini dell’adattamento, della lunghezza delperiodo per il quale vengono applicati, finoa raggiungere la forma massima e la suaespressione in gara.Soprattutto negli sport di resistenza, perquanto riguarda il controllo del cariconella preparazione immediata alla gara, ilproblema è quello di garantire la capacitàdi ripetere il carico e la preparazione orga-nizzativa generale della massima presta-zione individuale (cfr. Neumann 1994).

5. Fattori che possono sostenere la prestazione nellapreparazione e durante la gara

Attualmente le gare e l’attività di garasono vittime di una contraddizione, imma-nente al sistema sportivo, che nasce dal-l’intensificazione dello sport di prestazionea livello internazionale.Da un lato, troviamo un miglioramentogenerale dei risultati a livello mondiale cherichiede un impegno sempre maggiore,accompagnato da una tendenza al rallen-tamento nei tassi di incremento delle pre-stazioni.Dall’altro vengono applicati carichi d’alle-namento sempre maggiori, che comporta-no, necessariamente un aumento dell’im-pegno di tempo ed il rischio dell’esauri-mento energetico. Non sempre l’uomo agi-sce positivamente sulla natura e su sestesso. Ed assistiamo ad un impiego sem-pre maggiore di misure di controllo e disostegno, dirette all’intensificazione dellapreparazione. Una soluzione parziale di questa contrad-dizione si può trovare soltanto miglioran-do le misure di direzione dell’allenamentoa medio ed a lungo termine diretto a rag-giungere la forma massima.La domanda principale non è fino a qualepunto massimo ci si può spingere nel sol-lecitare gli atleti e le atlete, ma: qualelivello raggiungono gli effetti di allena-mento programmati in vista del risultatoche si vuole ottenere in gara.

Le misure di ristabilimento, in quantocomponente costante dei programmi diallenamento, assumono grande importan-za, sia per la preparazione alla gara cheper la gara stessa (cfr. Platonov 1999). Nefanno parte i cosiddetti ausili ergogeni,che svolgono numerosi compiti che dipen-dono dalla direzione che devono assumerele misure di ristabilimento. Qui ci limitere-mo parlare di quelli necessari per la prepa-razione alla gara, soprattutto di quellinecessari durante la preparazione imme-diata, che vengano utilizzati o per miglio-rare la produzione di energia o per rallen-tare l’affaticamento (Scheck et al. 1995) eche possono essere così suddivisi:- misure di tipo alimentare , dirette a

migliorare la crescita muscolare, adaumentare le riserve energetiche nelsistema muscolare e ad incrementare larapidità di trasformazione dell’energia;

- ausili ergogeni di natura fisiologica,diretti ad aumentare la rapidità di pro-duzione d’energia ed a diminuire l’accu-mulo di sostanze legate ai processi diaffaticamento;

- interventi di natura psicologica il cuiobiettivo è migliorare le condizioni psi-cologiche e mentali ed impedire l’insor-gere di fattori di questa natura che pos-sono compromettere il rendimento ingara;

- ausili ergogeni di natura biomeccanicadiretti ad incrementare l’efficienza mec-canica dei movimenti, in modo tale chesi possano risparmiare energie fisiche ementali.

Il sostegno agli atleti di natura sociale noninterviene nella preparazione immediataalla gara. La varietà degli ausili ergogeni,nelle fasi di recupero, ha assunto un’im-portanza sempre maggiore, in quanto,nello sport di altissimo livello, gli adatta-menti di livello elevato od estremi (cfr.Israel 1992) provocano una specializzazio-ne, più o meno ampia, ma, comunque ine-vitabile, dell’attività funzionale-motoriadegli atleti o delle atlete. Si tratta di unfenomeno che resta nell’ambito di quellifisiologici, anche se, però, rientra nellezone estreme di carico del sistema funzio-nale di movimento. Anche per questa ragione è assolutamentenecessario che la preparazione alla garavenga accompagnata da misure di caratte-re preventivo, terapeutico e dirette a favo-rire il recupero.

6. Stato di forma massima e molteplicità di gara

Il fattore principale che forma il sistemafunzionale-motorio ed integra tra lorotutti gli altri elementi dello sport di alto

livello, influenzandoli in modo essenziale, èil sistema delle competizioni. A partire dagli anni ‘80 del secolo scorsonello sviluppo degli sport olimpici -soprattutto nelle discipline individuali - siosserva un ampliamento notevole delcalendario nazionale ed internazionale.Chiaramente esiste un rapporto moltostretto tra questa evoluzione ed il processodi crescente commercializzazione e profes-sionalizzazione di sport che in passatoerano “dilettantistici” (se si prescinde dalsostegno statale che una volta veniva for-nito loro in alcuni Paesi). Così, ad esempio,nel ciclo annuale di alcuni sport sonodiventati quasi obbligatori un Campionatomondiale od Europeo in inverno ed inestate, ogni quattro anni i Giochi olimpiciinvernali od estivi, i Campionati nazionali,la Coppa del mondo o la Coppa Europa, iGran Prix, le serie della Golden League,senza contare la partecipazione a variegare per motivi pubblicitari, legati agliinteressi degli sponsor. Se si fa la sommadei loro impegni, gli atleti o le atlete chepartecipano a queste gare raggiungonoun’attività od un periodo di gara che dura-no da nove a dieci mesi. È naturale che finisce con il restringersinotevolmente il periodo che può esseresfruttato per un incremento notevole dellaforma massima in vista delle gare piùimportanti (Campionati mondiali, Campio-nati europei, Giochi olimpici).Attualmente, questo problema può essererisolto solo se, oltre a costruire la strutturadel calendario generale, si cerca di costrui-re una struttura del calendario individualedell’atleta.Che la gara, come mezzo che serve a svi-luppare ulteriormente i sistemi dell’organi-smo rilevanti per la prestazione e le carat-teristiche della personalità, possa provoca-re un miglioramento dello stato di forma econ esso della struttura dell’attività digara, non può rappresentare un alibi perridurre in modo irresponsabile il tempodedicato all’allenamento. Se si analizzano i calendari individualidegli sport olimpici, schematicamente, épossibile suddividerli in tre gruppi:

1° gruppo: comprende tutti quegli sport, odiscipline sportive, nelle quali nell’annotroviamo un numero limitato di gareimportanti (da cinque a dieci): marcia,corsa di maratona, pesistica, pugilato, lottalibera e lotta greco-romana, ginnasticaartistica, equitazione. Il numero dei giornidi gara va da 7 a 30.2° gruppo: comprende tutti quegli sport odiscipline sportive nelle quali troviamo unnumero medio di gare (da undici a quindi-ci): nuoto, canottaggio, canoa, sci difondo, pattinaggio su ghiaccio di velocità,

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biathlon, combinata nordica, corse difondo e mezzofondo, salti, lanci dell’atleti-ca leggera, tiro, bob, scherma, tuffi, saltodal trampolino con gli sci, nuoto sincro-nizzato ecc. Il numero dei giorni da gara vada 20 a 55.3° gruppo: comprende tutti quegli sport oquelle discipline sportive nelle quali trovia-mo un grande numero di gare (da 40 a150): ciclismo, sci alpino e tutti i giochisportivi. Il numero dei giorni di gara va da40 a 120 (cfr. Suslov 1995).

Un elemento importante è la diversa per-centuale del carico rappresentato dallegare, sul volume totale del carico annuale.Ad esempio, se i tempi dell’attività di garasono circa il 3% in uno sport di combatti-mento, i chilometri percorsi in gara, nelcanottaggio, nella canoa e nella corsavanno dall’1 al 2% del carico globale, nelciclismo rappresentano 30-40% circa edoltre (Tschiene, cfr. SdS, n. 52, p. 5).In base a ricerche svolte nella maggiorparte degli sport individuali, dall’analisi deicalendari individuali risulta quanto segue:indipendentemente dal notevole amplia-mento dei calendari nazionali ed interna-zionali che si è prodotto negli ultimi anni,ad eccezione del ciclismo e dei giochisportivi, negli atleti di alto livello non sirileva un aumento notevole dalla parteci-pazione alle gare. Però si rileva un aumen-to della partecipazione a gare internazio-nali, a discapito di quelle nazionali.Il numero di partecipazioni alle gare degliatleti di alto livello dipende da diversi fat-tori:

- il numero dei macrocicli nell’anno;- le particolarità del recupero dopo la par-

tecipazione alle gare;- le sollecitazioni dell’apparato locomoto-

rio e di sostegno;- la garanzia che l’attività di gara possa

essere svolta in modo ottimale dal puntodi vista di vista energetico ed ormonale,ecc.

Comunque, per quanto riguarda la ten-denza degli sport dilettantistici ad avvici-narsi sempre più a quelli professionistici, sipuò affermare che non è possibile che siraggiunga una completa coincidenza tra diloro. Infatti, mentre l’atleta professionistadeve partecipare ad una lunga serie digare per rispettare il suo contratto di lavo-ro o di sponsorizzazione ed è interessatoalle retribuzioni ed ai premi, per gli atletidilettanti l’obiettivo prioritario resta quellodi ottenere grandi risultati nei Giochi olim-pici e nei Campionati mondiali. I professio-nisti sono costretti a mantenere un elevatolivello di disponibilità alla prestazione perquasi dieci mesi, mentre i dilettanti rag-

giungono il top della loro forma al massi-mo per due o tre avvenimenti all’anno. Secondo Suslov (1995) nel calendario indi-viduale di gara è possibile individuare trestrutture (cfr. riquadro):

- permanente- concentrata- mista

Nella struttura mista si individuano lemigliori possibilità che la preparazione allegare sia pienamente efficace dal punto divista dell’adattamento, anche negli inter-valli tra le serie di partecipazioni e nellapreparazione immediata alle gare princi-pali della stagione.La costruzione del periodo di gara non puòavere mai carattere “generale”, cioè nonpuò essere mai generica, in quanto vienedeterminata dal tipo di sport praticato, dalsuo calendario specifico, dalla tollerabilitàindividuale del carico, dagli obiettivi delperiodo di gara, dai suoi compiti, dal livellodi prestazione, ma soprattutto dalla condi-zione di dilettante o di professionista del-l’atleta. Generalmente, per raggiungere lo stato diforma massima, necessario per il migliora-mento delle prestazioni e degli standard diprestazione, viene consigliato di mantene-re, per quanto possibile un sistema di gare“fisso” per molti anni (cfr. Schustin 1996),perché in questo modo è possibile stabilireefficacemente, anche nel futuro, una pia-nificazione delle date delle gare e delmomento in cui sviluppare lo stato diforma massima.L’effetto negativo dell’ampliamento dellapossibilità di gareggiare, offerta dai calen-dari attuali e la sua accettazione, soprat-tutto da parte di quegli atleti che si trova-

no ad un livello appena inferiore a quellomassimo, provocata dalla spinta ad emer-gere, dalla ricerca di fama, da stimolifinanziari e dalla pressione degli sponsor,può essere contrastata se si segue l’orien-tamento secondo il quale l’atleta di altolivello deve disporre sempre di periodi dicarico di allenamento e di gara individua-lizzati e sufficienti dal punto di vista dell’a-dattamento, come anche di periodi suffi-cienti di recupero (cfr. Tschiene 1995, 19).L’utilizzazione della partecipazione allegare deve essere sintonizzata con la stra-tegia del carico. Ciò può essere ottenuto,in parte, anche ricorrendo a metodi noti datempo:

- distinguere tra gare importanti ed menoimportanti;

- se si vuole raggiungere un obiettivo diprestazione più importante, avere ilcoraggio di limitare la partecipazionealle gare, anche a costo di grandi sacrifi-ci dal punto di vista finanziario;

- pianificare una serie di gare nelle tappedi allenamento di intensità più elevata,ad esempio, per raggiungere la formamassima (cfr. Lychatz 1989);

- prevedere una nuova tipologia di costru-zione del ciclo annuale di allenamento,nel senso che la pluralità di gare che puòessere tollerata determina una pluralitàdi cicli di allenamento che però deveessere possibile dal punto di vista dell’a-dattamento (pluralità di cicli di allena-mento);

- nei periodi finali dell’allenamento cheprecede una gara importante, occorreastenersi totalmente dal partecipare allegare, per mantenere la possibilità dimobilitarsi e di riattivare il sistema fun-zionale motorio;

La struttura permanentePrevede lunghi periodi di gara; parteci-pazione a gare/partite senza tappe inter-medie (o più brevi); settimane di gare: dauna a due partecipazioni a gare (turnieliminatori, finali) anche quotidianamen-te (gare a tappe, tornei). È tipica di sportcome il ciclismo, lo sci alpino, il calcio,l’hockey su ghiaccio, il tennis, ecc.

La struttura concentrataLa partecipazione alle gare avviene adintervalli di circa venti giorni, ma preve-de più start; è concentrata in periodi dauno a sette giorni, serve un allenamentointenso; numerosi microtraumi richiedo-no un adeguato intervento terapeutico alloro termine. È tipica delle corse di mara-

tona, della marcia, del pugilato, dellapesistica, della ginnastica artistica, delcanottaggio e delle canoa, del pattinag-gio di velocità su ghiaccio, dell’equitazio-ne, delle gare multiple e di tutte le disci-pline di intensità elevata.

La struttura mistaAlternanza di serie di start in periodi dadue a cinque settimane con gare singo-le, concentrate in uno o più giorni; que-ste serie di gare sono precedute da unoo due mesocicli di preparazione imme-diata alla gara (tornei/serie di gare);gare quotidiane (partite); durata delleserie di gare da cinque a sette start; conda tre a quattro giorni di intervallo(sport ciclici).

Le tre tipologie di struttura di un calendario individuale di gara (da Suslov 1995, 37)

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- dopo le gare occorre assolutamentetenere conto della necessità di recupero,soprattutto psichico. Ciò significa chedurante e dopo serie di gare o tornei,occorre evitare carichi di allenamentoche abbiano carattere di sviluppo;

- controllare frequentemente l’andamentoe lo stato dell’adattamento, altrimenti èimpossibile qualsiasi controllo dell’alle-namento.

Da quanto detto finora, è evidente che unachiara classificazione delle gare program-mate, basata sull’importanza che essehanno ai fini della costruzione, dell’espres-sione e della realizzazione della massimadisponibilità alla prestazione (stato diforma) nei momenti più importanti dellastagione o del macrociclo, diventa unanecessità della preparazione alla gara, chenon solo è operativa, ma è anche legata aiprocessi di adattamento.Secondo il criterio della loro rilevanza perla forma massima, vengono distinte alme-no quattro categorie di gare (tabella 1)La pianificazione della partecipazione agare di categoria diversa (I - III) è un stru-mento estremamente importante per con-trollare come ottenere la forma massimanelle gare della IV categoria (cfr. Lünen-schloss 1990). In collegamento con il cre-scente rispetto delle leggi dell’adattamen-to a breve ed a lungo termine, compreso ilmiglioramento anticipato del modello dellecapacità dello sport specifico, rispetto allatradizionale metodica dell’allenamento,viene considerato sicuro un ulterioreincremento del rendimento dell’attività digara dal 2,0 a 3,0%.

Forma massima ed anzianità di allenamento

Come è noto gli atleti presentano varietipologie di adattamento, ma quando sitratta il problema dei rapporti tra formamassima e gara, soprattutto tra formamassima e momento della gara, occorretenere conto anche dell’anzianità di alle-namento dell’atleta. Prima di entrare nelperiodo di età delle massime prestazioni,generalmente, atleti ed atlete, presentanoun’anzianità di dieci anni di allenamento.In questo lasso di tempo, nel quale trovia-mo la massima realizzazione delle possibi-lità individuali di prestazione vengonodistinti tre periodi:

1. il periodo che precede quello culminante,nel quale si raggiunge il massimo livelloindividuale di prestazione;

2. il periodo culminante, nel quale si rilevauna relativa stabilizzazione del massimolivello individuale di prestazione, cherappresenta l’età durante la quale si èatleti di alto livello;

3. il periodo della graduale diminuzione delmassimo livello di prestazione (cfr. List-schenko 1997).

Secondo i vari sport, questo periodo del-l’età della massima realizzazione delle pos-sibilità individuali di prestazione, duracirca due-tre cicli olimpici. Man mano chesi allunga il periodo di età in cui un atletarimane ad alto livello (normalmente sitratta di atleti che appartengono allasquadra nazionale), spesso il tempo neces-

sario a raggiungere lo stato di forma mas-sima cambia. Ad esempio, per atleti piùanziani, il tempo delle preparazione allagara può aumentare, se, attraverso il volu-me di allenamento non si riesce ad ottene-re un incremento delle prestazioni degnodi nota o aumentano i rischi (di infortuni).Invece, con gli atleti più giovani, se si mani-festano alcune carenze nella loro capacitàdi prestazione, è realistico prevedere unadiminuzione del periodo di preparazionealla gara (ad eccezione della preparazioneimmediata alla gara). In questo modo sievitano rischi di infortuni ed insuccessi,quando incontreranno il successivo, piùelevato livello di avversari e si guadagneràtempo per eventuali correzioni.Se è il caso, sporadicamente, sono oppor-tuni cicli annuali e macrocicli di minoredurata, nei quali, rispetto a quello globaleimpiegato per l’allenamento, aumentanotevolmente il tempo necessario perpotere ripetere più volte la preparazionealla gara (nella PIG). Si tratta di un metododiretto a sfruttare il potenziale che è statoformato in modo accentuato nell’annoprecedente e per costruire una strutturadell’attività di gara ad un livello ancora piùelevato.Nell’ultimo periodo dell’età delle massimeprestazioni, è assolutamente opportuno enecessario determinare quale deve esserela durata individuale della preparazionealla gara, atleta per atleta. I criteri da uti-lizzare sono il livello dei risultati, le espe-rienze, il bilancio dei successi e degliinsuccessi, lo stato di salute, la diminuzio-ne della capacità di adattamento, la moti-

Tabella 1 – Classificazione delle gare secondo la loro rilevanza per lo stato di forma (sport olimpici)

Categoria Definizione Obiettivo Rilevanza per la forma

I – Gare di allenamento – Durante l’allenamento come – Solo indiretta, a lungo termine– Gare di controllo misura di intensificazione

(anche partite/tornei e di controllo del caricoamichevoli) globale e parziale vicino

a quello della gara

II – Gare o tornei di – Costruzione specifica – In parte indiretta, altrimenti costruzione, gare di della struttura della diretta, ma a medio terminequalificazione/gare di prestazione, soprattuttocontrollo nel caso di una struttura

– Gare pre-stagionali annuale con molti macrocicli– Gare di conclusione

del macrociclo

III – Gare introduttive (serie/tornei) – Formazione della forma – Diretta, a breve termine, per la– Selezione, qualificazione massima nella PIG realizzazione momentanea della– Gare stagionali importanti struttura della gara

(prima e dopo le gare più importanti della stagione)

IV – Gare più importanti della – Realizzazione del potenziale – Assolutastagione dell’atleta, vittoria, record

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vazione personale e i cambiamenti che vidovranno essere nella vita degli atleti edelle atlete.

7. Preparazione alla gara e difese immunitarie

Generalmente, se l’allenamento e l’attivitàdi gara degli atleti e delle atlete sonoorganizzati in modo razionale, non sonocaratterizzati da fenomeni di superallena-mento, di eccesso di sforzo e malattie.Però, si deve tenere conto che alcuni atletidi alto livello presentano punti deboli nelloro sistema funzionale di movimento, percui possono essere predisposti verso que-sto tipo di fenomeni. Sia precedentemente, sia anche durante lapreparazione alla gara si deve fare atten-zione a stabilire l’andamento dello svilup-po della struttura individuale della presta-zione e della forma massima degli atleti edelle atlete. Tutti i dati che possono esserefacilmente rilevati forniscono un’informa-zione rapida sullo stato e le prospettivedella capacità di prestazione.Un indicatore della diminuzione dellacapacità di prestazione è rappresentato daun decremento degli indici del sistemaimmunitario, che, durante la tappa di garae soprattutto nella fase di preparazione adesse, comporta una azione negativa sullaforma massima. In una preparazione dosata in modo otti-male, lo stato immunitario resta stabilefino al periodo di gara. Ne fornisce laprova l’esempio del confronto tra duegruppi di pattinatori su ghiaccio di velo-cità, nei quali il carico di allenamento erastato strutturato in modo diverso (cfr.Volkov et al. 1995) (cfr. tabella 2).Il primo gruppo, durante il periodo di pre-parazione svolgeva un grande volume diallenamento ininterrotto molto duro, maun allenamento moderato durante il perio-do di gara. Anche il secondo gruppo siallenava sei volte alla settimana, ma conuna mescolanza ottimale tra carico epause di recupero ed il suo carico di alle-namento nel periodo di gara era “duro”.Però, le sue prestazioni sportive ed i valoriimmunologici rimanevano stabili, rispettoal primo gruppo.

Traduzione di Mario Gulinelli. Titolo originale:Die Wettkampfvorbereitung im Systemansatz.L’articolo rappresenta la traduzione e l’adatta-mento in vista della pubblicazione del 5. capitolodel libro di G. Thieß, P. Tschiene (a cura di),Handbuch zur Wettkampflehre, edito nel 1999dalla Meyer & Meyer Verlag.

Si ringrazia la Casa editrice Meyer & Meyer peravere concesso il permesso di pubblicazione.

1° gruppo Valori iniziali Periodo di preparazione

Giugno OttobreI II I II I II

1 2,76±0,8 80±12,3 1,46±0,33 61±12,3 0,74±0,24 54±1,8p<0,05 p<0,05 p<0,05 p<0,05

2 3,2±0,4 78,2±6,8 2,86±0,2 85±7,2 3,0±0,15 78±9,9

2° gruppo Periodo di gara

Dicembre Febbraio MarzoI II I II I II

1 1,46±0,03 58,±12,3 2,7±0,3 57±12,0 1,72±0,25 55,3±8,4p<0,05 p<0,05

2 3,24±0,33 84±9,9 0,68±0,25 45±6p<0,05 p<0,05

Legenda: I - indice fagocitario; II - % dei leucociti attivi

Tabella 2 – Attività fagocitaria dei leucociti in atleti praticanti pattinaggio su ghiaccio di velocitàdurante il periodo di preparazione e di gara (cfr. Volkov et al. 1995, 13

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Bibliografia

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La fatica: aspetti generali e periferici

Gian Nicola Bisciotti, CRIS-UFRAPS, Università Claude Bernard, Lione; Scuola universitaria interfacoltà di scienze motorie, Torino; Consulentescientifico Internazionale FC, Milano; Pier Paolo Iodice, Raffaele Massarelli, CRIS-UFRAPS, Università Claude Bernard, Lione; Marcel Sagnol,Laboratoria allenamento e prestazione, UFRAPS, Università Claude Bernard, Lione

1. Introduzione

Nel corso degli ultimi trent’anni, il concet-to di fatica si è piuttosto modificato ed inun certo senso “evoluto”. Prima degli anni’70, infatti, fisiologicamente, la nozione difatica era essenzialmente un sinonimo del-l’esaurimento delle scorte energetiche,prevalentemente dell’ATP e dell’accumulodi sostanze inibitrici nei confronti dei mec-canismi di ripristino energetico (Wester-blad et al. 1991). Solamente a partire daglianni ’80 si è cominciato ad interpretare ilfenomeno come multifattoriale e reversi-bile, considerando anche, sia la sua diversavelocità, sia i suoi differenti termini d’in-sorgenza.Più tardi, a cominciare dagli anni ’90, si èpotuto assistere ad un crescente consoli-damento dei concetti di plasticità musco-lare, dei meccanismi di ottimizzazionedella produzione di forza da parte del

Il fenomeno della faticaha un’eziologia multifattoriale,non sempre facilmente identificabilee la cui interpretazione, spesso,comporta numerosi dubbi e nonpoche contraddizioni concettuali.Classicamente si tende a suddividereil fenomeno in fatica perifericae fatica centrale, attribuendoalla prima cause prevalentementemetaboliche ed alla seconda, invece, motivazioni essenzialmentedi tipo neurale. Tuttavia il quadrogenerale non è sempre cosìperfettamente distinguibile ed i varifattori scatenanti si sovrappongonomolto spesso in manieraindistinguibile, rendendola situazione di difficile letturainterpretativa. In questa breverassegna si cerca di fare il puntosullo stato attuale di conoscenzadella problematica inerentel’insorgenza della fatica, siaperiferica, che centrale,sottolineando i molti punti di dubbioed i possibili futuri campi d’indagine.

