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In copertina: idea Leonina Roversi e Orsetta Ronchetti, realizzazione grafica Elisa Pozzoli

Impaginazione, grafica ed editing: Elisa Pozzoli

ISBN 978-88-916-2004-0

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Finito di stampare nel mese di Febbraio 2017nello stabilimento Maggioli S.p.ASantarcangelo di Romagna (RN)

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Giovanni Denti

a cura di Leonina Roversi

DIMENSIONE ARCHITETTURAScritti 1978-2011

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Indice

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Premessadi Andrea Savio

LETTURE INCROCIATE: tracce per una ricostruzione tematicadi Guya Bertelli

SCRITTI

1978EVOLUZIONE STORICA DELLA TIPOLOGIA TEATRALE IN RELAZIONE AL SIGNIFICATO DELLO SPETTACOLO

TIPOLOGIA EDILIZIA E FORMA URBANA.METODOLOGIA DI PROGETTOCorso Garibaldi a Milano

1980DISEGNO E PROGETTO NELLA PITTURA DEL RINASCIMENTO

1982IL GOTICO: L’ORDINE ARCHITETTONICO COME ESPRESSIONE DEL SIGNIFICATO RELIGIOSO ATTRAVERSO LA LUCE

1984IL NEOCLASSICISMO DALL’ILLUMINISMO ALL’ACCADEMIA

1986SOCIETÀ RELIGIONI ARCHITETTURE.CONDIZIONI MATERIALI E FUNZIONI DELLE IDEOLOGIE

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1987ARCHITETTURA E TRASFORMAZIONI TECNOLOGICHE.LA QUESTIONE DELLE ORIGINI DELL’ARCHITETTURA MODERNA

1988L’ARCHITETTURA MILANESE TRA CONTRORIFORMA E BAROCCO

LE CORBUSIER VISTO DA EDOARDO PERSICO

1990RICOSTRUIRE IL MODERNO.Il cantiere del passato

IL GIOCO SAPIENTE. Costruire con la luce

GIUSEPPE PAGANO, ARCHITETTURA TRA GUERRE E POLEMICHE

1991IL LINGUAGGIO COME ELEMENTO DEL PROGETTO

IL PROCESSO FORMATIVO DELL’ARCHITETTURA MODERNA

LA STRUTTURA DELLO SPAZIO

ORIGINI E SVILUPPO DELLA CITTÀ MODERNA

PROGETTARE OGGI. Una riflessione sulle ultime tendenze

1992MIES VAN DER ROHE: UN PROGETTO DI DIDATTICA

PER UNA METODOLOGIA SCIENTIFICA DELLA PROGETTAZIONE

1993L’UTILITÀ E L’INVENZIONE. Le scale a chiocciola nella storia dell’architettura

MACHINE: UN TEMA NELLA RICERCA DEL MODERNO

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1994LOOS E IL GENIUS LOCI

LA RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO

1995MARIO RIDOLFI, LUDOVICO QUARONI.IL CONTRIBUTO ALL’ESPERIENZA DEL NEOREALISMO

UN’IMPRESA, LO STUDIO. Intervista a Eugenio Gentili Tedeschi

ADOLF LOOS: I CARATTERI DI VIENNA

1998ADOLF LOOS, LA CLASSICITÀ COME ETERNO PRESENTE

1999LA MISTIFICAZIONE DEL PATRIMONIO.Dal rifiuto della storia ai nuovi storicismi

2000DA OTTO WAGNER A ADOLF LOOS:RINNOVAMENTO COME TRADIZIONE

GIUSEPPE PAGANO UN MAESTRO PER L’ARCHITETTURA ITALIANA DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI

LA SIEDLUNG MODERNA DI ADOLF LOOS.Un’espressione dello spirito della propria epoca

