In Nome Del Petrolio

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Secondo libro pubblicato negli 80' su Andrea Rossi ai tempi della Petroldragon, questa volta è una specie di fiction semi-biografica (anche l'altro libro "Petrolio dai rifiuti" è tra i miei documenti)

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IN NOME DEL PETROLIO Chi segue la cronaca attraverso i giornali lo conosce bene: l'autore di questo libro, Andrea Rossi, il giovane industriale italiano che, nella seconda met degli anni Settanta, brevett il rivoluzionario sistema per estrarre il petrolio dai rifiuti. Il guaio di Rossi, paradossalmente, fu quello di avere fatto una scoperta che funzionava sul serio, e che immediatamente si scontr con gli interessi di industrie colossali, di uomini senza scrupoli e addirittura di Nazioni decise a togliere di mezzo chiunque minacciasse di calmierare il prezzo dell' "oro nero" salito alle stelle in seguito alla crisi energetica del 1973. Oggi, a soli trentatr anni, Rossi passato attraverso le esperienze pi incredibili. In nome del petrolio ha rischiato pi volte la vita e si innamorato di una donna sbagliata che lo ha fatto molto soffrire; di lui si parla spesso alla Casa Bianca e i suoi impianti di depurazione costruiti in parallelo al fantastico impianto per la distillazione del petrolio dai rifiuti vengono acquistati dagli sceicchi del Golfo Persico. Ma c' di pi: lo si creda o no, Rossi non soffre e non lavora per accumulare denaro o per soddisfare le sue ambizioni di successo, ma per onorare Dio. Alle soglie del Duemila si scopre, attraverso la lettura di questo libro inconsueto e avvincente, che non tutti i crociati sono scomparsi. Andrea Rossi uno di loro. Nato a Milano nel 1950, laureato in Filosofia e in Ingegneria, Andrea Rossi noto in tutto il mondo per avere brevettato un sistema che consente di estrarre petrolio dai rifiuti. Altrettanto conosciuto per gli impianti di depurazione che ha installato in decine di differenti Paesi. Nel 1984, avendo finalmente ricevuto una sovvenzione dal governo italiano, Rossi ha avviato la costruzione di uno stabilimento al Sud, in una delle zone colpite dal terremoto nel 1980. E' anche iniziata la sua collaborazione con l'Ente Nazionale Idrocarburi. Questo il suo primo romanzo, che ancora fresco di stampa stato acquistato in migliaia di esemplari da chi, in Italia e all'estero, aveva seguito con interesse le straordinarie vicissitudini di cui offre testimonianza.

ANDREA ROSSI

IN NOME DEL PETROLIO

Dedico questo libro a te, caro lettore; che con la tua attenzione ne giustifichi l'esistenza. Con gratitudine, ANDREA ROSSI

INTRODUZIONE Nella seconda met degli anni Settanta, in piena crisi energetica, i giornali di tutto il mondo si occuparono dell'invenzione di un giovane industriale italiano, Andrea Rossi. Sottoponendo i rifiuti a un rivoluzionario trattamento di sua concezione, Rossi era riuscito a ottenere petrolio di ottima qualit; e quale risonanza potesse avere l'annuncio in quel momento di gravissima tensione non difficile immaginare. Attorno al nome di quell'industriale improvvisamente balzato all'attenzione internazionale, si accesero polemiche furibonde. Da una parte si schierarono coloro e furono la maggioranza che guardavano con diffidenza all'attivit di Andrea Rossi, considerato nel migliore dei casi un moderno Cagliostro. Sull'opposto versante si attestarono i sostenitori del giovanissimo inventore (Rossi aveva compiuto da poco 27 anni), che si battevano affinch il governo italiano non si lasciasse sfuggire quel mirabolante brevetto capace di sconfiggere in un sol colpo i due peggiori nemici del mondo moderno: l'inquinamento da rifiuti e la carenza energetica. Nacque anche un terzo partito, quello dei temporeggiatori; e come quasi sempre accade nel nostro Paese che prima partorisce i Santi, i Poeti e i Navigatori, ma che subito dopo li mette in quarantena nell'attesa di decidere cosa fare di loro, anche nel caso dell'invenzione di Rossi fu il partito dei temporeggiatori ad avere la meglio Con una variante antipatica rispetto alla norma: anzich dal disinteresse, il congelamento di Rossi e della sua invenzione fu determinato dall'interesse. A volere essere espliciti, dagli enormi interessi che tutto ci che riguarda la produzione e di conseguenza il prezzo del petrolio, ieri come oggi mette in movimento di qua e di l dell'Atlantico. Non pi un segreto, pur in questa Italia dei misteri, quello che accadde fra petrolieri e potenti negli anni Settanta. Ancora oggi i tribunali della Repubblica devono aprirsi o cos almeno ci si augura ai processi destinati a far luce su quegli intrighi e su quegli scandali. L'invenzione di Rossi, in qualche modo, riduceva il campo d'azione a coloro che traevano illegittimi proventi dall'importazione del greggio. E incuteva timore: se la moda di ricavare petrolio autarchico dai rifiuti nazionali avesse preso piede, chi pi avrebbe potuto riscuotere astronomiche tangenti dai Paesi esportatori e di esse servirsi per accrescere il proprio potere? Anche le temibili Sette Sorelle, ossia le formidabili multinazionali che dagli Stati Uniti controllano il commercio mondiale del petrolio, si allarmarono. Rossi. Chi mai era costui e quali scopi si prefiggeva con la sua fastidiosa quanto straordinaria invenzione? Era forse un agente del nuovo imperialismo sovietico, risoluto ad attaccare Sua Maest il Dollaro in terreno neutrale? Era un avversario degli arabi alleati occulti dell'Occidente sullo scacchiere mediorientale? O, ancora, era un provocatore al soldo dell'espansionismo suicida di Gheddafi?

Non esagerato affermare che, attorno al giovane Andrea Rossi, si strinsero i fili di un intrigo internaziona le che, a un dato momento, ebbe per posta la sua vita stessa e che finalmente oggi, ad anni di distanza, viene svelato nei suoi sconcertanti particolari. In nome del Petrolio afferma l'Autore non un racconto autobiografico. E un romanzo: tanto vero che il suo protagonista non si chiama Rossi ma C. e tutte le vicende narrate non hanno corrispondenza nella realt. Concordiamo sul fatto anch'esso dichiarato dall'Autore che C. sia colui che Rossi avrebbe voluto essere, e che di conseguenza le sue vicissitudini abbiano l'epilogo che Rossi avrebbe voluto per le proprie. Ma proprio questa, piaccia o no all'Autore, la chiave di lettura del libro per molti aspetti straordinari che inaugura la collana riservata ai Nuovi Italiani. C. la proiezione fantastica di una realt e di un'avventura che fanno parte delle cronache del nostro tempo. Le tessere del mosaico questo vero non sempre sono collocate nelle rispettive tarsie; ma alla sensibilit del lettore non sfugge la possibilit di ricomporle in un quadro di eccezionale suggestione anche letteraria. Ha scritto Guido Gerosa, uno dei giornalisti-letterati ai quali il libro di Andrea Rossi stato dato in lettura: La prima sera che l'ho visto in casa di amici, Rossi indossava uno smoking. Quell'abito da cerimonia esaltava una sua aria romantica e raffinata, l'atteggiamento dell'idealista piombato alla presenza di un mondo vorace e divoratore ch'egli spesso non comprende ma che ama nella sua complessit e diversit. Rossi mi ha fatto pensare paradossalmente all'Ashley Wilkes di Via col vento, perch un idealista senza illusioni della stessa pasta di quel personaggio; un sognatore, certo, ma consapevole che, a volte, il tipo dei so gni a cui si abbandona in grado di ribaltare gli imperi Io direi che Rossi un protagonista pi che mai adatto al nostro tempo: perch scienziato e negromante insieme, veggente e ingegnere, ha la tenacia di Curie e la diavoleria di Cagliostro, lo sperimentalismo di un Leonardo e le imprevedibilit di un Merlino. Lo strano e vitalissimo libro di Rossi a me pare pu essere addirittura letto nella chiave di una 'lauda' medievale con la lotta del Bene contro il Male, e con il trionfo finale del primo, della Virt che ha saputo resistere alle avversit. E del resto uno dei segreti di Rossi ch'egli sente sempre il bisogno di sostenere la sua attivit pratica con la meditazione filosofica; e negli anni dell'Universit, svolta subito dopo la stagione della grande contestazione, le due cose procedono mirabilmente di pari passo. Non occasionale, considerandolo in quest'ottica, il fatto che nel 1973 Andrea Rossi abbia conseguito la laurea in Filosofia con Enzo Paci, e che la tesi da lui svolta abbia avuto per oggetto la fenomenologia di Husserl. Di questa ricca summa filosofica, infatti, all'idealista Andrea preme soprattutto un momento: Husserl sostiene il pieno recupero della libert di pensiero al di l degli schematismi e delle convenzioni. Ed l'adorazione per questa filosofia ad offrire la prima delle tessere necessarie per comporre il mosaico Rossi.

Il pensiero di Husserl riflette l'incanto con cui Rossi si pone di fronte alla realt e la sua tenace volont di recuperarne gli aspetti razionali, foggiando un universo a propria immagine. Si legano cos le due componenti essenziali del mondo di Rossi: la trepida ricerca della razionalit nel reale e la voglia di fare; un inquieto pragmatismo unito a una pungente febbre creatrice. Scrive ancora Gerosa proseguendo la sua analisi del lavoro di Rossi: In nome del petrolio, aldil dei suoi significati, un romanzo avvincente, costruito a regola d'arte. Come ogni romanzo che si rispettiha il suo grande personaggio femminile, Weleda, che coincide quasi alla perfezione con l'esperienza reale dell'Autore. E Weleda ha un significato profondo nella dinamica della narrazione. E, se cos si pu dire, il detonatore nella vita del rabdomante del petrolio; rappresenta la catastrofe psicologica che induce C. a gettarsi nella febbre della creazione. Weleda l'altra faccia di C., e come accade nelle opere convinte, in cui tutti i personaggi nascono con un segno solo e rappresentano la proiezione dell'Autore, questa femmina ambigua e affascinante la metafora del difficile cammino lungo i sentieri della vita. Un uomo e una donna, se vogliamo; e gran parte di In nome del petrolio ambientata a Milano, in una nebbiosa segreta Milano che appare come il rovescio della solida metropoli industriale e miracolata, come l'altra faccia della medaglia al lavoro di rito ambrosiano. Come in una specie di teatrino brechtiano che si rivela all'improvviso e ruba il palcoscenico, c' l'Opera da tre soldi inimmaginabile nell'austera capitale morale, ci sono i bulli e le pupe, c' l'ansia di tirar mattina. C' un universo popolato di profittatori e di drogati veri e metaforici che sorprendentemente definisce l'immagine speculare di Milano-cattedraledell'operosit. A met degli anni Settanta, dunque, Andrea Rossi stabilisce alle porte di Milano una piccola azienda con pochi operai e un piccolo inceneritore da produrre in serie. E l'inizio della grande avventura. Anche se molti sorridono scettici dell'entusiasmo di Rossi, egli con vinto che riuscir a risolvere il problema dell'inquinamento del suolo da parte dei rifiuti. Si sente un predestinato e un crociato. E chi gli accanto si abitua a riconoscere in lui uno strano connubio, uno strano impasto umano. Rossi re del petrolio e Savonarola; barone capitalista e Gioachino da Fiore; uomo di frontiera e mistico medievale. Presto, da piccolo industriale dell'hinterland lombardo, Andrea Rossi si tramuta in pioniere delle nuove frontiere della tecnologia. Passa ai grandi impianti, in passato dominio assoluto ed esclusivo degli stranieri. Attorno alla sua attivit si accendono interessi non rivelati; a uno a uno si tendono i fili che, aggrovigliandosi, formeranno una tela che solo per poco non gli riuscir fatale. Rossi lavora freneticamente. Annota Guido Gerosa: Ipnotizzato dalla prospettiva di raggiungere qualcosa di grande, Andrea si sottopone a una mole di lavoro veramente enorme. Le pagine in cui descrive questa esperienza, insieme distruggitrice e rivitalizzante, sono quelle che amo di pi. Forse perch capisco la forza rigeneratrice di un lavoro matto e