Il punto sullo stato attuale delle conoscenze sui fattori che provocano la fatica

Foto Martinez

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muscolo e della sua ricerca di “attivazioneeconomica”, nonché, più recentemente,all’apparizione del concetto di formazionedi complessi sub-cellulari tra i sistemi bio-logici e gli elementi ultrastrutturali, legatoal concetto di formazione di micro-ambienti (Korge, Campbell 1995). Autori come Korge e Campbell, mettono indiscussione il fatto che uno dei fattori sca-tenanti il fenomeno della fatica possaessere costituito dalla mancanza di ATP,dal momento che la deplezione di ATPviene efficacemente controbilanciata dallasua rigenerazione attraverso un fenomenodi down-regulation anche nel muscoloaffaticato. Potenzialmente questo fenome-no di down-regulation potrebbe esseresvolto da alcuni prodotti della reazioneATPasica1, come dall’accumulo di Pi od H+.I due Autori sottolineano come esistanoevidenze sperimentali che dimostrano cheil legame della creatinchinasi e degli enzi-mi glicolitici nella vicinanza dei siti d’idro-lisi dell’ATP ed il loro accoppiamento fun-zionale con i meccanismi di rigenerazionedell ’ATP, potrebbe creare un “micro-ambiente” che avrebbe un importanteruolo nella regolazione della funzioneATPasica. Un’importante funzione in que-sto fenomeno di rigenerazione dell’ATPpuò essere assunto dal valore ottimale diratio locale ADP/ATP, che sembrerebbeparticolarmente importante nel caso di unelevato turnover dell’ATPasi. Sfortunata-mente, nel muscolo in vivo, non è datoconoscere il massimo rateo locale di rige-nerazione dell’ATP, in funzione della suaidrolisi. Questa mancanza di conoscenza di datiprecisi è principalmente dovuta al fattoche, nella determinazione in vitro, questovalore viene, di fatto, sistematicamentesottostimato. Ed è proprio negli anni ’90(Atlan et al. 1991) che appare per la primavolta il temine anglosassone wisdom (chetradotto letteralmente significa saggezza)che descrive il sistema di protezione ditipo progressivo, messo in atto dal musco-lo contro il fenomeno della necrosi. I due principali processi implicati nell’in-sorgenza del fenomeno della fatica, chesono costituiti dalla trasmissione delsegnale nervoso e dalla catena energeticametabolica, sono fortemente interagenti esi sovrappongono costantemente, costi-tuendo in tal modo, sia singolarmente, chesinergeticamente, la causa scatenantedella fenomenologia. La bibliografia ine-rente la problematica fisiologica della fati-ca è vastissima (si possono trovare oltre3800 articoli scientifici sull’argomento) ecostellata di numerose divergenze inter-pretative riconducibili, essenzialmente, aproblemi di standardizzazione e riproduci-bilità tra i vari protocolli d’indagine.

Soprattutto la trasposizione di dati otte-nuti in vitro, rispetto alla situazione invivo, è alquanto deludente. Occorre anchenotare che, sia i criteri di ordine biomecca-nico, sia quelli di tipo prettamente biologi-co, inerenti il fenomeno della fatica sonosovente mal definiti, dal momento cheoccorre ricordare che la fatica e, conse-guentemente, la sua modalità d’insorgen-za, è “compito-specifica”, ossia presentauna forte specificità nei confronti dell’atti-vità che la ha indotta (Allen et al. 1995;Fitts, Metzger 1993; Fitts 1996; Green1997; Mc Lester 1997; Sejersted et al.1998; Westerblad et al. 1991). D’altrocanto anche la classica forma iperbolicache descrive il rapporto tra tempo limite ela percentuale di forza massimale utilizza-ta nel corso dell’esercizio, ci sottolinea l’a-spetto fortemente multifattoriale del feno-meno (Rohmer 1968).In questo lavoro prenderemo in esame iprincipali fattori che determinano l’insor-genza della fatica periferica e della faticacentrale per poterci meglio rendere contodella complessità del problema e del suoaspetto “multiparametrico”, che rendeimpossibile poter imputare ad un solo fat-tore l’insorgenza del fenomeno.

2. La fatica periferica

Come già accennato, il fenomeno dellafatica è stato indagato tramite l’utilizzo disvariati protocolli di studio, il più dellevolte difficilmente riproducibili e standar-dizzabili ed, in ultima analisi, scarsamenteconfrontabili. Le metodiche maggiormenteutilizzate sono costituite da sperimenta-zioni su muscolo isolato oppure in vivo, siasull’animale sia sull’uomo. Un grandeapporto metodologico è stato rappresen-tato, verso la fine degli anni ’70, dall’av-vento della Risonanza Magnetica Nucleare(RMN), che ha reso possibile lo studio noninvasivo ed in tempo reale dei meccanismienergetici cellulari, come, ad esempio, laconcentrazione muscolare di protoni. Gra-zie all’avvento di questa nuova tecnica si èpotuto dare vita a tutta una serie dimodelli che hanno tentato e tentano didescrivere, con la maggior precisione pos-sibile, tutte le tappe che portano alla pro-duzione di forza all’interno del muscolo inattività. Tuttavia, indipendentemente dalletecniche di indagine utilizzate, il concettodi fatica varia in funzione dei diversi Auto-ri. Alcuni, infatti, adottano come criteriovalutativo variabili di tipo biomeccanico,come la tensione muscolare, altri invecepreferiscono adottare parametri di ordinebiologico, come la concentrazione di alcu-ni composti, oppure l’attività di alcunienzimi o di alcuni complessi molecolari. Daun punto di vista prettamente metodolo-

gico, i tre tipi di metodo di lavoro mag-giormente utilizzati nei protocolli d’indagi-ne della fatica muscolare sono costituitidalla contrazione isometrica di tipo conti-nuo, dalla contrazione isometrica di tipodiscontinuo e dalla contrazione isotonicadiscontinua. Questa ultima modalità dilavoro può essere svolta eccentricamente,concentricamente, attraverso la modalitàisocinetica, oppure, grazie ad una combi-nazione di queste differenti possibilità. Ladurata, la progressività e l’intensità delleesercitazioni proposte nei vari tipi di pro-tocollo utilizzati sono le più svariate ecostituiscono un ulteriore problema inter-pretativo.

2.1 I meccanismi ed i siti implicati nell’insorgenza della fatica: il ruolo delle pompe Na+/K+ ATPasi e Ca++ ATPasi

Come è noto il segnale chimico prodottograzie all’acetilcolina, si traduce a livellodel sarcolemma nuovamente in segnaleelettrico. Infatti, se una quantità sufficien-temente elevata di questo neurotrasmetti-tore si lega ai recettori post-sinaptici,aumenta la permeabilità del sarcolemmastesso nei confronti del sodio, da qui risul-ta una depolarizzazione della membrana ela propagazione di un potenziale di azioneche si propaga lungo il sarcolemma. Que-sto potenziale viene in seguito trasmessoai tubuli traversi (sistema T) verso l’internodella cellula. In questa sequenza di eventisono implicate, sia la pompa Na+/K+ ATPa-si, al livello del sarcolemma, che la pompaCa++ ATPasi, a livello del reticolo sarcopla-smatico. Le due pompe regolano i gradien-ti ionici trans-membranari che sononecessari al fenomeno eccitatorio edall’attivazione dell’accoppiamento acto-miosinico. La pompa Ca++ ATPasi presentauna forte specificità in rapporto ai vari tipidi fibra e ne condiziona la velocità di con-trazione, al contrario la pompa Na+/K+

ATPasi presenta poche differenze in rap-porto alla tipologia delle fibre muscolari. Numerose sperimentazioni, effettuate sumuscolo in vivo, dimostrano come il bloc-caggio di queste due pompe, causi unabbassamento della capacità di contrazio-ne (Nielsen, Harrison 1998). Alla fine di unesercizio condotto ad esaurimento il ritor-no ad uno stato di omeostasi della pompaNa+/K+ ATPasi, si presenta più rapido diquello relativo alla pompa Ca++ ATPasi(Green 1998), tuttavia l’alterazione dellafunzionalità della pompa Na+/K+ ATPasi,che si verifica in condizioni di fatica, alterasignificativamente il gradiente membrana-rio del potassio (McLester 1997). Durantegli esercizi prolungati, soprattutto svolti aduna certa intensità, si verifica un’impor-

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tante fuoruscita di potassio, tale da esserenotabile anche a livello della differenzaartero-venosa del catione stesso. La ridu-zione del potenziale di azione che ne con-segue, che è dell’ordine di circa il 50%,potrebbe essere sufficiente per modificarela funzionalità dei tubuli traversi ed impe-dire la liberazione di Ca++ dal reticolo sar-coplasmatico, situazione che porterebbead una diminuzione della capacità di pro-duzione della forza da parte del muscolo(Nielsen, Overgaard 1996; Rios et al. 1991;Rios, Pizzarro 1988). La capacità di resi-

stenza contrattile, sembrerebbe quindidipendere dall’efficienza della pompaNa+/K+, anche se per alcuni Autori (Sjo-gaard 1996), il ruolo del potassio nell’in-sorgenza della fatica dipenderebbe dallanatura della sperimentazione (in vivooppure in vitro) e dall’intensità del lavoroimposto. Infatti, in vivo ed a bassa inten-sità di lavoro, il ruolo del potassio nelfenomeno d’insorgenza della, fatica sareb-be alquanto limitato e l’apparizione diquest’ultima dipenderebbe essenzialmenteda una disfunzionalità del sistema T (Sjo-

gaard 1996). Al contrario, nel caso in cuisiano presenti un’alta frequenza ed unimportante intensità di contrazione, siverifica una significativa elevazione delgradiente extracelluare di potassio che siaccompagna, sia ad una diminuzione delpotenziale di membrana, sia del potenzialedi azione e di velocità di propagazione del-l’onda elettrica (Sjogaard 1996). Questo aumento del gradiente extracellu-lare di potassio, influenzerebbe, a suavolta, il fenomeno di retrocontrollo deldebito sanguigno muscolare locale, la cui

Figura 1 – Successione dei processi che producono la contrazione ed il rilassamento del muscolo (numeri da 1 a 9), e ruolo svolto dal calcio

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conseguenza potrebbe essere la stimola-zione di chemiorecettori arteriosi cheindurrebbero un aumento della pressionearteriosa (Paterson 1996). Il ruolo delpotassio nell’insorgenza della fatica ver-rebbe ulteriormente confermato dal fattoche, in numerose sperimentazioni nellequali veniva aggiunto potassio nell’am-biente cellulare, si verificava inequivocabil-mente una diminuzione della produzionedi forza, anche in un muscolo inizialmentenon affaticato (Sjogaard 1996). Nelle spe-rimentazioni in vitro, al contrario, non èpossibile attribuire al potassio un ruoloparticolarmente importante nell’insorgen-za della fatica, a causa della sua diluizioneimmediata nell’ambiente cellulare. Nelleesperienze in vitro, è piuttosto il calcio chesi presenta sempre ben correlato alla pro-duzione di forza. Tuttavia, occorre riportare come in biblio-grafia sia possibile ritrovare protocolli spe-rimentali nei quali l’affaticamento soprav-viene senza che peraltro si potessero regi-strare significativi incrementi del potassioextra-cellulare (Sjogaard 1996). Infatti, inalcune di queste situazioni, il potenzialemembranario e l’ampiezza del potenzialed’azione rimanevano sostanzialmente sta-bili, anche in presenza del fenomeno diaffaticamento e l’aumento del gradienteextra-cellulare di potassio poteva addirit-tura influenzare positivamente la produ-zione di forza. Questi dati ci fanno, quindi,chiaramente intuire come il potassio nonsia l’unico elemento responsabile dellafatica muscolare e come comunque nonagisca sempre in modo diretto. Altri fenomeni che potrebbero essere col-legati all’insorgenza della fatica, riscontra-bili nelle sperimentazioni in vivo, possonoessere costituiti dall’apparizione di sostan-ze antagoniste dell’acetilcolina a livellodella giunzione neuro-muscolare, oppuredall’accumulo di protoni.

2.2. Il calcio intracellulare e l’accoppiamento eccitazione-contrazione

All’interno della cellula, l’insorgenza dellafatica sembra legata ad una fenomenolo-gia piuttosto complessa concernente,sostanzialmente variazioni, sia nella distri-buzione e nei legami, oltre che nella con-centrazione e nei movimenti, del calcio(Will iams et al . 1995). Alcuni lavori(Westerblad et al. 1990), in effetti, mostra-no come, dopo un periodo di contrazionetetanica ad alta frequenza, compreso tra i5 ed i 10 secondi, la concentrazione diCa++ risultasse minore al centro della fibrain rapporto a quanto non fosse al bordodella fibra stessa. Questo dato indichereb-be un deficit di liberazione al centro della

fibra, probabilmente dovuto ad un difettodel potenziale di azione del sistema T.Occorre a questo proposito considerareche, dal momento che il sistema T non èsolamente devoluto a veicolare il poten-ziale d’azione, ma anche ad indurre unasorta di retroregolazione nei confronti del-l’accumulo degli ioni calcio, un loro cospi-cuo aumento potrebbe elevare la soglia dipropagazione del potenziale d’azione delsistema T stesso (McLester 1997). Nono-stante tutto, comunque, il ruolo del siste-ma T e del reticolo sarcoplasmatico nell’in-sorgenza della fatica periferica, non èancora del tutto chiaro, anche se alcuniAutori (Chin, Allen 1998; Linde e coll.1998) concordano nell’associare la faticacon almeno tre meccanismi legati al calcio,dei quali i primi due sono costituiti da unadiminuzione sia della sua liberazione, siadel suo ripompaggio da parte del reticolosarcoplasmatico ed il terzo è rappresenta-to da un abbassamento della sensibilitàdelle miofibrille, sempre nei confronti delCa++ stesso. Anche il pH locale, comevedremo in seguito, potrebbe giocare unqualche ruolo attivo in questo tipo di mec-canismo. In definitiva, dunque, tutte que-ste modificazioni, riguardanti la concen-trazione del Ca++ intracellulare, costitui-scono una forte causa di perturbazione delmeccanismo di accoppiamento eccitazio-ne-contrazione, anche se occorre sottoli-neare che la diversa tipologia delle fibre èdifferentemente influenzata da questacatena di eventi. Le fibre ossidative, infatti,vengono meno perturbate dalle variazionidella concentrazione di Ca++ intracellulare,durante il loro ciclo di accoppiamentoeccitazione-contrazione, rispetto alle fibreglicolitiche (Stephenson et al. 1998). Que-sto diverso comportamento potrebbe spie-gare, almeno in parte, la loro maggioreresistenza alla fatica.

2.3 Il ruolo dell’acidosi

Il metabolismo dell’ATP è strettamentelegato a quello dei protoni ed all’equilibrioacido-basico del sarcoplasma (Sahlin1994; Linderman, Gosselink 1994). Ineffetti, la quasi totalità delle reazioni ossi-dative concernenti l’ATP, comprese la suaidrolisi e la sua reintegrazione, vedono unaliberazione ed un’assunzione di protoni daparte dell’ambiente. L’idrolisi di una mole-cola di ATP libera un protone, la glicolisianaerobica citoplasmatica forma 2 mole-cole di ATP per ogni molecola di glucosioutilizzata, con la conseguente liberazionedi due protoni, come d’altro canto la glico-genolisi, nella quale vengono prodotte tremoli di ATP per ogni mole di glicogeno ecomunque vengono rilasciati nell’ambientecellulare due protoni. Il meccanismo anae-

robico alattacido, al contrario, ha un bilan-cio protonico nullo, essendo la scissionedella fosfocreatina un meccanismo blan-damente alcalinizzante (Wooledge 1998).A riposo, o nel corso dell’esercizio svolto abassa intensità, il sistema è leggermentesbilanciato verso un modico accumulo diprotoni, dal momento che, in simili condi-zioni, la loro produzione risulta maggiore,seppur leggermente, del loro recupero, chesi attua attraverso le vie di resintesi del-l’ATP. Il sarcoplasma riesce, comunque, amantenere nel corso del lavoro pocointenso, un pH relativamente stabile graziesia all’intervento di numerosi sistemi tam-pone, sia alla fuoruscita dalla cellula diprotoni e di gas carbonico. Questi sistemisono particolarmente efficaci, basti pensa-re che, in totale assenza di tamponi cellu-lari, il pH cellulare scenderebbe a 1,5(Rouillon e Candau, 2000). Alcuni di questiprocessi, come, ad esempio, il meccanismodi trasporto dei bicarbonati, sono statiscoperti solo di recente, tanto è vero che,nel 1994, Linderman, Gosselink sosteneva-no ancora l’impermeabilità del sarcolemmanei confronti del bicarbonato. È facilmentecomprensibile dunque come, nonostante illoro indubbio interesse nei confronti delfenomeno della fatica, questi aspetti sianoancora molto inesplorati e poco conosciu-ti. Possiamo comunque dire che il poteretampone del muscolo scheletrico risultamaggiore di quanto non sia quello pla-smatico, ma minore di quello eritrocitarioe che i principali sistemi tampone sonocostituiti dal sistema bicarbonato/acidocarbonico, dal sistema proteina/proteina-to e dal sistema fosfato monoprotonico-fosfato diprotonico. Dal momento che,negli esercizi di alta intensità, la cui duratavada oltre qualche secondo, la risintesidell’ATP avviene essenzialmente tramite ilmeccanismo anaerobico lattacido, la con-centrazione di protoni nell’ambiente crescerapidamente, superando ben presto le pos-sibilità di controllo del sistema tampone. Ilrisultato è un rapido abbassamento del pHsarcoplasmatico (Mannion et al. 1995). Laperfusione degli ioni H+ dalla fibra musco-lare al torrente circolatorio, avviene conuna velocità di circa 30 volte maggiorerispetto a quanto non sia per lo ione latta-to (La-). Ciò grazie alla loro minor dimen-sione (Shepard 1986). Circa un terzo degliH+ non sarebbe comunque associato agliLa-; questo starebbe ad indicare l’impor-tante ruolo giocato in questo senso dalsistema di scambio sodio/protoni e daisistemi bicarbonato-dipendenti (Bangsbøet al. 1990). Il ruolo dell’abbassamento delpH nell’insorgenza del fenomeno dellafatica è un argomento molto indagato eper alcuni aspetti controverso (Allen et al.1995; Chin, Allen 1998; Fitts, Metzger

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1993; McLester 1997; Westerblad et al.1991) e l’elenco delle conseguenze fisiolo-giche che i vari Autori attribuiscono all’a-cidosi è molto lungo:

• diminuzione dell’attività della pompasodio/potassio con conseguente apertu-ra dei canali potassici;

• diminuzione della fissazione del calciosulla troponina, dato il suo antagonismocon gli H+;

• diminuzione nella formazione del nume-ro di ponti acto-miosinici;

• diminuzione della velocità di accorcia-mento;

• diminuzione dell’energia cellulare dovutaad un abbassamento dell’attività enzi-matica, principalmente della fosfofrutto-chinasi;

• diminuzione della miosina ATPasi (chevede il suo pH ideale situato a 7,2);

• diminuzione sia dell’uscita di calcio, chedi protoni dalla cellula;

• aumento della rigidità delle proteine.

