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In absentia tua,

praesentiam tuam animadverto.

L.A.D.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO”

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN FISICA

TESI DI LAUREA

MISURA SPERIMENTALE DEL NUMERO DI SPECIE DI NEUTRINI LEGGERI

Relatore: Chiar.mo Prof. Mauro DE PALMA Controrelatore: Chiar.mo Prof. Vito MANZARI

Laureanda: Lucia Anna DAMONE

ANNO ACCADEMICO 2011-2012

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Indice

Introduzione ............................................................................................ 1

1 La scoperta sperimentale dei tre neutrini leggeri ............................ 5

1.1 Scoperta del neutrino elettronico ................................................................. 6

1.2 Scoperta del neutrino muonico ...................................................................11

1.3 Scoperta del neutrino tauonico ...................................................................17

2 Il modello elettrodebole ................................................................. 25

2.1 Cenni alla teoria di Fermi ........................................................................... 26

2.2 Teoria V-A e violazione della parità ........................................................... 28

2.3 Universalità delle interazioni deboli ............................................................ 34

2.3.1 Esigenza di un mediatore neutro ......................................................41

2.4 Teoria elettrodebole ...................................................................................44

2.4.1 L’idea base della teoria di Weinberg- Salam .....................................46

2.4.2 L’angolo di Weinberg .......................................................................47

3 Determinazione del numero di specie di neutrini leggeri ............... 51

3.1 LEP ................................................................................................................. 52

3.2 ALEPH ............................................................................................................ 52

3.2.1 Il minivertice e la I.T.C. ....................................................................53

3.2.2 La T.P.C. .........................................................................................54

3.2.3 Il calorimetro elettromagnetico .......................................................55

3.2.4 Il calorimetro adronico.....................................................................56

3.2.5 Le camere dei muoni .......................................................................56

3.2.6 Il monitor di luminosità ..................................................................57

3.2.7 Il trigger ..........................................................................................57

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3.3 Analisi dei dati e risultati................................................................................ 58

3.3.1 I decadimenti adronici dello ܼ ........................................................59

3.3.2 I decadimenti leptonici dello ܼ ........................................................60

3.3.3 La risonanza ܼ ................................................................................61

3.3.4 Le larghezze parziali e totali del bosone ܼ ......................................63

3.3.5 Quantità misurabili, ߁௩ e il Numero di Famiglie

di Neutrini leggeri .............................................................................66

3.3.6 Le asimmetrie Forward-Backward ܣி ...............................................70

Conclusioni.......................................................................................... 73

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INTRODUZIONE

Immaginate di viaggiare su una navicella spaziale capace di attraversare la Terra

senza neanche accorgersi che la Terra c’è; una navicella che può attraversare

l’immensità dello spazio alla velocità della luce, penetrare nelle profondità della

materia e capirne la sua struttura.

Immaginate una particella piccolissima, leggerissima, quasi nemmeno misurabile che

però può raccontare molto sulla struttura della materia e sull’evoluzione dell’universo.

Questa particella esiste, si chiama neutrino. I neutrini si sono originati la prima volta

circa 14 miliardi (14 x 109) di anni fa, 10

-43 secondi dopo il Big Bang. Alcuni secondi

dopo si stavano già rapidamente allontanando dal resto della “zuppa” calda e densa di

particelle primarie; gli scienziati sono ancora alla ricerca di neutrini superstiti dal Big

Bang.

È la debole interazione dei neutrini con la materia che li rende quasi impossibili da

rilevare, ma ciò li rende anche particelle estremamente interessanti. Diversamente da

molte altre particelle, i neutrini sono in grado di sfuggire dalle regioni più dense,

come il nucleo del Sole o la Via Lattea, e possono viaggiare per grandi distanze da

galassie lontane senza venire assorbiti, trasportando informazioni su queste regioni.

In questo senso, i neutrini sono messaggeri cosmici, e l’astronomia dei neutrini sta

diventando sempre più importante.

La storia di questa particella comincia nel 1930, con la lettera di Pauli.

“Cari signore e signori radioattivi vi chiedo gentilmente di prestare attenzione a

queste mie righe, in cui intendo spiegarvi in dettaglio come, a causa delle statistiche

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erronee dei nuclei di Azoto e di litio-sei e lo spettro β continuo, mi sono imbattuto in

un rimedio disperato per salvare il teorema di scambio della statistica e la legge di

conservazione dell’energia. Si tratta della possibilità dell’esistenza nei nuclei, di

particelle elettricamente neutre che chiamerò neutroni con spin 1\2 che obbediscono

al principio di esclusione e sono diverse dai quanti di luce poiché non viaggiano alla

velocità della luce. Sono d’accordo che il mio rimedio possa sembrare assurdo

perché avremmo dovuto scoprire prima questi neutroni se davvero esistono.”

[Tratto dalla rivista Phisics Today, 1978]

La soluzione suggerita da Pauli nella sua famosa lettera era l’esistenza di una

particella sconosciuta, di massa molto piccola e priva di carica che egli battezzò

neutrone, perché i veri neutroni, quelli che insieme ai protoni compongono il nucleo

atomico, non erano ancora stati scoperti.

Che cos’era questo rimedio disperato a cui allude il grande fisico Pauli nella sua

lettera agli amici radioattivi? Qual era il difficile enigma che le più grandi menti del

primo ‘900 non riuscivano a risolvere? Il mistero aveva a che fare con il decadimento

, dove l’unica particella chiaramente osservata è l’elettrone. Ma se fosse l’unica ad

essere emessa, la sua energia avrebbe sempre lo stesso valore invece, con sorpresa dei

fisici, si riscontrava che l’energia dell’elettrone era distribuita fra zero e un massimo

valore, tipico di un decadimento a tre corpi di cui uno leggerissimo.

La soluzione suggerita da Pauli nella sua lettera era quindi che l’energia mancante

potesse essere portata via da una particella sconosciuta, di massa molto piccola e

priva di carica elettrica, quindi praticamente invisibile agli strumenti.

“La massa dei neutroni dovrebbe essere dello stesso ordine di grandezza di quella

dell’elettrone, e in ogni caso non superiore a 0.01 volte quella del protone. In questo

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modo lo spettro β continuo diventa comprensibile, assumendo che nel decadimento β

viene emesso un neutrone oltre all’elettrone in modo che la somma delle energie del

neutrone e dell’elettrone è costante.”

[Tratto dalla rivista Phisics Today, 1978]

Qualche anno dopo, nel 1934, fu il fisico italiano Enrico Fermi a battezzare questa

particella come neutrino, il nome che le è rimasto, e a sviluppare una teoria che

comprendeva e spiegava il ruolo di questa particella nella fisica fondamentale : la

teoria delle interazioni deboli, in cui il decadimento β era interpretato come la

trasformazione di un neutrone del nucleo in un protone, con l’emissione di un

elettrone e di una particella chiamata neutrino che serviva anche a conservare

l’energia:

La sua teoria si basava su un parallelo con un processo elettromagnetico :

A* A + γ

in cui da un atomo eccitato A* veniva emessa una radiazione elettromagnetica, il

fotone γ.

In questo processo il fotone γ è creato dalla diseccitazione dell’atomo. Sulla falsa

riga di questa teoria, Fermi disse che la coppia elettrone-neutrino è creata da

un’interazione debole, debole perché la probabilità dei decadimenti β, confrontata

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con la probabilità dei processi elettrici, è molto più bassa. Fermi costruì una teoria il

più semplice possibile basata su un’unica costante che caratterizza questo nuovo tipo

di interazione debole e che da lui prende il nome di Costante di Fermi : GF.

La teoria di Fermi convinse tutti i fisici dell’epoca che il neutrino dovesse esistere,

ma qualcuno doveva dimostrarlo sperimentalmente. Cominciò così la “caccia al

neutrino” da parte di tutti i fisici del mondo, con grandi spiegamenti di mezzi per

cercare di provarne l’esistenza.

La ricerca sperimentale e gli sviluppi teorici hanno portato negli anni successivi a

introdurre altri neutrini : , rispettivamente il neutrino elettronico, muonico

e tauonico, della cui scoperta sperimentale parleremo nel primo capitolo.

Nel secondo, invece, introdurremo il modello della interazione debole, accennando

alla teoria di Fermi, discutendo anche il suo aspetto V-A e come essa incorpora la

violazione della parità; accenneremo inoltre all’universalità delle interazioni deboli e

alla teoria di Cabibbo, per poi concludere con l’ introduzione della teoria

elettrodebole.

Infine nel terzo capitolo, saranno presentate le predizioni della teoria elettrodebole

e, con più dettagli, quelle relative al numero delle specie di neutrini leggeri . A tal

fine faremo riferimento all’esperimento Aleph del LEP (Large Electron-Positron

Collider), il collisore di elettroni-positroni presso il CERN di Ginevra. Forniremo i

risultati sperimentali relativi alla massa della , alla larghezza totale e alle larghezze

parziali della sezione d’urto adronica al picco e vedremo come questi

portano alla determinazione di .

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PRIMO CAPITOLO

LA SCOPERTA SPERIMENTALE DEI TRE NEUTRINI LEGGERI

Le particelle “elementari” vengono classificate in base alle interazioni che fra esse si

stabiliscono.

Ricordando che le interazioni fondamentali sono, a bassa energia, quella

elettromagnetica fra particelle cariche, quella forte fra i costituenti il nucleo e quella

debole responsabile del decadimento , chiameremo adroni (dal greco adròs, forte) le

particelle soggette alla forza forte e leptoni le particelle elementari in grado di sentire

solo la forza debole.

Inizialmente si conosceva un solo leptone : l’elettrone, e ai fisici andava benissimo

così, tanto che, stando a quanto si racconta, quando Isidor Isaac Rabi (fisico

statunitense e premio Nobel 1944) venne a conoscenza della scoperta del muone

chiese :”E questo chi l’ha ordinato?”. Nessuna ipotesi teorica prevedeva questa

nuova particella. Oggi i leptoni sono suddivisi in tre famiglie : gli elettroni, i muoni e

i tauoni, e ad ognuno di queste è associato un particolare neutrino:

• elettrone , neutrino

• muone , neutrino

• tauone , neutrino .

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Per ogni leptone vi è una corrispondente antiparticella, ovvero un antileptone al quale

è associato un antineutrino. Gli antileptoni hanno la stessa massa dei rispettivi leptoni,

ma hanno valori opposti di alcuni numeri quantici, quali ad esempio il numero

leptonico o la carica elettrica :

• positrone , antineutrino

• muone , antineutrino

• tauone , antineutrino .

Tutti i leptoni conosciuti fanno parte della famiglia dei fermioni, poichè hanno tutti

spin 1\2 e dunque obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac.

1.1 Scoperta del neutrino elettronico

Il neutrino (elettronico) fu ipotizzato da Pauli, e ci sono voluti più di 25 anni per

rivelare gli effetti di un’ interazione da neutrino in un esperimento. Questo è dovuto

ai valori incredibilmente piccoli delle sezioni d'urto delle interazioni neutrino-materia.

Dalla teoria di Fermi abbiamo infatti che la sezione d’urto fra ν e protoni è circa:

σ ( νp) ≈10 22243 EMeVcm

.

Per rivelare queste interazioni è quindi necessario disporre di una sorgente di neutrini

con un flusso elevatissimo e di un bersaglio dotato di una massa molto elevata.