disperatissimo, lo sgomento che coglie chi sta creando e la sensazione finale d'essere passati attraverso un bagno di rinascita. Ecco Rossi trafelato e vittorioso dopo quindici ore di lavoro. Non stanco, giacch allenato sportivamente, ma allucinato e febbrile, intento a tracciare sull'agenda arabeschi e ghirigori degli appuntamenti assolti. L'agenda di Rossi: simbolo trasparente di un manager che ha concluso trionfalmente la sua lunga giornata. L'agenda di Rossi trafitta dagli impegni adempiuti: di essa Hegel avrebbe detto quel che diceva del giornale, ossia l'avrebbe definita 'preghiera laica dell'uomo moderno'. O, se preferite, il glorioso breviario del capitalista perfetto. Ma ecco il momento centrale di tutta la storia. Dai rifiuti, Rossi ha ricavato il petrolio. E, al pari di C., pensa di avere riprodotto nella scala che la dimensione umana gli accorda l'opera di Dio. Come gli animali e i vegetali vissuti milioni di anni fa si sono trasformatinel ventre della Terra che li ha sottoposti a pressioni immani, in petrolio e in carbone, cos i rifiuti immessi nell'impianto ideato da Rossi che in qualche modo riproduce il processo naturale voluto da Dio sono divenuti liquido combustibile. Ancora prima di compiere trentanni, Rossi celebra due grandi vittorie. All'Universit, applicando il metodo fenomenologico e chiedendosi conto del senso dei fenomeni, arrivato alla percezione di Dio. Dalla prassi, ora, ugualmente arrivato al Creatore, attraverso la frenetica sperimentazione della ricerca scientifica. Engler, grande scienziato del petrolio, ai primi del Novecento era riuscito a ottenere un olio in provetta, il protopetroleum, partendo dalle sostanze organiche dei molluschi e dei pesci. Rossi ha analizzato l'esperienza di Engler e ne ha esaltato il risultato tecnico. Mentre il mondo, occorre sempre ricordarlo, si solo in parte ripreso dalla crisi energetica del 1973... Conclude Gerosa: Al racconto dei fatti si affianca il racconto che chiamerei dell'anima. La parte pi nobile di C., infatti, viene allo scoperto quando egli investito dal dramma umano. La morte della madre travolge tutte le difese istintive di C. e mette a nudo la sua disperata solitudine. C., come molti uomini del nostro tempo, fatto per vivere a ritmo pieno, il lavoro e la lotta sono la sua dannazione ma anche la sua difesa. Basta un incidente, quale pu essere considerato un dramma privato, perch gli affetti trabocchino, l'umanit riprenda il sopravvento e il forzato del lavoro si senta distrutto. Quelle riguardanti la madre sono forse le pagine pi intense della fatica letteraria di Rossi. Cos come intensa la suggestione della forma narrativa scelta, ricca d'immagini e di metafore, disseminata di giochi intellettuali e di richiami, ravvivata da invenzioni suggerite da una solida cultura di base e rinnovate da quello che pur essendo l'Autore alla sua prima prova letteraria non esagerato definire uno 'stile personale'. Vi un momento in cui l'anabasi verso il ventre materno comunica al lettore l'arcano di un antico mistero. Nella vivida descrizione dell'ambiente, le

rocce incombono sul protagonista come archi gotici, mentre le ombre hanno un significato di gabbia del passato che avviluppa l'organismo. Stalattiti e stalagmiti di alabastro si protendono come grinfie nemiche. Intorno alla caverna, minacciosi, si allineano denti smisurati; mentre il ventre materno sfuma nella nebbia lasciando il posto ai pi inquietanti contorni di una vagina femminile. Vivezza narrativa, insomma, e virtuosismo stilistico fanno di In nome del petrolio un documento letterario particolarissimo. E a questo punto il lettore, che confidiamo incuriosito, si domander: com' andata a finire la battaglia di Rossi per imporre il suo brevetto? Funziona ancora il suo rivoluzionario impianto per trasformare i loro rifiuti in petrolio, oppure le Sette Sorelle e i loro servitori nostrani hanno avuto la meglio? Ecco: anche qui entriamo in una dimensione particolare. L'attesa (ma sarebbe meglio dire: l'inevitabile) sconfitta di C. il sognatore non c' stata. Si verificato esattamente il contrario. L'indomabile C. e come lui Andrea Rossi ha vinto. L'impianto che converte i rifiuti in petrolio funziona sempre, e presto ne entrer in attivit un secondo. Una volta tanto ha vinto il Sogno. O, se preferite, l'Amore che muove il Sole e le altre Stelle. L'EDITORE Milano, aprile 1984

PREMESSA In questo libro ho messo tutto ci che sono, ci che ho capito, ci che ho imparato, ci che ho sentito. Forse un buon libro. Forse no. Quel che certo che se il mio vissuto pu insegnare qualcosa, lo si trover scritto qui. Spero di avere il merito di chi, avendo saputo, sappia far sapere. Credo di obbedire, pubblicando questo lavoro, a quanto ho appreso dal Vangelo: ...non pu restare nascosta una citt collocata sopra un monte, n si accende una lucerna per metterla sotto un moggio, ma sopra il lucerniere perch faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Cos risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perch vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che nei cieli. [MATTEO 5 (13-16)]

AVVERTENZA DELL'AUTORE Questo racconto cita nomi e personaggi ispirati da pura fantasia. Bench parzialmente, ed innegabilmente, autobiografico, in esso stato lasciato abbondante spazio alla fantasia e nessuna delle persone di cui si parla male stata da me realmente conosciuta: a tutti noto infatti che nella mia vita ho incontrato solo ed esclusivamente persone oneste, leali, coraggiose, coerenti coi propri princpi, intemerate, ecc., ecc. Se qualcuno si riconoscer in un personaggio negativo, la colpa non mia; anzi, prima che si scateni dicendo che non vero, che lui non cos, mi consenta di ricordargli una massima che ho appreso dal mio professore di lettere sui banchi del Liceo, Claudio Annarato- ne: Excusatio non petita, accusatio manifesta. Devo comunque precisare, a questo punto, che il protagonista del romanzo, che si chiama C., non sono io. Questa non un'autobiografia. Ho adoperato parte del mio vissuto come materia prima. Tutto qui. C., per, non sono io. Egli come io avrei voluto essere.

1. LA TEMPESTA E Polo: L'inferno dei viventi non qualcosa che sar; se ce ne uno, quello che gi qui, l'inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo pi. Il secondo rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare di saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (ITALO CALVINO, Le citt invisibili, Einaudi.) Occorre dunque un grande coraggio, un disperato coraggio per tentare di far rivivere 'La tempesta' oggi. Ma forse di gesti come questi che oggi si ha bisogno... (Dal Quaderno di lavoro di GIORGIO STREHLER per la Tempesta di Shakespeare) "Io sono stato, ma lui sar; io, lampo di pura sapienza, pietra portata dal vento, nel lino egizio m'avvolger" (RENATO BESANA - MARCELLO STAGLIENO Il Crociato, Rizzoli.)

Aiuto! gridava una voce appena percettibile. Aiuto! Non so nuotare!. Squassati dalle onde e dal vento, i pini marittimi che affondavano le radici nell'acqua parvero per un attimo contendere con il rombo dei tuoni scaturenti dalle plumbee volute delle nubi che tumultuosamente avevano invaso il cielo, il cui azzurro incontaminato non molto prima si fondeva con il celeste dell'oceano. Il vento guaiva tra le rocce della costa. Sei gabbiani con le ali stranamente lunghe si lasciavano trascinare dal vento, guardando C. che cercava di resistere ai gorghi. Impassibili, inanimati nel vortice di energia dei flutti resi grigi dal rispecchiarsi in essi delle montagne di nubi, gli scogli, solcati dalle infinite increspature che il tempo disegna, lo guardavano ineffabili dalle loro forme di esseri viventi: leoni, scimmie, delfni e persino profili umani di donne e di uomini. La schiuma bianca stillava tra i flutti minuscole esplosioni di salsedine. Le onde ripetevano con frequenza regolare il loro movimento misterioso. Le masse d'acqua si alzavano ed avanzano come file di soldati all'assalto, finch, a causa dell'incedere troppo veloce, la loro cresta cadeva in avanti, illuminata per un attimo dai raggi del sole che squarciava a tratti le nubi. Subito dopo le creste ricadevano del tutto come imprigionando la luce, in un'esplosione di schiuma che aveva il fragore d'una frana di rocce in montagna. Aiuto, cercava di gridare, sempre pi flebile, quella voce sempre pi impotente di fronte all'immensit scatenata del mare e del vento. C. cercava di sopravvivere. E in quel mentre pensava a ci che avrebbe perduto: una vita serena, senza turbe, compreso nel plasma di un universo dove non poteva esistere l'angoscia della solitudine, fuso com'era nel celeste calore di quell'esistenza. Solo, aveva avuto un forte attacco d'asma il giorno prima: a un tratto, mentre coricato sulla sottile sabbia si riposava, s'era sentito mancare il respiro, dapprima un poco, poi sempre pi, finch aveva dovuto lottare per riuscire, con tutte le sue (non molte) forze, a riempire i polmoni, che sembravano sigillati, di aria, aria, aria... E poi quei sei gabbiani: appena aveva cominciato a respirare un po' meglio, C. aveva visto sei gabbiani volare a pelo d'acqua, in cerca di cibo. E da quel momento erano rimasti sempre l, davanti ai suoi occhi o sopra la sua testa. Anche adesso, nonostante il vento, continuavano a volteggiare su di lui.

