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IL TORSO DEL BELVEDERE IN MOSTRA AL SENATO Senato della Repubblica

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IL TORSODEL BELVEDERE IN MOSTRA AL SENATO

Senato della Repubblica

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IL TORSODEL BELVEDERE

IL TORSODEL BELVEDERE

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Indice

Presentazione ....................................................................... 1

La storia ................................................................................ 3

Michelangelo e il Torso ....................................................... 10

Il culto degli artisti .............................................................. 14

Il mistero del Torso ............................................................. 17

Referenze iconografiche ..................................................... 20

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PRESENTAZIONE

Per Friedrich Schiller, poeta, era il «trionfo» che «l’artebella di Grecia celebra sul destino dell’intero orbe ter-racqueo». Per un estasiato Anton Raphael Mengs, pitto-re-filosofo boemo, «vi si trovano riunite tutte le bellezzedelle altre statue, poiché ha la più perfetta varietà, e untocco, che è quasi impercettibile». Quanto all’archeologotedesco Johann Joachim Winckelmann, ne compativa lostato miserevole - «crudelmente maltrattato e mezzo di-strutto» - ma lo definiva una «meravigliosa quercia ab-battuta e spogliata dei rami e delle fronde».

Bello, bellissimo, una «singularissima figura» (Ciriacod’Ancona), un resto di scultura «mutilato e sublime», mache ci appare come «un grande capolavoro caduto da unaltro mondo» (Edmond e Jules de Goncourt). Questo è ilTorso del Belvedere, la scultura che ha forse più ispiratogli artisti europei dal Cinquecento ad oggi. Anzi, che inun certo senso è il fondamento dell’arte europea, l’operache più ha contribuito a creare un immaginario artisticocomune dall’Italia (Michelangelo in primis) alla GranBretagna (William Turner), dall’Olanda (Hendrick Gol-tzius) alla Spagna (Pablo Picasso), passando per la Fran-cia (Auguste Rodin) e la Germania (Winckelmann), finoal fiammingo Peter Paul Rubens. Intere generazioni dipittori, scultori, incisori e poeti si sono misurati con quelcorpo immane e mutilato - gli arti spezzati, la testa man-cante, il marmo corroso dall’incuria e dalle intemperie -che dal 1530 circa era in mostra in Vaticano, nel cortiledel Belvedere. Quanto a Michelangelo, che diceva addi-rittura di essere «discepolo del Torso del Belvedere»,chiunque abbia visto anche una sola volta gli Ignudi del-la Cappella Sistina non può avere dubbi su quanto pro-fondamente il Torso abbia segnato l’opera del Maestro;e, attraverso di lui, l’intera storia dell’arte europea.

Ci dice molto, il Torso, anche del rapporto che il poterein Europa - o meglio, i tanti poteri locali in cui l’Europa è

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stata via via frammentata - ha avuto con l’arte. Greco diorigine, romano d’adozione, di proprietà pontificia persvariati secoli, è stato requisito da Napoleone dopo laprima campagna d’Italia e caricato sui carri con destina-zione Parigi, in forza del trattato di Tolentino, insieme acentinaia di altri quadri, sculture, e perfino ai cavalli dipiazza San Marco. Un ricco bottino di guerra che è torna-to in Italia solo con enormi difficoltà e solo grazie a uncapolavoro di alta diplomazia tessuto pazientemente inmezza Europa: incaricato dal cardinale Ettore Consalvi,segretario di Stato pontificio, di recuperare le opered’arte rubate - un’impresa «disperata», visto che francesie russi erano contrarissimi - il grande scultore veneto An-tonio Canova è riuscito infatti nel miracolo solo in virtùdell’intervento del principe e diplomatico austriaco Kle-mens von Metternich e con l’aiuto di re Ludwig I di Ba-viera, creatore del primo museo tedesco per la sculturaantica, il Glyptothek, e grandissimo ammiratore del Tor-so.

E dunque è più che una scultura, è un grande simbolodell’Europa e della sua comune storia culturale, umana,politica, diplomatica, quello che il Senato ha l’onore diospitare in occasione del sessantesimo anniversario deiTrattati di Roma. Un particolare riconoscimento e unsentito ringraziamento vanno perciò ai Musei Vaticaniche hanno collaborato a questa esposizione straordina-ria, ma soprattutto al Governatorato che ha voluto cosìdimostrare la sua vicinanza a un’Italia e a un’Europa dicui condivide i valori altissimi dell’unità, della bellezza edella pace.

