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Parrocchia di Monigo FOGLIETTO PARROCCHIALE a. XXI n° 28 - 1 novembre 2020 In internet: www.parrocchiamonigo.com - Parroco: 3472631330 Tutti i Santi: festa di famiglia Papa Francesco: La solennità di Tu i San è la nostrafesta: non perché noi siamo bravi, ma perché la san- tà di Dio ha toccato la nostra vita. I san non sono modellini perfe, ma persone araversate da Dio. Possiamo paragonarli alle vetrate delle chiese, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore. I san sono nostri fratelli e sorelle che hanno accolto la luce di Dio nel loro cuore e lhanno trasmessa al mondo, ciascuno secondo la propria tonalità”. Ma tu sono sta trasparen, hanno loato per toglie- re le macchie e le oscurità del peccato, così da far passare la luce genle di Dio. Questo è lo scopo del- la vita: far passare la luce di Dio, e anche lo scopo della nostra vita. Infa, oggi nel Vangelo Gesù si rivolge ai suoi, a tu noi, dicendoci «Bea» (Mt 5,3). È la parola con cui inizia la sua predicazione, che è vangelo”, buo- na nozia perché è la strada della felicità. Chi sta con Gesù è beato, è felice. La felicità non sta nell a- vere qualcosa o nel diventare qualcuno, no, la felici- tà vera è stare col Signore e vivere per amore. Voi credete questo? La felicità vera non sta nell avere qualcosa o nel diventare qualcuno; la felicità vera è stare con il Signore e vivere per amore. Credete questo? Dobbiamo andare avan, per credere a questo. Allora, gli ingredien per la vita felice si chiamano beatudini: sono bea i semplici, gli umili che fanno posto a Dio, che sanno piangere per gli altri e per i propri sbagli, restano mi, loano per la giuszia, sono misericordiosi verso tu, custodisco- no la purezza del cuore, operano sempre per la pa- ce e rimangono nella gioia, non odiano e, anche quando soffrono, rispondono al male con il bene. Ecco le beatudini. Non richiedono ges eclatan, non sono per superuomini, ma per chi vive le prove e le fache di ogni giorno, per noi. Così sono i san: respirano come tu laria inquinata dal male che cè nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indi- cato nelle beatudini, che sono come la mappa della vita crisa- na. Oggi è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indica- ta da questa mappa: non solo i san del calendario, ma tan fratelli e sorelle della porta ac- canto”, che magari abbiamo incontrato e conosciu- to. Oggi è una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a man- dare avan il mondo. E ce ne sono tan, oggi! Ce ne sono tan. Grazie a ques fratelli e sorelle scono- sciu che aiutano Dio a portare avan il mondo, che vivono tra di noi; saluamoli tu con un bellapplauso! Anzituo – dice la prima beatudine – sono «poveri in spirito» (Mt 5,3). Che cosa significa? Che non vi- vono per il successo, il potere e il denaro; sanno che chi accumula tesori per sé non arricchisce da- van a Dio (cfr Lc 12,21). Credono invece che il Si- gnore è il tesoro della vita, e lamore al prossimo lunica vera fonte di guadagno. A volte siamo scon- ten per qualcosa che ci manca o preoccupa se non siamo considera come vorremmo; ricordia- moci che non sta qui la nostra beatudine, ma nel Signore e nellamore: solo con Lui, solo amando si vive da bea. Vorrei infine citare unaltra beatudine, che non si trova nel Vangelo, ma alla fine della Bibbia e parla del termine della vita: «Bea i mor che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Domani saremo chiama ad accompagnare con la preghiera i nostri defun, perché godano per sempre del Signore. Ricordiamo con gratudine i nostri cari e preghiamo per loro. La Madre di Dio, Regina dei San e Porta del Cielo, interceda per il nostro cammino di santà e per i nostri cari che ci hanno preceduto e sono già par per la Patria celeste.