Tutto questo quadro viene ulteriormenteaggravato in condizioni d’ipertermia .Numerosi studi confermano il ruolo effet-tivo sostenuto dall’acidosi muscolare nel-l’insorgenza della fatica nel corso di eser-cizi svolti ad alta intensità e di mediadurata (Linderman, Gosselink 1994). D’al-tro canto, una controprova indiretta del-l’importanza dell’abbassamento del pHmuscolare nel fenomeno della fatica, èrappresentata dall’aumento della massamuscolare stessa e quindi del potere tam-pone del muscolo, in seguito ad alcuni tipidi allenamento (Juel 1998). Tuttavia sonomolte le perplessità espresse in meritoall’abbassamento del pH come maggioreresponsabile della situazione di affatica-mento periferico. Quelle che potremmodefinire come “divergenze interpretative”,vanno dalla messa in discussione deimetodi d’indagine utilizzati, come adesempio il fatto che nella fibra isolata iprotoni escono più velocemente di quantonon facciano nella fibra in vivo, sino allacritica di alcuni aspetti maggiormente spe-cifici. Secondo alcuni Autori, il lattato nonsarebbe né il solo, né tanto meno il princi-pale fornitore di protoni nel corso dell’e-sercizio muscolare. Secondo i dati riportatida Sahlin (1992), il pH riscontrato su di unprelievo bioptico muscolare in condizionidi riposo e di fatica, passa da un valore di7,1 a quello di 6,6. In queste condizioni laconcentrazione di lattato aumenta, pas-sando da 1 a 30 mmol · l-1 di acqua intra-cellulare. Contemporaneamente la degra-dazione di PCr e di ATP, prima in ADP esusseguentemente in AMP, provoca laliberazione di grandi quantità di acidofosforico (H3PO4) che vede aumentare la

sua concentrazione da 17 a 49 mmol · l-1

di acqua intracellulare. Sapendo che il pHrappresenta il logaritmo decimale su basenegativa (ossia dell’inverso) della concen-trazione di protoni, possiamo calcolare, siala concentrazione di protoni prima dell’e-sercizio (79 nmol · l-1 : 1 nmol = 10-6

mmol), che quella riscontrabile dopo l’e-sercizio stesso (251 nmol · l-1). In quest’au-mento di concentrazione di protoni post-esercizio che è, quindi, di 172 nmol · l-1, ilcontributo della degradazione dei compo-sti fosforici ad alta energia (PCr, ATD, ADP)sarebbe di 1,5 volte maggiore rispetto aquello del lattato (Sahlin 1992). Sempre Sahlin (1992) ed altri Autori (Hir-vonen et al. 1987; 1992), farebbero osser-vare come, durante un esercizio di brevedurata svolto ad alta intensità, la degrada-zione di PCr e l’accumulo di lattato sianotra loro in un rapporto molto vicino, senon eguale, ad 1:1. In altri termini, questiAutori sottolineano il fatto che, quando laconcentrazione di lattato aumenta di 1mmol · l-1, quella di PCr diminuisce dialtrettanto. Come è noto, la formazione diuna mole di creatina, proveniente dalladegradazione di una mole di PCr, permettel’eliminazione di una mole di protone e diuna mole di lattato. In tal modo la degra-dazione della PCr tamponerebbe la granparte dei protoni forniti dalla glicolisianaerobica. Se è indubbio che la contra-zione muscolare, effettuata al di là di unacerta intensità, provochi un abbassamentodel pH, che è a sua volta responsabile del-l’inibizione della PFK (fosfosfofruttochina-

si), l’enzima chiave della glicolisi lattacida.È altrettanto vero che il fenomeno cheinteragisce tra questi due fattori, acidifica-zione dell’ambiente ed inibizione della PFK,non è sempre perfettamente chiaro. L’atti-vità ottimale dell’enzima PFK si trova adun pH di 7,03, ossia molto vicino al pH chepresenta il muscolo a riposo; la caduta delpH sino a valori di 6,63, livelli d’altro cantofacilmente raggiungibili nel corso di un’e-sercitazione intensa, vede in effetti abbas-sarsi praticamente a zero l’azione dell’enzi-ma chiave del meccanismo glicolitico. Tut-tavia, anche in simili condizioni, un certonumero di composti presenti a livellomuscolare sono in grado di rimuovere l’a-zione inibitrice svolta dai protoni sulla PFKstessa. Ad esempio, ad un pH pari a 6,63,l’aggiunta di fosfato inorganico, sino alraggiungimento del livello di 20 mmol · l-1,riporta l’attività enzimatica della PFK acirca il 40% delle sue capacità (assumendocome 100% dell’attività della PFK quellaregistrabile a pH 7,3). Anche l’aggiunta diADP, in ragione di 0,5 mmol · l-1 riportal’attività enzimatica della fosfofruttochi-nasi al 55% delle sue piene potenzialità,mentre queste ultime rimontano sino aben il 70% dopo l’aggiunta di una purscarsa quantità di fruttosio 1,6 bifosfato,composto, quest’ ultimo, che sappiamoessere ben presente nel muscolo in atti-vità, nel quale svolge peraltro degli impor-tanti ruoli di regolazione (Perronet 1994). Questi dati potrebbero, quindi, inficiare lateoria, secondo la quale l’accumulo di lat-tato ed il conseguente abbassamento del

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pH, inibirebbero l’attività della PFK, o permeglio dire, sottolineerebbero il fatto chetale fenomeno sia perfettamente osserva-bile in sperimentazioni effettuate sumuscolo isolato, ma non altrettanto evi-dente sul muscolo in vivo, nel quale il livel-lo di ATP e di fruttosio 6 fosfato (da cuiper fosforilazione da parte dell’ATP derivail fruttosio 1,6 bifosfato) sono molto piùelevate. Anche il ruolo dell’abbassamento del pHsull’apparato contrattile potrebbe esserecomunque messo in discussione. È cono-scenza comune l’antagonismo esistentetra i protoni e gli ioni calcio sui siti di lega-me della troponina. Questo sarebbe ineffetti un meccanismo di difesa delmuscolo che, inibendo appunto il mecca-nismo di contrazione in presenza di un pHeccessivamente basso, previene i possibilidanni che potrebbero conseguire al perdu-rare della contrazione muscolare in unambiente estremamente acido. Tuttavia, sesi osserva l’andamento, durante la fasesuccessiva ad un esercizio muscolareintenso, del ripristino del pH e delle capa-cità contrattili del muscolo, possiamoquantomeno mettere in dubbio le affer-mazioni precedenti. Dopo una contrazionedi tipo isometrico, mantenuta sino a quan-do la forza espressa non cada al 50% dellaforza massimale volontaria, si registra ineffetti un pH molto basso (6,1-6,6). Duran-te la fase di recupero, il pH ritorna versovalori normali solamente in tempi moltolunghi dell’ordine di circa dieci minuti.Inoltre, durante i primi due min circa dellafase di recupero il pH continua ad abbas-sarsi, nonostante l’interruzione del lavorofisico. Questa ulteriore acidificazione del-l’ambiente muscolare è dovuta alla libera-zione di protoni che avviene durante laresintesi della creatina in PCr. Nonostanteil fatto che il ritorno del livello del pHverso i valori di riposo sia un processorelativamente lento, cioè dell’ordine di unadecina di minuti, come abbiamo detto, ilmuscolo riesce a ristabilire le sue capacitàcontrattili in un arco di tempo molto piùbreve. Infatti, dopo il mantenimento di unacontrazione isometrica che prosegua sinoa che la forza generata non cada a valoripari al 50% della massima forza isometri-ca, il muscolo recupera completamente,ritornando quindi in grado di generarenuovamente la stessa forza, dopo unperiodo di riposo compreso tra i due ed itre minuti (Sahlin, Ren 1989). Nel corsodello stesso studio, i due Autori notaronocome, dopo due minuti di recupero, ladiminuzione del livello degli H+ dovuta allametabolizzazione del lattato, fosse com-pletamente controbilanciato dal rilascio dialtri H+ dovuti alla resintesi della PCr.Quindi, il fatto che il muscolo possa ritro-

vare le sue piene capacità contrattili anchein mancanza di un innalzamento del pH,getta numerosi dubbi sull’assunto secondoil quale l’abbassamento del pH, dovutoall’accumulo di lattato, sia il responsabiledell’inibizione contrattile del muscolo equindi il responsabile dell’insorgenza delfenomeno della fatica periferica. Per cui,anche se in effetti la fatica muscolareappare in presenza di un abbassamentodel pH, le evidenze sperimentali, in tuttorigore, escluderebbero un rapporto dilinearità tra pH e forza e/o pH e fatica enon permetterebbero di andare al di là diuna relazione di coincidenza tra i duefenomeni in causa (Chin, Allen 1998). D’al-tro canto, in bibliografia, esistono nume-rosi esempi di sperimentazioni che riferi-scono l’insorgenza del fenomeno dellafatica anche senza il verificarsi di acidosimuscolare (per una review vedi Allen et al.1995). Alcuni Autori, infine, proporrebberodi considerare la fase del recupero in dueperiodi distinti, il primo dei quali, conside-rabile come periodo di recupero rapido,sarebbe caratterizzato da un veloce ritornoverso lo stato basale del meccanismo diaccoppiamento eccitazione/contrazione edi regolazione del calcio e risulterebbe pH-indipendente, ed un secondo, più lento,che sarebbe, almeno in parte, legato alritorno verso i valori basali, sia dei protoni,che dei fosfati (Fitts, Metzger 1993). Tutta-via, occorre comunque ricordare che alcu-ni studi recenti, svolti su modello animale,nei quali una perfusione di La (con conco-mitante mantenimento del pH a valoribasali) faceva registrare una diminuzionedella forza contrattile (Hogan et al. 1995),potrebbero riaprire il dibattito sul ruolo dellattato nell’insorgenza della fatica. Pergiustificare questi risultati, gli Autoriavanzavano l’ipotesi dell’aumento dellaforza ionica che sarebbe la responsabile diun’alterazione nella formazione dei pontiacto-miosinici. In questo senso va ancheun'altra sperimentazione, sempre effettua-ta su modello animale, nella quale gliAutori concludono che l’aumento di Lapossa avere un effetto negativo sullacapacità di produzione di forza da partedel muscolo, probabilmente a causa di unmeccanismo d’inibizione nei confronti delrilascio di Ca++ da parte del reticolo sarco-plasmatico (Stephenson et al. 1998).

2.4. Il ruolo dei fosfati inorganici nella forma mono e diprotonica

I fosfati inorganici (Pi) sono metaboliti,derivanti dall’idrolisi dell’ATP e della PCr, ela loro concentrazione tende ad aumenta-re nell’ambiente, indipendentemente dalladurata dell’esercizio svolto. In bibliografiasi possono ritrovare numerosi lavori che

tendono ad evidenziare il ruolo svolto daqueste sostanze nella diminuzione dellaprestazione fisica, legata all’insorgenzadella fatica, oppure all’ischemia od all’i-possia. L’aggiunta di poche millimoli di Pinell’ambiente muscolare induce una dimi-nuzione della capacità contrattile, con unaconseguente diminuzione della produzionedi forza ed un cambiamento, sia del ciclooscillante, che dell’attività ATPasica. Vale lapena di soffermarci a questo punto sulmeccanismo del ciclo oscillante: quando lefibre muscolari oscillano a 5-15 Hz percirca il 2% della loro lunghezza di riposo,sono in grado di produrre un’importantepotenza meccanica, idrolizzando pratica-mente il doppio quantitativo di ATP perunità media di tensione, rispetto alla con-dizione statica. L’attività ATPasica risultacorrelata linearmente alla tensione mediaprodotta durante l’oscillazione. L’aggiuntadi Pi o di solfato riduce, sia il costo dellatensione, che la frequenza ottimale dioscillazione di lavoro, perturbando in talmodo il sistema (Pybus, Tregear 1975). I Pisono presenti a livello organico in dueforme: la prima monoprotonica e laseconda diprotonica, la cui proporzione dipresenza dipende dalla concentrazione deiprotoni presente nell ’ambiente. Nelmomento in cui il pH cellulare si abbassa,pressoché la totalità del Pi presente passaalla forma diprotonica. Questo passaggiodel Pi dalla forma monoprotonica a quelladiprotonica è correlato alla diminuzionedella forza contrattile, mentre questa cor-relazione non si registra con la formamonoprotonica. Questi effetti variano inrapporto alla tipologia delle fibre, con ogniprobabilità in ragione della diversa sensibi-lità che le fibre medesime presentano perciò che riguarda la loro attività ATPasicanei confronti del Pi. Nel caso di esercizi dibreve durata, svolti ad alta intensità, ilverificarsi di un rapido ed importanteaccumulo di Pi, dovuto al massiccio inter-vento del meccanismo anaerobico alatta-cido, costituisce uno dei più importantifattori responsabili dell’insorgenza dellafatica muscolare, assumendo in questocaso una valenza ancor maggiore di quellarivestita dai meccanismi di perturbazioneionica. Questo sarebbe tuttavia in contrad-dizione con quanto riportato da alcunistudi (Greenhaff 1995; Mujika, Padilla1997) che riferiscono come una supple-mentazione di creatina possa, aumentandole scorte di fosfocreatina, ritardare l’appa-rizione del fenomeno della fatica. In effet-ti, una supplementazione di creatina,generando Pi attraverso il fenomeno dell’i-drolisi, dovrebbe al contrario essere unfattore inducente la fatica (Sahlin et al.1998.). Anche durante le esercitazioni dilunga durata, svolte a bassa intensità, il

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sistema dei fosfageni, che in questo casosi trova accoppiato ad un forte fenomenodi idrolisi dell’ATP, può comunque indurreun fenomeno di elevazione della concen-trazione di Pi tale da comportare il passag-gio dei ponti actomiosinici dal loro livellodi alta produzione di forza a quello basso,fenomeno che potrebbe essere alla basedella teoria del sistema oscillante, comeproposto da Mc Lester (1997). L’allena-mento potrebbe giocare un ruolo sostan-ziale nell’incidenza dei fenomeni sopradescritti, inducendo una progressiva tolle-ranza a concentrazioni di Pi sempre mag-giormente elevate (Mc Lester 1997).

2.5. Il ruolo dell’adenosindifosfato

Recentemente, alcuni ricercatori hannorivolto la loro attenzione al possibile ruolosvolto dall’adenosindifosfato (ADP) nell’in-staurarsi del fenomeno della fatica perife-rica, prendendo in considerazione anche ilrapporto ADP/ATP (Allen et al. 1995; McLester 1997; Sahlin 1998). Questo compo-sto, come sottolineato nel modello energe-tico proposto da Mc Lester (1997), svolge-rebbe un ruolo di primo piano nel mecca-nismo di transizione dallo stato di bassa aquello di alta energia ed è, inoltre, consi-derabile a tutti gli effetti come il principaleresponsabile del distacco dei ponti acto-miosinici. Nel momento in cui la sua con-centrazione subisce un sostanziale aumen-to, l’ADP ostacola l’ATP nel meccanismo didistacco dei ponti actomiosinici, dimi-nuendo in tal modo la forza prodotta dalsistema oscillante. Questo effetto d’inibi-zione sul distacco dei ponti verrebbe ulte-

riormente enfatizzato in presenza di basseconcentrazioni di ATP.

2.6. Il ruolo della componente lenta del V

.O2 nel caso particolare della corsa

Durante uno sforzo ciclico, effettuato adun carico costante d’intensità inferiore aquella della prima soglia ventilatoria2,soprattutto se svolto in posizione erettacome nel caso della corsa, è possibilenotare un primo repentino incremento delV.O2, essenzialmente ascrivibile al veloce

aumento del flusso ematico polmonare,che caratterizza la prima fase denominatacardioritmica, alla quale fa seguito unaseconda fase, caratterizzata da un aumen-to meno ripido del V

.O2, legata all’arrivo del

flusso ematico proveniente dai distrettimuscolari attivi. Questa seconda faseporta, a sua volta, in circa tre min, al rag-giungimento della terza fase, detta distady-state, in cui il consumo di O2 si sta-bilizza. Nello svolgimento di un lavoroeffettuato ad un’intensità maggiore rispet-to alla prima soglia ventilatoria, la cineticadel V

.O2 cambia sostanzialmente. In questo

caso, infatti, alla seconda od alla terzafase, si sovrappone una nuova componen-te caratterizzata da una cinetica più lentache, appunto per questa sua caratteristica,prende il nome di componente lenta delV.O2 (figura 2). La componente lenta del

V.O2 (cl V

.O2) rappresenterebbe quindi un

“eccedenza” di V.O2 che, sino a determinati

carichi, consente il raggiungimento di unosteady-state ritardato. Nel caso, invece, incui i carichi di lavoro siano particolarmen-te intensi, non diviene più possibile il rag-

giungimento di uno stato di steady-stateed in tal caso la cl V

.O2 concorrerebbe al

raggiungimento del massimo valore di V.O2,

valore peraltro superiore a quello prevedi-bile dalla relazione V

.O2/carico sotto soglia

(W) e quindi al rapido raggiungimento del-l’esaurimento da fatica. La cl V

.O2 compor-

terebbe un aumento del costo V.O2/W, che

passerebbe dai circa 10 ml /W registrabilisotto-soglia, ai circa 12-13 ml/W osserva-bili durante il lavoro sopra-soglia (Maioneet al. 2001), evidenziando in tal modo unaperdita di efficienza muscolare. La cl V

.O2

viene pressoché unanimemente spiegatadai diversi Autori, attraverso fenomeniprevalentemente muscolari legati al pro-gressivo reclutamento, durante l’attivitàsvolta ad alta intensità, di fibre di tipo II, ilcui rendimento è minore rispetto a quelledi tipo I. La cl V

.O2 quindi farebbe parte

integrante del fenomeno della fatica esarebbe une delle principali cause, in atti-vità come la corsa, della progressiva ridu-zione dell’efficienza muscolare (Whipp,Wassermann 1970; Jacobsen et al. 1998).

3. La fatica centrale

Con il termine di fatica nervosa , ocentrale, si intende tutto quel complessodi fattori che determinano la diminuzionedella contrattilità muscolare, indipenden-temente dai fattori intramuscolari e/ometabolici. L’implicazione di fenomenicentrali nell’insorgenza della fatica èdimostrata da alcune sperimentazioni(Bigland-Ritchie et al. 1979), che dimo-strano come la stimolazione elettrica di uncomplesso muscolare affaticato, permetta

Figura 2 – La componente lenta del V.O2

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di recuperare una certa percentuale dellivello iniziale di forza. In questo tipo disperimentazioni, alcuni soggetti furonosottoposti ad un lavoro di tipo intermit-tente a carico del soleo, sino a che nonfosse stato raggiunto un livello di affatica-mento tale da diminuire la forza deldistretto muscolare sino al 50% della mas-sima capacità contrattile. Raggiunta unasimile situazione, gli Autori riferiscono dicome l’imposizione di una stimolazioneelettrica permetta di ritrovare un livello diforza pari all’80% del livello massimale,attribuendo in tal modo la differenza tra idue valori alla fatica di tipo centrale. Tut-tavia, occorre notare che il parziale recu-pero dei livelli iniziali di forza, indotto dal-l’elettrostimolazione, risulterebbe esseredipendente, sia dal gruppo muscolare con-siderato, sia dal tipo di esercitazione cheha causato la condizione di affaticamento,senza dimenticare lo stato motivazionaledel soggetto (Guézennec 2000). In ognicaso, questi dati sottolineerebbero come,in stato di affaticamento, il Sistema Ner-voso Centrale (SNC) sia incapace di gene-rare uno stimolo adeguato (Bigland-Rit-chie et al. 1979; Enoka, Stuard 1992). Oltrea questo effetto sulla fatica acuta, altriAutori hanno dimostrato come l’elettrosti-molazione sia in grado di permettere unparziale recupero dei livelli di forza persi inseguito ad un fenomeno di fatica cronicacome quello costituito dal sovrallenamen-to (Bayley et al. 1993). Tuttavia questo tipodi sperimentazioni, basate sulla contrazio-ne elettroindotta, non riesce a dimostrareappieno il ruolo che il comando nervoso,proveniente dal SNC, ricopre nell’insorgen-za della fatica. L’elettrostimolazione, infat-ti, può indurre anche un potenziamentodel comando nervoso periferico, provocan-do in tal modo un aumento in toto delcomando nervoso che arriva a livellomuscolare. Per questo motivo, quindi, lastimolazione elettrica non può essere con-siderata come una tecnica specificatamen-te rivolta all’indagine del fenomeno dellafatica indotta da un deficit di funziona-mento del SNC. Non mancano comunqueesempi in letteratura che, proprio perdimostrare senza possibilità di dubbi ilruolo del SNC nell’insorgenza del fenome-no della fatica, hanno utilizzato come tec-nica di studio la stimolazione diretta dellacorteccia motoria. In quest’ambito unostudio condotto da Maton sui primati(1991), utilizzando una tecnica di registra-zione dell’attività elettrica cerebrale deineuroni della corteccia motoria primaria,tramite un impianto elettrodico intracrani-co, dimostrò come la contrazione ad esau-rimento del bicipite brachiale comportasseuna diminuzione dell’attività elettrica deineuroni considerati. Il ruolo ricoperto dalla

corteccia motoria primaria nell’insorgenzadella fatica, è stato confermato, in seguito,anche nell’uomo, grazie all’utilizzo di unatecnica non invasiva, costituita dalla sti-molazione della corteccia primaria tramitedei campi magnetici intensi (Gandevia etal. 1996). Attraverso questo studio, gliAutori hanno potuto dimostrare come lasuperimposizione di una corrente magne-tica transcranica permetta di diminuireparzialmente gli effetti che la fatica provo-ca sulle possibilità di mantenimento dellaforza contrattile. Tuttavia, occorre notareche una parte degli effetti della fatica nonpuò comunque essere spiegata attraversol’utilizzo di queste tecniche. In ogni caso,tutte le sperimentazioni che si basanosulla stimolazione, effettuata a diversilivelli del tratto nervoso, permettono diformulare la verosimile ipotesi dell’esisten-za di una fatica di ordine centrale, eviden-ziabile attraverso una diminuzione delcomando nervoso preposto alla contrazio-ne muscolare, anche se il ruolo dei fattoridi ordine metabolico periferico gioca unruolo predominante per ciò che riguarda ladiminuzione delle capacità contrattilimuscolari. Inoltre, alcuni aspetti della fati-ca di ordine centrale restano ancora dachiarire completamente, come, ad esem-pio, il fatto che il fenomeno sia riconduci-bile ad un meccanismo inibitorio che sipresenterebbe a livello di alcuni gruppi dineuroni, oppure sia piuttosto costituito daun fenomeno inibitorio più generalizzato,causato da meccanismi che agiscono alivello globale sull’insieme delle funzioninervose. La risposta a questo tipo didomanda non è ancora del tutto chiara,anche se le attuali teorie neurochimichedella fatica sembrerebbero propenderemaggiormente per la seconda ipotesi(Guezennec 2000).

3.1. Gli aspetti neurochimici della fatica centrale

L’evidenza del ruolo della fatica centrale,comprovato attraverso le varie sperimen-tazioni di tipo elettrofisiologico, ha spintonumerosi Autori a formulare differentiipotesi sul ruolo svolto dai neuromediatoricentrali nel corso dell’esercizio esaustivo(per una rewiew vedi Meeusen et al. 1995).Tutti gli studi rivolti a questo particolareaspetto del fenomeno, dimostrano ampia-mente come la fatica induca, sia nell’uo-mo, che nell’animale, un cambiamento delmodello comportamentale (Dishman1997). Nell’animale si può, sostanzialmen-te, notare una diminuzione delle attitudinicomportamentali rivolte alla vita di rela-zione, mentre nell’uomo le risposte sonomaggiormente complesse e sembranodipendere dal tipo di attività, responsabile

del fenomeno di affaticamento. Possiamotuttavia, in linea generale, osservare nelmodello umano, come conseguenza ad unesercizio di tipo esaustivo, una diminuzio-ne delle capacità decisionali, sia per quelloche riguarda la capacità di presa d’infor-mazione, sia per ciò che concerne l’inter-pretazione dei segnali visivi (Koutedakis1995), nonché una diminuzione dellamemoria a breve termine (Guézennec2000). Inoltre, la fatica cronica può essereall ’origine di uno stato ansiogeno odepressivo (Dishman 1997). Anche lasecrezione di catecolamine potrebbe gio-care un ruolo importante negli aspetti dinatura neurochimica, legati alla faticacentrale. Alla fine di un esercizio esaustivoè, infatti, possibile notare nel tessuto cere-brale una diminuzione della concentrazio-ne di noradrenalina, che sembrerebbeessere dovuta ad un aumento del suo turnover. Lo stesso fenomeno è osservabile, inmaniera ancor più evidente, a livello deltronco cerebrale, dell’ippocampo e dell’i-potalamo (Gandevia et al. 1996). Questoquadro sarebbe simile a quello osservatonel corso di stress psicologico acuto nelquale è appunto possibile notare unadeplezione delle riserve di catecolaminecerebrali. La conseguenza di questa dimi-nuzione nelle riserve di noradrenalina siripercuoterebbe a livello comportamentalee potrebbe essere responsabile dell’insor-genza di possibili stati depressivi. Rimanendo nell’ambito della rispostaadrenergica, è importante notare cheanche la dopamina può influenzare forte-mente l’attività muscolare. L’aumento del-l’attività dopaminergica nello striatum3

induce infatti un aumento spontaneo dellamotricità. A livello cerebrale, durante unesercizio prolungato, è possibile osservare,in un primo tempo, un leggero aumentodella concentrazione di dopamina, a cui faseguito, nella seconda parte dell’eserciziostesso, quando quest’ultimo si avvicina alpunto di esaurimento, una sua leggeradiminuzione (Seguin et al. 1998). Questavariazione della concentrazione di dopa-mina cerebrale, nel corso di un esercizioprolungato che porti ad esaurimento,potrebbe essere giustificata dal fatto chequesto neuromediatore attraversi unaprima fase accelerata di liberazione a cuiconsegua una seconda fase di diminuzionesecretoria dovuta ad un esaurimento dellesue riserve neuronali. Sempre a questoproposito, è stata avanzata l’ipotesi di unadeplezione di tirosina, che costituisce ilprecursore delle catecolamine. In qualsiasicaso, il ruolo ricoperto dalle catecolaminenell’insorgenza dell’affaticamento organi-co, è sperimentalmente provato dal fattoche la somministrazione, prima dell’eserci-zio, di anfetamina e di agonisti dopami-

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nergici e/o adrenergici, aumenta nell’ani-male la durata di sopportazione dello sfor-zo (Seguin et al. 1998).