Pietro GRASSOPresidente del Senato della Repubblica

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LA STORIA

"A man dritta di questa cappella è un torsogrande di Hercole ignudo, assiso sopra untronco del medesimo marmo, non ha testa, nébraccia, né gambe. È stato questo busto singu-larmente lodato da Michel'Angelo. Nella suabase ha queste lettere greche scritte APOL-LONIOS NESTOROS ATHENAIOS EPOIEI"

Ulisse Aldrovandi, "Tutte le statue antiche, che inRoma in diversi luoghi, e case particolari si veggono".

Le origini e i percorsi grazie ai quali il Torso è arrivatofino a noi sono ancora oggi un mistero. Nulla si conoscedi certo riguardo a data e luogo del ritrovamento di que-sto capolavoro, straordinario non solo per la bellezzadell'esecuzione ma anche per la conoscenza anatomicadimostrata nei gruppi muscolari dell'addome, delle coscee della schiena. Si sa che risale, grosso modo, al I secoloavanti Cristo, e che l’autore è un greco, Apollonios, unartista della corrente neoattica, che si era ispirato conogni probabilità a un bronzo della prima metà del II se-colo a.C.

Falsa è la notizia che il Tronco sia stato trovato al tempodi Giulio II a Campo de’ Fiori, o nelle terme di Caracalla;non dimostrata è altresì la provenienza dalle terme diCostantino; se ne ha la prima traccia scritta solo dopo il1430, grazie all’epigrafista Ciriaco d’Ancona che lo citacome «singularissima figura» e riporta il nome inciso sul-la roccia: «Apollonios (figlio) di Nestor ateniese fece».

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Iscrizione alla base del Torso del Belvedere

All’epoca il Torso era sicuramente di proprietà del cardi-nale Prospero Colonna, che lo custodiva nel suo palazzosul Monte Cavallo, il Quirinale. Verso il 1500 ci risultanelle mani di uno scultore, Andrea Bregno; tra il 1530 eil 1536, presumibilmente sotto il pontificato di ClementeVII, è infine entrato a far parte delle collezioni pontificiee collocato nel cosiddetto Cortile delle Statue, cioè ilBelvedere annesso alla villa di Innocenzo III. Qui, tra a-ranci e rosmarini, papa Giulio II aveva cominciato, tra il1503 e il 1513, una collezione di sculture antiche ispira-ta all'Eneide - tra cui il Laocoonte, Ercole con Telefo,Apollo – che sarebbe diventata leggendaria e si sarebbeulteriormente arricchita con le acquisizioni successive,tra cui, appunto, il famoso Torso, identificato come untronco di Ercole. Privo di piedistallo o altri supporti, perlunghi anni sarebbe rimasto appoggiato a terra sullaschiena, esposto alle intemperie, in attesa di restauro odi altra collocazione.

Leggenda vuole che proprio lì, a terra, lo andasse a stu-diare Michelangelo, mettendosi in ginocchio per vedermeglio «l’opera d’un huomo che ha saputo più della na-tura». La passione di Michelangelo per quella statua mu-tilata era tale che, si narra, richiesto da Papa Giulio II di“integrare” il Torso come voleva la moda corrente, cioèricostruirne le parti mancanti, il Maestro si è sempre ri-fiutato decisamente di farlo; e nessun altro, a quel pun-to, oserà farlo dopo di lui. Il Torso del Belvedere rimarràper sempre senza braccia, né gambe né testa, facendo

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così entrare nell’arte occidentale l’idea del torso comecategoria artistica a se stante.

Raffaello Sanzio, Giulio II

Addirittura, per secoli basterà pronunciare quella parola- il torso, le torse, der Torso - perché in mezza Europa sicapisca a cosa ci riferisce, come spiega infattil’archeologo Raimund Wünsche, autore di "Il torso delBelvedere. Da Aiace a Rodin": «Ogni persona colta sapevache solo una scultura poteva essere così definita per an-tonomasia: il Torso che si trovava nel Cortile del Belve-dere, all’interno dei palazzi Vaticani».

Ormai consacrato urbi et orbi grazie all’ammirazione eall’opera di Michelangelo, non più sdraiato a terra mariportato in posizione verticale e sistemato al centro delCortile, nel posto d’onore, il Tronco godràdell’attenzione di artisti e visitatori in numero semprecrescente fino a essere confiscato nel 1797 da Napoleonecon il Trattato di Tolentino. Arriverà a Parigi nel 1798 etornerà a Roma con molta fatica solo nel 1815, grazieall’intervento dello scultore veneto Antonio Canova e al-la mediazione del potentissimo Metternich. Infine trove-rà nel 1973 la sua collocazione definitiva nella Sala delleMuse del museo Pio-Clementino. E lì si trova ancora og-gi, con tutta la sua potenza espressiva ancora intatta.