MILANO: LA MISURA MANCATA DELLA CITTÀ MODERNA

LA FORMA SIMBOLICA DELLA CITTÀ RINASCIMENTALE

2001LA CITTÀ COME CONCENTRAZIONE DELLE DINAMICHE TERRITORIALI.Il caso di Milano

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L’OPERA DI CHRISTOPH E KILIAN IGNAZ DIENTZENHOFER IN BOEMIA

KAISER E PROLETARI, OVVERO DIE WELT VON GESTERN CONTRO DIE NEUE WELT

CHICAGO, IL PAESAGGIO URBANO DALLA CITTÀ ALLA METROPOLI

ARCHITETTURA, CITTÀ E TERRITORIO NEL MONDO CLASSICO

2003CONFRONTARSI CON IL MONDO:LA CASA DI LUDWIG WITTGENSTEIN A VIENNA

ANTICHITÀ E RAZIONALISMO:UN PERCORSO LECORBUSIERIANO

2004L’ORDRE DE ROME ET L’ORDRE DE LA NATURE.Riflessioni sui croquis di Villa Adriana

LA SCENA URBANA BAROCCA

2006CHICAGO: SPAZIO E TEMPO DEL PAESAGGIO URBANO

BRUTALISMO: UNA DEFINIZIONE POSSIBILE?

2007DIDATTICA DEL PROGETTO.CONTENUTI E CARATTERISTICHE

2009ESPRIT DE GÉOMÉTRIE. VILLA SAVOYE

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APPUNTI DI VIAGGIO

1991BARCELLONAArmonie fuori tendenza

1992SAMARCANDALa forza del colore

PARIGIGrands Projets. Il segno del nuovo

SAN PIETROBURGOLa mano degli italiani

1993LA CASA IN UNA STANZA.The Single Room Occupancy Hotels

1995BROUMOVUn gioiello boemo da riscoprire

A HEINRICH KULKA’S VILLA IN BOHEMIA (1937)

2003PRAGAIl luogo, tra morfologia urbana e caratteri architettonici

2005CINAMorfologia e scala dello sviluppo

BEIJING E SHANGHAICittà imperiale e città coloniale

2007CAPE TOWNStoria, geografia e paesaggio nella nascita e nello sviluppo della città

BIBLIOGRAFIA DI GIOVANNI DENTI

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LETTURE INCROCIATE: tracce per una ricostruzione tematicaGuya Bertelli

La prima volta che ho letto gli scritti di Giovanni Denti qui raccolti in sequenza temporale, mi sono lasciata trascinare dalla suggestione di un percorso discontinuo, seppur evolutivo, che attraversa temi, paesaggi e personaggi differenti in una sorta di incessante ‘ritorno’ verso argomenti salienti, sino a formare nodi tematici riconoscibili su cui il ‘viaggiatore’ è portato improvvisamente a riflettere. Durante questa prima lettura, dettata da una cronologia che mi ero imposta di rispettare, l’apparente ‘casualità’ degli argomenti raccolti nella prima parte del volume, soggiacente alla volontà della storia, si è ricomposta via via in itinerari differenti, diacronici e paralleli, capaci di ricostruire a-posteriori una mappa inedita di ambiti tematici interferenti, incrociati, sovrapposti. Certamente la ricomposizione è stata possibile solo alla fine, aiutata dalla congruenza di ogni singolo cammino e dai continui rimandi che, nell’attraversamento, sono emersi in forma di legamenti possibili, quali tracce sommerse di una scrittura impegnata capace di ricostruire a ritroso un viaggio diverso, risultato dei differenti orientamenti suggeriti lungo il percorso o di deviazioni improvvise.

Un percorso che solo nella seconda parte del libro diviene il preambolo di un ulteriore ‘viaggio’ dichiarato, in forma di appunti, lungo itinerari che intrecciano questa volta mondi lontani e luoghi familiari, dove il viandante è guidato e orientato verso approfondimenti insieme ‘micro e macrocosmici’, architettonici e territoriali, locali e globali, interferiti dal pensiero profondo di un visitatore colto e raffinato, che Giovanni Denti ha interpretato alla perfezione. In questi ultimi scritti trapela infatti un altro tipo di intenzione, atta a restituire non più una successione cronologica di riflessioni, ma una mappa topografica di luoghi possibili, risultante da un lato dalla scelta dei diversi siti attraversati, dall’altro dalla curiosità sottesa allo sguardo di chi, da autore, si fa turista temporaneo, city user di un contesto, che solo per un determinato periodo diviene il soggetto privilegiato del suo stesso ‘andare’. Alla descrizione si affianca in questo caso la

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narrazione, al racconto oggettivo la sensibilità al luogo, alla storia lo ‘spirito del tempo’ che ogni volta anima ambienti diversi per cultura, geografia, paesaggio (esito del tempo, direbbe Shelling1).