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Parrocchia di Monigo FOGLIETTO PARROCCHIALE a. XXI n° 28 - 1 novembre 2020

In internet: www.parrocchiamonigo.com - Parroco: 3472631330

Tutti i Santi:

festa di famiglia

Papa Francesco:

La solennità di Tutti i Santi è la “nostra” festa: non perché noi siamo bravi, ma perché la san-tità di Dio ha toccato la nostra vita. I santi non sono modellini perfetti, ma persone attraversate da Dio. Possiamo paragonarli alle vetrate delle chiese, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore. I santi sono nostri fratelli e sorelle che hanno accolto la luce di Dio nel loro cuore e l’hanno trasmessa al mondo, ciascuno secondo la propria “tonalità”. Ma tutti sono stati trasparenti, hanno lottato per toglie-re le macchie e le oscurità del peccato, così da far passare la luce gentile di Dio. Questo è lo scopo del-la vita: far passare la luce di Dio, e anche lo scopo della nostra vita.

Infatti, oggi nel Vangelo Gesù si rivolge ai suoi, a tutti noi, dicendoci «Beati» (Mt 5,3). È la parola con cui inizia la sua predicazione, che è “vangelo”, buo-na notizia perché è la strada della felicità. Chi sta con Gesù è beato, è felice. La felicità non sta nell’a-vere qualcosa o nel diventare qualcuno, no, la felici-tà vera è stare col Signore e vivere per amore. Voi credete questo? La felicità vera non sta nell’avere qualcosa o nel diventare qualcuno; la felicità vera è stare con il Signore e vivere per amore. Credete questo? Dobbiamo andare avanti, per credere a questo. Allora, gli ingredienti per la vita felice si chiamano beatitudini: sono beati i semplici, gli umili che fanno posto a Dio, che sanno piangere per gli altri e per i propri sbagli, restano miti, lottano per la giustizia, sono misericordiosi verso tutti, custodisco-no la purezza del cuore, operano sempre per la pa-ce e rimangono nella gioia, non odiano e, anche quando soffrono, rispondono al male con il bene.

Ecco le beatitudini. Non richiedono gesti eclatanti, non sono per superuomini, ma per chi vive le prove e le fatiche di ogni giorno, per noi. Così sono i santi: respirano come tutti l’aria inquinata dal male che

c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indi-cato nelle beatitudini, che sono come la mappa della vita cristia-na. Oggi è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indica-ta da questa mappa: non solo i santi del calendario, ma tanti fratelli e sorelle “della porta ac-

canto”, che magari abbiamo incontrato e conosciu-to. Oggi è una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a man-dare avanti il mondo. E ce ne sono tanti, oggi! Ce ne sono tanti. Grazie a questi fratelli e sorelle scono-sciuti che aiutano Dio a portare avanti il mondo, che vivono tra di noi; salutiamoli tutti con un bell’applauso!

Anzitutto – dice la prima beatitudine – sono «poveri in spirito» (Mt 5,3). Che cosa significa? Che non vi-vono per il successo, il potere e il denaro; sanno che chi accumula tesori per sé non arricchisce da-vanti a Dio (cfr Lc 12,21). Credono invece che il Si-gnore è il tesoro della vita, e l’amore al prossimo l’unica vera fonte di guadagno. A volte siamo scon-tenti per qualcosa che ci manca o preoccupati se non siamo considerati come vorremmo; ricordia-moci che non sta qui la nostra beatitudine, ma nel Signore e nell’amore: solo con Lui, solo amando si vive da beati.

Vorrei infine citare un’altra beatitudine, che non si trova nel Vangelo, ma alla fine della Bibbia e parla del termine della vita: «Beati i morti che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Domani saremo chiamati ad accompagnare con la preghiera i nostri defunti, perché godano per sempre del Signore. Ricordiamo con gratitudine i nostri cari e preghiamo per loro.

La Madre di Dio, Regina dei Santi e Porta del Cielo, interceda per il nostro cammino di santità e per i nostri cari che ci hanno preceduto e sono già partiti per la Patria celeste.

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Attacco a Nizza:

mons. Marceau (vescovo): “non cadiamo nel-la disumanità. La nostra risposta sia il perdo-no”

Non lasciarsi travolge-re dalla logica della di-sumanità che genera chiusura, violenza e esclusione ed essere invece capaci di perdo-nare.