Aiuto, aiuto!. Ma ormai il pericolo maggiore sembrava passato: il mare si era un po' calmato, come l'asma del giorno prima, i cavalloni non raggiungevano pi altezze di cinque metri. Forse ce la faccio pens C. forse fra poco il risucchio delle onde di riflusso si attenuer e potr raggiungere gli scogli, tornando al Castello. Il Castello: una costruzione perfetta, grigia, su un isolotto in mezzo a un fiume sempre blu, le mura grigie, alte, coi merli, quadrati, ad ogni angolo un torrione, il ponte levatoio all'ingresso e, dentro, l'abitazione confortevole, il letto con il baldacchino rosso... Ma proprio in quel momento C. vide un'onda mostruosa che si stava avvicinando. Era alta pi di sei metri. C. vide la montagna d'acqua sollevarsi a qualche centinaio di metri da lui, coperta dalle onde pi piccole che la precedevano. Sper che anch'essa a sua volta, potesse frangersi in pi onde di minore dimensione. Ma le onde davanti passavano e la montagna, come se fosse stata rigonfia di una rabbia non placabile, continuava ad avanzare. Arriv fino a C., che per qualche secondo si trov davanti a lei, come in un duello. La montagna si rigonfi fino ad essere talmente carica d'acqua nella parte superiore, che un'enorme cascata di schiuma cominci a cadere in avanti anticipando il resto della massa. C. osserv la luce abbagliante ed azzurra diffusa sulla cresta che formava, ricadendo, una galleria. Vide un raggio di sole che fuoriusciva da un occhio azzurro di cielo apertosi fra le nuvole. A un certo punto, sulla testa di C., l'acqua si richiuse formando come un tunnel, illuminato diffusamente da quella luce celeste. Immediatamente dopo la parete dell'onda trascin verso l'alto C. Tutte le forze del poveretto esercitavano un'azione men che inane contro i gorghi da cui il corpo era trascinato. Pi volte si fer strascicato sui coralli e sulle multiformi incrostazioni calcaree del fondo marino. Durante quei momenti C. pens ancora a tutto quanto avrebbe perso annegando tra i flutti. La libert di poter decidere cosa fare, che fino a poco prima gli era stata foriera di noia, gli sembr il tesoro pi prezioso che andava perdendosi ora che la Morte gli comandava di essere travolto dalle onde marine e urtato dagli scogli che, come in un caleidoscopio, vedeva apparire, verdi e marroni, e subito dopo scomparire, girato e rigirato, picchiato e trascinato, rovesciato; sabbia, sassi, e ancora scogli, schiuma, acqua sole, spruzzi gli invadevano i sensi; sentiva l'acqua riempirgli la testa, ormai non riusciva pi a difendersi. La grande onda si infranse tra le rocce che cadevano a strapiombo

nel mare e C. fu scaraventato dietro a un faraglione proprio nel punto in cui si apriva una grotta, dentro alla quale fu trasportato in profondit dai vortici. Nel buio della grotta, ogni tanto un lampo di luce arrivava dalla parte inferiore, come se vi fossero aperture subacquee attraverso le quali i raggi di sole riuscissero ad aprirsi la via. Allora, tutto intorno si diffondeva una luce innaturale, come fosforescente, e C., semincosciente, guardava stupito il suo stesso corpo illuminarsi ora di verde elettrico, ora di pallido rosa, ora di blu scuro. Cerc di aggrapparsi alle pareti, nei momenti in cui la corrente gli consentiva di avvicinarsi, con il solo risultato di far sanguinare la pelle delle dita e delle palme contro quelle rocce apparentemente levigate ma, viste da vicino, solcate da acute rughe multiformi delineanti figure, con sembianze di volti dallo sguardo remoto e imperscrutabile. Vide avvicinarsi uno di quei volti di roccia che sporgeva dietro un angolo verso cui la corrente lo stava proiettando con velocit crescente; ora fu buttato a destra, ora a sinistra, a destra, a sinistra; ancora il volto sembrava ondeggiare, avvicinandosi, davanti ai suoi occhi, finch un urto gli fece sentire un bruciore sullo zigomo; e si accorse di lasciare nella sabbia una scia rossa di sangue, che subito si dissolveva nella schiuma dell'acqua marina. Vide davanti agli occhi una stella. Poi vide il buio. Poi ancora una luce rossa, attraverso cui le forme parevano svanire dalla realt. I rumori divennero gradualmente pi tenui, fino a ridursi ad un sibilo appena percettibile. Vide vortici d'acqua. Ora erano vortici, forse d'acqua, forse d'aria, forse di fuoco o di terra. Non erano pi veloci come prima. Lentamente vorticavano mentre lui si sentiva allontanare. La luce rosea si spense lentamente. Non vide pi. Non ud pi. Non sent pi. Il suo pensiero si disciolse nel nulla.

2. OMBRE Si fida di me, la sua mano morbida, gli occhi dalle lunghe ciglia. Ora dove diavolo lo sto portando, di l dal velo? Nella ineluttabile modalit dell'ineluttabile visualit (JAMES JOICE, Ulisse, Arnoldo Mondadori Editore.)

(Da questo punto in poi il racconto si riferisce a vicende svoltesi a Milano, in Lombardia, ma non la Milano, Lombardia, Italia, che tutti conoscono. Siamo su un pianeta sconosciuto, fuori dalla nostra galassia, si chiama ATRER, il contrario di quello che si pensa, in un sistema cosmico distante da noi milioni di anni luce, perci totalmente fuori dal nostro spazio e dal nostro tempo. Le persone, le vicende narrate non hanno punti di contatto con quanto avvenne o avvenga da noi. E diciamo pure anche con quanto avverr. I nomi, dove sono corrispondenti a nomi reali, lo sono per volont della fantasia). Quando C., dopo un tempo la cui durata rimase un mistero, riapr gli occhi, si ritrov riverso su un piano sabbioso di pochi metri quadrati, in fondo alla grotta. L'acqua, ormai calma, lambiva il piccolo piano sabbioso, bagnando le mani dell'uomo. Una luce rossa, come se arrivasse dal sole del tramonto, era diffusa nell'oscurit dell'antro. C., rialzatosi con dolori un po' in tutto il corpo, ma miracolosamente integro, si chiese da dove venisse quella luce, pensando che lo potesse condurre verso una via d'uscita. Non vedeva l'ora di ritornare nel suo castello Ma sua destra ed alla sua sinistra le rocce incombevano ripide formando in alto come un arco gotico. Davanti a lui l'acqua arrivava a piccole onde dal buco nero dell'oscurit. Dietro a lui la grotta proseguiva attraverso chiss quali meandri, lungo un angusto corridoio di sabbia. La luce pareva venire proprio da l, illuminando debolmente i volti scolpiti dal tempo nelle rocce per conquistare lo spazio della caverna. Ombre rossastre riproducevano ogni oggetto in modo distorto, come in un caos originario di forme. C. aveva paura di quella luce. Prov a tuffarsi in acqua per vedere se dietro alla prima volta di rocce si scorgesse un'uscita purchessia. Come il suo corpo fu immerso, si sent attratto da un'inspiegabile forza che lo ributt sul bagnasciuga sabbioso. Nuovi analoghi tentativi non ebbero esito diverso. Allora si rassegn a rinunciare alla via d'acqua e cautamente mosse i primi passi lungo il sentiero da cui provenivano i raggi. Il silenzio era rotto da uno scroscio d'acqua, come se si trattasse di

una grande cascata, la cui origine si perdeva tra le rocce, nella direzione del sentiero. Stalattiti e stalagmiti di alabastro parevano denti di una smisurata bocca da cui C. fosse stato inghiottito. Quando' questa immagine apparve nella fantasia di C., egli sorrise, di quei sorrisi che servono per allontanare la paura. La luce rossa, man mano che avanzava, appariva sempre meno debole, e pi forte, ad ogni passo, lo scroscio di acqua. C. sperava di essere ormai vicino all'uscita, ma un'amara sorpresa lo attendeva. Dopo essersi arrangiato ed aver superato rocce, scogli, stalagmiti, barriere, si trov davanti ad un'enorme apertura, quasi l'ingresso di un tempio scavato nelle viscere della Terra. C. scopr l'origine dello scroscio, ormai divenuto assordante. Alla sua sinistra da un obl naturale del diametro di due o tre metri sgorgava un getto d'acqua che formava una cascata. L'acqua scorreva per qualche decina di passi, poi scompariva in un altro foro, per andare a sprofondare chiss dove. I riflessi di luce rossa dipingevano la cascata che sembrava un arco di fuoco. Ma nessuna traccia di vie d'uscita. Alle pareti dell'anfratto not incomprensibili magi- grafie e volti scolpiti nella roccia. Volti nobili ed ignobili, certi tetri, altri allegri. Parevano mutare espressione al suo passaggio. C. attravers la linea della cascata passandole dietro, sotto l'arco di fuoco che formava; fu bagnato dagli spruzzi del liquido che ricadeva poco pi in l, alla sua destra, e continu il suo cammino verso la sorgente di luce. Si accorse anche che pi avanti andava e pi urtava contro le rocce, poich, per uno strano effetto cromatico, anzich i corpi veri e propri scorgeva le loro ombre. Dal buio emerse un fascio di luce che illumin in un angolo una famiglia madre padre figlio figlia figlio figlia tiglio figlia. Mangiavano a tavola grasso colava bocche denti intestini pulsanti succhi odore. Mani muovevano bocche aprivano chiudevano denti gialli. Pelle sudore mani sporche lavoro. Vapori di vestiti dischi tiv scarpe nuove auto-a-rate si condensavano in uno strato di grasso sui pavimenti grigi, colare dal niente che si riempiva tutto. Avevano troppo da fare per fermarsi e pensare perch. Mangiare. Comprare.

Pezzi di articoli di giornale incollati sugli occhi del padre. Zia nonna suocera suoceri vicini di casa. Viva Cambronne. Aveva ragione. Meno male che il vento alz le gonne della figlia e si videro due cosce al burro. Meno male. Dov' l'oceano? Dove l'infinito? Dove l'aria? Nei polmoni, carne, seduti, sedie, tavolo, legno. Asfissia. Asma. Nel momento in cui mor si rivolse a chi l'aveva torturato: Adesso potrai farmi pi niente. Adesso diventer, sto per diventare uno spirito e ti far paura. Si sent sollevare da terra ed inizi a gemere, ululando davanti agli occhi indifferenti dell'altro, che non lo sentiva: in mezzo al fiume aveva cessato di esistere. Buio Buio. Buio di... Doveva immaginare i corpi dalla forma delle ombre e dagli ostacoli posti al suo cammino dalle stalattiti, dalle stalagmiti, dalle pietre di cui non riusciva a indovinare l'effettiva consistenza. Vide a terra fossette che parevano enormi orme; aveva visto qualcosa di simile, gli venne in mente, in un museo di dinosauri; pens a certi strani animali come i draghi, sedimentati nel profondo della sua memoria. Si era sempre chiesto se tale memoria avesse origini nel vissuto dei suoi avi. Ma non pot proseguire a riflettere. Squass lo spazio un sibilo: sembr che scoppiasse una tempesta. C. fece per girarsi e fuggire, quando davanti gli apparve ci che lo terrorizz pi di quanto non fosse avvenuto in tutta la sua vita. Fu investito da una fiammata, pot scorgere dietro ad essa un riflesso verde e azzurro. C. fu investito da una fiammata, pot scorgere dietro ad essa un riflesso verde e azzurro. Davanti ad un riflesso verde azzurro, una fiammata.

D'un tratto C. si ritrov nel buio pi fitto. Improvvisamente l'arsura da cui era stato poco prima investito si trasform in un gelo che lo fece trascorrere da una serie di brividi. Vedeva pi nulla. Sentiva pi niente. Non riusciva a capire cosa fosse successo. Non sapeva dove fosse. Non realizzava quando fosse. Ma ecco, nell'ombra, un lume apparire. Dietro al lume vagamente vide emergere dal nulla un'ombra. Non avere paura, furono le prime parole che rivolse, ancora da lontano, a C., che si tranquillizz un poco, anche per la pacatezza di quella profonda voce. Sono qui per aiutarti, per indicarti la via. C. non poteva vederne il volto, ma solo un avvicendarsi di luci e di ombre. Ma dove sono? Cosa mi successo?, chiese. Non puoi fare domande del genere. Non ti servirebbero le risposte. Non puoi capire, e molto tempo dovr passare perch tu possa capire. Seguimi e taci. Ma come posso fidarmi di te? Non so nemmeno chi sei! Non hai alternative. Solo io nel buio ti posso condurre. Ma dimmi almeno chi sei tu, esclam C. inquieto. E va bene. Io sono Macbeth figlio di Finlaec, Mormaer di Mo- ray sotto Malcolm II meno di mille anni fa Re di Scozia, dove, tra i rami che nell'autunno restituiscono in colore ci che in materia ebbero, castelli si ergono a difesa dell'ignoto. Shakespeare mi ha tramandato ai posteri come un demone che ha ucciso il re Duncan per usurparne il trono. Da secoli subisco l'onta ed il dolore di questa orribile calunnia, con cui Shakespeare ha falsificato la storia per compiacere la Corte d'Inghilterra, che dopo la mia morte, si impadronita della Scozia, dei suoi laghi incantati, dei suoi colori verdi, marroni, azzurri, grigi e purpurei. Come dimenticare il colore porpora dell'erica. E questa terribile calunnia stata ingigantita dai pi grandi attori del mondo, che hanno interpretato il capolavoro di Shakespeare. Purtroppo, infatti, proprio di un capolavoro artistico si tratta, e di un capolavoro dotato di profondi valori spirituali che gli danno forza. Una forza che, per, ha fatto di me, agli occhi di tutti, un usurpatore, il simbolo della necessit del Male per la catarsi del bene.