3.2. Il ruolo della serotonina nell’insorgenza della fatica

Il ruolo svolto dalla serotonina nel feno-meno della fatica organica, è ormai dive-nuto un aspetto dogmatico del problema,in seguito soprattutto ai lavori di sintesisvolti da Newsholmes et al. (1987) e Chau-loff (1989). Quest’ultimo fu il primo a met-tere in evidenza, sperimentalmente, l’au-mento della concentrazione di serotoninaa livello cerebrale in seguito ad esercizioprolungato e/o ad allenamento intenso,protratto per più settimane. D’altro cantonumerosi altri lavori, anche se non inambito prettamente sportivo, avevano giàsottolineato il ruolo della serotonina sulsonno, l’assunzione alimentare, gli statiansiosi e quelli depressivi. A questo propo-sito, ad esempio, possiamo ricordare comesia noto da tempo che uno stato ansiososia caratterizzato da un aumento dellaconcentrazione cerebrale di serotonina,mentre al contrario, uno stato depressivoveda ridursi i livelli di serotonina cerebrale.Per tutta questa serie di motivi, il fatto cheall’esercizio prolungato che conduce alfenomeno della fatica, consegua unaumento dei livelli di serotonina cerebrale,ha portato alla naturale formulazione del-l’ipotesi che questo neuromediatore siafortemente implicato, se non addirittura ilresponsabile principale, dell’insorgenzadella fatica centrale. In questo senso,numerose sperimentazioni, condotte sumodello animale, confermano che l’au-mento o la diminuzione del tono serotoni-nergico, indotto attraverso l’utilizzazionedi agonisti od antagonisti serotoninergici,influiscono sul fenomeno d’insorgenzadella fatica (Bailey et al. 1993). Occorrecomunque ricordare che lo stesso tipo disperimentazioni, condotte sull’uomo, nonha permesso di confermare i risultati otte-nuti sull’animale (Seguin et al. 1998). Altresperimentazioni, sempre effettuate alloscopo di poter confermare il ruolo svoltodalla serotonina sulla insorgenza dellafatica, hanno utilizzato la somministrazio-ne di aminoacidi a catena ramificata(AABC). Gli AABC infatti entrando in com-petizione con il triptofano, sostanza pre-cursore della serotonina a livello del pas-saggio attraverso la barriera emato-ence-falica, dovrebbero limitare la produzione diquest’ultima a livello cerebrale. Tuttavia irisultati ottenuti da Blomstrand et al.(1991), dopo la somministrazione di AABCprima di una prova di maratona, hannopermesso di evidenziare solamente unincremento dei risultati ottenuti nel corso

di una batteria di test psico-sensoriali, manon un incremento della prestazione digara. Questi risultati sono in linea conquelli ottenuti da Bigland-Richie et al.(1979), i quali non riportano di alcunmiglioramento della performance, duranteun raid effettuato in alta quota, in seguitoalla somministrazione di AACB. Quindi,l’insieme delle sperimentazioni condottesull’uomo non permetterebbe di evidenzia-re alcun risultato positivo, in termini diincremento della performance, legato alladiminuzione del fenomeno di affaticamen-to, indotto dall’utilizzo di AABC. Ma visono numerosi altri limiti e contraddizioninella teoria che vede la serotonina comeprincipale fattore d’insorgenza della faticacentrale. Uno di questi è costituito dallamancanza di coerenza tra i dati desumibilidai test comportamentali e gli effetti psi-cotropi attribuibili all’azione della seroto-nina stessa. La fatica acuta od il sovralle-namento cronico, infatti, indurrebbero l’in-sorgenza di turbe comportamentali asfondo principalmente depressivo caratte-rizzate da una carenza serotoninergica(Guèzennec 2000). Questi dati mal si con-cilierebbero con l’iperserotoninergia che siregistra nel corso dell’esercizio fisico stre-nuo. Seguin et al. (1998) hanno tentato dispiegare questa contraddizione mettendoin evidenza una diminuzione della recetti-vità di alcuni recettori serotoninergici inseguito all’esercizio prolungato. D’altrocanto, anche altri risultati molto recentiriferirebbero di una caduta, al di sotto deilivelli basali, della concentrazione di sero-tonina in alcune aree cerebrali, riscontra-bile alla fine dell’esercizio (Guèzennec,2000). I due dati di cui sopra, potrebberoquindi far propendere verso un ipotesi dicarenza di tono serotoninergico chesopravverrebbe durante la fase di recuperosuccessiva all’esercizio. In tutti i casi, lamancanza di omogeneità e di perfettacoerenza tra i vari risultati ritrovabili inletteratura mostrano come, in ultima ana-lisi, sia sostanzialmente erroneo limitare ilfenomeno dell’insorgenza della fatica cen-trale esclusivamente alla teoria serotoni-nergica. In effetti gli aspetti comporta-mentali, ivi compreso, quindi, il fenomenodella fatica, risultano essere influenzati,per la maggior parte dei casi, da un delica-to equilibrio esistente tra numerosi neuro-mediatori. A titolo di esempio, possiamoricordare come gli studi inerenti l’aspettoneurochimico del sonno, mostrino comequest’ultimo dipenda da una complessaazione sinergica ed interdipendente dinumerosi neuromediatori in altrettantonumerosi ambiti strutturali. Gli aspettineurochimici della fatica, quindi, potreb-bero essere improntati su di un meccani-smo del tutto, od in parte simile a questo.

3.3. Il ruolo dell’ammoniaca

Occorre anche ricordare il possibile mecca-nismo d’intervento dell’ammoniaca, legatoalla manifestazione della fatica. L’encefaloutilizza, come via di metabolizzazione del-l’ammoniaca, la trasformazione del glu-tammato in glutammina. L’iperammone-mia, quindi, provoca una diminuzione dellaconcentrazione del glutammato in alcunearee cerebrali specifiche. Dal momento cheil glutammato costituisce il principale pre-cursore dell’acido gamma amminobutirrico(GABA), questa catena di eventi porta adun abbassamento della sua concentrazionea livello encefalico. Il GABA è il neurotra-smettitore maggiormente presente a livel-lo del SNC ed esercita un importante ruolodi regolazione, di tipo inibitorio, sulla libe-razione di altri neurotrasmettitori, oltre adagire direttamente sui nuclei grigi dellabase facilitandone il compito di regolazio-ne che questi svolgono sulla motricità. Lacarenza di GABA, inoltre, gioca un ruolofondamentale nella patogenesi di alcunemalattie come il morbo di Parkinson e laCorea di Huntington. Tutta questa serie didati farebbe ragionevolmente propendereverso l’ipotesi che la carenza del sistemaGABAenergico, registrabile nel corso del-l’esercizio intenso e prolungato, possa gio-care un ruolo importante nella manifesta-zione della fatica a livello centrale. I risul-tati sperimentali sembrerebbero conferma-re, per lo meno parzialmente, questa ipo-tesi, mostrando come il sistema GABA-glutammato-glutammina sia particolar-mente attivo, in alcune aree cerebrali, nelcorso dell’esercizio esaustivo.

4. Un modello tridimensionaledella fatica

Secondo alcuni autori, il rapporto tra l’in-tensità dello sforzo e la sensazione di faticapuò essere anche interpretato attraversotre modelli, fortemente interagenti tra loro. Il primo modello è il già descritto modello“classico” della fatica periferica denomina-to, appunto modello periferico, nel quale ifattori regolatori e/o inibitori sono esclusi-vamente di ordine metabolico (Kay et al.2001; Kirkendall 1990; Fitts 1994; Bassett,Howley 1997).Nel secondo modello, denominato centra-le-teleoanticipatorio, il cervello svolge ilruolo di principale regolatore dell’intensitàe della durata dell’esercitazione, che vienemantenuta ad un grado sub-massimaleprefissato in modo tale che il sistema peri-ferico non sia mai utilizzato a livelli massi-mali (St Clair Gibson et al., 2001; Wagen-makers 1992; Kay et al., 2001.)In questo secondo modello, quindi, il feno-meno della fatica può essere considerato

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come un vero e proprio atto anticipatoriodi sicurezza che abbia lo scopo di preveni-re, sia un eccessivo accumulo di metaboli-ti, sia un’esagerata deplezione di substratienergetici. In questo secondo modello,l’attività non è mai massimale, ma viene, alcontrario, mantenuta costantemente alivelli sub-massimali. Ulmer (1996) avanzal’ipotesi che, in questo modello, i comandineurali efferenti regolino, a livello delmuscolo scheletrico, non solamente i pat-tern di attivazione spaziali e temporali, maanche il rateo metabolico responsabiledella produzione di potenza da parte delmuscolo. Questo tipo di meccanismo pro-tettivo, potrebbe spiegare come, nelmuscolo scheletrico, la concentrazione diATP non scenda mai al di sotto del 60-70% dei valori di riposo, anche durante un

esercizio di tipo esaustivo (Fitts 1994;Spriet et al. 1987). Il modello centrale-teleoanticipatorio, sarebbe quindi respon-sabile del decremento dell’intensità dell’e-sercizio, anche in presenza di sufficientiriserve energetiche, per cui la manifesta-zione di fatica sarebbe il risultato di uncomando efferente di tipo inibitorio, deri-vante da una sorta di “calcolo mentale”. Inaltre parole il decremento dei comandiefferenti di origine neurale, sarebbe causa-to dagli adattamenti a livello corticale delprocesso subcosciente teleoanticipatorioche si verificano in seguito alle risposteagli input afferenti, di origine metabolica,provenienti dagli organi e dalle struttureperiferiche. Nel terzo tipo di modello,denominato di discussione-cognitiva, è lasensazione di fatica stessa che, a livello

cosciente, utilizzando le antecedenti espe-rienze come secondo termine di paragone,regola l’intensità dell’esercizio. In questoterzo modello, la fatica costituisce unasorta di processo continuativo che modifi-ca costantemente lo stato funzionale del-l’individuo e modula il suo livello di attività(Kay et al. 2001; Kay, Marino 2000). Nelmodello di discussione cognitiva, quindi, simette in atto un sinergismo tra la perce-zione cosciente dello sforzo ed il sistemateleoanticipatorio subcosciente nella rego-lazione dell’intensità dell’attività svolta(Kirkendall 1990; Davis, Bailey 1997). Unesempio esplicativo di questo terzomodello può essere quello di un’attivitàsportiva svolta in presenza di spettatori. Inquesto caso l’attività stessa può risultarespesso meno gravosa e la percezione dello

Cerchiamo di capire come avviene quello che è uno dei disastrinaturali maggiormente temuti in natura: la valanga. Questofenomeno viene ben descritto dalla cosiddetta “teoria del gra-nello di sabbia” che ben illustra come il sistema raggiunga unpunto di “non ritorno” che lo porta al suo collassamento, un po’come avviene nel nostro organismo quando , a poco a poco, sifa strada il fenomeno della fatica. Immaginiamo dunque unbanalissimo mucchietto di sabbia, come quello che fanno abi-tualmente i bambini sulla spiaggia. Che cosa succede se aggiun-giamo via via dall’alto dei granelli di sabbia? In un primomomento il nostro mucchietto diventa di dimensioni sempremaggiori e questo sembrerebbe tutto quello che in definitivapossa avvenire. Ma osserviamolo più attentamente da vicino: ineffetti il pendio che si viene a formare non è del tutto liscio. Seavessimo a nostra disposizione una forte lente d’ingrandimento,potremmo facilmente notare come lungo il suo decorso si for-

mino numerose irregolarità costituite da tante piccolissime fos-sette ed altrettanto microscopici avvallamenti, che si vengono apoco a poco a colmare con l’aggiunta dei granelli di sabbia checadono dall’alto. A furia di aggiungere sabbia, la pendenza delnostro mucchietto, ormai divenuto di una certa dimensione, èpraticamente completamente liscia, dal momento che tutte leirregolarità si sono colmate (riquadro 3). A questo punto abbia-mo raggiunto il “punto critico”. Se ora aggiungiamo ancoraanche un solo granello di sabbia, quest’ultimo non troverebbenessuna fossa od avvallamento dove potersi fermare e scivole-rebbe inesorabilmente a valle (riquadro 4) , trascinando con seun numero più o meno importante di altri granelli: ecco lavalanga. Dopo l’evento del fenomeno, ossia dopo la discesa avalle della valanga, il cumulo di sabbia, ma a questo puntopotremmo dire anche di neve, ritorna nuovamente irregolarecome all’inizio ed un nuovo ciclo può compiersi.

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sforzo minore, proprio perché la motiva-zione generata dalla fonte esterna, in que-sto caso gli spettatori, può ridurre gli inputafferenti periferici provenienti dallamuscolatura (St Clair, Gibson et al. 2001b).In questo caso, si corre il rischio di un’alte-razione della strategia comportamentalenei confronti della fatica, basata sull’in-fluenza degli stimoli esterni. Infatti il livel-lo del meccanismo di retrocontrollo dellafatica stessa, dato dall’interazione tra ilmodello di discussione-cognitiva e quellocentrale-teleoanticipatorio, potrebbe ele-varsi eccessivamente e con esso l’intensitàdell’esercitazione. Il modello di discussio-ne-cognitiva, quindi, potrebbe essere con-siderato come l’ultimo stadio d’integrazio-ne decisionale nei confronti della fatica, inquanto la durata e l’intensità dell’esercizio,ossia gli aspetti decisionali nei confrontidello stesso, vengono assunti, sia in baseagli input metabolici muscolari provenientidal modello periferico, sia secondo l’attivi-ta centrale-teleoanticipatoria generata dallivello corrente di attività; questi dueaspetti vengono quindi integrati nelmodello di discussione-cognitiva, nelquale la percezione della fatica provenien-te dal livello di attività in corso, vienecomparata a precedenti esperienze di fati-ca (Kay et al. 2001). La fatica, quindi, inquesto caso diviene un regolatore attivo enon più una conseguenza passiva del pro-cesso di controllo (Kay et al. 2001; Sar-geant 1994).

5. Le manifestazioni mioelettriche di fatica muscolare

Negli ultimi anni, accanto agli studi di tipoprettamente metabolico, si sono forte-mente sviluppati dei metodi d’indagine ditipo non invasivo, rivolti allo studio deifenomeni bioelettrici indotti dalla fatica. Ipresupposti teorici, sui quali tali studi sibasano, sono costituiti dal fatto che esi-stono particolari condizioni di lavorodurante le quali la produzione di forzarichiesta è talmente bassa da poter per-mettere la prosecuzione del lavoro, spessoper molte ore. Questi particolari tipi dilavoro muscolare vengono denominati lowlevel static exertions. Durante questo tipodi regime di contrazione si ipotizza che leprotagoniste principali della produzione diforza siano le unità motorie (UM) compo-ste da fibre di tipo ST. Questa teoria, infisiologia, è nota come l’ipotesi di Cene-rentola (Hägg 1991). Questa ipotesi è delresto del tutto conforme alla legge direclutamento di Henneman, secondo laquale le prime UM ad essere reclutate ede-reclutate, in una contrazione cherichieda bassi livelli di forza, sarebbero

quelle composte da fibre di tipo I. Un altroparametro importante, di cui tenere contodurante le indagini di tipo elettromiografi-co sullo studio della fatica muscolare, ècostituito dalla pressione intramuscolare(PI). Le caratteristiche del muscolo, infatti,subiscono dei cambiamenti al variare dellacondizione ischemica che è a sua voltacorrelata all’aumento della PI che si verifi-ca durante la contrazione muscolare stes-sa, soprattutto a causa della diminuzionedel flusso sanguigno distrettuale e delconseguente aumento di metaboliti (Mer-letti e coll.1984). Durante una contrazionemuscolare di tipo massimale si possonoinfatti raggiungere valori di PI pari a 400-500 mmHg, mentre in contrazioni di entitàmolto più modesta, comprese tra il 5 ed il10% della massima contrazione volontaria,il valore di PI può essere all’incirca pari a30 mmHg. In queste condizioni, la duratadella contrazione può essere mantenutaper lungo tempo, correndo tuttavia ilrischio di incorrere in una necrosi musco-lare (Sjøgard, Jensen 1999). Tutta questaserie di fenomeni, comporta una perturba-zione del ciclo eccitazione/contrazione eduna conseguente alterazione del segnaleelettrico di superficie, nel quale è possibilenotare delle alterazioni a carico dell’am-piezza, della forma e della velocità di pro-pagazione del potenziale di azione. Tuttaquesta serie di fenomeni è nota con il ter-mine di manifestazioni mioelettriche difatica muscolare localizzata. Questo gene-re di sperimentazioni vengono effettuatedurante una contrazione di tipo isometri-co, che, anche se non può essere ovvia-mente definita come un pattern di attiva-zione perfettamente sovrapponibile alcomportamento muscolare che avvienedurante una condizione naturale, offrecomunque un modello sperimentale diosservazione molto standardizzabile esenz’altro meno influenzabile da fattoriesterni non correlati al fenomeno di faticaindagato, come ad esempio l’artefattocostituito dal movimento del muscolorispetto agli elettrodi di superficie che siverifica durante un movimento dinamico(Rainoldi e coll. 2000).

5.1 Le variabili ed i parametri del segnale mioelettrico

Allo scopo di caratterizzare e renderedisponibile allo studio il segnale mioelet-trico, registrato attraverso l’elettromiogra-fia di superficie, ossia tramite l’applicazio-ne di elettrodi sopra la superficie cutanea,vengono utilizzate delle grandezze fisicheche sono classificabili “nel dominio deltempo”, dal momento che, per la propriadeterminazione, richiedono il solo traccia-to temporale del segnale e “nel dominio

della frequenza”, per il fatto che il loro cal-colo necessita l’analisi spettrale del segna-le e che quindi forniscono informazionisullo spettro del segnale stesso.Le variabili identificabili nel dominio deltempo forniscono, quindi, informazionisull’ampiezza del segnale, mentre quelleappartenenti al dominio della frequenzapermettono lo studio della scomposizionein armoniche del segnale, ossia ci dannoinformazioni riguardanti il contributo intermini di ampiezza e di potenza fornitoda ogni armonica ottenuta attraverso l’a-nalisi di Fourier del segnale stesso. Le variabili identificabili nel dominio deltempo, altrimenti chiamate variabili d’am-piezza, normalmente utilizzate nell’ambitodello studio del segnale mioelettrico rica-vato dall’elettromiografia di superficiesono:

- Il Valore Rettificato Medio (Average Rec-tified Value, ARV): che rappresenta l’areasottesa dal segnale elettromiograficonell’intervallo di tempo T divisa per T.

- Il Valore Efficace (Root Mean Square),che è una grandezza correlata allapotenza del segnale.

Le variabili nel dominio della frequenzamaggiormente utilizzate sono:

- La frequenza media dello spettro dipotenza (MNF), che rappresenta il valorebaricentrale di frequenza dello spettro dipotenza.

- La frequenza mediana dello spettro dipotenza (MDF), che rappresenta il valoredi frequenza che divide in due parti dieguale area lo spettro di potenza, per cuiil 50% del segnale sarà costituito daarmoniche inferiori a MDF ed il restante50% del segnale sarà costituito daarmoniche superiori a MDF.

Una ulteriore variabile, che riveste unagrande importanza nello studio del segna-le elettromiografico, è la velocità di con-duzione delle fibre muscolari (CV). La CV èricavata grazie all’utilizzo di due elettrodiposti sulla superficie cutanea che permet-tono di calcolare il rapporto e/t, intenden-do con e la distanza tra i due sistemi dielettrodi e con t il ritardo tra il segnaleregistrato dal secondo elettrodo e quelloregistrato dal primo. Alcuni studi hannodimostrato come la stima della CV sia cor-relata con la percentuale di fibre di tipo II,ottenibile attraverso la biopsia muscolareeffettuata nel vasto mediale di sette mar-ciatori e dodici sprinter (Merletti 2000).Appare, quindi, chiaro l’interesse che rive-ste questo parametro nell’ambito di unapossibile tecnica non invasiva di determi-nazione della tipologia delle fibre.

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5.2 Il cambiamento del segnale mioelettrico in condizioni di affaticamento muscolare

Nel corso di una contrazione muscolareisometrica sub-massimale protratta neltempo, il segnale mioelettrico, a causa del-l’insorgenza del fenomeno della fatica,presenta una diminuzione della CV ed unprogressivo depauperamento dei contribu-ti di alta frequenza. Lo spettro del segnalesi sposta verso sinistra e le armonichesignificative presentano valori progressi-vamente inferiori (Merletti 2000). La dimi-nuzione del valore di CV comporta inoltreuna concomitante diminuzione dei valoridi MDF e MNF ed un aumento dei valori diARV ed RMS. Quindi lo spostamento versosinistra dello spettro del segnale e la com-pressione delle sue variabili riflettono ildecremento del valore di CV (Lindstrom,Magnusson 1977). Come dimostrato daalcuni lavori sperimentali (Merletti, Roy1996), lo studio dei cambiamenti dei para-metri mioelettrici di fatica, correlati allacapacità di mantenere una contrazioneisometrica sub-massimale protratta neltempo, possono, quindi, fornire importantiinformazioni sulla tipologia delle fibremuscolari considerate.

6. Conclusioni

Per ciò che riguarda la fatica periferica,alla luce di questi dati, non possiamo altroche sottolineare ancora una volta, e forte-mente, l’eziologia multifattoriale legata alfenomeno della sua insorgenza. Multifat-torialità, quindi, che esclude a priori l’esi-stenza di un unico modello ma che al con-trario, sottolinea l’esistenza di numerosi

fattori che si situano in altrettanto diversee numerose tappe della catena fisiologicaesecutiva della contrazione muscolare. Per questa ragione, anche se indubbia-mente la diminuzione della concentrazionedi alcuni “composti chiave” della bioener-getica muscolare, come in particolare laPCr ed il glicogeno, rivestono un ruolochiave nel fenomeno, il ruolo della pertur-bazione dell’omeostasi cellulare nella suatotalità, appare tanto determinante quan-to estremamente complesso. Potremmo,comunque, definire il fenomeno della fati-ca periferica come un fenomeno “ a casca-ta” di tipo essenzialmente protettivo, chela cellula mette in atto per preservare lasua integrità, rispondendo all’imperativo dibase di ogni organismo vivente che altronon è che l’autoprogrammazione per lasopravvivenza. Interrompere il lavoro pernon autodistruggersi, questa sembrerebbeessere quindi la motivazione ultima delfenomeno. Nuovi campi d’indagine, aperti-si negli ultimi anni, sembrerebbero essereparticolarmente promettenti, come quellirivolti allo studio del ruolo dei radicaliliberi, del monossido di azoto, dell’AMP,

oppure del magnesio. Tuttavia una chiaraed inequivocabile gerarchizzazione deifenomeni che costituiscono questo com-plicato, quanto perfetto meccanismo, cheimpedisce l’autodistruzione cellulare, sem-brerebbe ancora lontana.Per quello che riguarda la fatica centrale,invece, se da una parte tutte le sperimen-tazioni di tipo elettrofisiologico, svolte inquest’ambito, tendono unanimemente adisegnare un suo schema di tipo lineare,che parte dalla corteccia motrice per arri-vare alla cellula muscolare, dall’altra l’ap-proccio di tipo neurofisiologico lascia tra-sparire un quadro di notevole complessità,caratterizzato dall’integrazione di numero-si neuromediatori, la cui funzione, se stu-diata isolatamente, non permette di spie-gare esaurentemente e razionalmente ilfenomeno. In ultimo il modello tridimensionale dellafatica ci permette di capire quanto i fattoricentrali siano fortemente integrati conquelli centrali di ordine cognitivo e deci-sionale, sottolineando una volta di più, lagrande complessità del problema.