Se nella prima parte del libro infatti, come già enunciato, domina una visione storico-critica, intrecciata con interpretazioni strategiche sulla forma urbana e sulla ‘didattica’ del progetto, negli appunti di viaggio raccolti nella seconda parte domina invece lo sguardo morfolo-gico/architettonico, diretto ad una ricerca curiosa, ma sempre discre-ta, delle singolarità locali, nascoste ogni volta dietro i diversi skyline dei luoghi attraversati.

Così, alla fine della lettura, ho provato a ricostruire, attraverso map-pe tematiche interrelate, una nuova geografia dell’intero viaggio, che annoda la prima alla seconda parte seguendo nuovi e diversi fili del racconto, inseguendo trame e idee che appartengono a storie e a ter-ritori anche molto distanti tra loro, e approdando alla fine verso tre grandi ambiti tematici: la storia e il tipo, la forma e il luogo, i maestri e la modernità cui affiancare, al termine della lettura, gli straordinari appunti che Giovanni scrisse in modo ‘intermittente’ durante le sue in-numerevoli ‘esplorazioni’.

La storia e il tipo

Il primo grande campo tematico riguarda il rapporto stretto e in-dissolubile che lega il concetto di tipo in architettura al concetto di storia, alla formazione dei diversi contesti culturali, sociali e civili in cui le architetture sono nate e che trapela in modo chiaro in tutti que-gli scritti che indagano periodi storici riconoscibili o temi salienti in grado di fissare, in quel preciso intervallo, il carattere distinguibile e permanente di una determinata fase temporale. Ritengo che Giovanni Denti abbia creduto in modo sincero alla perfetta coincidenza tra tipo e struttura formale profonda, quella struttura che non solo delinea il carattere dell’edificio, coincidendo con il suo schema distributivo, ma che sta alla base dell’architettura stessa, nell’incessante dialettica tra permanenza e variazione della sua forma.

Questo il punto di vista infatti che sorregge gli scritti sul ‘rapporto tra disegno e progetto nel rinascimento’, sull’ ‘ordine architettonico nel gotico’, sul ‘neoclassicismo dall’illuminismo all’accademia’, sulla ‘dia-lettica tra controriforma e barocco’ rivisitata attraverso l’architettura milanese e poi reinterpretata tramite la questione della ‘scena urbana’ e infine il tema prescelto dal suo racconto, ovvero l’Architettura Moder-

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na, le sue origini, la sua storia, i suoi maestri. Negli scritti sul ‘proces-so formativo’ di tale periodo, riaffiorano i debiti dell’architettura alle «trasformazioni tecnologiche europee» da un lato e alla «straordinaria crescita economica americana»2 dall’altro, dove l’intreccio tra monu-menti, luoghi e manufatti architettonici, consente comunque selezioni storico-critiche sempre orientate, tese a ricomporre per segmenti un periodo denso di importanti e vasti mutamenti. Un’attenzione parti-colare viene affidata alle trasformazioni tecniche di un’epoca che ha fondato il suo obiettivo principale sul rapporto dialettico tra tradizione e innovazione, tra classicità e modernità, tra organicismo e meccanici-smo, costruendo su questo rapporto una nuova idea di città e dell’a-bitare. Seppure con uno sguardo quasi sempre retrospettivo, emerge ogni volta una ricerca che integra aspetti cronologici a questioni te-matiche, capace di individuare nei ‘fatti’ le problematiche ideologiche sottese. Così l’architettura Moderna diviene nei numerosi scritti cui fa da sfondo, interprete principale e insieme palcoscenico privilegiato di un racconto dove la sfera del dibattito teorico emerge dalle applica-zioni sul campo, mettendo in causa simultaneamente ragioni, valori e forme architettoniche, figlie legittime della transizione culturale di cui l’architettura stessa si fa portavoce. Attori principali non sono me-ramente gli autori, ma le opere degli stessi, capaci di esprimersi nel tempo non solo quali veri ‘modelli’ della costruzione architettonica, ma anche possibili paradigmi della contemporaneità, come nel caso dei tre padiglioni quasi contemporanei di Le Corbusier, Mies van der Rohe e Mel’nikov, che hanno saputo dimostrare, attraverso la loro più recente ricostruzione, di essere sia inestimabili «cantieri del passato», sia por-tatori straordinari di «un futuro possibile»3.