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Il Torso del Belvedere nella Sala delle Musedel Museo Pio-Clementino, Musei Vaticani

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Il Torso del Belvedere dai Musei Vaticani a Palazzo Madama(11 marzo 2017)

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MICHELANGELO E IL TORSO

Il fortissimo legame tra Michelangelo e il Torso, chechiamava il suo “maestro”, è ormai entrato nella leggen-da. Anzi, in tante leggende diverse, che a loro volta han-no dato vita ai racconti, ai quadri e alle sculture più di-sparate: si narrava che l’artista avesse trovato la statuanella bottega di un calzolaio o sul ciglio di una strada,che l’avesse conservata per anni in casa sua, sul Campi-doglio, in via d’Ara Coeli, o che si inginocchiasse, perstudiarla meglio, nel pontificio Cortile delle Statue; e in-fine, diventato cieco, che da vecchio si facesse accompa-gnare al tanto amato Torso per poterne risentire, sfio-randola con le mani, quell'accuratissima resa anatomicadelle masse muscolari che tanto lo aveva influenzato nel-le sue varie opere.

Daniele da Volterra, Michelangelo

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Michelangelo Buonarroti, Ignudi

Nulla di tutto ciò, o quasi, è dimostrato storicamente.Nessuno sa dire nemmeno dove i due, il discepolo e il“maestro”, si fossero incontrati per la prima volta. Forseaddirittura prima dell'ingresso del tronco nelle collezionipontificie, visto che, secondo gli storici dell’arte, è pro-prio all’opera di Apollonio che il “Divino Artista” si sa-rebbe ispirato per le figure degli Ignudi dipinte sulla vol-ta della Cappella Sistina tra il 1508 e il 1512, venti intutto, a gruppi di quattro, alte dai 150 ai 180 centimetri.Senza essere copie del Torso del Belvedere, ne dichiara-no apertamente la discendenza: la monumentalità dellastruttura muscolosa, la forte torsione del corpo in posi-zione seduta, l’intensità del movimento, il gioco delleforze in grande evidenza plastica, tutto confermal’importanza della lezione imparata da Michelangelonello studio, ripetuto e attento, di quella statua che loaveva subito folgorato. Non per niente, riferisce il pittoreGiovanni Battista Paggi, «Michelangelo diceva essere di-scepolo del Torso del Belvedere, sopra il quale manife-stava d’aver fatto grande studio: ed in fatti dalle opre chefece diede a divedere di dire il vero».

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Tomba di Giuliano, duca diNemours

Tomba di Lorenzo, duca diUrbino

L'influenza del Torso su Michelangelo si ritrova chiara-mente anche nelle sculture - realizzate tra 1521 e 1534 -per le tombe medicee di Giuliano, duca di Nemours, eLorenzo, duca d’Urbino, che si trovano a Firenze nellaSacrestia Nuova. A commissionargliele erano stati Gio-vanni de' Medici - Papa Leone X - e il cardinale Giulio de'Medici, futuro Clemente VII e forse acquirente del Torsostesso per le collezioni pontificie. A loro, vale la pena ri-cordarlo, risale l'acquisizione di Palazzo Madama comeresidenza romana della famiglia Medici.

Per ogni tomba l'artista aveva scolpito tre figure: il ritrat-to, seduto, del defunto (e anche qui, nella postura e nellamuscolatura della schiena, si può vedere la lezione delTorso), e due Allegorie del Tempo, il Giorno e la Notteper Giuliano de' Medici e il Crepuscolo e l'Aurora per Lo-renzo. Ed è ancora nella figura sdraiata del Giorno che icritici colgono le maggiori somiglianze con il Torso che,all'epoca privo di supporto e giacente sulla schiena, sa-rebbe rimasto ancora per anni esposto alle intemperietra le altre antichità della collezione pontificia.

Ma se il Torso è stato grandemente utile a Michelangelo,è vero anche il contrario: che senza la deferenza suscita-ta nel grande artista della Cappella Sistina, probabil-mente, il Torso non avrebbe avuto l’importanza che ha

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poi avuto nell’immaginario della comunità colta d'Euro-pa del Cinquecento e del Seicento, né avrebbe esercitatola stessa influenza sullo sviluppo dell’arte europea. Il“maestro” di Michelangelo, in poche parole, è diventatoil maestro con cui si sono confrontati tutti gli artisti per isecoli successivi.