Figura 3 – Spettro di potenza del segnale elettromiografico registrato in tre distinti momenti (A, B, e C) di una contrazione muscolare protratta neltempo. I vari spettri sono normalizzati rispetto al massimo valore di picco. È interessante notare la diversa scala di ampiezza dei tre spettri (da Mer-letti 2000, modificato)

In natura un modello multifattoriale, sovrapponibile a quello della fatica, è costitui-to dal terremoto: in un terremoto, l’evento scatenante costituito da moti ondulatorie sussultori della crosta terrestre, innesca tutta una serie di altri eventi, crollo dipalazzi, scoppio di tubature di acqua e gas, incendi crollo di dighe, ecc., tra loro col-legati che portano al collassamento del sistema. In un organismo impegnato in unlavoro muscolare, che porti all’esaurimento organico, avviene all’incirca la stessacosa: tutta una serie di eventi, tra loro collegati, come deplezione di ATP, aumentodell’acidosi, diminuzione del pH, aumento dei pirofosfati liberi, ecc., porta all’arrestodel sistema biologico.

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Note

(1) ATPasi - sigla dell’adenosintrifosfatasi,enzima che catalizza l’idrolisi dell’adenosin-trifosfato (ATP) in adenosindifosfato (ADP) efosfato (Pi). L’idrolisi dell’ATP si accompagnasempre ad un altro processo biochimico ofisiologico. Le ATPasi delle membrana citopla-smatica e del reticolo sarcoplasmatico, peresempio, funzionano da pompe ioniche; laATPasi miosinica permette la conversione del-l’energia chimica in energia muscolare, ecc.Alcune ATPasi catalizzano, in vivo, la reazione

inversa; è questo il caso dell’ATPasi mitocon-driale, che sintetizza ATP sfruttando il gra-diente protonico esistente ai due lati dellamembrana mitocondriale interna.(2) Soglia ventilatoria: nel corso di un eserciziosvolto ad intensità crescente, la ventilazione inun primo momento aumenta in modo propor-zionale rispetto all’intensità di lavoro, sino aquando, per una data intensità di lavoro, laventilazione si accresce in modo sproporziona-to rispetto a quest’ultima. Il livello a partiredal quale la cinetica respiratoria subisce que-sto tipo di cambiamento è chiamato prima

soglia ventilatoria e si situa attorno al 55-70%del V

.O2max.

(3) Corpo striato: nella neuroanatomia deiMammiferi descrive lo striato telencefalico. Ilcorpo striato rappresenta prevalentementeuna stazione intercalata sulle vie corticofugaliextrapiramidali, ma sono descritte anche con-nessioni a doppio senso con il talamo dorsale.

Indirizzo dell’autore: G. N. Bisciotti, Via IVNovembre 46, 54027 Pontremoli

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ridori di mezzofondo e di fondo sonocaratterizzati da una percentuale maggioredi fibre muscolari lente che, nei mezzofon-disti è del 50-70%, mentre nei fondisti èdel 70% ed oltre. Esiste poi un secondometodo di classificazione delle fibremuscolari. Se nel primo metodo la valuta-zione ha alla base l’ATP-asi miosinica, ilsecondo si basa sugli enzimi dei processiaerobici, sugli enzimi mitocondriali. Per cuile fibre muscolari vengono suddivise infibre ossidative e in fibre glicolitiche. Lefibre muscolari caratterizzati da una pre-valenza di mitocondri vengono definiteossidative. In queste fibre, ricorda Seluja-nov, praticamente non si forma acido lat-tico. Invece, le fibre glicolitiche sono carat-terizzate da una minore quantità di mito-condri e, quando sono impegnate in unlavoro producono una elevata quantità dilattato. Maggiore è la quantità di lattato,maggiore sarà l'acidosi e più rapidamentesi svilupperà un affaticamento locale.Quindi, l'obiettivo dell'allenatore, secondoSelujanov, non consiste nel trasformare lecaratteristiche innate delle fibre, che èpraticamente impossibile, ma nel fare inmodo che la quantità di fibre ossidativedell'atleta aumenti. Ciò può essere realiz-zato attraverso un allenamento corretta-mente organizzato che permette unaumento del numero di fibre ossidativedell'atleta, dovuto all’incremento dellamassa dei mitocondri nelle fibre muscolariglicolitiche, che si trasformano gradual-mente in aerobiche, cominciando a consu-mare una maggiore quantità di O2 e, quin-di, cessando di produrre lattato, in quantoi i prodotti intermedi come, ad esempio, ilpiruvato, non si trasformano in lattato, magiungono ai mitocondri, dove vengonoossidati fino alla demolizione in H20 e inCO2. Selujanov ricorda che il metodo stan-dard attualmente in uso per definire lacomposizione muscolare è la biopsia deltessuto muscolare (di solito dei muscolidella coscia, del loro lato esterno) che per-mette di definire, attraverso metodi bio-chimici, la composizione percentuale dellefibre muscolari. Il campione di muscolo

prelevato con la biopsia viene sot-toposto anche ad un'altra analisi,per individuare la quantità deglienzimi ossidativi. Selujanov ricor-da inoltre che, quando il suoLaboratorio era diretto da Y. Ver-choshanskij , furono elaboratimetodi che prevedevano l'uso diun'apparecchiatura tensiograficache permettevano di individuarela velocità di aumento della forzae fu possibile notare come fossein funzione della percentuale difibre muscolari lente e rapide.Successivamente, in Finlandia,

Komi ed i suoi collaboratori trovarono unacorrelazione tra la composizione muscola-re (basata sul criterio della velocità di con-trazione) e la ripidità della salita dellacurva della forza. Un passo ulteriore, rea-lizzato nel Laboratorio di Selujanova, divi-dendo il gradiente della forza sulla forza,ha permesso di ottenere un parametro,sulla cui base avviene la selezione dei cor-ridori di mezzofondo e dei corridori difondo. I fondisti presentano fibre lente sianei muscoli anteriori sia nei muscoliposteriori della coscia, mentre i corridorispecializzati sugli 800 m solo nei muscolianteriori della coscia, mentre i muscoliposteriori sono rapidi, come nei buonivelocisti. Per cui ottengono buoni risultatinei 100 m lanciati ed in gara cercano dirisparmiare queste fibre fino al traguardo.I velocisti presentano muscoli della parteanteriore della coscia sufficientementerapidi e molto potenti, ma i muscoli dellaparte posteriore sono ancora più rapidi epotenti. Nei saltatori, i muscoli più impor-tanti sono quelli della parte anteriore dellacoscia che presenta circa il 90% di fibrerapide. Nella corsa, però, il ruolo piùimportante viene svolto dei muscoli dellaparte posteriore della coscia. Se si conside-rano i muscoli della gamba, i velocisti sonocaratterizzati sia da un muscolo gastroc-nemio che da un muscolo soleo rapido.Maggiore è la distanza sulla quale si è spe-cializzato l'atleta, maggiore è la percen-tuale delle fibre lente in questi muscoli. Selujanov mostra, poi, come attraverso lacomposizione muscolare possa esserespiegato il modello di lavoro dei muscoli inuna gara di corsa, ad esempio negli 800 m.Dopo la partenza, l'atleta acquisisce lavelocità "di crociera" necessaria per lacorsa e per farlo occorrono circa 15 secon-di, nei quali nei muscoli impegnati nellavoro vengono reclutate praticamentetutte le fibre che consumano l'ATP ed ilcreatinfosfato disponibile. Dal momento incui l'atleta acquisisce la velocità necessa-ria, l'attività dei muscoli comincia a dimi-nuire fino al livello necessario per mante-nere la velocità raggiunta. Quindi, le fibre

Lente o rapide? l’allenamentodella forza nelle corse di mezzofondo e fondo

È ormai difficile trovare qualcunoche, nell'allenamento dei corridoridi fondo e di mezzofondo ed ingenerale negli sport di resistenza,si opponga alla necessità di utiliz-zare una preparazione di forzacaratterizzata da un determinataspecificità. Però, per impostarecorrettamente questa preparazio-ne occorre che venga preso inconsiderazione che i muscoli sonocomposti di fibre lente e di fibre rapide.Come allenare la forza sia dell’une chedelle altre? Su questa problematica la rivi-sta russa Legkaja Atletika nei numeri 3-4,5 e 7 del 2001 (Medlennye ili bystrye?,Legkaja atletika, 3-4, 2001, 30-31; 5, 2001,22-23; 7, 2001, 20-21) ha proposto unciclo di interviste - dei cui contenuti ripor-tiamo solo una parte - con il prof. ViktorNikolaevic Selujanov, Direttore del Labora-torio di ricerca dell'Accademia nazionalerussa di educazione fisica (lo stesso labo-ratorio diretto per vari anni dal prof. YuriVerchoshanskji) che, da molto tempo, sioccupa dello studio delle caratteristichedei muscoli, delle fibre muscolari, e delleparticolarità dello sviluppo della forza. Illettore attento non potrà fare a meno dinotare la particolarità dell’approccio diSelujanov, nelle cui risposte non si trovaalcun riferimento ai tradizionali concettidella teoria dell’allenamento, ma tutti iproblemi e le loro soluzioni vengonoaffrontati in termini esclusivamente biolo-gici e fisiologici. La prima domanda posta al prof. Selujanové diretta a definire alcuni concetti, il primodei quali riguarda la composizione deimuscoli. A tale proposito Selujanov ricordache i risultati nella corsa di mezzofondo edi fondo dipendono dalle capacità aerobi-che o, più correttamente, dal livello disoglia anaerobica, dalla potenza dellacorsa e dall'utilizzazione dell'O2 a livellodella soglia anaerobica, e che le ricerchehanno dimostrato che questi parametrisono direttamente correlati con la compo-sizione dei muscoli. Infatti, maggiore è ilnumero delle fibre muscolare ossidativenell'atleta più elevata è la soglia anaerobi-ca. A tale proposito Selujanov ricorda cheesistono, principalmente, due tipi di classi-ficazione delle fibre muscolari: la primache si basa sul criterio della velocità dicontrazione muscolare, per cui tutte lefibre muscolari vengono suddivise in rapi-de e lente, definisce quale è la composizio-ne muscolare determinata geneticamenteed in base ad essa si può stabilire la futuraspecializzazione dell'atleta. Di solito, i cor-

TRAINER’SDIGEST

a cura di Olga Iourtchenko, Mario Gulinelli

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che hanno svolto la loro funzione (di soli-to, fibre rapide o glicolitiche) smettono dilavorare e cominciano a recuperare, cioè aripristinare l'ATP, e il corridore si muoveper 30-40 secondi grazie a quei muscoliche assicurano la velocità necessaria. Però,anche in questi muscoli le riserve di ATPcominciano a diminuire, mentre i processiaerobici non sono in grado di assicurare lapotenza necessaria, così i l corridorecomincia a reclutare un numero sempremaggiore di nuove unità motorie. Se versoi 600 m ha a disposizione ancora fibrerapide, potrà aumentare legge-ramente la velocità, se le riservemuscolari si sono già esauritepotrà solo mantenere la velocitàche comunque, successivamen-te, comincia a diminuire, perchévengono reclutate non solo lefibre ossidative, ma anche lefibre glicolitiche più rapide cheproducono lattato e ioni idroge-no. Ciò influisce sulla contrazio-ne muscolare e, quindi, anchese il corridore si impegna almassimo per effettuare un rushfinale potente, non potrà faremolto, la velocità continua adiminuire. Per questa ragione, ilcorridore ideale deve essereforte e non deve possedere fibreglicolitiche. Più elevata è lasoglia anaerobica, più il corrido-re è vicino al valore massimodel VO2, migliore sarà il risulta-to. Un esempio di un corridoredi questo tipo era rappresenta-to, secondo Selujanov, dal neo-zelandese Peter Snell, che nelsuo allenamento util izzavamolto la corsa su terreno ondu-lato, ottenendo lo scopo diaumentare la quantità di mito-condri nelle fibre glicolitiche edi assicurare un elevato livellodi capacità aerobiche che per-mette di non aumentare eccessivamente laconcentrazione di lattato fino al traguar-do. Perciò, pur non essendo caratterizzatoda un livello elevato di capacità di velocità,Snell riusciva a correre molto velocementenegli ultimi tratti della distanza di gara.Quindi, secondo Selujanov, si può afferma-re che, dal punto di vista dello sviluppomuscolare, la strategia della preparazionedei corridori di mezzofondo, consiste nel-l'aumento della forza delle fibre muscolarelente e nella trasformazione delle fibre gli-colitiche in fibre ossidative, che non signi-fica una cambiamento della composizionemuscolare innata, ma rappresenta un ten-tativo di aumentare la massa dei mitocon-dri e la sezione trasversale delle fibremuscolari lente. Venendo ai metodi di pre-

parazione della forza per i corridori difondo e mezzofondo, Selujanov ricordache nel lavoro classico di forza con sovrac-carichi massimali vengono reclutate sia lefibre lente sia quelle rapide, però, secondolui, si allenano solo quelle rapide. Infatti,visto che si tratta di un regime dinamico dilavoro (con rilassamento muscolare) ilsangue passa attraverso le fibre muscolariossidative, che captano gli ioni idrogeno.Però, senza di essi la forza non puòaumentare, per cui occorre aumentare leg-germente la concentrazione di lattato nel

muscolo, altrimenti non si aumenta la suaforza. Rispondendo ad una domanda spe-cifica dell’intervistatore che trova stranoche nel lavoro classico di forza, le fibrelente lavorino, però, su di esse non vi siaalcun effetto di allenamento Selujanovricorda che se le leggi fisiologiche richie-dono il reclutamento di tutte le fibremuscolari, però, vi sono altre leggi biologi-che, legate alla sintesi delle miofibrille, cherichiedono la presenza degli ormoni, dellacreatina. Gli ioni idrogeno facilitano l'ac-cesso degli ormoni al DNA, ma quando l'O2e i mitocondri sono presenti in eccesso, gliioni idrogeno sono assenti. Gli ioni idroge-no si formano nelle fibre rapide, ma quan-do passano nelle fibre lente scompaiono.Perciò, il regime dinamico di allenamento

della forza, secondo Selujanov, non offrelo stimolo fondamentale per lo sviluppodella forza delle fibre lente. Nella rispostaalla domanda di come sia possibile svilup-pare la forza in queste fibre, Selujanovricorda che nel suo Laboratorio sono statimessi a punto esercizi, definiti statodina-mici, diretti a questo obiettivo, che nonprevedono un rilassamento muscolare. Efa l'esempio dell’esercizio di squat con unbilanciere di peso scarso o con la sbarradel bilanciere, che viene eseguito lenta-mente, senza estendere completamente gli

arti inferiori, cioè senza dare lapossibil ità ai muscoli dellacoscia di rilassarsi neanche perun istante. Per cui, con l’esecu-zione di questi esercizi da 30-40 fino a 60 s, si sviluppa affa-ticamento muscolare e l'atletaavverte dolore. Secondo Seluja-nov, in questo esercizio nonvengono reclutate le fibre rapi-de. Infatti, i risultati dell'elettro-miogramma mostrano che, inquesto regime di lavoro, l'atti-vità muscolare è pari al 50%;con lo sviluppo dell'affatica-mento, verso la fine dell'eserci-tazione, l'attività muscolareaumenta, ma non raggiunge ilsuo valore massimale e ciò,secondo Selujanov, è un indiceche non vengono reclutate lefibre muscolari rapide. All’inter-vistatore che gli obietta comeprecedentemente avesse affer-mato che le fibre lente pratica-mente non producano acidolattico, per cui è naturale chie-dersi quale sia l’origine dell’aci-dosi, che pure si produce inquesto regime di lavoro, Seluja-nov fa osservare che, quando ilmuscolo rimane contratto, lefibre muscolari premono suicapillari, per cui diminuisce, se

non addirittura si arresta, l’afflusso di san-gue. Dopo alcuni secondi si sviluppa ipos-sia, per cui, in tutte le cellule, compresequelle delle fibre muscolari ossidative, ini-zia la glicolisi anaerobica e si produce lat-tato. Secondo Selujanov, rispondendo aduna domanda specifica in merito, il regimestatodinamico produce ipertrofia dellefibre lente, ma ricorda che occorre consi-derare che le fibre lente possono occuparesolo un terzo dello spazio del muscolo eche la loro sezione è minore del 30-40%rispetto alla sezione delle fibre rapide. Percui inizialmente l'ipertrofia è quasi invisi-bile, perché avviene grazie all'aumentodella densità delle miofibrille dovuta allaformazione di nuove miofibrille e, solosuccessivamente, avviene grazie all'au-

Foto Digitalvision

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mento della loro sezione, quando intornoalle nuove miofibrille si formano i mito-condri. Però, i mitocondri occupano solo il10% del volume totale del muscolo, percui l’ipertrofia si produce soprattutto gra-zie all'aumento delle miofibrille. Nei corri-dori la superficie della sezione trasversaledelle fibre rapide è pari a 5000-6000 mm2,mentre quella delle fibre lente è di 4000mm2. Quindi, occorre che la superficiedella sezione trasversale delle fibre lentesuperi quella delle fibre rapide. Occorreaumentarla fino a 10000 mcm2 ed oltre.Ne deriva che, oltre ad un aumento dellaforza, dal punto di vista fisiologico, avvie-ne un aumento enorme del consumo d'os-sigeno. La caratteristica principale dell'i-pertrofia è l'aumento della forza massimaisometrica, dovuta all'aumento della forzadelle fibre muscolari lente, mentre la forzadelle fibre muscolari rapide non cambia.Però, secondo Selujanov, il risultato piùutile per i corridori è rappresentato dal-l'aumento del consumo d'ossigeno.Selujanov afferma che questo tipo di lavo-ro non migliora soltanto i risultati nei saltida fermo, utilizzati per il controllo dellosviluppo della forza, ma anche i risultatinella corsa su brevi distanze. Infatti, in unaricerca specifica, è stato scoperto che il 50% della potenza della corsa di velocità èdovuto alle fibre lente, che, quindi, rappre-sentano una grande riserva per i velocisti,che, di solito, si preoccupano solo di svi-luppare le fibre rapide. Comunque, ciò nontoglie che il risultato della prestazionenelle gare di velocità dipenda soprattuttodalla quantità di fibre rapide. Alla doman-da se gli esercizi statodinamici diretti allosviluppo dell'ipertrofia delle fibre lenteabbiano effetto negativo sulla forza dellefibre rapide, la risposta di Selujanov èassolutamente negativa: secondo lui, l’al-lenamento separato dei diversi tipi di fibremuscolari non solo non ne impedisce losviluppo, ma lo favorisce. Entrando poi neidettagli del metodo basato sul regime sta-todinamico, messo a punto nel suo Labo-ratorio, Selujanov ricorda che se nei loroesperimenti sono stati utilizzati esercizitradizionali, si possono utilizzare anchealtri esercizi. Il fattore essenziale è evitareogni fase di rilassamento muscolare, cioèeseguire gli esercizi con un'ampiezza limi-tata di movimento, con un ritmo d’esecu-zione lento e fino ad un affaticamentomolto profondo ("ad esaurimento") per cuii muscoli cominciano "a bruciare", riem-pendosi di sangue. Questo principio - chesarebbe simile al principio del “pompag-gio” che viene utilizzato nel body building- secondo il metodo di ricerca utilizzatonel Laboratorio di Selujanov, è stato primaelaborato teoricamente e, successivamen-te, verificato sperimentalmente. Selujanov

ricorda anche che i Campioni olimpici eprimatisti del mondo, Sebastian Coe e SaidAuita, almeno due volte alla settimana siallenavano in palestra con le macchine ecome, stando a quanto riferito dall'allena-tore di Coe (suo padre), si può dedurre cheutilizzasse un metodo di lavoro simile aquello da lui proposto. Per quanto riguar-da gli esercizi, per Selujanov, il più impor-tante esercizio per i corridori di mezzondoe fondo è diretto allo sviluppo dei muscoliposteriori della coscia: da seduti passareall'appoggio sugli arti superiori dietro, sol-levando il bacino. Quando gli arti inferiorisono estesi, l'accento viene posto sullo svi-luppo dei muscoli della parte posterioredella coscia, quando gli arti inferiori sonopiegati, cioè i talloni si avvicinano al baci-no, l'accento viene posto sullo sviluppo deimuscoli glutei. Per rendere più difficilequesto esercizio si può eseguirlo in appog-gio su un solo arto (con l'altro sollevato inalto), o utilizzare un sovraccarico poggiatosull'addome (ad esempio, un disco delbilanciere). Se l'atleta dispone di muscolimolto forti, può eseguire l’esercizio nelquale, dal decubito prono con i piedi fissatialla spalliera, si passa alla posizione inginocchio, utilizzando i muscoli posterioridella coscia. Coe utilizzava questo eserciziocome test ed un livello elevato di forza deimuscoli posteriori della coscia era allabase dei suoi risultati nella corsa su 400 m(< 46 s). Secondo Selujanov, infatti, in uncorridore la principale forza propulsiva(sull'appoggio) viene prodotta dai muscoliglutei e dai muscoli posteriori della coscia.Non meno importanti sono i muscoligastrocnemio e soleo. Infatti, per potererestare in appoggio sulle punte dei piedi,senza abbassare il tallone per tutta ladistanza di corsa, un corridore deve posse-dere molta forza in questi muscoli. Per illoro sviluppo Selujanov propone un eserci-zio semplice: i sollevamenti sulle punte deipiedi, consigliando l ’util izzazione disovraccarichi di peso scarso e di eseguirliprima con un arto e, successivamente, conl’altro. La metodica è sempre la stessa:verso il 40°-60° s, l'atleta deve avvertiredolore. La frequenza è moderata: un ciclodi movimenti viene eseguito per 2-4minuti (20-30 sollevamenti al minuto). L'a-tleta deve sollevarsi e, soprattutto, abbas-sarsi lentamente. Per quanto riguarda ilmuscolo quadricipite femorale secondoSelujanov “gonfiarlo” serve solo ai veloci-sti. Secondo lui, questo muscolo non svol-ge un ruolo propulsivo, ma una funzionedi "mantenimento". Invece, sono piùimportanti i muscoli flessori dell'articola-zione coxo-femorale. Per il loro sviluppoviene consigliato un esercizio noto agliatleti dell'atletica leggera, che consiste nelsollevare con il ginocchio, nella stazione

eretta, il disco di un bilanciere con laschiena addossata ad una parete, nel qualeè importante non abbassare completa-mente l'arto. È consigliabile eseguire que-sto esercizio con un ampiezza di movi-mento quanto più vicina alla verticale. Perlo sviluppo del quadricipite femorale ven-gono usati gli squat, però, l'ampiezza delmovimento dell’esercizio, calcolata dall'o-rizzontale verso l'alto, non deve superare i15°, perché altrimenti il muscolo si rilassaeccessivamente. Per quanto concerne l’an-golo dell’articolazione del ginocchio (140-160° o 90-110°), Selujanov ricorda che,teoreticamente, in questo esercizio ancheun bilanciere di peso scarso può essereconsiderato un attrezzo pericoloso e, quin-di, un bilanciere di peso elevato è moltodannoso. Negli esercizi statodinamici vieneutilizzato un angolo nel quale le coscesono orizzontali e il momento di rotazionedell'articolazione del ginocchio è massima-le. Per cui, in questo esercizio non è neces-sario un sovraccarico elevato e, per lamaggiore parte dei corridori, è sufficientela sbarra di un bilanciere. Ma, come giàdetto, i corridori di mezzofondo e di fondonon debbono eccedere in questi esercizi disquat, ma debbono utilizzarli solo per latonificazione muscolare. Anche per quantoriguarda il muscolo tibiale anteriore dellagamba, secondo Selujanov, i corridori pos-sono dedicare scarsa attenzione a questomuscolo, che invece deve essere potenzia-to dai marciatori. Sul numero di ripetizioniconsigliato per tutti questi esercizi, Seluja-nov risponde che la prima condizione èche l’atleta avverta un dolore muscolare eche la seconda condizione importante (chedeve coincidere con la prima) è il momen-to in cui si avverte questo dolore (dopo da30 a 40 s dall'inizio dell'esercizio). Per imuscoli gastrocnemi questo tempo puòessere aumentato fino a un minuto. Se,dopo un minuto, l'atleta non avverte dolo-re, occorre aumentare il carico. Il metodoproposto è quello delle superserie. Unaserie comprende 30-40 s di lavoro seguitada 30-40 s di recupero. Questa serie vieneeseguita tre volte ininterrottamente. Ciòcostituisce una superserie. Vengono ese-guite 3-4 superserie con una pausa direcupero di 10 min tra l'una e l'altra (i cal-ciatori ne eseguono 6). Quindi, in totalevengono eseguite fino a diciotto serie. Ciòrappresenta un buon lavoro (carico) di svi-luppo per le fibre muscolari ossidative.Questi esercizi possono essere eseguitianche con il metodo a circuito, ma quandonell'allenamento a circuito vengono inclusiesercizi per tutti i muscoli di citati prece-dentemente, ciò può rappresentare unimpegno elevato per il sistema endocrinoe, quindi, sarà necessario un periodo lungodi recupero.