È un appello al perdono, cuore del Vangelo, il mes-saggio video che all’indomani dell’attacco di un ter-rorista alla basilica Notre-Dame di Nizza, il vescovo della città, mons. André Marceau lancia ai fedeli cattolici della sua diocesi. “Ho appena trascorso un’ora davanti alla basilica di Notre-Dame de l’Assomption con il parroco che è stato testimone della scena di questa mattina, un amico di Vincent, il sacrestano”, racconta il vescovo. “Le persone che ho incontrato sono, come tutti noi, sotto choc. Lo choc per un avvenimento drammati-co e doloroso, un avvenimento che al di là della no-stra fede cristiana, sciocca per la sua disumanità”. Da qui, l’appello: “Vorrei dire che la disumanità non può oggi chiamare ad altre disumanità: alla chiusu-ra, alla violenza, all’esclusione, alla segregazione. Cerchiamo allora di essere all’altezza della risposta. Sì, Cristo ha chiesto sulla Croce il perdono per colo-ro che non sapevano quello che stavano facendo. Questa parola mi è entrata nella testa da questa mattina. Forse quell’uomo sapeva contro chi si stes-se dirigendo: ai cristiani, in un luogo simbolico, alla Chiesa. Ma perché, perché? Dobbiamo porci questa do-manda come società. È vero, non abbiamo risposte.

È vero, non siamo in grado di trovare le soluzioni. Ma credo che dobbiamo fare in modo oggi che le nostre reazioni, i nostri atteggiamenti, i nostri pro-positi, i nostri commenti non siano in linea con quelli compiuti da quell’uomo. Non cadiamo nella piaga dove da qualche tempo ormai siamo sprofondati qui a Nizza. Lo sappiamo bene in questa città presa di mira da uomini deviati da un Dio deformato. Proviamo sentimenti di pena, forse anche sentimenti di violenza, ma rimaniamo custodi di quello che è il cuore del Vangelo.

La Parola di Gesù, forse difficile da comprendere, è: amate i vostri nemici. Significa volere che il cuore degli uomini e il nostro cuore, il cuore di ciascuno di noi sia un altro. Vi esorto quindi a tendere la mano, a non essere divisi, a non fare in modo che i nostri propositi possano esacerbare ancora di più i nostri sentimenti e spingere alla violenza”.

Quell’umile seme di Pace

(di Andrea Riccardi, Sant’Egidio)

Le tre uccisioni a Notre Dame de l’Assomption a Nizza sono una follia cru-dele, un atto di viltà, una blasfemia. Chi si reca in chiesa è un mite che si presenta al Signore e cerca protezione nella casa dedicata alla Vergine. Così erano quelle due donne (di cui una settantenne) e quell’uomo. Era il sacrestano della basilica ottocen-tesca, costruita sul modello di Notre Dame a Parigi. L’assassino non ha visto in loro esseri umani ma, cieco d’odio, ne ha fatto il simbolo di gente empia, nemici dell’islam, perché cristiani. Ha gridato «Dio è grande», la lode ridotta a slogan dei terroristi isla-mici, una blasfemia macchiata di sangue anche per i musulmani. La Chiesa aveva fatto qualcosa contro di lui? No, certamente.

Ma i cristiani andavano colpiti come simbolo dell’Europa nemica. Eppure era venuto da poco in Europa. Tuttavia la odiava. Odia se stesso e non sa chi essere. Così, con un gesto folle, s’è fatto 'combattente' contro gli inermi, sperando di uscire dall’anonimato e di aureolarsi di eroismo e, forse, di martirio. Ma martiri sono le sue vittime.

Ieri altri in Francia hanno tentato di fare gli 'eroi', provando a uccidere vilmente, ma sono stati bloc-cati. Sono in guerra contro la Francia e l’Europa, che li hanno accolti. Non è la prima volta che i terroristi colpiscono la Chiesa. Nel 2016 uccisero sull’altare a Rouen l’ottantacinquenne padre Jacques Hamel, se-questrato con qualche fedele. Senza pietà.