Io sono stato utile a Dio come personaggio del dramma, ma la mia storia ne uscita a pezzi. Ecco perch nel nuovo stato che per grazia mi stato concesso, e che come vedi alquanto originale, lotto contro le ingiustizie e per aiutare chi soffre spiritualmente sacrificandosi per il progredire dell'Immenso. C. riusc a chiedergli: Ma come sono andate in realt le cose, se Shakespeare ha scritto il falso? Devi sapere l'ombra gli rispose che secondo il costume celtico la corona era sempre passata, fin dalla fondazione del regno, alternativamente fra il ramo maggiore e il ramo cadetto della famiglia del fondatore, Kenneth I Mc.Alpin, capostipite della dinastia. In tal modo a Kenneth III succedette non il figlio Bode ma il cugino Malcolm II. Questi per, per far s che gli potesse succedere il nipote Duncan, fece assassinare il figlio di Bode ne1 1034. Io ero il marito della bellissima Gruoch, figlia di Bode, e quindi, dopo l'assassinio del fratello, divenni per tutti i Celti del Nord e dell'Ovest il legittimo pretendente al trono. Quegli infami, con la spada recisero il diritto del figlio di Bode a regnare, usurparono il trono. E con la spada, presso Elgin, ristabilii la giustizia e, con essa, l'indipendenza di Scozia da quel ramo della famiglia che, appoggiato dal Sud, la zona del Lo Thian, era in realt manovrata dal Re d'Inghilterra. Durante i diciassette anni del mio regno la potenza di Scozia arriv al suo apogeo. Feci un pellegrinaggio a Roma, ottenendo dal Papa l'eterna benedizione sulle terre del mio Paese. Finch nel 1054 il nonno di Malcolm, il Re d'Inghilterra, riusc ad organizzare un esercito per Siward, figlio di Duncan. Siward invase dal sud la Scozia e, con forze preponderanti, ci sconfisse presso Perth. Io mi ritirai a guerreggiare nel Nord, ma, con il tradimento, Malcolm riusc a farmi uccidere nell'Aberdeen. Ecco perch io rappresento i milioni, anzi i miliardi di uomini che, nel corso dell'esistenza, sono stati distrutti come personaggi solo per un fatto: la storia viene scritta dai vincitori. I vinti possono solo sperare nella loro clemenza. Ma davanti a Dio le cose stanno diversamente. Io, comunque, ho il compito di aiutare quelli come te, Se non ti dispiace. C. si sent trafiggere dal suo sguardo. Subito dopo si addorment. Dopo tempo immemorabile C. riapr gli occhi.

Non ricordava assolutamente nulla. Vide gli occhi di una donna, che sorridendo, gli disse subito: Sono tua madre, mi riconosci?. C. rimase interdetto. Sei stato colpito continu la donna da una forma di amnesia improvvisa. I medici mi hanno spiegato che capita rarissime volte, e che non se ne conosce il motivo. Non ricordi pi nulla e, praticamente, come se fossi un neonato: bisogna spiegarti tutto di nuovo ed insegnarti tutto di nuovo. Per fortuna hai conservato la padronanza della lingua, perci sar pi facile per te capire. Ma l'importante, adesso, che tu stia bene. Fece per accarezzarlo, ma subito ritrasse la mano per non urtarlo, sapendo che C. era uno di quei tipi a cui d fastidio mostrarsi desiderosi di carezze, come se con ci rivelassero una loro debolezza. C. si accorse di questa delicatezza e sent di amare profondamente quella donna, a cui doveva la vita. La madre era vestita in modo semplice, senza alcun particolare sudiato per farsi notare. Una fronte ampia, occhi luminosi, aperti, sinceri. L'ovale del volto fine, reso tale ancor pi dal garbo delle espressioni. Quando sorrideva gli occhi anticipavano di un secondo la gioia dei lineamenti, cos come la luce di un lampo arriva prima del rombo del suo tuono. I capelli tagliati corti sul collo formavano sopra la fronte un'onda che era l'espressione della sua gioia di vivere. Vide attorno a lui altre persone sorridergli. Poco dopo gli portarono da mangiare. C. era ghiotto, gli piaceva godere di una delle poche soddisfazioni che, salute permettendo, ognuno si pu facilmente procurare, senza troppo dipendere dalla volont e dalle limitazioni altrui. Mangi con avidit un bel piatto di spaghetti al rag, pi una bistecca con delle patate fritte: il tutto, inaffiato da qualche bicchiere di un vinello amabile fresco e spumeggiante, gli parve costituire il pranzo pi buono che avesse mai consumato. C. amava le cose semplici, e forse per questo che ora si possono scrivere queste cose.

3. LA MADRE Dotata di un animo delicato e sdegnoso, per lo stesso istinto di felicit naturale in ogni creatura, non prestava in genere alcuna attenzione alle azioni della gente grossolana in mezzo a cui il caso l'aveva gettata. (STENDHAL, Il rosso e il nero, Rizzoli)

Adesso, certo, non star a tediarvi con il racconto di come e con quali gravissimi problemi la madre di C. lo rieduc dopo l'incidente, come gli insegn a rivivere, a studiare, a lavorare, insomma a comportarsi come una di quelle che vengono definite normal persons. C. leggeva moltissimo. Quando leggeva si concentrava fino a penetrare con tutta la sua mente nel libro. Aveva imparato per esperienza che i libri sono equi: ti restituiscono ci che gli dai. Se leggi un libro con distrazione, per passatempo, esso far scorrere il suo contenuto su di te come acqua su marmo, che ai primi raggi di sole evapora senza lasciare traccia. Ma se ti concentri e dai al libro tutto te stesso, allora esso si trasformer in una lampada di Aladino, un magico oggetto da cui escono contenuti inattesi, pi di quanti apparentemente ve ne fossero. C. amava lo sport. In quel periodo commise anche molti errori, molte azioni di cui poi ebbe a vergognarsi. Ma la saggezza cosa che si conquista a fatica, anche con azioni di cui poi ci si vergogner. Vergognarsi essere saggi. Non si pu essere saggi senza avere nulla di cui vergognarsi. Vi chi, grazie a educatori prussiani che gli insegnano tutto subito non commette, da giovane, errori di cui vergognarsi da grande. Che peccato! Il suo vissuto rimarr morto nel passato altrui come un uovo non fecondato. La maturit, l'equilibrio, la saggezza, la vita di un uomo non possono essere comprati e acquisiti per via indiretta. Quando si giovani si vuoti, e la Natura nemica del vuoto, ma non il Demonio. E perch in noi possa risorgere lo spirito sublime che ci comprende nel plasma dell'universo, quello che ci fa cercare non Dio nella materia, ma la materia in Dio, necessario che prima il Demonio lo risvegli. Quante azioni di cui vergognarsi fece C.! Ma quanto esse gli furono necessarie! Ho la sensazione che i personaggi del racconto non siano che le diverse ed opposte componenti che formano, come in un mosaico, la natura di un unico uomo: ciascuno di noi. C. giocava a calcio, correva, tirava di boxe. Impar l'importanza di amare il lavoro, e poi vedremo cosa da ci conseguir, quali guai ne deriveranno, anche se vero che chi ama qualcosa ha un fine e chi ha un fine in cui crede non si ferma davanti ad

alcun ostacolo, tranne la morte. C. si laure in filosofia, perch riteneva che fosse prima di tutto importante capire se stesso e la propria funzione in un mondo in cui non sapeva n dove n quando fosse. Tanto pensava la tecnica relativa alla professione che far la si potr apprendere nella pratica, studiandone i principi teorici contemporaneamente alle operazioni in corpore vili. In particolare, C. si laure con una tesi sulla fenomenologia di Husserl. La fenomenologia di Husserl insegna a sospendere ogni giudizio sulla realt esistente, operando in tal modo la cosiddetta riduzione fenomenologica. In tal modo viene mantenuto di fronte a noi il reale solo come costituito dall'Universo dei significati ideali che ogni soggetto umano, ossia ogni uomo, crea (o produce) mediante se stesso. In tal modo la fenomenologia si propone non come una regola filosofica, come un rigido schema di pensiero, ma come un metodo per mezzo del quale un uomo libera il suo spirito isolando gli elementi che stanno, nella sua mente, all'origine della formazione dell'unico mondo per lui esistente, cio quello che si sviluppa nell'arco di tempo che sta fra la sua nascita e la sua morte, e che dipende dalla sua facolt d'intendere... Ma qui ci fermiamo, perch solo il lettore molto attento pu andare avanti, e in questo caso pu farlo da solo. Diciamo, comunque, che una delle conseguenze pi importanti di questa filosofia il rispetto per il soggetto umano anche quando si tratta degli "altri", ossia di quelli che normalmente anzich soggetti assieme a cui operare per vivere meglio vengono solo considerati oggetti: oggetti dei nostri desideri, oggetti da conquistare per potere, oggetti da sfruttare per denaro... Il primo lavoro di C. fu in una scuderia di cavalli da corsa, ed inizi a farlo quando ancora non era laureato Un lavoro che gli piaceva molto, perch a contatto con la Natura. La pista verde. Foschia. Vedi niente. Appare dal nulla un muso. Il cavallo avanza. Fiato dalle narici. Si alzano zolle di fango, cavalli s'incontrano. Allenamento. Tu-tu-tu-tum, Tu-tu-tu-tum, Tu-tu-tu-tum, Tu-tu-tu-tum. Lentamente aumenta la velocit. Lentamente tutto cambia per rimanere se stesso.