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Gilles Cometti, Centre d’expertise de la performance, UFR STAPS, Università della Borgogna, Digione

Dopo avere mostrato alcuni esempid’esercizi tipici dell’allenamentodella pesistica che possono essereutilizzati per la preparazione fisicanegli sport di squadra (in questo casonella pallacanestro e nella pallavolo)sono presentate concatenazionidi esercizi di carattere generalee di carattere specifico (nelle qualiesercizi della pesistica vengonoabbinati con movimenti specificidella pallacanestro e della pallavolo).Tali concatenazioni possonoessere introdotte progressivamentenell’allenamento dei giocatori dopoche essi ne hanno appresa la tecnicacorretta. Tali concatenazionioltre ad avere un effetto allenanteelevato, introducono varietà,interesse e motivazione nelle seduted’allenamento.

La preparazione fisica negli sport di squadra

L’utilizzazione d’alcuni esercizi della pesisticaper la preparazione fisica negli sport di squadra: l’esempio della pallavolo e della pallacanestro

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Introduzione

Gli esercizi fondamentali della pallacanestro e della pallavolo sonostati già affrontati in altre nostre pubblicazioni. In ogni modo, gliesercizi fondamentali per il potenziamento muscolare per noirestano sempre: - per gli arti superiori: la tirata e la girata al petto, lo slancio-die-

tro, l’estensione alla panca orizzontale, i pull-over;- per gli arti inferiori: l’esercizio di piegamento sugli arti inferiori

(squat) e le estensioni delle caviglie).

Gli esercizi che presenteremo, qui di seguito, vanno eseguiti soloquando si ha una loro piena padronanza, per introdurre varietà eduna componente di coordinazione tra arti inferiori e superiori negliesercizi d’allenamento.

Le precauzioni

Come con tutti gli esercizi che sono eseguiti con i sovraccarichi,occorre che vengano osservate alcune regole:- è indispensabile utilizzare la cintura usata dai pesisti (figura 1);- alla fine dell’esercizio il bilanciere non va mai posato a terra, ma

su dei supporti rialzati o sugli appositi sostegni per bilancieri(figura 2), per evitare sollecitazioni pericolose per il dorso e,anche, per facilitare il sollevamento del sovraccarico (figura 3);

- la maggior parte degli esercizi che esporremo sono eseguiti nellastazione eretta e non con il bilanciere a terra.

La divaricata sagittale e l’accosciata

Alcuni degli esercizi che presenteremo lo slancio-dietro, gli slanciavanti in successione, lo strappo possono essere eseguiti con arri-vo in divaricata (o piegata) sagittale od in accosciata (o piegamen-to) (le due posizioni sono mostrate nelle figure 4 e 5). La prima,anche se è una tecnica che è stata abbandonata dai pesisti, conti-nua ad essere interessante per le altre discipline sportive. In parti-colare, obbliga ad una sospensione maggiore durante il movimen-to, imponendo un ritmo migliore ed una maggiore esplosività all’e-secuzione. L’arto che si trova davanti viene alternato. L’esecuzionein accosciata (in piegamento) permette che si trovino posizioni conangolazioni degli arti inferiori simili a quelle degli sport di squadra.

Inoltre, la simmetria della posizione permette di correggere even-tuali squilibri.

Classificazione degli esercizi

Gli esercizi proposti vengono utilizzati quando i giocatori comin-ciano a controllare gli esercizi di muscolazione con movimentisemplici (piegamenti sulle gambe ed estensione alla panca piana). Gli esercizi che abbiamo scelto, partendo da quelli più semplicifino a quelli più difficili da controllare dal punto di vista tecnico,sono (figura 6):

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Figura 1 –

Figura 2 –

Figura 3 –

Figura 4 – Figura 5 –

Figura 6 – I movimenti con il bilanciere (braccia-gambe) proposti perl’allenamento dei giocatori di pallavolo e di pallacanestro. 1. 1/2 squat abraccia tese; 2 . lo slancio dietro; 3. il Varju; 4. il Piatkowski; 5. lostep alla panca con slancio dietro; 6. lo strappo; 7. gli slanci avanti insuccessione. Gli esercizi diventano più difficili in progressione da 1 a 6.

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1. il 1/2 squat a braccia tese (figura 7)2. lo slancio-dietro3. il Varju;4. il Piatkowski;5. lo step alla panca con slancio-dietro6. lo strappo;7. gli slanci avanti in successione

Lo slancio-dietro

Lo slancio-dietro rappresenta uno dei movimenti più interessanti ederiva da uno degli esercizi base della pesistica: lo slancio. Di que-sto movimento si prende solo la seconda parte, lo “slancio”, o spin-ta in alto del bilanciere in senso stretto, cioè il sollevamento delbilanciere sopra il capo. Ma, diversamente dallo slancio della pesi-stica, dove il bilanciere viene appoggiato al petto, qui viene appog-giato dietro la nuca per facilitare l’esecuzione tecnica (figura 8).

Validità dell’esercizio

Questo esercizio obbliga ad una buona coordinazione tra gli artiinferiori e gli arti superiori. Inoltre questo genere di movimentopuò essere abbinato con esercizi multiformi o specifici (figura 9).

Una variante dello slancio dietro: lo slancio dietro in piegamento (squat completo)

Il giocatore si serve degli arti inferiori per sollevare il bilanciere, poipiega le gambe, e senza usare gli arti superiori per eseguire loslancio si “piazza” sotto il bilanciere (figura 10). Si tratta di unesercizio particolarmente interessante per la pallavolo, comemostra la sequenza della figura 11.

Si tratta di un esercizio tecnicamente più difficile, perché la suaposizione finale è rappresentata da un notevole piegamento sugliarti inferiori ed impone un’esecuzione molto rapida e quindi unagrande esplosività.

Il Varju

Quest’esercizio fu così chiamato da Colnard, un vecchio allenatoredi lanciatori di peso (e lui stesso più volte primatista di Francia diquesta specialità) che lo aveva visto eseguire spesso dal lanciatoredi peso ungherese Vilmos Varju. L’esercizio consiste nell’eseguiredei saltelli pari uniti e pari divaricati sul piano frontale con il bilan-ciere, con estensione e flessione delle braccia ad ogni saltello(figura 12). Si tratta di un esercizio molto più duro dei semplici

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Figura 7 – Il 1/2 squat a braccia tese

Figura 8 – Lo slancio-dietro: il giocatore parte con il bilanciere sullespalle, esegue un leggero piegamento degli arti inferiori e in successio-ne temporale stretta spinge rapidamente il bilanciere in alto, estenden-do le braccia

Figura 9 – Concatenazione basata sullo slancio-dietro. (a) – slanciodietro; (b( – tre tiri; (c) – tre slanci dietro; (d) – tre tiri

Figura 10 – Variante dello slancio dietro: lo slancio dietro in piegamen-to (squat completo): l’atleta passa rapidamente sotto il bilanciere

Figura 11 – Concatenazione di slanci dietro con squat (a),salto di ostacoli (b) e schiacciate (c)

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a b c

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saltelli eseguiti con il bilanciere appoggiato sulle spalle, molto effi-cace per dare esplosività ai giocatori durante il periodo di gara.

Apprendimento

Si tratta di un esercizio molto impegnativo cioè difficile dal puntodi vista coordinativo. Per questa ragione vengono proposti alcuniesercizi “propedeutici” d’apprendimento: i saltelli ed i saltelli conslancio.

I saltelli:per acquisire una buona padronanza del bilanciere l’atleta effettuadei saltelli pari uniti e pari divaricati (figura 13) o dei saltelli alter-nati sul piano sagittale. Il piegamento delle ginocchia è ridotto edil ritmo elevato.

Combinazione di saltelli con slancio-dietro

L’atleta spinge in alto il bilanciere ogni tre-quattro saltelli (figura14) (e non ad ogni saltello, come nel Varju). Questa variante sem-plifica l’esecuzione del movimento.

Il Piatkowski

Anche questo è un nome inventato da Colnard, questa volta perun esercizio che veniva abitualmente utilizzato da un lanciatore dipeso polacco. Si tratta di un piegamento sugli arti inferiori cheviene combinato con una distensione degli arti superiori. Per riu-scire a controllare l’esecuzione di questo esercizio occorre posse-dere un buon equilibrio di tutto il corpo. Inoltre, è evidente che ilcarico è ridotto rispetto allo squat (figura 15).

Step alla panca con slancio-dietro

Si tratta di un ottimo esercizio di coordinazione arti superiori-artiinferiori, che permette di lavorare sulla spinta con un piede, conun carico relativamente scarso. Può essere eseguito in due modi:- con arrivo a pié pari sulla panca (figura 16a);- con salita sulla gamba libera ed arrivo su una gamba (16b).

Lo strappo

Lo strappo rappresenta uno dei due movimenti di gara della pesi-stica. Si tratta di un esercizio molto interessante, in quanto impo-ne un ritmo d’esecuzione molto rapido, è l’esercizio esplosivo pereccellenza. Può essere eseguito in due modi: con arrivo in affondo(piegata avanti) od in accosciata (di solito il piegamento è comple-to) (figura 17) e si consiglia che queste due versioni vengano alter-nate. Come per lo slancio consigliamo di partire dalla stazioneeretta (e non con il bilanciere a terra). L’esercizio può essere ese-guito con una presa larga (che è quella che viene utilizzata nor-malmente) o con le mani più ravvicinate, in modo tale da aumen-tare la difficoltà. Tenendo conto della difficoltà tecnica che esigequesto movimento, lo poniamo alla fine della progressione.

Gli slanci avanti in successione

Lo slancio è il secondo movimento della pesistica e, normalmente,viene eseguito in due tempi: girata al petto e poi spinta in alto delbilanciere (slancio vero e proprio). Qui vengono combinati, diseguito, girata al petto (la sbarra viene appoggiata al petto) e slan-cio. In questo modo il movimento è più dinamico ed anche piùtecnico. Perciò deve essere applicato con giocatori esperti.

Figura 12 – Il Varju: saltelli pari uniti e pari divaricati sul piano fronta-le con estensione delle braccia

Figura 14 – Saltelli con uno slancio dietro ogni 3-4 saltelli

Figura 15 – Il Piatkowski,squat con slancio-dietro

Figura 16 – Step alla pancacon slancio-dietro con arrivoa pié pari (a) e su una gamba (b)

Figura 13 – I saltelli pari uniti e pari divaricati (sul piano frontale)con bilanciere

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Nella figura 18 è rappresentata lo slancio avanti in successione(partenza nella stazione eretta, poi girata al petto e slancio)

Attenzione: questo esercizio viene eseguito con partenza nella stazione erettae non con il bilanciere a terra, per evitare i problemi di posizionedel dorso quando si solleva il bilanciere.

Le concatenazioni di esercizi per la pallacanestro e la pallavolo

Si possono distinguere più tipi di concatenazioni di esercizi:- concatenazioni di tipo multiforme, valide sia per la pallacanestro

sia per la pallavolo;- concatenazioni di tipo specifico, nelle quali sono integrati movi-

menti tecnici specifici della pallacanestro e della pallavolo.Il loro obiettivo è quello di abbinare situazioni vicine a quelle chesono richieste dagli esercizi di gara di questi sport ed esercizi tipicidella pesistica, allo scopo di provocare un transfer delle nuove sol-lecitazioni muscolari.

Concatenazioni di tipo multiforme (pallacanestro e pallavolo)

Poiché il movimento della pesistica è lontano dai gesti tipici deglisport di squadra, viene aggiunto un movimento che è più vicino adessi come quello dei vari tipi di balzi.In questo modo si possono combinare in successione due (figura19: Varju-cerchi; figura 20: Piatkowski-panche), tre o quattro ele-menti (figura 21). Il numero delle ripetizioni è scarso (da 3 a 6 peril movimento di potenziamento, da 4 ad 8 per gli altri esercizi).Per le combinazioni a quattro elementi:la varietà è maggiore, ma alle fine della combinazione degli eserci-zi troviamo una situazione di affaticamento che è meno favorevoleallo sviluppo della forza esplosiva. Nella figura 21 viene mostrata

una combinazione di esercizi nella quale una variante dello squatsi alterna con serie di salti, misurati con il tappetino di Bosco od“optojump”, per motivare il giocatore a lavorare alla massimaintensità.

Concatenazione squat avanti

Una variante interessante dello squat è quella in cui l’esercizioviene eseguito con il bilanciere sul petto (squat avanti). In questomodo il tronco è più verticale, ma il controllo del bilanciere è piùdifficile. L’atleta può anche estendere le braccia, per mostrare cheil bilanciere deve essere appoggiato sulle spalle.

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Figura 17 – Lo strappo con accosciata Figura 18 – Lo slancioavanti in successione

Figura 19 – Varju e 8 balzi verticali tra i cerchi

Figura 20 – Tre Piatkovskij più quattro panche

Figura 21 – Successione a quattro elementi con squat con bilancieredavanti al petto e controllo della qualità dei salti. Vengono alternatibalzi verticali con piegamento degli arti inferiori a 90° e salti reattivi(con modesto piegamento del ginocchio)

3 squat avanti Balzi a 90°

3 squat avanti 4 salti reattivi

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La figura 22 mostra un secondo esempio di combinazione di quat-tro elementi: Piatokowski, con partenza da seduto sulla panca,balzo sulla panca e tiro, step alla panca e slancio dietro, partenzanella stazione eretta, tiro con balzo dalla panca.

Concatenazione slancio-dietro

Il giocatore combina tre slanci-dietro con dei balzi laterali su untappetto e ricomincia (figura 23).

Concatenazione Varju

I Varju vengono combinati con salti a gambe divaricate su duepanche parallele (figura 24). Nella figura 25 viene mostrato l’eser-cizio sulle panche.

Concatenazione strappo balzi laterali

Il giocatore esegue tre esercizi di strappo, lascia cadere il bilancieredavanti al petto, esegue una capovolta all’indietro e sei salti late-rali (figura 26).

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Figura 22 – Successione a quattro elementi: Piatokowski; da sedutosulla panca balzo sulla panca e tiro, step alla panca e slancio-dietro;partenza nella stazione eretta tiro con balzo dalla panca

Figura 24 – Il lavoro sulle panche parallele. Nella posizione iniziale legambe sono piegate in modo accentuato. La stacco da terra avvienerimbalzando a gambe ritte, senza piegamento al ginocchio

Figura 25 – Concatenazione Varju -panche parallele

Figura 26 – Concatenazione strappo balzi laterali

2 Piatkowski 4 panca con balzo

3 stepcon slancio

4 pancain piedi

3 slanci dietro 4 balzi laterali

3 slanci dietro 4 balzi laterali

Figura 23 – Concatenazione slancio-dietro e balzi laterali

4 Varju 4 pancheparallele

4 Varju 4 pancheparallele

3 strappi Caduta della sbarra

Capovolta indietro 6 balzi laterali

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Concatenazione slanci avanti consecutivi-salto della corda

Abbiamo scelto di illustrare una combinazione con slanci avanti insuccessione e salti alla corda a pié pari e alternati (figura 27).

Combinazioni specifiche per la pallacanestro

Nel tentativo di avvicinarsi alle sue tecniche specifiche, le pallaca-nestro permette di introdurre esercizi tecnici (tiri, terzi tempi) nellavoro di potenziamento. Come esempio, nelle figure 28 e 29 pro-poniamo: 1/2-squat - tiri (figura 28); Piatkowski - tiri (figura 29).Poi si propongono anche concatenazioni fino a quattro elementi:nei due esempi proposti (figure 30 e 31) si raddoppiano le stessedue situazioni.

Nella figura 31 viene mostrata una alternanza tra Varju e terzotempo

La soluzione ideale è quella di combinare multiforme e specifico,cioè balzi e tiri dopo l’esercizio con il bilanciere (figura 32) e balzinei cerchi con terzi tempi dopo le salite su panca con spinta dietro(figura 33).

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Figura 27 – Concatenazione slanci avanti in successione e salti allacorda

Figura 28 – Tre 1/2 squat - quattro terzi tempi

Figura 29 – Due Piatkowski – quattro tiri

Figura 30 – Due step su una gamba e slancio – due terzi tempi – due-step sull’altra gamba e slancio – due terzi tempi

Figura 31 – Quattro Varju – due terzi tempi – quattro Varju – due terzitempi

Figura 32 – Tre Piatkowski, sei ostacoli e tre tiri

3 slanci avantiin successione

10 saltialla corda

3 slanci avantiin successione

10 saltialla cordaalternati

2 step su unagamba

2 terzitempi

2 step su unagamba

2 terzitempi

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Concatenazioni specifiche per la pallavolo

Anche la pallavolo presenta situazioni che possono essere avvici-nate ai movimenti con il bilanciere.

Concatenazione squat a braccia tese

Si possono concatenare squat eseguiti mantenendo le braccia tesecon balzi su ostacoli e poi delle schiacciate (figura 34).Nella figura 35 vengono mostrati dei saltelli con spostamento dilato con bilanciere sopra il capo seguiti da schiacciate eseguite conpartenza da seduti sulla panca.

Concatenazione Piatkowski

Il Piatkowski è un esercizio molto interessante per la pallavolo epuò essere abbinato ai balzi su panche parallele e la schiacciata(figura 36).

Figura 33 – Tre step su panca e slancio, sei cerchi e tre terzi tempi

Figura 35 – Quattro balzi laterali con il bilanciere sopra il capo eschiacciate da seduti

Figura 34 – Concatenazione tre squat a braccia tese, sei ostacoli e treschiacciate

Foto Costantini

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Piatkowski ed esercizi con tuta zavorrata (4 kg):attualmente si sta riscoprendo l’utilizzazione delle tute zavorrate,che attualmente sono aderenti e adattabili al corpo dell’atleta emeno pesanti di quelle di un tempo. Il modello che viene presenta-to qui (del tipo “sportissimo”) permette di conservare le qualitàtecniche della schiacciata. Nella figura 37 viene mostrata una suc-cessione nella quale il Piatkowski viene combinato con schiacciateeseguite con la tuta zavorrata.

Concatenazione con step alla panca, arrivo a piedi pari e slancio-dietro

Il primo esempio proposto (figura 38) prevede l’esercizio di stepalla panca con slancio-dietro combinato con dei salti verticali con-frontando l’elevazione nell’azione di muro e di schiacciata. Il secondo esempio (figura 39) propone il confronto tra l’eserciziodi slancio dalla panca e lo stacco a un arto (tipo terzo tempo dellapallacanestro)

Conclusione

Gli esercizi che abbiamo descritto debbono essere introdotti pro-gressivamente nell’allenamento dopo una iniziazione alla tecnicaed utilizzando sistematicamente una cintura da pesista, che ha lafunzione di garantire la posizione corretta del bacino e del dorso.Come abbiamo potuto constatare essi introducono una grandevarietà, interesse, motivazione e dinamismo nelle sedute di allena-mento.

Articolo originaleTraduzione a cura di M. Gulinelli. Titolo originale: Quelques mouvementshaltérophiles pour la préparation physique des sports collectifs: illustrationen basket et volleyRevisione terminologica e consulenza tecnica di Giampiero AlbertiL’autore, Gilles Cometti, professore incaricato presso l’Università della Bor-gogna, UFRS STAPS DigioneIndirizzo dell’Autore: UFR STAPS Digione BP 27877, 21078 Digione Cedex

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Figura 37 – Concatenazione con tuta zavorrata di 4 kg

Figura 36 – Successione a tre elementi che viene conclusa con ungesto specifico della pallavolo

Figura 38 – Step con arrivo a piedi pari, slancio e salti verticali (conmisura dell’elevazione: test di Bosco mediante “optojump”)

Figura 39 – Step e slancio-dietro alla panca e stacchi alternati a unpiede (tipo terzo tempo della pallacanestro)

3 Piatkowski 4 panche parallele 3 schiacciate

Tuta zavorrata(�sportissimo�)

3 Piatkowski 3 schiacciate

4 step con slancio 3 muri con optojump

4 step con slancio 3 schiacciate con optojump

4 step con slancio 2 stacchi 4 step con slancio 2 stacchi

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Il recupero nell'allenamento con sovraccarichi

Rinaldo D'Isep, Massimiliano Gollin, Scuola Universitaria Interfacoltà di scienze motorie, Università di Torino

Viene messa in evidenza la relazione causa-effetto nellascelta di tempi differenti di recupero in sedute di alle-namento con sovraccarichi. Si osserva come nella lette-ratura questo elemento non venga trattato con lanecessaria evidenza, mentre l'esperienza dimostra come,soprattutto a medio ed a lungo termine, si verifichinosostanziali differenze per quanto riguarda il modello diprestazione e muscolare ricercato. L'analisi dei fattori discelta parte da considerazioni sul sistema energeticoutilizzato dall'atleta nella prestazione di gara e dagliobiettivi da raggiungere. Le alternative proposte tengo-

no conto dei dati bibliografici, anche se divergono inparte da essi per quanto riguarda il rapporto tra iltempo dedicato alla contrazione ed il recupero. Nelleconclusioni vengono considerate le personalizzazioninecessarie a rispettare le differenze inter-individualiche sono influenzate, oltre che dal somatotipo, anchedall'anzianità di allenamento e dalla maestria sportivadei soggetti, ponendo l'accento sul fatto che sbagliarerecupero vuole dire compromettere l'allenamento, otte-nendo effetti diversi, se non opposti rispetto all'obietti-vo che si vuole ottenere.