La forma e il luogo

Il secondo campo tematico, di ordine maggiormente metodologico, concerne invece il rapporto profondo che unisce la forma architettonica al luogo. Gli scritti qui radunati coinvolgono da un lato la questione sem-pre più difficile della metodologia del progetto, dall’altro gli elementi che convergono all’interno di questa metodologia, ovvero la struttura, il linguaggio, il carattere, l’invenzione, la rappresentazione. Spesso sono scritti di stampo ‘teorico’, che trovano tuttavia applicazione specifica nei diversi casi-studio che vengono presi in considerazione. Così Milano diviene lo sfondo privilegiato su cui verificare il rapporto tra morfolo-gia urbana e tipologia edilizia, laddove il corso Garibaldi viene assunto

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come «area-campione che offre concretezza allo studio teorico e con-sente una esemplificazione maggiore delle indicazioni per una meto-dologia progettuale»4. Lo scritto si dipana seguendo una descrittiva che attraversa differenti categorie interpretative (permanenza, memoria, identità, differenza, rapporto tra le parti) in grado di divenire dapprima strumenti di lettura, quindi operatori privilegiati del progetto. La stessa formula viene assunta nei due scritti dichiaratamente metodologici dei primi anni novanta, Progettare oggi (1991) e Per una metodologia scien-tifica nella progettazione (1992), collocati al centro del volume e inter-vallati da uno testo su Mies van der Rohe5 che sembra divenire, nel suo ‘porsi tra’, la vera cerniera della riflessione teorica sottesa ad entrambi: il primo maggiormente rivolto ad una interpretazione critica delle prin-cipali ‘tendenze’ in corso in quegli anni, il secondo più dichiaratamente aperto ad offrire una metodologica della progettazione architettonica e urbana. Due scritti importanti, a mio parere, capaci di indagare da un lato le difficoltà di un ventennio storico (dagli anni settanta agli anni no-vanta) che ha segnato importanti mutamenti nel nostro modo di guar-dare al progetto di architettura, dall’altro l’importanza del processo di costruzione e la necessità di una sua trasmissione scientifica, fondata su principi, strumenti, metodologie appropriate. Se l’emergere di nuove tendenze (culturali, sociali, economiche, architettoniche) decreta infatti a partire dalla fine degli anni settanta l’abbandono delle utopie antiur-bane e delle immagini post-modern del decennio precedente6, ed espri-me una volontà di rinascita in cui si intrecciano i più diversi ‘linguaggi’ progettuali (High tech, Minimalismo, Decostruttivismo), solo negli anni novanta tali sperimentazioni riconducono ad una vera e propria coscienza storica dell’abitare che necessita, sembrerebbe, di una nuo-va scienza urbana. Tutto ciò trapela in modo significativo nello scritto del ’92, dove alla «necessità di una coerenza nelle valutazioni» critiche dei movimenti citati, si aggiunge l’esigenza di «ridare allo studio e alla pratica della progettazione caratteri minimi di scientificità, oggi molto ridotti da una sostanziale carenza di metodologie che tengano conto della complessità dei problemi da affrontare». Complessità che non si è in grado di affrontare, secondo l’autore, e a cui si è tentato di trovare una soluzione nella sempre più evidente specializzazione delle disci-pline, con conseguente riduzione non tanto della complessità, ma della ricchezza che il rapporto continuo tra le stesse aveva celato per molto tempo. Il bisogno di riportare attenzione alla ‘necessità della contestua-lizzazione’, e quindi allo stretto rapporto tra memoria storica e luogo sembrerebbe la chiave di svolta per superare un periodo di grandi in-certezze, dove i riferimenti più importanti tornano ad essere quelli del