C. si sentiva felice quando, alle sei del mattino, vedeva i cavalli; nella sua mente rimase sempre impressa l'immagine della muscolatura dei sauri e dei bai che agitavano le lunghe e sottili zampe ed i colli slanciati sulla pista verde sotto il cielo grigio dell'alba invernale. E dei cavalli che alla sera mangiavano il loro fieno, l'avena, le carote, le mele e il pastone di semi di lino: per una magica legge di Natura queste cose, tanto semplici, divenivano energia attraverso una muscolatura di bellezza estetica impareggiabile. C'era un cavallo, in particolare, che gli ispirava simpatia. Si chiamava Cambronne. Forse per il nome, che gli ricordava il coraggioso maresciallo di Napoleone, forse per le sfumature rossastre sul pelo color marrone chiaro, tipico dei sauri, forse per la sua vivacit quel cavallo lo faceva sentire in contatto con qualcosa di immenso e misterioso. Qualcosa in cui la memoria di C. precipitava, come certi corpi celesti vengono attratti in un buco nero. C. si era affezionato a Cambronne perch, un giorno, durante il canter, ossia la corsa di allenamento che i cavalli effettuano due-tre volte la settimana per abituarsi alle andature di gara, si era fatto male a una zampa, probabilmente urtando contro lo steccato laterale della pista di erba. Fu curato, ma i canter succesivi andarono male. Anche nelle passeggiate e nel trotto nell'anello sotto il capannone, l'andatura di Cambronne era irregolare. Non va, disse laconicamente uno dei migliori fantini del momento, a cui Cambronne era stato affidato per un esame. Il proprietario aveva deciso di venderlo a un macellaio. Questo uno degli aspetti meno nobili di quel mondo: un cavallo finch corre e vince viene sfruttato; quando, avendo dato tutto, non ce la fa pi, viene macellato e mangiato a bistecche. Un po' come avviene agli uomini, sia pure con una forma di cannibalismo pi sofisticata e meno palese. Allora C. acquist quel cavallo e lo segu con particolare cura. L'anno seguente Cambronne fece la sua corsa. C. lo osserv al tondino, splendido, tirato a lucido; il fantino portava i colori della sua scuderia, giubba turchese con banda rossa. Cavalli in pista, annunci lo speaker. Pista verde, sole, folla, attesa, scommesse, campane partenza: Cambronne in coda. I cavalli esprimevano il movimento perfetto della loro corsa, riflettendo i raggi del sole con il loro sudore; in lontananza si vedevano come minuti specchi agitarsi, e procedere a gran velocit. Ultima piegata, retta d'arrivo. Trapezio in testa, poi altri, ma Cambronne si evidenzia all'esterno, allarga la traiettoria, si distingue da

tutti, come per dire adesso guardate bene cosa sto per fare. Cambronne accelera, accelera, accelera, avanza, raggiunge il quinto, poi il quarto, poi il terzo, poi il secondo. A trecento metri dall'arrivo affianca e supera anche il primo ma accelera ancora, ancora, ancora; e vince con un larghissimo margine. All'arrivo non ci sono i plateali festeggiamenti dei Gran Premi, ma la gioia discreta che attornia il cavallo che vince la corsa poco importante, la "discendente" piuttosto che l'ascendente. Ma solo i diretti interessati, solo chi ha allenato il cavallo, chi lo ha montato con impegno, chi lo ha curato, solo costoro sanno l'infinita gioia che si prova. Solo questi, come il Palomar di Calvino, provano quanto l'infinitamente piccolo del loro mondo sia grande e difficile da comprendere. Bravo, gli disse Benetti, il miglior allenatore nazionale del momento. C. accarezzava il suo cavallo e sorrideva dentro di s mille volte pi di quanto non si vedesse fuori. Dopo quella corsa, Cambronne fu ritirato e messo in un maneggio dove pass tranquillo il resto della sua vita e dove C. andava a montarlo ogni tanto, per fare una passeggiata e vedere il verde correre attorno e sotto il corpo biondo-rossastro del suo sauro. La decisione di ritirarlo fu presa da C. il giorno dopo la corsa quando, come al solito verso le sei, si rec nel box di Cambronne. Gli stallieri lo stavano strigliando e C. ne ammir la muscolatura sgomento. Il cavallo gli avvicin il muso mostrando gli occhi iniettati di sangue. Quel cavallo il giorno prima aveva dato tutto, senza nemmeno un colpo di frusta. Allo spasimo. Tu hai finito di lavorare, gli disse C. Continu ancora per qualche mese ad allenare purosangue, seguitando ad incantarsi nel vedere come la Natura sviluppasse armonicamente quelle meravigliose creature, attenta incrociando cavalli arabi con cavalli inglesi, chiedendo in cambio solo alimenti semplici come l'avena ed un po' di galoppo ogni giorno, accompagnato da passeggiate nel trotter. Gli sembrava impossibile che bastasse dar cos poco perch la Natura restituisse tanto. Presto per altre considerazioni gettarono un po' d'acqua sul fuoco dell'entusiasmo di C. In pratica, convinto di allevare cavalli da corsa per far s che il migliore vincesse, si accorse che in realt le cose stavano in modo diverso. E lentamente, l'amore per quel lavoro si trasform in delusione e distacco, lasciandogli nel cuore solo un profondo attaccamento per i cavalli di cui aveva, in parte, compreso il mistero.

La madre e il padre di C. conducevano una piccola industria di carpenteria metallica. C. all'inizio non aveva voluto lavorare con loro per- ch gli sembrava di trovare, come si dice, la pappa fatta" lui desiderava realizzare qualcosa di proprio. Inoltre, non aveva molto in simpatia il lavoro di industriale, perch, secondo la moda dei tempi, pensava che gli industriali svolgessero un ruolo negativo per la societ, sfruttando il lavoro dei dipendenti per incrementare i propri profitti. Questa, almeno, era l'oleografia prevalente dell'epoca. Non nascondeva di avere simpatia per Marx, in particolare per quella frase del Manifesto del Partito Comunista in cui si afferma che nella societ bisogna che ognuno lavori secondo le sue capacit e che ad ognuno sia dato secondo le sue necessit. Nell'ingenuit e nella buona fede dei suoi vent'anni, C. credeva che ci fosse possibile. E del resto chi conosce quel Paese, l'Italia, sa che i profondi conflitti esistenti fra i diversi ceti impedivano la formazione di un governo stabile. Ma proprio in virt di quel continuo confrontarsi di forze e di quell'ininterrotto lavoro dialettico fra salariati e stipendiati, imprenditori e finanzieri; proprio grazie a quelle estenuanti antitesi fra partiti, sindacato e governo, e insomma grazie a tutto ci che in quel periodo di tempo rendeva debole e vulnerabile lo Stato, l'Italia stava sintetizzando come un gigantesco laboratorio la natura di una nuova generazione di uomini pi maturi e disponibili ad operare per il bene comune. Quanto stava accadendo non era facile da capire. I sintomi di quel che stava per nascere erano nascosti e difficilmente decifrabili. Ma c'erano. E come esistono malattie che, una volta superate, rafforzano l'organismo e lo immunizzano, cos i contrasti che travagliano l'Italia avevano l'effetto insperato di rafforzare il tessuto sociale, risolvendo a poco a poco le tensioni e i motivi di rigetto. Sul finire del XX secolo, insomma, l'Italia divenne un Paese leader, e sul piano ideologico si propose come modello di convivenza alle Nazioni che dovettero affrontare le stesse difficolt che essa aveva superato. Presto, tuttavia, accadde qualcosa che, nel momento in cui l'entusiasmo per l'allevamento dei cavalli svaniva, diede alla vita di C. una svolta imprevista. In quel momento nella mente gli apparve un'immagine: si sent felice, C. Dalla mente scatur un'immagine, che c'entrava niente con la storia, il libro, la penna, il telefono: si sent felice e basta, C. Un istante, un lampo, immagine celeste e rossa, strisce irregolari,

esplosioni. Felicit di un istante compreso nell'Universo, limitato nel tempo, da un prima e da un dopo, ma infinito nella sua profondit in C. Nel buio illuminato dalla luna piena, pioggia di lineette d'argento-bianco, corsi d'acqua, montagne nere dolci incombono, lumi di presepi come lucciole su cespugli coperti d'ovatta. Dal ponte un lago nero. Luna. Spruzzi di luce argentata bagnano la fantasia. Rugiada. Come un fantasma, nel buio. C. stava correndo per il suo usuale esercizio di allenamento. Ex maratoneta, avanzava in scioltezza, senza apparente fatica, lungo il ciglio erboso della strada. Respirava l'aria profumata del mattino, godendosi il verde dei campi seminati tutto attorno, il colore trasparente dell'acqua del fontanile, di cui si poteva vedere nettamente il fondo coperto d'erba. Qualche rana ogni tanto saltava in acqua, disturbata dalla corsa del nostro C. Nel cielo azzurro, cos bello quando bello il cielo di Lombardia, rade nubi si rincorrevano nel vento. Un fagiano si lev in volo, mentre altri cinguetti tra loro diversi si inserivano nel fruscio delle foglie come note in un pentagramma. Una frenata brusca, un colpo, un tonfo. C. sent un dolore lancinante alla gamba. Fu caricato sull'automobile che l'aveva investito, il cui conducente si era spaventato a morte sia per le grida di dolore, sia perch il volto di C. era completamente insanguinato, anche se poi si scopr che si trattava solo di una abrasione non grave della pelle dello zigomo sinistro. Dovette rimanere in ospedale qualche giorno per le radiografie, l'ingessatura, i controlli, da cui risult la frattura della tibia della gamba destra. Durante quel periodo sua madre lo and a trovare tutti i giorni. Compariva sulla porta della camera con il suo sorriso aperto e trascinante. Gli portava dei tramezzini che sapeva essergli graditi in modo particolare. Gli portava da leggere soprattutto qualcosa per farlo ridere. Un giorno arriv con una copia del Corriere della Sera su cui era una vignetta di Giovanni Mosca che lo fece ridere tanto, che poi volle ritagliarsela 'e, dopo averla fatta incorniciare, se l'appese in ufficio, proprio dietro alla scrivania. Mostrava, quella vignetta, i due classici omini del Mosca intenti a guardare strabiliati un gruppo di animaletti strani. Uno dei due spiegava all'altro: Vedi? Quello un tasso; quella vicina la tassa; quello che sta

sopra la sovrattassa. E quello a due teste? Ah, quella la tassa straordinaria! Dopo la degenza in ospedale, C. fu portato in convalescenza in montagna. Dalla finestra poteva vedere, sotto il cielo blu, le montagne, che al tramonto il sole illuminava di un riflesso rosa. Pi vicino, un laghetto azzurro al centro del quale un piccolo ghiacciaio celeste resisteva allo scioglimento. Sulla superficie del ghiacciaio si intravedeva una grotta. C. immagin che dentro di essa si trovasse un tempio di ghiaccio. Pini sparsi dovunque, con il loro verde, rendevano pi umana quell'atmosfera, come dire?, troppo divina. Si udivano i rintocchi di una campana, ma non si vedeva il campanile. Ecco perch in certi casi si dice toccante pens C. Poi si mise ad osservare da quella bella vecchia finestra, incorniciata da verdi persiane in un muro il cui intonaco bianco era reso irregolare da screpolature sparse dal tempo in modo diseguale, il sole che lentaSpruzzi di luce argentata bagnano la fantasia. Rugiada. Come un fantasma, nel buio. C. stava correndo per il suo usuale esercizio di allenamento. Ex maratoneta, avanzava in scioltezza, senza apparente fatica, lungo il ciglio erboso della strada. Respirava Para profumata del mattino, godendosi il verde dei campi seminati tutto attorno, il colore trasparente dell'acqua del fontanile, di cui si poteva vedere nettamente il fondo coperto d'erba. Qualche rana ogni tanto saltava in acqua, disturbata dalla corsa del nostro C. Nel cielo azzurro, cos bello quando bello il cielo di Lombardia, rade nubi si rincorrevano nel vento. Un fagiano si lev in volo, mentre altri cinguettii tra loro diversi si inserivano nel fruscio delle foglie come note in un pentagramma. Una frenata brusca, un colpo, un tonfo. C. sent un dolore lancinante alla gamba. Fu caricato sull'automobile che l'aveva investito, il cui conducente si era spaventato a morte sia per le grida di dolore, sia perch il volto di C. era completamente insanguinato, anche se poi si scopr che si trattava solo di una abrasione non grave della pelle dello zigomo sinistro. Dovette rimanere in ospedale qualche giorno per le radiografie, l'ingessatura, i controlli, da cui risult la frattura della tibia della gamba destra. Durante quel periodo sua madre lo and a trovare tutti i giorni. Compariva sulla porta della camera con il suo sorriso aperto e trascinante.