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Nel 1951 quando i fisici americani Clyde Cowan e Frederick Reines cominciarono a

pensare ad un esperimento per catturare il neutrino, questa particella era ancora un

“fantasma” inafferrabile che circondava il mondo della realtà fisica.

Inizialmente Clyde Cowan e Frederick Reines ebbero l’idea di cercare la prova

dell’esistenza del neutrino in prossimità di un’ esplosione nucleare. Ma questa strada

venne subito abbandonata. La proposta che invece venne solo in un secondo

momento, fu quella di considerare un reattore nucleare. Questa ipotesi fu comunicata

a Fermi, il quale ritenne che fosse un’idea molto buona poiché permetteva la

ripetibilità dell’esperimento. Un reattore funziona sul principio della fissione nucleare;

in essa vengono emessi una gran quantità di neutrini; un reattore ne emette circa 10 21

al secondo.

Il decadimento del neutrone o altri decadimenti β producono elettroni e antineutrini.

Questi antineutrini interagiscono con i protoni producendo neutroni e positroni,

secondo la reazione:

Nel 1956, G. Cowan e F. Reines proposero di sfruttare l'alto flusso di antineutrini

elettronici prodotti dalla fissione dell'Uranio nel reattore da 1 GW di potenza

dell'impianto di Savannah-River, in Georgia, ponendo l’apparato in una cavità

sotterranea (12 m sottoterra) distante 11 m dal reattore per schermarlo dai raggi

cosmici.

Il flusso di neutrini dal reattore può essere stimato considerando che in media una

reazione di fissione fornisce 200 MeV di energia termica e produce 6 antineutrini

elettronici per fissione, per cui, indicando con Pt la potenza termica in Watt del

reattore, il flusso sull'intero angolo solido è dato da:

ΦΩ = 196 106.110200

tP 16 s = 1.87 tP11101s .

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Per un reattore da 1 GW abbiamo dunque un ΦΩ ≈ 1.9 • 10 20 antineutrini/s, con uno

spettro continuo e un'energia media di ≈ 3 MeV. Naturalmente la distribuzione di

questi neutrini è praticamente isotropa, per cui è comunque necessario un rivelatore

di grandi dimensioni, posto sufficientemente vicino al reattore.

L'apparato progettato da Cowan e Reines è costituito da un bersaglio di circa 200 litri

d’acqua in cui sono stati disciolti circa 40 Kg di cloruro di cadmio, CdCl2, contenuto

in recipienti alternati con altri contenitori riempiti di uno scintillatore liquido che

funge da rivelatore, per un totale di 3 moduli, come mostrato in figura 1.1.

Figura 1.1: Apparato dell'esperimento di Reines e Cowan

L’idea alla base dell’esperimento (schematizzata in figura 1.2 per un solo modulo) è

la seguente:

a) Assorbendo l’antineutrino, il protone produce un neutrone e un positrone. Il

positrone prodotto dalla reazione si annichila rapidamente con un elettrone dell'acqua

in una coppia di fotoni. Questi, a differenza dei neutrini, sono sensibili alla forza

elettromagnetica e possono quindi essere rivelati dagli scintillatori di cui l’apparato è

rivestito. Infatti si produce luce per effetto Compton negli scintillatori che circondano

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l'acqua e questa viene poi rivelata con dei fotomoltiplicatori. Il tempo caratteristico è

di circa 10 9 s e la coincidenza tra due scintillatori rappresenta il t0 (tempo zero)

della misura;

b) Il neutrone deve essere rallentato (“moderato") dalle collisioni con l'acqua prima di

venire catturato dal cadmio che è un forte assorbitore di neutroni. Dopo aver

assorbito un neutrone, il 113

Cd produce uno stato eccitato di 114

Cd che

successivamente emette un fotone.

Il fotone aggiuntivo di questo processo viene rilevato circa 5 x 10-6

secondi dopo i

fotoni dovuti all’annichilazione . Questo fornisce una firma distintiva per la

reazione del neutrino : la coppia di fotoni in coincidenza più un altro dopo circa 5 s.

Figura 1.2: Esperimento di Reines e Cowan: antineutrini elettronici (νe) interagiscono con i protoni dell’acqua (p+)

in un d’acqua e cloruro di cadmio (CdCl2); come risultato vengono prodotti positroni (e+) e neutroni (n0). I positroni

vengono annichilati quando incontrano gli elettroni dell’acqua (e-) ed i neutroni vengono assorbiti dai nuclei di

cadmio (Cd). Entrambe le reazioni provocano l’emissione di fotoni che vengono rilevati per mezzo di scintillatori.

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Dalla cattura vengono emessi fotoni da ≈ 6 MeV. Abbiamo quindi una coincidenza

ritardata rispetto a t0 nella stessa coppia di scintillatori e questo definisce la strategia

della presa dati.

In una prima serie di misure della durata di 200 ore, furono raccolti 567 eventi di

questo tipo. Il fondo stimato a reattore spento era di 209 eventi. La fluttuazione del

fondo aspettata è quindi 209 , per cui l'osservazione di 567 eventi è molto

significativa. Il risultato della misura è:

6.3 x 10-44

cm2

Per realizzare questo esperimento sono state messe a punto delle tecnologie allora

nuove, per esempio gli scintillatori liquidi. Questo è un esperimento che per la prima

volta ebbe delle dimensioni tali che Reines, in una sua intervista, disse che un uomo

ci sarebbe potuto entrare.

Il 14 Giugno 1956 Reines e Cowen inviarono un telegramma a Pauli per informarlo

del successo del loro esperimento :

“Siamo lieti di informarla che abbiamo definitivamente trovato neutrini dai

frammenti della fissione, osservando un decadimento β inverso dei protoni.”

[Tratto dalla rivista Science Magazine]

Reines e Cowan avevano predetto una sezione d’urto per la reazione di 6 x 10-44

cm2

e quella da loro misurata fu 6.3 x 10-44

cm2 . I risultati vennero pubblicati nel 1956 e

la scoperta valse loro il premio Nobel per la Fisica nel 1995. Il neutrino trovato da

Cowen e Reines era il neutrino elettronico o dell’elettrone, il primo di una serie fatta

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di tre famiglie diverse, ma ai tempi di Fermi, Reines e Cowen, non ci si aspettava un

secondo tipo di neutrino.

Il fatto che nell'esperimento di Cowan e Reines non si fossero trovati eventi del tipo:

si può considerare un’evidenza sperimentale che il neutrino è diverso

dall'antineutrino.

Abbiamo detto che le particelle differiscono dalle rispettive antiparticelle per il valore

della carica elettrica ma, essendo il neutrino una particella neutra, la differenza tra

neutrino elettronico e antineutrino elettronico e non è affatto scontata. Per

giustificarla si introduce un nuovo numero quantico, il numero leptonico, che è posto

uguale ad 1 per elettrone e neutrino e -1 per positrone e antineutrino, che deve essere

conservato nelle interazioni di questi leptoni.

1.2 Scoperta del neutrino muonico

Un'altra questione è se i neutrini che compaiono nei decadimenti dei muoni e dei

pioni, siano gli stessi di quelli che compaiono nei decadimenti β. In questo caso

sarebbe energeticamente possibile il decadimento elettromagnetico del muone:

per il quale già alla fine degli anni '50 c'era un limite superiore di volte il

decadimento : .

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Questa assenza richiede quindi l’introduzione della natura “muonica” della particella,

ovvero del fatto che il numero leptonico dell'elettrone sia diverso dal numero

leptonico del muone, per cui questi si devono conservare separatamente:

ee

ee .

Già Bruno Pontecorvo aveva sempre pensato che i due neutrini fossero diversi, tanto

che aveva proposto di chiamarli con due nomi diversi, neutrino e neutretto. Nel 1959

lui e M. Schwartz proposero, in modo indipendente, di studiare le interazioni di

neutrini prodotti dagli acceleratori usando i decadimenti di π e K come sorgenti di

fasci di neutrini. Questa realizzazione fu resa possibile dalla costruzione di due nuovi

acceleratori, il protosincrotrone (PS) da 28 GeV del CERN di Ginevra e l'Alternating

Gradient Syncrotron (AGS), entrato in funzione a Brookhaven nel 1960.

L'esperimento che doveva mettere in luce l'esistenza di due tipi di neutrini fu

progettato nel 1962 da Lederman, Schwartz e Steinberger per il fascio di neutrini

dell'AGS. Se esiste un solo tipo di neutrino, nell'interazione col bersaglio, questo

deve produrre con la stessa probabilità muoni ed elettroni. Se i neutrini sono diversi,

poichè i mesoni π e K decadono per lo più in muoni, il fascio di neutrini è costituito

essenzialmente di e questi non possono produrre elettroni nello stato finale, per cui

l'unica reazione che si osserva deve essere:

XN

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Figura 1.3: Schema dell’ apparato dell'esperimento di Lederman, Schwartz e Steinberger

Lo schema essenziale dell’esperimento mostrato in figura 1.3 è il seguente: i pioni

venivano prodotti dalle interazioni dei protoni da 15 GeV dell'AGS che colpivano un

bersaglio di berillio. I pioni, decadendo in volo, producevano il fascio di neutrini:

Un muro di ferro, spesso 13.5 metri e posto ad una distanza di 21 metri dal bersaglio

di berillio, fermava tutte le particelle secondarie cariche prodotte dall'interazione dei

protoni sul berillio, ivi inclusi i muoni provenienti dai decadimenti in volo dei pioni e

dei kaoni, lasciando sopravvivere solo i neutrini. Le interazioni da neutrini venivano

osservate con un rivelatore a camere a scintillazione, con una massa totale di 10

tonnellate, posto dietro il muro di ferro. La direzione di volo del fascio dalla targhetta

verso il rivelatore formava un angolo di 7.5° rispetto alla direzione dei protoni, come

mostrato in figura 1.3. L’energia di 15 GeV del fascio è stata scelta per contenere ad

un livello trascurabile la penetrazione dei muoni nel muro di ferro.

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a) b)

Figura 1.4: Foto e disegno del rivelatore nell'esperimento di Lederman, Schwartz e Steinberger. In b) le lettere A, B, C e D

indicano gli scintillatori: A per i segnali di coincidenza, B, C e D per quelli di anticoincidenza nella formazione del trigger.

Il rivelatore consisteva di una serie di 90 piani (ciascuno di 1.2 2m ) di camere a

scintillazione in alluminio ( piastre di 1.1 x 1.1 m 2 , spessore 2.5 cm ) ed era in grado

di distinguere il segnale di una particella lunga e penetrante che perde energia al

minimo, come un muone, rispetto a quello dovuto alla cascata elettromagnetica di un

elettrone, caratterizzato da una serie di tracce corte con molte scintille.

La figura 1.4 b illustra la disposizione dei contatori di coincidenza e di

anticoincidenza. Le lastre di anticoincidenza in alto, avanti e dietro (un totale di 50

contatori), sono utilizzate per ridurre l’effetto dei muoni provenienti dai raggi cosmici

che penetrano l’assorbitore di ferro.

I contatori di trigger (A in figura 1.4 b) sono inseriti tra camere adiacenti e nella parte

finale.

L’AGS a 15 GeV opera con un periodo di ripetizione pari a 1.2 sec. Un rapido fascio

deflettore guida i protoni sul target di berillio in circa 20-30 . Questa struttura è

utilizzata per contribuire anch’essa alla riduzione dell background dei raggi cosmici.