L'importanza della durata delle pause di recupero tra le serie nell'allenamento con sovraccarichi

Foto Bruno

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Introduzione

Un elemento basilare nella dinamicacausa-effetto del fenomeno allenamento èla scelta della durata delle pause di recu-pero tra le serie di ripetizioni. Questo argo-mento è spesso dato per scontato, senzaattribuirvi l’importanza fondamentale cheriveste. Ogni istruttore-allenatore dovreb-be tener presente che, mantenendo lemedesime sequenze di esercizi, la variazio-ne dei tempi di recupero tra le serie favo-rirà effetti fisiologici e morfologici com-pletamente differenti. A parità di routine diesercizi, inoltre, cambiando ciclicamentenel tempo i recuperi, avremo un allena-mento differenziato sulle qualità condizio-nali (forza, rapidità e resistenza) (tabella 1).Scendendo nello specifico della muscola-

zione, diventa importante individuare ilsistema energetico che utilizza l’atleta(non necessariamente il body-builder),quindi avere coscienza degli apporti ener-getici in funzione della durata della pre-stazione (nel nostro caso della serie)(tabella 2), come anche delle componentimuscolari in relazione all’allenamento(tabella 3).È necessario quindi porre l’accento sullaimportante relazione esistente tra ipertro-fia, forza e recupero. Il riposo tra le serie serve a rigenerare l'a-denosintrifosfato (ATP) ed il creatinfosfato(CP), due composti altamente energetici. Ilprimo di essi rappresenta la riserva dienergia per la contrazione muscolare e lasua rigenerazione è direttamente propor-zionale alla durata degli intervalli di riposo.

Il recupero è il migliore allenamento!

L’intervallo di recupero sarà quindi in fun-zione del carico utilizzato, del tipo di forzada sviluppare e della velocità di esecuzionedegli esercizi. Ricercatori come Bompa (2001) individua-no un intervallo della durata di 30 s perricostituire circa il 50% dell’ATP/CP utiliz-zato, mentre la durata di 1 minuto vieneritenuta insufficiente a rigenerare energianel muscolo ai fini di prestazioni di tipomassimale. Si ritiene invece che in un periodo da 3 a 5minuti il ripristino dell’ATP-CP avvenga inmodo quasi completo (Fox, Bowers, Foss1995). Al contrario, per far scattare il mec-canismo della supercompensazione legata

all’ipertrofia, 45-90 secondi di recuperosembrano necessari ad una incompletaricostruzione dell’ATP e delle proteinedemolite (Zaciorskij 1970).Si tratta quindi di creare una strategia che,attraverso tempi e metodi, metta in conti-nuità didattica le schede di allenamentoche di mese in mese porteranno soggettidiversi ai risultati sperati. Quindi un maratoneta cosa dovrà fare?Non può incrementare troppo la massa,altrimenti si appesantisce nella corsa, mavuole diventare comunque più forte e resi-

Carico (%) Velocità esecutiva Recupero Obiettivo

> 105 bassa 4-5 min forza massimale eccentrica80-100 da bassa a media 3-5 min forza massimale ed ipertrofia60-80 da bassa a media 2 min ipertrofia muscolare50-80 bassa-media 1-2 min resistenza muscolarea

Tabella 1 – Carichi, recupero ed obiettivi (Bompa 2001)

Tempo Sistemi energetici Tipi di attivitàdi prestazione prevalenti

- di 30 s ATP-CP lanci, 100 m, salti, ecc.

da 30 a 90 s ATP-CP e lattacido corse: 200, 400 m, nuoto 100 m

da 90 s a 3 min lattacido ed aerobico 800 m, pugilato, lotta

+ di 3 min aerobico ciclismo, maratona, sci di fondo, triathlon

Tabella 2 – Tempi di prestazione e supporto energetico (da Fox 1988, modificato)

Componenti della cellula Contributo percentuale al volume Stimolo allenantemuscolare totale della cellula muscolare

Sostanze proteiche delle miofibrille 20-30% Carichi medi ed elevati (forza).Resistenza alla forza6-12 ripetizioni.

Mitocondri (depositi energetici) 15-25% Carichi medio-bassi (resistenza)capillarizzazione Resistenza alla forza

15-20 ripetizioni

Sarcoplasma 20-30% Carichi medio-bassi, medi ed elevati.Forza e resistenza.

Capillarizzazione, vascolarizzazione 3-5% Carichi medio-bassi. Resistenza più tensione continua: esecuzioni lente.

Depositi adiposi 10-15% Riposo e dieta

Tabella 3 – Componenti delle cellule muscolari in relazione all’allenamento (Hatfield 1986)

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stente di prima. Un culturista, al contrario,vuole più massa muscolare, ma vuoleanche poterne guidare la crescita dandoarmonia al suo immaginario modello ana-tomico. Che cosa dovra` fare invece un “non ago-nista” che vuole tonificarsi e cerca uncambiamento morfologico, volendo ridurrela massa grassa degli arti inferiori o vice-versa quella del tronco?

Cosa fare?

In tutto questo l’istruttore deve sapersiorientare, generando forme combinate diallenamenti con i pesi e con macchine peril potenziamento cardiovascolare. Ma iltempo di recupero rimarrà comunquesempre il perno fondamentale sul qualefar ruotare l’aumento del metabolismobasale dell’individuo e, quindi, la sua capa-cità di bruciare calorie a riposo. Il tempo direcupero, abbinato al numero delle ripeti-zioni, condizionerà l’incremento dellamassa muscolare. Sperimentalmente, incondizioni di laboratorio, il tempo di lavo-ro delle ripetizioni di una serie raddoppiarispetto al numero di queste.

Recupero completo

Ciò premesso, possiamo dire che, con da 1a 3 ripetizioni con carichi elevati, cerchere-mo l’incremento della forza massimale eavremo uno scarso aumento dell’ipertrofia(Cometti 1997).

In questo caso il recupero dovrà esserecompleto; questo perché nell’allenamentodi tipo neurale o esplosivo il reclutamentodelle unità motorie sarà estremamenteintenso. Volendo fare un esempio, possiamo para-gonarlo a 100 coristi che intonano uncanto all’unisono comandati dal direttoredel coro (sistema nervoso centrale).In questo caso il potenziale elettrico gene-rato, condotto attraverso il motoneurone,avrà una certa velocità in m/s che richie-derà un tempo di recupero notevole (fino a7 min): la cellula nervosa, infatti, recuperadalle cinque alle sei volte più lentamentedella cellula muscolare (Poliquin 1997).Il rapporto tra tempo di sforzo e tempo direcupero, in questi casi, dovrebbe orientar-si su un rapporto di 1:10–15. L'esempio è ilcentometrista, che, nella preparazionegenerale, esegue dei mezzo-squat per laforza esplosiva ed impiega dai 3 ai 5 mindi recupero tra le serie, mentre il powerlif-ter, tra le serie di panca piana arriva adintervalli di 7 minuti per dare al sistemanervoso centrale la possibilità di recupera-re la fase di massimo stress.

Recupero incompleto

Con da 6 a 15 ripetizioni con carichimedio-alti cercheremo l’incremento dellaresistenza alla forza di tipo ipertrofico, conauspicabile incremento dei diametri tra-sversi e della conseguente ipertrofia, conun picco intorno alle 10 ripetizioni. In que-sto caso il recupero dovrà essere di tipoincompleto: questo perché il reclutamentodelle unità motorie, da parte del sistemanervoso centrale, sarà moderatamenteintenso, mentre l’energia per il movimentomuscolare sarà soprattutto a carico deglizuccheri immagazzinati a livello della cel-lula muscolare. Il rapporto tra tempo disforzo e tempo di recupero, in questi casi,dovrebbe collocarsi su un rapporto di 1:2-4. Ad esempio il culturista che esegue serieda 10 ripetizioni di alzate laterali conmanubri recupererà circa 1 min. Il recluta-mento delle unità motorie, nell’allenamen-to di tipo ipertrofico, è infatti, in questocaso, paragonabile a 100 coristi che into-nano un canto alternandosi a gruppi di 50.

Recupero intermedio

Con da 15 a 30 ripetizioni con carichimedio bassi mireremo all’incremento dellaforza resistente, con scarso sviluppo deidiametri trasversi muscolari. In questocaso il recupero dovrà essere di tipo inter-medio, per permettere di mantenere alungo carichi medio bassi: l’energia per ilmovimento muscolare, anche in questocaso, sarà soprattutto a carico degli zuc-cheri immagazzinati a livello della cellulamuscolare. Il rapporto tra tempo di sforzo e tempo direcupero, in questi casi, presumibilmentesi colloca con un rapporto di 1:6-9. Peresempio, il ciclista che esegue serie da 30ripetizioni per la muscolatura lombaredovrà recuperare da 1min30 s a 2 minuti,visto che il numero delle serie e le sue pre-stazioni di forza non saranno eccessiva-mente intaccate dall’accumulo di acidolattico. Il reclutamento delle unità motorienell’ allenamento di resistenza, questavolta è come se i 100 coristi intonasseroun canto, alternandosi a piccoli gruppi.L’esperienza di allenamento porta, inevita-bilmente, a una tolleranza maggiore e adintervalli di riposo più brevi, anche concarichi medi ed elevati. L’accumulo diacido lattico diventa ben tollerato in atleti

Figura 1 – La "piramide degli obiettivi, delle ripetizioni e dei recuperi (D'Isep, Gollin 2001)

Recupero completo:

tempo di recupero = 10-15 volte iltempo di sforzo;ad esempio: 20 s di lavoro = da 3 a 5min di recupero

Recupero incompleto:

tempo di recupero = 2-4 volte il tempodi sforzo;ad esempio: 20 s di lavoro = da 40 s a1min20 s di recupero

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abituati a recuperi incompleti. Pertanto gliintervalli di riposo potranno essere abbre-viati solo per il praticante esperto, consi-derando che l’affaticamento ottenuto conl’allenamento non interferirà con la corret-ta esecuzione biomeccanica dell’esercizio.

Una riflessione sulla realtàmorfologica

Quanto finora proposto sui tempi di recu-pero potrebbe apparire secondario rispettoagli obiettivi che ispirano l’allenamentodegli agonisti di alto livello. Il nostro pare-re è che, oltre a programmare efficace-mente le capacità condizionali degli atleti,sia necessario aver cura del benesseregenerale e anche dell’aspetto morfologicodel soggetto che si allena. Non è infre-quente vedere atleti, anche di livello nazio-nale, persino giovani, con una massa adi-

posa eccessiva e mal distribuita o con gliinestetismi della cellulite: questa condizio-ne, in fondo, coinvolge “l’immagine di se`”e pertanto l’autostima dell’atleta, elementotutt'altro che secondario nel delicato equi-librio che favorisce le migliori prestazioni.Il nostro vuole essere un contributo opera-tivo ed efficace per stabilizzare nel tempo,oltre alla prestazione, anche la positivitàpsico-somatica dell’atleta.Finora molti trainer si sono limitati a dareconsigli dietetici, senza domandarsi qualisiano le cause scatenanti la riduzione dellamassa grassa e se queste possano essereattivate con una strategia che passi daipercorsi allenanti. È intuibile che, oltre ad avere un vantaggiometabolico, il soggetto ne trarrebbe unsignificativo vantaggio in termini di forzarelativa, riducendo il peso del propriocorpo da spostare durante la prestazione. Inoltre una ricaduta non secondaria sareb-be costituita dall’azione preventiva suusure articolari da sovrappeso, che potreb-bero influenzare anche la longevità sporti-va. E allora, ben vengano indicazioni dalmondo del fitness che, ovviamente, consi-dera l’armonia muscolare, l’obiettivo stes-so della propria prestazione.

Proviamo ora ad ipotizzare un piano dilavoro basato sui concetti precedentemen-te espressi per persone normotipo che piùfrequentemente il mondo degli allenatorisi trova ad affrontare (fitness) con l'obiet-tivo di una migliore condizione morfologi-ca-estetica, ma senza tralasciare l'aspettoprestazionale e salutistico.

Avviamento all'attività

Fase 1: deve creare il fondo per sostenerein futuro una più alta intensità di carico.Resistenza e vascolarizzazione muscolaresono l’ obiettivo.

I muscoli si vascolarizzano più dei tendini!• 15-20 ripetizioni;• tre serie per esercizio;• un esercizio per gruppo muscolare;• un minuto di recupero;• tre allenamenti settimanali.

Il recupero in questo caso è di tipo incom-pleto, non tanto per creare esaurimentolattacido, ma per innalzare la frequenzacardiaca di base in modo da agire corret-tamente anche sul potenziamento cardio-vascolare con effetto “inerziale” a riposo e,durante l’esercizio, sul metabolismo deigrassi. Durata complessiva del lavoro,mediamente un mese, più una settimanadi scarico al 50% della quantità del lavoro(4 settimane + 1 di scarico).

Incremento della forza massima

Fase 2: questa “insegna” al SNC a reclutarecontemporaneamente più unità motorie.Sinergia che servirà nella fase ipertroficasuccessiva, dove si potra` direzionare inmodo più specifico il lavoro estetico.

Il ciclo forza resistente-forza massimale-forza ipertrofica:

• lavoro basato su un elevato numero diripetizioni e carichi bassi: 15-20 ripe-tizioni, un esercizio per gruppo; recu-pero 1min30s. Durata 4-6 settimane,2-3 allenamenti per microciclo.

• Lavoro basato su un basso numero diripetizioni e carichi elevati: dall’85 al95%: 8-12 ripetizioni, 2-3 esercizi pergruppo; recupero 3 min. Durata, 2mesi, 3-4 allenamenti per microciclo.

• Lavoro basato su un numero medio diripetizioni e carichi medi, 70-80%; 8-12 ripetizioni, 2-3 esercizi per gruppo.Recupero: 1 min. Durata 2 mesi, 3-4allenamenti per microciclo.

Recupero intermedio:

tempo di recupero = 6-9 volte il tempodi sforzo;ad esempio: 20 s = 2-3 min di recupero

Foto Vision

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Più forza = più massa da modellare neipunti giusti !• 3-6 ripetizioni • quattro serie per esercizio• due esercizi base per gruppo muscolare• tre minuti di recupero tra le serie• corpo suddiviso in due parti (split rou-

tine)• quattro allenamenti con sovraccarichi• due allenamenti di 30 min aerobici al

70% FC max (solo se si deve dimagrire).

Durata complessiva del lavoro: 2 mesi; 3settimane di carico e una di scarico (3+1).

Ipertrofia o resistenza alla forza ipertrofica

Fase 3: si tratta di incrementare la massadei materiali contrattili di base (actina emiosina), ma anche la supercompensazio-ne di glicogeno muscolare la fa da padro-ne per rendere sempre i muscoli tonici edesplosivi.

Topografia corporea e strategie ottimizzanti

Se il grasso corporeo è localizzato negliarti inferiori, su di loro è necessario ese-guire un programma simile a quello diavviamento, ma con due esercizi per grup-po muscolare, mentre per il resto del corpomiriamo alla crescita muscolare. Il risultatoestetico è anche condizionato dalle pro-porzioni. Quindi, per apparire meno disar-monici, è necessario tentare di aumentarel’impatto visivo del diametro bisacromialeriducendo quello bisiliaco.La durata complessiva del lavoro è di mas-simo due mesi, più due settimane di scari-co . La massima forma può essere mante-nuta solo per poco tempo.A questo punto ci si trova sostanzialmentea un bivio: si tratta di fare la scelta piùidonea in base alle diverse necessita spor-tive o di fitness:

1. Un fitness–man/woman: basterà ripete-re la sequenza precedente con metodolo-gie differenti2. Un atleta di resistenza: la preparazionegenerale con sovraccarichi sarà maggior-mente orientata al ciclo resistenza - forza,escudendo l'ipertrofia, per non appesantir-si con un massa muscolare, controprodu-cente ai fini della prestazione.3. Un atleta di velocità: al contrario l'atletadi potenza sarà avvantaggiato da cicli diforza e ipertrofia per migliorare la suapotenza e resistenza alla velocità.

Gli autori: Rinaldo D’Isep, incaricato dell’inse-gnamento di Teoria, tecnica e didattica delleattività motorie, presso la Scuola universitariainterfacoltà di scienze motorie dell’Università diTorino; Massimiliano Gollin, incaricato dell’insegnamen-to di Teoria, tecnica e didattica delle attivitàmotorie, presso la Scuola universitaria interfa-coltà di scienze motorie dell’Università di Torino.

Bibliografia

1. Cometti G., Metodi di sviluppo dellaforza, Calzetti, Mariucci, Perugia, 1994.2. Calligaris A., Le scienze dell’allena-mento, Roma, SSS, 19973. Fox E., Bowers R., Foss A., Allenare,Allenarsi, Il Pensiero scientifico ed.,Roma, 19954. Fucci A., Guida all’allenamento, Scien-tifica Internazionale, Roma, 19975. Harre D., Teoria dell’allenamento, SSS,19726. Hatfield F., Body Building: un approc-cio scientifico, Sporting Club Leonardoda Vinci, Milano, 1986.

• 10 ripetizioni ad esaurimento;• quattro serie per esercizio;• due esercizi per gruppo muscolare, uno

di base e uno di isolamento;• un minuto di recupero;• corpo suddiviso in 3 parti (split routine,

A, B, C);• cinque allenamenti con sovraccarichi;• tre allenamenti di 30 min aerobici al

70% FC max (per mantenere il livelloorganico)

Figura 3 –

Figura 2 –

Esercizio complementare o di isolamen-to: cerca di isolare il gruppo muscolarecon un movimento semicircolare, solita-mente monoarticolare (figura 3).

Esercizio base: esercizio che coinvolgepiù articolazioni, sfruttando sinergiemuscolari, con traiettore del carico ret-tilinee (figura 2).

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Sci alpino e massa corporea

Mirko Colombo, Scuola svizzera di sci, St.Moritz; Cristian Osgnach, Giulio Sergio Roi, Isokinetic Research Center, Bologna

Perché l’elevata massa corporea può favorire gli atleti delle discipline veloci

Dopo aver introdotto la distinzione tra fattorifavorenti e fattori determinanti la prestazione,si analizza il ruolo della massa corporea comefattore favorente nelle discipline di velocitàdello sci alpino. Vengono così illustratenel dettaglio le forze che determinanol’avanzamento dello sciatore e quelle chelo frenano. Viene successivamente dimostratocome uno sciatore di massa corporea elevata,a parità di altri fattori, possa ottenere unamaggiore accelerazione soprattutto alle altevelocità. Si discute infine dell’importanzadi aumentare la massa muscolaredello sciatore, piuttosto che la massacorporea, per ragioni biomeccanichee fisiologiche. In ogni caso le prestazioni nello sci alpino di alto livello, derivano dall’abilità tecnica e dalla strategia di gara,con il supporto di una moltitudine di fattorifavorenti, tra cui l’elevata massa corporea.

Foto Bruno

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Introduzione

È noto che in alcune forme di locomozio-ne, le dimensioni corporee possonoinfluenzare la prestazione. Ad esempio nelciclismo in piano e nel pattinaggio di velo-cità, a parità di potenza massima per chi-logrammo di peso, i soggetti di grandidimensioni tendono a realizzare le miglioriprestazioni (di Prampero 1987).I fattori che influenzano la prestazione,possono essere distinti in determinanti efavorenti (Roi, Larivière 1997). I fattorideterminanti sono correlati alla perfor-mance; ad esempio, negli sport di lungadurata, un’elevata soglia anaerobica èaltamente correlata alla velocità di gara(Billat 1996). I fattori favorenti, invece,non mostrano statisticamente significativecorrelazioni, ma cooperano alla perfor-mance. Un esempio è la notevole forzamassimale degli estensori del ginocchionegli sciatori alpini (Andersen, Montgo-mery 1988): uno sciatore maschio che pre-senta un momento di forza degli estensoridel ginocchio inferiore a 200 N · m (misu-rato al dinamometro isocinetico a unavelocità angolare di 90° · s-1) difficilmenteotterrà risultati di alto livello. Anche dispo-nendo di ottime abilità tecniche, senza unadeguato livello di forza, non si arriva acompetere in Coppa del Mondo (White,Johnson 1991; Tesch 1995).Nelle ricerche su sciatori di alto livello, èdifficile individuare i fattori di tipo fisiolo-gico determinanti la prestazione, essendole abilità tecniche e la strategia di gara ifattori determinanti (Colombo 2000). Losci alpino moderno richiede, comunque,un livello base di numerosi fattori favoren-ti, tra i quali, l’elevata massa corporeasembra giocare un ruolo importante.In questo scritto saranno esaminati i moti-vi per cui, soprattutto nelle discipline velo-ci dello sci alpino, atleti dotati di masseelevate siano avvantaggiati, potendo rag-giungere superiori velocità.

Gare

Le discipline dello sci alpino sono tradizio-nalmente suddivise in:- discipline tecniche: slalom speciale (SL) e

slalom gigante (GS);- discipline veloci: super slalom gigante

(SG) e discesa libera (DH).

Le discipline per regolamento si differen-ziano in base al dislivello del percorso ed alnumero delle porte (tabella 1). In particolare, durante la discesa libera, glisciatori possono raggiungere, in baseall’inclinazione del pendio, alla disposizio-ne del tracciato ed al tipo di neve, velocitàdi 130-140 km·h-1. A conoscenza degli

autori, le punte massime di velocità sonosempre state misurate a Kitzbühel(Austria) sulla pista Streif e precisamentenello schuss d’arrivo (148 km · h-1 in untratto di 50 m).Nell’ambito delle competizioni sciisticheesiste anche la disciplina denominata chi-lometro lanciato (KL), in cui l’atleta scivolain posizione aerodinamica su un percorsorettilineo, tentando di realizzare il recorddi velocità sugli sci. Il record del mondoattuale di 250,700 km · h-1 è stato realizza-to dal francese Philippe Goitschel a LesArcs (Francia) il 23 aprile 2002, sulla pistaAiguille Rouge.

Energia potenzialeed energia cinetica

Prendiamo come esempio per i successivicalcoli, uno sciatore con massa complessi-va di 90 kg (attrezzatura compresa). Se lo sciatore gareggia sulla pista di disce-sa libera di St. Moritz (altitudine di parten-za 2840 m, altitudine d’arrivo 2040 m), almomento della partenza dispone di uncerto quantitativo di energia potenziale.Questa energia è la capacità di produrrelavoro per effetto della posizione occupata(dislivello verticale tra altitudine di parten-za e di arrivo):

Ep = m · g · h (1)Ep = 90 · 9,81 · 800

Ep = 706,32 kJ

m = massa dell’atleta e dell’attrezzatura (kg);g = accelerazione di gravità (m · s-2);h = dislivello della pista (m).

Non appena lo sciatore si mette in moto,l’energia potenziale si trasforma in energiacinetica e gli consente di accelerare.Durante la discesa, una parte dell’energiacinetica sarà dissipata per vincere le forzeresistive date:- dalle derapate (frenate), in pratica gli

slittamenti trasversali degli sci rispettola direzione dello scivolamento;

- dall’attrito tra sci e neve;- dalla resistenza dell’aria.