Gli portava dei tramezzini che sapeva essergli graditi in modo particolare. Gli portava da leggere soprattutto qualcosa per farlo ridere. Un giorno arriv con una copia del Corriere della Sera su cui era una vignetta di Giovanni Mosca che lo fece ridere tanto, che poi volle ritagliarsela e, dopo averla fatta incorniciare, se l'appese in ufficio, proprio dietro alla scrivania. Mostrava, quella vignetta, i due classici omini del Mosca intenti a guardare strabiliati un gruppo di animaletti strani. Uno dei due spiegava all'altro: Vedi? Quello un tasso; quella vicina la tassa; quello che sta sopra la sovrattassa. E quello a due teste? Ah, quella la tassa straordinaria! Dopo la degenza in ospedale, C. fu portato in convalescenza in montagna. Dalla finestra poteva vedere, sotto il cielo blu, le montagne, che al tramonto il sole illuminava di un riflesso rosa. Pi vicino, un laghetto azzurro al centro del quale un piccolo ghiacciaio celeste resisteva allo scioglimento. Sulla superficie del ghiacciaio si intravedeva una grotta. C. immagin che dentro di essa si trovasse un tempio di ghiaccio. Pini sparsi dovunque, con il loro verde, rendevano pi umana quell'atmosfera, come dire?, troppo divina. Si udivano i rintocchi di una campana, ma non si vedeva il campanile. Ecco perch in certi casi si dice toccante pens C. Poi si mise ad osservare da quella bella vecchia finestra, incorniciata da verdi persiane in un muro il cui intonaco bianco era reso irregolare da screpolature sparse dal tempo in modo diseguale, il sole che lenta mente affogava tra le creste irregolari delle montagne macchiate di neve. Not come fosse visibile ad occhio nudo la discesa e scomparsa del sole, nel suo abito rosso reso ancor pi puro dal forte vento di tramontana... La fantasia del lettore potr sicuramente pi della penna. Quelle montagne, quel cielo, quel lago, quel ghiacciaio, quell'azzurro, quel rosa, quel rosso... che affido, caro lettore, alla tua fantasia: prova a scrivere tu una descrizione adeguata. L'importante capire. C. socchiuse gli occhi e si sforz di fermare per sempre quell'immagine nella sua memoria, come un'opera d'arte. Salve, sono Weleda; e la porta si richiuse facendo sobbalzare C. per l'imprevisto ingresso dell'infermiera, che scosse la testa per liberare gli occhi vivi e furbi dai folti capelli rossi, lunghi fin quasi alla vita filiforme, che incorniciavano un bel viso sottile da bambina illuminato dallo sguardo ironico di chi, per vincere la propria incertezza, ostenta di prendere tutto,

anche ci che lo potrebbe offendere, non troppo sul serio. Quel che pi attrasse C. fin dal primo istante fu il contrasto tra la sottigliezza della vita, dove parevano impreziosirsi tutte le funzioni pi delicate del corpo, e la generosit materna delle linee del seno e dei fianchi. Dalla violenza di questa contrapposizione si liberava un'energia estetica di cui C. arriv a percepire persino l'odore. Allora, come va? si sent chiedere C. che, timido per natura, questa volta voleva sforzarsi di fare violenza alla sua riservatezza per stabilire un contatto positivo con quella creatura che gli sembrava incarnare il suo ideale di bellezza femminile. Il problema era: questa ragazza chiss quanti uomini poteva avere attorno; come vincere la competizione? Pensando a ci, C. ritenne che per il momento era opportuno approfittare della sua domanda per mantenere il discorso su livelli pi elementari, un po' come un pugile che durante il primo round dell'incontro si limita a studiare le reazioni dell'avversario, toccandolo ma senza affondare i colpi.

4. L'AMORE Di tutti i modi di produzione dell'amore, di tutti gli agenti di determinazione del male sacro, uno dei pi efficaci certo questo: gran soffio d'ansia che passa a volte su di noi. (MARCEL PROUST, Un amore di Swan, Arnoldo Mondadori Editore.)

Va meglio, disse C. con la voce inspiegabilmente un po' strozzata. Ora riesco a muovere bene le gambe, quasi senza pi dolore. Fu l'inizio. E poi, uscito di qui, dove andrai? Torner a casa dai miei. A lavorare. Lavori coi tuoi? S. Mia madre e mio padre hanno una piccola azienda di carpenteria metallica. Poi C. le spieg della sua precedente esperienza all'allevamento di cavalli e della decisione di mettersi coi suoi. Insomma, sei un figlio di pap, disse lei con una punta d'invidia, accendendosi una sigaretta dal pacchetto appena aperto. Weleda apparteneva a quella categoria di persone che fin dall'infanzia devono rassegnarsi ad avere poco e che organizzano la loro vita come un generale che organizza un piano di battaglia, dove ogni mossa tesa ad ottenere ci a cui prima hanno dovuto rinunciare ed a cui hanno temuto di dover rinunciare per sempre. Il massimo del trionfo, per alcune di queste persone, quando riescono, oltre che a conquistare gli oggetti desiderati, anche a rovinare la vita di coloro che in precedenza hanno dovuto invidiare. Non importa se esse ricevono dagli odiati avversari del bene: l'odio covato per anni finir per bruciare ogni germe di bont, lasciando spazio all'orgia di potere della cattiveria. Anzi, ogni atto di generosit verr interpretato come un tentativo di mantenersi pi in alto arrogandosi la potest di fare concessioni, oltre che come un segnale di debolezza e perci come un incitamento all'aggressione. Ma C. queste cose non le sapeva, e per noi meglio giacch ora potremo verificare se, tra lui e Weleda, le cose proseguirono in modo differente. In fondo, pur vero che non mai buona norma generalizzare: ogni regola, dice il proverbio, ha le sue eccezioni; i proverbi sono frutto di saggezza popolare e della saggezza popolare opportuno aver rispetto. C. si sent offeso dall'accusa di essere un figlio di pap. L'offesa era tanto pi toccante in quanto, in fondo, egli la sentiva vera. Weleda lo guard con dolcezza artefatta. Ogni sua mossa era accuratamente studiata: questo tipo di persona, dominato dall'ambizione fine a se stessa, capace di allenarsi ore e ore davanti allo specchio per invogliare il prossimo. Il naso piccolo e infantilmente all'ins, il disegno sottile delle labbra, di quel volto la cui fierezza era facile scambiare per spiritualit, si armonizzavano in un'espressione dolce al punto da sostituirsi a qualsiasi

altro bisogno di un essere umano: ella si comportava un po' come quegli spacciatori di droga che, all'inizio, regalano il mortale veleno per creare la tossico-dipendenza e quindi far pagare a caro prezzo le dosi di cui presto le loro vittime credono di non poter pi fare a meno. In modo del tutto analogo C. stava diventando un quel-sorrisodipendente. In seguito, per analoghi sorrisi, cosa non avrebbe dovuto fare! L'avvenenza delle forme del bel corpo di lei era mistificata da sapienti pose che facevano letteralmente ribollire il sangue nelle vene del povero C., la cui giovent urgeva con tutte le sue esigenze. Rapidamente arriv alla certezza che quella donna fosse un angelo, trovando ci confermato dalla dolcezza con cui lei gli parlava e lo assisteva. Weleda gli porse con le sue braccia lunghe e sottili un bicchiere contenente un intruglio. Quando and a prendere un termometro per misurargli la febbre, C. guard le sue gambe dai femori singolarmente lunghi; e la carnosit degli arti in opposto alla loro snellezza e alla sottigliezza delle caviglie, generava la stessa energia estetica del contrasto tra la vita e le linee del corpo. I suoi vestiti, sotto il camice da infermiera, accentuavano questo contrasto: la gonna nera stretta in vita ma larga sui fianchi, la camicetta di seta verde leggera che mostrava la prorompenza del seno. Le cose che C. e Weleda si dissero sono totalmente prive di importanza perch, mentre dalle loro bocche uscivano frasi come Cosa ti piace, Cosa fai quando non lavori, Che tipo tua madre, Quanti fratelli hai, Ti piace andare al cinema, No, mi piace andare in discoteca ed altre amenit del genere, le loro menti lavoravano, dietro quelle manovre diversive, su tutt'altri fronti. Il giorno dopo, pi o meno, la stessa schermaglia, e cos per qualche giorno, fino al termine del periodo di degenza di C. Rimaneva poco tempo. C. temette di perdere il contatto, e a quella ragazza s'era affezionato anche se, per colpa della sua solita timidezza e della sua poca dimestichezza con le donne non era ancora riuscito a dirlo. Si fece un programma dettagliato di come si sarebbe comportato non appena lei fosse entrata nella sua camera. Sentiva il cuore palpitare. Doveva fare qualcosa prima di uscire dall'ospedale e perdere la situazione privilegiata di cui godeva rispetto ai potenziali rivali esterni. Man mano che si avvicinava il momento della verit, C. si sentiva sempre pi agitato. Temeva che, fuori dall'ospedale, avrebbe finito per perdere Weleda. Arriv ad avere, letteralmente, paura. In realt le cose andarono in modo molto diverso dai suoi piani particolareggiati, nel senso che furono molto pi semplici.

Infatti, Weleda non aveva avuto n palpitazioni, n agitazioni o altro; semplicemente, entrata sorridendo, gli si sedette accanto e gli disse: Dammi un bacio. Qualche minuto dopo C. era l'uomo pi felice del mondo. Bisognava per lavare il peccato originale di essere figlio di pap per meritare l'amore di quella ragazza che ormai C. non aveva pi alcun dubbio poteva essere considerata la donna ideale per qualsiasi umano, ufo compresi. Il caso volle che durante i giorni seguenti C. andasse a trascorrere qualche giorno nell'isola di Pee. Pee, nell'Oceano Indiano, poco a sud della penisola siamese. L vicino era una grotta marina, sulle cui rocce interne erano dipinte figure di navi attribuite ai Vichinghi. L'acqua verde del mare era talmente limpida che si scorgeva perfettamente, dieci metri pi sotto, il fondale ricco di coralli e di pesci multicolori, blu, gialli, arancioni, rossi, neri. Nell'interno della grotta, gigantesca ed altissima, si avvertiva un acre odore di guano. I massi, sparsi qua e l, parevano altari; in alto, dentro i crepacci che segnavano la volta della caverna, le rondini nidificavano durante i mesi da gennaio a marzo. Gli indigeni si spingevano audacemente fino alla volta della grotta, arrampicandosi su scale di bamb, per prendere i nidi di rondine, fatti con la saliva dei volatili, di cui i popoli orientali sono ghiottissimi e che pagano a caro prezzo. Certo, arrampicarsi fino a cento metri d'altezza sulle guglie naturali di quel tempio era pericoloso. Ma pensate che un chilo di nidi di rondine, laggi, vale quanto un mese di stipendio di un operaio occidentale! Durante un'immersione subacquea C. pot vedere, mimetizzata tra le attinie gialle, i ventagli di mare rossi e azzurri, le spugne enormi aggrappate alle pareti degli abissi, una gigantesca seppia lunga pi di un metro, che con i suoi tentacoli blu depositava le uova negli anfratti. Non appena si sent avvicinare, l'animale cambi colore mimetizzandosi completamente con il marrone a tonalit chiare e scure della parete, fino a divenire quasi invisibile. Proprio in quel momento usc da un crepaccio un piccolo squalo che, sfiorato il corpo di C., and via velocemente, forse seccato. Un serpente di mare, lungo e affusolato, riflett con la sua pelle color crema a strisce caff un raggio di sole che lo aveva colpito. Poi, mentre la barca lo riportava alla base, C. vide un branco di delfini grigi intrecciare linee ellittiche con la retta dell orizzonte. In quello scenario di immacolata perfezione, un giorno C., camminando sulla sabbia bianca e fine al punto da sembrare borotalco, vide un tratto di mare deturpato dai rifiuti scaricati da una nave. Sembra impossibile si disse che dal tempo dei Vichinghi a oggi l'uomo non sia riuscito ad arrecare danno, mentre ora, in poco tempo, si