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nostro passato più prossimo: ancora una volta Mies, Le Corbusier, Adolf Loos, che nella sua silenziosa «ricerca di chiarezza spingeva fino qua-si al paradosso le proprie enunciazioni» separando nettamente «l’arte dall’utilità» e collocando «l’architettura nell’ambito della seconda, ne-gandole qualsiasi valenza artistica»7.

I maestri e la ‘modernità’

Il percorso attraverso gli scritti di Giovanni Denti sembra trovare nelle opere dei Maestri, soprattutto dei Maestri moderni, i ‘punti fissi’ cui ancorare un discorso eterogeneo e transdisciplinare, dipanato lun-go le tracce discontinue di una cronologia dettata dagli eventi. Nono-stante gli intervalli temporali che li separano, questi scritti sembrano infatti trovare proprio nelle opere un’unitarietà sottesa, restituita da un lato dalla profonda conoscenza che Giovanni aveva del periodo, dall’al-tro dalla capacità di ‘interpretarle’ ogni volta da un osservatorio par-ticolare, diverso, orientato: attraverso lo sguardo di un altro maestro, penetrando lo spirito del ‘tempo’, tramite l’evidenza di un dettaglio. Così, tra le diverse prospettive proposte, emergono riflessioni e lettu-re anche contrapposte, interferenti, talora provocatorie sulle opere ma anche sulle questioni disciplinari che coinvolsero i diversi maestri nel tempo, come la questione della mediterraneità tanto discussa nell’o-pera di Le Corbusier, riletta attraverso la critica pungente di Edoardo Persico8, assai più indulgente quando descrive i legami del Maestro con le avanguardie artistiche del primo novecento. E se Le Corbusier occupa i primi posti nella classifica delle ‘presenze’, anche Mies e si-curamente Adolf Loos non sono certamente da meno, anche se Loos appare da protagonista per la prima volta solo nel testo del ‘94, dove la necessità di spiegare l’importanza del genius loci porta Giovanni Denti a rintracciarlo proprio «nell’atteggiamento con il quale lo stesso Adolf Loos osserva Vienna, traendone precise indicazioni nelle proprie scelte progettuali»9. O ancora nella interpretazione della casa nella Michaeler-platz, nella quale il Maestro legge «un palazzo viennese privo di qualsi-asi aggettivazione e ornamento, ma con l’introduzione di alcuni dettagli che rimandano da un lato alla storia della piazza, e dall’altro alla cultura anglosassone». Questo il genius loci per il maestro viennese, ma questo anche l’insegnamento di Giovanni Denti, che proprio attraverso l’opera di Loos ci restituisce il suo modo di pensare il rapporto necessario e indissolubile «tra le qualità specifiche di un luogo e i caratteri salienti di un progetto». La Vienna di Loos riappare negli scritti tra il ‘95 e il ‘98,

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a descrivere l’importanza della «ricerca di un radicamento nella tradi-zione del luogo», quella tradizione che qualche anno più tardi sarà rin-venuta da Rogers nel ‘rapporto con le preesistenze’, in un momento in cui proprio il problema del ‘lascito’ del Moderno e la scomparsa di alcu-ni dei suoi massimi protagonisti «sigla la caduta dei miti architettonici delle avanguardie, estinguendo anche gli estremi omaggi resi ai maestri da quella linea neo-razionalista» che sopravviverà «agli storicismi, ai neorealismi, agli intimismi e ai revisionismi dilaganti sullo scorcio degli anni ‘50»10. Proprio a questi anni, connotati dall’inquietudine e dall’in-certezza di una realtà sorretta dalla «difficile dialettica tra il conoscere e l’agire»11 appartengono alcuni volti noti dell’architettura italiana del dopoguerra: Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni e per certi versi Eugenio Gentili Tedeschi, la cui interpretazione è aperta, nello scritto del ’90, dalla scrittura su Giuseppe Pagano, che diviene il ‘tramite necessario’ per rileggere più a fondo quelle che saranno, nel dopoguerra, le istanze critiche al Movimento Moderno. A questi e ad altri protagonisti del pe-riodo sono dedicati alcuni dei più importanti scritti degli anni novanta, a testimonianza di un passaggio storico straordinario quanto tormen-tato, necessario tuttavia per comprendere a fondo i decenni successivi, che in questo intervallo storico hanno riletto i prodromi di una trasfor-mazione prossima a venire.