Particolari dal Giudizio Universale, Cappella Sistina(San Bartolomeo) (Cristo giudice e Maria)

Tanto che raccontava stupefatto il celeberrimo archeolo-go tedesco Johann Joachim Winckelmann: «Gli artistivanno tastando questo corpo lasciando girare la manosopra i serpeggiamenti mirabili de’ muscoli con un: Ohque cela est beau!». Proprio come avrebbe fatto, secondola leggenda, il vecchio Michelangelo.

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IL CULTO DEGLI ARTISTI

A tu per tu con il Torso del Belvedere, però, Winckel-mann all’inizio non era riuscito a cogliere il motivodell'entusiasmo che suscitava tra i visitatori, o perché unsimile pezzo di marmo così «crudelmente maltrattato emezzo distrutto» esercitasse un tale influsso sulla culturadi un intero continente. È stato solo grazie all'insistenzadi un suo grande amico, il pittore boemo Anton RaphaelMengs, che alla fine è riuscito a capirne il fascino, inna-morandosene fino a definire il Torso la suprema incar-nazione della forma classica, una «statua vivente», «unmare (che) comincia ad agitarsi», dove «un muscolo va afondersi nell’altro e un terzo, che in mezzo a quelli si in-nalza, sembra rafforzarne il movimento, in essi si perde,e il nostro sguardo viene per così dire a perdersi egli pu-re».

La conversione di Winckelmann è perfettamente in lineacon il vero e proprio culto di cui, a partire dal Rinasci-mento, la «statua trunca» è stata oggetto da parte di queinobili viaggiatori e colti turisti che arrivavano a Roma damezza Europa per i loro grand tour. Ma è ovviamente tragli artisti, scultori, incisori e pittori, che il Torso aveva gliammiratori più appassionati. L’elenco è sterminato: solotra gli italiani, Michelangelo a parte, si va da Raffaello(notevole l’influenza del Torso sugli affreschi delle Stan-ze vaticane) ai suoi allievi, da Giovan Ambrogio Figino aDomenico Beccafumi, da Giovanni Paolo Pannini a Fran-cesco Faraone Aquila, da Giovanni Antonio da Brescia eCarlo Maratta a Gian Lorenzo Bernini (che considerava ilTorso, insieme al Pasquino, «di più perfetta fattura delLaocoonte stesso») e Antonio Canova, solo per citarnequalcuno.

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Il culto non era certo limitato all’Italia. Basta pensaregli olandesi Maarten von Heenskerck e Hendrick Gotzius, al fiammingo Peter Paul Rubens, al danese Thebald Stein, ai francesi Auguste Ottin, Eugène Delacroix,Jean-Baptiste Carpeaux e Auguste Rodin, agli inglesiWilliam Turner e William Hogarth, agli spagnoli Francsco de Herrera el Viejo e Pablo Picasso (che si è cimentto nel disegnarlo quando aveva appena trediciCinquecento in poi quel tronco mutilato ha influenzatoprofondamente – dal vero o tramite riproduzioni inbronzo o in gesso, sempre più accurate e diffuse col pasare degli anni - gli artisti e le accademie in ogni angolod’ Europa.

M. von Heenskerck Hendrick Goltzius

J.M.W. Turner Pablo Picasso

Ce ne hanno lasciato testimonianza centinaia di opereschizzi, xilografie, disegni, incisioni, sculture, bozzettima anche lettere e scritti. È una «meraviglia dell’arte»(Francesco Faraone Aquila, incisore palermitano), «ungrande capolavoro caduto da un altro mondo» (gli scritori francesi Edmond e Jules de Goncourt), «vi si trovanoriunite tutte le bellezze delle altre statue, poiché ha lapiù perfetta varietà, e un tocco, che è quasi impercettible» (Anton Raphael Mengs), «in questa massa di pietra

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Il culto non era certo limitato all’Italia. Basta pensare a-gli olandesi Maarten von Heenskerck e Hendrick Gol-tzius, al fiammingo Peter Paul Rubens, al danese Theo-

, ai francesi Auguste Ottin, Eugène Delacroix,Baptiste Carpeaux e Auguste Rodin, agli inglesi