compir un disastro evitato per secoli! Per associazione di idee, pens quindi che proprio quello avrebbe potuto essere il suo campo di lavoro: lottare per difendere, entro i limiti del possibile, la natura dal suo pi terribile e insidioso nemico: l'inquinamento. Prima di tornare a Milano, C. volle farsi accompagnare all'estuario del fiume Magnam Tani, per visitare i villaggi sulle palafitte dei pescatori. La chiatta risal il Magnam (il nome di questo fiume significa Madre dell'acqua) nel cuore della giungla; sotto il cielo color dell'opale la lussureggiante verdissima vegetazione contrastava con il giallo del fiume, mentre dietro ai palmeti e alle sterminate distese di mangrovia con le lunghe radici affogate nell'acqua, si intravedevano montagne a picco, coperte anch'esse di verde. Ogni tanto si incontravano giovani con i caratteristici copricapo di paglia a tesa larga, immersi fino alle ginocchia nel fiume ed intenti a governare le reti da pesca. Un ragazzo, ritto in piedi sulla schiena di una bufala, faceva pascolare il suo animale fra gli alberi di banano dai vivaci fiori rossi e gialli che, con la loro forma oblunga, parevano anticipare quella del frutto tra le grandi foglie verdi disposte a ventaglio. Un vecchio col volto scavato dal vento, dal sole, dalla fatica, avanzava sul suo elefante per andare a sollevare dei tronchi d'albero al limitar d'una risaia. Deviando poi in uno dei canali immissari del Magnani Tani, C. arriv in un villaggio. Sal su una delle palafitte, costituite da capanne di legno costruite su piattaforme sostenute da grossi tronchi d'albero fondati nel fiume. Sul pavimento di tavole di tek, nessun mobile salvo una piccola credenza. Alle pareti, fotografie dei familiari. Qui gli fu offerto da mangiare del pesce appena pescato, condito con una salsa molto piccante. Occhi vivaci di bambini dai lineamenti delicati lo guardavano sorridendo, incuriositi. La figlia del pescatore, che di notte si spogliava in un locale notturno di Bangkok per aiutare la famiglia a mangiare, coi suoi occhi dolci e intelligenti osservava ogni mossa di C., in silenzio. Gli disse che vicino c'era la possibilit di visitare un importante tempio di Budda ricavato in una grotta, dove poco dopo C. arriv. Vi era un'apertura nella roccia. C. si trov dinanzi a masse rocciose le cui forme, disegnate dall'erosione, ricordavano giganteschi dragoni. Appena entrato, dovette arrampicarsi a fatica lungo un difficile percorso. Arriv ad una piccola apertura, superata la quale sbuc nella giungla tra palme e bamb. Vide strisciare poco distante un serpente verde e giallo, di quelli innocui, che subito fugg via. Dovette superare un

acquitrino e rientr nella montagna attraverso un altro spiraglio, trovandosi improvvisamente davanti al volto sorridente di un Budda all'atto di morire con il capo appoggiato alla mano destra. In quell'attimo C. prov una sensazione di estasi. Qualche giorno dopo, tornato a casa, mentre era a pranzo con i suoi, chiese al padre quali fossero, a suo avviso, le prospettive di sviluppo nel settore cosiddetto ecologico. Si fa un gran parlare di ecologia e penso che la tecnologia antiinquinamento, ancora poco sviluppata finir per doversi ampliare parecchio. Se dovessero mantenere anche solo un decimo di quello che stanno promettendo per la salvaguardia della natura, ci dovrebbe essere molto lavoro in arrivo. Staremo a vedere. In particolare incalz C. quali sono i settori dell' antiinquinamento che dovrebbero andare meglio? Quello della depurazione delle acque, dei fumi e dello smaltimento dei rifiuti. Soprattutto l'ultimo mi sembra il pi urgente: i rifiuti non sanno pi dove metterli, e dalle discariche esce una puzza insopportabile. La fantasia di C. si accese subitaneamente. Mentre guidava, al volante della sua Fiat, la mente si mise a fermentare. L'idea, immediata, fu quella di costruire impianti per trattare i rifiuti. C. era sempre stato caratterizzato da una particolare velocit nel mettere in pratica ci che pensava. Il giorno dopo era gi in una biblioteca scientifica per studiare tutto quello che era stato pubblicato sull'argomento. Poco, in verit, e molto superficiale. Evidentemente, quella che a C. interessava era ancora una branca giovane della tecnologia, e ci non fece che accendere ancor pi il suo entusiasmo. C. pens che, stando cos le cose, avrebbe trovato ancora pi spazio per affermarsi. Doveva dimostrare a Weleda di non essere un figlio di pap, e di essere capace di creare qualcosa di Per il momento i suoi orizzonti filosofici, in realt, erano tutti l, nonostante i begli studi. Potenza della Natura! Un sorriso ed un bacio (e anche qualcos'altro), possono travolgere in un attimo anni di meditazioni, come una grande valanga pu cancellare in un istante alberi e caseggiati antichi di secoli. Ma torniamo al nostro racconto. La sera stessa, C. beveva una birra insieme a Weleda, in uno di quei piano-bar di Brera un tempo tempio

della cosiddetta bohme e oggi rifugio di frustrati che si illudono, sbronzandosi tra i drogati, di ribellarsi alla societ borghese e, per ci stesso, di laurearsi artisti. Il pianista strimpellava una canzone che a C. piaceva molto, Vita spericolata. Una canzone che solo anni dopo Vasco Rossi avrebbe reso popolare soprattutto fra i giovani. Una canzone che per C. era l'incitamento alla rottura degli schemi abituali di esistenza e a proiettarsi in qualcosa di rischioso che lo realizzasse, dimostrando a tutti le sue capacit. A tutti... Meglio sarebbe dire: a Weleda, fasciata davanti a lui in un attillatissimo vestito che esaltava la sua snellezza e al tempo stesso la sua femminilit. L'abito di Weleda, che a C. ricordava una famosa tempera di Ert, La Danza, era color crema, ricamato a fiori, aveva le maniche trasparenti e, stretto in vita, si allargava in una cascata di ricami a fiori. Una profonda scollatura, cos come la trasparenza della stoffa, la rendeva oltre modo eccitante. Voglio una vita esagerata, voglio una vita come Steve McQueen, cantava il pianista, i cui occhietti furbi sotto radi ciuffi di capelli rossicci sembravano classificare con velocit elettronica tutti i clienti del locale. Di solito i pianisti e i cantanti, come i camerieri e i gestori dei locali notturni credono, avendo visto passare migliaia di persone, di saper riconoscere tipi e caratteri a colpo d'occhio, senza capire che, in realt, essi vedono solo maschere. Eccitato da quella canzone, che amava, C. spiegava con entusiasmo a Weleda tutti i suoi programmi per un lavoro che, in realt, ancora non conosceva, ma per cui la sua fantasia gi si era incendiata. Weleda lo ascoltava con ammirazione: le faceva piacere vedere che il suo amico si entusiasmava per la funzione sociale del suo lavoro. Anche lei, del resto, credeva nell'utilit sociale del suo impiego di infermiera. E il fatto di doversi arrampicare su per le gerarchie sociali non le impediva di capire ed apprezzare le forze positive della natura umana che, come tutte le donne, comprendeva con la forza di chi pu generarla. Weleda si lasci andare a confidenze della sua infanzia. C. venne cos a sapere tanti fatti che, prima, ella non aveva voluto o potuto raccontargli. Io sono una figlia adottiva disse Weleda Mia madre mi ha abbandonato dopo avermi partorito giovanissima. La mia non stata un'infanzia felice. I miei genitori erano anziani e io ero cresciuta in un collegio di suore. Regole rigide, molta ipocrisia, poco alletto.

Venivano trattate bene quelle che pagavano una retta superiore. Quelle come me, che pagavano la minima, venivano trattate... lasciamo perdere. Ricordo che una volta stavo mangiando di nascosto una pasta durante la lezione. L'insegnante, quando se ne accorse, venne al mio banco e, colpendomi con un ceffone, fece cadere a terra la pasta. Poi me la fece raccogliere e buttare nel cestino. Bagnata di lacrime. difficile dimenticare le umiliazioni che ho subito l dentro. Le note del piano continuavano a mescolarsi con il fumo sotto la volta del locale. Entr un giovane drogato. Apparteneva al genere di ragazzi, dal modo di ragionare alquanto essenziale, i quali, drogandosi, credono di diventare pi interessanti, di acquisire il fascino di chi osa rischiare emozioni proibite, senza rendersi conto che, a chi li sappia osservare, fanno solo pena, sia per la tragica fine che salvo le rare eccezioni di chi ha la forza di smettere li attende, sia per l'infimo livello a cui un drogato in grado di mantenere le funzioni razionali, similmente, in sostanza, a quanto avviene ad un alcolizzato all'ultimo stadio di intossicazione. Prese posto ad un tavolo molto vicino a quello di C., dove un altro drogato stava sorseggiando una birra. C. pot percepire ci che si dicevano, mentre Weleda ascoltava la musica. Hai del Brown? No. Se vuoi ho una canna. Ce l'hai un ventino? Ho fatto una piotta a un tizio puntandogli il pezzo. Perch non fai una chiusura^ Deve sbatterti un po', cos ti fai un po' di pere senza rimbalza re. Con gli schizzi e con gli scransi non vai in favola Non voglio finire all'Hotel Millesbarre. La Madama mi ha gi pomiciato addosso pi di una volta per degli strappi. Hai sentito di Ester? S, si tolta dalla vita. in una comunit di sdrogati. Ce l'ha fatta, Tanto non trover lavoro. Prima o poi finir ancora con la spada in mano. Pensare che si spertusava. L'altro giorno mi hanno rifilato una scranso. Meglio cos che da strada. In fondo, cosa vuoi per qualche scudo? La prossima volta che mi danno una sola li secco. C. fu preso dalla nausea. Non poteva sopportare di vedere giovani vite ridotte a quel punto. Nonostante tutto, per prosegu Weleda aspirando il fumo della sua sigaretta ho conservato anche ricordi gradevoli da quegli anni di collegio. Per esempio noi, diciamo cos, "diseredate", ci eravamo alleate organizzandoci per scambiarci libri, informazioni, notizie; ci davamo lezioni, ci copiavamo i compiti; ad un certo punto, in tante cose, eravamo diventate pi potenti delle altre. Peccato che ci siamo perse di vista: non saprei pi dove ritrovare una di quelle mie compagne. Uscita dal collegio a quindici anni, ho dovuto cominciare a lavorare. I miei genitori adottivi sono pensionati e vivono in ristrettezze

economiche. Perci non me la sono sentita di aggravare la loro situazione. Ma tua madre non si proprio pi fatta sentire? Mai. Mi ha uccisa nelle sue memorie dopo avermi dato la vita nel suo ventre. Una lacrima inumid gli occhi di Weleda. Ma vedi spesso i tuoi genitori adottivi? Giusto il mese scorso sono andata a trovarli. Mio padre mi ha portata a pescare. Sai che sono riuscita a prendere una triglia? Che lavoro hai fatto prima di questo? Appena uscita di collegio, la cameriera in un albergo Non ci stavo male. Mi volevano bene e mi rispettavano Poi ho fatto la domestica in una casa di signori. Con il padrone di casa e suo figlio che cercavano di portarmi a letto e la padrona che mi umiliava per rifarsi delle frustrazioni che i due uomini di casa le facevano digerire. Meglio dimenticare, come dice Jannacci, meglio. E poi? Poi ho iniziato un corso per infermiera. In fondo, mi piaceva l'idea di curare i malati. Coi soldi che guadagno, mi pago lezioni di canto e recitazione. Il mio sogno diventare qualcuno, insomma sfondare nel mondo del teatro. Perch? Per rifarmi, per dimostrare chi sono. O forse, anche solo per avere affetto da un pubblico, visto che non ne ho avuto da mia madre. Il pianista strimpellava monotono. I nostri due si alzarono e si diressero verso l'uscita. Qui incontrarono un conoscente comune, Fred. Basso, di complessione media, questi era un attore fallito, uno dei tanti che sperano di diventare "una star" e che poi si accorgono di doversi accontentare di parti di secondo piano. Vestito in modo che voleva essere estroso, ma che riusciva solo ad essere volgare, interruppe i suoi oc- chieggiamenti atti pi ad accertarsi d'essere guardato che a guardare e si rivolse bruscamente a Weleda, mantrugiando delle fotografie. Fra un'ora ci rivediamo qui. Devo parlarti. Weleda, bench contrariata, annu. C. fu stupito dal suo comportamento. Le disse che avrebbe preferito stare assieme a lei Weleda rispose che non era possibile, perch con Fred aveva un impegno precedente. C. si sent pervadere da un'ondata di collera mista a gelosia. Inizi cos la loro prima lite. Non puoi pretendere di mollarmi qui e andare da quell'imbecille