Utilizzando protoni e con 300 ore di raccolta dati, sono stati raccolti 113

eventi :

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a) 49 tracce corte e singole, con un momento minore di 300 MeV/c.

b) 34 eventi con un muone singolo, e con un momento superiore a 300 MeV/c

(figura 1.5), candidati per le reazioni

pn

np

c) 22 eventi con un vertice all’interno dell’apparato.

d) 8 eventi consistenti con cascate elettromagnetiche di un elettrone, dovute alla

contaminazione di nel fascio.

Soltanto i 56 eventi di tipo b) e di tipo c) saranno considerati “eventi candidati”. Se

, ci sarebbero dovuti essere 29 eventi di cascate elettroniche con un’energia

superiore a 400 MeV/c. Invece, gli unici candidati per questi eventi sono solo 6

“cascate”. È evidente che ciò non è in accordo con la predizione basata su una teoria

universale con . Si potrebbe pensare che l’assenza di eventi elettronici sia

legata al fatto che l’accoppiamento di un singolo neutrino all’elettrone sia molto più

debole di quello con un muone ad alti momenti trasferiti, ma a bassi momenti

trasferiti i risultati del decadimento , della cattura muonica, del decadimento

muonico e il rapporto tra i decadimenti e mostrano che tali

accoppiamenti sono uguali. Tuttavia, una spiegazione più plausibile per giustificare

l’assenza di cascate elettroniche, consiste nell’affermare che , cioè che ci

sono almeno due tipi di neutrino. Questo inoltre risolve il problema sollevato

dall’assenza del decadimento .

Dunque il neutrino che nasce assieme al μ dal decadimento del π quando interagisce

produce μ, non produce e.

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In conclusione possiamo dire che :

(1) Il neutrino associato all'elettrone ed il neutrino associato al muone sono due

particelle differenti.

(2) Il sapore elettronico e il sapore muonico si conservano separatamente, ovvero il

numero leptonico elettronico e muonico .

Figura 1.5: Tracce relative ai muoni prodotti da neutrini

Sapore Elettronico Le ≡ N (e ‾ + νe) – N ( ee ) = 0

Sapore Muonico Lμ ≡ N (μ‾ + νμ) – N ( ) = 0

J. Steiberger, premio Nobel per la Fisica (1988), in un’ intervista disse:

“Abbiamo avuto la fortuna di effettuare il primo esperimento con i neutrini in

laboratorio con acceleratori di particelle, non perché siamo stati particolarmente

bravi, ma perché i tempi eranomaturi.”

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17

1.3 Scoperta del neutrino Tauonico

Il neutrino tauonico (ντ), o neutrino tau, è l'ultimo dei tre neutrini, e insieme al tauone

(spesso detto tau, in riferimento al suo simbolo τ), forma la terza generazione di

leptoni. La sua esistenza è stata immediatamente postulata dopo che il tauone venne

individuato in una serie di esperimenti tra il 1974 e il 1977 da Martin Lewis Perl

insieme ai suoi colleghi allo SLAC e al LBL.

Nell’architettura della materia così com’è descritta dal cosiddetto “modello standard”

della fisica delle particelle, il era l’ultimo tassello dei “blocchi” fondamentali della

teoria per cui mancava la conferma sperimentale :

e

e

La maggiore difficoltà nell’esperimento, consiste nella rivelazione dei essendo

queste particelle caratterizzate da una bassissima probabilità di interazione con la

materia. Per aumentare la probabilità di registrare un evento è quindi necessario

generare un numero elevatissimo di . Per questo si son dovuti aspettare gli anni

2000, quando grazie alle energie raggiungibili con l’acceleratore Tevatron al

FermiLab fu possibile, tramite opportuni decadimenti di particelle secondarie,

ottenere un fascio di . L’esperimento, denominato DONUT (Direct Observation of

the Nu Tau), ha registrato oltre sei milioni di potenziali interazioni tra i neutrini e tra

le quali furono selezionati 4 eventi che recano l’inconfondibile firma del τ.

L’ipotesi su cui si basa l’esperimento è di assumere che un può produrre solo un ,

per la conservazione del numero leptonico associabile al , in analogia a quanto fatto

per e e . Considerando i decadimenti del in una sola particella carica, si ha che se

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18

interagisce producendo un , questo ha il 18% di probabilità di decadere in un

muone e due neutrini (long event) o in un elettrone e due neutrini (short event).

Questa è la topologia degli eventi che gli scienziati di Donut hanno cercato ed è

mostrata in figura 1.6.

Figura 1.6: Topologia degli eventi “short” e “long”

Nell’esperimento DONUT un fascio di protoni di 800 GeV di energia viene inviato

su un bersaglio assorbitore in cui viene prodotto un gran numero di particelle. Le

particelle più pesanti decadono più rapidamente, alcune producendo , mentre le più

leggere vengono assorbite prima di decadere, inibendo la produzione di e . Il

decadimento utile per la produzione di è quello dei mesoni con charm, in

(BR ) secondo le seguenti relazioni:

Protoni

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La segnatura della presenza di è quindi la produzione e il decadimento di nel

rivelatore. Alle energie in gioco il cammino medio dei leptoni τ prodotti è circa 1mm

e quindi occorre un rivelatore con risoluzione spaziale migliore del mm per mettere in

evidenza senza ambiguità la sua produzione ed il successivo decadimento. Il

decadimento più probabile è in una sola particella carica ed è segnalato da una

piccolissima deviazione della traccia lasciata nel rivelatore.

Il cuore dell’esperimento è un bersaglio attivo, costruito da lastre di ferro intervallate

con lastre di emulsione fotografica in grado di fornire la necessaria risoluzione

spaziale per rivelare il vertice di produzione e di decadimento.

Lo schema dell’esperimento è mostrato in figura 1.7 pittoricamente, mentre

realisticamente in figura 1.8.

Figura 1.7: Schema dell'esperimento per la scoperta del tau

A valle del bersaglio-assorbitore viene trasmesso un fascio con all’incirca un ugual

numero di e e composto per circa il 10% di . Un successivo schermo consente

di eliminare la presenza di altre particelle nel fascio, soprattutto muoni. A 40 m dal

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bersaglio assorbitore si osservano le eventuali interazioni di sui nuclei delle

emulsioni.

Il bersaglio attivo misura 15m in lunghezza, è organizzato in quattro moduli identici,

intervallati da scintillatori, e ogni modulo è composto da 6 strati di emulsione

(risoluzione 1 micron) intervallati da 1mm di materiale assorbente (Pb).

Questo rivelatore deve rispondere a due principali richieste:

1) Il tempo di decadimento del τ è molto breve; ciò significa che la lunghezza di

decadimento misura solo 4mm. Per questa ragione era necessario che il rivelatore

avesse un’alta risoluzione spaziale.

2) Il , è non-interagente, perciò era necessario che il rivelatore fosse massivo in

modo da aumentare la probabilità di interazione neutrino-nucleone.

Il grande vantaggio nella scelta delle emulsioni consiste, oltre che nella risoluzione,

nel fatto che in questo modo il rivelatore e il bersaglio non sono separati e quindi si

riescono a limitare le perdite di informazione negli eventi d’interesse. Allo stesso

tempo però ci sono dei limiti sull’estensione e sullo spessore delle emulsioni e questo

comporta che una grande frazione dell’angolo solido non possa essere osservata.

I prodotti del decadimento del , muoni nel caso dei “long event” e elettroni nel caso

degli “short event”, vengono anche rilevati da uno spettrometro (HES) che ne misura

l’impulso e la carica identificando il tipo di particella. Esso è costituito da un insieme

di camere a deriva, dopo un opportuno magnete, che misurano le tracce delle

particelle cariche, identificandone la carica. Quindi un calorimetro elettromagnetico e

un ulteriore sistema di camere, dopo opportuni assorbitori, (rivelatori di muoni)

permettono di identificare le particelle cariche come e o .

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Figura 1.8 : Il rivelatore Donut

Il rivelatore riceve una quantità enorme di eventi, ma solo il 5% di questi hanno un

interesse rilevante, e ciò rende fondamentale il sistema di trigger.

Il sistema dell’acquisizione dati è triggerato da un insieme di scintillatori posti prima

e fra i moduli del bersaglio attivo che usano la logica nothing in e one or more out

per selezionare gli eventi rilevanti. Il primo criterio, nothing in, richiede che la

particella che passi attraverso il primo scintillatore non dia segnale (ovvero sia una

particella neutra). Dopo questo ci sono altri piani di scintillatori posizionati dopo il

secondo e il quarto modulo. Se gli scintillatori rivelano più particelle in coincidenza

tra loro, parte il sistema di acquisizione.

La procedura di analisi è stata complessa. Il problema delle emulsioni è l’enorme

quantità di dati registrati su lastre fotografiche. La difficoltà consiste proprio nel

prendere queste immagini e rendere i dati utilizzabili. Per ottimizzare i tempi

dell’analisi, le informazioni dallo spettrometro e dal calorimetro sono state usate per

selezionare gli eventi di interesse. Le tracce in esso misurate, sono state usate per

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ricostruire un vertice localizzato nell’emulsione con una precisione tipica di 1 mm

nella coordinata trasversale e di 7 mm nel senso del fascio. Questa conoscenza

approssimata del vertice è stata usata per limitare la dimensione del volume di ricerca

nell’emulsione.

Qui le caratteristiche dell’evento nelle emulsioni sono misurate, confrontate e

associate con quelle dello spettrometro. Dopo opportuni tagli sulla geometria, sulla

cinematica e sull'energia di evento, un totale di 898 eventi sono stati classificati come

candidati di interazione del neutrino, usando le informazioni dallo spettrometro.

Degli 898 candidati, 698 hanno avuti un vertice previsto all'interno del volume

dell'emulsione. I requisiti supplementari sulla topologia e sul vertice degli eventi

hanno ridotto il campione a 499 eventi. Questi 499 eventi sono stati esplorati

singolarmente seguendo tutte le piste dal vertice attraverso i fogli differenti

dell'emulsione. Un vertice valido è stato trovato per 262 dei 499 eventi.

Figura 1.9 : Una delle quattro interazioni di neutrino tau osservate. La firma del nodo del decadimento di tau è chiaramente

visibile. Sono rappresentate le tre viste laterali e frontali dell’evento. Nella griglia colorata l’acciaio è in azzurro, le emulsioni

in giallo. In questo esempio il tau decade in un elettrone.

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Infine i criteri di selezione sono stati stabiliti tramite simulazione Monte Carlo. Dopo

l'applicazione di questi criteri di selezione al campione di 203 eventi, sono rimasti

quattro eventi. Uno di questi è mostrato in figura 1.9.

Questo risultato sperimentale è in accordo con il numero di eventi previsti a Monte

Carlo, 4,2 eventi di τ. Dato che il numero totale di eventi di topologia opportuna che

ci si aspettava a Monte Carlo senza interazione di neutrino è valutato a 0.34 ± 0.05,

si può dire che si è avuta l’evidenza sperimentale dell'esistenza del come socio del

leptone nel modello standard delle interazioni elettrodeboli.