Le tre vittime di Nizza sono figlie di un popolo umile che, in silenzio e con tenacia, ripone in Dio la sua fiducia: va in chiesa e prega per sé e per tutti. Non partecipa soltanto alla Messa, ma passa in chiesa

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un momento cercando nel silenzio la presenza del Dio della pace e dell’amore. Lì è la fonte della fede che accompagna tutto il giorno i miti visitatori della casa del Signore. La preghiera di un pugno di giusti sostiene e salva il mondo – insegna un santo d’O-riente. Non è necessario scomodare gli asceti. I giu-sti sono i tre uccisi in chiesa che, con la preghiera di chi visita la chiesa, sostengono il mondo. Durante l’incendio di Notre Dame di Parigi nel 2018, molti hanno avuto un dubbio: il fuoco della cattedrale non simboleggiava forse una Chiesa che si spegne? La Chiesa oggi può essere colpita dai problemi, a tratti stanca. Ma un popolo umile, nelle pieghe del quotidiano, confida nel Signore. I tre ca-duti a Nizza non sono resti del passato, ma premes-se del futuro. Dalla fedeltà alla preghiera dei giusti, non tanto dai progetti, nasce la Chiesa di domani.

Le reazioni della Chiesa francese sono state doloro-se e pacate: i toni gridati servono ad attizzare i fana-tismi. La Chiesa umilmente potrà aiutare l’Europa a trova-re la strada in un tempo difficile per la pandemia e la complessa convivenza tra diversi. Non da oggi, il Papa e la Chiesa mostrano come non si può chiude-re ai rifugiati e bisogna realizzare vie legali, le uni-che a dare sicurezza. Invece, troppo spesso, si è chiusa la porta e si è lasciata prosperare l’illegalità, si è addirittura 'investito' politicamente su di essa, mentre tanti morivano nel Mediterraneo. E poi ci sono le periferie anonime senza comunità, laddove scuola e professori sono l’unica presenza educativa (e a che prezzo!). Bisogna investire nel rifare il tes-suto umano delle periferie, perché siano capaci d’integrare. Niente giustifica la violenza, ma biso-gna lottare contro i cattivi maestri, i fomentatori dell’odio, aprendo alternative per i giovani e i di-sperati. I cristiani europei, in difficoltà come tutti per la pandemia, toccati da vari problemi, colpiti da atti di violenza, devono ritrovare l’audacia evangeli-ca. Nizza parla alla Francia, ma anche a vari Paesi euro-pei. Si affaccia sul Mediterraneo, è bagnata dalle contraddizioni di questo mare: le gravi tensioni poli-tiche specie sulla riva Sud, le migrazioni da quelle passate dei pieds noirs d’Algeria a quelle recenti dei nordafricani. Il sangue sparso di tre cristiani, umili e disarmati, è un seme di pace. Ci fa sperare in un ri-sveglio delle coscienze per una società più fraterna,

mentre la Francia entra nel lockdown. Ci fa credere che nuovi rapporti siano possibili in questo Medi-terraneo tormentato.

L’odissea degli ultimi: i giovani che restano in Africa a lavorare

«Avevo provato a partire per l’Europa nel 2016. Ho raggiunto la Guinea Bissau per pagare la piroga che mi avrebbe portato in Spagna, ma i miei 400mila franchi Cfa (600 euro, ndr) non erano sufficienti. Il viaggio ne costava 600mila, quindi sono tornato in-dietro».

Landing Biaye, 25 anni, vive in un villaggio del co-mune di Adéan, situato nella regione meridionale senegalese della Casamance. Come decine di altri migranti di ritorno o potenziali migranti, è uno dei beneficiari del progetto 'Certitudes jeunes', 'Certezze giovani'. Il programma finanziato dall’Aics, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo è implementato dall’Ong fiorentina, Cospe, insieme a un consorzio di altre organizzazioni non governati-ve senegalesi e italiane, tra cui Cps e Mais. L’obiettivo è aiutare i giovani ad avviare delle attivi-tà imprenditoriali legate soprattutto ad agricoltura, allevamento e commercio, dando loro un’opportu-nità lavorativa in loco. Prima di partire per Bissau, Landing guadagnava cir-ca 50mila franchi al mese lavorando come raccogli-tore di anacardi. Una volta risparmiato il denaro, senza dire niente alla sua famiglia e agli amici, ha raggiunto il luogo da cui partivano le piroghe per le Isole Canarie. «Ammetto che io, come molti altri migranti, non sapevo neanche dove stessi andando – continua il giovane senegalese –. Ma a- vevo sen-tito da amici, alla radio e nelle reti sociali che il viag-gio era fattibile in alcuni mesi». Oggi Landing ha un allevamento di un centinaio di polli che vende nei villaggi o nel capoluogo regiona-le di Ziguinchor. Per il momento il desiderio di rag-giungere l’Europa per aiutare economicamente la sua famiglia è svanito.