Appunti di viaggio

Se il tempo tuttavia è l’attore principale degli scritti sin qui citati, lo spazio diviene lo sfondo privilegiato entro cui leggere gli appunti ripor-tati nella seconda parte del volume. C’è una doppia scala di lettura in-fatti che si nasconde dietro queste ‘note’ di viaggio: da un lato l’immen-sità geografica trascritta dalla correlazione sottesa ai territori percorsi, dall’altro la puntualità dei luoghi visitati, a volte ‘scoperti’ dall’occhio attento di un viaggiatore colto, quale è stato Giovanni Denti, educato alla selezione delle differenze, più che alla lettura delle omogeneità.

Ognuno dei territori attraversati, trova nel pensiero e nella memoria di chi li percorre, il filo rosso che accompagna il lettore verso la cono-scenza del suo carattere, delle persone che lo abitano, delle architet-ture che lo popolano e, infine, delle vicende più o meno oscure che ne hanno contrassegnato l’esistenza. Così Barcellona non è solo la meta privilegiata del viaggio, ma è insieme l’opera di Mirò, il museo di Sert che domina il Montjuic ma che da quel luogo rimanda ad altre opere lontane: la fondazione Maeght a Sain Paul de Vence, dove «non c’è una

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reale interruzione del fluire dello spazio» poiché «il percorso è unico e passando da una sala all’altra si percepisce un cambiamento ma non una frattura», o ancora lo studio per Juan Miro a Palma di Maiorca, «… adagiato fra la vegetazione, in un paesaggio tipicamente mediterraneo» che propone «…attraverso il patio e le vetrate, un dialogo fra interno ed esterno, in un fluire continuo dello spazio che anticipa il tema fon-damentale della Fondazione Miro»12. Armonie fuori tendenza, questo il titolo del primo scritto, che nel suo essere ‘declaratorio’, anticipa per certi versi lo scritto su Parigi, Il segno del nuovo, elaborato solo qual-che anno più tardi. Qui lo scarto tra Moderno e nuove tendenze della contemporaneità viene affrontato attraverso il rapporto tradizione/innovazione riscontrabile nelle nuove architetture delle ZAC, dove allo studio attento dei tipi ‘consolidati’ sembrano sovrapporsi le ricerche sulle tipologie innovative, sulla loro presunta identità decifrabile attra-verso la differenza con il passato, con i suoi valori e con i suoi caratteri. A questi scritti appartiene forse anche La casa in una stanza. The single room occupancy hotels, del dicembre ‘93, nel quale alla descrizione dei ‘caratteri’ contemporanei dei nuovi edifici residenziali della grande me-tropoli newyorkese, si affianca una interpretazione critico-sociologica dei nuovi ‘modelli’ dell’abitare, in grado di divenire, lungo il racconto, una vera e propria segnalazione delle enormi contraddizioni economi-co-culturali che a partire dagli anni novanta hanno contrassegnato la vita di certe città americane o cinesi (New York, Pechino, Shanghai) e che oggi riscontriamo anche in quelle europee. La contemporaneità di questi scritti tuttavia, non emerge solo nelle ricerche effettuate sui ter-ritori al limite (nelle periferie, nei borghi, nei villaggi abbandonati delle grandi metropoli americane o asiatiche) ma anche nella ‘forza del colo-re’ di città medie come Samarcanda, autentica stratigrafia dell’impero orientale prima e di quello russo poi, dove gli appunti di viaggio si rian-nodano ora nel ricordo della forza «dello splendore dei mosaici» e nel «messaggio scientifico contenuto in un antico osservatorio, un invito a riflettere sull’utilità di approfondire i rapporti tra passato e presente e tra culture solo in apparenza lontane»13. O ancora «nella chiarezza della … struttura e nell’immagine unitaria delle …. Architetture» di San Pietroburgo14 la cui storia, «… mutati i tempi e le condizioni, insegna ancora qualcosa di proiettabile nel prossimo futuro»; o della ‘vicina ma lontana’ Praga, nel «… suo carattere composito ma unitario, fortemente suggestivo» e «denso di storia ben percepibile nell’amalgama morfo-logico e architettonico» del suo tessuto, che «non aveva lasciato indif-ferente» neppure «il giovane Apollinaire»15, come recita la citazione a capo del testo. O nell’affascinante città di Broumov, «un gioiello boemo