Dopo la scoperta del leptone τ e del suo corrispondente neutrino ντ , ci fu

l’introduzione di un nuovo numero quantico leptonico con conseguente richiesta della

sua conservazione , il che rende possibili solo alcune reazioni e decadimenti come

mostrato nella tabella 2 :

Tabella2

Assegnazione dei valori ai nemeri leptonici

ee , ee , ,

, ,

Le 1 -1 0 0 0 0

Lμ 0 0 1 -1 0 0

Lτ 0 0 0 0 1 -1

,

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Alcune reazioni permesse/proibite dalla conservazione del nemero leptonico

Permesse Proibite

ee

ee

np

e

e

e

e

e

e

ee

np

0

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SECONDO CAPITOLO

IL MODELLO ELETTRODEBOLE

In natura tutti i fenomeni fisici possono essere ricondotti a quattro interazioni

fondamentali tra particelle, dette : forte, elettromagnetica, debole e gravitazionale. In

particolar modo, l’interazione debole agisce tra tutti i tipi di particelle eccetto i gluoni

e i fotoni. Essa tuttavia è normalmente (ad energie relativamente basse) così debole

da essere completamente oscurata dalle ben più intense interazioni forte ed

elettromagnetica. Essa causa i decadimenti di molte particelle instabili in leptoni e

adroni più stabili come elettroni, neutrini e protoni. Inoltre è l'unica interazione che

non produce stati legati. I tre tipi di neutrino che abbiamo presentato nel capitolo

precedente, privi di massa e di carica, sono soggetti solo all’interazione debole.

Questo vuol dire che tutti i neutrini sono creati dall'interazione nucleare debole.

Molte particelle hanno il loro spin che punta con la stessa probabilità in tutte le

direzioni. Invece per i neutrini, la loro direzione di spin è sempre contraria alla

direzione del moto, perciò sono chiamati left-handed (LH). D’altra parte per gli

antineutrini accade il contrario, e perciò sono chiamati right-handed (RH). Inoltre

dato che i neutrini sono privi di massa, viaggiano alla velocità della luce

indipendentemente dal loro momento.

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2.1 Cenni alla teoria di Fermi

Fermi attribuì la radioattività β all’azione di un nuovo tipo di interazione tra le

particelle elementari, quella che oggi chiamiamo appunto “interazione debole”.

Esaminiamo brevemente il suo lavoro , considerando il decadimento radioattivo di

un nucleo A in un nucleo B con l’emissione di un elettrone e un neutrino (in effetti è

un antineutrino, ma questo si scoprì dopo),

(1) A B + e + .

Se elettrone e neutrino non sono presenti in A, essi devono essere creati nell’atto della

transizione. Questa conclusione era dura da accettare, dato che si era abituati a

pensare l’elettrone come una particella materiale, dotata di una sua solidità e

persistenza. Mentre la possibilità di creare (e distruggere) particelle aveva un

precedente ben noto nel caso dei fotoni. I processi di creazione e distruzione dei

fotoni vengono descritti dalla teoria quantistica del campo elettromagnetico,

sviluppata da Dirac immediatamente dopo la nascita della nuova meccanica

quantistica di Heisenberg. Nel 1927 Jordan e Klein mostrarono che la teoria dei

campi quantistici può essere applicata a qualsiasi particella. In altre parole, gli

elettroni possono essere visti come particelle, dal punto di vista classico, ma anche

come fenomeno ondulatorio.

Alla base della teoria di Fermi è l’ipotesi che il decadimento β di un nucleo sia

dovuto ad un nuovo tipo di interazione tra particelle che causa la trasmutazione di un

neutrone in un protone con la simultanea creazione di un elettrone ed un neutrino,

(2) N P + e + ν .

Dato che protone ed elettrone hanno carica elettrica opposta, mentre neutrone e

neutrino sono elettricamente neutri, in questo processo è conservato il valore della

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carica elettrica totale. Fermi costruì la sua teoria partendo dall’ipotesi che esistesse

un’ analogia, per quanto possibile stretta, tra questo processo e quello alla base della

emissione di raggi gamma,

(3) P → P + γ ,

nel quale uno dei protoni nel nucleo passa da uno stato energetico superiore ad uno

inferiore, emettendo un fotone. In tale processo il fotone (che è la manifestazione

quantistica della radiazione elettromagnetica) è prodotto dalla “corrente elettrica” che

si manifesta all’atto della transizione del protone da uno stato energetico all’altro.

La coppia elettrone-neutrino emessa dal processo (2) è, nella teoria di Fermi,

l’analogo del fotone emesso nel processo (3), e il meccanismo di emissione è

strettamente analogo. Fermi propose l’esistenza di un nuovo tipo di “corrente”, oggi

detta “corrente debole”, che si manifesta all’atto della trasformazione di un neutrone

in protone provocando la creazione della coppia e-ν.

I decadimenti radioattivi si possono dividere in due classi: i decadimenti permessi

che, secondo la teoria, potrebbero avvenire anche se i nucleoni (protoni e neutroni)

fossero fermi all’interno del nucleo, e quelli proibiti che sono solamente resi possibili

dal fatto che i nucleoni si muovono.

La teoria di Fermi contiene un solo parametro incognito, che può essere determinato

misurando la vita media di un decadimento “permesso”. Questo parametro, GF,

oggi detto “costante di Fermi”, determina la intensità delle nuove interazioni. Il

valore di GF, molto piccolo, ha dato alle nuove interazioni il nome di “interazioni

deboli”.

Abbiamo detto che la transizione tra neutrone e protone nel processo (2) genera una

corrente debole che conduce alla creazione della coppia e-ν. Il meccanismo di questo

fenomeno può essere paragonato al fenomeno della induzione magnetica in cui una

corrente variabile in un circuito elettrico genera un campo magnetico che a sua volta

può generare una corrente in un circuito fisicamente separato. Nella teoria di Fermi si

ha una specie di cortocircuito tra la corrente debole dei nucleoni, attivata dalla

transizione da neutrone a protone, ed una corrispondente corrente dei leptoni

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(elettrone e neutrino) la cui attivazione porta alla creazione della coppia e-ν.

L’interazione debole è quindi, secondo Fermi, una interazione diretta tra “correnti

deboli”, senza l’azione di un campo intermedio, come invece avviene nel caso della

induzione magnetica.

Nel suo lavoro del 1933 Fermi presentò la struttura matematica della nuova teoria, e

la sua applicazione allo studio dei decadimenti radioattivi .

2.2 Teoria V-A e violazione della parità

Consideriamo lo scattering elastico: schematizzato in figura 2.1:

Figura 2.1: Scattering elastico elettrone-protone

La matrice di transizione è :

in cui

rappresenta il propagatore del

campo elettromagnetico mentre q il momento trasferito.

Fermi usò lo stesso formalismo per l’interazione debole nel decadimento ,

rappresentabile quindi con il diagramma in figura 2.2.

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Figura 2.2: Diagramma del decadimento proposto da Fermi.

Essendo , bisogna che si scambi qualcosa di carico (correnti cariche).

Abbiamo detto che per Fermi l’interazione è puntuale e non c’è un campo mediatore

questo implica che la matrice di transizione è del tipo : M = C dove C è un

coefficiente.

Non da subito, ci si rese conto che la struttura puntiforme introdotta da Fermi per il

decadimento β poteva essere realizzata con diversi altri tipi di accoppiamento. Poteva

essere tra due vettori (due correnti), come Fermi aveva scritto, ma anche tra due

vettori assiali (che si differenziano dai vettori per l’assenza di cambiamento di segno

delle 3 componenti spaziali sotto inversione di parità), o anche tra due scalari, due

pseudoscalari o perfino tra due tensori.

In mancanza di un campo mediatore, c’è un operatore che trasforma in ed n in

p.

Si ha: in cui O rappresenta l’operatore. La matrice perciò assume la

forma:

M =

Gli operatori possono essere di 5 tipologie diverse: scalare (S), vettoriale (V),

tensoriale (T), assiale (A) e pseudoscalare (P).

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Per J = 0 (Transizioni di Fermi) sono ammessi solo gli operatori S e V.

Per J = 1 (Transizioni di Gamow-Teller) sono ammessi solo gli operatori A e T.

Poiché nel nostro caso esaminiamo transizioni miste, bisogna considerare entrambe le

coppie (S-V,A-T):

M =

Usando questa matrice è possibile dedurre la distribuzione degli elettroni in energia :

in cui impone il valore massimo dell’energia possibile per l’elettrone

(l’end-point del decadimento ), la matrice che regola una transizione di tipo

Fermi, mentre quella che regola una di tipo Gamow-Teller, sono i

coefficienti nel caso di trasformazioni S,V,A,T rispettivamente, infine l’ultima

parte

rappresenta i termini misti.

Poiché si osservano delle transizioni pure di Fermi e di Gamow-Teller i primi due

termini dell’espressione della matrice devono essere diversi da zero, e quindi non è

possibile che si abbia .

Però dai dati sperimentali si riscontra che:

e

.

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Questa evidenza sperimentale, unita alla condizione precedente comporta che tra

solo un termine può essere nullo, e lo stesso vale per . Perciò dei

quattro operatori ne resteranno solo due, quali?

Per capirlo, bisogna guardare la distribuzione angolare degli elettroni:

Sostituendo il termine

con in quanto dipende dall’angolo tra

elettrone e neutrino valutiamo i vari casi:

-

-

-

-

Sperimentalmente si trova che per le transizioni di Fermi si verifica il secondo caso,

mentre per le transizioni da Gamow-Teller il terzo. Perciò si parla di interazione V-A.

Quindi

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dunque

Misurando posso ricavare . Sperimentalmente si trova che

.

Quindi nel decadimento ci sono due contributi: uno vettoriale e uno assiale, di cui

quello assiale contribuisce maggiormente.

Usando protoni polarizzati (il protone nel decadimento ha la stessa polarizzazione

del neutrone)

Si possono avere due casi :

1) è polarizzato in modo opposto a p

è polarizzato in modo concorde a p

Sperimentalmente si trova che è

Perciò si può concludere che le due componenti sono diverse (A > V) e che lavorano

in senso opposto, per questo si parla di interazione V meno A (V-A).

Dunque per i leptoni (elettrone e neutrino), e successivamente per i quark,

l’interazione prendeva la semplice forma V-A, che corrisponde alla massima

violazione di parità. Infatti nel prodotto di due correnti (V-A)(V-A) si hanno sia

termini del tipo VV+AA, scalari e con coniugazione di carica C positiva, che termini

del tipo VA+AV, pseudoscalari e con C negativa. I primi termini conservano P e C,

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mentre i secondi violano entrambe, pur conservando il prodotto CP. La violazione è

massimale perché il coefficiente dei termini che rompono tali simmetrie è in modulo

uguale a quello dei termini che le preservano. Se non si considerano le masse,

possiamo dire che le particelle entrano nell’interazione debole solo attraverso la loro

componente negativa di elicità, che corrisponde a una rotazione sinistrorsa attorno al

loro impulso, mentre le antiparticelle entrano attraverso la loro componente positiva

di elicità. Per una particella priva di massa gli stati di elicità negativa e positiva non

sono correlati per mezzo di trasformazioni di Lorentz e possono essere considerati

separatamente.

Dato che la parità nell’interazione debole non viene conservata bisogna introdurre

una componente pseudoscalare:

γ

In cui γ rappresenta una matrice di Dirac che è pseudoscalare per definizione,

mentre è un coefficiente non noto.

Andando a sostituire i nuovi termini nella matrice della trasformazione otteniamo:

γ

Sviluppando e manipolando l’espressione nella parentesi quadra si ottiene:

γ

ν

γ

ν

I termini γ e γ sono i termini che fanno cambiare l’elicità dell’elettrone.