William Turner e William Hogarth, agli spagnoli Franci-sco de Herrera el Viejo e Pablo Picasso (che si è cimenta-to nel disegnarlo quando aveva appena tredici anni). DalCinquecento in poi quel tronco mutilato ha influenzato

dal vero o tramite riproduzioni inbronzo o in gesso, sempre più accurate e diffuse col pas-

gli artisti e le accademie in ogni angolo

Hendrick Goltzius Peter Paul Rubens

Auguste Ottin

Ce ne hanno lasciato testimonianza centinaia di opere -schizzi, xilografie, disegni, incisioni, sculture, bozzetti –

una «meraviglia dell’arte»(Francesco Faraone Aquila, incisore palermitano), «ungrande capolavoro caduto da un altro mondo» (gli scrit-tori francesi Edmond e Jules de Goncourt), «vi si trovanoriunite tutte le bellezze delle altre statue, poiché ha la

perfetta varietà, e un tocco, che è quasi impercettibi-le» (Anton Raphael Mengs), «in questa massa di pietra

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fracassata c’è una profondità impenetrabile!» (FriedrichSchiller, poeta tedesco), è «la scultura più completa cheesista» (Auguste Ottin).

C’è chi si è limitato a disegnarlo come esercizio o comestudio, chi lo ha utilizzato come una tavola d'anatomia,chi lo ha reinterpretato e riambientato come simbolo, viavia, della bellezza, dell’arte antica, perfino dello scorreredel tempo e della caducità delle cose, come Giovanni Pa-olo Pannini, celebre pittore di antichità e monumentiromani (cui è dedicata una sala del Senato). E ovvia-mente il Torso è diventato anche il simbolo della scultu-ra stessa, tanto da essere scelto, nell’Ottocento, comemotivo centrale per il fronte est della facciata del Louvre.E non è un caso. Come si capisce con una semplice oc-chiata a celeberrime opere come l'Ugolino di Jean Bapti-ste Carpeaux o il Pensatore di Auguste Rodin, il «truncusHerculis» ha fatto da maestro agli scultori per centinaiad'anni.

Auguste Rodin, Il pensatore

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IL MISTERO DEL TORSO

Ma chi era, poi, il soggetto del Torso? A chi appartene-vano quei muscoli perfettamente modellati? E qual era laposizione originaria del corpo, di cui ci resta solo untronco seduto? Questo è stato, per secoli, uno dei misteriche più hanno appassionati gli studiosi europei, che so-prattutto nell'Ottocento si sono sfidati nelle identifica-zioni più disparate. Ogni volta si trattava di dei, re ed e-roi sempre diversi, ma tutti ovviamente appartenenti aquel mondo greco da cui il Torso stesso proveniva. A par-tire, naturalmente, da Ercole.

Sappiamo già che, ai tempi di Michelangelo, la "statuatrunca" era pacificamente identificata con l'eroe delledodici fatiche perchè seduta su una pelle di felino, appa-rentemente un leone. Quanto poi a cosa facesse questoErcole, le supposizioni erano una marea: un Ercole suo-natore di lira, un Ercole ubriaco, un Ercole arciere, unErcole distrutto dalle sue fatiche? Tutte teorie crollate afine Ottocento, quando l'anatomista Carl Hesse è riuscitoa identificare la pelle come appartenente a una pantera,escludendo quindi la possibilità che si trattasse davverodi un Ercole.

Cominciava così una nuova stagione di ipotesi e di attri-buzioni: Dioniso, Marsia, Sileno, Skeiron, Amikos, l'eroeomerico Filottete abbandonato dai greci sull'isola diLemno a causa delle sue ferite dall'odore insopportabile,il ciclope Polifemo seduto sulla riva del mare a sospirared'amore per la ninfa Galatea, un Prometeo che rubava ilfuoco per donarlo agli uomini, perfino un Satiro legato auna Menade in un gruppo erotico...

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Solo alla fine del Novecento è arrivata la soluzione defi-nitiva dell'enigma, grazie a una serie di simulazioni degliarti mancanti effettuata dal Glyptothek di Monaco su in-dicazioni dell'archeologo Raimund Wünsche, il primo adavanzare l'ultima teoria, quella più convincente. Il Torsoappartiene infatti a un altro eroe greco, Aiace Telamo-nio, colto nell'atto di meditare il suicidio. Un eroe penso-so, un eroe disonorato, umiliato, sconfitto, a cui resta so-lo la morte. L'Iliade ci ha stupendamente raccontato co-me Aiace fosse, tra i Greci, il più forte dopo Achille, ecome fosse riuscito a recuperare il corpo del Pelide, ucci-so da Paride sotto le mura di Troia, per riportarlo all'ac-campamento e tributargli le onoranze funebri. A lui sa-rebbero spettate le armi del morto, dunque, se Ulissenon fosse riuscito a farsele assegnare grazie alla sua soli-ta e scaltra oratoria. Offeso, umiliato, convinto di vendi-carsi su Ulisse e compagni per il torto subito, in un attac-co di follia Aiace aveva massacrato pecore e buoi. Rien-trato in sè coperto di sangue, pieno di vergogna e in pre-da alla disperazione, aveva finito per uccidersi con la suastessa spada.