Per queste ragioni, gli atleti durante ladiscesa libera ricercano un continuo incre-

mento della velocità evitando di frenare eadottando posizioni il più possibile aerodi-namiche. Altri accorgimenti pre-gara, voltia ridurre le forze resistive, consistono nel-l’applicare sulla soletta apposite scioline enell’indossare speciali tute aderenti.Gli atleti del chilometro lanciato, invece,non devono percorrere un tracciato impo-sto dai pali ma “vanno giù dritti” senzafrenare, pertanto la velocità viene ridottasolamente dall’attrito degli sci con la nevee soprattutto dalla resistenza dell’aria. Intal modo gli atleti del chilometro lanciatopossono raggiungere velocità notevolmen-te superiori rispetto agli atleti che pratica-no la discesa libera.

Forza peso

Immaginiamo che lo sciatore scivoli lungola linea di massima pendenza del prece-dente pendio. In queste condizioni, nonavvengono le derapate ed il movimento diquesto sciatore è paragonabile al moto diun corpo che scivola su di un piano incli-nato. La forza che determina la propulsionedello sciatore è, in questo caso, la forzapeso, che è data dal prodotto della massadell’atleta (attrezzatura compresa) per l’ac-celerazione di gravità. Lo sciatore conside-rato avrà quindi una forza peso di 883 N:

Fp = m · g (2)Fp = 90 · 9,81

Fp = 883 N

m = massa dell’atleta e dell’attrezzatura (kg);g = accelerazione di gravità (m · s-2).

Più precisamente, come mostrato in figura1, la forza peso si scompone in una com-ponente parallela al pendio (Fpp) ed in unacomponente ortogonale (Fpo). La componente parallela è quella che pro-duce l’avanzamento (scivolamento). Il suovalore è dato dal prodotto della forza pesoper il seno dell’angolo del piano inclinato(pendenza della pista in gradi). Il valoredella componente parallela, essendo infunzione del seno dell’angolo, incrementacon l’aumentare dell’inclinazione del pen-dio. Nel caso di un pendio con inclinazionedi 25°, la Fpp sarà pari a 373 N:

Disciplina Durata (s) n° porte Velocità max (km · h-1) Dislivello (m)

SL 45-60 ~ 65 30-40 180-220GS 60-90 ~ 50 70-75 300-450SG 90-120 ~ 40 80-90 500-650DH 110-130 ~ 40 130-140 800-1100

Tabella 1 – Caratteristiche delle gare di Coppa del Mondo maschili dello sci alpino

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Fpp = Fp · sen (α) (3)Fpp = 883 · sen (25°)

Fpp = 373 N

La componente ortogonale è invece il pro-dotto della forza peso per il coseno del-l’angolo del piano inclinato. Il suo valore,pertanto, diminuisce con l’aumentare del-l’inclinazione del pendio. Sul precedentependio, la Fpo sarà pari a 800 N:

Fpo = Fp · cos (α) (4)Fpo = 883 · cos (25°)

Fpo = 800 N

Riassumendo, all’aumentare dell’inclina-zione del pendio aumenta il valore dellaFpp, mentre quello della Fpo diminuisce.Mentre la Fpp determina lo scivolamentodello sciatore, la Fpo è implicata nell’attritodi scivolamento.

Attrito di scivolamento

Lo scorrimento della soletta sulla neveproduce una resistenza, meglio definitacome forza d’attrito dinamica di scivola-mento (Fµ). Il valore di questa forza è datodal prodotto della Fpo per un coefficiented’attrito (µ). Il coefficiente d’attrito dipen-de dal materiale della soletta, dal tipo disciolina e soprattutto dal tipo di neve;viene determinato in laboratorio (Hämäläi-nen, Spring 1986; Saibene e coll. 1989).Per i successivi calcoli, il coefficiente d’at-trito viene assunto come valore costante.In realtà è stato dimostrato che subiscevariazioni in relazione alla velocità (Kaps ecoll. 1996; Roberts 1987), ma tali variazio-ni nel nostro caso non assumono rilevanzasignificativa.Le strategie per minimizzare il coefficiented’attrito, consistono nell’utilizzo di sci consolette a ridotto coefficiente d’attrito enell’applicazione di scioline adatte allatemperatura ed al tipo di neve. In caso dineve compatta, la Fµ del nostro sciatoresarà pari a 16 N:

Fµ = µ · Fpo (5)Fµ = 0,02 · 800

F = 16 N

µ = valore compreso tra 0,01 e 0,20 (da nevemolto secca ad umida).

È evidente che, durante una competizionedi sci, l’azione di freno esercitata dalla Fµ èminima rispetto alla forza che determinalo scivolamento (Fpp).

Resistenza dell’aria

Nelle discipline veloci dello sci alpino èsoprattutto la resistenza dell’aria (D = dragforce) a frenare l’avanzamento dello scia-tore (Savolainen 1989). La resistenza del-l’aria, infatti, cresce con il quadrato dellavelocità di scivolamento e con l’aumentaredella superficie frontale (A) dello sciatore.Durante la discesa, lo sciatore “taglia” l’a-ria e si vengono così a formare dei flussiintorno al suo corpo. I flussi creano dietroal corpo dei vortici, meglio definiti cometurbolenze. Le turbolenze provocano unariduzione della pressione e così sul corpoviene esercitata una forza contraria alladirezione dello scivolamento. Proprio perqueste ragioni, nelle discipline veloci, risul-ta fondamentale mantenere la posizionepiù aerodinamica possibile. La posizione “auovo” è quella per cui l’area di superficiefrontale e il coefficiente di penetrazionesono minimi. Già alla fine degli anni ’70alcuni esperimenti realizzati nel tunnel delvento, hanno dimostrato che a 80 km · h-1,passando dalla posizione raccolta a quellaa uovo, la resistenza dell’aria diminuisceda 90 a 60 N, e che ad oltre 100 km · h-1

scende da 200 a 120 N (Watanabe, Oht-suki, 1977; Watanabe, Ohtsuki 1978). Altrestrategie utilizzate dagli atleti per ridurrela resistenza dell’aria, consistono nell’in-dossare tute aderenti realizzate con mate-riali molto levigati, nell’uso di caschi aero-dinamici e bastoncini ricurvi che aderisco-no al corpo

Al nostro ipotetico sciatore, in posizione auovo, raggiunta la velocità di 30 m · s-1

(108 km · h-1), ad un’altitudine di 2500 m,l’aria opporrà una resistenza di ben 91 N:

D = 1/2 · CD · A · v2 · p (6)D = 1/2 · 0,7 · 0,30 · (30)2 · 0.96

D = 91 N

CD = coefficiente di penetrazione, che dipendedalla forma del corpo dello sciatore. Allo scia-tore con tuta aerodinamica ed in posizione auovo viene attribuito un valore di 0,7;A = area di superficie frontale dello sciatore;in posizione a uovo è di circa 0,30 m2;v = velocità dello sciatore (m · s-1);p = densità dell’aria. È pari a 1,29 kg · m-3 allivello del mare con temperatura di 0 °C.Diminuisce con l’aumento dell’altitudine,essendo direttamente proporzionale alla pres-sione atmosferica e inversamente proporzio-nale alla temperatura ambientale.

È interessante notare che in assenza diattriti chiunque potrebbe raggiungere,dopo 30 secondi di scivolamento sullalinea di massima pendenza di un pendio di25°, la velocità di 446 km · h-1! In questasituazione immaginaria la velocità finalesarebbe solo in funzione del tempo:

v = g · sen (α) · t (7)v = 9.81 · sen (25°) · 30

v = 124 m · s-1 = 446 km · h-1

g = accelerazione di gravità (m · s-2);α = angolo medio del pendio (°);t = tempo (s).

Accelerazione

In figura 2 sono rappresentate le forze cheagiscono sul nostro sciatore che scivolaalla velocità di 108 km · h-1, in posizione auovo, su un pendio di 25°. Conoscendo ilvalore delle forze che determinano l’avan-zamento e di quelle che tendono a frenar-lo, è possibile ricavare il valore della forza

Figura 1 – La forza peso può essere scomposta in una componenteparallela al pendio (Fpp) ed una componente ortogonale (Fpo)

Figura 2 – Forze che agiscono su uno sciatore che scivola alla velocitàdi 108 km · h-1, in posizione a uovo, su un pendio di 25°

Fpo

Fp

Fpp

Fpp

D

p= 0.96 kg-m3

CD.A= 0.21

m= 90 kgv= 30 m.s-1 25o

373 N

91 N

16 N

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risultante che agisce sullo sciatore. Laforza risultante (FR) è pari alla componenteparallela della forza peso (Fpp), cui si devo-no sottrarre le forze resistive date dallaforza d’attrito dinamico di scivolamento(F) e dalla resistenza dell’aria (D):

FR = Fpp – Fµ – D (8)FR = 373 – 16 – 91

FR = 266 N

È evidente che, minimizzando sia la forzad’attrito dinamico di scivolamento(mediante l’uso di scioline), sia la resisten-za dell’aria (ideale posizione aerodinamicada studiare nel tunnel del vento per cia-scun atleta), la forza risultante che produ-ce l’avanzamento dello sciatore risulteràmaggiore.Modifichiamo ora la formula precedente(8) con alcuni calcoli algebrici:

FR = Fpp – Fµ – D

m · a = m · g · sen (α) – – µ · [m · g · cos (α)] – 1/2 · CD · A · v2 · p

m · (∆v · ∆t-1) = m · g · sen (α) –– µ · [m · g · cos (α)] – 1/2 · CD · A · v2 · p

∆v · ∆t-1 = g · sen (α) – µ · [g · cos (α)] – – CD · A · v2 · p · (2m)-1

∆v ·∆ t-1 = g · [sen (α) – µ · cos (α)] – – CD · A · v2 · p · (2m)-1 (9)

La formula finale (9) rappresenta l’equa-zione dell’accelerazione dello sciatore, pre-sente in diverse pubblicazioni (Berg 1987;Maronski 1990; Watanabe, Ohtsuki 1977;Watanabe, Ohtsuki 1978). Coloro chehanno dimestichezza con il calcolo alge-

brico possono accorgersianche a prima vista che,aumentando il valore dellamassa corporea (m), l’ulti-mo termine dell’equazionediminuisce di valore; in talmodo l’accelerazione (∆v ·∆t-1) aumenta. A questo punto si potreb-be obiettare che aumen-tando la massa corporeadell’atleta, aumenterebbedi conseguenza la sua areadi superficie corporea equindi l’area di superficiefrontale; di conseguenzanon si otterrebbe alcunvantaggio in termini d’ac-celerazione. Ma la massa aumenta conil cubo della dimensionelineare, mentre la superfi-cie aumenta con il quadra-

to della stessa dimensione. Pertanto,aumentando il valore della massa corpo-rea, l’ultimo termine dell’equazione dimi-nuisce in ogni caso di valore e così lo scia-tore con maggiore massa (a parità di altrifattori) può andare più veloce!Se si inseriscono i numeri nell’equazionedell’accelerazione dello sciatore, si trovache il vantaggio di possedere una maggio-re massa corporea è rilevante alle altevelocità (KL, DH, SG), mentre alle bassevelocità (GS e SL) è trascurabile. Questosignifica che, soprattutto alle alte velocità,chi pesa di più può ottenere (a parità dialtri fattori) una maggiore accelerazione.Altri autori (Savolainen, Visuri 1994)hanno calcolato che un incremento di 10kg della massa dello sciatore dovrebbeincrementare la velocità massima di 2,3 m· s-1 ovvero di 8,3 km · h-1.

Quanto bisogna pesare

È necessario adesso stabilire fino a chepunto sia vantaggioso l’incremento delpeso corporeo e se sia indifferente unaumento in termini di massa grassa omagra.

Al primo problema non è facile dare rispo-sta; ci limitiamo ad osservare come la let-teratura internazionale degli ultimi tredecenni mostri un continuo incrementodel peso corporeo e del peso magro deglisciatori d’élite (White, Johnson 1993;Orvanova 1987; Karlsson 1984; Kornexl1976; Kornexl 1975). Ad esempio (tabella2) la massa corporea della nazionale italia-na maschile è aumentata dell’8% tra il1982 e il 1999 (Colombo 2000; Colombo ecoll. 2000). Il secondo problema sarà esaminato in ter-mini fisici e fisiologici. In genere, negliatleti è preferibile incrementare la massamuscolare piuttosto che quella grassa. Maconsiderando che lo sciatore non lavoracontro gravità, si potrebbe supporre che ilgrasso non ostacoli la prestazione. È lecitoquindi chiedersi se sia preferibile (ai finidella prestazione) un aumento in terminidi massa grassa rispetto alla magra. Ana-lizzando il problema dal punto di vistastrettamente fisico, occorre considerareche la massa grassa e quella magra hannouna differente densità (la densità risultadal rapporto fra la massa e il volume di uncorpo [d = m · V-1]). La densità del grasso èpari a circa 0,9 g · cm-3 mentre quella delmuscolo è pari a circa 1,1 g · cm-3.A parità di massa, il grasso occupa piùspazio, mentre il muscolo ne occupameno. Pertanto dal punto di vista stretta-mente fisico, potendo scegliere se aumen-tare il peso dell’atleta con 10 kg di massagrassa o con lo stesso quantitativo dimassa magra, sarebbe più logico incre-mentare la massa magra. Infatti, 10 kg dimassa magra occuperebbero meno spazioe quindi il valore della superficie frontale(A) sarebbe minore. Ma 2-3 cm di differen-za fra lo spazio occupato dalla massagrassa e magra, sono una quantità vera-mente irrisoria, e i vantaggi in terminid’accelerazione sarebbero molto limitati. Inconclusione, dal punto di vista del vantag-gio accelerativo, a parità di massa corpo-rea, lo sciatore con maggiore densità nonsembra essere avvantaggiato. Si capiscecosì perché, a parità di massa, anche glisciatori con minore densità possono otte-

Gruppo 1982 Gruppo 1999 P < Differenza (%)

N° 25 19 — —Età (anni) 21,7 ± 2,3 24,8 ± 2,8 0,001 +14Peso (kg) 79,0 ± 8,1 85,0 ± 7,4 0,05 +8Peso magro (kg) 68,6 ± 6,2 76,8 ± 5,7 0,001 +12Statura (cm) 178 ± 6,0 179 ± 4,0 N.S. —BMI (kg · m-2) 24,9 ± 1,4 26,8 ± 2,0 0,01 +6Grasso corporeo (%) 14,2 ± 3,8 9,6 ± 2,7 0,001 -32

Tabella 2 – Caratteristiche degli atleti appartenenti alle squadre nazionali italiana A di sci alpinodurante le stagioni 1982/83 e 1999/2000

Foto Digital Vision

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nere brillanti performances. In effetti, èevidente che alcuni sciatori (molti dei qualiappartengono al settore femminile), ancheai limiti dell’obesità riescano ad otteneresuccessi soprattutto nelle discipline veloci.Pertanto dal punto di vista fisico non vi èalcuna differenza, ma è la massa comples-siva che dà vantaggio! Dal punto di vista fisiologico, per ciò checoncerne la discesa libera, appare chiaral’importanza di dotare gli sciatori di massemuscolari, piuttosto che di grasso. Oggi-giorno, infatti, le forze centrifughe sononotevolmente superiori rispetto a quindicianni or sono. Ciò è dovuto alle maggiorivelocità e alle notevoli inclinazioni delcorpo degli atleti, rese possibili dalla modi-ficata forma geometrica degli sci e dall’usodelle piastre di rialzo. Soprattutto a finecurva, le forze esterne sono maggioririspetto alle altre fasi di curva, poiché siala forza centrifuga che la forza gravitazio-nale agiscono nella stessa direzione. Hin-termeister e coll. (1997) hanno messo inevidenza che, nella fase finale di una curvadi SL e GS, i picchi di ampiezza EMG per idifferenti muscoli degli arti inferiori varia-vano fra il 131 e il 245% della MCV; laragione di ciò sarebbe dovuta ad unaumento del reclutamento di unità moto-rie in risposta alle alte velocità ed alleenormi forze centrifughe cui deve resisterelo sciatore. È evidente che lo sciatore dota-to di imponenti masse muscolari riesce acontrastare con meno fatica tali forze dicompressione esterne.

Conclusioni

In questo scritto, sono stati esposti i moti-vi per cui gli atleti con maggior massa cor-porea sono avvantaggiati nelle disciplineveloci dello sci alpino. Secondo quantoesposto, è lecito supporre che un allena-mento volto ad incrementare la massamagra possa apportare benefici alla pre-stazione. È noto che soggetti non allenatinell’arco del primo anno di allenamentocon i pesi, allenandosi e nutrendosi corret-tamente, riescono, nei migliori casi (esenza l’ausilio di farmaci) ad incrementarela massa muscolare di un massimo di 6-8kg. Negli atleti dello sci alpino, è ragione-vole ritenere che questo incremento siapiù contenuto, a causa degli allenamentitecnici e dei costanti impegni di gara, cheinterferirebbero con gli allenamenti per l’i-pertrofia. Pertanto lo sviluppo della massamuscolare dovrebbe essere un obiettivo alungo termine. Non è neppure necessarioridurre la percentuale di grasso a livellitroppo bassi in quanto un’eccedenza digrasso non sembra ostacolare di per sè laprestazione, anche se potrebbe essere indi-ce di una forma fisica insufficiente.

In conclusione, non bisogna dimenticareche lo sci alpino è pur sempre uno sport“tecnico” e, in quanto tale, la prestazionederiva dall’abilità tecnica dell’atleta e dallastrategia di gara, con il supporto di unamoltitudine di fattori favorenti tra i quali èlecito annoverare la massa corporea. Lamigliore prestazione deriverà dall’ottimaleinterazione di tutti questi fattori. Più sem-plicemente lo sciatore più pesante e fortenon è automaticamente candidato a vin-cere la discesa libera, anche se può risulta-re in qualche modo favorito! Le qualitàtecniche ed in parte le caratteristichementali giocano sempre, nello sci alpino dialto livello, un ruolo determinante (Colom-bo 2000).

Gli autori: M. Colombo, diplomato ISEF e mae-stro di sci alpino presso la Scuola di Sci di St.Moritz (Svizzera); G.S. Roi, direttore del CentroStudi Isokinetic di Bologna; C. Osgnach, diploma-to ISEF e collaboratore del Centro Studi Isokineticdi Bologna.

Indirizzo degli autori:Mirko Colombo, Chesa Fratta, Via dal Chanel, CH7513 Silvaplanae-mail: [email protected] Sergio Roi, Cristian Osgnach, Centro StudiIsokinetic, Via di Casteldebole 8/4, 40132 Bolo-gnaWeb Sites: www.isokinetic.com - www.traumi-sportivi.it e-mail: [email protected]

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Bibliografia

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The Winter Olympic Games of Salt LakeCity and international developmenttrends for winter sportsA. Pfützner, M. Reiss, K. Rost

The paper draws a balance of the recentWinter Olympic Games of Salt Lake City,and attempts an analysis of internationaltrends in the development of winter sports.This entails an analysis of the evolution ofresults at an international level and of theunderlying structural components. Theseare chiefly made up of: the efficacy oftraining systems; technological progressand the organisation of competition perfor-mance; the professionalisation of thecoaching and training system and scientificassistance given to training. The main caus-es of a growth in performance at a nationallevel are: an improvement in training effica-cy, the successful passage of men andwomen athletes from transitional trainingin preparation for top level competition totop-level training itself, and an improve-ment in training control based on a coach-advisors system. Some conclusions aredrawn from the considerations and analysesmade with reference to the new Olympiccycle.

The contribution made by science to sports trainingV. Billat

For almost 80 years, physiological studieshave attempted to explain the basis forendurance performance and to developways of improving performance by training.Performance for a runner can be represent-ed by his/her personal power (velocity) ver-sus time to exhaustion (time limit) relation-ship. There are some particular velocitiesthat delineate intensity domains which aredetermined by oxygen uptake (V

.O2) and

blood lactate response vs. time. This candistinguish: 1¡: the maximal lactate steady-state where the rate of appearance of bloodlactate equals the rate of disappearance andat which V

.O2 stabilizes after 3 minutes at

about 85% V.O2. This corresponds to the

highest velocity that an athlete can sustainfor an hour (85% vV

.O2 for a well-endurance

trained subject), carbohydrate (and lactateeven) are the main substrates for this exer-cise; 2¡, the critical power which is the slopeof the relationship between distance andtime run at V

.O2max; 3¡, the minimal velocity

associated with V.O2max determined in an

incremental test (vV.O2max or maximal aero-

bic velocity). In light of this physiologicalapproach it should be possible in the nextfive years to diversify training and exploreendurance training effects and fitness.

Some aspects of competition preparation P. Tschiene

After having defined the concepts of topform, structure of performance and struc-ture of competition, the paper looks at therelationship between competition and train-ing according to an approach based on: thetheory of systems; time constraints for com-petition preparation; ergogenic aids to opti-mise performance in training and competi-tion; the problem of the extension of thecompetitive season and the state of topform; the relationship between the length oftraining and sporting form and betweencompetition and the state of the immunitysystem.

Fatigue: central and peripheral aspectsG. N. Bisciotti, P. P. Iodice, R. Massarelli,M. Sagnol

The phenomenon of fatigue has a multifac-torial aetiology that is not always easy topinpoint and difficult to interpret, havingnot a few conceptual contradictions.The phenomenon is traditionally brokendown into peripheral fatigue and centralfatigue, with chiefly metabolic causes forthe former and basically neural grounds forthe latter. The general picture is not soclear-cut however, and the various triggerfactors very often overlap in a vague man-ner, making the situation difficult to inter-pret. In this short review an attempt is madeto outline the current state of knowledgeregarding the onset of both peripheral andcentral fatigue, highlighting the manyunclear points and possible areas for futurestudy.

Physical training in team sportsG. Cometti

After giving some examples of typical exer-cises used in weight-lifting, wrestling, judoand boxing training that may be used forphysical training in team sports, the paperpresents combinations of general and spe-cific exercises that can gradually be intro-

duced to players’ training programmes afterhaving learnt the correct techniques. Thesecombinations have a significant impact ontraining and introduce elements of variety,interest and motivation to training sessions.

Recovery in training with overloadsR. D'Isep, M. Gollin

The paper highlights the cause-effect rela-tionship when choosing different recoverytimes in training sessions using overloads. Itis observed that this element is not suffi-ciently highlighted in the literature, whileexperience shows that in the medium- andlong-term especially there are substantialdifferences regarding the desired perfor-mance and muscular model.The analysis of deciding factors starts fromconsiderations on the energetic system usedby the athlete for competition performanceand the goals to achieve. Proposed alterna-tives take into account bibliographical data,although they partly diverge from such dataas regards the relationship between the timededicated to contraction and recovery time.The conclusions consider the degree of “cus-tomisation” required to respect inter-indi-vidual differences, which are influenced bysomatotype and the number of years oftraining and sporting expertise of athletes,highlighting the fact that training can beruined by incorrect recovery times, causingeffects that are different from and even theopposite of the goal one wishes to achieve.

Downhill skiing and body massM. Colombo, C. Osgnach, G. S. Roi

After an introduction on distinctionsbetween “favouring” factors and “determin-ing” factors for performance, the paperanalyses the role of body mass as a favour-ing factor in downhill skiing speed events. Adetailed illustration is given of the forcesthat aid and those that hinder the skier. It isthen shown that a skier having a consider-able body mass can accelerate faster, otherfactors being equal, especially at highspeeds. Finally there is discussion of theimportance of increasing the skier’s muscu-lar mass rather than body mass for biome-chanical and physiological reasons. Top-leveldownhill skiing performance derives in anycase from technical expertise and race strat-egy, with the assistance of a host of favour-ing factors, including significant body mass.

Summaries