γ trasforma in LH e in RH, dunque non deve esistere. Questo comporta

che = 0; poiché = 1 (siamo in un’interazione pura),

= -1.

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Il termine γ è il responsabile della violazione di parità.

Una volta confermata la struttura V-A, era naturale aspettarsi che l’interazione fosse

mediata da una particella vettoriale che agiva allo stesso modo del fotone per

l’interazione elettromagnetica, ma che portava carica e aveva una massa molto

pesante in modo da limitarne il raggio. Questa particella fu chiamata W dalla parola

inglese “weak”, debole. W fu scoperta nel 1983, una scoperta premiata col Nobel

assegnato a C. Rubbia e S. Van der Meer. La massa di W è 81 GeV, e per poterlo

creare è stato necessario trasformare il super proto-sincrotrone del CERN in un

collisore protone-antiprotone per ottenere energie di collisione che permettessero la

sua produzione.

2.3 Universalità delle interazioni deboli

L’ Universalità delle interazioni deboli cariche richiede che GF sia la stessa per i

diversi tipi di interazioni deboli. Ci chiediamo: tutti i leptoni e quark hanno la stessa

costante di accoppiamento debole? Vedremo che questo è vero per i leptoni ma che è

più complicato per i quark.

Consideriamo i decadimenti leptonici del leptone tau (τ) schematizzati in figura 2.3:

Figura 2.3 : Decadimenti leptonici del leptone tau

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Si trova che le probabilità di decadimento sono date dalle relazioni:

;

Ricordiamo inoltre che :

e che

(posto = c = 1)

Per cui avremo:

) =

;

) =

) ;

dove e sono i rispettivi spazi delle fasi.

Sperimentalmente si ottiene :

e tenendo conto dello spazio delle fasi si desume che :

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Consideriamo ora i decadimenti del e del schematizzati in figura 2.4 e andiamo

a studiare il rapporto tra le costanti di accoppiamento e .

Figura 2.4: Decadimenti leptonici del e del

Ricordando che il decade al 100% in si ottiene:

D’altra parte il rapporto dalla teoria è uguale a:

Otteniamo quindi :

Note le masse, le due vite medie e il BR si ottiene:

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Perciò in conclusione:

dunque l’universalità è vera per i leptoni. Per i quark invece la situazione è un po’ più

complicata, infatti gli accoppiamenti dei quark ai bosoni deboli, dipendono dai sapori

dei diversi quark coinvolti.

Cominciamo con l’analizzare i decadimenti leptonici di schematizzati in

figura 2.5:

Figura 2.5: Decadimento del e del

Nel decadimento del non si ha la variazione di stranezza, , e chiameremo

la costante di accoppiamento (il quark u si trasforma nel quark ). Invece nel

decadimento di , si ha una variazione della stranezza, , e dunque

chiameremo la costante di accoppiamento (il quark u si trasforma nel quark ).

Sperimentalmente si ottiene :

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Analogamente, andando a valutare i decadimenti semileptonici degli stessi due

mesoni:

(u (u )

di cui uno con e l’altro con si ottiene sperimentalmente:

Da tale risultato nel decadimento dei mesoni si desume che le transizioni con

sono meno probabili di quelle con .

Consideriamo ora i decadimenti semileptonici di barioni sia con che con

, in particolare quelli schematizzati nelle figure 2.6 e 2.7 :

1) Decadimenti con cambiamento di stranezza 2) Decadimenti senza cambiamento di stranezza

n

(s ) (d

Figura 2.6: Decadimento della a livello dei quark Figura 2.7: Decadimento del neutrone

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Nel decadimento della si ha una variazione della stranezza, , e perciò la

costante di accoppiamento è (il quark s si trasforma nel quark u). Invece nel

decadimento del neutrone non si ha la variazione di stranezza, , e dunque la

costante di accoppiamento è (il quark d si trasforma nel quark u).

Sperimentalmente si trova ancora una volta che :

Dunque anche nel caso dei decadimenti semileptonici dei barioni si conferma che gli

elementi di matrice delle transizioni e sono diversi ( ) e che il

rapporto tra le costanti di accoppiamento, è invece lo stesso indipendentemente dal

considerare decadimenti di adroni o mesoni: quindi deve riflettere una proprietà dei

quark costituenti.

Nel 1963 Cabibbo spiegò questi risultati sperimentali con una teoria che recupera

l’universalità: si assume che nei decadimenti deboli, i quark u non si accoppiano ai

quark d ed s, che sono autostati di massa delle interazioni forti, ma a degli autostati

delle interazioni deboli d’ ed s’ che costituiscono un doppietto di quark ottenuti dai

quark d ed s “ruotati” di un angolo di “mixing” : l’angolo di Cabibbo.

Figura 1.8: Matrice di collegamento tra quark autostati di massa e quark autostati dell'interazione debole

Se leptoni e quark sono le sorgenti dell’interazione debole allora:

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a) L’accoppiamento degli elettroni al campo debole è proporzionale a una carica

debole, ;

b) L’accoppiamento dei muoni è proporzionale a ;

c) L’accoppiamento dei quark (u,d) genera le transizioni con ed è

proporzionale a ;

d) L’accoppiamento dei quark (u,s) genera le transizioni con ed è

proporzionale a ;

Ricordiamo che . L’ipotesi di Cabibbo che l’interazione debole sia

universale, impone che un solo parametro, la costante universale di Fermi

descriva l’accoppiamento del campo debole a leptoni e quark:

E’ importante sottolineare ancora una volta che d’ ed s’ sono gli autostati delle

interazioni deboli e sono combinazioni lineari degli autostati di massa d ed s

d’= d cos + s sin , s’= - d sin + s cos .

Dalle misure sperimentali si trova che:

e ciò spiega perché le transizioni con siano favorite rispetto a quelle con

, infatti nel primo caso la costante di accoppiamento è cos , mentre nel

secondo caso vale sin e sin .

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41

2.3.1 Esigenza di un mediatore neutro

L’osservazione sperimentale che il decadimento è soppresso di

parecchi ordini di grandezza rispetto al decadimento costituiva

uno dei grandi dilemmi da risolvere. I diagrammi dei decadimenti sono mostrati in

figura :

Figura 2.9: Decadimenti e

Sperimentalmente si trova che :

BR mentre

BR

Nel decadimento notiamo che la corrente deve essere neutra e deve

indurre un cambiamento di stranezza!

L’altra osservazione sperimentale è che anche il decadimento è

soppresso di parecchi ordini di grandezza rispetto al decadimento

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42

Figura 2.10: Decadimento della soppresso e della permesso

Notiamo ancora una volta che la corrente scambiata nel decadimento sfavorito deve

essere neutra e deve indurre un cambiamento di stranezza. Si manifesta quindi

l’esigenza di un mediatore neutro, detto a cui la teoria di Cabibbo associa un

accoppiamento debole coi quark del tipo:

Figura 2.11: Accoppiamento debole dei quark allo

In questo quadro le Flavour Changing Neutral Current (FCNC) sarebbero permesse

dalla teoria: difatti l’ultimo termine dell’equazione è FCNC e potrebbe quindi essere

indicato come il responsabile del decadimento. Ma in questo modo l’ampiezza

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43

sarebbe proporzionale a sin cos e ciò darebbe come risultato una probabilità di

decadimento molti ordini di grandezza superiore rispetto a quella sperimentale! Una

soluzione fu proposta nel 1970 da Glashow, Iliopoulos e Maiani. L’obbiettivo è far

sparire il termine che contribuisce ai decadimenti con . La soluzione consiste

nell’introdurre un nuovo quark e dunque un nuovo numero quantico. Il quark in

questione è detto quark charm, c di carica pari a

, isospin 0, privo di stranezza e di

numero barionico pari a 1

.

Si introduce dunque un nuovo doppietto:

ortogonale al precedente:

Allora abbiamo termini aggiuntivi per i vertici di corrente neutra come schematizzato

in figura12:

Figura 2.12: Accoppiamento debole dei quark allo considerando anche il contributo del quark c

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44

Dunque al prezzo di aggiungere un altro quark le correnti neutre con sono

state cancellate.

Come risultato si ha dunque che lo si accoppia direttamente solo a stati

. Tuttavia anche se il diagramma del primo ordine con scambio di

(figura 2.10) non dà contributo al decadimento è possibile un contributo

al secondo ordine con due bosoni W come è mostrato nella figura che segue:

Figura 2.13: Contributo del diagramma del secondo ordine con scambio di due bosoni W al decadimento

Se le masse dei quark u e c fossero uguali i due diagrammi si cancellerebbero

identicamente. Per avere accordo coi dati sperimentali, si dedusse che la massa del

quark c sarebbe dovuta essere tra 1 e 3 GeV (massa effettiva : 1.3 GeV).

2.4 Teoria elettrodebole

L’ interazioni elettromagnetica e l’interazione debole sembrano essere molto diverse

per :

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45

a) la massa dei bosoni in gioco (da una parte il con massa nulla , dall'altra i W e Z°

che hanno una massa molto grande)

b) l'intensità dell'interazione (Idebole << Ielettromagnetica).

Ma, allo stesso tempo, mostrano importanti analogie. Esse sono entrambe :

a) trasmesse da bosoni vettori,

b) caratterizzate da una costante universale, rispettivamente e .

Questo ci fa pensare di poter mettere insieme i due tipi di interazione, ossia che esista

una simmetria più generale che descrive le due interazioni contemporaneamente.

Vediamo le esigenze a cui deve soddisfare questa nuova eventuale simmetria:

• quark e leptoni carichi si accoppiano con il campo elettromagnetico;

• tutti i fermioni si accoppiano con il campo debole;

• quark e leptoni carichi hanno due stati di elicità;

• i neutrini sono autostati di elicità, ;

• l’interazione elettromagnetica non dipende dallo stato di elicità dei fermioni;

• l’interazione debole non dipende dallo stato di carica elettrica dei fermioni;

• l’interazione debole agisce su fermioni L e antifermioni R;

• rispetto all’interazione debole, quark e leptoni si possono rappresentare con

doppietti di sapore; con ciascun componente del doppietto distinto dalla carica

elettrica ( idem per per gli antifermioni).

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Nei primi tre doppietti ciascun leptone (elettrone, muone e tau) è accoppiato al

rispettivo neutrino (elettronico, muonico e tauonico),e per ciascun elemento di ogni

coppia, il numero leptonico (rispettivamente elettronico, muonico e tauonico) è pari

ad uno. Gli ultimi tre, rappresentano le tre famiglie di quark, in cui però i quark

(d’,s’,b’) non coincidono con gli autostati di massa (d,s,b) ma sono legati ad essi da

una matrice unitaria 3 3, detta matrice di Kobayashi-Maskawa secondo la relazione:

Ogni elemento di matrice dà la probabilità della trasformazione tra quark

corrispondenti.

2.4.1 L’idea base della teoria di Weinberg-Salam

Questi doppietti possono essere rappresentati da un nuovo operatore, l’operatore di

isospin debole I che collega fra loro stati di fermioni L (doppietti) e stati di fermione

R (singoletti).

Il gruppo di simmetria per la descrizione delle interazioni si amplia: al gruppo

unitario che descrive la simmetria generata dalla carica elettrica ovvero

dall’ipercarica, dovremo aggiungere il gruppo S .