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da riscoprire» e «per il viaggiatore architetto una vera scoperta», poi-ché «… la città reca, impresse nelle sue pietre, le tracce di una cultura secolare di eccezionale livello»16, incisa nelle tracce ancora riconoscibili di una stratificazione storica che è insieme formale, culturale e socia-le. O infine nelle pietre ancora una volta boheme della villa costruita da Heinrich Kulka per l’industriale Rudolf Holzner, dove riemergono, come costanti di una memoria mai libera dai grandi maestri, le impron-te severe e silenziose del grande Adolf Loos, questa volta alla ricerca di una modernità ‘diversa’. Molte le associazioni che si propongono e si intrecciano: Villa Müller a Prague, Villa Moller a Vienna, il café Museum o ancora il negozio Goldman & Salatsch, Steiner, Kniže con i loro infiniti marmi, i loro vetri, le loro cento vetrine.

È difficile non farsi coinvolgere da questi scritti, dal loro ritmo e dalla passione che li unisce e insieme li separa, restituendo ad ognuno la propria congruenza e al tempo stesso la propria somiglianza, capaci di garantire al viaggiatore (non necessariamente architetto), la possi-bilità di intrecciare egli stesso i fili del proprio percorso, sino a ritrova-re, nell’insieme o nel singolo dettaglio, la mappa virtuale di un nuova possibile ’Dimensione Architettura’.

1. F.W.J. Shelling, Discorso sulle arti figurative (1807), in: Le arti figurative e la natura, a cura di T. Griffero, Aesthetica, Palermo, 2003.2. Dallo scritto: Architettura e trasformazioni tecnologiche. La questione delle origini dell’Architettura Moderna, 1987.3. Cit.4. Tipologia edilizia e forma urbana. Metodologia di progetto. Corso Garibaldi a Milano, 1980.5. Mies Van Der Rohe: un progetto di didattica, 1992.6. “Un decennio orfano”, secondo Franco Purini, “probabilmente il più difficile dell’archi-tettura italiana di questo secolo”, rif. F. Purini, Un decennio orfano, in: G. Bertelli, E. Lin-geri, Il novecento, un secolo di architettura europea, Abitare edizioni, Milano 1999, p. 96.7. Per una metodologia scientifica della progettazione, 1992.8. Le Corbusier visto da Edoardo Persico, 1988.9. Adolf Loos: i caratteri di Vienna,1995; Adolf Loos, la classicità come eterno presente, 1998.10. S. Crotti, Luoghi utopici e grande dimensione, in: G. Bertelli, E. Lingeri, Il novecento, un secolo di architettura europea, Abitare edizioni, Milano 1999, p.84.11. M. Tafuri, Gli anni della ricostruzione’, in: Storia dell’architettura italiana, 1944-1985, Einaudi, Torino 1986, p. 5.12. BARCELLONA. Armonie fuori tendenza, 1991.13. SAMARCANDA. La forza del colore, 1992.14. SAN PIETROBURGO. La mano degli italiani, dic. 1992.15. PRAGA. Il luogo, tra morfologia urbana e caratteri architettonici, 2003.16. BROUMOV. Un gioiello boemo da riscoprire, 1995.

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