Lo stesso vale per Khadidiatou Diagne, giovane se-negalese della città costiera di Mbour. Grazie al pro-getto 'Certezze giovani' ha lanciato un’attività legata alla trasformazione di prodotti agricoli. Dietro casa sua, ha organizzato una stanza dove produce succhi con la frutta locale e prepara vari tipi di cereali

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S. Messe Calendario della vita parrocchiale Domenica 1 Tutti i Santi

8.00 — 9.00

11.00

Lunedì 2 Comm. defunti

15 S. Messa in cimitero

Martedì 3 9.00

Mercoledì 4 18.30

Giovedì 5 18.30

Venerdì 6 9.00

Sabato 7 18.30

Domenica 8 XXXII ord.

8.00 - 9.00

10.30 S. Messa ringraziamento S. Anna 10.30

comprati dai coltivatori nei campi attorno a Mbour. «Anch’io avevo il sogno di andare in Europa per guadagnare molti soldi e dopo due anni tornare in Senegal a investire – spiega Khadidiatou con il sorri-so –. Ma grazie a questo progetto con cui ho otte-nuto quello che cercavo, capisco che non vale più la pena di rischiare la vita per l’Europa».

Tra il 2014 e 2020, l’Unione Europea ha investito al-cuni miliardi di euro per limitare la migrazione di africani verso il Vecchio continente e rimpatriare nei Paesi d’origine decine di migliaia di migranti. In Senegal, come in molti altri Paesi, diversi migranti dicono oggi di voler partire attraverso 'la via legale'. Un obiettivo che potrebbe richiedere anni a causa della complessa documentazione richiesta dalle ambasciate per ottenere un visto europeo. Sono quindi ancora numerosi i cittadini africani che, inve-ce, scelgono la strada più pericolosa. Nelle ultime settimane centinaia di persone provenienti da gran parte dell’Africa occidentale hanno ricominciato a partire con le piroghe da posti come Mbour, nel sud del Senegal, e Kayar, nel nord, per raggiungere le Isole Canarie. Altri stanno invece attraversando il Sahel e il Sahara per arrivare in Libia o Algeria.

Anche a causa della pandemia di coronavirus, le au-torità ammettono di avere altre priorità rispetto al-la necessità di fermare la migrazione. Negli ultimi mesi, infatti, l’economia africana ha subito un duro colpo. Il settore dei trasporti, vitale per la distribu-zione di vari tipi di merci, ha iniziato a riprendersi

solo recentemente. Il turismo, invece, non si è an-cora sollevato a causa di improvvisi licenziamenti, chiusura di strutture, e della difficoltà di viaggiare per gli stranieri. Nelle località del Senegal come Zi-guinchor, Tambacounda, Kaolak e Mbour la realtà economica e sociale si è radicalmente aggravata. Gran parte dei senegalesi accusano il governo di alti livelli di corruzione e di non volere uno sviluppo in-telligente del Paese. Tra i progetti in corso più con-troversi, per esempio, c’è la costruzione di un gran-de porto nella località di Ndayane, parte della re-gione di Mbour, finanziato dalla società DP World di Dubai. «Le autorità permetteranno la distruzione dell’ecosistema e lo sfratto delle famiglie che vivo-no a Ndayane – affermano gli ambientalisti locali –. Tutto ciò promettendo numerosi posti di lavoro che, come con progetti passati, non verranno mai offerti».

La stessa Casamance resta una zona rigogliosa, ma assai povera. Sebbene sia ancora in corso una delle più vecchie ribellioni del continente, il governo se-negalese non sembra intenzionato a intervenire per migliorare la vita dei residenti. «Voglio andare in Europa perché qui è troppo duro, non c’è lavoro e devo in qualche modo aiutare la mia famiglia – afferma Boubacar Badji, tassista di 33 anni, il quinto di cinque figli, di cui solo uno ha un lavoro stabile per aiutare il padre malato di Parkinson –. Sono co-sciente dei rischi rispetto al viaggio, ma quando non hai niente, non hai neanche niente da perdere».