La connessione fra essi è stabilita da una relazione fra carica, ipercarica debole Y e

terza componente dell’isospin debole: Q =

. La descrizione dello sviluppo di

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questa teoria è fuori la competenza di questa presentazione e ci limitiamo a

concludere che la simmetria introduce:

a) tre campi (tripletti di isospin debole) con carichi e neutro

che si accoppiano con particelle con isospin debole con costante ;

b) un campo neutro (singoletto di isispin debole) che si accoppia con particelle

con ipercarica debole con costante con .

Le interazioni fra questi campi corrispondono alle correnti deboli e alla corrente

elettromagnetica se si pone :

;

; ;

;

Con = = e

Questa relazione impone che l’accoppiamento delle e è lo stesso del e

quindi la diversa intensità è solo nella massa del mediatore.

2.4.2 L’angolo di Weinberg

L’angolo

è detto angolo di Weinberg, inteso come angolo di mixing

elettrodebole, analogamente a quanto avviene con l’angolo di Cabibbo relativamente

alla descrizione del mixing fra stati di quark.

L’angolo risulta essere l’unico parametro della teoria. Detto q il momento

trasferito, per si ha:

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Da cui usando = e, si ottiene:

La teoria di Weinberg e Salam permette di calcolare le sezioni d’urto delle correnti

rispettivamente cariche ( ) e neutre ( ) nelle interazioni di neutrini e antineutrini

con nucleoni. In particolare si trova che:

Queste misure sono state effettuate da esperimenti Charm, CDHS, trovando:

e quindi è possibile stimare la massa dei bosoni W e Z :

.

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La verifica totale della teoria richiede la scoperta diretta delle W e Z che avvenne al

CERN solo nel 1982, dopo circa 20 anni, utilizzando le collisioni protone antiprotone

nelle quali W e Z sono prodotti dall’annichilazione quark-antiquark. Ma solo al LEP

(Large Electron-Positron Collider) al CERN, negli anni 90, sono state possibili

misure di precisione che hanno definitivamente confermato la teoria.

Al LEP (Large Electron-Positron Collider) le W e Z vengono prodotti dall’interazione

. La vita media della W e della Z è di circa 10 pertanto in ogni caso esse

non potranno mai essere viste direttamente, potranno essere solo individuate tramite i

prodotti di decadimento, così come è schematizzato in figura 2.14.

Figura 2.14: Modi di decadimento dello

Si deve precisare che la teoria elettrodebole prevede che :

• Ogni canale in coppia di fermioni ha una propria sezione d’urto ed una propria

larghezza ;

• La larghezza totale all’ordine più basso è data da:

;

• La per il decadimento in quark è molto maggiore delle altre;

• Гel, Гmuon, Гtau (Гl) sono uguali tra loro assumendo l’universatità leptonica.

Annichilazione Produzione di

v

q

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• La dei neutrini non è rilevabile direttamente;

All’ordine più basso lo scattering in fermione e antifermione è descritto tramite

lo scambio di un fotone e di un bosone (figura 2.15), e la sezione d’urto che

descriveremo in seguito (paragrafo 3.3.3) , ha l’andamento riportato in figura 2.16.

Figura 2.15 : Scattering in fermione e antifermione tramite lo scambio di un fotone e di

Figura 2.16: Sezione d’urto del decadimento di in funzione dell’energia a disposizione nel centro di massa

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51

TERZO CAPITOLO

DETERMINAZIONE DEL NUMERO DI SPECIE DI NEUTRINI LEGGERI

Il modo migliore per verificare il modello delle interazioni elettrodeboli e fra queste il

numero delle specie di neutrini leggeri, è quello di studiare reazioni fra particelle

dominate solo da questa interazione come i leptoni. Infatti un collisore e+e

- è

senz’altro preferibile alle altre alternative, perché l'evento di annichilazione tra due

leptoni dà origine a prodotti di reazione relativamente semplici da analizzare ed

interpretare. Nella collisione fra due adroni quali possono essere i protoni, invece,

entra in gioco la forza forte, ed hanno luogo reazioni molto più complesse e la

produzione di grandi sciami di particelle che complicano di molto la rilevazione.

Sfortunatamente, però, la piccola massa degli elettroni fa sì che un fascio energetico,

su una traiettoria curvilinea, di queste particelle irraggi via molta radiazione di

sincrotrone, ovvero perda costantemente dell'energia cinetica convertendola in raggi

X. Per verificare le previsioni sulla massa della e sui suoi decadimenti era

necessario un collisore di elettroni-positroni di energia dell’ordine di 100 GeV e di

conseguenza di grande raggio: il LEP.

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3.1 LEP

Il Large Electron-Positron Collider (LEP) è stato uno dei più grandi acceleratori di

particelle mai costruito. Ha operato al CERN di Ginevra a partire dal 1989 fino al

2000. Era un anello di accumulazione circolare, di 27 chilometri di circonferenza

( raggio pari a 4.2 Km ), costruito in un tunnel sotterraneo al confine tra Svizzera e

Francia, presso Meyrin e Prevessin, che collideva elettroni e positroni. Quando LEP

entrò in funzione nel 1989 accelerava elettroni e positroni fino ad un'energia totale

nel centro di massa di circa 91 GeV, sufficiente per la produzione del bosone Z, che

si aspettava avesse una massa di circa 91 GeV. L'acceleratore fu aggiornato

successivamente per aumentare l'energia massima, arrivando alla soglia di

produzione delle . LEP aveva quattro rivelatori, installati nei quattro punti dove i

fasci venivano incrociati per consentire le collisioni. I quattro rivelatori a LEP sono

stati: Aleph, Delphi, Opal e L3. Gli esperimenti di LEP hanno consentito di effettuare

misure di precisione. Tra le misure più importanti, la massa del bosone Z e del

bosone W, e la determinazione del numero delle specie di neutrini leggeri.I rivelatori

avevano una struttura simile, propria degli esperimenti ai collisori. Mi limiterò a

descrivere brevemente solo l’apparato dell’esperimento Aleph come esempio.

3.2 ALEPH

Esso è un apparato con un campo magnetico di 15 KGauss generato da un solenoide

superconduttore in cui è posto un sistema di misura delle traiettorie delle particelle

(minivertice, ITC, TPC) chiuso esternamente dal calorimetro adronico. Una sua

visione pittorica è data in figura 3.1.

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Figura 3.1: Il rivelatore dell’apparato Aleph

3.2.1 Il minivertice e la I.T.C.

Al centro dell’apparato immediatamente intorno al punto di interazione si trova il

minivertice che permette la determinazione dei vertici secondari generati nel corso

del decadimento debole di particelle pesanti.

Il minivertice è costituito da due strati concentrici di cristalli di silicio disposti

coassialmente intorno al tubo del fascio. Su ogni cristallo sono impiantati due strati di

sottili elettrodi (microstrips), l’uno parallelo, l’altro perpendicolare alla direzione del

fascio; queste microstrips tramite l’elettronica associata permettono una lettura

simultanea delle due coordinate del punto di passaggio della particella. La risoluzione

nella ricostruzione dei punti di attraversamento della particella, che sono stimati in:

, consente di ottenere l’errore sul momento di circa :

.

Il sottorivelatore successivo è la I.T.C. (Inner Tracking Chamber) che fa parte sia del

sistema di tracciatura sia del trigger di primo livello.

La I.T.C. , lunga 2m con un diametro di 570 mm, è una camera a deriva cilindrica

suddivisa in quattro sottocamere ciascuna delle quali contiene due strati di 128 fili

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sensibili orientati lungo l’asse z. La posizione relativa dei fili sensibili nelle varie

sottocamere è sfasata in modo da migliorare la separazione di tracce molto vicine. La

coordinata z della traccia si trova misurando la differenza di tempo tra i segnali che

raggiungono le due estremità di fili sensibili, mentre la distanza dal filo è data dalla

misura del tempo di deriva. Qui l’errore sul momento vale :

.

3.2.2 La T.P.C.

Procedendo verso l’esterno si trova la T.P.C. (Time Projection Chamber) a cui è

affidato il compito di tracciare le particelle cariche dell’evento. Anch’essa è cilindrica

ed è disposta coassialmente al fascio. Il suo volume è riempito da una miscela di

argon (90%) e metano (10%) a pressione atmosferica. All’interno della camera è

presente un campo elettrico di intensità pari a circa 11.5 KV/m.

La tracciatura viene effettuata analizzando il segnale prodotto dagli elettroni di

ionizzazione delle particelle cariche, elettroni che migrano verso i tappi laterali della

T.P.C. a causa del campo elettrico presente. Se l’evento è giudicato interessante dal

primo livello di trigger allora i fili di gate vengono alimentati da una tensione

opportuna che lascia passare gli elettroni, altrimenti questi vengono catturati dai fili

di gate. Gli elettroni che migrano nelle camere a deriva vengono moltiplicati

producendo un impulso sui fili, il quale a sua volta induce un segnale su degli

elettrodi utilizzati per determinare le coordinate r- . Le coordinate z vengono

misurate, invece, calcolando l’intervallo di tempo tra il segnale di trigger ed il segnale

registrato sui fili, ed utilizzando la velocità media di deriva degli elettroni nel gas.

La T.P.C. consente anche di valutare la perdita di energia per ionizzazione (dE/dx) per

le particelle traccianti, stima che è di particolare importanza poiché consente la

possibilità di operare una discriminazione fra le varie particelle. La risoluzione

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spaziale in r- vale , mentre nella coordinata z vale: .

L’errore sul momento vale invece:

.

3.2.3 Il calorimetro elettromagnetico

E’ costituito da un elemento centrale chiamato barrel chiuso da entrambi i lati con

degli elementi denominati endcaps. Il volume attivo è costituito da tubi a gas

all’interno dei quali circola una miscela di Xe e che viene ionizzata dagli

elettroni contenuti nello sciame elettromagnetico. Ogni modulo è costituito da 45

strati sovrapposti, ciascuno dei quali è composto da un foglio di 2-4 mm di piombo

rivestito con un profilo estruso di alluminio a forma di U. La U è chiusa da un foglio

di mylar ricoperto di grafite che permette la trasmissione di segnali indotti. Dietro il

foglio vi sono degli elettrodi di rame sui quali vengono letti i segnali indotti, che sono

di intensità proporzionale all’energia rilasciata nel tubo. Questi elettrodi sono

collegati insieme in modo da formare delle torri proiettive che puntano verso la zona

di interazione. Complessivamente ci sono 44800 torri nel barrel e 24000 negli

endcaps.

La risoluzione ottenuta sperimentalmente è:

dove E è misurata

in GeV.

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3.2.4 Il calorimetro adronico

E’ costituito dalla struttura in ferro che chiude il flusso di ritorno del campo

magnetico e contribuisce all’identificazione dei muoni.

Le sue parti fondamentali sono il barrel, che circonda la bobina superconduttrice e

costituisce la parte centrale del calorimetro, ed i due endcaps che chiudono il

calorimetro alle estremità. Il barrel è suddiviso in 24 moduli costituiti da 22 strati di

ferro dallo spessore di 5 cm. Tra uno strato e l’altro sono stati inseriti dei piani di tubi

a streamer che costituiscono la parte attivba del calorimetro. La lettura dei segnali è

affidata a delle strips su un lato dei tubi ad a delle pads sull’altro lato, su cui i tubi

inducono degli impulsi. Le strips vengono utilizzate per la ricostruzione digitale

dell’evento, mentre le pads per la misura analogica del flusso di energia. Le pads dei

vari strati sono connesse tra di loro in modo da formare delle torri proiettive che

puntano verso il centro dell’apparato.