Il Torso mutilato ce lo lascia immaginare nel momentodella decisione fatale, con la testa china, la schiena in-curvata, il braccio destro che impugna la spada su cui sigetterà di lì a poco. Ed è un'immagine che ci riporta nonsolo ad Omero e ai tanti poeti dell'antichità cui Aiace èstato caro, come Eschilo e Sofocle, ma che ricorre moltevolte - e Wunsche ne ha trovato parecchi esempi - in vasi,gemme, paste e dipinti realizzati da artisti e artigiani chea quella tragedia si erano ispirati già nell'antichità. LaTabula Iliaca conservata nei Musei Capitolini, per fare unesempio, ripropone un "Aiace furioso" nella stessa iden-tica postura del Torso, con la stessa spada sguainata ver-so il basso, la testa china, le gambe semiaperte.

E com'è possibile? La risposta, secondo gli studiosi, puòessere solo una: che a fissare per i secoli a venire i det-tami iconografici di questo Aiace prossimo al suicidio siastato probabilmente il monumento funebre dello stessoeroe, collocato di fronte a Troia in una specie di tomba-santuario eretta dagli abitanti di Rodi, l'"Aiantheion". Lastatua originale, forse in bronzo e forse datata fra il 188

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e il 167 a.C., si sa essere così famosa e ammirata cheMarco Antonio l'aveva portata in Egitto come regalo perCleopatra. Era poi stato Augusto a riportarlaall'"Aiantheion", non prima di averne però ordinato unacopia in marmo da portare a Roma. La firma su quellacopia, scolpita in un blocco di marmo alto quasi tre metrie pesante sette tonnellate, ormai la conosciamo bene:Apollonio. Che cosa sia stato di quella scultura, ultimataforse verso il 30 avanti Cristo, fino al 1430 dopo Cristo,anno (più o meno) in cui Ciriaco d'Ancona la noterà nelcortile di palazzo Colonna, nessuno lo sa dire. Come ilTorso sia diventato un torso: è il mistero più grande. Eancora tutto da scoprire.

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Referenze iconografiche

Le fotografie pubblicate alle pagine 4, 7, 8 e 9 appartengono all'Ar-chivio fotografico del Senato.

Pag. 5Raffaello Sanzio, Giulio IIhttps://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=100865

Pag. 6Il Torso del Belvedere nella Sala delle Muse del Museo Pio-Clementino,Musei VaticaniFoto di Emiliovillegas24 - Own work, CC BY-SA 3.0https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32291775

Pagina 10Daniele da Volterra, MichelangeloThe Collection Online, The Metropolitan Museum of Art.Pubblico dominio.https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47039500

Pagina 11Michelangelo Buonarroti, IgnudiMichelangelo Web Gallery of Art. Pubblico dominio.(1) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11421231(2) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11421221(3) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11421328(4) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1551167(5) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5151457(6) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1551145

Pagina 12Tomba di Giuliano, duca di Nemours e Tomba di Lorenzo, duca diUrbino. Da Umberto Baldini, Michelangelo scultore, Rizzoli, Milano1973, Pubblico dominio.(1) https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3105849(2) https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3105850

Pagina 13Particolari del Giudizio Universale , Web Gallery of Art(1) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11426515(2) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9098859

Pagina 15Immagini tratte da Raimund Wünsche, Il torso del Belvedere. Da Aiacea Rodin. Pagine 28, 43, 45, 49 e 64.

Pagina 16Auguste Rodin, Il pensatore, Foto di I, Sailko, CC BY-SA 3.0https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19818189

Page 26: IN MOSTRA AL SENATO · 2017-03-16 · ta nel grande artista della Cappella Sistina, probabil-mente, il Torso non avrebbe avuto l’importanza che ha. 13 poi avuto nell’immaginario

IL TORSODEL BELVEDERE IN MOSTRA AL SENATO

Senato della Repubblica