senza spiegarmi il perch. Io sono libera. Chiaro? Non ho bisogno di un pap iperprotettivo che mi rompa... O.K., allora tu sei libera, e anch'io. Arrivederci. C. torn a casa semplicemente furioso. A fare le spese fu un quaderno di poesie, con la sua polita legatura cartonata, che aveva scritto per Weleda e che avrebbe dovuto essere una sorpresa per lei: fin in mille pezzettini che nevicarono dalla scrivania sulla sottostante moquette. Il giorno dopo C. part per Londra, dove doveva visitare alcuni impianti di incenerimento particolarmente interessanti in vista del suo nuovo mestiere. Il viaggio, pens, gli sarebbe servito per dimenticare Weleda. Pia illusione: nonostante la giornata di sole e l'assenza totale di nuvole rendessero spettacolare dall'obl dell'aereo la vista delle Alpi, la mente di C. non riusciva a distaccarsi dal pensiero di lei. Sentiva come la dolorosa mancanza di un organo interno per lui vitale; non c'era pi armonia fra tutti gli altri organi del suo corpo. C. continuava a rimproverarsi, facendosi una colpa di quanto era successo. Pensava che, quella maledetta sera Weleda si fosse staccata da lui a causa della sua infantile ed egoistica incomprensione per tutto ci che la rendeva indipendente. La macerazione continu durante tutto il soggiorno a Londra, solo in parte alleviata dalla compagnia dei tecnici da cui, comunque, impar molto. C. vide molti impianti, li studi nei minimi particolari e li fotograf. I tecnici erano lieti di aiutarlo, apprezzando l'entusiasmo che egli mostrava per un lavoro cos poco conosciuto e difficile. E a poco a poco il tempo, per C. tutto assorto nel suo nuovo impegno, ricominci a volare. Quel lavoro gli piaceva sempre di pi. Gli piaceva operare per l'ecologia: gli sembrava di lavorare un po' anche per il futuro del pianeta in cui viveva. In questo atteggiamento, C. ricordava un po' quel personaggio di Federico Fellini che, nel finale di E la nave va, quando la nave della societ affonda nell'oceano della corruzione, si salva portando nella sua scialuppa il Rinoceronte moribondo, come per voler affermare a tutti i costi la volont della Natura di sopravviere in modo magari patetico, ma non per questo meno commovente. C. cominciava gi a pensare di progettare impianti che, pur tenendo presente quanto aveva imparato, avessero qualcosa in pi, qualcosa che

facesse di lui un protagonista come Tomkins, Dunn, Lucas, ossia i tecnici e gli esperti inglesi che era onoratissimo nel vero senso della parola di avere per maestri. Ma la sera, quando rimaneva solo, per C. non c'era scampo: Weleda gli allagava la mente come un'emorragia. Quando vedeva altre donne pensava a lei, persino se erano fotografie sui manifesti. Ogni particolare del loro volto gli ricordava lei. Un'ossessione. E il bello era che, perch accadesse tutto ci, non esisteva una ragione precisa. C. aveva conosciuto donne pi belle di Weleda; pi colte, pi intelligenti, pi sensibili di lei. Eppure nessuna gli aveva dato, standogli vicina, quel totale senso di felicit che lei riusciva ad ispirargli. Nei momenti dell'orgasmo, con lei, il tempo e lo spazio si riducevano a nulla: qualsiasi altra esistenza, qualsiasi distanza, qualsiasi momento si azzeravano. Esisteva solo lei. Durante il volo di ritorno verso Milano, C. prese una decisione irrevocabile: Costi quel che costi, orgoglio o non orgoglio, io me ne fotto; le chiedo scusa e torno da lei. A un certo punto l'aereo si mise a traballare pi del normale e C. ebbe paura. Non c' niente da fare: possono raccontarti tutto quello che vogliono con le statistiche, e numerarti tutti i calcoli delle probabilit a favore degli aerei; sar senz'altro vero che un incidente d'auto a cento all'ora, velocit a cui viaggiano quasi tutte le automobili, mortale quanto una caduta in aereo; per quando sei in volo e senti l'aeroplano saltare, pensi che sotto c' il vuoto e sei afferrato dallo smarrimento. Avverti, di fronte al pericolo che in nessun modo puoi controllare, una spiacevole sensazione di totale impotenza. E forse proprio questo, il fatto che il soggetto sia consciamente ridotto a oggetto del proprio destino, che mette panico. C., in quei momenti, pensava a Weleda con un'intensit tale da quasi materializzarla davanti a s. Era sollevato nel sentirsela vicina e, tuttavia, provava una sorta di rimorso Si sentiva colpevole, in qualche modo, nei confronti di sua madre. Com' possibile, pensava, che in questo che potrebbe essere uno degli ultimi istanti della mia vita, io non pensi a mia madre che mi ha dato tutto e rivolga la mia mente a Weleda che mi ha dato poco o niente? Una delle cose che maggiormente lo legava a Weleda era la sensazione che lei trasmetteva, pur fra tutte le sue manifestazioni di superiorit e di aggressivit, di avere bisogno di aiuto e di affetto. C. quasi si pentiva di averle fatto del male lasciandola, eia

giustificava in tutto pensando alla sua diffcile adolescenza. A come era stata adottata. A come sua madre l'aveva abbandonata da piccola. Lei raccontava che sua madre era una nobile che l'aveva dovuta dare in adozione perch giovanissima la aveva concepita illegalmente da un irlandese. C. aveva capito subito che quel racconto era una favola romantica inventata per mascherare una realt molto cruda, ma anche per questo le voleva bene. Weleda gli faceva tenerezza con quel suo volersi rifare delle umiliazioni subite rifugiandosi in una sorta di determinismo. Se qualcuno o non qualcosa, ci non dipende dalle sue capacit, ma da fatti "predeterminati"; cromosomi, fortuna, destino, gli disse un giorno mentre la Fiat avanzava sotto la pioggia lungo le grigie strade della citta. Quasi a discolparsi di non essere arrivata dove avrebbe desiderato. E C. le diceva, di rimando, che l'importante non quanto, o grazie a chi, o che cosa si possa dare, ma dare il massimo di s per la causa in cui si crede. Anche questo amore. Ma che cos' l'amore? Un'idea? Forse. Forse no. Forse l'amore vanit? Forse l'amore certezza? Forse amicizia? Forse avere interessi in comune? Forse avere? Forse dare? L'amore tutto ci e pi di tutto ci. L'amore ... C. non vedeva l'ora di ritornare a Milano, mettere un gettone dentro il telefono e chiamare Weleda. Dal finestrino apparvero le luci di Milano. Parevano una galassia di stelle. Aereo, bus, taxi, casa, telefono: Pronto Weleda? Sapevo che mi avresti telefonato. Il resto fu una tiritera di scuse reciproche, di reciproche promesse di irrinunciabile, sempre reciproca, vicinanza in ogni situazione. Ho deciso che, se mi vorrai, sar sempre la compagna della tua vita.

Queste parole C. non le dimentic mai. In realt, mentre lui era in Inghilterra anche lei si era resa conto di essergli attaccata, bench non ne capisse fino in fondo la ragione. Con tutte le sue carenze affettive infantili, cresciuta in un collegio di suore senza il calore dei genitori, Weleda aveva bisogno di affetto. E pensava C. era finita ad avere bisogno proprio dell'affetto di un giovane entusiasta, anche se un tantino goffo... Rimaneva per in Weleda la paura che C. la frequentasse solo per attrazione fisica. Temeva che quell'affetto, di cui lei aveva un bisogno viscerale, in realt non avesse radici profonde. Di poche cose si ha paura come di ricevere ci che pi si desidera, per il timore di doverlo perdere. Weleda aveva paura di ricevere affetto, ma ne aveva bisogno. Oltre a questo aveva bisogno della sistemazione materiale che C. le offriva; e poi poteva dedicarsi totalmente alla realizzazione del sogno della sua vita: tanto per cambiare, quello di diventare attrice. Durante il soggiorno inglese di C., anche Weleda si era data molto da fare, e anche lei aveva molto da raccontare. Si era presentata in varie agenzie di fotomodelle ed attrici con successi pi o meno scarsi. A un certo punto le era stato presentato Fred Cardinali, il quale, fallito come attore, s'era messo a fare l'impresario o, quantomeno, l'apprendista impresario. Raccont Weleda a C. che, mentre in un night un pianista snocciolava le sue improbabili note, Fred le aveva detto di essere uno dei pi importanti organizzatori del mondo dello spettacolo. E pi tardi, accompagnandola in auto alla pensioncina in cui abitava, le aveva proposto: Ti faccio io da manager. Lei aveva accettato: la sola idea di avere un manager tutto suo la faceva sentire gi mezza arrivata. In breve, per, Weleda cominci a nutrire, diciamo cos, qualche perplessit sul lavoro procurato dal suo manager. Per cominciare, arrivarono proposte tipo quella di posare nuda per calendari e riviste. Ogni tanto arrivava qualche richiesta di foto per riviste di moda e va bene; ma solo in seguito la genialit del procuratore avrebbe dispiegato tutta la sua potenzialit. Weleda veniva presentata a personaggi che l'intraprendente Fred garantiva come regolamentari finanzieri, industriali, ambasciatori, registi, e via cinematografando, che l'avrebbero aiutata a scalare l'ardua montagna del successo non con la pascoliana picozza, ma con il moderno elicottero, con infinitamente minore dispendio di energie.

Tutti questi mammasantissima della raccomandazione, dopo essere stati presentati alla giovane e bella Weleda, cosa facevano? Il rituale era quasi un massimo comune denominatore. Fase numero uno (la preparazione): una discussione, diretta dall'intraprendente Fred, sul cinema (di cui lui non capiva granch), sui protagonisti dei film in lavorazione (tra cui lui non figurava per niente), sul contesto del discorso nella misura in cui, parte dove l'intraprendente Fred lasciava agli impazienti ospiti spazio per dimostrare la loro potenza cerebrale, un po' come i pavoni mostrano il piumaggio alla loro femmina, eccetera, eccetera. Fase numero due (l'esca) era la cenetta con: il Personaggio (quello che la misura in cui del contesto), l'intraprendente Fred e lei, Weleda, quando era il turno di Weleda. Ma non sempre era Weleda: l'intraprendente Fred aveva una scuderia di aspiranti attrici che gli consentivano di soddisfare i gusti, artistici s'intende, pi disparati. Ed eccoci alla fase numero tre (la trappola): la discesa al night, lungo la quale Fred toccava il cielo della perfezione. Tutti lo conoscevano, tutte le entraineuses gli strizzavano l'occhio, ma Weleda non sapeva che fossero troiette, anche se ormai cominciava ad immaginarlo. Quello della misura in cui cominciava a poter muovere i pezzi di artiglieria leggera: mano sulla vita, bacetti e affini. Fase numero quattro (l