La risoluzione ottenuta sperimentalmente è:

dove E è misurata in

GeV.

3.2.5 Le camere dei muoni

Il guscio più esterno dell’apparato sperimentale di ALEPH è costituito dalle camere

per la rivelazione dei muoni. I due doppi strati di camere di muoni sono separati di 50

cm in maniera tale da ottenere, con buona precisione, non solo la posizione ma anche

l’angolo d’uscita. L’informazione digitale fornita dal calorimetro adronico è già

fondamentale per la rivelazione dei muoni.

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3.2.6 Il monitor di luminosità

Ha il compito fondamentale di compiere la misura della luminosità, operazione

importante per poter conoscere il numero di eventi accumulati nella presa dati. La

luminosità è misurata tramite la determinazione del numero di eventi Bhabha a

piccoli angoli di scattering. La parte principale del monitor di luminosità è composta

da due coppie di rivelatori, ciascuna formata da un calorimetro elettromagnetico

(LCAL) e da un rivelatore tracciante (SATR); che sono disposte su entrambi i lati

della regione di interazione a ridosso del tubo del fascio.

3.2.7 Il trigger

L’apparato è controllato da un complesso sistema elettronico di trigger e di

acquisizione dati che qui non descriviamo, ma ci limitiamo a ricordare che lo scopo

del trigger è quello di produrre un segnale che faccia iniziare l’acquisizione dei dati

solo per gli eventi relativi a collisioni , diminuendo nel contempo il rumore di

eventi di fondo al minimo possibile. La frequenza degli eventi di annichilazione al

picco della e con la massima luminosità di LEP è dell’ordine di 1 Hz.

Il sistema di trigger è a tre livelli.

Il primo è basato sui segnali provenienti dai rivelatori veloci (I.T.C., monitor di

luminosità e calorimetri) ed interviene nei primi 5 ec dopo il segnale d’interazione

dei fasci, che arriva ogni 23 ec. Esso richiede un certo numero di tracce nell’ ITC.

Per raccogliere gli eventi adronici, il trigger principale è basato sulla richiesta di un

rilascio di energia nel calorimetro elettromagnetico. La richiesta minima è 6 GeV nel

barrel o 3 GeV in entrambi gli end-caps o 1.5 GeV in ciascun end-cap.

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Il secondo utilizza le informazioni della T.P.C., il cui funzionamento viene abilitato

dal trigger di primo livello, per richiedere che le tracce rivelate puntino verso la zona

di interazione. L’accuratezza con cui viene misurata l’origine della traccia è di 15 mm

per la zona interna della TPC e di 35 mm per quella esterna. Il trigger di secondo

livello richiede che le tracce rivelate provengano da una regione entro 10 cm in z dal

punto di interazione dei fasci.

Infine il terzo livello è quello più selettivo e si forma quando sono a disposizione tutte

le informazioni dei sottorivelatori. Per competere con la frequenza di acquisizione,

alcune copie di queste informazioni sono inviate ad una serie di computer

indipendenti che lavorano in parallelo. L’insieme di questi computer è chiamato

“Event Processor”. Esso deve verificare i livelli precedenti di trigger e gestire le

correlazioni tra le informazioni dei vari sottorivelatori. Parte della ricostruzione finale

dell’evento è quindi anticipata per ottenere un criterio di selezione più netto di quello

fornito dai precedenti livelli di trigger.

3.3 Analisi dei dati e i risultati

Per verificare con alta sensibilità le predizioni della teoria elettrodebole, oltre alla

sezione d’urto totale e alla larghezza della Z, possono essere usate anche quelle

relative al decadimento leptonico dello Z. Inoltre, il rapporto misurato =

tra

la larghezza parziale adronica e quella leptonica può essere usato per la

determinazione del numero delle specie di neutrini leggeri.

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Per effettuare questi studi è quindi necessario distinguere e isolare gli eventi relativi

ai diversi modi di decadimento dello . I criteri di isolamento sono basati sulla

topologia attesa per gli eventi e sulle caratteristiche dei rivelatori.

Sono descritti brevemente nel seguito i criteri adottati per la selezione dei

decadimenti adronici e leptonici.

3.3.1 I decadimenti adronici dello

Gli eventi dei decadimenti adronici sono stati selezionati in due modi indipendenti:

una selezione è basata solo su tracce cariche, l’altra sull’energia calorimetrica.

La selezione basata su tracce cariche richiede la presenza di almeno 5 tracce cariche

nella TPC. Inoltre si richiede che la somma delle energie delle tracce sia più grande

del 10% rispetto all’energia del centro di massa. Le tracce devono avere un angolo

polare superiore a 18.2°, che garantisce che almeno 6 placchette della TPC siano

attraversate, e devono avere più di 4 coordinate ricostruite. La distanza massima di

avvicinamento delle tracce all’origine deve essere minore di 10 cm lungo la direzione

del fascio e di 2 cm trasversalmente ad esso. L’efficienza di selezione per i

decadimenti adronici Z è calcolata dalla simulazione di Monte Carlo e risulta essere

pari a (97.5±0.6)%.

Il background dagli eventi è stimato essere 0.18%. Quello dalle interazioni

fascio-gas è stimato dal numero di eventi che superano tutti i tagli di selezione

eccetto quelli relativi alla richiesta della posizione del vertice lungo il fascio. Si trova

che esso è trascurabile.

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L’altra selezione di eventi usa i dati calorimetrici. L’accettanza è leggermente

superiore se comparata con quella della selezione basata su tracce cariche. Si richiede

che gli eventi rilascino un’energia di almeno 7 GeV nel barrel o di almeno 1.5 GeV in

ciascun end-cap, così come si richiede che l’energia combinata dell’ECAL e

dell’HCAL sia almeno il 20% di quella del centro di massa. Una finestra temporale di

± 100ns rimuove la maggior parte del background di raggi cosmici.

L’efficienza della selezione calcolata dalla simulazione di Monte Carlo, è

(99.2±0.2)% per i decadimenti adronici. L’incertezza totale nell’efficienza è stimata

essere di 0.6%.

3.3.2 I decadimenti leptonici dello .

L’analisi dei decadimenti leptonici di Z è realizzata in due diversi modi. Il primo

metodo usa le capacità dell’ ALEPH nell’identificare le particelle, per isolare

campioni separati di coppie , e . Nel secondo, i decadimenti

leptonici carichi sono selezionati usando solo l’informazione di traccia, e così tutti e

tre i tipi di leptoni sono inclusi senza dare importanza alla loro distinzione. Questo

metodo non è influenzato dagli errori sistematici dovuti all’identificazione dello stato

finale, e assumendo l’universalità leptonica, la sezione d’urto leptonica può essere

misurata con un errore sistematico più piccolo.

Le richieste seguenti sono designate al fine di separare i decadimenti leptonici dai

decadimenti adronici e sono comuni a tutti i canali :

(1) Una traccia deve avere almeno quattro punti spaziali misurati nel TPC, un

momento superiore a 0.1 GeV/c, ed essere originata dal beam-crossing entro 5

cm lungo la direzione del fascio e 1.5 cm nella direzione trasversale.

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(2) Si richiede che l’evento abbia più di una e meno di 7 tracce nel range

dell’angolo polare <0.95.

(3) Almeno una traccia deve avere un momento più ampio di 3 GeV/c.

(4) L’evento, diviso in due emisferi, deve avere almeno una traccia in ogni

emisfero.

(5) I momenti delle tracce in ogni emisfero sono sommati vettorialmente e devono

essere collineari.

(6) Gli eventi con più di 4 tracce sono scartati se ogni traccia forma un angolo più

grande di 31.8° con la somma vettoriale dei momenti di traccia nello stesso

emisfero.

Il punto (1) elimina la maggior parte delle tracce che si originano dalle interazioni

fascio-gas, dai raggi cosmici, o quelle che sono misurate male. La richieste (2) e (6)

rimuovono i decadimenti Z adronici, mentre corservano quasi tutti i decadimenti

leptonici. Le interazioni di due fotoni sono rimosse dai tagli (4) e (5).

Per determinare le accettante geometriche e le efficienze di selezione, sono stati usati

programmi di Monte Carlo.

3.3.3 La risonanza

Come già accennato (paragrafo 2.4.2) la misura della sezione d’urto di

in funzione dell’energia del centro di massa, consente di misurare i

parametri di come la sua massa e la larghezza totale . Per ciascuno stato

finale ci sono tre differenti contributi:

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• Un termine dovuto all’interazione elettromagnetica . Questo è il

contributo dominante per l’energia del centro di massa al di sotto della massa di . Il

termine elettromagnetico ha una dipendenza del tipo

tipica dell’annichilazione

elettromagnetica.

• Un termine dovuto all’interazione debole . Questo contributo

domina alla risonanza , , il cosiddetto “picco ”

• Un termine di interferenza elettromagnetico/debole che svanisce in prossimità della

risonanza .

La sezione d’urto per la produzione di coppie di fermioni

nell’annichilazione , può essere espressa nella formulazione di un modello

indipendente come una funzione dei parametri fisici della risonanza Z.

+

. (1)

Sono riconoscibili i tre contributi:

• quello dovuto allo scambio del bosone Z che è rappresentato dalla funzione di

Breit-Wiginer (il primo termine a secondo membro).

• quello dovuto allo scambio di un fotone (l’ultimo termine a secondo membro).

• il termine di interferenza quindi di .

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Le sono le larghezze parziali del decadimento Z in o in una generica

coppia di fermioni ; è la carica, è il fattore di colore (tre per i quark e uno

per i leptoni) e è la larghezza totale.

La grandezza del termine di interferenza, non è conosciuta, ma come detto è

trascurabile intorno al “picco della , dove può essere studiata la produzione di uno

“reale” . Questo significa che lo è prodotto con un’energia e un momento tale

che .

Il comportamento della sezione d’urto attorno al picco della (omettendo il termine

puramente elettromagnetico e i termini dovuti alle correzioni radiative), è quello

tipico di una risonanza con J=1, descritta dalla formula di Breit-Wigner con una

larghezza dipendente dal numero dei canali cinematicamente accessibili.

Il picco della sezione d’urto (s = ) è :

. (2)

3.3.4 Le larghezze parziali e totali del bosone

Dal momento che è instabile, la larghezza del suo picco ha un valore finito

collegato al numero delle specie di fermioni in cui esso decade. Ciascuna delle specie

cinematicamente accessibili (cioè con una massa

) che si accoppia alla

contribuisce alla larghezza della risonanza.

Il contributo di ciascuna coppia fermione-antifermione può essere calcolato, ma

questo è fuori gli scopi di questa tesi, ricordando che:

- la larghezza è connessa al tempo di vita media;

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- nelle interazioni deboli, le particelle interagiscono sia attraverso una parte

assiale, sia attraverso una parte vettoriale;

- i leptoni non hanno una molteplicità di colore, ciascun quark ha tre gradi di

libertà (uno per ciascun numero quantico di colore) e si ottiene che:

dove sono rispettivamente le costanti di accoppiamento assiali e vettoriali del

fermione f , è il fattore di colore.

Processi ( ) BR (%)

83.91 0.12 3.363 0.04

83.99 0.18 3.366

84.08 0.22 3.370 0.008

83.984 0.086 3.3658 0.0023

1,744.4 2.0 69.91 0.06

2,495.2 2.3 100

499 1.5 20.0 0.06

Tabella 3.1: Larghezze parziali dei decadimenti dello e branching-ratios nei vari canali. La non è misurabile

direttamente e fa riferimento al decadimento in neutrini. è la larghezza totale adronica, è la larghezza del decadimento

in qualche coppia di leptoni carichi.

La larghezza parziale definita sopra, rappresenta la probabilità di transizione per

unità di tempo per il decadimento del bosone in un dato stato finale . La tabella

3.1 raccoglie le misure delle larghezze parziali e i branching ratios per ciascun canale

di decadimento ottenuti mediante i risultati degli esperimenti al LEP. Da notare che la

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probabilità che decada in ( ) è significativamente maggiore di quella

relativa al decadimento in una coppia di leptoni ( ).

La larghezza adronica, , è la somma delle larghezze parziali delle coppie quark-

antiquark cinematicamente accessibili nello stato finale, cioè :

Il quark top è escluso perché è troppo pesante per essere prodotto al picco .

La larghezza invisibile non è direttamente misurabile e si riferisce ai decadimenti

in neutrini:

ν νν

dove ν è il numero delle famiglie di neutrini leggeri.

Gli esperimenti al LEP hanno permesso di determinare con estrema precisione altre

grandezze. Riportiamo qui di seguito quelle rilevanti alla nostra esposizione :

,

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dove è la sezione d’urto adronica al picco e è l’angolo di Weinberg.

L’errore sulla massa della Z è dovuto essenzialmente all’incertezza sull’energia del

centro di massa al LEP. Le tre larghezze leptoniche sono in accordo l’uno con l’altra

come ci si aspetta dall’universalità leptonica.

Assumendo l’universalità leptonica, le sezioni d’urto adronica e quella leptonica

attesa sono parametrizzabili senza distinguere il sapore da

con

definito come

. Il risultato è:

3.3.5 Quantità misurabili, e il Numero di Famiglie di Neutrini leggeri

Un importante risultato raggiunto dal LEP è stato la determinazione del numero di

famiglie di leptoni e così, del numero di famiglie di “neutrini leggeri” con una

massa inferiore alla metà della massa dello . Se ci fosse una quarta famiglia di

quark e leptoni con masse al di sotto della metà della massa dello , il numero di

canali nei quali lo potrebbe decadere, dovrebbero essere maggiori di quelli

aspettati dal Modello Standard assumendo l’esistenza di sole tre famiglie.

Sperimentalmente, questa assunzione dovrebbe corrispondere ad una larghezza dello

maggiore (quindi ad un più piccolo tempo di vita) e ad un picco della sezione

d’urto più piccolo.

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Al LEP, può essere determinato tramite metodi differenti anche se strettamente

connessi tra di loro:

- Il metodo radiativo è basato sulla misura diretta della sezione d’urto di

. Tale sezione d’urto è proporzionale a e questa

misurata può essere confrontata con quella predetta. Solo le larghezze parziali

entrano direttamente in questa reazione e le incertezze sperimentali e

teoriche influenzano solo debolmente il risultato finale. Può essere fatto un

paragone anche tra la distribuzione misurata dei fotoni e la predizione teorica

ottenuta con un dato valore di . Le deviazioni dalle distribuzioni predette

possono essere fittate considerando come un parametro libero e dando poi

una determinazione del numero di neutrini leggeri. La variazione della sezione

d’urto totale in funzione di aumenta di circa il 30% con l’aggiunta di una

nuova famiglia di neutrini. Questo approccio è sperimentalmente sfavorito

vista la difficoltà di selezionare gli eventi .

- Il paragone tra la sezione d’urto adronica dello in funzione di s misurato e

quella ottenuta nel Modello Standard conformemente a un numero dato di

neutrini. Questo è mostrato in figura 3.2 dove la dipendenza della sezione

d’urto adronica dal numero è chiaramente visibile.

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Figura 3.2: Sezione d’urto adronica per i processi attorno all’energia del centro di massa di 91

GeV. I punti sono dati sperimentali ottenuti in quattro esperimenti al LEP; la curva centrale è quella predetta

teoricamente assumendo che ci siano tre differenti specie di neutrini, la più alta (bassa) corrisponde alla predizione

con due (quattro) specie di neutrini.

Si evince che è largamente favorito.

- La misura della larghezza invisibile da quella totale e dalla

larghezza leptonica e adronica.

L’espressione della è ottenuta sottraendo le larghezze note dalla larghezza

totale:

(4)

dove sono le larghezze leptoni che.

Usando l’equazione (4) e l’universalità leptonica, possiamo definire il rapporto

come:

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Dalla (2), si ottiene

, e si ottiene:

Usando i valori sperimentali precedentemente indicati si ottiene:

Questo valore può essere confrontato con la previsione del Modello Standard

per il numero di generazioni del numero di neutrini leggeri, cioè:

Il valore del rapporto

nel Modello Standard è 1.99125 0.00083.

Questo risultato porta alla determinazione del numero di generazioni di neutrini

leggeri, cioè:

5 943 0 016

1 99125 0 00083 2 984 0 008

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La precisione raggiunta in questa misura, pone stingenti limiti alla possibilità di

qualche decadimento invisibile dello Z0 , oltre ai decadimenti dovuti alle tre

generazioni note di neutrini leggeri; infatti il comportamento è in perfetto accordo

con l’esistenza di tre famiglie di neutrini.

3.3.6 Le asimmetrie Forward-Backward

Alle energie al di sotto della risonanza, il processo avviene o

attraverso lo scambio di un fotone o attraverso lo scambio di uno Z0 e attraverso un

termine di interferenza tra i due processi. Al primo ordine, la sezione d’urto

differenziale può essere scritta (trascurando le masse dei fermioni) come:

(5)

dove è l’angolo di scattering del fermione uscente rispetto al fascio di con a e b

fattori numerici calcolabili nel Modello Standard. L’integrazione del termine

della (5) fornisce la sezione d’urto totale per ciascun tipo di stato finale

. Il termine lineare nel non contribuisce alla sezione d’urto totale in quanto

, ma contribuisce alla cosiddetta asimmetria Forward-Backward AFB.

Si noti che l’espressione della sezione d’urto (si guardi la (1) e la (2)) non contengono

esplicitamente il parametro che caratterizza l’interazione debole, cioè la costante di

Fermi. Infatti, essa è “nascosta” nelle larghezze parziali (3). Ricordando che

, l’equazione (1) diventa:

Al picco (s = ), l’equazione (2) diviene:

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,

e la somma si estende a tutti i fermioni f ci nematicamente accessibili, cioè con una

massa

.

Dato che l’accoppiamento dello con i fermioni dipende sia dalle costanti di

accoppiamento assiali che da quelle vettoriali, , si possono osservare

asimmetrie misurabili nelle distribuzioni angolari dei fermioni dello stato finale.

Queste asimmetrie consentono di quantificare la violazione di parità nell’interazione

da corrente debole.

L’asimmetria nella distribuzione angolare del processo è

relativamente facile da misurare:

dove “F” sta per “Forward” e è il numero dei muoni scatterati nell’emisfero in

avanti, cioè con un angolo di diffusione tale che cos > 0 rispetto alla direzione del

fascio di . “B” sta per “Backward” e

è il numero di muoni scatterati

nell’emisfero indietro cioè con un angolo di diffusione tale che cos < 0 rispetto

alla direzione del fascio di .

e

sono le sezioni d’urto corrispondenti.

Considerando solo le correnti neutre, la sezione d’urto differenziale è data da:

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e ugualmente per . Al picco dello l’asimmetria F-B per ogni canale è :

.

Usando il valore misurato per , le grandezze possono essere determinate

anch’esse.

Al picco dello , per i decadimenti è :

.

Figura 3.3: Media sulle misure della asimmetria in avanti e indietro del muone, in funzione dell’energia del centro di massa.

Il fatto che essa sia diversa da zero fornisce un’ulteriore evidenza che le interazioni

deboli violano la parità.

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CONCLUSIONI

Si è visto che l’interazione debole che crea e coinvolge i neutrini è una

manifestazione a bassa energia di una interazione più generale in cui essa compare

integrata con l’interazione elettromagnetica: la così detta interazione elettro-debole.

Questa a sua volta pone un limite alle specie di neutrino leggero esistenti.

Ma la ricerca che coivolge i neutrini è ben lungi dall’essere terminata, infatti come

già negli anni 70 aveva fatto notare Bruno Pontecorvo, la suddivisione in tre famiglie

è strettamente valida solo se i neutrini avevano massa nulla. Al contrario un neutrino

dotato di massa poteva essere un miscuglio di un neutrino elettronico, muonico o

tauonico. Se il neutrino aveva massa dunque sarebbe stato possibile vedere neutrini

oscillare, cioè trasformarsi da una specie all’altra in funzione del tempo.

È possibile, per neutrini con massa non nulla, che gli autostati (νk = ν1,ν 2,ν3) dell’

Hamiltoniana H0, con massa definita (m1, m2, m3), non coincidano con gli autostati

leptonici (να = νe, νμ, ντ ).

In questo caso i primi possono essere ottenuti come combinazione lineare dei secondi

(e viceversa), attraverso una trasformazione unitaria

3

1

*

k

kkU

(con U = matrice unitaria di mescolamento), in maniera analoga a quanto avviene per

i quark con la matrice di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa (CKM). Se gli autostati di

massa non sono degeneri, la fase di ciascun autostato di massa evolverà nel tempo

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in modo diverso: per questo motivo un autostato leptonico definito, descritto da una

particolare combinazione lineare di autostati di massa, evolverà nel tempo in una

diversa combinazione lineare non più corrispondente all’autostato leptonico iniziale.

Il cambiamento di famiglia leptonica durante la propagazione di un neutrino nel

vuoto, causato della diversa evoluzione temporale degli autostati di massa, può

produrre, una variazione periodica della composizione in termini di autostati leptonici:

questo fenomeno prende il nome di “oscillazione di neutrino”.

La ricerca di un neutrino massivo può essere effettuata mediante misure dirette della

sua massa basate sullo studio della cinematica di reazioni e decadimenti coinvolgenti

il neutrino stesso. Tali esperimenti sono però molto delicati in quanto i valori delle

masse che si vogliono misurare sono così piccole da richiedere apparati ad alta

risoluzione. Con il metodo cinematico, ad oggi, si è riuscito a stabilire soltanto dei

limiti superiori. I limiti attuali forniscono eVm e 8.2 , KeVm 170 e 2.18m MeV.

Le oscillazioni di neutrino possono essere studiate osservando, ad una certa distanza

dalla sorgente, una diminuzione nel numero di neutrini di una determinata famiglia

leptonica (esperimenti di “sparizione”), oppure la presenza di neutrini di famiglia

leptonica diversa da quella del fascio originario (esperimenti di “apparizione”).

Esperimenti sono ancora in corso per chiarificare questo fenomeno, e ci sono

attualmente indicazioni positive, ma questo è al di fuori degli scopi di questa tesi.

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http://www.roma1.infn.it/people/dionisi/triennale/FNES_2005-2006.pdf

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[22] Andrea Bizzeti, Dispensa sulle oscillazioni dei neutrini (2006),

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[23] Enciclopedia Treccani, Le oscillazioni dei neutrini,

http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/fisica/oscillazioni/ludovici.html

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Ringraziamenti

A tutti coloro che con il loro sorriso e la loro presenza mi hanno

sempre guidata e sostenuta…

Per sempre vostra

Luci